Doc. LVII, n. 2-A-bis

RELAZIONE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE
(BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

Presentata alla Presidenza il 16 aprile 2014

(Relatore: CASTELLI, di minoranza)

sul

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2014

(Articoli 7, comma 2, lettera a), e 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni)

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)

Trasmesso alla Presidenza il 9 aprile 2014  


I N D I C E

RELAZIONE   Pag. 5

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  Onorevoli Colleghi ! – Il DEF 2014 delinea nella prima parte il quadro macroeconomico e gli obiettivi di politica economica.
  Il Documento inizia con una informazione parziale e pericolosamente fuorviante su una presunta chiusura della fase recessiva italiana nel terzo trimestre 2013. In realtà, come afferma il documento Macroeconomic Imbalances – Italy 2014 redatto dalla Commissione Europea datato 5 Marzo 2014, al fine di monitorare il protrarsi negli anni degli eccessivi squilibri macroeconomici italiani, ci troviamo di fronte a una recessione a doppia v (double-dip recession), ovvero una situazione in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione.
  Il filo conduttore del Documento in esame è un susseguirsi di «mezze frasi» e «giochi di parole» tesi a nascondere la reale fallimentarietà delle azioni politico-economiche e relative implementazioni messe in campo dai governi precedenti, nonché l'inadeguatezza di quelle proposte dall'attuale governo, ripercorrendo la cattiva e deleteria abitudine dei governi precedenti di individuare mirabolanti crescite del Paese negli anni futuri, previsioni mai avveratesi in passato, senza tra l'altro indicare in alcun modo le azioni che favorirebbero tali crescite.
  Nonostante il Documento affermi che (pag. 21) «nel corso del 2013 gli interventi di politica economica sono stati finalizzati al mantenimento della stabilità finanziaria e a un primo rilancio dell'economia attraverso azioni mirate sul mercato del lavoro e a favore delle imprese», il Documento stesso, dopo poche pagine, non può fare a meno di assumere che (pag. 24) «nonostante la politica accomodante perseguita dalla Banca Centrale Europea, il credito delle imprese ha continuato a restringersi, rendendo più difficile la ripresa economica e il rapido riassorbimento della disoccupazione. Ne è conseguito un aumento della disoccupazione di lungo periodo».
  Non è un caso che nella drammatica emergenza cui i precedenti Governi hanno portato il Paese e quindi per sopperire a tale inadeguatezza della classe politica dirigente italiana, il MoVimento 5 Stelle si sia battuto sin dal suo insediamento in Parlamento per attuare azioni concrete al fine di favorire un maggior accesso al credito alle imprese, istituendo, nonostante le resistenze del Governo allora in carica, il Fondo di garanzia per il microcredito alle piccole e medie imprese (PMI), trovando i fondi per sostenerlo nella rinuncia ai fondi a lui destinati come rimborso per la competizione elettorale, nonché perseguendo a rimpinguarlo utilizzando una parte più che sostanziale dei propri stipendi, diarie e rimborsi dei propri parlamentari. Una maggiore concretezza e allineamento con quelle che erano le reali necessità del Paese, perseguendo la linea tracciata dal M5S, avrebbe evitato la situazione creatasi di minor credito alle imprese e il continuo preoccupante innalzarsi del livello di disoccupazione.
  Il Documento già dall'inizio fa trasparire, da parte del Governo, una mancata percezione reale delle opportunità del Paese e la sua incapacità nel proporre azioni a ripresa dell'economia italiana, Pag. 6

tant’è che afferma che (pagg. 25 e 143) «le previsioni sull'economia italiana si fondano su una graduale ripresa del commercio mondiale e sul rafforzamento della crescita delle economie avanzate ed emergenti», dichiarando in maniera non tanto velata che il Governo si sente in totale «balia degli eventi» ed intende perseguire, come strategia fondante la sua azione, quella di sperare in esternalità positive provocate dalla crescita economica degli altri Paesi.
  Il Governo resta cieco di fronte al già citato studio fatto dalla Commissione europea proprio sugli squilibri macroeconomici italiani, che individua, come cause dell'aggravarsi di tali squilibri e della perdita di competitività del Paese, le inefficienze inveterate della pubblica amministrazione, le fallimentari riforme del lavoro, l'incapacità di rilanciare in modo virtuoso il «made in Italy», gli esageratamente alti tassi di interesse su prestiti alle PMI. Si fa notare che, fatto certo che l'Italia è caratterizzata da PMI e non da grandi imprese, si è preferito privilegiare queste ultime, con una disparità di tassi di prestito per le PMI di in media più elevati di 207 punti base rispetto alle grandi imprese.
  Il Governo persegue la strada già intrapresa negli ultimi quindici anni dai passati Governi, continuando una logica inadeguata di incoerenti e fallimentari strategie di intervento, continuando a porsi obiettivi sbagliati (ad es. il mero tentare di perseguire il rientro numerico nei vari parametri europei) senza intraprendere una necessaria inversione di rotta che porti ad una decisa azione per rimuovere le barriere che ostacolano una allocazione efficace delle risorse. Ad esempio il mero «accumulamento di capitale» oppure i «finanziamenti di importo pari alla media europea», sono approcci meramente quantitativi, che non sono bastati e non basteranno a rilanciare l'economia del Paese, a tal scopo sarebbero necessari azioni concrete e soprattutto «qualitative» che inneschino processi virtuosi, ma ovviamente ci rendiamo conto difficilmente attuabili da un Governo frutto di «mediazioni di interessi diversi» («sic !») delle diverse e distanti anime che lo compongono, nonché interne alle forze stesse e ci rendiamo altresì conto che una reale manovra «qualitativa» fondata sulla trasparenza, certezza del diritto e lotta alla corruzione, sia difficilmente attuabile da un «Giano bifronte» composto da due condannati per reati a danno dello Stato.
  Si fa presente inoltre che il PIL Italiano rappresenta circa il 16,5 per cento della zona euro, nonostante tale indice da solo sia del tutto inadeguato per la valutazione di un Paese (basti pensare che attività economiche legate alla criminalità e/o inquinanti fanno crescere l'indicatore); c’è quindi da confermare che la crescita lenta dell'Italia è un freno per la ripresa della zona euro nel suo insieme e può avere impatti negativi sugli altri Paesi. Tant’è che il 5 marzo 2014 la Commissione europea comunica al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e all'Eurogruppo, che l'Italia (assieme a Croazia e Slovenia) viene posta sotto «monitoraggio specifico» poiché presenta «squilibri eccessivi». Inoltre «a giugno 2014 la Commissione valuterà i programmi nazionali di riforma e i programmi di stabilità e di convergenza nell'ambito del semestre europeo per il coordinamento delle politiche per verificare l'adeguatezza alla luce dei problemi rilevati. Qualora ritenesse che le risposte politiche proposte dagli Stati membri che presentano squilibri eccessivi (Italia, Croazia, Slovenia) non siano all'altezza delle sfide, la Commissione presenterà una raccomandazione al Consiglio per fare in modo che gli Stati membri interessati adottino misure correttive nell'ambito del braccio correttivo della PSM (Procedura per gli Squilibri Macroeconomici). Se necessario all'inizio di giugno saranno prese ulteriori misure nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi.»
  Il fatto che il Governo abbia taciuto tale situazione, nonché la reale possibilità di ulteriori misure correttive calate dalla Commissione europea, che ricordiamo essere espressione di una Europa «di sterili numeri» sulla base di dettami rigoristi e non una «Europa dei popoli», quindi Pag. 7

mirante a salvare dal tracollo dell'Italia gli altri membri dell'eurozona, anche, ancora una volta, a discapito dei cittadini italiani, da aggiungersi al fatto che il Documento parte da assunti sbagliati (il confondere la «recessione a doppia v» con una fine della recessione), rende il Documento in oggetto del tutto inadeguato a migliorare la situazione del Paese e da una accelerata verso il baratro cui verranno gettati i cittadini italiani in caso di misure correttive della Commissione europea volte a salvare gli altri Stati dagli errori del nostro Governo.
  Inoltre, stando alla dichiarazione del 15 aprile 2014 del Ministro dell'economia Padoan davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato, nel corso delle audizioni sul DEF, il Governo ha avviato la procedura per la richiesta formale per l'autorizzazione della Commissione europea per discostarsi, per un anno, dal percorso verso il pareggio di bilancio strutturale, per ragioni eccezionali.
  Si fa presente che il DEF e i successivi decreti attuativi sono del tutto inadeguati in quanto o menzionano solo generici buoni propositi o comunque omettono di indicare una strategia e una progettualità sistematica; vanno quindi delineati gli elementi fondanti del piano di rientro, nemmeno sorvolati nel DEF, che dovrebbe traguardare al superamento dei parametri rigoristi della Unione Europea. Inoltre il Governo, prendendo atto dell'impossibilità di rientrare nei vincoli imposti dal trattato istitutivo del pareggio di bilancio, condizione che se pur non obbligatoria abbiamo inserito in Costituzione, e quindi resosi conto dell'impossibilità di rispettare la Costituzione, doveva sollevare il problema riferendosi alla radice dello stesso, ovvero al trattato stesso e non nascondersi dietro una raffazzonata e pericolosa manovra di posticipare il problema, ben consapevole di aver finalmente individuato il problema, dopo che il MoVimento 5 Stelle lo aveva sollevato con forza tramite la mozione 1-00348 del 26 marzo 2014, ovvero l'inadeguatezza e l'inopportunità economica e politica di tali vincoli, adottato in chiara violazione della sovranità di bilancio nazionale. In luogo di pericolose manovre che continuano inopinatamente a tenere in vita questo perverso strumento, senza vedere la luce di un possibile miglioramento della situazione economica Paese, la strada della deroga è insufficiente e va perseguita la denuncia del trattato ai fini della decadenza del medesimo.

Riforme istituzionali.

  Nel DEF si dichiara che «l'ampio piano di riforme strutturali, finalizzato alla profonda trasformazione del nostro Paese, interviene su tre settori fondamentali», recati nell'inusitato e seguente ordine: istituzioni, economia e lavoro.
  Per quanto concerne la riforma costituzionale e la riforma della legge elettorale, le medesime sono considerate presupposto «della Strategia nazionale di riforma, cui si accompagnano azioni volte a modificare contestualmente i contesti socio-economici e giuridici nel cui ambito esse devono svolgersi».
  La riforma costituzionale e la riforma della legge elettorale sono indicate come «uno dei pilastri del Piano nazionale di riforma (PNR) per il rilancio economico del Paese»: tale assunto, oltre ad apparire inusitato, desta perplessità, in particolare a fronte del nuovo termine indicato nel DEF per l'approvazione finale della riforma costituzionale, il dicembre 2015; posto che si procederà effettivamente alla sua approvazione definitiva, alla riforma della legge elettorale sono ascritti poteri taumaturgici in ordine ad indubitabili effetti sulla governabilità, asserita e garantita quinquennale, assunto che appare non condivisibile ed infondato, al pari dell'asserita garanzia della rappresentatività democratica, assunto, questo, falso, non corroborato, anzi del tutto smentito, dalle simulazioni applicative.
  In ordine alla spending review, essa appare destinata a coprire quasi interamente i costi delle azioni e degli obiettivi di rilancio economico, ma non vi è alcuna certezza con riguardo alle misure, contenute in un elenco generale, ai tempi, ai risultati, ai risparmi che saranno conseguiti; Pag. 8

trattasi, infatti, come espressamente indicato, di «interventi ipotizzati», per i quali «vi sarà la possibilità la possibilità di portare i risparmi fino a 4,5 mld per il 2014», ma, al momento, occorre riferirsi alla normativa vigente, la legge di stabilità per il 2014, che non prevede risparmi per l'anno in corso e ne prevede per circa 600 milioni di euro per il 2015; non risulta, infine, chiaro, se l'entità dei risparmi attesi dai provvedimenti che saranno adottati – circa 4,5 miliardi nell'anno in corso, fino a 17 per il 2015 e 32 per il 2016 rispetto al tendenziale – incorporino i 3 miliardi di risparmi contemplati dal Governo precedente.
  Qualche rigo è dedicato al «migliore coordinamento delle forze di polizia», per la quale si dovrà procedere entro il 2014 ad una rideterminazione della relativa spesa, per favorire investimenti in modelli innovativi tali da rendere effettivo il diritto alla sicurezza: nessuna indicazione ulteriore è data, né una specifica in ordine alla distinzione e alle peculiarità territoriali – in chiaro sono messi i risparmi che dovranno essere conseguiti (800 milioni di euro nel 2015).
  In elenco indistinto appaiono altre ipotesi di riduzione della spesa, dalle retribuzioni della dirigenza pubblica alla gestione degli immobili pubblici, dalla razionalizzazione degli enti pubblici alla revisione dei costi delle autorità indipendenti e delle camere di commercio.
  Con riguardo alla riorganizzazione della presenza territoriale dello Stato possono far testo le recenti parole del Commissario straordinario per la spending review: «la riforma delle prefetture, delle capitanerie di porto, dei vigili del fuoco, la digitalizzazione della pubblica amministrazione richiedono studi più approfonditi», «ma dovrebbe essere pronta per la legge di stabilità per il 2015 ed il 2016».
  Nel DEF è previsto anche un ambizioso piano di privatizzazioni, che nelle stime del Ministro dell'economia e delle finanze porterebbe 12 miliardi di euro nelle casse dello Stato per l'anno in corso – si tratta di quote delle Poste, delle Ferrovie dello Stato, dell'Enav, società non quotate alle quali attualmente è difficile dare un valore di mercato, per vendere le quali ci vorrà tempo.
  L'unica misura certa di cui al Documento in titolo è la riduzione dell'Irpef sulle retribuzioni medio-basse (i cosiddetti «80 euro in busta paga»), anche se non è chiaro ancora, tecnicamente, come avverrà; si tratta di 6,7 miliardi per l'anno in corso e 10 miliardi nel prossimo: il buco nelle entrate verrà coperto con 4,5 miliardi di spending review da confermare ancora nei dettagli e 2,2 miliardi da aumenti delle imposte sulle banche e sugli utili da titoli finanziari (esclusi quelli di Stato); per il futuro si vedrà.
  In premessa, il DEF reclama «l'urgenza e l'ambizione delle azioni di riforma che il Governo intende attuare», definendole «senza precedenti»: invero, a parte, forse, l'urgenza e l'ambizione dichiarate, che potrebbero essere considerate una novità, la gran parte delle azioni di riforma indicate ricalcano pedissequamente quelle dei recenti DEF e dei più vecchi DPEF.
  Le incerte prospettive indicate ed il conseguente disegno complessivo, ordinamentale, finanziario ed economico, che si evincono dal Documento in titolo non appaiono condivisibili.
  Limite insuperabile del Documento in titolo e, in particolare, del Piano nazionale di riforma, è la mancanza di chiarezza sulle azioni che saranno effettivamente intraprese, sui tempi di intervento nonché sulle risorse finanziarie a disposizione e su quelle che saranno conseguite; vi sono ben poche misure concrete, in quanto esso è da ritenersi esclusivamente di orientamento.

Giustizia.

  Nell'ambito specifico del settore giustizia, il DEF 2014 appare innanzitutto carente, sotto il profilo del metodo, di un indispensabile confronto, seppur circoscritto ad un mero livello di preventivo coordinamento tematico, con le competenti Commissioni parlamentari laddove queste, dall'insediamento dell'esecutivo, Pag. 9

non hanno ancora potuto audire il Ministro della giustizia al fine di valutarne le linee programmatiche.
  Il testo presentato individua quale positiva premessa i numerosi provvedimenti posti in essere dal precedente Governo nel corso di questa Legislatura, prescrivendone lo sviluppo dei contenuti ed indicando pertanto una totale continuità con politiche che hanno avuto un impatto assolutamente negativo sul duplice fronte della garanzia del diritto all'accesso per il cittadino alla giustizia e dell'effettività della certezza della pena per i condannati.
  Tali disorganici ed inefficaci provvedimenti, sovente richiamati nel Documento in esame, sono:
   il decreto-legge n. 69 del 2013, «Decreto del fare», che ha recato modifiche al diritto processuale – segnatamente con riferimento alle modalità di accesso al processo civile e alla reintroduzione dell'obbligatorietà della mediazione, che qui si vuole ulteriormente sviluppare senza indicare come e relativamente a quali materie – che incidono sulla tutela del diritto costituzionale alla difesa in giudizio, sancendo altresì l'introduzione di un grave precedente giuslavorativo con l'arruolamento, al fine di smaltire l'arretrato civile, di stagisti, giovani meritevoli neolaureati da parte del Ministero della giustizia, senza alcun compenso né alcuna copertura assicurativa sugli infortuni;
   il decreto-legge n. 78 del 2013, «Decreto carceri», che non ha previsto, a fronte di un aumento dei flussi in uscita, adeguati stanziamenti volti alle attività per il reinserimento sociale e professionale per gli ex detenuti;
   il decreto-legge n. 93 del 2013, «Decreto sul femminicidio», che con l'introduzione di meccanismi – peraltro inapplicabili e drammaticamente smentiti dalla recente cronaca – orientati al solo versante della repressione e non alla prevenzione, ha rappresentato una preziosa opportunità sprecata dal Governo per contrastare con successo il fenomeno della violenza sulle donne, preferendo colpevolmente un approccio al problema di tipo esclusivamente comunicativo, mascherando inoltre, nelle pieghe di un decreto dedicato ad un grave ed attualissimo problema, alcune materie che ne erano del tutto avulse;
   gli interventi sul riordino della geografia giudiziaria, scevri da criteri oggettivi di revisione e non funzionali all'attuale assetto demografico ed economico del Paese, già oggetto di impugnazione ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione da parte di nove consigli regionali che ne hanno richiesto un referendum abrogativo;
   la legge di stabilità 2014, dove, in assenza di appositi stanziamenti per il settore Giustizia, si è peraltro inteso mortificare l'istituto del gratuito patrocinio, sottraendo ad esso risorse fondamentali, effettuando altresì un aumento indiscriminato del contributo forfettario per l'iscrizione al ruolo delle cause. Aumento che ha frapposto un emblematico ulteriore filtro fra la giustizia ed il cittadino, assolutamente in contrasto con l'articolo 111 (sesto comma) della Costituzione;
   il più recente decreto-legge n. 146 del 2013, «Svuota Carceri», recante un vero e proprio indulto mascherato estraneo alla Costituzione, omogeneo alle politiche messe in atto sino ad oggi dal Governo per alleggerire la densità all'interno delle carceri. Politiche che non sono ispirate dal senso di responsabilità istituzionale teso a salvaguardare il principio della funzione rieducativa della pena, bensì essenzialmente volte all'unico fine di evitare allo Stato le gravose ripercussioni economiche derivanti dall'applicazione della «sentenza Torregiani», quantificabili in circa 100.000 euro per ciascuno dei già tremila detenuti che dal 28 maggio potranno nuovamente essere ammessi e adire alla Corte europea dei diritti dell'uomo – che non basta evidentemente citare nel DEF per mitigarne le decisioni – per farsi risarcire dallo Stato le inumane condizioni detentive cui sono sottoposti;
   il disegno di legge delega al Governo, collegato alla manovra di bilancio, sulla Pag. 10

giustizia civile, con il quale si intende negare il diritto all'appello prevedendo il rilascio delle motivazioni della sentenza di primo grado previo pagamento di un ulteriore contributo unificato. Pregiudizio del diritto alla difesa che si concreta altresì mediante la preoccupante previsione della condanna solidale dell'avvocato in caso di pronuncia ex articolo 96 c.p.c. nella quale il magistrato può anche decidere se una causa è «temeraria», o meno, a scapito di un avvocato che si vedrebbe costretto a pagarne economicamente le conseguenze.

  Appare evidente che tali interventi apportati alla materia della giustizia non siano stati determinati dalla ponderata predisposizione di un piano organico di riforme atte a migliorare il comparto dell'ormai farraginosa giustizia sia penale sia civile, quanto piuttosto siano stati dettati dalle contingenze immediate evidenziate dal clamore di alcune notizie, assurte al clamore della cronaca per il notevole riverbero mediatico.
  Il Documento di economia e finanza, in assenza di uno specifico cenno alla consistenza ed alla modulazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali da allocarsi per l'innovazione del sistema giustizia, fissa sostanzialmente due specifici macro-obiettivi programmatici, il primo intitolato «Una giustizia celere ed accessibile», il secondo «Trasparenza e garanzia dei diritti», il cui compimento è fissato per entrambi entro il giugno 2014, cui si accompagna un terzo di competenza mista con il comparto sicurezza denominato appunto «Sicurezza pubblica».
  All'interno di tali macro-obiettivi non si scorgono sostanziali discontinuità con le inefficaci misure adottate in tema di giustizia dal precedente esecutivo volte a frapporre una distanza incolmabile tra il cittadino ed il suo diritto di accedere alla giustizia, e che vengono qui proseguite e rafforzate come, ad esempio: la limitazione dell'appellabilità delle sentenze civili di primo grado; la previsione e potenziamento di misure alternative al processo, come la mediazione obbligatoria, senza peraltro indicare quali siano e relativamente a quali materie; l'introduzione della motivazione sintetica a richiesta delle parti dietro pagamento di una tassa.
  Si registrano alcune isolate e sommarie proposte di un più generale intervento, come nel caso della giustizia amministrativa. Intervento che rischia di porsi tuttavia al di fuori una coerente implementazione del precetto costituzionale della separazione tra le attività di indirizzo politico-amministrativo di vertice e le funzioni dell'area dirigenziale, in assenza del quale il sindacato di legittimità verrebbe facilmente sottomesso ad interessi illegali, purtroppo largamente diffusi tra la politica negli territoriali e nei dicasteri, volti all'approvazione di bandi pubblicati per favorire illecitamente soggetti private. Interventi che, inoltre, si inseriscono in un quadro che ha già visto, dalla riforma del 2010 e dalla legge di stabilità del 2013, una lievitazione dei costi di accesso che hanno limitato la possibilità ai cittadini ed alle imprese di ricorrervi liberamente.
  Pur considerando favorevolmente l'impegno a prevedere la penalizzazione del reato di falso in bilancio, nonché introduzione dei reati di auto riciclaggio – iniziative presenti peraltro da tempo in proposte di legge depositate in questa sede e mai calendarizzate –, si osserva con particolare perplessità l'indeterminatezza della previsione di attuare «un intervento per una efficace politica antimafia con interventi straordinari a carattere sperimentale su specifiche aree degradate» laddove, fermo restando il dovuto riserbo sulle strategie destinate alla lotta al crimine, una specificazione degli interventi previsti risulta indispensabile per una valutazione ponderata degli stessi.
  Riguardo al medesimo tema, la prevista impostazione dell'esecutivo sul contrasto alle mafie, rifacendosi al «Piano nazionale antimafia» presentato nel rapporto del gennaio 2014 sulle «linee guida di una moderna politica antimafia», sebbene risulti tautologicamente condivisibile negli obiettivi che si propone, non si può ignorare una contraddizione in termini di azione politica tra la necessità espressa nel Pag. 11

Documento di «introdurre misure volte a incidere sui legami della mafia con le istituzioni», con il parere favorevole formulato dall'esecutivo in sede parlamentare sulla più recente riduzione delle pene e delle fattispecie in capo al reato di scambio elettorale politico mafioso.
  Appare inoltre arduo a concepire, in assenza di specifiche indicazioni su interventi dettagliati, come il Governo possa porsi l'ambizioso duplice obiettivo di «impedire i condizionamenti della criminalità organizzata sui circuiti dell'economia legale», nonché di «sconfiggere il crimine organizzato» entro il 2014 in un contesto di spending review, ovvero corroborando un simile intervento – di storica portata – facendo esclusivo ricorso all’’impiego di fondi europei, nuovi processi di finalizzazione della spesa, nonché di gestione e destinazione degli asset sottratti alla criminalità organizzata.
  Risulta contraddittoria, qualora non definita con puntuale dettaglio, la previsione di un auspicabile intervento, entro il giugno 2014, della definizione di un «provvedimento legislativo per regolare le lobby e le relazioni fra gruppi di interesse e istituzioni, a tutti i livelli», allorquando il rigore indispensabile alla formulazione di una norma davvero efficace è oggettivamente mitigato dalla presenza di conflitti di interesse pubblico-privato riconducibili ad esponenti dello stesso esecutivo, nonché alla maggioranza che ne sostiene il complessivo impegno esplicato nel Documento in esame.
  Un'ulteriore intervento da parte governativa sulla riduzione della custodia cautelare in carcere si ritiene non possa essere oggetto di ulteriori rivisitazioni in quanto tale tema è tutt'ora oggetto di un apposito provvedimento di iniziativa parlamentare, attualmente sottoposto alla terza lettura di questo ramo del Parlamento.
  Appare insufficiente la revisione del sistema di detenzione proposto che, seppur positivamente escludendo – almeno per via indiretta – riferimenti a provvedimenti di indulgenza generalizzata quali l'amnistia e l'indulto, non individua soluzioni innovative rispetto a quanto già discusso dal Parlamento e proposto dal precedente esecutivo in tema dell'antieconomico ed inefficace «Piano carceri» e delle misure alternative alla detenzione, puntando soprattutto su di una revisione della custodia cautelare in carcere, senza invece porsi in nessun termine la questione della depenalizzazione dei reati minori legati alle sostanze stupefacenti.
  Il Documento, nell'affrontare il tema della indifferibile deflazione dell'affollamento carcerario, non intende valutare il pronunciamento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 32/2014 dello scorso 12 febbraio, ha dichiarato l'illegittimità della legge c.d. «Fini-Giovanardi» che distingueva le tipologie di stupefacenti «leggeri» e «pesanti». Sentenza che incide sul piano penale riducendo le sanzioni per le droghe leggere, le quali, dai 6 ai 20 anni di reclusione, sono riportate ad una pena che va da un minino di 2 ad un massimo di 6 anni di carcere, ed analogamente, in virtù del favor rei, diminuendo le sanzioni per le droghe pesanti, passando da un minimo di 6 a un massimo di 20 anni di reclusione, anziché dagli 8 ai 20 anni.
  L'applicazione della suddetta sentenza, rendendo possibile la formulazione della richiesta di una rimodulazione della pena per le sentenze successive al 2006, avrebbe potuto – ove legislativamente valorizzata – gettare le basi per una significativa opera di deflazionamento dell'affollamento degli istituti penitenziari, la quale, secondo alcune stime, potrebbe attestarsi su di un numero di scarcerazioni compreso tra seimila e diecimila, costituendo essa stessa, a tutti gli effetti, il principale veicolo per risolvere l'emergenza che affligge le carceri italiane.
  Il testo in esame, pur individuando nella magistratura di sorveglianza una figura chiave del processo di buona gestione del sistema detentivo, ne indica un rafforzamento del ruolo senza far riferimento alle risorse per fronteggiare la grave carenza di organico che affligge tale funzione ove, secondo le più recenti stime fornite dall'ANM, la pianta organica prevede Pag. 12

202 magistrati i cui effettivi sono tuttavia circa 170 a fronte di un fabbisogno di almeno 270 giudici; mentre, relativamente al personale amministrativo di supporto, risultano 400 posti vacanti sui 1376 funzionari pedagogico giuridici e 589 posti vacanti sui 1380 assistenti sociali.
  Conclusivamente, il Documento, privo di un effettivo «cambio di marcia» rispetto a fallimentari politiche già mese in atto e carente di indispensabili elementi di concretezza programmatica circa le nuove proposte formulate, non appare in grado di risolvere i più gravosi problemi che affliggono la giustizia italiana, dimostrando altresì una mancanza di una effettiva volontà di razionalizzazione e rilancio del comparto, sia dal punto di vista quantitativo – in termini di mancanza di circoscritti e quantificabili investimenti nelle strutture ed infrastrutture –, sia dal punto di vista qualitativo a causa della mancanza di strumenti volti ad una pianificazione della formazione e valorizzazione della professionalità delle risorse umane impiegate negli uffici giudiziari.
  Un sistema di giustizia rispettoso dei principi costituzionali dovrebbe contemperare l'efficacia della risposta giudiziaria rispetto ai diritti che reclamano tutela, l'efficienza del servizio intesa come rapporto corretto fra risorse e risultati, la valorizzazione delle professionalità e delle competenze di cui dispone, sviluppando, al contempo, una politica mirata di investimenti iniziali su innovazione, semplificazione e formazione.
  Si propone, invece, di:
   porre il servizio giustizia che lo Stato rende al cittadino, basilare per il recupero di competitività del Paese, al centro della propria azione politica e progettuale, individuando adeguate e perduranti risorse economiche tese a conseguire efficienza ed efficacia per il funzionamento dell'amministrazione della giustizia sia mediante un significativo incremento di personale per l'intero comparto, sia giudicante che amministrativo, che attraverso la predisposizione di risolutive strategie di informatizzazione e digitalizzazione degli uffici e dei procedimenti con particolare riferimento al sistema delle comunicazioni e delle notificazioni per via telematica;
   provvedere, per l'anno in corso, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente, a indire un concorso pubblico per esami per l'assunzione di personale afferente le figure professionali di almeno 350 cancellieri e di 150 ufficiali giudiziari;
   intraprendere la strada di una riforma coerente e positiva di sistema, proposta mediante l'esclusivo strumento del disegno di legge, che intervenga sulla struttura del procedimento penale per eliminare gli ostacoli alla sua celere celebrazione, tale da risolvere definitivamente i problemi della giustizia legati alla ragionevole durata del processo e sul procedimento civile, da rivedere nel senso di poter conseguire un rito unico;
   rimuovere ostacoli economici e procedurali che si frappongono tra il cittadino e l'esercizio del proprio diritto alla giustizia a partire da:
    una valorizzazione dell'istituto del gratuito patrocinio ed la riduzione generalizzata delle spese di giustizia a carico dei cittadini (contributo unificato, marche da bollo, anticipazioni, etc.), a partire dalla soppressione delle misure di innalzamento dell'anticipazione forfettaria per le notificazioni nei procedimenti giurisdizionali e di riduzione di un terzo degli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato nei casi di patrocinio a spese dello Stato;
    l'abolizione di qualsiasi carattere di obbligatorietà, onerosità e consequenzialità sulle decisioni giudiziali dell'istituto della mediazione;
    la cancellazione della previsione dell'introduzione di una motivazione a pagamento tale da limitare la possibilità per una vittima di poter ricorrere contro una sentenza sbagliata, se non pagando ulteriormente per la tutela di un diritto;Pag. 13

   rivedere l'attuale provvedimento di riordino degli uffici giudiziari, sospendendone l'attuazione ed implementando strumenti più adeguati per ottenere gli attesi obiettivi di risparmio ed efficienza;
   individuare indispensabili ed adeguate risorse economiche a sostegno dell'implementazione del citato «Piano nazionale antimafia» che siano aggiuntive rispetto a quanto complessivamente stanziato per la funzione giurisdizionale, così che il loro reperimento non comprima i diritti dei cittadini all'accesso alla giustizia né vada a detrimento di altri comparti del medesimo settore, che vi sia, insomma, una reale, tangibile volontà di investimento in un ambito che non può essere costretto, come previsto dal documento, ad una sorta di «autofinanziamento» attraverso la mera gestione dei fondi confiscati alla criminalità organizzata;
   sostenere altresì l'esame e l'approvazione delle proposte di legge di iniziativa parlamentare, quale concreta garanzia di una loro effettiva e duratura realizzazione, in tema di:
    revisione dell'impianto normativo e depenalizzazione dei reati connessi alla coltivazione, cessione e consumo della cannabis;
    depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina; inasprimento per le pene legate ai reati di corruzione ed alla loro prevenzione;
    revisione della prescrizione nel processo penale;
    riciclaggio, autoriciclaggio e detenzione di attività finanziarie all'estero;
    determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale;
    riforma dello strumento dell'azione di classe;
    reformatio in peius nel processo d'appello in caso di proposizione dell'impugnazione da parte del solo imputato;
    protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico;
    divorzio breve;
    l'azione di risarcimento del danno ambientale.

  Con riferimento al sistema carcerario si ritengono opportuni i seguenti interventi:
   mettere in campo un'incisiva opera di depenalizzazione sia sul fronte del reato di clandestinità, che sugli inasprimenti dei reati sugli stupefacenti introdotti dalla legge «Fini-Giovanardi»;
   reperire le necessarie risorse finanziarie per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti, evitando il ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
   assumere le opportune iniziative volte ad incentivare – nel pieno rispetto dei diritti riconosciuti alle persone detenute e delle norme nazionali ed internazionali di carattere pattizio – il trasferimento delle persone straniere detenute che abbiano subito condanna definitiva, assicurando a tal fine una più ampia ed efficace applicazione della Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e favorendo altresì la conclusione di appositi accordi in tal senso con altri paesi, in modo da consentire ad un maggior numero di persone di scontare la condanna nel paese d'origine;
   garantire il principio della certezza della pena, ponendo fine all'emanazione di norme emergenziali recanti sconti di pena generalizzati a scapito della sicurezza dei cittadini;Pag. 14

   far sì che solo a fronte di interventi e di un reperimento di fondi per rendere più spediti i processi penali ed al fine di poter incidere positivamente sulla questione del diffuso utilizzo della custodia cautelare in carcere, sia possibile prevedere di estendere la custodia cautelare al proprio domicilio;
   istituire un Garante per i diritti dei detenuti che sia concretamente slegato ed indipendente, sia sul piano formale che sostanziale, dall'Esecutivo;
   assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

Difesa.

  Il DEF presenta una rimasticatura di provvedimenti già in essere o in discussione, come la riduzione del personale militare e civile stabilito dalla legge n. 244 del 2012, il richiamo al Libro Bianco, alla proposta conclusiva dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, alla riorganizzazione delle scuole militari, alla dismissione degli immobili della difesa e la revisione dei canoni di locazione degli immobili dell'arma dei Carabinieri. Manca totalmente una visione tesa a ridimensionare sul serio le spese militari a partire dalla totale assenza di ogni taglio nei sistemi d'arma più costosi (come gli F-35).
  Si ravvisa la necessità di riformare il settore della difesa raggiungendo l'obiettivo di realizzare un sistema nazionale di difesa efficace e sostenibile che assicuri i necessari livelli di operatività e la piena integrabilità dello strumento militare nei contesti internazionali, all'interno di una prospettiva di una politica di difesa comune europea e nella cornice delle Nazioni Unite, prevedendo un ruolo attivo nella direzione di una efficace prevenzione dei conflitti e di un mantenimento della pace, con l'esclusione di ogni ipotesi e sotterfugio di interventismo militare.
  Inoltre si ravvisa che dal combinato disposto del DEF 2014, in particolare, con la legge n. 244 del 2012 e i suoi decreti attuativi, si evince che:
   a) si continua a non indicare come il bilancio della difesa debba essere ridotto, ma solo come ripartire lo stesso;
   b) non sono toccati gli investimenti sui sistemi d'arma, il cui costo è incompatibile con l'attuale fase di recessione. Si prosegue nell'anacronistico acquisto degli F-35 e nell'implementazione di acquisizione di sistemi d'arma di natura offensiva che sono incompatibili con un modello di difesa difensivo che deriva da una corretta attuazione dell'articolo 11 della Costituzione.
   c) le riduzioni previste per gli organici, civili e militari, sono inutilmente spalmate nel tempo (sei anni per i generali e dieci anni per i colonnelli), finendo con l'affievolire i già scarsi obiettivi prefissati;
   d) preoccupa – e non solo per il crollo del mercato immobiliare con il rischio di svendita del patrimonio pubblico – la messa in vendita di immobili ed aree del demanio pubblico attraverso la Società «Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio e Società per Azioni (Invimit SGR)» unicamente per far cassa. Tenendo conto che sovente caserme dismesse ed aree un tempo sottoposto a servitù militari sono collocate nei centri storici o in aree di alto pregio ambientale, va da prima tutelata la destinazione pubblica e quella dell'uso per la nostra comunità.

  Anche tenendo conto dei punti a), b), c) ed d) esposti in premessa, occorre:
   a) destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma;Pag. 15

   b) destinare l'assegnazione delle strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città, per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in contratti di locazione;
   c) abbandonare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint Strike Fighter (F-35) parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano nella produzione degli stessi;
   d) rivalutare la necessità di ogni singola missione militare all'estero non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto per rispettare il dettame costituzionale indicato dall'articolo 11;
   e) incardinare al più presto una proposta di legge che detti criteri e tempi del Libro Bianco della Difesa dando un ruolo centrale al Parlamento;
   f) ripensare alle modalità di svolgimento di parate militari, anche in occasione di festeggiamenti nazionali, nonché ai programmi volti all'avvicinamento dei giovani alle Forze Armate (cd. Naja breve) al fine di ridurre i costi delle stesse generando un risparmio immediato.

Finanza.

  Le attuali condizioni di accesso al credito rappresentano il principale ostacolo per le imprese italiane nella ripresa economica. Le proposte del Governo sono:
   il rafforzamento del Fondo centrale di Garanzia per il credito alle piccole e medie imprese;
   un maggiore coinvolgimento degli investitori istituzionali nel veicolare il risparmio di lungo periodo in investimenti nell'economia reale attraverso un rafforzamento dei minibond e la creazione di un mercato di fondi di credito;
   il supporto alla nascita e lo sviluppo di startup innovative, mediante il rafforzamento del seed e del venture capital anche attraverso i veicoli del Fondo Italiano di investimento e del Fondo Europeo per gli investimenti.

  In particolar modo il Governo intende:
   incentivare gli investimenti in azioni o quote di PMI quotate o quotande, favorendo così la quotazione delle piccole e medie imprese;
   promuovere il made in Italy attraverso un processo di internazionalizzazione attraverso l'ausilio delle società SIMEST ed INVITALIA.

  Tuttavia nella predisposizione della strategia il Governo non manifesta alcun interesse ad evitare che l'internazionalizzazione si tramuti in «delocalizzazione» di imprese italiane.
  Per quanto riguarda l'esigenza di ripristinare l'erogazione del credito all'economia, si consideri che il Fondo di garanzia per le PMI dal 2007 ad oggi ha garantito finanziamenti per un importo pari a circa 25 miliardi di euro, per il solo 2013 l'importo garantito è stato pari a 6,5 miliardi di euro.
  La garanzia pubblica è stata estesa anche ai professionisti iscritti agli Ordini professionali o aderenti alle Associazioni professionali non ordinistiche.
  La dotazione del Fondo di garanzia è stata incrementata di 200 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 mediante una riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Con delibera CIPE verranno assegnati al Fondo di garanzia ulteriori 600 milioni a valere sul medesimo Fondo per lo sviluppo e la coesione.
  Tuttavia emergono le seguenti criticità:
   a) il Fondo non prevede una equa distribuzione delle suddette risorse per ogni regione. Nulla è previsto al fine di evitare che le risorse possano essere circoscritte in specifiche zone geografiche a discapito delle altre;
   b) i tassi di interesse in Italia sono pari a 160 punti più elevati rispetto a Francia e Germania. Una volta usufruito Pag. 16

delle garanzie le banche hanno piena facoltà contrattuale per la determinazione del tasso di interesse. Si potrebbe prevedere che qualora si optasse per il Fondo di garanzia la banca sia «costretta» a ridurre i tassi di interesse da applicare nel caso di specie;
   c) non ci sono disposizioni che vincolino l'accesso al credito alle imprese che procedano a forme di delocalizzazione dell'attività d'impresa.

  Per quanto riguarda la patrimonializzazione dei Confidi, la misura si propone di rafforzare patrimonialmente i Confidi mediante l'utilizzo del Fondi di Garanzia per le PMI nei limiti di 225 milioni.
  Anche in questo caso non si assiste alla predisposizione di specifici parametri di distribuzione delle risorse volti ad evitare che le risorse messe a disposizione si concentrino in specifiche zone geografiche senza tener conto della complessiva «domanda di credito» o della precarietà sociale ed economica di specifiche regioni dove forme di credito con garanzia «pubblica» possano essere un valido stimolo alla crescita economica della zona interessata.
  Inoltre non sussistono disposizioni che facilitino l'accesso alla garanzia per le imprese che non procedano a forme di delocalizzazione.
  Soffermandosi sulle misure intraprese nel settore bancario, l'accordo ABI – Associazione delle imprese a favore delle PMI prevede tre tipologie di intervento:
   a) sospensione dei finanziamenti;
   b) allungamento dei finanziamenti;
   c) operazioni per promuovere la ripresa e lo sviluppo delle attività.

  L'allungamento dei finanziamenti è effettuato a condizioni contrattuali invariate se accompagnate da un rafforzamento patrimoniale o da processi aggregativi. In caso contrario le operazioni possono prevedere una variazione del tasso d'interesse, in misura non superiore all'aumento del costo di raccolta della banca rispetto al momento dell'iniziale erogazione. In tal caso la variazione non potrà superare il 2 per cento.
  Tuttavia si osserva che il Fondo di Garanzia per le PMI potrebbe essere utilizzato per evitare un aumento del tasso di interesse.
  Per quanto riguarda invece la rivalutazione del capitale della Banca d'Italia, le modifiche apportate alla governance ed alla partecipazione al capitale sociale della Banca d'Italia implicano in primis una rivalutazione delle quote di partecipazione effettuata sulle riserve statutarie della Banca d'Italia medesima per un valore pari a 7,5 miliardi di euro e successivamente implicano la dismissione delle partecipazioni superiori al 3 per cento.
  Si osserva, al riguardo, che nel DEF si afferma che la BCE abbia dato parere favorevole alla rivalutazione, mentre le preposte Istituzioni UE hanno chiesto chiarimenti allo Stato Italiano al fine di verificare se trattasi concretamente di un aiuto di Stato.
  Inoltre, le norme approvate implicano anche la distribuzione di dividendi annuali per un importo non superiore al 6 per cento del capitale. Trattasi di una percentuale molto elevata (considerata la funzione pubblica esercitata dalla Banca d'Italia e l'elevata garanzia dell'investimento effettuato).

Fisco e tributi.

  Per quanto riguarda le riforme programmate in materia fiscale, ci si sofferma in primo luogo sulla «strategia» relativa al taglio del cuneo fiscale (pag. 324), che consiste nell'obiettivo della riduzione della pressione fiscale per famiglie e imprese ai fini di una crescita dei consumi, attraverso il taglio dell'IRPEF per circa 10 miliardi a regime che trova copertura con la revisione della spesa. Ciò determinerà un aumento del reddito disponibile a partire dal 2015 per lavoratori dipendenti e assimilati, percettori di redditi medio-bassi (i cd. «80 euro in busta paga» già disponibili a partire da maggio 2014). È inoltre prevista Pag. 17

la riduzione del 10 per cento dell'IRAP. Tali misure sono previste abbiano effetto a partire da maggio 2014.
  Si osserva che l'attribuzione di un maggior reddito disponibile per le famiglie e lavoratori rappresenta un obiettivo irrinunciabile. Tuttavia, non può costituire l'unico strumento per favorire i consumi e, dunque, la crescita economica del paese (soprattutto in considerazione della esiguità delle somme che si renderanno disponibili).
  A tal fine, sarebbero state più incisive riforme dirette a realizzare una concreta riduzione del costo del lavoro, al fine di aumentarne la competitività e produzione in ambito nazionale ed europeo (e, quindi, aumentare le assunzioni).
  Positiva in tal senso è, invece, la programmata riduzione dell'IRAP.
  Invece il «contesto» relativo ad «un fisco più equo, più semplice e orientato alla crescita» (pag. 372), è volto ad una semplificazione fiscale, ad una maggiore equità e ad un rafforzamento dei controlli. Tali obiettivi saranno raggiunti tramite l'attuazione della legge delega fiscale, la riforma del catasto dei fabbricati e il rientro dei capitali dall'estero. Si prevede che la legge delega fiscale sia attuata entro il 27 marzo 2015, che la riforma del catasto sia completate entro 4 anni, che la disciplina della voluntary disclosure sia approvata entro settembre 2014.
  Si osserva che l'obiettivo dichiarato è di garantire una semplificazione dei rapporti tra amministrazione e contribuente, anche al fine di favorire una maggiore collaborazione ed un prelievo fiscale più equo.
  Va in questa direzione la riforma del catasto dei fabbricati (con l'introduzione del catasto dei valori, la sostituzione dei «vani» con i mq come unità di misura, l'attribuzione di rilevanza all'area territoriale di ubicazione), che dovrebbe garantire una maggiore equità delle rendite.
  Non può dirsi lo stesso per gli altri interventi programmati, tra cui la procedura di voluntary disclosure. L'incertezza in merito alle modalità di determinazione dell'imponibile e alle conseguenze sotto il profilo sanzionatorio, infatti, si pongono in evidente contrasto con le finalità perseguite (prima fra tutte il ripristino di un rapporto di lealtà e collaborazione tra Fisco e contribuente).
  In merito alle «criticità e opportunità: le infrastrutture» (pag. 384), si intende ridurre il disagio abitativo sostenendo gli affitti a canone concordato, ampliamento l'offerta di alloggi popolari, lo sviluppo dell'edilizia residenziale sociale, la valorizzazione del mercato immobiliare. A tal fine si prevede che i redditi da locazione di alloggi nuovi o ristrutturati non concorrono alla formazione del reddito d'impresa ai fini IRPEF/IRES e IRAP nella misura del 40 per cento per un periodo non superiore a 10 anni. Si prevede inoltre l'attribuzione di una detrazione legata al reddito fino a 900 euro ai titolari di contratti di locazione di alloggi sociali adibiti a propria abitazione principale. Si prevede inoltre di favorire la creazione di Società di investimento immobiliare quotate (SIIQ) equiparandone il regime fiscale a quello dei fondi immobiliari. L'attuazione di tali misure è prevista entro aprile 2014.
  Si osserva che l'esclusione nella misura del 40 per cento dal reddito IRPEF/IRES e IRAP rappresenta una vera e propria agevolazione fiscale per le imprese.
  Quanto alle SIIQ, invece, l'obiettivo è quello di incentivare gli investimenti immobiliari uniformando la disciplina nazionale a quella comunitaria, più favorevole.
  Ci si sofferma di seguito su alcuni punti rilevanti di riforma previsti in materia fiscale.
  La riforma del catasto prevede importanti novità in materia di determinazione del valore patrimoniale dei fabbricati, con l'obiettivo di correggere le sperequazioni delle attuali rendite catastali. Tuttavia, tale obiettivo non può essere concretamente realizzato senza l'individuazione di forme di collaborazione tra amministrazione e contribuente, soprattutto al fine di acquisire elementi concreti utili alla determinazione del reale valore dell'immobile. Al riguardo, la legge delega individua espressamente tra i principi e criteri direttivi la previsione di «strumenti, da porre a disposizione Pag. 18

dei comuni e dell'Agenzia delle entrate, atti a facilitare l'individuazione e, eventualmente, il corretto classamento degli immobili non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d'uso ovvero la categoria catastale attribuita, dei terreni edificabili accatastati come agricoli, nonché degli immobili abusivi, individuando a tal fine specifici incentivi e forme di trasparenza e valorizzazione delle attività di accertamento svolte dai comuni in quest'ambito, nonché definendo moduli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l'Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei comuni e la loro coerenza ai fini dell'accatastamento delle unità immobiliari».
  Per quanto riguarda l'abuso del diritto e tax compliance: si annuncia la revisione delle disposizioni antielusive attraverso la specificazione normativa del principio generale di abuso del diritto nonché la revisione delle disciplina degli interpelli, anche procedendo all'eliminazione degli interpelli obbligatori. Si programma inoltre l'ampliamento dell'istituto della rateazione dei debiti tributari, estendendolo alla fase antecedente all'affidamento in carico all'agente della riscossione.
  Sul primo punto, il governo sembra recepire gli indirizzi della recente giurisprudenza di legittimità, che ha oramai recepito e affermato in ambito nazionale il principio dell'abuso di diritto in materia tributaria.
  Quanto alla previsione dell'estensione della rateazione alla fase che precede l'affidamento in carico all'agente della riscossione, si evidenzia che già sono previste e disciplinate all'interno dell'ordinamento giuridico forme di «rateazione anticipata».
  In merito all'apparato sanzionatorio e il sistema dei controlli, al di là della revisione del sistema sanzionatorio e penale, merita attenzione l'intento di definire la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini attraverso la previsione di un termine certo entro il quale inoltrare la denuncia di reato. A tal fine, si ipotizza la previsione che il raddoppio dei termini si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia entro il termine ordinario di decadenza.
  Ferma la necessità di individuare un termine certo (al fine di scongiurare abusi da parte dell'ADE), non può condividersi l'ipotesi prospettata in quanto ancorare il raddoppio dei termini alla presentazione della denuncia entro il termine ordinario di accertamento significherebbe compromettere e limitare la stessa azione di accertamento. Una frode fiscale penalmente rilevante (soprattutto se ben ideata), infatti, è di frequente scoperta quando il termine ordinario di accertamento è già decorso. Ancorare la denuncia di reato (utile al raddoppio) al termine ordinario dell'accertamento, quindi, si tradurrebbe nell'impossibilità di perseguire fiscalmente una grossa fetta di condotte di evasione fiscale. Inoltre, nei casi in cui la denuncia intervenga prima del decorso del termine ordinario, significa che la condotta di evasione è stata già accertata ed esaminata dall'ADE entro il termine ordinario, senza la necessità di ottenere il raddoppio dei termini (salvo la necessità di ulteriori approfondimenti e indagini).
  In merito alla riscossione degli Enti locali: merita attenzione l'intento di attribuire direttamente agli Enti Locali la riscossione dei tributi. Sarebbe auspicabile lo stesso intervento anche per i carichi di ruoli delle Agenzie fiscali, con graduale cancellazione del Gruppo Equitalia.
  Sulla riforma del contenzioso, vanno condivisi gli obiettivi programmati ed in particolare il rafforzamento dell'istituto della conciliazione, la generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare, l'esecutorietà delle sentenze delle commissione tributaria e applicazione più rigorosa del principio di soccombenza.
  Quanto agli aspetti organizzativi, invece, andrebbe sì rafforzato il ruolo dei giudici tributari ma allo stesso tempo occorre favorire una maggiore specializzazione (anche della magistratura togata). In tal senso, andrebbero revisionati i criteri selettivi nonché implementato l'impiego di magistrati togati.
  In materia di tassazione dei redditi d'impresa/delega in materia di IVA e di Pag. 19

giochi/fiscalità ambientale/lotta all'evasione (azione GDF e Agenzia Entrate)/ Redditometro/spesometro/Mediazione Tributaria, non si rinvengono particolari proposte di riforme. Sul punto, infatti, si richiamano le linee programmatiche di cui alla legge delega (legge n. 23 del 2014) nonché le disposizioni di recente introduzione.
  Per quanto riguarda le «Semplificazioni fiscali», si intende ridurre l'onere e il costo degli adempimenti fiscali a carico dei contribuenti, tramite la semplificazione degli studi di settore, lo snellimento delle informazioni richieste con i modelli di dichiarazione, le semplificazioni nelle comunicazioni al fisco, le semplificazioni nei servizi online e con il sistema di interscambio dati ’Sid’.
  La sessione dedicata alle semplificazioni fiscali si risolve nell'elenco di pochi e marginali snellimenti alle compilazioni degli studi di settore e alle comunicazioni con il fisco, di carattere perlopiù settoriale che non forniscono alcun reale contributo al problema principale che i cittadini e le istituzioni comunitarie hanno sollevato in merito al nostro sistema fiscale. Esso è troppo complicato, caratterizzato da adempimenti e norme ridondanti e assolutamente troppo costoso in termini di gestione per le piccole e medie imprese. In questa sessione non si fa menzione chiara dell'impegno che il Governo ha assunto in delega fiscale e con le mozioni iva recentemente approvate sulle esenzioni da adempimenti per i piccoli contribuenti e per la «deforestazione» degli adempimenti inutili a vantaggio di tutti gli altri.
  Sul punto va rammentato che la UE incentiva gli stati appartenenti ad adottare soglie di esenzione per i piccoli contribuenti e sistemi forfettari per le imprese di dimensioni minori, onde incentivare la compliance e abbassare i costi di conformità.
  In tale senso si deve registrare un livello di impegno davvero troppo basso nel DEF.
  Con riferimento alla «telematizzazione del processo tributario», si prevede l'invio telematico dei documenti processuali in sostituzione delle attuali modalità cartacee, attraverso l'entrata in vigore del regolamento del MEF che disciplina l'uso degli strumenti informatici e telematici nell'ambito del processo tributario telematico nonché attraverso l'uso della PEC al posto della tradizionale raccomandata.
  Si osserva che l'utilizzo delle moderne tecnologie informatiche consente la dematerializzazione del processo tributario con riduzione dei tempi e dei costi sia per lo stato che per i contribuenti che nella maggior parte dei casi sono assistiti dagli studi professionali .Questi ultimi sono di norma avvezzi all'uso della tecnologia. Si considera positivo questo percorso ma occorre prestare attenzione ai contribuenti che decidono di stare in giudizio personalmente, senza l'assistenza di un professionista abilitato (possibilità ammessa per i ricorsi il cui importo non supera la somma di 2.582,28 euro) A queste categorie di contribuenti dovrebbe essere consentito di optare per le forme tradizionali del processo tributario onde evitare che la scarsa conoscenza degli strumenti informatici o il loro costo si traducano in una barriera all'accesso della giustizia tributaria.
  Con riferimento alla «Riscossione a mezzo ruolo», si prevedono maggiori garanzie ai contribuenti nelle procedure di pignoramento dei beni mobili ed immobili per mancato pagamento delle cartelle esattoriali. Tali misure, che sono in vigore da maggio 2013, consistono in particolare:
   nell'innalzamento da 20 mila a 50 mila euro della soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata;
   nella rateazione fino a 72 rate: si presenta la domanda in modo semplice e veloce;
   per i contribuenti che si trovino, per ragioni indipendenti dalla loro responsabilità, in una grave e comprovata situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, è prevista la possibilità di rateizzare il debito iscritto a ruolo in 120 mesi;Pag. 20

   l'unico immobile (non di lusso) è impignorabile a condizione che sia destinata a uso abitativo e il debitore vi risiede anagraficamente;
   l'agente della riscossione non può procedere all'espropriazione immobiliare quando l'importo del debito iscritto a ruolo sia inferiore a 120 mila euro;
   franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione;
   sono stati previsti, altresì, limiti al pignoramento dei beni strumentali per l'esercizio dell'attività d'impresa o della professione;
   facoltà per il debitore pignorato di vendere direttamente i propri beni per massimizzarne l'introito.

  Il decreto-legge n. 69 del 2013 (c.d. Decreto del Fare) ha certamente contribuito a migliorare importanti criticità nell'ambito della rateazione dei debiti tributari iscritti a ruolo e nelle procedure di pignoramento, fornendo più ampie garanzie per i contribuenti. Tuttavia il percorso è ancora incompleto. Infatti non è ancora del tutto definita la questione dell'applicazione temporale delle nuove norme di garanzia in materia di pignoramento dei beni immobiliari. Essa dovrebbe estendersi pienamente a tutte le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 69 del 2013 a prescindere dal fatto che sia stata o meno costituita ipoteca sui beni. Inoltre non è del tutto chiaro se l'impignorabilità della prima casa sia concessa in tutti i casi a tutti i contribuenti oppure a condizione che essa costituisca l'unico immobile di proprietà del debitore.
  Sul punto – è bene sottolineare – Equitalia ha diramato istruzioni molto divergenti e creative che in via di prassi complicano e insteriliscono l'impegno positivo assunto con il Decreto del Fare.
  In merito all’«incentivazione all'uso della moneta elettronica», si intende ridurre l'uso del contante nelle transazioni commerciali ai fini della riduzione dell'evasione fiscale, prevedendo l'accettazione obbligatoria delle carte di debito come modalità di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e prestazioni professionali. Tali misure dovrebbero entrare in vigore entro giugno 2014.
  L'incentivazione della moneta elettronica è effettivamente un passaggio obbligato nella lotta all'evasione fiscale da parte dei piccoli professionisti ed imprenditori: dunque è necessario un maggiore impegno nell'individuare forme di assoggettamento all'uso delle transazioni elettroniche privilegiando sistemi a costi molto ridotti. Ad ogni modo l'impegno ad accettare carte di debito deve essere estesa a professionisti e imprese di ogni genere e fatturato, in cambio di semplificazioni e agevolazioni fiscali come previsto anche in delega fiscale.
  In merito alle «norme per il contrasto delle richieste di rimborso indebite», si intende prevenire richieste di rimborso IRPEF indebite prevedendo specifici controlli preventivi da parte dell'Agenzia delle Entrate. La legge di stabilità 2014 ha disposto che in caso di rimborso complessivamente superiore a 4.000 euro il pagamento della somma richiesta non è più automatico ma è subordinato a un controllo preventivo effettuato dall'Agenzia delle Entrate in relazione alla spettanza delle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia.
  Tali misure si applicheranno da giugno 2014 per le dichiarazioni 2013.
  Questa norma sembra destinata principalmente a rendere più oneroso e complicato il rimborso alle famiglie numerose. Prima esso avveniva tramite CAF o in azienda e consentiva il godimento del rimborso direttamente in busta paga nel mese di luglio (di norma). Non è definito il termine entro cui l'agenzia procede al rimborso dopo aver effettuato i controlli preventivi di sua spettanza.
  Per quanto riguarda i «Limiti alla compensazione tra crediti e debiti tributari», si intende prevenire compensazioni indebite in materia di imposte dirette. In particolare, a decorrere dal periodo di imposta 2013, i contribuenti che utilizzano Pag. 21

in compensazione crediti di imposta per imposte dirette (IRPEF, IRAP, IRES) o sostitutive di ammontare complessivo superiore a 15.000 euro annui, hanno l'obbligo di richiedere l'apposizione del visto di conformità da parte dei responsabili dei centri di assistenza fiscale. In alternativa, la dichiarazione dovrà essere sottoscritta, oltre che dal rappresentante legale, di fatto o negoziale dell'ente, anche dai soggetti che sottoscrivono la relazione di revisione (revisori, società di revisione) relativamente ai contribuenti per i quali è esercitato il controllo contabile. Tali misure dovrebbero applicarsi da giugno 2014 per le imposte dirette di competenza dell'anno 2013.
  Anche questa norma va letta nel quadro di un appesantimento del diritto di compensazione tra debiti e crediti fiscali che è un diritto previsto nello statuto del contribuente. In particolare per esercitare la compensazione oltre il limite di 15.000 euro si dovranno inevitabilmente sostenere i costi professionali per l'apposizione del visto di conformità.
  Con il «gruppo di studio su riciclaggio e autoriciclaggio» si intende elaborare una proposta di modifica legislativa per estendere, a determinate condizioni, la punibilità per riciclaggio anche al soggetto che ha fornito i capitali e non solo a coloro che li hanno «ripuliti», tramite l'inserimento del riciclaggio e, in prospettiva, dell'autoriciclaggio in un titolo del codice penale dedicato alla tutela dell'ordine economico e finanziario, nonché la costruzione di un'autonoma fattispecie di autoriciclaggio, circoscrivendo il suo ambito di applicazione soltanto ad alcune delle condotte (condotte di sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altra utilità di provenienza delittuosa con finalità speculative, economiche o finanziarie nonché di impiego con le medesime finalità).
  La materia è delicatissima in quanto strettamente intrecciata con la corruzione, l'evasione fiscale e la lotta alle mafie di tutti i generi. Fattivamente le proposte sono solo allo stato embrionale. Occorrerebbe focalizzare bene le motivazioni delittuose che sono alla base del riciclaggio e dell'autoriciclaggio distinguendole dalla pura evasione fiscale soprattutto da quella di mera sussistenza che merita di essere perseguita con strumenti differenti.
  «La collaborazione volontaria (voluntary disclosure)» si prefigge invece il rientro dei capitali non dichiarati detenuti all'estero e la tassazione dei relativi redditi. La proposta è finalizzata a consentire ai contribuenti italiani che non avevano indicato nella propria dichiarazione dei redditi gli investimenti e le attività finanziarie detenute all'estero fino al 31 dicembre 2012, di regolarizzare la propria posizione fiscale. Il contribuente deve fornire nella richiesta di ammissione al programma tutte le informazioni su ogni attività detenuta all'estero che ha omesso di indicare nelle proprie dichiarazioni dei redditi per tutti i periodi d'imposta accertabili e specificare i redditi che ha sottratto alla tassazione nazionale e che ha utilizzato per realizzare gli investimenti esteri o che ha ritratto dagli stessi. La procedura di collaborazione volontaria si perfeziona con il versamento in un'unica soluzione, senza possibilità di compensazione ed entro i termini previsti, di quanto indicato negli atti di accertamento e di contestazione a titolo di maggiori imposte, sanzioni e interessi. Il perfezionamento della procedura comporta notevoli riduzioni delle sanzioni ed è esclusa la punibilità per i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione. Inoltre, le pene previste per la dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante altri artifici, sono diminuite fino alla metà.
  È una procedura che esiste in molti paesi. Essa si basa sul riconoscimento che la fuoriuscita di capitali da un paese verso i paradisi fiscali è un fallimento dello stato. Pertanto si sollecita il «rientro» di questi capitali riducendo sanzioni pecuniarie e penali nella speranza che l'evasore trovi conveniente autodenunciarsi, pagare e riconciliarsi con lo Stato.
  Il «Ruling internazionale» è invece una procedura di interpello istituita sin dal 2004 per prevenire possibili conflitti tra amministrazione fiscale e imprese con attività Pag. 22

internazionale, per evitare doppie imposizioni e ridurre i contenziosi. Sono sempre di più le imprese con attività internazionale che decidono di definire preventivamente con l'Amministrazione finanziaria la propria posizione fiscale principalmente in materia di transfer pricing, interessi, dividendi e royalties. Si prevede in particolare:
   la possibilità per il contribuente di attivare la procedura di ruling anche con riferimento alla richiesta di accertamento in via preventiva circa la sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio italiano;
   l'estensione da tre a cinque dei periodi d'imposta per i quali viene riconosciuta la validità giuridica dell'accordo di ruling;
   l'istituzione di un punto di assistenza dedicato agli investitori esteri la cui attività è finalizzata a favorire e incentivare gli investimenti stranieri in Italia.

  È una procedura che prevede la sottoscrizione di un accordo tra l'Amministrazione finanziaria e il contribuente, in genere un'impresa a carattere internazionale. Il che significa che l'Amministrazione si impegna ad accettare il comportamento tenuto dal contribuente rispettoso dell'accordo e che il secondo si impegna ad adottare i criteri di valutazione concordati nell'ambito della procedura di ruling. La procedura è sempre più utilizzata: sono sempre più le imprese che vi fanno ricorso. Occorrerebbe un maggiore monitoraggio di questi accordi onde verificare la congruità degli accordi.
  Con le «Misure in materia di imposte sui redditi delle persone fisiche» ci si prefigge la riduzione del cuneo fiscale a carico dei lavoratori dipendenti e altre misure di riduzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche, tramite l'aumento delle detrazioni per lavoro dipendente e figli a carico, la riduzione aliquota cedolare secca sugli affitti, la detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio ed efficienza energetica, il contributo di solidarietà sui redditi più elevati e la defiscalizzazione della produttività.
  L'aumento delle detrazioni riconosciute sui redditi da lavoro dipendente e per figli a carico beneficia soprattutto le classi reddituali intermedie ma non i c.d. incapienti, generando un problema di equità distributiva e vanificando in parte la prospettiva di rilancio dei consumi che è alla base del provvedimento.
  La riduzione dell'aliquota sulla cedolare degli affitti, sulla produttività dei dipendenti e le detrazioni energetiche vanno valutate positivamente.
  Le «Misure in materia di riduzione del cuneo fiscale» consistono nella riduzione del cuneo fiscale dal lato delle imprese intervenendo sul costo del lavoro e sull'IRAP, tramite la riduzione degli oneri assicurativi INAIL e la deduzione triennale ai fini IRAP per le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato.
  Sono misure largamente inadeguate a generare competitività per le imprese italiane gravate da una pressione fiscale tra le più elevate del mondo. La fruizione della deduzione triennale per le assunzioni a tempo indeterminato è l'ultima di una sequela lunghissima di stimoli similari che non ha mai generato alcun aumento significativo di occupazione.
  Con il «Fisco per le imprese del settore creditizio, finanziario e assicurativo» si intende attribuire agevolazioni alle imprese del credito e delle assicurazioni. La Legge di Stabilità per il 2014 ha introdotto, a partire dal periodo di imposta 2013, la deducibilità fiscale in cinque anni, ai fini IRES e IRAP, delle rettifiche su crediti e delle perdite su crediti verso la clientela o verso gli assicurati iscritte in bilancio per i soggetti che operano nei settori bancario, finanziario e assicurativo, con esclusione delle perdite derivanti dalle cessioni a titolo oneroso dei crediti.
  Sin tratta di un beneficio alle imprese del credito che ottengono la deduzione in 5 anni delle rettifiche e perdite su crediti mentre in precedenza tale deduzione doveva essere riportata in un arco temporale di diciotto anni.Pag. 23

  La «Riforma della finanza locale» introduce una imposta IUC tripartita nelle componenti IMU, TARI e TASI.
  La IUC è una formula vuota: l'insieme di tre imposte il cui presupposto è diverso e quindi inutile e fuorviante riunirle sotto lo stesso acronimo. L'IMU è una imposta sul patrimonio immobiliare mentre la TASI avrebbe dovuto, in teoria, essere una imposta commisurata al beneficio che i cittadini ricavano dai servizi pubblici indivisibili.
  In realtà la TASI si paga con lo stesso meccanismo impositivo dell'IMU (sulla base delle rendite catastali) e non ha alcuna relazione con il godimento dei servizi pubblici locali.
  La TASI può essere interpretata come un recupero del gettito di IMU perso a causa dell'esenzione dell'abitazione principale.
  La Legge di Stabilità prevede un'aliquota massima per IMU e TASI non superiore al 10,60 per mille, misura massima consentita dalla legge in materia di IMU. Tuttavia per consentire le detrazioni sull'abitazione principale il Governo ha stabilito che i limiti massimi dell'aliquota TASI per l'anno 2014 possono essere aumentati complessivamente fino a un massimo dello 0,8 per mille. Questo conduce l'aliquota massima delle due imposte a superare quella massima dell'IMU collocandosi all'11,40 per mille. In questo modo nel 2014 si è registrato un aumento netto della tassazione sulla casa.
  Per quanto riguarda l’«Imposta sul valore aggiunto», è stato disposto un aumento dell'aliquota IVA ordinaria dal 21 al 22 per cento dall'ottobre 2013.
  In Italia (dati 2011) il gap IVA (ossia l'IVA non riscossa) ammonta a quasi 36 miliardi di euro che si perdono tra evasione e frodi fiscali. Sarebbe stato opportuno trarre le risorse necessarie dal contrasto a questi fenomeni piuttosto che aumentare la pressione fiscale generale a carico di tutti i cittadini.
  Con l’«accorpamento delle agenzie fiscali» si provvede ad accorpare le Agenzie del territorio e delle entrate allo scopo di ridurne il costo sfruttando le economie di scale. Tuttavia Agenzia del territorio e Agenzia delle entrate svolgono attività tecnicamente differenti: dubbi sono stati sollevati sulla reale possibilità di conseguire sinergie operative ed economie di scala attraverso l'accorpamento di strutture con mission e operatività del tutto differenti quali l'Agenzia del Territorio e l'Agenzia delle Entrate. Con riferimento alle operazioni di riforma del catasto è opportuno mantenere distinte le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati (territorio) da quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari (entrate).

Scuola, Università e Ricerca.

  Nel Documento di economia e finanza, nell'ambito del programma di riforme, le principali misure delineate per la scuola e l'università sono:
   a) un piano per le scuole che stanzia 2 miliardi per interventi di messa in sicurezza, efficienza energetica, adeguamento antisismico e costruzione di nuove scuole, e per rilanciare l'edilizia anche attraverso la riallocazione delle risorse non utilizzate;
   b) in particolare una più efficace gestione, attraverso procedure più snelle e consolidate dei fondi nazionali disponibili e dei fondi comunitari della vecchia programmazione 2007-2013 e di quelli previsti dalla programmazione 2014-2010; dei fondi INAIL per la costruzione di nuove scuole attraverso il sistema dei fondi immobiliari; dei mutui triennali con la BEI e altri soggetti autorizzati;
   c) nella definizione di procedure più snelle è inclusa la possibilità di concedere poteri derogatori a sindaci e presidenti di province per l'aggiudicazione e la realizzazione dei lavori. Infine si propone di dare concreta attuazione, d'intesa con le regioni ed enti locali, all'Anagrafe per l'edilizia scolastica, che consenta di rilevare lo «stato di salute» degli edifici e il monitoraggio dei lavori;Pag. 24

   d) interventi volti a potenziare la qualità dell'offerta e delle competenze del personale della scuola e dell'università, puntando sull'attuazione di un operativo sistema di valutazione sia nell'università che nella scuola;
   e) con l'obiettivo di fornire le scuole di strumenti di raffronto, verifica e riconoscimento del merito e dell'efficienza, il Governo si propone di dare piena attuazione, già a partire dal prossimo anno scolastico, del Regolamento per l'applicazione del Sistema Nazionale di valutazione nelle istituzioni scolastiche; valutazione e incentivi alle università migliori (ANVUR); inoltre si propone la revisione, in un'ottica di valorizzazione del merito, del contratto degli insegnanti e del metodo di reclutamento di insegnanti e dirigenti scolastici;
   f) la massimizzazione del potenziale innovativo della ricerca con l'immissione di capitale umano di eccellenza nelle imprese attraverso i dottorati industriali, con i 600 milioni (in tre anni) che il governo intende varare per uno specifico credito d'imposta;
   g) con la finalità di fornire la risposta più efficace all'aumento dei NEET, il Governo intende offrire ai ragazzi un'opportunità di lavoro, non dopo, ma durante la formazione scolastica e universitaria, recuperando produttività per il sistema italia attraverso formazione, innovazione e ricerca (ad esempio con il sostegno all'apprendistato, ai tirocini formativi presso le aziende, all'alternanza scuola-lavoro);
   h) si prevede, inoltre: il rafforzamento dell'istruzione tecnica e la valorizzazione delle esperienze positive come il modello ITS (Istituti Tecnici Superiori), scuole ad alta specializzazione tecnologica;
   i) si propone di diffondere l'insegnamento della lingua inglese dalla scuola primaria all'università attraverso il CLIL, metodologia di insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera. Inoltre si propone la messa a disposizione della connettività wi-fi all'interno degli istituti scolastici, avanzamento nell'integrazione delle tecnologie digitali, nelle metodologie, nei linguaggi e contenuti della didattica;
   l) con la finalità di accrescere il tasso di immatricolati nelle università, ancora basso rispetto alla media europea e in calo negli ultimi anni e favorire la diffusione di sistemi meritocratici, si propone: l'aumento dell'impatto delle misure di diritto allo studio in stretta correlazione con il merito, anche mediante il rilancio della fondazione per il merito e il rafforzamento dello strumento del prestito d'onore;
   m) con la finalità di accrescere il tasso di internazionalità della nostra università, ancora basso rispetto alla media europea si propone l'estensione e il potenziamento del progetto Erasmus e la sua inclusione nel curriculum degli studi. Facilitazioni nella concessione di visti per studenti e ricercatori;
   n) tra gli obiettivi Strategia europa 2020 rilevano, poi, quello della riduzione entro il 2020 del tasso di abbandono scolastico ad un valore inferiore al 10 per cento ed quello di aumentare la percentuale di popolazione tra i 30 e i 34 anni in possesso di diploma di istruzione universitaria.

  Nell'ambito del Programma di riforme, le principali misure delineate per i beni culturali e turismo sono:
   a) nell'ambito della valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale, il Governo si propone di «fare il necessario per evitare situazioni di degrado e consolidare il vantaggio competitivo dell'Italia, nonché di contribuire allo sviluppo dell'economia e alla creazione di nuovi posti di lavoro»;
   b) per tali finalità il Governo ritiene necessario riformare l'intera gestione del sistema turistico nazionale, e la gestione economica dei beni artistici e culturali, assicurando forme efficienti di gestione pubblica e individuando forme di gestione mista o in affidamento a privati, anche con il coinvolgimento delle realtà territoriali Pag. 25

(pone come esempio il progetto Pompei). Ritiene inoltre necessario ridefinire le competenze e le relative politiche pubbliche in materia di turismo.
  Considerato che l'unica misura immediata è quella relativa al piano scuola (edilizia scolastica), riguardo alla quale però non si vedono risorse disponibili o nuove risorse, ma si parla di razionalizzazione di quelle esistenti, di fondi strutturali o mutui che già si pensa di ottenere, cosa niente affatto sicura, visto che la proposta italiana di accordo di partenariato per la ripartizione dei fondi europei è tutta da rifare, avendo ricevuto ben 351 rilievi dalla Commissione Europea.
  Inoltre, nel DEF, inoltre, si indica l'esigenza di «migliorare qualità e risultati della scuola, anche rafforzando lo sviluppo professionale degli insegnanti e diversificandone lo sviluppo della carriera», senza specificarne il metodo.
  Per la valutazione esiste il reale rischio di un introdurre un modello aziendalistico di scuola e università, mentre il ruolo della valutazione (soprattutto nella scuola) deve avere finalità unicamente didattiche, non misurative del funzionamento della scuola né indicatrici nell'assegnazione dei fondi.
  Non si intravede una programmazione economica per il rinnovo stipendiale del personale della PA, e dunque anche per il personale scuola; inoltre il riconoscimento del merito negli stipendi dei docenti non deve essere sostitutivo dei miseri scatti di anzianità previsti attualmente dal CCNL, ma dovrebbe essere aggiuntiva e quindi richiederebbe delle risorse aggiuntive.
  La spesa che lo Stato deve sostenere per pagare gli stipendi pubblici, nel 2013, come si legge nel documento – è ammontata a circa 164 miliardi, in calo dello 0,7 per cento circa rispetto all'anno precedente; tale contrazione si somma al -1,9 per cento del 2012 e alla diminuzione del 2,1 per cento registrata nel 2011 («rafforzando – sottolinea testualmente il DEF – il trend decrescente che si è determinato dopo un lungo periodo di crescita tra il 1998 e il 2010»).
  Se poi si calcolano gli stipendi in rapporto al PIL, si ha la conferma che il pubblico impiego (e la scuola soprattutto) hanno pagato in questi anni un prezzo particolarmente alto: nel 2013 la spesa è stata del 10,5 per cento rispetto al PIL, così come nel 2012, ed in netto calo rispetto agli anni precedenti (11,3 per cento nel 2009, 11,1 per cento nel 2010, 10,7 per cento nel 2011); secondo i tecnici del MEF, questa è «la conseguenza dei molteplici interventi normativi disposti nel corso degli ultimi anni che hanno comportato sia un contenimento delle retribuzioni individuali, sia una riduzione del numero dei dipendenti pubblici (-5,6 per cento circa nel periodo 2007-2012)».
  La razionalizzazione del comparto scuola, il perdurare del blocco dei rinnovi contrattuali per il periodo 2010-2015, l'introduzione di un limite di spesa individuale rapportato alla retribuzione percepita nell'anno 2010, il riconoscimento solo ai fini giuridici delle progressioni di carriera disposte nel quadriennio 2011-2014, la decurtazione in base al numero delle unità di personale cessate dell'ammontare delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa sono tutti gli interventi che hanno portato i succitati disastrosi risultati.
  Si ribadisce che, nel quadro a legislazione vigente, come si legge infatti nel DEF, la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell'attribuzione dell'indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020.
  Il settore della scuola è stato particolarmente penalizzato negli ultimi anni; la spesa per i cosiddetti «consumi intermedi» (in pratica si tratta delle spese per il funzionamento ordinario di scuole, università ed enti di ricerca) è passata da 1,11 miliardi del 2011 a 0,95 del 2013, mentre nello stesso periodo la spesa complessivamente sostenuta dallo Stato è aumentata da 12,49 a 13,78 miliardi, mentre al MEF è quasi raddoppiata, da 2,62 a 4,79 miliardi e nelle Agenzie fiscali è passata da un miliardo a 1,64.Pag. 26

  Si parla di introduzione di nuove forme di reclutamento degli insegnanti, senza accennare minimamente ai precari della scuola.
  Riguardo al sistema educativo e mondo del lavoro, si continua a rincorrere l'implementazione della formazione tecnica e tecnologica, la qual cosa per essere realmente funzionale a un nuovo sviluppo per l'Italia e in considerazione della crisi del modello industriale tradizionale deve prevedere una formazione ad alto contenuto innovativo, soprattutto nei settori nei quali l'Italia vuole puntare per il futuro.
  Il rischio è che di fronte alla crisi del modello industriale tradizionale, almeno in Italia, si formi manodopera che poi sarà costretta a emigrare all'estero per trovare occupazione, mentre occorrerebbe un piano industriale lungimirante, di medio-lungo periodo, con l'individuazione di alcuni settori strategici nei quali fare ricerca avanzata e formazione del personale occupato in quel campo e nel relativo indotto.
  Inoltre, si consideri che il Governo ha inteso prevedere che, «Con la finalità di accrescere il tasso di immatricolati nelle università, ancora basso rispetto alla media europea e in calo negli ultimi anni» e con l'obiettivo di “favorire la diffusione di sistemi meritocratici”, si aumenti l'impatto delle misure di diritto allo studio in stretta correlazione con il merito».
  Tuttavia, anche grazie alle misure già assunte, l'unico aumento osservato negli ultimi anni è stata la percentuale di studenti che non riescono ad accedere ai gradi più alti degli studi universitari, data l'assoluta insufficienza di strumenti che garantiscano ai capaci e ai meritevoli tale possibilità; solo con riferimento all'ultimo anno, la percentuale di studenti iscritti nei corsi di area medica che potrà ultimare il proprio percorso formativo attraverso la specializzazione universitaria si è ridotta al 35 per cento.
  Secondo il recente studio dell'Anvur, «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», è possibile verificare come le immatricolazioni ai corsi universitari risultino in calo del 10 per cento nelle regioni del Nord, mentre scendono addirittura del 55 per cento nelle regioni del Sud e del Mezzogiorno. Più che una mancanza di interesse per i vari corsi universitari o di un errato raccordo tra scuola e università, la distribuzione geografica delle immatricolazioni in Italia sembra mostrare, invece come più concretamente i giovani diplomati delle regioni del meridione non considerino il conseguimento di un titolo di studio universitario quale possibilità utile al proprio futuro lavorativo e professionale.
  All'interno del DEF si prevede di aumentare la percentuale di popolazione tra i 30 e i 34 anni in possesso di diploma di istruzione universitaria, anche in relazione agli impegni che il Nostro Paese ha assunto a livello comunitario, ma poco chiare risultano essere le misure attraverso le quali ottenere l'aumento di tale quota percentuale.
  È bene ricordare, a tal proposito, che tra gli obiettivi finali da raggiungere al termine del programma europeo «Horizon 2020» vi sarà un significativo innalzamento della quota di cittadini laureati proprio nella fascia di popolazione compresa tra i 30 e i 34 anni, fino a raggiungere una percentuale complessiva del 40 per cento; l'Italia, nonostante tali riferimenti, ha invece definito, quale proprio obiettivo, il raggiungimento di una percentuale di laureati pari al 26 per cento, una quota inferiore di ben 14 punti rispetto alla media europea; il massimo sforzo del nostro Paese in un settore così cruciale per il suo sviluppo sarà la crescita di soli 4 punti percentuali rispetto alla quota raggiunta dal nostro Paese nell'anno 2012, ma anche per tale obiettivo l'Italia dimostra di essere ben lontana dalla sua concreta realizzazione. Sempre secondo il recente rapporto dell'Anvur, il quadro risulta essere assolutamente grave ed allarmante.
  Tale analisi documenta, infatti, il preoccupante divario dell'Italia rispetto alla percentuale di riferimento della media europea, con una quota di laureati, nella fascia di popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, pari al 13,8 per cento, la quale, a fronte di una media UE intorno al 25 per cento, ci Pag. 27

costringe al terzultimo posto nella classifica dei vari Stati dell'Unione, con un ritardo ancor più grave se riferito alle medie dei principali Paesi.
  Il Documento di economia e finanza per il 2014, a fronte degli obiettivi sin qui riportati, ovvero dei gravissimi ritardi accusati dal nostro Paese per una loro concreta realizzazione, prevede, aldilà dei proclami del caso, lo stanziamento di risorse assolutamente insufficienti, nonché la totale assenza di una programmazione chiara e univoca.
  Anche qui per il diritto allo studio servirebbero risorse aggiuntive per eliminare la piaga dei vincitori senza borsa, e per abbassare le tasse universitarie, inoltre, il prestito d'onore si sta rivelando un fallimento nei Paesi che l'hanno adottato nei decenni scorsi (bolla finanziaria negli USA ad esempio), e in Italia non è mai decollato negli ultimi anni.
  Si evidenzia l'assenza di qualsiasi concreta disposizione in favore degli enti di ricerca. Solo pochi giorni fa, la VII Commissione approvava l'erogazione della quota premiale del Fondo Ordinario Enti di Ricerca (FOE), a condizione però che il Governo si impegnasse, entro il prossimo anno, affinché la quota del 7 per cento del FOE, attualmente prevista quale quota premiale, fosse erogata con finanziamenti ulteriori e diversi, e non quale mera redistribuzione di una porzione dello stesso fondo. Tale parere veniva sottoscritto all'unanimità dei componenti della Commissione ma, data la mancanza di qualsivoglia riferimento, già si teme per la sua reale attuazione.
  Il DEF pone sullo stesso piano turismo e valorizzazione dei beni culturali, mentre sarebbe auspicabile considerare gli interventi a sostegno del patrimonio culturale nel contesto di una strategia separata, sebbene collegata, rispetto a quella rivolta alla tutela dell'ambiente e del turismo, anche in considerazione della peculiarità del patrimonio culturale italiano, unico rispetto agli altri Paesi e del profondo stato di degrado in cui esso versa.
  Inoltre, nell'ambito della strategia che rappresenta il turismo e la cultura come fattori di crescita, il PRN 2014 prevede tutta una serie iniziative che saranno di difficile realizzazione senza lo stanziamento di risorse adeguate e per le iniziative già attuate dai recenti provvedimenti legislativi adottati le risorse appaiono assolutamente insufficienti.
  Nonostante l'investimento in Istruzione, Università e ricerca rappresenti la leva più solida di cui un governo dispone per centrare i suoi obiettivi di coesione sociale e sviluppo economico e che la spesa pubblica in questi specifici ambiti è ancora sotto la media europea, con evidenti riflessi negativi sui risultati scolastici, la mobilità e la coesione sociale, non si riscontra un'inversione di tendenza e il Documento di economia e finanza per il 2014, a fronte degli obiettivi elencati, nella sezione del Piano nazionale di Riforma, prevede risorse del tutto insufficienti rispetto a quelle che sono le reali esigenze.
  È evidente che il Governo non si dimostra disponibile ad adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato, anche operando una selezione delle priorità e delle urgenze di sviluppo.
  I proclami non possono bastare, mentre è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro.
  Il documento dei 27 «Europa 2020» dà un solo imperativo agli Stati membri per promuovere nuova crescita: investire in istruzione. Infatti aumentare il livello e la qualità dell'istruzione rappresenta uno dei 5 obiettivi nazionali dell'agenzia Europa 2020.
  La sconsiderata politica dei tagli degli ultimi anni ha messo in ginocchio tutti i settori della cultura, dalla scuola all'università, alla ricerca, ai beni culturali determinando un'allarmante situazione generalizzata di regresso e di forte riduzione della mobilità sociale.
  In particolare, si è proceduto a sottrarre sempre più risorse economiche dal nostro sistema di istruzione a partire dal taglio epocale di più di 8 miliardi di euro, Pag. 28

effettuato in applicazione dell'articolo 64 della finanziaria estiva del 2008 (legge 133/2008) che ha inferto un colpo letale al mondo della scuola.
  La dispersione scolastica conta numeri allarmanti: il 18,8 per cento dei giovani 18-24enni abbandona gli studi senza conseguire un titolo di scuola media superiore o una qualifica professionale (la media europea è pari al 14,1 per cento).
  Negli ultimi anni gli Atenei sono stati sottoposti a una sorta di «condizione emergenziale» in materia di risorse e di assunzioni, come confermato dal calo dell'FFO e del personale docente e ricercatore.
  Anche la capacità di intercettare fondi di ricerca, in particolare europei, risente del basso numero di ricercatori italiani in relazione alla popolazione, se confrontato con quello degli altri Paesi.
  Gli investimenti nel diritto allo studio ci vedono agli ultimi posti in Europa, quando invece Germania e Francia investono fino a 10 volte più dell'Italia.
  La situazione è anche peggiore per quanto concerne i beni culturali, in cui il nostro paese ha investito solo una esigua percentuale del PIL, un valore tanto basso da mettere a rischio la tutela anche del patrimonio culturale più prezioso e noto come l'area archeologica di Pompei, il Colosseo, l'archivio nazionale, mentre il blocco delle assunzioni sta paurosamente depauperando la capacità dello Stato di assicurare la normale attività di tutela, affidando tale attività a interventi straordinari o al solo intervento del privato.
  Nel documento non c’è un solo cenno al settore dello spettacolo, che vede il FUS (Fondo unico per lo spettacolo) continuamente decurtato, con evidente grave pregiudizio per tutti gli addetti del settore stesso e con il reale rischio di una delocalizzazione della produzione cinematografica all'estero a svantaggio di un cinema di qualità.
  In un paese come il nostro la cultura e in particolare quella cinematografica dovrebbe essere il volano della ripresa e dello sviluppo auspicato, e deve essere sottratto ad improvvisati management privati e dirigenti statali, per riconsegnarlo al suo valore collettivo.
  La strada maestra per ridare slancio ad un'economia in crisi, ad un modello di sviluppo sostenibile, ad una società che metta al centro il benessere dei cittadini e la loro qualità di vita passa non solo attraverso un ripristino delle risorse economiche tagliate in questi anni al mondo della scuola italiana, dell'università, della ricerca e della cultura, ma anche e soprattutto attraverso una programmazione economica che preveda ingenti investimenti pluriennali e una valorizzazione complessiva del sistema.
  Sarebbe invece auspicabile che:
   siano reperite le risorse necessarie per restituire peso e valore all'istruzione scolastica, per promuovere la formazione degli insegnanti, per valorizzare la professionalità docente e per sostenere l'innovazione didattica e organizzativa, nella consapevolezza che la scuola deve rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita del Paese;
   si adottino iniziative concrete per modernizzare le università italiane, nella consapevolezza che l'università deve essere un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;
   siano stanziate risorse necessarie al fine di favorire e di non penalizzare il comparto della ricerca, con l'obiettivo di creare una nuova leva di giovani ricercatori e di investire su di essi come risorsa per modernizzare tanto il funzionamento delle istituzioni di ricerca quanto l'università, rendendola un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;
   siano effettuati investimenti nell'intero settore culturale, con strategie di lungo periodo, invertendo completamente la pratica, consueta negli ultimi tempi, di considerare le risorse destinate alla cultura come spese non prioritarie stante la situazione di crisi economica e dei conti pubblici.

  Non si evidenziano contenuti volti a risolvere le reali criticità della scuola pubblica Pag. 29

e di come si vuole operare per raggiungere gli obiettivi a medio e a lungo termine (2020) soprattutto alla luce dei pesanti tagli effettuati negli ultimi anni. L'elencazione delle iniziative, molte delle quali sono solo semplici dichiarazioni di intenti, non aggiunge elementi utili per trovare una soluzione; non ci sono poi riferimenti al finanziamento della scuola privata: si dovrebbe prevedere un graduale spostamento delle risorse alla scuola pubblica bloccando finanziamenti diretti e indiretti alle scuole private.
  Si condivide pienamente la preoccupazione del Governo di raggiungere gli obiettivi di Europa 2020 aderendo alla strategia ivi delineata, cionondimeno si evidenzia come in tema di dispersione scolastica l'Italia presenti forti difficoltà a collocarsi al di sotto del 10 per cento previsto per tutti gli Stati membri, posizionandosi alla quart'ultima posizione nella ranking UE ed evidenziando una distanza del 7,6 per cento, percentuale che aumenta in maniera preoccupante nel Mezzogiorno ed in particolare nelle isole toccando il 24,8 per cento in Sicilia ed il 25,5 in Sardegna.
  È necessario sottolineare la mancata trattazione del problema del precariato scolastico ed universitario, seppur fortemente sentito sia socialmente che professionalmente. Infatti, si ritiene assolutamente prioritario creare stabilità con percorsi di reclutamento chiari nel mondo dell'istruzione e della ricerca al fine di assicurare gli opportuni livelli di qualità dell'offerta formativa e raggiungere così gli standard europei.
  Per perseguire efficacemente gli obiettivi Strategia di Europa 2020, ovvero l'incidenza della popolazione laureata tra i 30 – 34 anni pari al 40 per cento è necessario potenziare e modificare l'impianto del Diritto allo studio, dell'orientamento e favorire l'accesso agli studi per i meno abbienti. Contemporaneamente va potenziato il sistema di accreditamento dei corsi di laurea valorizzando i corsi di laurea esistenti e scongiurando la chiusura di molti corsi di studio causati dalla mancanza di risorse e da criteri di accreditamento troppo restrittivi.
  Il Fondo Integrativo per il Diritto allo Studio deve essere stabilizzato rendendolo sufficiente a coprire la totalità degli aventi diritto alle borse di studio, pertanto è necessario prevedere (o reintrodurre) un limite alla contribuzione studentesca universitaria per favorire l'accesso all'istruzione universitaria favorendo l'iscrizione ai corsi di laurea con profilo scientifico, inoltre è cruciale integrare i fondi che favoriscano la mobilità interna per garantire il diritto allo studio anche ai meno abbienti.
  Si auspica che l'effettiva operatività dell'ANVUR non porti ad una competizione tra Atenei provocando una netta disomogeneità tra di essi, ma si adottino sistemi di valutazione volti ad individuare le criticità maggiori, per programmare un piano di investimenti finalizzato al raggiungimento di standard minimi di qualità. Contemporaneamente vanno valorizzate le eccellenze sia nell'ambito della ricerca che della didattica, carpendone i modelli vincenti per «esportarli» in altre realtà universitarie nazionali.
  La cultura e il nostro patrimonio artistico-culturale è un traino per uno sviluppo sostenibile ed immateriale dell'Italia che grazie ad un'alleanza strategica con le nuove tecnologie, con la rete e con l'informatica può aprire opportunità di slancio economico mai esplorate. I consumi vanno direzionati e incentivati per una massiccia fruizione di prodotti e servizi culturali.
  È da programmare un piano d'investimenti pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria programmazione con la riduzione delle aliquote IVA per il mercato della musica, agevolazioni fiscali per il mercato culturale e i suoi attori e che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni; andrebbero introdotte nuove regolamentazioni sulle licenze d'autore, che diano maggiori opportunità di lavoro e maggior prodotti e servizi culturali, prendendo atto che la fruizione dei prodotti d'intrattenimento è ormai cambiata nelle abitudini dei cittadini.Pag. 30

  È necessario introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo e non si può più consentire lo sperpero dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto.
  Dal DEF ci si sarebbe aspettato una più responsabile azione volta davvero a promuovere l'investimento nell'istruzione e nella formazione, così come indicato nella strategia di Lisbona, e nei beni culturali, in quanto in un'epoca di flessione economica non solo europea ma mondiale è essenziale che ci si avvalga delle potenzialità di ciascun individuo e che si continui a promuovere un investimento più importante, più efficace e mirato all'istruzione e alla formazione di qualità («Istruzione e formazione 2020»), nonché alla valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro paese.

Ambiente.

  L'ambizioso obiettivo del Governo è quello di garantire una crescita economica senza aumentare il consumo delle risorse. Si esprime l'esigenza di valorizzare ambiente, territorio e risorse agricole e di puntare all'economia verde. Le linee programmatiche sono praticamente quelle del collegato ambientale.
  Economia Verde. Il Governo annuncia di voler stanziare 1,5 mld per il dissesto idrogeologico e 0,2 mld per la delocalizzazione degli impianti industriali ubicati in prossimità dei centri abitati. Altre misure previste sono l'accelerazione degli interventi di riparazione dei danni ambientali e la predisposizione del regolamento per la tariffazione puntuale in materia di rifiuti (nov. 2014).
  Agricoltura. Sono altresì previste misure di semplificazione delle procedure amministrative in agricoltura, con l'obiettivo di promuovere la competitività ed incoraggiare le esportazioni dei prodotti agroalimentari (nov. 2014).
  Il Governo sembra intenzionato a valorizzare e tutelare quella parte del territorio, denominata «aree interne» che costituisce il 60 per cento dell'estensione complessiva e abitato dal 20 per cento della popolazione, ma che vive notevoli problemi di collegamenti e di servizi. A tal fine è prevista una specifica strategia, che andrà in parte finanziata con i fondi comunitari. Su questo tema si innestano le proposte di legge sui piccoli comuni all'esame della commissione ambiente.
  Non poteva mancare un nuovo impulso al processo, avviato da tempo, di svendita del patrimonio immobiliare pubblico. L'elemento principale del federalismo demaniale consiste esattamente in questo: trasferimento dei beni immobili dello Stato agli enti locali (comprese le province), che potranno provvedere alla loro alienazione.
  Per quanto riguarda gli impegni assunti a livello europeo e le specifiche osservazioni formulate dal Consiglio Europeo, come il Country Specific Reccomandation e l'Annual Growth Survey, il DEF si limita a ricordare il decreto-legge n. 63 del 2013 di recepimento della direttiva 2010/31/UE, sulla prestazione energetica nell'edilizia e la norma del decreto «del Fare» contenente discutibili semplificazioni sulle strutture mobili dei campeggi e le semplificazioni su VAS, VIA e AIA.
  In risposta alle raccomandazioni formulate dal Consiglio Europeo al termine del semestre europeo 2013 l'Italia ha elaborato un piano d'azione, al cui interno – per quanto concerne le iniziative di interesse della commissione ambiente – viene sinteticamente descritto il programma di potenziamento delle infrastrutture, sul quale il DEF torna in modo più dettagliato e sistematico nella seconda parte della terza sezione.
  Le iniziative più rilevanti al fine del raggiungimento degli obiettivi nazionali della Strategia Europa 2020 contengono, tra gli altri, ben tre obiettivi legati ai cambiamenti climatici.
  Le misure adottate dal Governo in materia di emissioni di gas serra sono le Pag. 31

seguenti: riorientamento del Fondo Kyoto, per favorire l'occupazione e ridurre le emissioni di gas serra; avvio del sistema di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti; proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici (vedi infra); coinvolgimento degli enti locali nelle iniziative di sostenibilità ambientale (patto dei sindaci); finanziamento di iniziative volte alla riduzione dei consumi dei combustibili fossili; prosecuzione degli interventi per la mobilità sostenibile, proseguendo l'attività del fondo; miglioramento del sistema di scambio delle quote di gas serra (emission trading); avvio della consultazione pubblica sulla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici; green public procurement (vedi infra).
  Al fine di mantenere l'obiettivo di coprire il 17 per cento dei consumi finali di energia con fonti rinnovabili, come stabilito nella direttiva 2009/28/CE, il Governo ha avviato le seguenti misure: incentivi per energie rinnovabili e parziale riordino del sistema incentivante; aggiornamento del piano delle emissioni dei gas serra; razionalizzazione della filiera del biocarburante; riforma della disciplina dei controlli e delle sanzioni sugli incentivi alle rinnovabili.
  L'obiettivo di efficienza energetica assunto dall'Italia dovrebbe portare il nostro paese alla riduzione del 20 per cento dei consumi entro il 2020. Tra le misure adottate per raggiungere l'obiettivo si segnalano le seguenti: recepimento della direttiva sull'efficienza energetica in materia per migliorare il rendimento energetico degli edifici pubblici (vedi infra); recepimento della direttiva 2010/31/UE ed introduzione dell'attestato di prestazione energetica degli edifici (vedi infra); innalzamento delle detrazioni fiscali per le spese di riqualificazione energetica degli edifici dal 55 al 65 per cento; misure a favore della green economy; stanziamento di 50 milioni per l'efficienza nell'uso dell'energia elettrica.
  L'articolata riforma fiscale che il Governo intende avviare prevede l'introduzione di misure di «fiscalità ambientale», con l'obiettivo di trasferire il maggior gettito derivante da una modulazione dell'imposizione fiscale che tenga conto del valore ambiente (aumento delle accise sulle fonti più inquinanti, ad esempio) al finanziamento di tecnologie meno inquinanti e alla revisione dei sussidi alle rinnovabili.
  L'illustrazione delle proposte governative in materia di energia e ambiente partono da alcune valutazioni positive contenute nel rapporto OCSE, per mettere poi in evidenza alcune criticità, segnalate sempre nel documento dell'OCSE, rispetto alle quali sono necessari interventi efficaci da parte del Governo.
  L'attenzione del Governo si concentra sul collegato ambientale, la cui elaborazione è stata piuttosto laboriosa, visto che – come ricorda lo stesso DEF – una prima versione era stata approvata a novembre 2013, ma che è arrivata formalmente alla Camera ben tre mesi dopo e la sua approvazione definitiva non arriverà prima dell'estate. Il provvedimento contiene alcune misure apprezzabili, ma non mancano le criticità, come lo slittamento degli obiettivi di raccolta differenziata.
  Nel paragrafo sulle emissioni vengono ricordate le misure adottate a partire dalla ratifica del Protocollo di Kyoto e il quadro attuativo del sistema di emission trading, ammettendo però che, sulla base delle proiezioni attuali, l'Italia non è in grado di rispettare gli impegni per il 2020 in assenza di misure supplementari.
  L'esigenza di ridurre i consumi energetici è determinata sia da ragioni economiche e strategiche (ridurre la dipendenza dall'energia importata), sia da ragioni ambientali (è necessario ridurre i consumi di combustibili fossili e l'emissione di sostanze nocive e/o climalteranti). Una delle strade da percorrere è, in tutta evidenza, quella dell'efficienza e, pur con molte incertezze, l'Italia ha mosso alcuni passi in questa direzione. Lo scorso anno è stata recepita la direttiva europea sull'efficienza Pag. 32

energetica, mentre con enorme ritardo si sta dando seguito alle indicazioni comunitarie sul rendimento energetico degli edifici. Con il decreto-legge n. 63 del 2013 è stata recepita la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica degli edifici, che ha anche introdotto l'attestato di prestazione energetica degli edifici. Nel DEF vengono ricordate anche le agevolazioni fiscali introdotte per incentivare gli interventi di riqualificazione energetica degli immobili, attualmente prorogate fino al 2014 (e con una riduzione al 50 per cento per l'anno successivo). L'ambizioso obiettivo del Governo è che, entro il 31 dicembre 2020, tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a «energia quasi zero». Difficile quantificare quel «quasi», ma l'impatto di questo risultato potrebbe essere ben poca cosa se si considera che, alla luce della sbandierata politica sul contenimento del consumo del suolo, che non ci saranno molte nuove costruzioni a partire dal 2021. Bisognerebbe avere la capacità di intervenire sul patrimonio edilizio esistente.
  Il Governo si impegna a rispettare la direttiva europea sull'efficienza energetica che chiede ai singoli Stati di riqualificare ogni anno, a partire dal 2014, il 3 per cento degli edifici di proprietà dell'amministrazione statale che superino i 500 mq. Al momento il Governo ha avviato solo il censimento.
  Sulle fonti rinnovabili il DEF si limita a fotografare il rinnovato quadro normativo in materia, evidenziando il raggiungimento del tetto di spesa degli incentivi per il fotovoltaico. Non bisogna dimenticare che il sistema incentivante presenta alcune distorsioni, come la possibilità di sottrarre suoli agricoli produttivi per l'installazione di impianti fotovoltaici a terra o la presenza di incentivi a fonti rinnovabili che presentano non poche criticità dal punto di vista ambientale e sanitario, come gli impianti a biogas e biomasse.
  Secondo le stime del Governo l'introduzione dell'AUA dovrebbe portare ad un risparmio di 160 milioni annui per le imprese, senza pregiudicare il livello di tutela. Ulteriori semplificazioni sono previste nel collegato ambientale, che prevede l'istituzione di una commissione unificata per le procedure VIA e VAS.
  Un'altra norma prevista dal collegato ambientale per incentivare gli acquisti verdi della pubblica amministrazione.
  Il DEF torna a parlare della questione ILVA, illustrando i provvedimento adottati dal Governo e approvati dal Parlamento per affrontare la gravissima crisi ambientale e sanitaria determinata dall'attività (non proprio rispettosa del quadro normativo) del più grande stabilimento siderurgico d'Europa a Taranto. La ricostruzione non evidenzia che l'intervento governativo era finalizzato soprattutto ad evitare che l'intervento della magistratura potesse causare problemi alla «continuità della produzione», intervenendo anche sui sequestri disposti dal GIP. Nel DEF 2013 l'argomento era stato affrontato con maggiore ottimismo e il paragrafo sul tema terminava con queste parole: «In seguito alle azioni poste in essere è stato accertato significativo miglioramento della qualità dell'aria nella città di Taranto e specificatamente nei quartieri più a ridosso dello stabilimento industriale dell'ILVA».
  Il DEF traccia un quadro sulla situazione della produzione e gestione dei rifiuti, evidenziando che – complice la crisi economica – si è assistito ad una riduzione della produzione e ad un aumento della raccolta differenziata, che si è assestata al 37,7 per cento a livello nazionale. Il dato è ben distante dagli obiettivi che aveva posto il legislatore e la soluzione individuata dal Governo è stata quella di spostare i termini, con buona pace delle amministrazioni virtuose che sono riuscite a raggiungere (e a superare) gli obiettivi di legge. Con un breve accenno si afferma l'intenzione di proseguire la strada dell'incenerimento e della termovalorizzazione dei rifiuti, presumibilmente anche attraverso la combustione nei cementifici.Pag. 33

  Più in dettaglio, si segnala che nel documento di economia e finanza 2014 si fissa a novembre 2014 una serie di importanti interventi in materia ambientale.
  Nell'ambito dell'azione «Una economia verde che protegge il suo territorio», risulta di significativa importanza gli interventi, entro tale data, finalizzati non solo al «censimento» ma soprattutto alla «realizzazione degli interventi di bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale». Stante la formulazione dell'impegno, desta perplessità che, nonostante il lungo tempo trascorso senza che i Siti di interesse nazionale (SIN) abbiano visto anche solo cominciare gli interventi di bonifica o ripristino ambientale, si assuma nel DEF 2014 un tale doveroso e gravoso impegno senza indicare priorità al riguardo, di fatto rappresentando una mera dichiarazione di intenti.
  Risulterebbe invece necessario, che gli interventi di riparazione ambientale fossero posti a carico dei soggetti che hanno causato le contaminazioni, all'esito di adeguata verifica ed istruttoria, e che, successivamente, a valle degli interventi di bonifica, siano promossi ed incentivati gli interventi di reindustrializzazione.
  Ancora nell'ambito della citata azione «Una economia verde che protegge il suo territorio», si fa riferimento alla costituzione di un fondo per la delocalizzazione di impianti industriali «pesanti» siti nei centri densamente abitati, sarebbe opportuno, tracciare dei criteri affinché tale dotazione impiantistica non debba insistere anche in altri luoghi caratterizzati da fragilità e complessità come quelli destinati alle produzioni alimentari nazionali di particolare pregio (così come, del pari, disposto in relazione al divieto di utilizzo di diserbanti).
  In relazione alla disamina del PAN (Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari) di cui al Decreto interministeriale del 22 gennaio 2014, si rileva la necessità che l'uso dei pesticidi venga interdetto laddove esso sia facilmente sostituibile attraverso pratiche di «sfalcio».
  In relazione alle misure contenute del DEF 2014 in materia di gestione dei rifiuti, si ritiene urgente che vengano emanati i decreti ministeriali in tema di preparazione al riutilizzo, ai sottoprodotti e alle materie prime seconde, così da rilanciare il riuso e il riciclo.
  Non risultano adeguate misure per il compostaggio domestico e di comunità nonostante quanto esposto nel documento (al netto delle disposizioni che riguardano il compost di qualità contenute nel collegato ambientale peraltro in attesa di essere approvate).
  Non possono essere pienamente condivise le valutazioni in ordine alla maggiore diffusione di sistemi di raccolta domiciliare e/o di tariffazione puntuale che non sono ancora presenti in maniera omogenea sul territorio nazionale, stante la insoddisfacente previsione normativa al riguardo legata alla tariffazione puntuale dei rifiuti prodotti.
  Al riguarda suscita dubbi affidare la definizione di un sistema di tariffe puntuali ad un gruppo di esperti che dovrebbe contribuire alla stesura di un regolamento del Ministero dell'Ambiente che calcoli il «..peso o [..] volume dei rifiuti conferiti dai singoli utenti».
  Suscita inoltre preoccupazione il previsto differimento dei termini di RD in relazione al raggiungimento del 65 per cento, stante la disomogeneità dei risultati raggiunti sul territorio nazionale. Si tratta di un differimento che complica il raggiungimento degli obiettivi di riciclo previsti dalla legislazione comunitaria.
  In relazione alla disposizione avente ad oggetto una rete integrata e adeguata di impianti di incenerimento, il Governo pare, ancora una volta, presumere, prima ancora dell'attività di ricognizione, la necessità di un fabbisogno supplementare di inceneritori in relazione ad esigenze, peraltro, poste in capo alle regioni dall'articolo 196 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
  In relazione al decreto-legge 136/2013 cd «Terra dei Fuochi», pur segnalandosi il passo avanti compiuto sotto il profilo penale attraverso l'introduzione del reato di combustione illecita di rifiuti, va segnalata Pag. 34

le necessità di una rapida approvazione del ben più organico intervento in tema di delitti ambientali di cui all'AS 1345 ulteriormente migliorabile nei suoi contenuti.
  In relazione alla riduzione delle procedure di infrazione in materia ambientale va raccomandato, in ogni caso, un controllo più efficace degli atti normativi comunitari in fase «ascendente» affinché la normativa comunitaria di imminente adozione non possa risultare in contrasto con discipline statali che eventualmente garantiscano migliori standard ambientali.
  In tema di Fonti Rinnovabili di cui al Target 5, il Governo ha riconosciuto testualmente che «..si è registrato, [..] che le pianificazioni regionali contengono obiettivi di produzione di energia da fonte rinnovabile più ambiziosi di quelli assegnati dal DM 15 marzo 2012» e che a tal fine «..sono state adottate ulteriori discipline mirate a regolamentare, rendere uniformi e semplificare le procedure regionali relative alle autorizzazioni per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia».
  Al riguardo non si può condividere la proposizione secondo cui «..pur intendendo investire nell’ utilizzo di fonti di energia rinnovabile, le Regioni hanno affinato l'impianto normativo nell'ottica di preservare il territorio da soluzioni invasive», in considerazione dei significativi impatti sull'ambiente e sulla salute sofferti dalle popolazioni residenti in relazione a determinati impianti a biomasse, proliferanti a seguito di distorcenti regimi incentivanti.
  Probabilmente il paragrafo sul SISTRI è stato scritto in tempi non sospetti e nessuno ha pensato di aggiornare una descrizione quasi idilliaca di un sistema di tracciabilità di rifiuti che, secondo il DEF, sarebbe ormai in dirittura d'arrivo (dopo soli otto anni dalla sua istituzione). Nella realtà la situazione è ben diversa e l'affidamento del servizio è oggetto di un'indagine della magistratura con varie ipotesi di reato: associazione per delinquere, corruzione, favoreggiamento reale, truffa, riciclaggio e altri delitti in materia tributaria. Lo stesso Governo, rispondendo ad un'interrogazione del MoVimento 5 Stelle, valuta l'ipotesi di recessione dal contratto. Per la tracciabilità dei rifiuti ci vorrà ancora tempo.
  Anche il paragrafo sulla prevenzione dei rifiuti è un elenco di buone intenzioni, con alcune indicazioni percentuali di riduzione dei rifiuti da conseguire entro il 2010, anche attraverso la sinergia con le misure del Green Public Procurement previste dal collegato alla legge di stabilità. È evidente che il Governo dovrà predisporre anche delle misure concrete per raggiungere i risultati annunciati.
  Per quanto riguarda gli investimenti relativi al servizio idrico integrato «L'Autorità per l'energia, il gas e il sistema idrico ha avviato un'indagine conoscitiva in merito e attraverso la regolazione tariffaria ha introdotto meccanismi in grado di favorire investimenti necessari ad assicurare standard richiesti dalla normativa. L'esclusione dal Patto di stabilità per gli investimenti è un'ipotesi tutta da esaminare ma che mi sento di condividere, perché è un obiettivo di salute pubblica prioritario e potrebbe consentire una ripartenza degli investimenti in contrasto alla crisi».
  Quello che vogliamo aggiungere è che ora però questi investimenti vengano veramente fatti e ai cittadini venga veramente data la corretta informazione come loro diritto !
  Il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l'accesso all'acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, di conseguenza la sua gestione va attuata attraverso gli artt. 31 e 114 del D.Lgs. 267/2000; in quest'ottica il Governo e questo parlamento devono prendere in carico questa questione con la massima solerzia e non attraverso un'Authority che si è sempre occupata d'altro e che è espressione degli interessi del mercato e non dei cittadini. L'AEEGSI, che viene nel DEF definita come la panacea di tutti i mali ha, invece, fallito il suo mandato e non ha tenuto in considerazione «la tutela di utenti e consumatori» e quanto da loro Pag. 35

espresso con il Referendum del 12 e 13 giugno 2011. Grave è che nelle pieghe dei vari decreti che si sono susseguiti in questi anni, dal «Salva Italia» di Monti al «Destinazione Italia» di Letta, si sia voluto deliberate su un nodo ancora irrisolto relativo alla tariffazione del servizio idrico integrato, come se fosse argomento su cui legiferare così, di passaggio, senza prestarvi la giusta attenzione che meriterebbe delegandolo ad un’ Authority sottraendosi così dall'importante responsabilità cui il referendum ci aveva richiamato tutti, fuori e dentro i cosiddetti palazzi della politica.
  Il servizio idrico integrato ha prevalenti finalità sociali e ambientali, e la sua gestione infatti deve garantire non solo un diritto essenziale alla vita come quello all'acqua ed alla sua qualità ma anche un uso efficiente della risorsa, la garanzia del diritto alla salute dei cittadini e la preservazione e tutela dell'ambiente. In particolare si deve escludere ogni possibilità di lucro nella gestione del Servizio idrico integrato e deve essere quindi gestito tramite Enti di diritto pubblico.
  Nel DEF si fa riferimento all'istituzione della tariffa sociale nel servizio idrico integrato, prevista all'interno del Collegato Ambientale e che secondo il Governo andrebbe a rendere effettivo l'obiettivo di rafforzare la natura «pubblica» della risorsa acqua e di conseguenza dare attuazione all'esito referendario. La tariffa sociale è una questione di assoluta rilevanza soprattutto in questo momento di crisi economica e occupazionale, ma la sua copertura viene individuata in una nuova componente tariffaria appositamente creata che farà aumentare ulteriormente le bollette, gravando ancora una volta sui cittadini invece che su quelli che fin ora hanno fatto profitti sull'acqua. Il pieno rispetto e la reale attuazione dell'esito referendario ci sarà con l'approdo ad una vera gestione pubblica e partecipativa dell'acqua, dando uno spazio reale ai cittadini nella gestione dei beni comuni ed eliminando definitivamente la quota di remunerazione del capitale investito dalla tariffa, quota che nel dicembre 2012 l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas ha fatto rientrare dalla finestra come oneri finanziari, fallendo completamente il compito affidatole.
  In materia di territorio il DEF illustra la norma introdotta nella legge di stabilità 2014 per sbloccare 600 milioni di euro per i progetti immediatamente cantierabili per la messa in sicurezza del territorio, a cui vanno aggiunti altri 204 milioni di euro stanziati dal CIPE. In un box viene descritta la strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici, che il Governo si impegna ad adottare con un piano nazionale entro giugno 2014.
  Sul consumo di suolo l'attenzione del DEF si pone sul disegno di legge presentato dal Governo (dopo una lunghissima gestazione) e che è il testo base sul quale si è avviata la discussione nelle commissioni congiunte ambiente e agricoltura. A differenza della stragrande maggioranza degli impegni del Governo, sul consumo di suolo manca una data entro la quale si ritiene che il provvedimento verrà approvato.
  Il Governo esprime soddisfazione per la riduzione delle procedure comunitarie d'infrazione a carico dell'Italia in materia ambientale. Il documento omette di dire che, ad oggi, le procedure in campo ambientale sono 22, un numero decisamente ragguardevole (Fonte: Dipartimento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri).
  Quello della semplificazione è sempre stato un cavallo di battaglia di tutti i governi che si sono succeduti e spesso, purtroppo, la semplificazione comporta una riduzione delle garanzie di tutela ambientale e di rispetto della legalità. Non a caso l'impetuosa azione «semplificatrice» dei governi Berlusconi ha portato all'allentamento delle maglie in alcuni settori chiave, come quelli dell'urbanistica e dell'edilizia ed è difficile pensare che, dopo i vari condoni, le DIA, le superDIA, le SCIA e il continuo gioco al rialzo delle semplificazioni, possa portare a qualcosa che non sia la deregulation totale. Resta il fatto che anche Renzi non si è sottratto all'esigenza di nuovi annunci di sburocratizzazione nel settore dell'edilizia (in parte Pag. 36

riportando le norme di alcuni provvedimenti del Governo Letta, come il decreto «Fare»), in campo ambientale – ancora con riferimento al decreto «Fare» e alle semplificazioni introdotte in tema di bonifiche, terre e rocce da scavo, materiali da riporto, emissioni in atmosfera, ecc – e sulla tutela del paesaggio, con la modifica del codice dei beni culturali in materia di autorizzazione paesaggistica (sempre con il decreto «Fare»).
  Anche sul tema degli appalti si esprime un'ulteriore esigenza di semplificazione, con l'obiettivo di migliorare l'efficienza e la competitività, ma senza considerare che i costi degli appalti – in assenza di un quadro normativo sufficientemente rigoroso – rischiano di salire molto di più di quanto non faccia risparmiare la semplificazione, con una sostanziale legittimazione di sistemi clientelari, poco attenti alle esigenze e agli interessi della collettività.

Agenda Digitale.

  In termini generali dal DEF e dai suoi allegati emerge il sostanziale disinteresse del Governo verso le tematiche del digitale nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi Europa 2020. Le iniziative sull'Agenda digitale non fanno parte né delle «proposte strutturali», né delle «misure immediate» proposte dall'esecutivo che sembra voler proseguire le fallimentari politiche seguite dai propri predecessori sia in termini di governance che in termini di risorse (insufficienti) disponibili per la realizzazione dell'Agenda digitale italiana in sintonia con gli obiettivi proposti a livello europeo.
  Quanto alla governance appare evidente la continuità con le gestioni passate nel fallimentare dialogo tra più soggetti coinvolti: cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (organismo di cui non si conoscono criteri e modalità di selezione dei componenti e soprattutto risultati prodotti dalla sua istituzione); Agenzia per l'Italia Digitale (Agid) che ha iniziato ad operare da qualche mese in considerazione dell'attesa di oltre un anno per l'emanazione dello statuto della stessa, Ministero dello Sviluppo economico, regioni e altri enti quali Consip che giocano un ruolo centrale nell'attuazione degli obiettivi dell'agenda digitale. Bisogna spingere sulla semplificazione dei ruoli e delle competenze per una rapida attuazione dell'agenda e tale obiettivo appare sconosciuto al DEF che si limita ad una ricognizione del fallimentare stato dell'arte.
  Quanto agli investimenti il quadro appare frammentario e francamente sconfortante. Si annunciano gare di Consip per 10 miliardi destinati alla digitalizzazione della PA (su cui ci si soffermerà oltre) ma non si indica da quali fonti si libereranno tali risorse; è apprezzabile sicuramente l'intendimento del Governo di inserire la digitalizzazione del Paese tra gli obiettivi tematici per la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 ma al momento non è dato avere evidenza di come si intendono modulare e destinare tali fondi; ancora insufficienti appaiono le risorse destinate per il «Piano nazionale Banda Larga» (appena 120 milioni nel 2014) mentre sconcertante appare la posizione assunta sul «Piano Strategico Banda Ultralarga» rispetto al quale, considerando il fallimentare avvio nel 2013 (si veda la situazione della Basilicata rispetto alla quale, come rilevato dal Governo, non sono state presentate offerte di cofinanziamento da parte di privati) è necessario un deciso cambio di rotta intensificando l'intervento pubblico e disponendo, senza deroghe, la proprietà pubblica delle infrastrutture realizzate. Risorse addizionali potranno derivare dall'allocazione dei fondi nell'ambito del programma europeo per le reti TEN-T, come indicato nel Programma delle Infrastrutture strategiche del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, nell'ambito del quale è destinato 1 miliardo complessivo per le infrastrutture di comunicazione, anche in questo caso sarà necessario coordinare gli interventi con quanto già in essere e nel DEF non vi è traccia alcuna di un possibile coordinamento.
  Sugli interventi di digitalizzazione dell'amministrazione pubblica, che viene individuata Pag. 37

come misura incisiva anche ai fini della Spending Review, nel DEF si riconosce la necessità di accelerare l'amministrazione digitale rimuovendo gli ostacoli all'utilizzo dei sistemi digitali nei rapporti tra cittadini e imprese e PA e si affida tale «accelerazione» ad un «piano d'azione» al momento sconosciuto nei termini e nelle risorse che saranno messe a disposizione per conseguire gli obiettivi perseguiti. Anche tale aspetto che desta perplessità, infatti si individuano come risparmi di spesa interventi che ancora non si conoscono. Si tratta di un'impostazione sbagliata: la digitalizzazione richiede risorse, che allo stato non sono preventivate, e solo nel medio-lungo periodo è in grado di far conseguire risparmi anche significativi. Insomma un'altra, l'ennesima, proposta dal sapore propagandistico. Dalla lettura del DEF sembra che le azioni si dovrebbero concentrare su: 1) anagrafe digitale dei cittadini italiani; 2) identità digitale e attuazione delle norme sulla fatturazione elettronica. Niente di nuovo dunque, se non riferimenti dal sapore propagandistico all'utilizzo di open data e al riuso di dati pubblici (temi sui quali il Codice dell'Amministrazione digitale offre già da tempo un avanzato sostrato normativo). Interventi solo prospettati che, senza evidenza sulle risorse che saranno impegnate a questi fini, rischiano di rimanere sulla carta come tanti interventi prospettati in questi anni in tema di digitalizzazione delle PP.AA. centrali e locali.

Trasporti, poste e infrastrutture.

   Nel DEF 2014, il cronoprogramma delle riforme relativo alle infrastrutture contenuto nel documento risulta di difficile applicazione. Risulta, ad esempio, infatti difficilmente credibile l'approvazione entro il mese corrente del piano aeroporti piuttosto che la trasmissione alle Camere di una Proposta di riforma dell'offerta portuale o ancora l'approvazione della proposta di riforma del CIPE. Altrettanto irrealistica è la tempistica relativa all’Open Data, digitalizzazione e semplificazione della PA da effettuare, secondo cronoprogramma, entro maggio 2014.
  Per superare i limiti di finanza pubblica e far fronte alla realizzazione di opere infrastrutturali il Governo intende assicurare un maggior coinvolgimento del capitale privato, anche internazionale, nella realizzazione di tali opere. Una implementazione del modello di Partenariato Pubblico Privato avrebbe certamente come conseguenza diretta l'immediata cantierizzazione di nuove opere anche di piccola o media grandezza senza però adeguate garanzie per quanto concerne la realizzazione definitiva delle opere e la loro gestione. Spesso, infatti, gli interlocutori privilegiati di tali accordi sono società di costruzioni con scarse capacità gestionali nonché finalizzate al mero lucro e non alla valorizzazione culturale e sociale del patrimonio.
  Seppur condivisibile la necessità espressa nel documento da parte del Governo di provvedere ad una rilettura di tutti gli interventi che, pur approvati prima del 2010, sono ancora fermi nella fase procedurale, non si condividono le finalità ove si afferma che non è intenzione dell'esecutivo annullare la strategicità dei singoli interventi provvedendo, bensì, ad una sola rimodulazione temporale delle risorse senza compromettere l'avvio delle opere stesse.
  Pur condividendo la volontà espressa dal Governo di aprire ad un dialogo con le popolazioni interessate dalla realizzazione di nuove infrastrutture, si nutrono forti dubbi sui meccanismi che caratterizzeranno tali consultazioni pubbliche e nello specifico sull'ipotesi che eventuali esiti negativi possano condurre ad una deresponsabilizzazione ed estromissione delle istituzioni locali anziché ad una rinuncia nella realizzazione dell'opera.
  Sempre nell'ambito dell'iter di approvazione dei progetti preliminari, risulta non del tutto condivisibile l'ipotesi di riforma del Comitato per la Programmazione Economica avanzata dal Governo che potrebbe, così come strutturata, recare nocumento al patto di stabilità interno ove si prevede che qualora il progetto definitivo Pag. 38

comporti oneri aggiuntivi, quest'ultimo venga non più sottoposto all'approvazione da parte del Cipe, bensì del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze.
  Nella Tabella 0 dell'allegato infrastrutture sono ancora inserite una serie di opere infrastrutturali concentrate al Centro-Nord che risultano un evidente spreco di risorse e sarebbero invece da bloccare o, quantomeno, declassare.
  Si tratta per lo più di grandi assi viari che attraversano più regioni, come l'autostrada Cecina-Civitavecchia cosiddetta tirrenica, l'autostrada Orte-Mestre, E78 cosiddetta autostrada dei due mari, il raccordo autostradale della Cisa A15 – Autostrada del Brennero A22 Fontevivo (PR) – Nogarole Rocca (VR). In altri casi si tratta di autostrade o strade che, pur ricadenti nell'ambito di una sola regione, si presume siano di straordinaria importanza nel collegamento tra due o più tratte di maggiore rilievo come la Pedemontana veneta – Montecchio Maggiore (VI) – Spresiano (TV); la Pedemontana Lombarda: collegamento autostradale Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo ed opere ad esso connesse; il collegamento autostradale di connessione tra le città di Milano e Brescia (BreBeMi); il collegamento tra la S.S. n. 11 «Padana Superiore» a Magenta e la Tangenziale Ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede del tratto della S.S. n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo Ponte sul Ticino; il collegamento stradale, in variante alla S.S. 341 «Gallaratese», tra Samarate ed il confine con la provincia di Novara; il raccordo autostradale di collegamento della SP 46 «Rho-Pero» e della SS 33 del Sempione (Realizzazione di un asse principale di collegamento congiuntamente ad un sistema di 6 svincoli di interconnessione con la tangenziale ovest di Milano, l'autostrada A4 Torino-Venezia, l'autostrada A8 per Como-Varese, il nuovo polo fieristico ed il sistema della viabilità locale); la tangenziale est esterna di Milano; la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo e opere connesse; l'autostrada Medio Padana Veneta-Nogara (VR)- mare Adriatico e collegamento a ovest con la A22 del Brennero. Non solo queste opere risultano confermare la loro presenza all'interno dell'allegato infrastrutture ma ricevono un'ulteriore spinta con la modifica della loro classificazione e il loro ricadere all'interno del comprehensive network o grazie al «lasciapassare» Expo, venendo ricomprese all'interno di opere destinate ad agevolare l'accessibilità stradale alla Fiera di Milano.
  Nella maggior parte di questi casi si tratta di veri e propri ecomostri inutili o dannosi che tolgono attenzione e fondi pubblici ad altre infrastrutture del territorio che invece dovrebbero avere la priorità. La loro inutilità è a volte mascherata da errati studi di fattibilità sul traffico o da progetti vecchi anche di decine di anni e non rispondenti più alle esigenze del territorio e ai cambiamenti avvenuti nella viabilità. Inoltre sono spesso realizzate con il «bluff» del project financing: si propagandano come opere con scarsi o nulli costi pubblici ma che poi nei fatti sono un doppio esborso per i cittadini con grande guadagno dei concessionari. Non solo infatti viene deliberato un aumento delle tariffe autostradali ma poi spesso accade che i piani finanziari non siano in equilibrio e necessitino di un contributo statale come accade ad esempio per suddetto raccordo autostradale della Cisa.
  Ancora più preoccupanti risultano poi una serie di opere ferroviarie per la realizzazione della rete ad alta velocità quali il Terzo valico dei Giovi linea AV/AC Milano-Genova; linea AV/AC Milano-Verona; collegamento ferroviario AV/AC con l'aeroporto Marco Polo di Venezia nonché le tratte di collegamento ferroviario AV/AC Venezia – Trieste aeroporto Marco Polo – Portogruaro; Portogruaro-Ronchi dei Legionari, Ronchi dei Legionari-Trieste; il sottoattraversamento Alta velocità Firenze; Frejus ferroviario – Nuovo collegamento ferroviario Transalpino Torino-Lione. Si tratta di opere che richiedono consistenti fondi pubblici ma che, oltre all'evidente danno ambientale, rischiano di rivelarsi fallimentari dal punto di vista economico dato che, come nel caso, ad Pag. 39

esempio, del Tav Torino Lione o dell’ Asse Venezia-Trieste, le linee storiche non risultano sature e le proiezioni non indicano neppure una crescita della domanda tale da giustificare tali investimenti.
  Per quanto concerne il settore ferroviario, sorgono dubbi sulla reale intenzione del governo di favorire una seria liberalizzazione di tutti i segmenti del mercato ferroviario, nonché una rivisitazione della governance del settore. Perplessità, tra le altre cose, derivanti anche dalla proposta di revisione delle procedure di approvazione dei contratti di programma sia di RFI che di ANAS. Secondo le intenzioni del Governo, suddetti contratti non dovrebbero più passare per il vaglio delle competenti commissioni parlamentari durante le fasi di stesura degli stessi (se non per conoscenza una volta approvati definitivamente dal CIPE) e dovrebbero essere redatti direttamente rispettivamente dal Gruppo Ferrovie dello Stato e Anas, seppur nel rispetto di quanto contenuto negli atti di indirizzo elaborati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, riducendo, così, di fatto, la capacità di controllo, supervisione e i poteri di indirizzo del Governo e del Parlamento.
  Sempre nel settore ferroviario, risulta assolutamente non condivisibile l'intenzione del Governo di privatizzare Grandi stazioni Spa e Cento Stazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato, chiamate a riqualificare, valorizzare e gestire rispettivamente le quattordici principali stazioni Italia e 103 stazioni ferroviarie situate nelle grandi aree urbane.
  Per quanto riguarda il settore stradale, tra le altre criticità, si segnala l'assenza di qualsiasi riferimento al sistema eCall di bordo.
  Nel documento in esame risultano del tutto assenti investimenti e interventi volti a favorire gli spostamenti su ferro, anziché su gomma, da e per i nodi intermodali.
  Seppur condividendo la volontà di superare la logica delle 24 autorità portuali, si ritiene necessario pensare anche ad una riforma del sistema di nomina delle stesse al fine di garantire trasparenza nelle procedure di selezione e maggiore competenza nella gestione.
  Appare del tutto sconveniente e non in linea con l'esito referendario del 2011, l'intenzione di liberalizzare e aprire alle potenzialità del mercato i servizi pubblici locali, tra i quali, anche il trasporto.

Attività produttive.

  Il documento incentra la sua azione sul taglio del cuneo fiscale. Il Governo punta a ridurre l'Irap di almeno il 10 per cento attraverso il contemporaneo aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Raddoppia al 26 per cento l'imposta sulle plusvalenze delle quote Bankitalia: sarebbe l'asso del governo per raggiungere i 6,6 miliardi per tagliare il cuneo. L'imposta era stata decisa con il decreto del Governo di Enrico Letta che ridisegnava l'azionariato di via Nazionale. Inizialmente la tassazione era prevista al 16 per cento ma dopo un'aspra discussione parlamentare si era arrivati ad un'imposta del 12 per cento. Questo avrebbe reso circa 1,2 miliardi. Ora il Governo Renzi aumenta l'imposta tra il 24-26 per cento raddoppiando di fatto l'incasso che arriverebbe a 2,4 miliardi. Il provvedimento sarà presentato venerdì 18 aprile.
  Sarebbe opportuno prevedere una esenzione Irap per le microimprese e definire per sempre la controversia Irap-professionisti. Il Governo si attende un forte stimolo alla crescita dal taglio del cuneo fiscale (più di mezzo di punto di PIL a regime). Ma gli effetti espansivi di questa misura sono strettamente legati a come verrà attuata la riduzione del cuneo. In particolare conta se verrà percepita come permanente o temporanea (e il dubbio è legittimo dato che siamo in campagna elettorale) dalle famiglie. Il Governo si è a più riprese impegnato a trovare fin da subito coperture strutturali ma sin qui nelle conferenze stampa si è fatto riferimento soprattutto a provvedimenti che non sono strutturali, quali la tassazione al 26 per cento (anziché al 12 per cento) delle plusvalenze sull'operazione quote bankitalia Pag. 40

(un'operazione tra l'altro a rischio infrazione), l'IVA sui pagamenti dei debiti della PA (che anticipa al 2014 entrate già previste nel 2015) e la regolarizzazione e rimpatrio dei capitali dall'estero.
  Inoltre il Governo incentra la sua azione per rilanciare la competitività sul rilancio degli investimenti delle imprese, con particolare riguardo a quelli in ricerca, sviluppo e innovazione, potenziando il credito di imposta alla ricerca e quello sull'assunzione di ricercatori (dottorati industriali) e le misure di facilitazione al rinnovo degli impianti produttivi come la nuova Sabatini. Rafforzamento di 670 milioni del Fondo Centrale di Garanzia per il credito alle piccole e medie imprese nel 2014 e complessivamente oltre 2 miliardi nel triennio rendendo pienamente operative le misure di facilitazione all'accesso alla garanzia pubblica già intraprese.
  Resta in piedi l'annoso problema dell'accesso al credito attraverso il ricorso al mercato ( minibond, cambiali finanziarie), semplificazione e valorizzazione del Made in Italy.
  Siamo però in presenza di mere dichiarazioni d'intenti, a parte quello già approvato in materia di impresa ed investimenti, nei quali attendiamo ancora i decreti attuativi.
  Gli esecutivi precedenti presieduti da Enrico Letta e Mario Monti, hanno lasciato in sospeso circa 513 decreti attuativi di cui 169 già scaduti (79 risalenti a Mario Monti e 70 risalenti ad Enrico Letta) ancora da adottare per rendere pienamente efficace le riforme fondamentali per il rilancio dell'economia e della crescita. Nel Destinazione Italia restano da fare 39 decreti attuativi, tra questi: il decreto per la rimodulazione degli incentivi alle rinnovabili, il decreto per l'operatività dell'apertura di un credito d'imposta per imprese che innovano, il decreto per decidere l'ammontare da destinare al cosiddetto «bonus librai» e un altro per le modalità attuative, e ancora, quello per individuare le modalità per compensare le cartelle esattoriali a favore delle imprese titolari di crediti della pubblica amministrazione. Molti di questi sono di competenza del MISE. Il piano nazionale delle zone a burocrazia zero è bloccato.
  Sul Made in Italy ancora si attende l'adozione dei decreti applicavi dell'articolo 16 del decreto-legge 135/2009.
  Sul piano industriale, inoltre, il Governo non indica i settori dove investire.
  Nel settore del turismo in questi 20 anni tutto si è enunciato ma poco attuato. Il Governo precedente aveva annunciato un decreto-legge sul rilancio del turismo, ma è restato solo un annuncio.
  Il Governo elenca dei buoni propositi per il turismo tutte condivisibili, ma i tempi entro ottobre 2014 non sono chiari, nel senso che non vi è una programmaticità e non viene indicato cosa approvare subito per il rilancio del turismo.
  Gli sgravi fiscali sarebbero opportuni ora visto che stiamo alle porte della stagione estiva per dare uno slancio ai consumi sul settore turistico che sente fortemente la crisi.
  In sostanza il Governo doveva indicare un cronoprogramma puntuale e preciso, e non lo ha fatto.
  Il documento sottolinea che negli anni della crisi la spesa per investimenti è crollata. Si fa presente che l'incremento degli investimenti pubblici, materiali e immateriali (ed una maggiore qualità ed efficacia della spesa), implica più innovazione, produttività e sviluppo. Nei prossimi sette anni, l'Unione europea e l'Italia mettono a disposizione nuove risorse per oltre 100 miliardi di euro (Fondi europei e cofinanziamento nazionale, Fondo di Sviluppo e Coesione). Queste risorse sono fondamentali per lo sviluppo del Paese, in particolare per il Mezzogiorno. I prossimi mesi sono perciò cruciali per completare rapidamente la definizione delle priorità e allocare le risorse europee da programmare attraverso l'Accordo di Partenariato e i Programmi Operativi, una volta approvati dalla Commissione europea. La spesa dei fondi europei interverrà per rilanciare la competitività del Paese, in particolare attraverso più innovazione e internazionalizzazione per le PMI, e per sostenere l'occupazione, senza trascurare le sfide della coesione sociale.Pag. 41

  L'uso efficiente dei Fondi europei è importante per la crescita del Mezzogiorno d'Italia, ma è altresì importante rinnovare l'Amministrazione pubblica in tutti quei settori coinvolti nella progettazione europea. Inoltre non è stata data notizie del ruolo dell'Agenzia di coesione nei processi di attuazione, nonché del ruolo e le competenze delle 120 unità che verranno assunte.
  Per ciò che concerne il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione il Governo intende impiegare risorse per ulteriori 13 miliardi da aggiungere ai precedenti 47 già stanziati per lo sblocco immediato e totale dei pagamenti dei debiti commerciali della P.A.. Ciò non basta, a questi ultimi si deve necessariamente accompagnare la definizione di un meccanismo permanente atto a consentire di uscire stabilmente dall'emergenza allineando le procedure di pagamento agli standard delle direttive europee.
  Il documento non è per nulla esaustivo riguardo il pagamento debiti PA, visto che in Italia un'impresa su tre chiude perché lo Stato non onora i debiti con le imprese. L'UE rischia di aprire una procedura d'infrazione all'Italia. Nel documento il Governo doveva indicare un provvedimento urgente ed immediato per sbloccare i pagamenti della P.A..
  Il documento ha dedicato, purtroppo solo come buoni propositi, senza indicare le linee guida per le Regioni, un capitolo alla valorizzazione delle diversità, usando fondi europei e attuando gli accordi di programma, per la crescita del nostro Paese passando attraverso la rivalutazione dei piccoli centri legate alle risorse naturali, culturali e storiche.
  Sulla Banda larga vi è un'assenza di una regia nazionale con il compito di coordinare e guidare l'attuazione delle azioni relative alla digitalizzazione e l'assenza di indicazioni sui processi in corso o le azioni da adottare a livello nazionale.
  Per ciò che concerne gli incentivi alle imprese manca un piano di investimenti organico che fermi la fuga di capitali italiani all'Estero.
  Inoltre il documento non indica i settori sui quali servono norme sulla concorrenza: Notai, Assicurazioni, Banche .
  Il Governo non ha mai adottato il provvedimento sulla concorrenza come stabilito dalla legge n. 99/2009.

Energia.

   Il Governo nel DEF 2014 dichiara di raggiungere gli obiettivi europei in tema di efficienza energetica tramite il recepimento direttiva sull'efficienza energetica, l'introduzione dell'attestato di prestazioni energetiche, l'innalzamento dal 55 per cento al 65 per cento delle detrazioni fiscali spettanti per le spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici, i finanziamenti per la green economy.
  Il Governo deve indirizzare le sue politiche sull'efficienza energetica, prevedendo degli sconti per gli utenti domestici che risparmiano energia.
  Nel DEF si fa riferimento a 6 miliardi di tagli provenienti dalla spending review. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF si è invece parlato di 4,5 miliardi che andrebbero a finanziare l'operazione sul cuneo. In attesa di sapere in che cosa consistano questi tagli, viene da chiedersi se questi 6 (o 4,5) miliardi comprendano i 3 miliardi già contemplati dal Governo precedente, di cui all'audizione del Commissario Cottarelli alla Commissione Bilancio della Camera o siano aggiuntivi rispetto a questi. La domanda è importante per capire la fattibilità dei tagli. Secondo il commissario negli otto (ormai 7) mesi residui, i tagli tecnicamente fattibili non supererebbero i 3 miliardi da aggiungersi ai 3 già preventivati, per un totale, dunque di 6 miliardi. E non ci risulta che i provvedimenti (i tagli si fanno per lo più per legge non per semplice atto amministrativo) siano stati scritti.
  Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa si è impegnato ad assegnare gli 80 euro al mese in busta paga da maggio anche ai cosiddetti incapienti. Questo Pag. 42

fa salire il costo dell'operazione di 4 miliardi (1000 euro per 4 milioni di incapienti) rispetto ai 10 preventivati. Eppure il Governo (e il DEF) continuano a fare riferimento a 6,6 miliardi da coprire nel 2014 (dovrebbero essere più di 9 applicando pro-quota agli ultimi 8 mesi il bonus di 80 euro per un costo annuale di 14 miliardi). O forse si pensa di dare agli incapienti meno di 80 euro a testa ?
  Il Governo si attende un forte stimolo alla crescita dal taglio del cuneo fiscale (più di mezzo di punto di PIL a regime). Ma gli effetti espansivi di questa misura sono strettamente legati a come verrà attuata la riduzione del cuneo. In particolare conta se verrà percepita come permanente o temporanea (e il dubbio è legittimo dato che siamo in campagna elettorale) dalle famiglie. Il Governo si è a più riprese impegnato a trovare fin da subito coperture strutturali ma sin qui nelle conferenze stampa si è fatto riferimento soprattutto a provvedimenti che non sono strutturali, quali la tassazione al 26 per cento (anziché al 12 per cento) delle plusvalenze sull'operazione quote bankitalia (un'operazione tra l'altro a rischio infrazione), l'IVA sui pagamenti dei debiti della PA (che anticipa al 2014 entrate già previste nel 2015) e la regolarizzazione e rimpatrio dei capitali dall'estero.
  Le riforme strutturali sono fondamentali per rilanciare la crescita se non nell'immediato nel giro di qualche anno e per guadagnarsi margini di manovra a Bruxelles. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF il Presidente del Consiglio ha sostenuto di aver rispettato l'impegno di riformare il mercato del lavoro a marzo e nel DEF in effetti si sostiene che la riforma volta a «rendere i contratti a termine più coerenti con le esigenze dell'attuale contesto occupazionale» è già stata fatta a marzo. Viene perciò da chiedersi se il jobs act consista unicamente nel decreto che liberalizza i contratti a tempo determinato. Un'altra possibilità è che lo scadenzario riguardi la data in cui i provvedimenti vengono approvati dal governo anziché la data in cui entrano in vigore.

Lavoro.

  Nel documento in esame il Governo dichiara di voler porre in essere «una riforma organica del mercato del lavoro tesa a realizzare una effettiva razionalizzazione dei meccanismi di assunzione nonché rinnovare e rendere più efficiente il sistema degli ammortizzatori sociali».
  Il documento in esame, anche per quanto riguarda il fondamentale tema del lavoro in Italia, nonostante le attese, è in continuità con la linea di politica economica dominante nell'euro-zona e seguita anche in Italia: la via della salvezza continua a essere perseguita attraverso l'austerità e la svalutazione del lavoro (vedi, da ultimo, il decreto-legge lavoro e il disegno di legge delega sul lavoro).
  Nel Documento di economia e finanza, si fa riferimento ad un poco chiaro riordino delle forme contrattuali, demandato ad un disegno di legge delega, ciò che preoccupa è di quale genere di riordino si tratti. Quel che è certo è che, invece, nel decreto legge 34/2014, attualmente in fase di conversione, nulla si intravede in relazione all'avvio di un percorso finalizzato alla progressiva eliminazione di quelle forme contrattuali fondate sulla precarietà, che tanto disagio hanno generato in Italia negli ultimi anni. Viceversa viene estesa da 12 a 36 mesi la durata massima del contratto a tempo determinato ove non è più richiesto che il datore di lavoro indichi le ragioni che giustifichino l'apposizione di una data di fine contratto (c.d causalità). Ciò che la storia ci insegna è che la Legge Biagi avrebbe dovuto condurre il mercato del lavoro italiano verso la flex security, il risultato, davanti agli occhi di tutti, è stato il fallimento di ogni strategia legata a quei modelli, che si sono, viceversa, rivelati inadatti al nostro paese ed al nostro tessuto socio-economico, quantomeno nelle forme distorte in cui essi sono stati applicati laddove si è alimentata la flessibilità senza che essa sia stata sostenuta da adeguate forme di welfare e politiche attive del lavoro.Pag. 43

  Alla luce di ciò il mercato del lavoro, con particolare riferimento a quello giovanile, è divenuto il luogo della strumentalizzazione, in quanto basato sull'equivoco della parasubordinazione, la quale non è stata altro che il paravento dietro il quale si sono celate le più perverse e sottili forme di sfruttamento e disallineamento retributivo e contributivo. Per questi motivi occorre individuare forme contrattuali che remunerino la precarietà ed attribuiscano ai titolari di contratti «precari» indennità superiori che scontino la detta condizione di lavoro precaria.
  Altresì è necessario tracciare una nuova strada, nell'ambito della quale, a fianco al contratto a tempo indeterminato da intendersi quale forma comune e privilegiata di rapporto, venga restituito il giusto significato e spazio al contratto a tempo determinato, in quanto strumento che dovrà rispondere alle esigenze di reale temporalità senza lasciare spazio ad ambiguità di sorta.
  Pertanto la durata di un contratto a tempo determinato dovrà essere fissata sulla base di condizioni oggettive, in modo tale che la data di conclusione del rapporto contrattuale corrisponda ad esempio con la fine dello svolgimento di un compito particolare o di un determinato evento per una durata massima di due anni,così rispondendo realmente alle esigenze di flessibilità, ma nel rispetto di tutti quei paletti utili a porre freno al generarsi di precarietà.
  Inoltre, al fine di soddisfare le particolari esigenze, ogni pur legittima ulteriore ipotesi legata alla stagionalità o al bisogno temporaneo, come nel caso dei contratti a chiamata, dovrà assumere il carattere della residualità e dovrà in ogni caso essere sottoposta a controlli ispettivi capillari rispetto ai requisiti di fattibilità del rapporto contrattuale.
  Si evidenzia l'inappropriato utilizzo dell'espressione «semplificazione delle forme contrattuali»; tale concetto andrebbe infatti riferito all'esigenza improcrastinabile di sfoltire il numero di comparti e categorie che si moltiplicano e dispiegano in una congerie di CCNL che coesistono in Italia, alimentando contraddizioni ed in alcuni casi vere e proprie sperequazioni tra lavoratori. Impensabile ritenere di far coesistere un numero così rilevante di CCNL, utili solo a far proliferare il numero di sigle sindacali e per nulla funzionali alla equa e corretta applicazione delle normative sul lavoro.
  Del pari nulla il Governo dice in relazione all'obbligatorietà del contratto di settore. La parola «semplificazione» andrebbe coniugata infatti con la palese necessità di non più consentire discrezionalità nella scelta del CCNL da applicare.
  Sarebbe pertanto opportuno provvedere alla riduzione ed allo lo sfoltimento della giungla dei CCNL nonché all'istituzione di un salario minimo per tutti quei contratti che non facciano riferimento ad un CCNL di settore.
  A ciò andrebbe aggiunta una acconcia riforma della giustizia, per una volta, dopo l'era delle leggi ad personam, legata al processo civile del lavoro, finalizzata ad abbreviare tempi e procedure, allineando i tempi del processo del lavoro ai livelli europei assicurando la certezza del diritto tanto per i lavoratori quanto per gli stessi datori di lavoro, peraltro sempre più investiti dai ricorsi di natura giudiziale aventi ad oggetto l'accertamento dei rapporti di lavoro subordinato figli della «flex security».
  La combinazione di tali disposizioni rischia di comportare, oltre ad un arretramento delle garanzie, anche un ulteriore abbassamento del livello di competenze dei lavoratori il quale, peraltro, come certificato dall'OCSE, è già il più basso d'Europa.
  Nel documento in esame viene poi descritto il piano di attuazione nell'ambito dell'iniziativa europea «Youth Guarantee» anche in relazione al c.d fenomeno dei Neets con l'obiettivo di garantire ai giovani un'offerta qualitativamente valida di impiego e proseguimento di studi. Viene poi annunciato il disegno di legge in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive del lavoro che prevederebbe una serie di misure di razionalizzazione ed incentivi all'autoimpiego ed all'auto imprenditorialità.Pag. 44

  Si ritiene, invero, più opportuno un approccio diverso e più omogeneo ritenendo, infatti, necessaria la semplificazione del welfare al fine di renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini, molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze.
  È pertanto necessaria una generale razionalizzazione dei servizi per l'impiego, attraverso una riforma complessiva delle strutture esistenti valorizzando e ampliando la centralità delle strutture pubbliche a partire dal ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evitando le duplicazioni e le sovrapposizioni di funzione attraverso una chiara ripartizioni delle funzioni.
  Uno Stato, il cui scopo è prendersi cura dei cittadini che ne fanno parte, non deve lasciare nessuno indietro quindi in una prima fase, deve porre al centro della bussola politica un reddito minimo garantito per chiunque viva sotto la soglia di povertà relativa. Ogni cittadino deve poter contare su un reddito minimo indispensabile per vivere dignitosamente, sul diritto alla casa, al riscaldamento, al cibo, all'istruzione, all'informazione. Un reddito minimo utile ad ottenere un lavoro congruo, nel rispetto della formazione scolastica e delle competenze professionali acquisite. Altra esigenza non meno importante delle precedenti è quella di abbattere la condizione di »schiavi moderni», cioè la condizione nella quale si trovano tanti individui, laureati e non, costretti ad accettare qualsiasi lavoro, sottopagato, precario, senza possibilità di crescita o, addirittura, senza un adeguato contratto.
  Oggi i giovani che restano in Italia non hanno più speranza nel futuro.
  È necessario ridisegnare il nuovo statuto delle garanzie, non solo del lavoro, ma del concetto stesso di essere cittadini. Occorre ridisegnare le basi del diritto all'esistenza, porre la questione centrale su cosa siano oggi, a fronte delle trasformazioni sociali e globali, i diritti sociali, cosa significano garanzia di un livello socialmente decoroso di esistenza, possibilità di scelta e autodeterminazione dei soggetti sociali.
  Il livello ideale, futuro ed auspicabile, coincide con l'attuazione del reddito di cittadinanza universale, individuale ed incondizionato, ossia destinato a tutti i residenti adulti a prescindere dal reddito e dal patrimonio, non condizionato al verificarsi di condizioni particolari e non subordinato all'accettazione di condizioni. Potremo raggiungere tale livello solo a seguito di una radicale riforma fiscale e del welfare, tesa ad una migliore ridistribuzione del contributo fiscale, con il duplice obiettivo certo e non più differibile di eliminare la piaga dell'evasione fiscale e di ridurre la pressione fiscale e contributiva. Non dovrà essere una misura assistenziale, in quanto reddito primario, cioè reddito che secondo la definizione dell'economista Andrea Fumagalli, «remunera un'attività produttiva di valore, che è l'attività di vita».
  Il reddito di cittadinanza universale ed incondizionato è un rapporto due volte vincente. È un investimento che si ripaga sia a breve termine, dato i suoi effetti stabilizzanti, da un punto di vista macroeconomico, ma anche nel lungo periodo, grazie ai positivi impatti sullo sviluppo umano e la produttività, perciò deve essere una componente comprensiva e permanente della strategia di sviluppo per una crescita inclusiva, andando al di là della temporanea «gestione delle crisi».
  Obiettivo del presente disegno di legge è quello di raggiungere un primo livello, non ancora ideale, cioè di introdurre il reddito di cittadinanza ossia misure sociali ed economiche volte a realizzare l'obiettivo più volte ribadito dall'Unione Europea, di una ridefinizione del modello di welfare adottato dallo Stato Italiano, abbandonando per sempre l'attuale sistema frammentario ed assistenzialistico, e indirizzando le scelte politiche verso l'adozione di un sistema volto a ridurre l'esclusione sociale ed accrescere la possibilità di sviluppo di ciascun individuo nell'ambito della moderna società organizzata.Pag. 45

  L'approvazione di una proposta di legge sul Reddito di Cittadinanza, oggi più che mai, rappresenta un obbligo per l'Italia, considerato che l'Europa fin dalla raccomandazione del Consiglio 92/441/CEE, del 24 giugno 1992 ha esortato gli Stati membri a dotarsi di adeguati sistemi di protezione sociale, raccomandando agli stessi di riconoscere il diritto basilare di ogni persona, di disporre di un'assistenza sociale e di risorse sufficienti per vivere in modo dignitoso e che solo l'Italia, l'Ungheria e la Grecia ad oggi non hanno attuato alcuna forma di reddito minimo uniforme a livello nazionale.
  Nelle conclusioni del 17 dicembre 1999 il Consiglio ha approvato la promozione dell'integrazione sociale quale uno degli obiettivi per la modernizzazione ed il miglioramento della protezione sociale.
  La comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010 intitolata «Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva» (COM(2010)2020), indica tra gli obiettivi da raggiungere per una crescita inclusiva volta a promuovere l'occupazione, la coesione sociale e territoriale, la riduzione di 20 milioni del numero delle persone a rischio povertà.
  La risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2010 pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea l'8 marzo 2012, evidenzia il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa (2010/2039(INI)) e chiede agli Stati membri che si compiano progressi reali nell'ambito dell'adeguatezza dei regimi di reddito minimo; sottolinea l'esigenza di valorizzare i programmi di apprendimento permanente quali strumenti di base per combattere la povertà e l'esclusione sociale, attraverso l'incremento dell'occupabilità e l'accesso alle conoscenze e al mercato del lavoro. La stessa ritiene che l'introduzione in tutti gli Stati membri dell'UE, di regimi di reddito minimo, costituiti da misure specifiche di sostegno alle persone con un reddito insufficiente, attraverso una prestazione economica e l'accesso agevolato ai servizi, sia uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà, garantire una qualità di vita adeguata e promuovere l'integrazione sociale; ritiene altresì che i sistemi di redditi minimi adeguati debbano stabilirsi almeno al 60 per cento del reddito mediano dello Stato membro interessato; sottolinea, infine, che gli investimenti nei regimi di reddito minimo, costituiscono un elemento fondamentale nella prevenzione e riduzione della povertà, che anche in periodi di crisi, i regimi di reddito minimo non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale della lotta alla crisi e che investimenti tempestivi per contrastare la povertà, apportano un contributo importante alla riduzione dei costi di lungo periodo per la società.
  In ambito internazionale va rilevato come nella comunicazione della Commissione Europea «un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibile» (Bruxelles 27 febbraio 2013) viene evidenziato come «Eliminare la povertà e garantire prosperità e benessere duraturi sono tra le sfide più pressanti che il mondo si trova a affrontare».
  L’ articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea sancisce che «Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali.»
  L'articolo 151 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sancisce che l'Unione e gli Stati membri hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro che consentano una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, la lotta contro l'emarginazione, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo.
  Nell'articolo 30 della Carta Sociale Europea (Diritto alla protezione contro la Pag. 46

povertà e l'emarginazione sociale) è riportato che «Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto alla protezione contro la povertà e l'emarginazione sociale, le Parti s'impegnano: a prendere misure nell'ambito di un approccio globale e coordinato per promuovere l'effettivo accesso in particolare al lavoro, all'abitazione, alla formazione professionale, all'insegnamento, alla cultura, all'assistenza sociale medica delle persone che si trovano o rischiano di trovarsi in situazioni di emarginazione sociale o di povertà, e delle loro famiglie; a riesaminare queste misure in vista del loro adattamento, se del caso».
  Sulla scorta di tali enunciazioni si ritiene doverosa e non più procrastinabile l'approvazione di una legge che riconosca il diritto per tutti i cittadini di ricevere un reddito minimo.
  In linea generale il reddito di cittadinanza è finalizzato a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l'esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro ed alla formazione, attraverso politiche finalizzate al sostegno economico ed all'inserimento sociale di tutti i soggetti a rischio di marginalità, nella società e nel mondo del lavoro.
  Del pari il documento in esame appare lacunoso ed omissivo in relazione al tema della previdenza, anche in questo caso appare chiaro come nulla muterà rispetto alle tendenze dei governi precedenti. Il MoVimento 5 Stelle si è espresso chiaramente ed a più riprese sul tema della Riforma previdenziale «Fornero»: peraltro, è possibile fare, a questo punto, un primo bilancio della «Riforma» sulle pensioni: centinaia di migliaia di persone (impropriamente definiti «Esodati»), senza pensione, senza reddito e senza futuro, allungamento dell'età pensionistica che allontana ancor più la possibilità per i nostri giovani di accedere a un lavoro, spostamento dei contributi dei lavoratori verso le «pensioni integrative». Quest'ultimo era il vero obiettivo, neanche troppo subliminale, della «riforma»; in altri termini spostare miliardi di euro dei lavoratori verso la speculazione finanziaria globale che sta devastando la vita di milioni di famiglie.
  Lo Stato non adempie al patto con i cittadini lavoratori e contribuenti, salvo oggi tentare approssimative «salvaguardie» a blocchi che altro non fanno se non ulteriormente e negativamente incidere sulla coesione sociale, laddove apparirebbe invece necessario garantire a tutti e subito la certezza del diritto e dei diritti. Non è più possibile rimanere indifferenti di fronte a questa paradossale situazione: troppe persone sono vittime della famigerata riforma previdenziale Fornero.
  A ciò si aggiunge il fatto che mai è stata effettivamente data risposta certa rispetto a cifre e dati reali di questa vera e propria «mannaia di Stato». La famigerata Legge Fornero ha di fatto violato patti sottoscritti fra centinaia di migliaia di lavoratori e le loro aziende a legislazione vigente, in modo retroattivo: cosa mai verificatasi fino ad ora in alcun ordinamento democratico, italiano ed europeo.
  La Riforma Fornero è l'unica in Europa che, con la sua retroattività, ha gettato nella più profonda disperazione tutti quei lavoratori che avevano già sottoscritto gli accordi e che, di fatto, avevano già perso o lasciato il lavoro. Il tutto senza nessuna trasparenza e senza nessun dato, a questo punto la unica e sola soluzione è l'abrogazione dello sciagurato dispositivo posto in essere della legge Fornero.
  È infine da scongiurare l'ipotesi di un nuovo blocco dei contratti pubblici, l'ultima volta rinnovati nella parte economica per il biennio 2009-2010; questo è solo uno dei campanelli d'allarme di una programmazione che non introduce nulla di innovativo a quanto non sia già stato visto nel recente passato.
  In buona sostanza gli interventi citati dal Governo non appaiono nel complesso adeguati al perseguimento dello scopo indicato dal Governo. Le uniche misure concrete ed immediate, quelle contenute nel decreto, appaiono insufficienti ed inefficaci a risolvere i problemi del mercato del lavoro: per raggiungere tale risultato, infatti, non si potrebbe prescindere dall'attuazione della delega, la quale tuttavia, Pag. 47

per sua natura, richiede tempi lunghi ed è connotata da un contenuto (in questo caso, eccessivamente) vago ed incerto, la cui traduzione in una adeguata normativa di attuazione è meramente eventuale. A tal proposito il Governo indica quale termine di approvazione della delega il mese di luglio 2014; non appare tuttavia chiaro su quali elementi si basi una così ottimistica previsione. Peraltro non si comprende per quali motivi il Governo non abbia inserito misure più specifiche, e di cui ribadisce la necessità e l'urgenza, nel decreto.

Agricoltura.

  Con riferimento al comparto primario la strategia delineata dal Governo nel Documento di Economia e Finanza 2014 non sembra incidere in modo significativo sul processo di riforma di cui necessita il settore a fronte di un aumento continuo dei costi di produzione, della riduzione dei prezzi delle principali materie prime agricole, e delle sempre più frequenti e violente avversità atmosferiche che impongono una revisione complessiva degli strumenti di gestione del rischio.
  Gli interventi più rilevanti sono contenuti nel disegno di legge attualmente all'esame del Senato recante «disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività agricole, del settore agricolo, agroalimentare e della pesca (collegato alla manovra di finanza pubblica 2014)». Notevole importanza è poi assegnata alle decisioni strategiche che dovranno essere prese per attuare la Politica Agricola Comune 2014-2020, decisioni che sono destinate ad avere un impatto rilevante sulla competitività e sostenibilità del modello agricolo italiano e ad EXPO 2015 che rappresenta una occasione unica per valorizzare l'intera produzione del comparto primario attraverso un contesto favorevole alla competizione internazionale.
  Come noto, le maggiori criticità che registra il comparto agricolo ed agroalimentare riguardano:
   Fiscalità: l'elevata pressione fiscale sui terreni ed immobili rurali frena la crescita di un settore che oltre all'aumento dei costi di produzione (non solo energetici, ma anche quelli imposti dall'adeguamento ai sempre più pressanti obblighi connessi alla sostenibilità ambientale) deve fronteggiare la stretta creditizia e la riduzione dei prezzi delle materie prime con conseguenze estremamente penalizzanti per i redditi degli agricoltori. È quindi indispensabile operare una revisione della fiscalità rurale e mettere a regime l'esenzione IMU per i terreni e fabbricati rurali ad uso strumentale;
   Crescita e competitività: i settori dell'agricoltura (e della pesca) risultano interessati solo in via marginale dagli interventi a favore delle attività produttive normalmente varati. Indubbiamente, la riapertura degli interventi ex Legge Sabatini, disposta dal decreto-legge 69 del 2013, che introduce un regime di aiuto per le PMI anche dei settori agricolo e della pesca sotto forma di contributo in conto interessi per il rinnovo di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa, attrezzature varie e tecnologie digitali, è da accogliere con favore (l'estensione delle agevolazioni alle PMI agricole e delle pesca è stata inserita da un emendamento del MoVimento 5 Stelle approvato dal Governo). Al fine di rilanciare il settore si richiedono tuttavia interventi strutturali integrati miranti a introdurre adeguate misure di semplificazione e sburocratizzazione, a riordinare il sistema dei controlli, a ridurre i termini dei procedimenti amministrativi, a potenziare i servizi di rete nelle aree rurali, a rafforzare i canali di penetrazione commerciale all'estero. Nell'attuale fase economica, risulta inoltre cruciale per le imprese agroalimentari ricercare un incremento dei ricavi sui mercati, specialmente internazionali, e quindi superare i fattori di debolezza che tradizionalmente le caratterizzano in tale azione (dimensioni inadeguate, inadeguatezza finanziaria, frammentazione, insufficiente aggregazione dell'offerta, inesistenza di canali commerciali e di distribuzione capaci di veicolare le produzioni nazionali all'estero). È inoltre indispensabile risolvere il problema dell'accesso al Pag. 48

credito ed ottenere una evoluzione della normativa comunitaria in materia di etichettatura d'origine (unico strumento in grado di contrastare la contraffazione e l'italian sounding che costano miliardi di euro l'anno alla nostra economia);
   Occupazione: è necessario favorire il ricambio generazionale anche al fine di sostenere la ristrutturazione delle piccole e medie aziende a carattere familiare; è inoltre indispensabile affrontare tutte le tematiche strutturali quali la stabilizzazione dei redditi.

  Con particolare riferimento al collegato agricoltura già citato, le maggiori criticità rilevano con riferimento a:
    la creazione di un marchio privato made in italy rischia di archiviare la questione della etichettatura d'origine unico vero rimedio contro la contraffazione agroalimentare;
    le disposizioni in materia di contratti agrari, nella misura in cui prevedono che le organizzazioni agricole maggiormente rappresentative, ai fini della sottoscrizione dei contratti di affitto di fondo rustico, possano avvalersi di società di servizi da esse istituite, configurano una fattispecie che implica la tariffazione del servizio;

  Gli interventi più significativi quali quelli relativi al riordino degli strumenti di gestione del rischio in agricoltura e di regolazione dei mercati, il riordino e la soppressione degli enti vigilati dal mipaaf e la semplificazione della normativa in materia di agricoltura e pesca sono delegati al Ministero e quindi la loro attuazione è rimandata nel tempo a successivi decreti legislativi. Su questi importantissimi aspetti sarebbe stato opportuno un ruolo più incisivo del Parlamento.
  Per quanto concerne gli altri strumenti quali il credito di imposta al 40 per cento per le PMI del settore agricolo, i finanziamenti a tasso zero per le iniziative di investimento operate da giovani agricoltori e l'accesso prioritario ai bandi dei PSR per i contratti di rete nel settore agricolo la valutazione è senz'altro positiva anche se l'impegno prioritario del Governo dovrebbe essere riposto sulla revisione del patto di stabilità interno (al fine di svincolare i cofinanziamenti regionali al PSR e di conseguire una maggior capacità di spesa nonché di realizzare progetti a forte impatto economico sociale e sostenibili nel tempo).
  Quanto sopra premesso, si ritiene che l'impegno del Governo con riferimento al comparto primario debba essere finalizzato a:
   rivedere definitivamente la fiscalità rurale anche al fine di considerare le peculiarità delle aziende agricole fortemente dipendenti dalle rese produttive;
   procedere con urgenza alla soppressione e al riordino degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali: impostare una discussione di sistema rispetto a enti e società partecipate funzionali e vigilate dalle politiche agricole operando il taglio dei costi, anche attraverso la riduzione del numero dei membri degli organi amministrativi;
   procedere con urgenza alla semplificazione e razionalizzazione dei controlli che in alcuni settori, come quello vitivinicolo, rappresentano veri e propri disincentivi allo sviluppo delle attività;
   attuare la PAC 2014-2020 in base agli orientamenti espressi dal Parlamento; (il MoVimento 5 Stelle ha già depositato due risoluzioni sull'attuazione di alcune misure riguardanti il regime dei pagamenti diretti);
   individuare una precisa strategia di rilancio della competitività delle imprese agricole anche affrontando tutti i temi strutturali della stabilizzazione dei redditi, della regolazione dei mercati e del potenziamento degli strumenti di gestione del rischio;
   svincolare dagli obblighi del patto di stabilità e crescita il cofinanziamento regionale ai Programmi di Sviluppo Rurale.

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Politiche dell'Unione europea.

  In concomitanza con la presentazione del DEF 2014 è stato esaminato in sede parlamentare, ai sensi dell'articolo 1, comma 246, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), lo schema di accordo di partenariato (AP). Si rileva che lo schema non contiene l'adeguamento alle osservazioni della Commissione europea inviate al Governo il 10 marzo 2014 e che la «Relazione su contenuti della proposta di accordo di partenariato 2014-2020» depositata il 9 aprile dal Sottosegretario Graziano Delrio in sede di audizione presso le Commissioni V e XIV non contiene le puntuali e testuali modifiche all'AP ma soltanto i contenuti essenziali dell'AP depositata e «...alcuni aggiornamenti che saranno contenuti nella versione che sarà inviata alla Commissione Europea».
  Pertanto, il Parlamento è stato chiamato a esprimere un parere non sullo schema di accordo di partenariato che sarà discusso in sede europea, come prevede l'articolo 1, comma 246, della legge n. 147 del 2013, ma su una bozza di accordo già dichiarata superata dal Governo italiano.
  Si consideri che i rilievi della Commissione risultano di particolare gravità e si risolvono in una sostanziale bocciatura anche sotto il profilo formale dell'AP, arrivando ad affermare che «Il documento è ancora lontano dal livello di maturità richiesto: mancano infatti intere sezioni previste dal Regolamento (UE) n. 1303/2013. Questo non consente una valutazione completa. Inoltre, molte delle sezioni presenti contengono lacune informative e strutturali rilevanti.» e che in Italia «L'esperienza della gestione di tipo interregionale del periodo 2007-2013 è stata fallimentare.»
  Queste valutazioni negative della precedente gestione dei fondi e dell'attuale programmazione governativa si uniscono al giudizio fortemente negativo del nostro sistema-Paese formulato il 5 marzo 2014 dalla Commissione europea con la Comunicazione COM(2014) 150, mediante la quale l'Italia viene considerata, alla stregua della Croazia e della Slovenia, il peggior Stato membro in termini di eccessivi squilibri macroeconomici, preventivando anche misure di sostanziale commissariamento del Governo italiano qualora, entro giugno 2014, l'Italia non dovesse colmare i suoi disavanzi eccessivi.
  Si rileva la gravità anche dei numerosi rilievi nel merito che vengono posti dalla Commissione europea, quali l'insufficienza di analisi delle misure per contrastare il lavoro sommerso, lo sfruttamento del lavoro degli immigrati irregolari e l'utilizzo fraudolento dei contratti di collaborazione continuativa; l'analisi della situazione dei trasporti nazionali, giudicata «sostanzialmente inesistente»; l'assoluta mancanza dell'elenco dei programmi di cooperazione territoriale; l'insufficienza delle misure volte a contrastare le discriminazioni e a favorire la parità di genere; la sostanziale elusione della direttiva VIA da parte del nostro Paese; la scarsa chiarezza degli interventi in materia di lotta contro la corruzione.
  Si sottolinea in particolare, rispetto all'obiettivo tematico 6, tutela dell'ambiente e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali, la presenza di numerose osservazioni critiche da parte della Commissione, che ha evidenziato soprattutto: l'insufficienza della copertura degli interventi di tutela ambientale; la mancanza di una strategia organica e capillare per la gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, limitata alle regioni meno sviluppate; la mancata attuazione del principio comunitario «chi inquina paga» e l'esigenza di un uso efficiente delle risorse idriche e il recupero dei costi derivanti dalla gestione del bene acqua; la criticità della pianificazione dei bacini idrici l'inadeguatezza di alcuni piani regionali di gestione dei rifiuti; l'insufficienza della strategia per la tutela della qualità del suolo, dell'aria, del patrimonio forestale e per lo sfruttamento sostenibile delle acque marine e delle zone costiere; la carente informazione sul piano di intervento per le bonifiche; la mancata inclusione delle questioni Pag. 50

relative all'ambiente urbano e l'assenza di un'analisi adeguata della situazione relativa alla rete «Natura 2000».
  I 351 rilievi della Commissione al Governo italiano risultano in gran parte condivisibili, tranne il n. 8, contenente l'invito a ridurre le misure volte al sostegno dei settori in difficoltà e di assistenza sociale e il n. 96, che invita a limitare l'adozione di misure anticicliche nel settore delle PMI, del settore agricolo (FEASR) e del settore della pesca e dell'acquacoltura (FEAMP).
  Nello schema di AP non vengono affrontati problemi di grande rilevanza, quali la incapacità di alcune regioni in grave dissesto economico di far fronte al cofinanziamento degli interventi; la presenza di criminalità organizzata che inquina la gestione dei fondi comunitari; la superata logica della ripartizione dei fondi strutturali europei che si basa ancora sull'indicatore reddito medio delle persone/PIL, anziché su basi più reali quali i bassi redditi e la decrescita dei consumi; l'assenza di una analisi seria dei ritardi e della bassa capacità di spesa della programmazione 2007-2013 ai fini di individuare i limiti della precedente gestione dei fondi strutturali; l'incerto ruolo della neonata Agenzia per la Coesione Territoriale, anche alla luce delle pesanti riserve formulate dalla Commissione, che andrebbe almeno indirizzata verso un ruolo di serio monitoraggio rispetto all'infiltrazione delle mafie all'interno della gestione dei fondi e di effettivo contrasto del lavoro sommerso e della opacità degli appalti pubblici collegati ai finanziamenti europei; l'assenza di iniziative, nei fondi FSE, per favorire l'occupazione giovanile e over 40; la mancanza di piani a sostegno all'assistenza all'infanzia e agli anziani anche al fine di incrementare l'occupazione femminile; la assenza di una vera strategia di riduzione della povertà, come evidenziato dalla Commissione; la scarsa efficacia degli interventi di inclusione sociale in quanto limitati solo al sostegno dei soggetti in condizione disagiata senza riferimenti alla finalità dello stimolo al reinserimento sociale e lavorativo.
  Altresì, nello schema di AP italiano non vengono sufficientemente analizzati e valorizzati, alla luce della specificità italiana, gli obiettivi tematici.
  Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che sulla programmazione dei Fondi strutturali si debbano apportare modifiche e pertanto non si ritiene soddisfacente la programmazione così come valutata in sede di esame dell'Accordo di Partenariato.
  In conclusione, per i rilievi e le criticità suesposti si ritiene che il presente Documento necessita di aggiustamenti ed integrazioni, che il Gruppo M5S non si esimerà dal proporre in sede di esame della risoluzione.

Laura CASTELLI,
Relatore di minoranza.