ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00143

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 444 del 17/06/2015
Abbinamenti
Atto 6/00140 abbinato in data 17/06/2015
Atto 6/00141 abbinato in data 17/06/2015
Atto 6/00142 abbinato in data 17/06/2015
Firmatari
Primo firmatario: SCOTTO ARTURO
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 17/06/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
MELILLA GIANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
BORDO FRANCO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
DURANTI DONATELLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
FARINA DANIELE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
KRONBICHLER FLORIAN SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
PIRAS MICHELE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
QUARANTA STEFANO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
RICCIATTI LARA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
SANNICANDRO ARCANGELO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
ZACCAGNINI ADRIANO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015
ZARATTI FILIBERTO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/06/2015


Stato iter:
17/06/2015
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 17/06/2015

DICHIARATO PRECLUSO IL 17/06/2015

CONCLUSO IL 17/06/2015

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00143
presentato da
SCOTTO Arturo
testo di
Mercoledì 17 giugno 2015, seduta n. 444

   La Camera,
   esaminata la Relazione del Governo al Parlamento predisposta ai sensi dell'articolo 10-bis, comma 6, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 – Doc. LVII-bis, n. 3;
   premesso che:
    la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 30 aprile 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 25 dell'articolo 24, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (il cosiddetto «decreto Salva-Italia» del Governo Monti), nella parte in cui prevede che «in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento»;
    tale illegittimità costituzionale è stata dichiarata, principalmente sulla base delle seguenti ragioni:
     1) la disposizione censurata si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così incisivi;
     2) la censura relativa al comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività». Risultano di conseguenza «intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, della Costituzione) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, della Costituzione)»;
     3) l'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere d'acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, è stato ritenuto irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio;
    nella Relazione al nostro esame si prospetta, considerati gli oneri connessi alla pronuncia della Corte costituzionale, pari nel 2015 a circa 17,6 miliardi di euro netti (tenuto conto anche del venir meno degli effetti di cui all'articolo 18, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 e mantenendo immutato il quadro macro-tendenziale previsto nel DEF), che l'indebitamento netto tendenziale delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL salirebbe nell'anno in corso dal 2,5 per cento, previsto nel recente Documento di economia e finanza 2015, al 3,6 per cento. Il peggioramento sarebbe riconducibile a fattori transitori, legati al pagamento degli arretrati, per circa 0,8 punti percentuali, mentre sarebbe considerato permanente la restante parte. Nel 2016, l'indebitamento netto tendenziale passerebbe, in rapporto al PIL, dall'1,4 per cento all'1,7 per cento;
    questi risultati – prosegue la Relazione – non consentirebbero all'Italia di rispettare le regole di bilancio europee. Ne conseguirebbe, con elevata probabilità, l'apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese per mancato rispetto del criterio del deficit (il rapporto indebitamento netto/PIL sarebbe superiore alla soglia del 3 per cento) e del criterio del debito (non sarebbe infatti possibile conseguire la riduzione richiesta dall'ordinamento comunitario). L'indebitamento netto strutturale peggiorerebbe leggermente nel 2015; non verrebbe così conseguito il miglioramento concordato in sede europea. In conseguenza di ciò, non sarebbe possibile per l'Italia usufruire della clausola delle riforme richiesta nel documento di programmazione per il 2016;
    la Relazione accetta supinamente questo quadro senza tenere conto di alcuni ulteriori elementi o di altre possibili alternative:
     l'esistenza di un disavanzo eccessivo da parte dell'Italia dovrà essere valutato da parte dell'Unione europea tenendo conto dell'eccezionalità, della temporaneità e dell'entità del superamento del limite, come ha messo in rilievo lo stessa Ufficio parlamentare di bilancio nel suo Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015, tanto più se l'esborso fosse rateizzato;
     si sarebbero potute adottare altre misure per rispettare i parametri del Trattato di Maastricht e del Fiscal compact: ad esempio, riducendo le spese correnti oppure le agevolazioni fiscali a favore delle imprese, ritenute dagli esperti, spesso inutili;
     qualora il pagamento delle somme dovute avvenisse in sei rate annuali a decorrere dall'anno 2015, i costi implicherebbero che il deficit in rapporto al PIL salirebbe nell'anno in corso dal 2,5 per cento previsto nel DEF 2015 al 2,9 per cento per quanto concerne la cassa. Nel 2016, il deficit passerebbe dall'1,4 per cento all'1,8 per cento ma solo per la cassa. Per il 2015 il rapporto deficit/PIL, sarebbe nei fatti inferiore al 3 per cento superando tale limite solo per il bilancio di competenza, criterio in via di graduale superamento nella contabilità degli Stati europei;
    una rateizzazione ebbe già luogo in un caso analogo: il Governo la applicò per rispettare la sentenza n. 314 del 1985 della Consulta che aveva stabilito che ogni pensione, qualora non lo fosse, dovesse essere reintegrata al minimo, per cui il pensionato di vecchiaia o di anzianità che, per esempio, godesse anche di una pensione di reversibilità, qualora questa fosse stata calcolata sulla base dei contributi, come l'INPS faceva, anche questa seconda pensione doveva essere integrata al trattamento minimo. Su tale questione vi erano state migliaia e migliaia di cause, tra i lavoratori, i pensionati e l'INPS;
    nel 1994 il Governo pose fine a questo enorme contenzioso decidendo, con una legge, che tutti i pensionati interessati a quella sentenza dovessero avere l'integrazione al minimo dal 1o giugno di quell'anno e gli arretrati in sei annualità;
    il Governo ancora una volta non coglie l'occasione per aprire un ampio contenzioso con l'Unione europea volto a rivedere la politica dell'austerità ed i criteri dei Trattati europei in merito alla politica fiscale, mentre gli organismi dell'Unione (Commissione e Consiglio europeo) non riescono a porre in essere un'adeguata e solidale politica sull'immigrazione e sulle sanzioni nei confronti della Russia, facendo pagare al nostro Paese un notevole prezzo in termini sia finanziari che di crescita per la nostra economia;
    la sentenza n. 70 ha scatenato un fuoco di sbarramento nei confronti della Consulta ed un dibattito tra i costituzionalisti e non sull'esigenza di bilanciare giustizia sociale ed equilibrio di bilancio. È in atto un chiaro tentativo di delegittimazione della Corte costituzionale davanti all'opinione pubblica. Siamo, dunque, in un momento delicato non solo per il controllo di costituzionalità, ma per gli equilibri democratici nel Paese;
    la stessa relazione introduttiva del Governo al decreto-legge n. 65 del 2015 (A.C. 3134) giustifica l'agire dei governi precedenti Monti e Letta: «L'intervento attuato nel 2011 sull'indicizzazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il livello minimo deve essere considerato alla luce di un difficile riaggiustamento dei conti pubblici nel contesto di questa recessione prolungata e intensa»;
    in realtà, non era inevitabile nel 2011 bloccare le pensioni. Le alternative c'erano. Basta guardare i dati della spesa pubblica nel periodo 2011-2013, per accorgersi che è aumentata sia in rapporto al PIL (dell'1,8 per cento), sia in termini nominali (dello 0,9 per cento). Si sarebbe potuto intervenire su altre voci di spesa, come quella dei consumi intermedi e dei trasferimenti alle imprese, considerato che è lì che si annidano molti degli sprechi e delle inefficienze dell'utilizzo della spesa pubblica;
    grave è stata l'intervista del Ministro dell'economia e delle finanze rilasciata al quotidiano La Repubblica del 22 maggio, dove si afferma che «se ci sono sentenze che hanno un'implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione d'impatto». È, infatti, assolutamente contrario alla correttezza e al buon gusto istituzionale, che un esponente del Governo censuri la Corte costituzionale, per qualsiasi motivo;
    il Ministro ha sostenuto che la Corte avrebbe dovuto tener conto dell'impatto della sentenza n. 70/2015 sui conti pubblici. In realtà, per il domani, la Corte ha lasciato spazio al legislatore per una modulazione anche ampia dei trattamenti pensionistici in ragione delle esigenze di bilancio. Non poteva fare altrettanto per ieri, dal momento che non può modulare riduttivamente per il passato gli effetti di una sentenza di accoglimento in ragione delle condizioni soggettive dei destinatari della norma;
    quando una legge scompare perché illegittima, non è la Corte a determinarne le conseguenze, ma il regime giuridico delle sue pronunce. Per il passato il mancato adeguamento a causa della norma dichiarata incostituzionale non era per alcuni più o meno illegittimo che per altri. Era illegittimo e basta. Né il diritto di alcuni era più o meno diritto che quello di altri. Quindi per il passato si recupera ciò che non era stato – illegittimamente – corrisposto. Se non lo fa il legislatore partiranno ricorsi e lo faranno probabilmente i giudici. Per il futuro si detta una nuova e diversa disciplina;
    oltre ad indicare alla Corte quel che avrebbe dovuto decidere, si è affermata anche la necessità di un «coordinamento». In ogni caso, il concetto di coordinamento con la politica di bilancio del Governo, implica una co-decisione. Ed è qui che le affermazioni assumono un senso oggettivamente intimidatorio;
    l'appello ai conti conformi alle richieste dell'Europa e della finanza internazionale, rischia di diventare la super norma costituzionale. Si insiste su vere o presunte inflazioni dei diritti, sulla necessità di un nuovo equilibrio tra diritti e doveri, soprattutto di bilanciamenti che fanno del calcolo economico l'unico criterio di valutazione dell'ammissibilità di un diritto,

impegna il Governo

a ritirare la Relazione al nostro esame in quanto implica decisioni normative non conformi alla citata sentenza n. 70/2015 della Consulta.
(6-00143) «Scotto, Airaudo, Placido, Marcon, Melilla, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

pensionato

relazione