ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00081

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 469 del 28/04/2011
Abbinamenti
Atto 6/00077 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00078 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00079 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00080 abbinato in data 28/04/2011
Firmatari
Primo firmatario: FRANCESCHINI DARIO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 28/04/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
VENTURA MICHELE PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
MARAN ALESSANDRO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
VILLECCO CALIPARI ROSA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
AMICI SESA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
BOCCIA FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
LENZI DONATA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
QUARTIANI ERMINIO ANGELO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
ROSATO ETTORE PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
BARETTA PIER PAOLO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
CALVISI GIULIO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
CAPODICASA ANGELO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
DE MICHELI PAOLA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
GENOVESE FRANCANTONIO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
MARINI CESARE PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
MISIANI ANTONIO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
NANNICINI ROLANDO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
RUBINATO SIMONETTA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
SERENI MARINA PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011
VANNUCCI MASSIMO PARTITO DEMOCRATICO 28/04/2011


Stato iter:
28/04/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 28/04/2011
Resoconto CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 28/04/2011
Resoconto LA MALFA GIORGIO MISTO-LIBERAL DEMOCRATICI-MAIE
Resoconto COMMERCIO ROBERTO MARIO SERGIO MISTO-MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE-ALLEATI PER IL SUD
Resoconto LANZILLOTTA LINDA MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI
Resoconto DELLA VEDOVA BENEDETTO FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Resoconto CESARIO BRUNO INIZIATIVA RESPONSABILE (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
Resoconto GALLETTI GIAN LUCA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Resoconto MONTAGNOLI ALESSANDRO LEGA NORD PADANIA
Resoconto DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MILANESE MARCO MARIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 28/04/2011

DISCUSSIONE IL 28/04/2011

DICHIARATO PRECLUSO IL 28/04/2011

CONCLUSO IL 28/04/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00081
presentata da
DARIO FRANCESCHINI
testo di
giovedì 28 aprile 2011, seduta n.469

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011,
premesso che:
la recente introduzione, a livello comunitario, di modelli decisionali e operativi tesi a favorire, nell'ambito del «Semestre europeo», il rafforzamento del coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri e della sorveglianza in campo fiscale e macro-economico, nonché la revisione dei contenuti e dei tempi di presentazione dell'aggiornamento del Programma di stabilità e del Programma Nazionale di Riforma, hanno comportato la necessità di modificare i profili sostanziali e procedurali della normativa contabile nazionale;
con la recente legge 7 aprile 2011, n. 39 sono state pertanto apportate talune modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica, volte ad allineare al nuovo calendario europeo il processo di programmazione nazionale, anticipando ad aprile la data di presentazione alle Camere del Documento di economia e finanza (DEF), il principale strumento di programmazione economica e finanziaria, che ricomprende lo schema del Programma di stabilità e lo schema del Programma Nazionale di Riforma;
nonostante alcune contraddizioni, tra cui spicca la dominanza della dimensione intergovernativa rispetto alla valorizzazione degli organi rappresentativi, i cambiamenti introdotti nella governance comunitaria costituiscono delle innovazioni positive che presentano importanti potenzialità; tuttavia, per rafforzare il processo di unificazione nell'Unione europea, è necessario un riorientamento della sua stessa cultura economica, per costituire saldi legami tra stabilità finanziaria da un lato e sviluppo economico, equità sociale e riequilibrio territoriale dall'altro, creando per questa via adeguate condizioni generali di benessere materiale e di progresso civile;
la linea di indirizzo prevalente, ribadita nel Consiglio europeo del marzo scorso, si concentra quasi esclusivamente sulla disciplina di bilancio, nella convinzione che solo politiche restrittive possano ripristinare la stabilità macroeconomica dell'Unione e ridurre la volatilità dei mercati e che l'abbattimento del debito pubblico, accrescendo il reddito futuro atteso dai consumatori, indurrà le famiglie ad aumentare i consumi;
in questo modo si rischia di produrre effetti esattamente opposti a quelli annunciati, deprimendo le prospettive di crescita e deteriorando ulteriormente le condizioni di solvibilità dei debitori. La sostenibilità del debito pubblico non dipende semplicemente dalla sua dimensione, ma riflette una serie articolata di fattori, tra i quali assume particolare rilievo l'esistenza di un differenziale positivo fra il tasso di crescita e il tasso di interesse sui prestiti: quindi, più lenta è la crescita del PIL, minore sarà la capacità di far fronte alle obbligazioni di pagamento degli interessi sui titoli emessi;
«non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico democratico senza stabilità e solidità della finanza pubblica», tuttavia, la politica dei due tempi - prima il debito poi, forse, la crescita - trascura la circostanza che senza crescita difficilmente potrà esserci riduzione del debito;
misure di stabilizzazione anche coraggiose non potranno essere risolutive, né gli obiettivi di finanza pubblica potranno essere raggiunti in assenza dell'innalzamento del potenziale della nostra economia nel quadro di una politica economica europea per il sostegno della domanda interna,
considerato che:
il Programma di stabilità illustra uno scenario macroeconomico che rivede decisamente al ribasso le valutazioni contenute nel Documento di finanza pubblica del settembre 2010 per tutto l'arco di previsione: in particolare, per il 2011 il PIL italiano è stimato crescere ad un tasso dell'1,1 per cento (rispetto all'1,3 per cento indicato nel Documento di finanza pubblica) e si mantiene per tutto l'arco previsionale ampiamente al di sotto del 2 per cento previsto dal Documento di finanza pubblica (1,3 per cento nel 2012, 1,5 per cento nel 2013 e 1,6 per cento nel 2014);
si tratta di tassi sensibilmente più bassi della media dei paesi avanzati, per i quali è prevista una crescita del 2,4 per cento nel 2011, la stessa della Germania, mentre la Francia si attesterebbe all'1,6 e il Regno Unito all'1,7 per cento;
nella determinazione di uno scenario di crescita meno favorevole, rileva la crescente penetrazione delle importazioni: nel Programma di stabilità, il rafforzamento della domanda interna è, infatti, assorbito dal venir meno del contributo fornito alla crescita dalle esportazioni nette (il contributo era positivo per un valore medio di 0,2 punti nel Documento di finanza pubblica). In particolare, nel 2011-2013 l'incremento medio annuo delle importazioni è elevato di mezzo punto, quello delle esportazioni è ridotto di 0,2 punti: in assenza di un più robusto traino proveniente dalle componenti estere, l'economia italiana resta priva di un importante fattore d'accelerazione per superare la condizione di bassa crescita relativa in cui versa da ormai quindici anni;
se il Documento di economia e finanza adegua le previsioni di crescita a quelle dei principali istituti internazionali e italiani, conferma, per il biennio 2011-2012, il dato dell'indebitamento del Documento di finanza pubblica (pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011 e al 2,7 nel 2012, mentre va segnalato che il Fondo monetario internazionale nel recente World Economic Outlook prevede il 4,3 per cento nel 2011 e 3,5 per cento nel 2012); peggiora, invece, la previsione del debito pubblico, pari al 120 per cento del PIL nel 2011 e al 119,4 per cento nel 2013;
oltre alla differenza riscontrata nelle stime, solleva perplessità la scelta governativa di affidare il biennio 2011-2012 solo all'andamento spontaneo dell'economia e della finanza pubblica, poiché il previsto miglioramento del disavanzo tendenziale presenta componenti non tranquillizzanti, come rilevato dalla Corte dei conti, derivando dal mantenimento della pressione fiscale sul livello elevato del 2010 (42,6 per cento), da una ulteriore forte caduta degli investimenti pubblici rispetto al livello minimo del 2010 e dal blocco temporaneo delle spese di personale delle amministrazioni pubbliche, disposto con il decreto-legge n. 78 del 2010;
si deve, peraltro, osservare che nel quadro di previsione non si fa cenno alla necessità di individuare, come previsto nel decreto-legge n. 78 del 2010 e come riconfermato nel recente decreto sul federalismo regionale, le risorse necessarie a reintegrare, anche parzialmente, i trasferimenti agli enti territoriali soppressi dalla manovra dell'estate scorsa: nel 2014 è previsto un incremento inferiore al miliardo a fronte dei tagli operati che raggiungono nel 2013 gli 8 miliardi di euro;
decisamente peggiore è il nuovo scenario per il 2013: in particolare, l'indebitamento netto si colloca al 2,7 per cento del PIL (mentre era previsto diminuire al 2,2 per cento) e il debito pubblico si attesta al 116,9 per cento del PIL, rispetto al 115,2 per cento del Documento di finanza pubblica;
la decisione del Governo di raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio nel 2014 (-0,2 per cento del PIL) prefigura nel Documento di economia e finanza una manovra di correzione dei conti per circa 2,3 punti del PIL nel biennio 2013-2014; si tratterà di reperire risorse per 20,3 miliardi di euro nel 2013 e per 40 miliardi nel 2014. La manovra potrebbe essere persino più ampia, come rilevato dalla Banca d'Italia, considerato che il Documento di economia e finanza riporta anche indicazioni circa gli oneri, stimati in 5,1 miliardi (0,3 punti percentuali del prodotto), nel 2014 derivanti dall'adozione del criterio delle politiche invariate;
in sostanza, si affida il biennio 2011-2012 agli andamenti economici e finanziari spontanei, non essendo previsti effetti di stimolo della crescita da attribuire a nuove misure strutturali di riforma né interventi di contenimento del disavanzo, né azioni di riqualificazione della spesa e si rinvia alla prossima legislatura l'onere di un aggiustamento che si profila di gran lunga superiore a quello compiuto per rispettare i parametri di Maastricht e poter partecipare fin dall'inizio alla moneta unica europea, impegno ancora più gravoso ora, in un contesto di bassa crescita;
il Governo non fornisce indicazioni precise sull'articolazione della manovra, ma afferma che essa agirà prevalentemente attraverso tagli alla spesa: a questo proposito va considerato che nelle stime del documento, già nel biennio 2011-2012, la spesa primaria corrente in termini reali diminuirebbe dell'1 per cento l'anno. Negli anni 2013-2014 il conseguimento dell'obiettivo indicato per l'indebitamento netto richiederebbe una riduzione delle erogazioni primarie correnti in termini reali di oltre il 2 per cento l'anno. Nel complesso, tra il 2010 e il 2014 la spesa primaria corrente si ridurrebbe in termini reali di quasi il 7 per cento e, qualora il tasso di crescita del prodotto fosse inferiore, il raggiungimento degli obiettivi richiederebbe compressioni ancora più rilevanti;
la spesa in conto capitale nel 2014 risulterebbe essere inferiore, al netto della manovra, di 8 miliardi di euro rispetto a quella del 2010 (una riduzione di 0,9 punti percentuali di PIL), e ammonterebbe al 2,6 per cento del PIL, il valore più basso degli ultimi decenni; in particolare gli investimenti scenderanno a 28 miliardi rispetto ai quasi 32 miliardi del 2010, elemento che confligge con le esigenze di rafforzare le prospettive della crescita economica e con le raccomandazioni dell'Unione europea che chiedono di effettuare il risanamento senza penalizzare la spesa in infrastrutture;
si tratta di obiettivi difficili da raggiungere, considerando che nel decennio che ha preceduto la crisi la spesa primaria corrente è cresciuta in termini reali del 2 per cento all'anno e che gli esiti dei tentativi di contenimento sono stati spesso deludenti e si sono risolti prevalentemente in semplici slittamenti nel tempo di pagamenti, così creando inevitabili difficoltà alle aziende fornitrici dell'amministrazione, debito occulto, elementi di distorsione del bilancio;
in questo senso, la rilevante crescita prevista per la spesa per interessi, che dovrebbe aumentare di oltre 22 miliardi di euro in quattro anni, in media ad un tasso dell'8,6 per cento annuo, valori significativamente superiori alle previsioni di consenso (una differenza di 2,8 miliardi di euro nel 2011 che sale fino a 8,4 miliardi nel 2013) può essere anche letta come una «riserva» da utilizzare per compensare eventuali scostamenti delle dinamiche effettive relative ad altre voci di spesa;
va anche segnalato che, a differenza di quanto prescritto dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 riformata dalla legge n. 39 del 2011, il documento non riporta gli obiettivi programmatici per sottosettore, né tantomeno l'indicazione - sempre per sottosettori - dall'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi: è necessario che il documento sia integrato da queste previsioni;
inoltre, vi è anche un rischio legato alla probabilità che la correzione di bilancio non si realizzi: una parte del miglioramento dei saldi dei prossimi anni è legata allo spontaneo miglioramento del ciclo (in termini di saldo primario, dei 5,3 punti di PIL di correzione da realizzare nel quadriennio 2010-2014, 1,6 punti sono determinati dal ciclo), ipotesi corretta se una parte del deficit attuale fosse spiegato da fattori legati al ciclo economico mentre se la caduta del PIL fosse stata di carattere strutturale, allora anche il peggioramento del deficit sarebbe strutturale e pertanto la finanza pubblica non potrebbe fare affidamento sulla ripresa dei prossimi anni;
lo scenario di sviluppo che farà da sfondo all'aggiustamento fiscale dei prossimi anni è quindi un aspetto cruciale per stabilire la probabilità di successo dell'azione di risanamento. In assenza di un recupero della crescita, anche l'aggiustamento delle finanze pubbliche risulterebbe irraggiungibile, il che potrebbe rendere necessario un negoziato con la Commissione per una diversa modulazione degli obiettivi; per altro verso, un tasso di crescita intorno all'1,5 per cento alla fine del periodo della programmazione in presenza di una politica fiscale restrittiva e prociclica sembra sovrastimato;
per esigenze di completezza dell'analisi, sarebbe desiderabile che le stime di impulso determinate dalle misure del PNR sul prodotto fossero accompagnate da valutazioni sugli effetti, di segno opposto, indotti dalla manovra restrittiva di finanza pubblica sulla componente ciclica della crescita: secondo le stime di consenso, l'impulso fiscale alla crescita sarebbe di segno restrittivo per quasi nove decimi all'anno per tutto il quadriennio;
il vero problema irrisolto è dunque quello legato alla perdurante difficoltà dell'economia italiana a recuperare ritmi di sviluppo appena apprezzabili, la condizione essenziale - come è stato autorevolmente rilevato nelle audizioni - per affrontare con successo il percorso di rientro del debito pubblico che l'Europa richiede. Il blocco dell'economia è, peraltro, una condizione che ci differenzia dagli altri principali paesi europei, più speditamente avviati a recuperare tassi di crescita prossimi a quelli sperimentati prima della crisi internazionale,
valutato che:
se la variabile principale ai fini della stabilità finanziaria è la crescita, il Programma Nazionale di Riforma appare uno specchio dei limiti e dell'inefficacia della politica del Governo e, persino, dell'assenza di qualunque politica: il PNR, infatti, ha solo in parte natura programmatica, non viene, quindi, utilizzato per delineare strategie future, ma piuttosto per sistemare ex-post le azioni già intraprese, tanto da limitarsi, almeno nella quantificazione degli effetti sulla crescita, a considerare i provvedimenti già adottati nel corso della legislatura;
il PNR oscilla tra un eccessivo ottimismo circa l'impatto delle misure già assunte, che non sembrano aver prodotto i risultati attesi (l'incremento stimato del PIL ammonta solo allo 0,4 per cento, inadeguato a garantire la ripresa dell'occupazione e il progressivo riassorbimento del debito), e la genericità circa i contenuti delle ulteriori iniziative che paiono ripetere le caratteristiche dei Documenti di programmazione economica e finanziaria del passato, senza i caratteri stringenti e operativi previsti dalle nuove procedure europee: ne sia dimostrazione l'assenza dell'indicazione di eventuali provvedimenti collegati necessari alla sua attuazione, previsti dalla legge n. 196 del 2009 come modificata dalla legge n. 39 del 2011;
quel che è peggio, si tratta di obiettivi modestissimi: se anche essi saranno raggiunti l'Italia sarà l'ultima su 27 in molti ambiti di azione di Europa 2020, decisivi per il rilancio della crescita e per il miglioramento del benessere dei cittadini; addirittura, come ha rilevato l'ISTAT, il divario con la media dell'Unione europea andrebbe aggravandosi in tutti gli ambiti, ad eccezione del tasso di occupazione e dell'istruzione universitaria: se anche gli obiettivi di altri paesi fossero irrealistici e impossibili da raggiungere, certamente essi indicano che - a differenza dell'Italia - gli altri partner europei hanno quantomeno l'ambizione di migliorare fortemente da qui alla fine del decennio;
si deve a questo proposito rilevare la differenza tra i contenuti e le ambizioni presenti nel documento finale sull'analisi annuale della crescita approvato dalla Commissione bilancio il 7 aprile scorso e il PNR presentato dal Governo;
tra le riforme di struttura più attese, il Documento di economia e finanza dedica particolare attenzione alla riforma fiscale, cui non corrispondono, però, indicazioni anche solo di massima delle misure che si intende proporre e delle implicazioni che la riforma è destinata ad avere sulla crescita economica e sulla finanza pubblica (ad esempio, i regimi di favore da ridurre ammontano a 90 miliardi); lo spostamento del prelievo fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette rischia compromettere la progressività del sistema impositivo e innescare effetti inflazionistici; è necessario, invece, dare piena attuazione alla riforma fiscale secondo le linee della mozione del Partito democratico Bersani n. 1-00471 approvata dalla Camera il 22 dicembre 2010, che consentirebbe contemporaneamente di ottenere una maggiore efficienza, coerenza ed equità del sistema e la promozione del lavoro, dell'impresa, dell'investimento produttivo;
il tema della riforma fiscale si lega necessariamente a quello dell'attuazione del federalismo, finora di fatto costruito assumendo la sostanziale invarianza dell'assetto vigente: una lettura trasversale dei decreti già approvati o in via di approvazione fa emergere una serie di incoerenze nel disegno generale, di carenze di coordinamento tra le varie componenti della riforma, contraddizioni che derivano dall'approccio «di breve respiro» seguito dalla riforma;
il PNR dà ampio risalto agli interventi per infrastrutture e trasporti: per il settore trasporti, nel PNR è inserito anche il Piano nazionale della logistica i cui contenuti risultano sinora solo anticipati nelle linee generali, rinviando alla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza di settembre indicazioni più chiare sui programmi e sulle risorse disponibili, le quali, come ha rilevato Confindustria in audizione, al momento sono esclusivamente quelle per il sostegno agli autotrasportatori;
nella valutazione degli effetti delle riforme sulla crescita del Documento di economia e finanza la tematica degli investimenti pubblici è totalmente ignorata, forse a causa di una azione del Governo fallimentare; è d'altronde lo stesso PNR a ricordare, come sottolineato dalla Corte dei conti, che la dotazione del Piano di infrastrutture strategiche (PIS) è pari a 233 miliardi, di cui 113 per opere di intervento prioritario fino al 2013: di questo ampio ammontare, le risorse assegnate, a partire dal 2008, sui progetti della legge obiettivo sono tuttavia pari ad appena 8,3 miliardi, peraltro non ancora distribuibili sulle singole annualità; neppure per gli oltre 70 miliardi di opere finanziate dal CIPE dal 2001, il Documento si espone a formulare una stima delle realizzazioni attese per l'arco temporale 2008-2014; del resto, il rallentamento degli investimenti in opere pubbliche è, forse, l'indicatore più significativo del divario tra enunciazioni programmatiche e realizzazioni: sono trascorsi dieci anni dal varo della legge obiettivo, una sorta di «Testo unico» delle infrastrutture, che seguita a rappresentare la lista di riferimento delle opere prioritarie, ma l'irrisoria incidenza dei progetti finora completati (3 su 18 opere dichiarate prioritarie nel 2001) si accompagna alla caduta brusca degli ultimi cinque anni;
mentre il Documento di economia e finanza richiama esplicitamente il legame fra infrastrutture e sviluppo, offre quantificazioni finanziarie il cui effetto cumulato al 2014 determinerebbe un risparmio della spesa per infrastrutture per le amministrazioni pubbliche di circa 15 miliardi di euro; è, invece, necessario rilanciare la politica degli investimenti, utilizzando tutte le leve disponibili, dalla spesa diretta all'intervento a livello europeo, perché essa influisce sulla crescita in misura particolarmente significativa: nel breve periodo, la realizzazione di opere pubbliche accresce direttamente l'investimento in costruzioni e quindi il PIL, nel lungo periodo, una maggiore dotazione di infrastrutture aumenta l'efficienza del sistema e innalza per tale via il livello del prodotto potenziale;
l'energia è uno dei settori in cui meglio è rappresentata l'assenza di una strategia compiuta: con la legge n. 99 del 2009 il Governo si era impegnato a redigere un Piano straordinario per l'efficienza energetica entro il 31 dicembre 2009 ma di questo non c'è traccia, anzi sono stati progressivamente indeboliti gli strumenti fiscali in essere: in particolare la detraibilità del 55 per cento per interventi di efficientamento degli edifici, misura cui il PNR dà grande importanza, è stata resa sempre meno incentivante (dai tre anni iniziali la detrazione è ora ripartita su dieci anni), messa in dubbio fino all'ultimo ed è priva di certezza per il futuro (scadrà alla fine del 2011); sulle rinnovabili l'assoluta improvvisazione delle scelte normative ha prodotto l'articolo 45 del decreto-legge n. 78 del 2010 che vanifica i certificati verdi e, più di recente, il decreto legislativo sulle fonti rinnovabili è, di fatto, illegittimamente intervenuto in modo retroattivo con gravi danni per gli investitori e per la credibilità per lo Stato italiano (credibilità su cui influisce anche la vicenda del nucleare); lo schema di decreto legislativo sul «terzo pacchetto energia», cui pure il PNR dà grande rilievo, non recepisce pienamente la direttiva comunitaria optando per il meccanismo di separazione funzionale, più debole, come sottolineato dall'AEEG e dall'Antitrust, in luogo della separazione proprietaria: la mancata piena concorrenzialità del gas assume nel nostro Paese, infatti, particolare importanza perché il 65 per cento dell'energia elettrica è prodotta tramite gas metano e questo ha pesanti ripercussioni sul costo dell'energia, tra le voci che più spiegano le tendenze inflazionistiche attuali;
la competitività dell'industria italiana è da tempo al centro del dibattito e anche lo schema analitico del PNR ne affronta alcune problematicità, circoscrivendo però la portata del fenomeno e non attribuendo ad esso un ruolo centrale rispetto ad altri ambiti di analisi: degli undici punti attraverso i quali l'introduzione al PNR sintetizza gli ambiti di intervento della politica economica italiana, non ve ne è uno specifico per l'industria. Il tema della competitività è affrontato indirettamente solo nella sezione «lavoro» attraverso l'obiettivo di rafforzare il legame fra salari reali e produttività; questione importante ma non esaustiva: innovazione tecnologica ed impiantistica, politiche commerciali sostenute dal Governo, credito propulsivo e politiche territoriali costituiscono altrettanti fattori di sviluppo. È necessario che la politica industriale torni a essere una delle componenti della più generale strategia di politica economica dell'Italia, estendendone l'applicazione dal solo comparto manifatturiero alla generalità dei settori produttivi e rinunciando definitivamente a dare scarsi incentivi a molti settori in favore dell'indirizzo delle scelte imprenditoriali verso nuovi mercati e nuove produzioni;
appare riduttivo che il rilancio dell'industria del turismo sia affidato alla sola istituzione dei «distretti turistico-balneari»: il settore può tornare ad essere uno dei punti di forza dell'economia nazionale solo se si riuscirà ad elaborare un'adeguata politica industriale per il turismo, superando l'impasse determinato dall'assenza di una governance nazionale del settore e valorizzando risorse, eccellenze e vocazioni territoriali;
l'azione di sostegno ai settori produttivi deve essere parte di una più generale strategia di politica per l'innovazione, che punti a superare i tradizionali limiti italiani legati al basso livello degli investimenti in ricerca e sviluppo, alla scarsa capacità di integrare e valorizzare nel sistema produttivo risorse umane fortemente qualificate, alla bassa propensione del nostro sistema finanziario ad investire in progetti fortemente innovativi, all'assenza di un circuito virtuoso tra sistema della ricerca e mondo della produzione. A fronte di queste ambizioni appaiono estremamente deludenti in materia di ricerca e innovazione sia l'obiettivo nazionale fissato dal PNR per il 2020 (la spesa all'1,53 per cento del PIL), molto lontano da quello dei principali paesi europei e dall'obiettivo che l'Europa si è data (il 3 per cento), sia gli strumenti indicati per raggiungerlo: si rileva la mancanza di risorse per la ricerca industriale laddove non è previsto il rifinanziamento del Fondo per l'innovazione scientifica e tecnologica gestito dal Miur lasciando il Centro-Nord, che non beneficia di fondi strutturali, privo di risorse dal 2012; l'intenzione di estendere gli strumenti automatici, anche portando il credito d'imposta al 90 per cento sulle commesse per ricerca di imprese a università e centri di ricerca pubblici, è sostenuta, solo per il 2011, dai 100 milioni previsti dalla legge di stabilità; il Programma Nazionale di Riforma non prevede nuovi stanziamenti ma solo la redistribuzione di quelle già stanziate secondo criteri non pienamente condivisibili; anche la volontà di proseguire con Progetti di innovazione industriale (Industria 2015) non chiarisce quali siano le risorse disponibili;
il Programma Nazionale di Riforma afferma la volontà di modernizzare la scuola e l'università, volontà che contrasta nettamente con le riduzioni di risorse effettuate (-20,5 miliardi dal 2009 al 2013) e un'insufficiente definizione dei percorsi attuativi: mancano progetti chiari e misure definite per raggiungere gli obiettivi: non viene individuata un'azione specifica per l'accrescimento del numero dei laureati tecnico-scientifici che negli ultimi anni si è significativamente ridotto, non ci sono misure per accompagnare la costituzione del Fondo per il merito, non si fa riferimento al progressivo allineamento dell'investimento italiano nel diritto allo studio alla media OCSE, che lo dovrebbe portare dall'attuale 0,14 per cento del PIL allo 0,25 per cento;
il Governo sembra considerare la solidarietà famigliare la principale risorsa per far fronte a tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico in larga misura lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla cura dei bambini al mancato adeguamento del sistema di protezione sociale a un mercato del lavoro flessibile, dove la precarietà e la disoccupazione colpiscono soprattutto i giovani: servirebbe, invece, un moderno sistema di ammortizzatori sociali indipendente dal settore, dalla dimensione di impresa e dalla tipologia contrattuale, così come ancora assente, nonostante l'impegno di ridurre il numero dei poveri di due milioni, è una misura di contrasto alla povertà, rispetto alla quale del tutto insufficiente si rivelano essere i 50 milioni previsti dal Programma Nazionale di Riforma per la «carta acquisti»; a proposito di politiche sociali va anche rilevata la contraddizione del Governo relativamente alla questione dell'immigrazione: nel Documento di economia e finanza, infatti, essa compare quando garantisce un quadro di sostenibilità del debito pubblico, i cui scenari evolutivi di lungo periodo (fino al 2060) implicano un flusso netto medio annuo di 221 mila unità, per poi scomparire quando si tratta di potenziare le politiche di integrazione;
il Programma Nazionale di Riforma ribadisce la centralità delle riforme nel mercato dei servizi per superare le attuali rigidità e rafforzare la concorrenza e particolare enfasi viene dedicata alle misure già adottate: tuttavia, questo è uno dei settori in cui la politica del Governo si è rivelata più fallimentare, perché permangono significative carenze, nel settore dei servizi professionali e nelle industrie a rete, su cui il Programma Nazionale di Riforma non prevede impegni concreti e, anzi, esalta le potenzialità della legge annuale per il mercato e la concorrenza, omettendo che il termine del 31 maggio 2010, entro cui il disegno di legge annuale doveva essere presentato al Parlamento, non è stato rispettato e la discussione sui contenuti concreti è tuttora caratterizzata da ritardi e incertezze;
nessuno specifico progetto per il settore primario è presente nel Piano Nazionale di Riforma, mentre non è più rinviabile l'individuazione di misure strategiche per l'agroalimentare che ha, invece, una grande valenza competitiva, ambientale, sociale e culturale. Punto sono le filiere agroalimentari che vanno riorganizzate superando l'estrema polverizzazione della fase produttiva, lo scarso grado di concentrazione nella fase distributiva e commerciale e rimuovendo i passaggi eccessivi che le rendono troppo «lunghe». La riorganizzazione delle filiere passa necessariamente attraverso nuove relazioni contrattuali con la grande distribuzione organizzata: bisogna definire un patto interprofessionale che coinvolga per intero le filiere, al fine di stabilizzare i rapporti dal produttore alla Grande distribuzione organizzata con l'obiettivo concreto di aumentare i redditi e ridurre i costi sul fattore produzione;
l'obiettivo della riduzione dei divari regionali è condivisibile: tuttavia, l'analisi non è convincente, perché la retorica delle due economie con andamenti differenti non considera che il declino della crescita italiana è una tendenza delle regioni settentrionali al pari di quelle del Sud; pertanto le politiche di crescita - l'occupazione, specie femminile, le politiche industriali, l'investimento in formazione e sapere - sono politiche per il Mezzogiorno; esistono, tuttavia, ampie risorse sottoutilizzate, poiché negli ultimi 15 anni i divari di reddito si sono ridotti ma permangono assai ampi, mentre i divari nelle dotazioni non si sono neanche ridotti: è quindi urgente che il Governo accerti con la Commissione europea la possibilità di rifinanziare con risorse comunitarie uno strumento di tipo automatico (credito d'imposta) volto all'acquisto di beni strumentali e all'incremento dell'occupazione e chiarisca come si concretizzerebbe l'annunciata misura di fiscalità differenziata, per la cui adozione è opportuno acquisire in tempi brevi le autorizzazioni comunitarie;
per quanto riguarda le politiche di sviluppo e coesione, le percentuali di impegno e di spesa sul primo triennio dei piani relativi alla programmazione 2007-2013 sono molto più basse di quanto avvenuto nel ciclo precedente 2000-2006: segno che la capacità realizzativa sta peggiorando a causa di elementi (regole inefficienti, normative farraginose, programmazioni deboli, difficoltà di progettazione, procedimenti di selezione dei progetti poco efficaci, ecc.) che andrebbero velocemente rimossi ma dei quali il Programma Nazionale di Riforma non fa menzione;
il Documento di economia e finanza profila l'ennesima riforma della pubblica amministrazione, certamente strategica soprattutto se il Governo non si limitasse ad annunciarla ma la realizzasse davvero. La Corte dei conti ha di recente reso pubblico un documento che evidenzia come la manovra di finanza pubblica della scorsa estate abbia di fatto cancellato la riforma voluta dal ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione per accrescere la produttività del lavoro pubblico, valorizzare il merito dei dipendenti e responsabilizzare la dirigenza e come ad oggi non risulti alcun incremento della produttività; ad ormai tre anni dall'inizio della legislatura è tempo di trarre bilanci anziché annunciare nuovi interventi: le misure per la semplificazione degli adempimenti amministrativi non sono state realizzate, si pensi al trasferimento sulla rete internet dello sportello unico delle imprese o alle «zone a burocrazia zero»; mentre per le imprese, come ha ricordato la stessa Confindustria, la semplificazione degli adempimenti amministrativi previsti dalle leggi è essenziale; sarebbe invece necessario intervenire concretamente sulla lotta alla corruzione, sulla razionalizzazione della struttura amministrativa centrale e periferica dello Stato, sulla riforma della dirigenza, con l'introduzione di una maggiore trasparenza nelle nomine e di nuove regole nei concorsi, per evitare la dipendenza dei dirigenti dalla politica;
fondamentale per la competitività è anche la riforma del processo civile, per la quale bisogna portare avanti un effettivo percorso di razionalizzazione e semplificazione, per far fronte tanto allo smaltimento dell'arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche emergenziali e affrontando una riforma di sistema capace di assicurare la migliore utilizzazione delle risorse disponibili, la ragionevole durata dei processi, la garanzia della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di tutte le cause;
l'impulso espansivo del programma di riforme fin qui attuato è, per stessa ammissione del Documento di economia e finanza, molto modesto, non sufficiente a condurre la crescita in prossimità di quel 2 per cento necessario a conciliare l'obiettivo di ridurre l'indebitamento e il debito pubblico,
ritenuto che:
è necessario un cambio di strategia: il Partito Democratico ha elaborato un Programma Nazionale di Riforma alternativo che, nel pieno rispetto della stabilità finanziaria e delle regole europee, rimette al centro dell'attenzione la crescita e l'occupazione, in particolare femminile e giovanile, l'efficienza e l'equità fiscale. Nel quadro di una politica economica europea per il sostegno della domanda interna, riforme per l'incremento del potenziale della nostra economia, l'aumento del tasso di occupazione femminile al 60 per cento in un decennio, l'innalzamento della specializzazione produttiva, politiche per il capitale umano, la ricerca, l'innovazione possono generare, rispetto allo scenario tendenziale e senza misure di finanza straordinaria (patrimoniali o interventi simili sulle imposte), un incremento medio annuo del PIL pari allo 0,5-0,6 per cento con effetti positivi sia sulla velocità di convergenza che sugli sforzi necessari alla riduzione del debito,
impegna il Governo
per quanto riguarda il Programma di stabilità:
a dare priorità alle politiche per la crescita e a definire un percorso realistico e sostenibile di riduzione del debito, coerente con gli obiettivi di medio periodo del Patto di stabilita rafforzato, derivante dall'innalzamento del PIL potenziale;
a integrare il Documento, in conformità alle disposizioni della legge n. 196 del 2010, con le informazioni riguardanti la ripartizione del debito per sottosettori, gli obiettivi programmatici per sottosettore e l'indicazione dell'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi;
per quanto concerne il Piano Nazionale delle Riforme:
a riqualificare e ridurre la spesa pubblica senza compromettere il livello di quella in conto capitale, abbandonando la strada iniqua ed inefficiente dei tagli ciechi, riavviando e potenziando un'analisi approfondita di tutte le poste del bilancio pubblico attraverso processi di spending review, attuando un approccio top-down che consenta di individuare le priorità nell'allocazione delle risorse con il coinvolgimento degli enti territoriali, fornendo analisi, valutazioni e previsioni indipendenti su tematiche inerenti alla valutazione e al monitoraggio della spesa, passando in tutti i settori dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard, a tal fine presentando al più presto un disegno di legge di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori che ne sono sprovvisti;
a farsi promotore in sede europea della realizzazione di un piano europeo di investimenti per infrastrutture, formazione del capitale umano, consumi collettivi, occupazione, ambiente e innovazione, alimentato dalle risorse raccolte attraverso l'emissione di eurobond e l'introduzione di specifici strumenti fiscali a livello europeo, tra i quali la Financial Transaction Tax e il rafforzamento della tassazione ambientale;
ad avviare immediatamente la riforma fiscale, da realizzare in forma progressiva ed entro un vincolo di invarianza di gettito, dando attuazione agli impegni assunti con l'approvazione della mozione Bersani n. 1-00471 approvata dalla Camera il 22 dicembre 2010, per redistribuire il carico fiscale da chi paga a chi evade, dal lavoro e dall'impresa alla rendita, secondo obiettivi di omogeneità di trattamento fra diverse tipologie di reddito; di redistribuzione del carico fiscale fra contribuenti e tipologie di redditi in direzione di una maggiore equità; di incentivo all'occupazione, di sostegno all'investimento, all'innovazione, all'adozione di tecnologie e consumi sostenibili dal punto di vista ambientale, di correzione di alcuni squilibri tipici del settore finanziario;
al fine di incrementare la competitività, a rendere stabili e non dirottabili su altri campi di intervento le risorse disponibili, ad assicurare la certezza nei tempi e la riduzione negli oneri burocratici, a riavviare i processi di liberalizzazione dei mercati, in particolare nei settori esclusi dal confronto concorrenziale, accentuando il ruolo del controllo pubblico, ad uscire dalla logica di accessibilità a risorse scarse attraverso meccanismi di selezione del tutto casuali, come ad esempio il meccanismo delle prenotazioni (click day), ad affrontare quella vera e propria ipoteca sulla competitività rappresentata dal cattivo funzionamento della giustizia civile, causa dell'inadeguata tutela del credito, della difficoltà ad investire nel nostro Paese, dell'incertezza dei rapporti tra privati, attraverso un adeguato investimento nell'informatizzazione su tutto il territorio nazionale e una razionalizzazione della distribuzione territoriale delle risorse e degli uffici giudiziari;
a recuperare l'impostazione del progetto Industria 2015, nelle sue caratteristiche più qualificanti, ossia la scelta di politiche stabili e di lungo periodo, lo sviluppo di politiche di integrazione tra filiere manifatturiere e settori dei servizi per l'industria (per l'organizzazione della produzione, per il supporto finanziario, per l'organizzazione della presenza sui mercati, etc.), l'identificazione di alcune priorità su cui indirizzare investimenti e risorse imprenditoriali, che per i prossimi anni dovranno essere le filiere della green economy (chimica verde, efficienza energetica, rinnovabili, edilizia e mobilità); nuove filiere del made in Italy (con particolare enfasi sulla meccanica dei beni di investimento, servizi inclusi); tecnologie della salute; tecnologie per i beni culturali;
a predisporre interventi che rafforzino l'integrazione dell'impresa manifatturiera con la ricerca scientifica e, più in generale, con i servizi evoluti alla produzione, a favorire l'innovazione attraverso lo strumento fiscale, ad indirizzare la domanda pubblica verso le produzioni innovative nazionali, utilizzando la politica industriale come ponte fra i grandi programmi di ricerca pubblica e l'avvio di nuove attività di produzione;
a promuovere la riorganizzazione delle filiere agroalimentari, puntando all'aggregazione dell'offerta anche mediante la creazione di piattaforme per le forniture, per la trasformazione, per la promozione del made in Italy agroalimentare nelle attività di ristorazione, di turismo e di ricettività in Italia e nel mondo;
a perseguire con decisione una politica di incentivazione dell'efficienza energetica, che associa investimenti di entità ridotta con periodi di ritorno brevi a significativi effetti sull'economia e sui settori produttivi, a promuovere iniziative rivolte all'educazione al risparmio energetico e all'affermazione della mobilità elettrica, soprattutto nei centri urbani, a procedere sulla linea di sviluppo delle fonti rinnovabili, termiche ed elettriche, valorizzando le tecnologie che consentono maggiori ricadute sul tessuto produttivo e industriale italiano;
a farsi promotore di una politica energetica che superi il livello nazionale, per integrare i sistemi energetici continentali e per realizzare l'interconnessione dell'intero spazio mediterraneo, a rilanciare le politiche di liberalizzazione, che possono offrire più di una leva per ridurre gli oneri sui prezzi dell'energia, direttamente riconducibili alla bassa concorrenzialità del mercato, a tal fine scegliendo il modello della separazione proprietaria in luogo della separazione funzionale per il settore del gas;
in materia di sistema dell'università e della ricerca, a riconsiderare gli investimenti in istruzione, dato che il recente rapporto OCSE 2010, a fronte di una media di investimenti dei paesi membri pari al 5,7 per cento del PIL, attribuisce all'Italia una percentuale pari solo al 4,5 per cento e a potenziare orientamento, diritto allo studio, welfare, riconoscimento dello sforzo e del talento, un efficace sistema di valutazione e un sistema premiale basato su criteri condivisi e noti in anticipo che eroghi finanziamenti sulla base dei risultati conseguiti;
ad avviare la riforma organica degli ammortizzatori sociali prevedendo un trattamento di durata e importo omogenea indipendentemente dal settore e dalla dimensione di impresa e che copra anche i collaboratori parasubordinati, collegato alla disponibilità del lavoratore ad «attivarsi», anche con corsi di formazione e introdurre un reddito di ultima istanza per tutti i nuclei più bisognosi, che agirebbe come strumento di sostegno contro la povertà e avvantaggerebbe in particolare i più giovani e i disoccupati di lunga durata;
a garantire trasparenza degli atti e dei comportamenti, anche in materia di appalti, della pubblica amministrazione e nuove regole per le nomine e a sviluppare piani industriali nei Ministeri affidati ad una dirigenza qualificata e autonoma;
alla luce del nuovo assetto federale, a favorire, per quanto di propria competenza, le iniziative legislative parlamentari concernenti l'introduzione di una Camera rappresentativa delle regioni e degli enti locali con funzioni di governo del rapporto tra Stato ed enti territoriali, la riduzione dei ministeri e dei loro uffici decentrati, l'esercizio in forma associata delle funzioni dei comuni più piccoli, la soppressione delle province dove ci sono le città metropolitane e comunque la loro riduzione;
a vincolare la nuova programmazione 2014-2020 a parametri quantitativi per il Mezzogiorno (percentuale sul PIL o sulla spesa pubblica complessiva), mantenendo per il futuro Fondo per le politiche di sviluppo e di coesione il principio della programmazione pluriennale per cicli temporali medio-lunghi, in armonia con quanto previsto per la programmazione europea, ma destinando il 30 per cento delle risorse del Fondo a una riserva da programmare lungo il ciclo in relazione agli obiettivi di convergenza dei fabbisogni standard e della perequazione infrastrutturale, lasciando il restante 70 per cento nel quadro di una programmazione pluriennale più generale, da impostare e perfezionare fin dall'inizio del ciclo;
a definire appositi piani pluriennali di investimento con precisi obiettivi da raggiungere nelle diverse aree territoriali nei settori di cui alle lettere m) e p) dell'articolo 117 della Costituzione (come ad esempio sanità, istruzione, asili nido, assistenza, acqua, rifiuti, viabilità, trasporto su ferro, ecc), piani contenenti obiettivi di investimento propedeutici al raggiungimento di obiettivi di efficienza (costi standard) e/o di obiettivi di miglioramento del livello e della qualità dei servizi, al finanziamento dei quali dovranno concorrere, accanto ai fondi riconducibili agli interventi speciali di cui al quinto comma dell'articolo 119, anche adeguati flussi di risorse ordinarie.
(6-00081) «Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Calvisi, Capodicasa, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Cesare Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni, Vannucci».