Doc. XXII, n. 9




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - In base alle relazioni conclusive delle due Commissioni parlamentari di inchiesta che si sono succedute sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale impiegato nelle missioni militari sia all'estero, sia nei poligoni di tiro presenti nel territorio nazionale, con riferimento anche alla popolazione civile coinvolta, si possono trarre molti elementi utili ma non esaustivi, e che vanno necessariamente nella direzione della prosecuzione, anche in questa legislatura, dei lavori intrapresi in passato.
È necessario innanzitutto sottolineare come l'ambito di indagine delle Commissioni si sia via via ampliato. Si è, infatti, passati dalla valutazione sui «casi di morte e di grave malattia che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale» (2006) a quella relativa ai «casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni» (2010).
Il passo in avanti è evidente: si focalizza l'attenzione su tutto il personale impiegato (civile e militare) sia nella totalità delle missioni all'estero (in passato si parlava esclusivamente di «missioni di pace»), sia nei vari poligono di tiro presenti nel territorio nazionale. Inoltre, si inizia a sottintendere la pericolosità non solo dell'uranio impoverito, ma anche di tutte le nanoparticelle derivanti dall'esplosione o dalla lavorazione dei vari materiali bellici.
Premesso ciò, è necessario tuttavia notare come negli anni i risultati cui si è giunti non siano stati di certo eccellenti. Ad oggi, infatti, non si è riusciti a determinare in maniera incontrovertibile, dal punto di vista scientifico, il nesso di causalità fra l'eventuale esposizione a tali fattori patogeni e i casi di malattia di cui si è a conoscenza. Si è, quindi, dovuto far riferimento al criterio della probabilità, utilizzando strumenti statistico-probabilistici nella valutazione delle possibili cause delle patologie e sganciando l'effetto dalla causa, con pesanti ripercussioni sulle cause di indennità: è evidente che, sulla base di tale presupposto, le domande risarcitorie che hanno trovato accoglimento sono in gran numero inferiori rispetto a quelle presentate.
Basti solo pensare al vuoto normativo riguardante le cosiddette «vittime terze», ovvero i figli del personale attivo nei citati scenari, nati con gravi malformazioni. Il loro numero è abnorme rispetto alla probabilità statistica descritta nella letteratura medica, ma finché non sarà stabilito con certezza il nesso di causalità le loro famiglie non potranno avere adeguato sostentamento.
Un altro punto essenziale, direttamente connesso con la salute del personale militare, riguarda l'uso indiscriminato delle pratiche di vaccinazione. Anche questo elemento è stato preso in considerazione dalle passate Commissioni, ma evidentemente non è stato adeguatamente approfondito, né si è provveduto con interventi normativi volti a migliorare una situazione di violazione di diritti.
Sono stati infatti riscontrati, e documentati, numerosi casi di vaccinazioni ripetute in lassi di tempo brevissimo, senza alcun rispetto delle precauzioni indicate dalle stesse case farmaceutiche e senza, addirittura, la preventiva e indispensabile anamnesi del paziente. Come se la normativa nazionale sulla salute procedesse su un binario parallelo rispetto a quella applicata dagli stati militari.
I proponenti della presente proposta di inchiesta parlamentare volta all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul tema, ma in versione monocamerale, più snella e più veloce nei lavori - ritengono che quanto rilevato dalle Commissioni ad hoc delle scorse legislature, se non esaustivo, possa tuttavia costituire un ottimo punto di partenza per il lavoro di una nuova Commissione parlamentare di inchiesta che possa sciogliere definitivamente i nodi di diritto evidenziati.
In particolare, l'articolo 1 istituisce, a norma dell'articolo 82 della Costituzione, la Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni, nonché sui vaccini somministrati al personale militare e sull'adeguatezza della raccolta e dell'analisi epidemiologica dei relativi dati sanitari, indicandone i compiti. L'articolo 2 definisce la composizione della Commissione, che è proposta in una versione monocamerale - senza dubbio più snella e rapida nei lavori - che consta di 21 deputati, nonché i criteri di composizione dell'ufficio di presidenza. L'articolo 3 estende alla Commissione gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, in linea con quanto previsto dall'articolo 82 della Costituzione.
All'articolo 4 si prevede la possibilità per la Commissione di avvalersi sia di personale interno alla Camera dei deputati sia di collaborazioni specializzate esterne. L'articolo 5 prevede un regolamento interno per il funzionamento della Commissione. L'articolo 6 disciplina la pubblicità dei lavori della Commissione e obbliga il personale e i collaboratori della Commissione stessa al segreto in relazione agli atti e ai documenti acquisiti. L'articolo 7 prevede una durata dei lavori della Commissione di due anni, al termine dei quali deve predisporre una relazione sulle risultanze dei suoi lavori. L'articolo 8 prevede, infine, la copertura dei costi della Commissione attraverso il bilancio interno della Camera dei deputati.


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