CAMERA DEI DEPUTATI

Doc. XXII, n. 61

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

d'iniziativa della deputata DE GIORGI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta
sulla gestione dei controlli sanitari e ambientali e sull'efficacia delle misure adottate in relazione all'attività dello stabilimento siderurgico di Taranto

Presentata il 10 febbraio 2022

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di inchiesta parlamentare ha il fine di valutare la gestione dei controlli sanitari e ambientali eseguiti da parte delle istituzioni competenti, anche a livello territoriale, sulle condizioni di sicurezza dello stabilimento siderurgico di Taranto (ex ILVA) nonché l'efficacia delle misure adottate a tutela dell'ambiente e della salute della popolazione e l'incolumità dei lavoratori operanti all'interno dello stabilimento medesimo. L'istituzione di un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta si reputa necessaria in ragione degli effetti provocati, soprattutto negli ultimi quarant'anni, dalla produzione industriale di acciaio che, nonostante la notevole diminuzione subita nel tempo a causa di vari fattori, continua a causare inquinamento atmosferico.
  Lo stabilimento siderurgico di Taranto, oggi denominato «Acciaierie d'Italia», nonostante le criticità strutturali che lo caratterizzano da decenni, è ritenuto dal Governo italiano un'infrastruttura fondamentale per il settore e per le filiere produttive italiane che utilizzano l'acciaio.
  Non s'intende sottovalutare l'importanza di poter contare su un polo industriale siderurgico che, almeno sulla carta, pare in grado di assicurare posti di lavoro e una produzione competitiva sui mercati internazionali. Tuttavia, la strategicità di tale impianto non sembra giustificare le gravi emergenze a livello ambientale e sanitario che, fin dalla nascita dell'acciaieria, la popolazione di Taranto è costretta a fronteggiare, con piani ambientali mai pienamente attuati e l'auspicata transizione ecologica ancora da realizzare. La verità è che, nonostante le soluzioni promesse nel corso degli anni, ancora oggi il problema dell'inquinamento ambientale a Taranto persiste e si manifesta con allarmanti tassi di mortalità e con patologie tumorali che colpiscono i cittadini senza distinzione di età e di sesso.
  Appare utile e doveroso evidenziare le ragioni alla base della richiesta di accertamentiPag. 2 idonei a fare luce sulle ragioni che da anni ostacolano la soluzione delle drammatiche questioni ambientali e sanitarie nella «città dei due mari» e che hanno impedito l'adozione di contromisure efficaci a seguito dei controlli eseguiti. Ma per comprendere come si sia giunti alla situazione attuale è necessario esaminare la genesi dell'acciaieria più grande d'Europa.
  La Società anonima ILVA – Ilva è il nome con cui, in epoca latina, era conosciuta l'isola d'Elba, in tempi antichi ricca di giacimenti minerali e luogo ideale per la lavorazione del ferro – fu fondata a Genova il 1° gennaio 1905 con l'obiettivo di realizzare a Bagnoli, nella periferia occidentale di Napoli, uno stabilimento per la produzione di acciaio. Nel 1911, la Società anonima ILVA assume la guida del consorzio industriale per la gestione degli stabilimenti di alcune delle più importanti industrie siderurgiche italiane. Nello stesso anno entra in funzione l'acciaieria di Bagnoli. Nel 1937 viene fondata a Roma, nell'ambito dell'IRI, la Società finanziaria siderurgica Finsider, con lo scopo di assumere partecipazioni azionarie, assistere finanziariamente e coordinare i programmi di sviluppo di società siderurgiche. Nel frattempo, una volta divenuta il maggiore complesso siderurgico italiano, l'ILVA entra a far parte del nuovo gruppo Finsider. Un anno dopo, la stessa Finsider e l'IRI decidono la costruzione sul litorale di Cornigliano, un quartiere di Genova, di un nuovo grande stabilimento per la produzione dell'acciaio a ciclo integrale, ossia con un processo di fabbricazione che parte dalle materie prime e arriva al prodotto finale. Tra il 1943 e il 1945, nel pieno della seconda guerra mondiale, gli impianti a ciclo integrale dell'ILVA vengono distrutti nella misura del 77 per cento. Per evitare danni peggiori, quasi tutti gli impianti del nuovo stabilimento di Cornigliano, che era in via di ultimazione, vengono smontati e trasportati in Germania. Alla fine del conflitto, tra il 1946 e il 1947, ha inizio la lenta e faticosa opera di ricostruzione dell'industria siderurgica italiana, che farà leva su un piano, portato poi a compimento nel 1959, che prevede, da un lato, la concentrazione e lo sviluppo della produzione di ghisa, di acciaio e di laminati nelle unità più idonee e, dall'altro lato, un radicale riassetto e potenziamento delle lavorazioni successive.
  Nel 1951 nasce a Genova la «Cornigliano società per azioni» e, due anni dopo, lo stabilimento ligure, ricostruito e ampliato, inizia la produzione dell'acciaio. Il 20 giugno 1959 il Comitato dei ministri per le partecipazioni statali, aderendo in pieno alle conclusioni del Comitato tecnico consultivo dell'IRI per la siderurgia, delibera la costruzione di un nuovo grande centro siderurgico a Taranto, da affiancare a quelli già esistenti a Cornigliano, a Piombino e a Bagnoli. Il capoluogo ionico fu ritenuto una zona ideale per vari motivi: per la possibilità di creare facilmente attrezzature di sbarco e di imbarco per le navi di grosso tonnellaggio in qualsiasi condizione di mare; per l'andamento pianeggiante del territorio prescelto su cui costruire gli impianti e per la confluenza di tutte le principali strade e ferrovie; per la particolare conformazione delle aree poste attorno allo stabilimento, che avrebbero consentito non solo eventuali ampliamenti dello stesso ma anche lo sviluppo di industrie sussidiarie. Tuttavia, la principale motivazione che indusse il Governo a scegliere Taranto come sede del quarto centro siderurgico dell'Italsider fu la posizione strategica della città, posta al centro del Mediterraneo, in un'insenatura naturale che avrebbe favorito lo sviluppo del suo porto mercantile e i collegamenti con gran parte del Medio Oriente.
  Partendo da queste premesse, il 9 luglio 1960 è posta la prima pietra del centro siderurgico tarantino. Nel mese di ottobre del 1961, dalla fusione delle società ILVA e Cornigliano, nasce la società per azioni «Italsider-Alti Forni e Acciaierie Riunite ILVA e Cornigliano» e a Taranto si inaugura il tubificio, la prima unità del quarto centro siderurgico dell'Italsider. Il 10 aprile 1965 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat inaugura ufficialmente lo stabilimento siderurgico tarantino con i primi due altiforni e l'acciaieria LD.
  Dando per scontato che quell'imponente opera avrebbe portato modernità, lavoro e benessere, molti profetizzano per il capoluogoPag. 3 ionico un futuro più che roseo. Ma, dopo soli dieci anni, Taranto, frettolosamente definita da inguaribili ottimisti una «piccola metropoli», comincia a fare i conti con una realtà ben diversa da quella che lo sviluppo industriale aveva prefigurato. Lo Stato aveva creato nella «città dei due mari» un enorme complesso produttivo per il rinnovamento e l'incremento dell'economia locale, riponendo moltissima fiducia nell'iniziativa privata e nella classe imprenditoriale della Puglia che avrebbero dovuto trarre vantaggio dalla presenza di altre imprese nel territorio come la Cementir, la Shell, la Dreher, la Sanac, la Lamel. Secondo una previsione fatta da esperti di dinamiche economiche e statistiche, in circa venti anni, Taranto avrebbe dovuto raggiungere una popolazione di oltre 400.000 abitanti e creare 190.000 posti di lavoro. Nel sottolineare come un simile pronostico si sia rivelato irrealistico, è necessario prendere atto che l'Italsider segnerà i destini della siderurgia italiana e del territorio tarantino sino al 1988, quando a seguito della sua liquidazione la società riassumerà la denominazione di ILVA. A pagare il prezzo maggiore di un'industrializzazione che cura soltanto i propri interessi senza preoccuparsi degli altri valori civili è proprio la città di Taranto che inizia a prendere consapevolezza, seppur superficialmente, dei problemi ambientali e sanitari.
  Nel 1995 si attua la privatizzazione dell'impresa con il passaggio al gruppo industriale di Emilio Riva, già operante nel settore della siderurgia. La gestione da parte del gruppo Riva è durata quasi un ventennio, sino al 2015, quando, con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 21 gennaio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 2015, fu aperta la procedura di amministrazione straordinaria della società. Un epilogo obbligato a seguito degli effetti provocati da un'inchiesta giudiziaria, istruita dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto, denominata «Ambiente svenduto», che rappresenta il più complesso procedimento penale mai avviato in Italia in materia di inquinamento ambientale. Nel corso delle indagini preliminari, nel mese di luglio del 2012 furono disposti il sequestro di alcuni impianti dello stabilimento (in particolare quelli «a caldo» ritenuti i più inquinanti) e l'arresto dei dirigenti e dei vertici della società nonché di esponenti politici. Pesantissime le accuse formulate: dal disastro ambientale all'associazione per delinquere, dall'omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro all'avvelenamento di sostanze alimentari, dal favoreggiamento all'omicidio colposo.
  Nel mese di giugno del 2013 il Governo, preso atto della gravissima situazione venutasi a creare non solo a livello giudiziario e ambientale, ma anche a livello economico e sociale, con il decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, dispone il commissariamento della società ILVA, togliendone il controllo alla famiglia Riva. Successivamente, Enrico Bondi, in precedenza commissario straordinario per il risanamento della Parmalat, ed Edo Ronchi, già Ministro dell'ambiente, sono nominati commissari straordinari per ILVA.
  L'ILVA è oggetto di gestione commissariale per circa sei anni, da giugno 2013 a giugno 2014 con i commissari Bondi e Ronchi e, successivamente, con i commissari Piero Gnudi e Corrado Carrubba. Nel gennaio 2015 subentra l'amministrazione straordinaria a causa dello stato di insolvenza dell'azienda. Ai commissari Gnudi e Carrubba si affianca Enrico Laghi. Tale gestione si rivelerà fra le più complicate a causa della crisi crescente del mercato dell'acciaio e di una dotazione finanziaria insufficiente per fronteggiare le necessità.
  Trovare una risposta ai tantissimi problemi dell'ILVA non è facile e i tre commissari ne sono consapevoli. Fra le poche soluzioni praticabili si individua la cessione dei complessi aziendali a privati, che si realizza nel mese di giugno del 2017 con la scelta, da parte del Ministro dello sviluppo economico, dell'offerta della società ArcelorMittal, tramite la società veicolo Am InvestCo, che prevale sulla cordata concorrente, composta dalle società AcciaItalia, Jindal, Arvedi e dalla Cassa depositi e prestiti, guidata da Lucia Morselli, la quale due anni dopo assume la carica di amministratorePag. 4 delegato della società ArcelorMittal Italia.
  La procedura si conclude con l'aggiudicazione da parte della società multinazionale franco-indiana nel mese di giugno 2017, ma soltanto nel successivo mese di maggio 2018 l'Unione europea concede l'autorizzazione. La nuova stagione dell'ex ILVA si apre con un difficile negoziato con i sindacati, che si conclude a settembre dello stesso anno, quando la società ArcelorMittal firma un accordo che garantisce 10.700 posti di lavoro.
  Nel mese di novembre 2018 la società ArcelorMittal si insedia nella gestione del gruppo dichiarando pubblicamente attraverso i suoi rappresentanti che «sicurezza, salute e ambiente sono dei pilastri che vanno di pari passo con le performance della produzione».
  Per alcuni mesi l'attività procede senza troppi problemi, ma nel mese di maggio 2019 la società comunica ai sindacati un aggravamento imprevisto della crisi del mercato siderurgico, che provoca un calo della produzione dello stabilimento di Taranto, la quale passa da 6 a 5 milioni di tonnellate. Ma non solo. A seguito di tale riduzione, nel mese di luglio viene attivata la cassa integrazione ordinaria per un numero massimo di 1.200 addetti a Taranto.
  La situazione rischia di precipitare irrimediabilmente non solo per motivi economici.
  La presunzione di liceità delle condotte poste in essere in attuazione del «piano ambientale», che comporta l'esclusione della responsabilità penale e amministrativa dei gestori dello stabilimento siderurgico per le violazioni delle leggi in materia ambientale e sanitaria, introdotta dall'articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, come modificato dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98, viene eliminata.
  A seguito del provvedimento che cancella quella sorta di «salvacondotto», i vertici del colosso franco-indiano ArcelorMittal, pur senza fare esplicito riferimento all'abrogazione dell'esclusione della responsabilità penale o amministrativa, nel mese di novembre 2019 dichiarano di voler rescindere il contratto con la società ILVA in amministrazione straordinaria. Il Governo italiano si impegna per evitare la rescissione del contratto, avviando un negoziato con la società ArcelorMittal, che, nel mese di marzo del 2020, si conclude con un'intesa dinanzi al tribunale di Milano.
  Successivamente, sorgono ulteriori problemi. In particolare, l'emergenza epidemiologica da COVID-19 causa effetti economici devastanti per il mercato dell'acciaio. Più di tremila lavoratori sono posti in cassa integrazione mentre lo stabilimento è fermo, gli ordini sono drasticamente ridotti, gli scontri con i sindacati non mancano e le imprese operanti nell'indotto non vengono pagate. Nonostante le difficoltà, la società ILVA nel 2020 fa registrare una riduzione delle perdite rispetto al 2019.
  Già l'accordo siglato nel mese di marzo del 2020 prevedeva il coinvolgimento dello Stato, ma è il piano che ArcelorMittal presenta nel mese di giugno 2020 a indurre il Governo italiano a un deciso intervento. La proposta del gruppo franco-indiano è ritenuta non conforme all'intesa raggiunta nel mese di marzo e si avvia un ennesimo e complesso negoziato. Per assicurare il sostegno e il rilancio del settore dell'acciaio secondo criteri di sostenibilità ambientale, nel mese di dicembre del 2020 lo Stato e il gruppo industriale ArcelorMittal Italia concludono un accordo di cogestione dello stabilimento siderurgico ex ILVA di Taranto prevedendo investimenti per oltre 2 miliardi di euro in cinque anni, con spese per interventi ambientali, acquisti di forni elettrici e manutenzioni.
  L'obiettivo dell'intesa è quello di raggiungere nel 2025 una produzione di acciaio pari a otto milioni di tonnellate e di conseguire il pieno impiego di tutti i dipendenti di ArcelorMittal Italia, pari a 10.700 unità. Sulla scorta di questo accordo, nel mese di aprile 2021 lo Stato entra a far parte del consiglio di amministrazione della nuova società, denominata «Acciaierie d'Italia», versando 400 milioni di euro e acquisendo il 38 per cento del capitale sociale e diritti di voto pari al 50 per cento. Lo stesso accordo prevede inoltre che entro il mese di maggio 2022 avvenga il perfezionamentoPag. 5 dell'operazione attraverso un ulteriore esborso di 680 milioni di euro da parte dello Stato, per giungere in tal modo alla detenzione del 60 per cento del capitale sociale.
  L'esigenza di rendere lo stabilimento siderurgico tarantino meno inquinante è sempre preminente e il 13 aprile 2021 le società Fincantieri, ArcelorMittal Italia e Paul Wurth firmano un memorandum d'intesa per l'eventuale realizzazione di un progetto finalizzato alla riconversione del ciclo integrale esistente dell'acciaieria di Taranto secondo tecnologie ecologicamente compatibili. L'iniziativa va ad inserirsi in un periodo in cui l'ex ILVA risulta destinataria di tre importanti pronunce giudiziarie.
  La prima è quella della Corte europea dei diritti dell'uomo del 24 gennaio 2019, che, accogliendo il ricorso con cui 180 cittadini di Taranto denunciavano gli effetti nocivi sulla salute delle emissioni tossiche del complesso siderurgico di Taranto già denominato ILVA, ha stabilito che non solo vi è stata violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti a seguito della mancata adozione da parte delle autorità italiane di tutte le misure necessarie per salvaguardare efficacemente il diritto invocato, ma che il persistente inquinamento causato dalle emissioni dell'ILVA ha messo in pericolo la salute dell'intera popolazione che vive in un'area considerata a rischio.
  Conseguenze ancor più eclatanti sono prodotte, nel mese di maggio 2021, dalla pronuncia della corte d'assise di Taranto, che, all'esito del maxi-processo nei confronti dei responsabili dell'ex ILVA per disastro ambientale, giunge alla conclusione che per anni le attività della «più grande acciaieria d'Europa» hanno mirato a ottenere il massimo profitto senza curarsi di adottare misure capaci di scongiurare l'inquinamento di un intero territorio, la compromissione della salute di gran parte della popolazione e il verificarsi di infortuni all'interno dell'azienda. Le omissioni rilevate dall'organo giudicante sono state sanzionate con pesanti condanne e con la confisca degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento già sottoposti a sequestro nell'estate del 2012.
  Nel mese di giugno 2021 la questione è oggetto di un'altra importante sentenza del Consiglio di Stato, che nella sua decisione, annullando l'ordinanza con cui l'allora sindaco di Taranto disponeva lo spegnimento degli impianti dell'area a caldo dell'ex ILVA, unanimemente considerati i più inquinanti, pur non dando per scontato che dall'attività siderurgica debbano provenire sempre emissioni nocive, sostiene che nella città di Taranto può reputarsi pacifico che «vi sia una problematica di carattere sanitario ed ambientale, correlata all'attività industriale (anche) dello stabilimento dell'ex ILVA».
  Nel precedente mese di maggio 2021, l'ARPA Puglia, l'ARESS Puglia e l'azienda sanitaria locale di Taranto, nell'ambito del procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata allo stabilimento siderurgico, attestano la permanenza di un rischio sanitario residuo non accettabile relativo a uno scenario di produzione, ottenuta con gli impianti tuttora a disposizione, di sei milioni di tonnellate di acciaio per anno, cioè la produzione attualmente autorizzata.
  Il 21 gennaio 2022 sono stati resi noti i risultati dello studio «Health impact – Assessment of the steel plant activities in Taranto» (Impatto sulla salute – Incidenza delle attività di produzione dell'acciaio dello stabilimento di Taranto), condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla valutazione d'impatto sanitario per Taranto, commissionato nel 2019 dalla regione Puglia, nel quale si stabilisce che: «le emissioni nell'aria dell'impianto ex Ilva, rispetto alla concentrazione di Pm 2.5, sono causa di eccessi di mortalità e altri impatti negativi sulla salute che hanno anche costi economici». Ne deriva che nell'area di Taranto a ridosso dell'impianto siderurgico, nel decennio che ha preceduto l'autorizzazione integrata ambientale del 2010, «ci sono state almeno 270 morti premature», che potrebbero «salire anche a 430». Ma non basta. L'OMS ha anche quantificato il danno economico, stimato su una popolazione ultratrentenne, dovuto alla mortalità prematura per l'area metropolitana di Taranto,Pag. 6 pari ad almeno 85 milioni di euro all'anno per la situazione preesistente all'AIA del 2010, che si ridurrebbe a 53 milioni di euro per lo scenario produttivo intermedio previsto nell'AIA del 2012 e che rimarrebbe comunque pari a 15 milioni di euro all'anno se fossero applicate le prescrizioni successive all'AIA del 2015.
  Nel citato studio, l'OMS non manca di rilevare che le emissioni dirette nell'aria sono relativamente ben monitorate, ma lo stesso non può essere sostenuto riguardo ad altre vie di esposizione, come l'inquinamento del suolo e delle acque.
  A tale riguardo, nel medesimo studio si afferma che: «le emissioni in aria dell'impianto ex-ILVA, se tradotte in concentrazioni di PM (materiale particolato aerodisperso), determinano decessi aggiuntivi e altri impatti negativi sulla salute, con costi economici associati. Le stime della relazione sono pienamente in linea con le precedenti valutazioni, effettuate da autorità regionali e altri ricercatori. Queste stime di impatto, tuttavia, rappresentano una parte dell'impatto totale sulla salute delle attività nel corso degli anni e si riferiscono a esiti gravi solo nelle persone di età superiore ai 30 anni. L'impatto totale diretto sulla salute di altre forme di contaminazione e su bambini e giovani persone, non possono essere quantificati con un livello di accuratezza comparabile. I dati disponibili sugli indicatori sanitari come mortalità, morbilità, effetti riproduttivi, hanno più volte mostrato come il profilo sanitario delle persone che risiedono a Taranto e dintorni non sia buono come dovrebbe essere, visto che gli impatti sulla salute dell'ex-ILVA si verificano in una popolazione già colpita negativamente da diversi fattori di rischio, nel corso di diversi decenni».
  Secondo l'OMS, non può essere taciuto che l'acciaieria di Taranto, pur essendo un'importante risorsa per il Paese a livello economico e occupazionale, da diversi decenni ha un impatto ambientale negativo «con notevoli emissioni di vari inquinanti che interessano varie aree, anche densamente popolate come la stessa città di Taranto e i Comuni circostanti».
  «Gli impatti sulla salute umana – continua lo studio – sono stati ampiamente studiati nel corso degli anni, riscontrando eccessi di numerose malattie e tassi di mortalità documentati e denotando un preoccupante profilo sanitario per la popolazione locale».
  In considerazione di quanto rilevato nell'analisi condotta dall'OMS, appare opportuno ricordare che il rischio sanitario minimo accettabile prevede che, a causa delle emissioni dello stabilimento siderurgico, non si debba ammalare più di un cittadino ogni 10.000 abitanti, mentre, allo stato attuale, a Taranto questo livello è superato, seppur di poco.
  Appare palese che i gravissimi problemi che hanno pregiudicato gravemente per decenni la salute dei cittadini e l'ambiente debbano condurre senza ulteriore ritardo all'abbandono dei modelli industriali inquinanti operanti nell'area tarantina. Appare altresì superfluo sottolineare come la bonifica ambientale debba essere completata e la riconversione industriale degli impianti esistenti debba iniziare immediatamente, attuando un modello economico che punti sulla produzione e sull'uso delle energie rinnovabili e sulla valorizzazione dei settori culturale, turistico e agroalimentare dell'area di Taranto.
  Quello che si è verificato e continua a verificarsi nella «città dei due mari» lascia ritenere che i princìpi della politica dell'Unione in materia ambientale, di cui all'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ossia i princìpi della precauzione e dell'azione preventiva, della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni provocati all'ambiente e della causalità, noto come «chi inquina paga», siano stati disattesi. In numerose circostanze le autorità sanitarie locali hanno evidenziato che, anche nel caso in cui la produzione dello stabilimento siderurgico operasse nel rispetto degli obblighi ambientali, i rischi per la salute umana rimarrebbero comunque a livelli inaccettabili in ragione della specificità dell'attività industriale svolta.
  Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è doveroso chiedersi come sia stato possibile consentire il sacrificio della salute Pag. 7delle persone in nome del profitto e della produzione. È indubitabile che vi siano state delle responsabilità e che il sistema dei controlli, anche da parte delle istituzioni europee, sul rispetto della normativa comunitaria in materia di ambiente, salute e sicurezza degli impianti industriali in questione non abbia funzionato a dovere.
  È per tali ragioni che si propone l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sulle ragioni del mancato rispetto della normativa in materia ambientale da parte della grande industria, soprattutto per non alimentare nei cittadini di Taranto la sensazione di essere lasciati soli nella lotta contro un'emergenza la cui soluzione è ancora difficile intravedere.
  La presente proposta di inchiesta parlamentare consta di cinque articoli.
  L'articolo 1 istituisce la Commissione di inchiesta e ne definisce la durata e le funzioni.
  L'articolo 2 determina la composizione della Commissione.
  L'articolo 3 stabilisce i poteri e i limiti della Commissione.
  L'articolo 4 dispone in materia di segretezza delle informazioni acquisite.
  L'articolo 5 disciplina l'organizzazione dei lavori della Commissione e ne determina le spese di funzionamento.

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PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

Art. 1.
(Istituzione, durata e funzioni della
Commissione)

  1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della XVIII legislatura, una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dei controlli sanitari e ambientali e sull'efficacia delle misure adottate in relazione all'attività dello stabilimento siderurgico di Taranto, di seguito denominata «Commissione».
  2. La Commissione ha il compito di:

   a) valutare la gestione dei controlli sanitari e ambientali eseguiti, tra il 1° gennaio 1981 e il 31 gennaio 2021, sulle condizioni di sicurezza dello stabilimento siderurgico di Taranto da parte delle competenti autorità statali, regionali e locali;

   b) accertare l'efficacia delle misure adottate, tra il 1° gennaio 1981 e il 31 gennaio 2021, per garantire la tutela dell'ambiente e della salute della popolazione e l'incolumità dei lavoratori operanti all'interno dello stabilimento siderurgico di Taranto;

   c) accertare eventuali condotte omissive nella gestione dei controlli sanitari e ambientali e le responsabilità conseguenti alle medesime condotte;

   d) indicare le iniziative di carattere normativo o amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato e degli enti locali nella bonifica delle aree interessate dall'inquinamento prodotto dalle attività dello stabilimento siderurgico di Taranto.

  3. La Commissione riferisce alla Camera dei deputati ogni tre mesi nonché ogniqualvolta ne ravvisi la necessità e comunque al termine dei propri lavori.

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Art. 2.
(Composizione della Commissione)

  1. La Commissione è composta da venti deputati, nominati dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo.
  2. Il Presidente della Camera dei deputati nomina il presidente della Commissione al di fuori dei componenti di cui al comma 1.
  3. Entro dieci giorni dalla sua nomina, il presidente convoca la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza, che è composto, oltre che dal presidente stesso, da due vicepresidenti e da due segretari eletti dai componenti della Commissione nell'ambito della medesima. Si applicano le disposizioni dell'articolo 20, commi 3 e 4, del Regolamento della Camera dei deputati.

Art. 3.
(Poteri e limiti della Commissione)

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
  2. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  3. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, anche se coperti da segreto. Sulle richieste ad essa rivolte l'autorità giudiziaria provvede ai sensi dell'articolo 117 del codice di procedura penale.
  4. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi del comma 3 siano coperti dal segreto.

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  5. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti custoditi, prodotti o comunque acquisiti dagli organi e dagli uffici della pubblica amministrazione in materie attinenti all'inchiesta.
  6. Per il segreto di Stato nonché per i segreti d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti in materia.
  7. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono, in ogni caso, essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto)

  1. I componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 4 e 7.
  2. La diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta coperti dal segreto o dei quali è stata vietata la divulgazione è punita ai sensi delle leggi vigenti.

Art. 5.
(Organizzazione dei lavori)

  1. Le sedute della Commissione sono pubbliche. La Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
  2. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei suoi lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
  3. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziariaPag. 11 e di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie.
  4. Per l'adempimento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati.
  5. Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite di 100.000 euro annui, sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. Il Presidente della Camera dei deputati può autorizzare un incremento delle spese di cui al periodo precedente, in misura non superiore al trenta per cento, a seguito di motivata richiesta formulata dal presidente della Commissione per esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta.