Doc. XXIII, N. 43

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLE MAFIE E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI, ANCHE STRANIERE

(istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87)

(composta dai deputati: Bindi, Presidente; Attaguile, Segretario, Bossa, Bruno Bossio, Carbone, Costantino, Dadone, Di Lello, Segretario, D'Uva, Garavini, Magorno, Manfredi, Mattiello, Naccarato, Nuti, Piccolo, Piepoli, Prestigiacomo, Sammarco, Sarti, Savino, Scopelliti, Taglialatela e Vecchio; e dai senatori: Albano, Buemi, Bulgarelli, Capacchione, Cardiello, Consiglio, De Cristofaro, Di Maggio, Esposito, Falanga, Gaetti, Vicepresidente, Giarrusso, Giovanardi, Lumia, Marinello, Mineo, Mirabelli, Molinari, Moscardelli, Pagano, Perrone, Ricchiuti, Tomaselli, Vaccari e Zizza).

RELAZIONE SULL'UCCISIONE DI MICO GERACI

(Relatrice: On. Rosy Bindi)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 21 febbraio 2018

Comunicata alle Presidenze il 22 febbraio 2018 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lett. o) della legge 19 luglio 2013, n. 87

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  La sera dell'8 ottobre 1998, intorno alle 20.40, il sindacalista Domenico Geraci, detto Mico, si accingeva a rincasare, poiché l'incontro conviviale a cui avrebbe dovuto partecipare era stato rinviato. Si sarebbe dovuto trattare di una cena con alcuni assessori del comune di Caccamo per discutere del passaggio di costoro dal gruppo consiliare dell'allora primo cittadino Nicasio Di Cola a quello di Geraci, il quale si apprestava a candidarsi come sindaco per le elezioni della tarda primavera del 1999.
  Alle ore 20.50 circa, dopo essersi congedato dall'amico che lo aveva accompagnato in macchina, Domenico Geraci suonava al citofono della propria abitazione. In quel momento, veniva raggiunto da sei colpi di fucile che ne provocavano la morte immediata.
  Il figlio minore, Giovanni, e la moglie della vittima, Vincenza Scimeca, attirati dalla sequenza degli spari, si erano affacciati alla finestra e avevano avuto modo di assistere a una parte dell'azione criminosa.
  In particolare, il giovane – come poi ha riferito agli inquirenti – aveva tentato di fermare l'assassino scagliandogli contro vari oggetti, senza tuttavia riuscire a colpirlo, e il killer era riuscito a fuggire – accedendovi dal lato di guida – a bordo di un'utilitaria Fiat, rimasta con i fari spenti e il motore acceso.
  Inizialmente, le indagini venivano svolte della procura della Repubblica presso il tribunale di Termini Imerese, territorialmente competente, che procedeva a carico di ignoti.
  Si dubitò della matrice mafiosa del delitto valorizzando alcuni elementi quali la mano inesperta del killer che dovette sparare più colpi, la circostanza inusuale che l'assassino agì probabilmente da solo, la circostanza, altrettanto inusuale, che l'autovettura usata per il delitto fu oggetto di furto poche ore prima dell'omicidio.
  In seguito si fece strada l'ipotesi di un delitto riconducibile a cosa nostra, gli atti vennero dunque trasmessi alla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Palermo che, in una prima fase, procedette, anch'essa, contro soggetti ignoti.
  Le sopraggiunte dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, che era stato il capo del mandamento mafioso di Caccamo, consentirono di compiere un passo in avanti e di iscrivere il procedimento a carico di taluni indagati identificati.
  Il collaboratore di giustizia dichiarò di non avere una diretta conoscenza dei fatti nonostante, a distanza di appena un mese dall'omicidio di Geraci, gli sia stata invece chiesta – in ossequio alle regole di cosa nostra, quale capo mandamento – l'autorizzazione all'uccisione di Filippo Lo Coco, avvenuta nel medesimo territorio.
  Giuffrè riuscì tuttavia a ricollegare diversi eventi di cui era stato protagonista, ricomprendendoli in un unico accadimento e riconducendo l'assassinio del sindacalista a un omicidio di cosa nostra. Si ricostruì dunque il «difetto di comunicazione» che aveva fatto sì che il capo mandamento non fosse stato informato della perpetrazione del delitto.
  Nonostante siano state oggetto di intense indagini, le ipotesi avanzate da Giuffrè rimanevano tuttavia prive di riscontri dirimenti. Pag. 6Il procedimento penale n. 11089/02 RGNR veniva definito con un provvedimento di archiviazione il 3 giugno 2005 e l'omicidio di Mico Geraci rimaneva privo di colpevoli.
  Nel corso dei lavori si è inteso raccogliere i numerosi inviti pervenuti dalla famiglia di Mico Geraci, nonché da membri della Commissione parlamentare antimafia e da tanti cittadini, a loro volta sollecitati ad approfondire il caso da una trasmissione televisiva.
  Al riguardo, bisogna sottolineare che non spetta alla Commissione accertare direttamente le responsabilità penali, che è invece compito della magistratura. L'inchiesta parlamentare, però, può contribuire, grazie anche ai particolari poteri previsti dall'articolo 82 della Costituzione, in un quadro di massima e leale collaborazione con la magistratura, a raccogliere le informazioni utili per concorrere alla ricerca della verità e della giustizia, per riportare l'attenzione su vicende di elevato valore simbolico, per rendere onore alle vittime di mafia e dar voce ai loro familiari nella sede del massimo organo rappresentativo del Paese.
  L'analisi della Commissione parlamentare d'inchiesta ha preso avvio dall'audizione del 16 luglio 2014 di Giuseppe Geraci, figlio maggiore di Mico.
  Le sue dichiarazioni sono rimaste segretate nella parte dedicata all'approfondimento del delitto. Si riportano però di seguito alcuni passaggi dell'audizione nei quali è rappresentato tutto il dolore e il disagio provato da quella famiglia, affinché continui la ricerca della verità e non ci si arresti nel cercare una risposta all'atroce omicidio: «Quando è morto mio padre io avevo diciannove anni. Ricordo che ero fuori casa. (...) Io stesso ho ricordi confusi di quel momento, perché vedevo persone che andavano e venivano, vedevo mia madre che teneva mio padre, con il corpo riverso in una pozza di sangue. Chiesi «cosa è successo ?», poiché ancora non avevo la nitida percezione di quanto fosse appena accaduto. Mia madre disse «gli hanno sparato». Si sentì male lei, mi sentii male io. Mio fratello era agitatissimo, anche perché lui dall'alto aveva visto consumarsi l'omicidio. (...) È stato un momento tremendo. È chiaro che col tempo abbiamo dovuto gestire una situazione che è stata più grande di noi. Qualcuno fortunatamente ci ha aiutato, però le difficoltà sono state tante, anche perché, come spesso capita ahimè in queste situazioni, subito in paese cominciavano a girare delle voci che attribuivano la natura dell'omicidio a contesti totalmente diversi (...). Un articolo su Panorama (scrisse) anche delle cose poco opportune, che mio padre era una persona discussa e che avrebbe fatto da tramite tra la mafia e ambienti inquinati della sinistra. Io mi sono dovuto difendere, ho dovuto agire giudizialmente. (...) Dico questo perché purtroppo c'era un'opinione molto diffusa e questo faceva malissimo a me e alla mia famiglia, perché alla perdita di un proprio caro si univano anche i sospetti di personaggi autorevoli, che anzitutto avrebbero dovuto tutelare noi e la memoria di mio padre. Questo ci dava la misura di quanto ancora la verità fosse lontana e di quanto ancora nell'opinione pubblica le convinzioni su questo omicidio fossero diversificate».
  La Commissione si è attivata per acquisire presso l'autorità giudiziaria tutta la documentazione sulla vicenda, consistente in numerosi faldoni di atti d'indagine, messi a disposizione con sollecitudine dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo con il consueto spirito di cooperazione istituzionale (1).Pag. 7
  L'esame particolareggiato degli atti ha consentito di verificare che, nel corso delle investigazioni, furono ipotizzati diversi moventi del delitto (la vita politica di Geraci; l'impegno antimafia degli ultimi tempi; l'attività svolta nel comune; le vicende connesse con l'approvazione del piano regolatore; l'operato di sindacalista presso la UIL in cui si occupava di contributi per agricoltori e allevatori) e vennero valutati altri eventi, apparentemente collegati quali antefatto o post-fatto all'uccisione del sindacalista (gli atti intimidatori subiti negli anni precedenti da Geraci; gli atti intimidatori subiti, in epoca prossima all'omicidio, da altri politici e amministratori; l'assassinio di Filippo Lo Coco avvenuto nel medesimo territorio un mese dopo quello di Geraci). Di conseguenza, furono sentiti i soggetti più disparati e furono analizzate numerose lettere anonime, dichiarazioni e denunce di quanti ricollegavano il delitto al malaffare della pubblica amministrazione oppure a vicende personali di Geraci, se non, più semplicemente, approfittavano del clima di tensione per rendere più pregnanti le proprie lagnanze.
  Le indagini, sebbene fisiologicamente e necessariamente ampie, finirono dunque per produrre un quadro probatorio ibrido, che non consentì di privilegiare alcuna ipotesi concreta fino al sopraggiungere delle dichiarazioni del collaboratore Giuffrè (le quali tuttavia rimasero, come detto, mere supposizioni).
  Il movente mafioso comunque si potrebbe verosimilmente profilare in ragione dell'attività politica e sindacale di Geraci che metteva in crisi il contesto politico mafioso del territorio. A pochi mesi dalla sua uccisione, infatti, si svolsero le elezioni comunali a Caccamo e la sua candidatura era la più accreditata per un eventuale successo. Da mesi a Caccamo si organizzavano iniziative sociali e progettuali per preparare questa candidatura con un coinvolgimento inedito di larghi strati della società. Un'iniziativa in particolare destò clamore nel luglio del 1998 perché a Caccamo si organizzò, forse per la prima volta, una manifestazione antimafia dove furono chiamati in causa boss mafiosi e denunciati gli interessi che ruotavano intorno alla mafia del territorio, anche alla luce di un'importante operazione giudiziaria svoltasi poche settimane prima. A Caccamo era decaduto – per uno strano meccanismo elettorale siciliano dell'epoca – il solo consiglio comunale, mentre il sindaco era rimasto in carica. Il 30 novembre 1997, si erano svolte le elezioni per il solo consiglio comunale, facendo registrare un grande successo per le liste alleate che appoggiavano la candidatura di Geraci. Il rinnovo di tutta l'amministrazione sarebbe avvenuto nel giugno del 1999 ma il consiglio comunale fu precedentemente oggetto di decreto di scioglimento per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso il 10 marzo dello stesso anno, prorogato per ulteriori sei mesi con decreto del Presidente della Repubblica del 14 settembre 2000.
  Il territorio di Caccamo ha sempre registrato una forte presenza di componenti di spicco di cosa nostra e l'amministrazione comunale era già stata sciolta per infiltrazioni mafiose con decreto del Presidente della Repubblica dell'11 marzo 1993 prorogato di altri 6 mesi il 29 settembre 1994. Ebbe un ruolo di guida nell'ambito di un vasto mandamento che di fatto raccoglieva intorno a sé diversi comuni, tra cui Termini Imerese e Trabia sulla costa sino a Bagheria, e i comuni di Cerda e Montemaggiore nella parte della zona montana delle Madonie.Pag. 8
  Le lunghe e minuziose attività svolte dall'autorità giudiziaria – in sostanza dal 1998 al 2005 – non permisero di addivenire all'esatta ricostruzione dei fatti e all'individuazione dei mandanti e degli esecutori dell'assassinio. A partire da questo dato oggettivo, la Commissione ha ritenuto che un nuovo esame del delitto potesse essere proficuo solo se fondato su un approccio asettico e scevro dai condizionamenti delle pregresse impostazioni, anche al fine di evitare inutili ripetizioni dell'attività già svolta con impegno dalle procure.
  Si è dunque convenuto sull'opportunità che la nuova inchiesta – proprio per svincolarla dalle precedenti tesi e antitesi – ripartisse dallo studio del delitto come fatto storico, come mero accadimento, che nelle sue sfaccettature può rivelare, di per se stesso, particolari significativi.
  Un gruppo di esperti della Commissione ha pertanto scandagliato ogni segmento del delitto e delle sue prove: gli aspetti della dinamica, compresi i mezzi probabilmente usati dal killer, la macchina e il fucile a canna lunga; i reperti acquisiti agli atti del procedimento; la fattibilità di nuovi esami scientifici alla luce dell'evoluzione tecnologica; il furto dell'autovettura impiegata per l'assassinio; la possibilità di procedere a nuove comparazioni balistiche; le dichiarazioni, anche quelle apparentemente più insignificanti, rese nell'immediatezza dalle persone informate sui fatti mettendole a confronto per rilevarne coincidenze e contraddizioni.
  All'esito di un complesso studio, si è rilevato che il fatto storico, seppur a distanza di anni, è ancora in grado di fornire, su più versanti, alcune importanti indicazioni, ulteriori rispetto a quelle già vagliate. Allo stesso tempo, si è ritenuto che non potevano essere ignorate le ipotesi espresse dal collaboratore Antonino Giuffrè proprio perché provenienti dall'allora capo mandamento del territorio interessato e perché, comunque, fondate su circostanze fattuali. Approfondendo tali dichiarazioni, ci si è resi conto che esse sono ancora suscettibili di ulteriori valorizzazioni, anche alla luce della rivisitazione del fatto storico.
  Si è, tuttavia, ritenuto che potessero essere dirimenti, in tal senso, eventuali nuove rivelazioni provenienti da soggetti che, negli ultimi tempi, avrebbero intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia. Nel corso dell'inchiesta parlamentare si è avuto modo di apprezzare che, nell'ambito di alcune importanti indagini della direzione distrettuale antimafia di Palermo, tra cui la cosiddetta operazione “Reset”, taluni soggetti, sebbene di altri mandamenti ma collegati funzionalmente con quello del Giuffrè, avevano scelto di collaborare e si era accertato che taluni omicidi nel territorio di Caccamo erano stati realizzati da affiliati alla famiglia di Bagheria.
  La Commissione, pur non intendendo intervenire nella prima delicata fase di quelle collaborazioni, prendeva successivamente atto che non si era addivenuti alla riapertura del procedimento da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, perché evidentemente non si erano acquisite notizie di sorta sul delitto.
  Tutte le riflessioni e i nuovi spunti investigativi individuati dalla Commissione sono stati trasfusi in un documento che contiene la rielaborazione del fatto storico, la segnalazione di eventuali incongruenze e un elenco di specifiche attività che è ancora possibile compiere con il necessario ausilio di importanti strumenti investigativi a cui l'organo parlamentare non può fare ricorso in virtù della propria legge istitutiva.Pag. 9
  Tale documento (2) verrà trasmesso alla direzione distrettuale antimafia di Palermo, unitamente alle dichiarazioni di Giuseppe Geraci, con l'auspicio che possa costituire il quid novi che dia luogo alla riapertura delle indagini giudiziarie che possano finalmente far luce sulla morte del sindacalista e perseguire i responsabili. Si confida, inoltre, nel fatto che la prosecuzione delle investigazioni possa giovarsi anche di nuove collaborazioni che siano in grado di fornire un apprezzabile contributo alla ricostruzione dell'omicidio.

   (1) Cfr. Doc. 309

   (2) Cfr. Doc. n. 1745.