CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 ottobre 2021
680.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 20

SEDE REFERENTE

  Giovedì 21 ottobre 2021. — Presidenza del vicepresidente Fausto RACITI.

  La seduta comincia alle 13.05.

Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di circoscrizioni di decentramento comunale.
C. 1430 Bordonali e C. 2404 Topo.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Fausto RACITI (PD), presidente, avverte che, come specificato anche nelle convocazioni, alla luce di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020, i deputati possono partecipare all'odierna seduta in sede referente in videoconferenza, in quanto nella seduta odierna non sono previste votazioni sul provvedimento.

  Simona BORDONALI (LEGA), relatrice, per quanto riguarda il contesto normativo nel quale si inseriscono le proposte di legge, ricorda anzitutto che le circoscrizioni sono articolazioni politiche e amministrative di livello comunale, volte a promuovere la partecipazione e la consultazione della popolazione locale, nonché la gestione decentrata dei servizi di base e l'esercizio di funzioni oggetto di delega da parte della Giunta e del Sindaco.
  Segnala come la disciplina dell'ordinamento degli enti locali, anche successivamente al riconoscimento dell'autonomia statutaria degli stessi ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001, resti riservata alla competenza esclusiva statale nell'ambito della materia «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione. Pag. 21
  Rileva che la definizione di circoscrizioni comunali quali organismi che rispondono a esigenze di decentramento e di partecipazione è stata dettata dapprima dall'articolo 13 della legge n. 142 del 1990, poi trasfuso nell'articolo 17, comma 1, del TUEL.
  Le modifiche successivamente intervenute hanno comportato significative alterazioni dell'istituto, limitandone la diffusione per esigenze di contenimento della spesa pubblica. In particolare, la legge finanziaria per il 2008 ne ha limitato l'obbligo di istituzione, inizialmente previsto per i comuni con più di 100.000 abitanti, a quelli con popolazione superiore a 250.000, lasciandone facoltà per i comuni tra 100.000 e 250.000 abitanti, a condizione che la popolazione media per circoscrizione ammontasse ad almeno 30.000. In precedenza, tale facoltà era concessa ai comuni tra i 30.000 e i 100.000 abitanti.
  Da ultimo, con lo specifico scopo di riduzione del fondo ordinario per i comuni, la legge finanziaria per il 2010 – legge n. 191 del 2009 –, all'articolo 2, comma 186, lettera b), ne ha previsto la soppressione, fatta eccezione per i comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, ai quali resta facoltà di articolare il proprio territorio in circoscrizioni di popolazione media non può inferiore a 30.000 abitanti. La modifica ha acquistato efficacia dal primo rinnovo dei consigli degli enti interessati a decorrere dal 2011, ai sensi del decreto-legge n. 2 del 2010.
  È rimasto salvo l'articolo 17, comma 5, del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), che disciplina la facoltà, nei comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti, di prevedere, per via statutaria, particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, determinandone organi, status dei componenti e modalità di designazione. Organizzazione e funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo Statuto comunale e da apposito regolamento.
  Passando a sintetizzare il contenuto delle due proposte di legge, la proposta di legge C. 1430 si compone di tre articoli, mentre la proposta di legge C. 2404 è costituita da due articoli.
  Entrambe mirano, tramite la diffusione dell'«istituzione di maggiore prossimità rispetto ai cittadini», a valorizzare tali profili partecipativi e responsabilizzanti, nonché a rendere più efficace ed efficiente la gestione del territorio.
  L'articolo 1 della proposta di legge C. 1430 modifica i commi 1 e 3 dell'articolo 17 del TUEL di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sostituendo in entrambi i casi l'indicazione di «250.000 abitanti» con quella di «150.000 abitanti». In tal modo, si prevede che l'istituzione delle circoscrizioni sia resa obbligatoria per i comuni con popolazione superiore a 150.000 abitanti, restando facoltativa per quelli la cui popolazione sia compresa tra 100.000 e 150.000 abitanti. Permane, in quest'ultimo caso, la condizione che la popolazione media delle circoscrizioni non sia inferiore a 30.000 abitanti.
  L'articolo 1 della proposta di legge C. 2404 propone anch'esso una modifica dell'articolo 17 del TUEL, abrogandone il comma 3, mentre il comma 1 è integralmente sostituito da un'unica disposizione che prevede l'obbligo di istituzione delle circoscrizioni sia per i comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, sia per i comuni che, avendo una popolazione compresa tra 100.000 e 250.000 abitanti, abbiano un'estensione territoriale superiore a 90 chilometri quadrati.
  Il requisito dell'estensione territoriale sembrerebbe infatti riferito ai soli comuni tra 100.000 e 250.000 abitanti; segnala al riguardo l'opportunità di chiarire tale aspetto.
  Entrambe le fattispecie sono assoggettate al vincolo della popolazione media delle circoscrizioni non inferiore a 30.000 abitanti.
  In entrambi i casi, l'abbassamento dei valori-limite determinerebbe un incremento del numero degli enti locali interessati all'obbligo di articolazione circoscrizionale. Il requisito dimensionale previsto dalla proposta di legge C. 2404, peraltro, comporterebbe alcune esclusioni dall'obbligo in presenza di enti ad elevata densità abitativa. Pag. 22
  Gli articoli 2 di entrambe le proposte presentano contenuto identico, consistente nell'abrogazione, alla luce delle modifiche proposte, della disposizione che aveva previsto la soppressione delle circoscrizioni di decentramento nei comuni con popolazione inferiore ai 250.000 abitanti, ovvero l'articolo 2, comma 186, lettera b), della legge n. 191 del 2009, legge finanziaria per il 2010.
  L'articolo 3 della proposta di legge C. 1430 contiene alcune disposizioni transitorie per la fase attuativa della modifica proposta. In particolare, si prevede l'applicazione della disciplina novellata a decorrere dalle elezioni successive all'entrata in vigore della legge (il riferimento sembra essere alle elezioni comunali), nonché l'obbligo, per i comuni interessati, di apportare le necessarie modifiche statutarie e regolamentari nel termine di tre mesi e comunque in tempo utile per le prime elezioni successive all'entrata in vigore.
  Per quanto attiene al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come la disciplina recata dalle proposte di legge sia riconducibile, come già accennato in precedenza, alla materia dell'ordinamento degli enti locali, con particolare riferimento a legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei comuni, che l'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Quanto al rispetto degli altri princìpi costituzionali, rileva come la disciplina recata dalle proposte di legge in esame valorizzi il principio fondamentale della tutela e promozione delle autonomie locali e del decentramento amministrativo di cui all'articolo 5 della Costituzione, nel rispetto delle disposizioni in tema di autonomia statutaria e regolamentare di cui agli articoli 114 e 117 della Costituzione.
  Ribadisce conclusivamente come le proposte di legge in esame siano volte a prevedere nuovamente la costituzione delle circoscrizioni nei comuni di medie dimensioni i quali, successivamente alle modifiche in materia introdotte dalla legge finanziaria 2010, hanno comunque fatto ricorso a strumenti di decentramento, come ad esempio i consigli di quartiere, che si sono tuttavia rivelati inidonei.
  Sottolinea l'importanza delle circoscrizioni, richiamando al riguardo anche la propria esperienza personale e rilevando come esse siano chiamate a esprimere un parere, seppure non vincolante, sulle delibere della giunta comunale e come costituiscano uno strumento di decentramento, di partecipazione e di coinvolgimento della cittadinanza, che può peraltro essere utile per porre rimedio alla crescente distanza fra i cittadini e la vita politica e istituzionale testimoniata, da ultimo, dall'elevato tasso di astensione registratosi in occasione delle recenti consultazioni amministrative.

  Fausto RACITI (PD), presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifica all'articolo 18-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di rilascio del permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio.
C. 3200 Ascari.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Fausto RACITI (PD), presidente, avverte che, come specificato anche nelle convocazioni, alla luce di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020, i deputati possono partecipare all'odierna seduta in sede referente in videoconferenza, in quanto nella seduta odierna non sono previste votazioni sul provvedimento.

  Elisa TRIPODI (M5S), relatrice, rileva come la proposta di legge si componga di un unico articolo, che include il reato di matrimonio forzato, di cui all'articolo 558-bis del codice penale, nell'elenco dei reati che prevedono il rilascio alla vittima del permesso di soggiorno per le vittime di Pag. 23violenza domestica, disciplinato dall'articolo 18-bis del testo unico dell'immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998.
  Al fine di comprendere il quadro normativo in cui si colloca l'intervento legislativo, ricorda che l'articolo 558-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7 della legge n. 69 del 2019 (cosiddetto «Codice rosso») punisce con la reclusione da uno a cinque anni, chiunque:

   con violenza o minaccia costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile;

   approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

  L'evento del reato consiste nella contrazione del matrimonio o dell'unione civile. La disposizione penale stabilisce che il reato è punito anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto ed è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.
  La norma adempie anche all'obbligo, sancito dall'articolo 37 della Convenzione di Istanbul, ratificata con la legge n. 77 del 2013, che richiede agli Stati firmatari di prevedere una sanzione penale per le condotte consistenti nel costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio e nell'attirare un adulto o un minore nel territorio di uno Stato estero, diverso da quello in cui risiede, con lo scopo di costringerlo a contrarre un matrimonio.
  In tale contesto rileva altresì come l'articolo 18-bis del testo unico immigrazione – introdotto dall'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 93 del 2013 – preveda il rilascio del permesso di soggiorno alle vittime di atti di violenza in ambito domestico. La finalità del permesso di soggiorno è consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza. La citata disposizione dell'articolo 18-bis, che ricalca il contenuto dell'articolo 18 del medesimo testo unico, relativo al soggiorno per motivi di protezione sociale, prevede, al comma 1, il rilascio di un permesso di soggiorno allo straniero in presenza dei determinati presupposti. Devono infatti essere riscontrate violenze domestiche o abusi nei confronti di uno straniero nel corso di operazioni di polizia, indagini o procedimenti penali per uno dei seguenti reati:

   maltrattamenti contro familiari e conviventi, ai sensi dell'articolo 572 del codice penale;

   lesioni personali, semplici e aggravate, ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale;

   mutilazioni genitali femminili, ai sensi dell'articolo 583-bis del codice penale;

   sequestro di persona, ai sensi dell'articolo 605 del codice penale;

   violenza sessuale, ai sensi dell'articolo 609-bis del codice penale;

   atti persecutori, ai sensi dell'articolo 612-bis del codice penale;

   per uno qualsiasi dei delitti per i quali il codice di procedura penale prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale.

  In presenza di questi presupposti si apre un procedimento che contempla la proposta o il parere favorevole dell'autorità giudiziaria procedente al questore di rilascio del permesso di soggiorno. A conclusione del procedimento il questore rilascia il permesso di soggiorno se ne ricorrono i presupposti.
  Ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 18-bis, il permesso di soggiorno per le vittime Pag. 24 di violenza domestica reca la dicitura «casi speciali» e ha la durata di un anno. Esso consente l'accesso ai servizi assistenziali ed allo studio nonché l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto per i servizi alle persone in cerca di lavoro, di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 2000, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di età. Alla scadenza può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi, (disposizione introdotta dall'articolo 1, comma 1, lettera f), n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018).
  Ai sensi del comma 2 del citato articolo 18-bis, nel caso in cui le violenze o gli abusi emergano nel corso di indagini penali, sarà l'autorità giudiziaria a comunicare al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo per l'incolumità personale.
  Ai sensi del comma 3, se, invece, la segnalazione proviene dai servizi sociali o anche dai centri antiviolenza, la sussistenza dei presupposti sarà valutata dal questore sulla base della relazione redatta dagli stessi servizi. Anche in questo caso è obbligatorio il parere dell'autorità giudiziaria competente. Infatti, il comma 3 del citato articolo 18-bis prevede che, in alternativa alle operazioni di polizia, indagini o procedimenti penali, le violenze domestiche o gli abusi possono anche emergere nel corso di interventi assistenziali dei centri antiviolenza, dei servizi sociali territoriali o dei servizi sociali specializzati nell'assistenza delle vittime di violenza. Da tali operazioni, indagini, procedimenti e interventi assistenziali deve emergere che il tentativo di sottrarsi alla violenza ovvero la collaborazione alle indagini preliminari o al procedimento penale espongono l'incolumità della persona offesa straniera ad un concreto ed attuale pericolo.
  Ai sensi del comma 4 del citato articolo 18-bis, il permesso è revocato in caso di condotta dello straniero incompatibile con le finalità del rilascio, ovvero quando vengono meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
  Il comma 4-bis prevede la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione quale misura sanzionatoria (facoltativa) nei confronti dello straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di patteggiamento, per uno dei delitti di cui al comma 1 del medesimo articolo 18-bis.
  Il comma 5 dell'articolo 18-bis precisa che le disposizioni sul permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica si applicano anche ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea e ai loro familiari. L'estensione dell'applicazione della disposizione ai cittadini comunitari è presumibilmente finalizzata a consentire a costoro, qualora siano vittime di violenza domestica, la permanenza nel territorio italiano anche in assenza dei requisiti previsti dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 30 del 2007. Tale disposizione infatti consente il soggiorno dei cittadini comunitari per un periodo superiore ai tre mesi solamente se svolgono una attività lavorativa o sono in stato di disoccupazione involontaria.
  Al fine di svolgere un'analisi di impatto di genere del provvedimento, rileva come le vittime dei matrimoni forzati sono in maggioranza donne e straniere.
  Infatti, secondo il primo Rapporto sul fenomeno dei matrimoni forzati in Italia, curato dal Ministero dell'interno, dal 9 agosto 2019 – data dell'entrata in vigore della già citata legge n. 69 del 2019, cosiddetto «Codice rosso», che ha introdotto il nuovo reato – fino al 31 maggio 2021, si sono registrati 24 casi di matrimoni forzati. Le vittime di genere femminile sono la maggior parte, ovvero l'85 per cento. L'analisi per fasce d'età, sul numero totale delle vittime, mostra che un terzo di esse non raggiunge la maggiore età; in particolare il 9 per cento è infraquattordicenne, il 27 per cento invece ha tra i 14 ed i 17 anni. Tra le vittime maggiorenni, quelle fra i 18 ed i 24 anni risultano nettamente superiori, ovvero il 41 per cento). Le vittime straniere risultano Pag. 25 prevalenti, il 59 per cento del totale delle vittime; le più numerose sono le pakistane, seguite da quelle albanesi; per le altre nazionalità si registra una sola vittima (Romania, Nigeria, Croazia, India, Polonia e Bangladesh).
  Analizzando le segnalazioni a carico dei presunti autori noti del reato, si evince, come sia predominante il genere maschile, 73 per cento, su quello femminile, il 27 per cento (Ministero dell'interno, Servizio analisi criminale, Costrizione o induzione al matrimonio, giugno 2021).
  Per quanto concerne il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come la proposta di legge sia riconducibile alla materia «immigrazione» che l'articolo 117, secondo comma, lettera b), della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

  Fausto RACITI (PD), presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche agli articoli 74 e 77 della Costituzione, concernenti l'introduzione del rinvio parziale delle leggi di conversione dei decreti-legge da parte del Presidente della Repubblica e di limiti costituzionali alla decretazione d'urgenza.
C. 3145 cost. Baldino e C. 3226 cost. Ceccanti.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Fausto RACITI (PD), presidente, avverte che, come specificato anche nelle convocazioni, alla luce di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020, i deputati possono partecipare all'odierna seduta in sede referente in videoconferenza, in quanto nella seduta odierna non sono previste votazioni sul provvedimento.
  In sostituzione della relatrice Baldino, impossibilitata a partecipare alla seduta odierna, rileva come le due proposte di legge modifichino in primo luogo l'articolo 74 della Costituzione sul potere di rinvio delle leggi da parte del Presidente della Repubblica, stabilendo che il Capo dello Stato possa procedere ad una «promulgazione parziale».
  In particolare, la proposta di legge C. 3145 prevede, all'articolo 1, tale facoltà con riferimento ai disegni di legge di conversione di decreti-legge. A tale fine la lettera a) dell'articolo 1 aggiunge un nuovo (secondo) comma all'articolo 74 della Costituzione, al fine di stabilire che «Il Presidente della Repubblica promulga le leggi di conversione dei decreti-legge limitatamente alle disposizioni conformi all'articolo 77, quarto comma. Per le disposizioni non conformi ai requisiti ivi previsti si applica il primo comma». In base al richiamato primo comma dell'articolo 74 della Costituzione, nel testo vigente non modificato dalla proposta di legge in esame, «Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione».
  L'articolo 2 della proposta di legge interviene sull'articolo 77 della Costituzione, in particolare, introducendovi due nuovi commi; a seguito di tali modifiche i nuovi quarto e quinto comma del predetto articolo 77 così dispongono:

   «I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti» (nuovo quarto comma, che riproduce il vigente terzo comma).

   «I decreti e le leggi di conversione devono contenere soltanto disposizioni specifiche e di immediata applicazione, aventi contenuto omogeneo e corrispondente al titolo. Non possono disciplinare materie per le quali è prescritta la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere, né attribuire poteri regolamentari né rinnovare disposizioni adottate con decreti non convertiti» (nuovo quinto comma).

  Sotto il profilo della formulazione del testo, all'articolo 1, lettera a), della proposta Pag. 26 di legge C. 3145 segnala l'opportunità di richiamare il quinto comma dell'articolo 77 della Costituzione – in luogo del quarto comma – considerato che il quinto comma dell'articolo 77, come modificato dall'articolo 2 della proposta in esame, riguarda i requisiti richiesti al decreto-legge e «costituzionalizzati» dalla proposta stessa, mentre il quarto comma, che riproduce il vigente terzo comma, concerne l'efficacia dei decreti-legge nel caso di mancata conversione nei termini e la possibilità di regolare i rapporti giuridici sorti.
  L'articolo 1, lettera b), della proposta di legge C. 3145 interviene poi sull'articolo 74, secondo comma, della Costituzione, prevedendo che se le Camere approvano nuovamente la legge o, nel caso di cui al nuovo secondo comma (rinvio parziale), la parte di essa oggetto del rinvio, queste devono essere promulgate. Viene dunque integrata l'attuale previsione costituzionale con il riferimento espresso al caso di rinvio di una sola parte del disegno di legge di conversione, in correlazione con la modifica prevista al primo comma dell'articolo 74 della Costituzione.
  Nella relazione illustrativa si evidenzia come «l'introduzione dell'ipotesi della promulgazione della parte del testo non oggetto di rinvio da parte del Capo dello Stato risponderebbe all'esigenza di accelerare il processo di formazione delle leggi, senza circoscrivere il potere di riesame delle Camere, evitando che esse, approfittando del rinvio, possano rimettere in discussione l'intero testo, anche nelle parti non censurate. Lo strumento novativo consentirebbe, infatti, in sede di riesame del testo legislativo già precedentemente approvato, di non soffrire di alcuna coartazione, né di merito né procedurale, da parte del Presidente della Repubblica, pena la trasformazione della sua funzione di controllo in un potere co-legislativo. In caso di rinvio, così come le Camere non sono tenute ad accogliere i rilievi del Capo dello Stato, parimenti non possono vedere l'esercizio della loro funzione legislativa circoscritto alle sole parti del testo legislativo oggetto del rinvio. Peraltro, in relazione alle leggi di conversione dei decreti-legge, si prevede il rispetto dell'articolo 77 della stessa Costituzione, anch'esso oggetto di modifica. Nulla, quindi, potrebbe impedire alle Camere, nell'esercizio della loro potestà legislativa, di esaminare l'intero testo, anche nelle parti non oggetto di rinvio, introducendo modifiche che potrebbero anche entrare in contrasto con la parte del testo non promulgata, ponendo il Capo dello Stato in una situazione istituzionale di grave incertezza, per evitare la quale l'unica soluzione è, appunto, quella di consentirgli contestualmente, in sede di primo esame, il rinvio e la promulgazione parziale».
  La proposta di legge C. 3226 Ceccanti, che si compone di un solo articolo, prevede la facoltà di rinvio parziale, oltre che dei disegni di legge di conversione di decreti-legge, anche delle leggi ordinarie. Nel caso di conversione di decreti-legge si specifica che «possono essere oggetto di rinvio parziale soltanto le disposizioni introdotte dalle Camere».
  A tale fine si dispone – al nuovo secondo comma dell'articolo 74 della Costituzione – che il Presidente della Repubblica può richiedere una nuova deliberazione limitatamente a una o più parti di una legge «qualora la parte non oggetto del rinvio possa autonomamente sussistere». In tale caso procede alla promulgazione della parte che non ha costituito oggetto del rinvio. Nel caso delle leggi di conversione dei decreti-legge possono essere oggetto di rinvio parziale soltanto le disposizioni introdotte dalle Camere.
  Inoltre, all'ultimo comma dell'articolo 74 della Costituzione si inserisce – analogamente alla proposta di legge C. 3145 – il riferimento espresso al caso di rinvio parziale disponendo che se le Camere approvano nuovamente la legge, o le sue parti rinviate, il Presidente della Repubblica procede alla promulgazione.
  Nella relazione illustrativa alla proposta di legge C. 3226 si richiama la lettera inviata il 23 luglio 2021 dal Presidente della Repubblica sul tema dell'eterogeneità di materie inserite nel corso dell'iter di conversione del decreto-legge e si ricorda che in taluni casi la Presidenza della Repubblica, che ha già dato il suo assenso alla Pag. 27presentazione del decreto-legge, valutando – pur in maniera informale – sia i requisiti di necessità e urgenza sia la sua omogeneità, si trova, «nel caso di inserimento di ulteriori discusse disposizioni, anche per le diverse prassi tra le due Camere, a dover scegliere tra due opzioni entrambe riduttive: far decadere insieme a queste ultime disposizioni anche quelle originariamente emanate, oppure dover approvare le prime pur di non mettere a rischio anche le seconde».
  Relativamente all'istituto del rinvio del Presidente della Repubblica ex articolo 74 della Costituzione, rammenta che, con la lettera trasmessa il 22 febbraio 2011 ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri, il Capo dello Stato – richiamando il percorso fin lì svolto da un disegno di legge di conversione, che aveva visto l'aggiunta di numerose disposizioni «estranee all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i princìpi e le norme della Costituzione», e sottolineando che i 5/6 del tempo concesso dall'articolo 77, terzo comma, della Costituzione per la conversione dei decreti-legge erano stati consumati per l'esame in prima lettura da parte del Senato conclusosi con la votazione di un «maxi-emendamento» del Governo – ribadiva in maniera più puntuale i rilievi critici già avanzati nella comunicazione del 22 maggio 2010 relativi alla tecnica legislativa e prefigurava possibili soluzioni, che però partivano dall'ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale di sessanta giorni.
  In particolare, il Presidente della Repubblica segnalava che l'inserimento nei decreti di norme non conformi al contenuto degli stessi, non omogenee e «spesso» prive del carattere di straordinarietà e urgenza si poneva «in contrasto con i princìpi sanciti all'art. 77 della Costituzione e dall'articolo 15, comma 3, della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988 recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari». Come possibile causa ostativa al rinvio, stavolta il Presidente della Repubblica evocava anche la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha sancito l'illegittimità della prassi della reiterazione dei decreti decaduti: «è questa la ragione per la quale vi sono solo due precedenti in cui tale facoltà è stata esercita nei confronti di disegni di legge di conversione di decreti legge dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 1996 [...]». Quindi, in merito alla possibile decadenza del decreto-legge, suggeriva due possibili soluzioni: la prima consistente nel sanare con legge gli effetti già prodotti dal provvedimento governativo ai sensi dell'articolo 77, terzo comma, della Costituzione, riproponendo con uno o più nuovi provvedimenti legislativi – anche d'urgenza – le norme introdotte in sede di conversione conformi al dettato costituzionale; l'altra, in una parziale reiterazione del testo originario del decreto-legge, a fronte del fatto che la cessazione degli effetti del decreto non sarebbe stata la conseguenza di una mancata conversione bensì di una richiesta di riesame del Capo dello Stato. La lettera si chiudeva evidenziando che, qualora non fosse stato possibile modificare il testo approvato dal Senato, il Presidente si riservava «di suggerire l'opportunità di adottare successivamente possibili norme interpretative e correttive, qualora [avesse ritenuto], in ultima istanza, di procedere alla promulgazione della legge» e che comunque, di fronte a un caso analogo, in futuro non avrebbe esitato ad operare un rinvio.
  Richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, nella missiva inviata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle Camere il 23 febbraio 2012, il Capo dello Stato richiamava nuovamente l'attenzione sulla necessità di limitare in sede di conversione l'ammissibilità degli emendamenti a quelli strettamente attinenti all'oggetto e alle finalità perseguite dal decreto legge-originario; tornando a proporre possibili soluzioni che – partendo dall'ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale – ovviassero alla forzata compressione del suo potere di rinvio.
  Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto rilevanza alle circostanze che, in ordine ai decreti-legge in scadenza, impediscono «di fatto allo stesso Presidente Pag. 28della Repubblica di fare uso della facoltà di rinvio delle leggi ex art. 74 Cost., non disponendo, tra l'altro, di un potere di rinvio parziale»: lo ha fatto – anche richiamando la citata corrispondenza ai fini del suo sindacato – con la sentenza n. 32 del 2014.
  La proposta di legge C. 3145 Baldino reca inoltre, all'articolo 2, disposizioni sulla decretazione d'urgenza, ampliando l'attuale disciplina costituzionale di tale fonte normativa attraverso la sostituzione dei commi secondo e terzo del vigente articolo 77 della Costituzione.
  In primo luogo, la proposta modifica il secondo comma del vigente testo dell'articolo 77, ai sensi del quale quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
  In merito la proposta introduce esplicitamente in Costituzione l'obbligo del Governo di trasmettere immediatamente il decreto-legge al Presidente della Repubblica, il quale procede all'emanazione una volta che abbia accertato la sussistenza dei presupposti e dei requisiti (di necessità ed urgenza). La relazione evidenzia che tale modifica sarebbe «idonea a produrre un'accelerazione al processo di accertamento della sussistenza dei presupposti della necessità e dell'urgenza». Resta fermo che il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge deve essere presentato alle Camere per la conversione.
  In relazione a tale accertamento va ricordato che spetta al Capo dello Stato l'emanazione degli atti governativi aventi valore di legge, ossia dei decreti-legge e dei decreti legislativi. In particolare, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, della legge n. 400 del 1988, i decreti-legge «sono presentati per l'emanazione al Presidente della Repubblica con la denominazione di “decreto-legge” e con l'indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l'adozione, nonché dell'avvenuta deliberazione del Consiglio dei ministri».
  La prassi a Costituzione vigente ha conosciuto alcuni casi nei quali il Capo dello Stato ha ritenuto di esercitare le proprie prerogative in sede di emanazione, ravvisando un uso improprio da parte del Governo dello strumento legislativo del decreto-legge.
  Ricorda, inoltre, che entrambi i rami del Parlamento prevedono, una volta avviato il procedimento di conversione, una fase di valutazione preliminare circa la sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza per l'adozione di un decreto legge.
  Oltre a queste forme di accertamento, ricorda che a partire dalla sentenza n. 29 del 1995 la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità di un sindacato successivo della Corte sui presupposti costituzionali della straordinaria necessità ed urgenza, anche laddove sia intervenuta la legge di conversione.
  Con una seconda modifica l'articolo 2 della proposta di legge C. 3145 introduce una nuova disposizione sui tempi dell'esame parlamentare dei disegni di legge di conversione.
  In particolare, il nuovo terzo comma dell'articolo 77 prevede che l'esame del disegno di legge di conversione, presentato dal Governo alle Camere, sia iscritto all'ordine del giorno dell'Assemblea in tempo utile ad assicurare che la prima deliberazione avvenga non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione.
  Al riguardo ricorda che analoga disposizione è contenuta nel regolamento del Senato per i disegni di legge di conversione in prima lettura, all'articolo 78, comma 5. Pertanto la previsione costituzionale interverrebbe su un ambito attualmente disciplinato dai regolamenti parlamentari.
  La disposizione che si intende introdurre in Costituzione è preordinata a garantire un congruo tempo per l'esame del disegno di legge di conversione da parte di entrambi i rami del Parlamento. In proposito, non può non ricordarsi la prassi, sviluppatasi già a partire dalla XVI Legislatura, proseguita nella legislatura in corso, Pag. 29di una sorta di «monocameralismo alternato», per cui la Camera titolare dell'esame in prima lettura di un decreto-legge invia il testo all'altra Camera solo pochi giorni prima della scadenza, precludendo all'altro ramo del Parlamento la possibilità di un esame approfondito.
  L'articolo 2 della proposta C. 3145 non modifica invece la previsione, contenuta nel vigente terzo comma dell'articolo 77, che attribuisce ai decreti legge efficacia per sessanta giorni a decorrere dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, termine entro il quale devono essere convertiti in legge. La disposizione viene infatti mantenuta nel quarto comma del riformulato articolo 77. Tuttavia, su tale disposizione costituzionale incide la modifica introdotta dalla proposta di legge all'articolo 74, che prevede il rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica.
  Il nuovo quinto comma dell'articolo 77, come modificato dalla proposta C. 3145, inserisce in Costituzione nuovi limiti di ordine sostanziale alla decretazione d'urgenza, mutuati dall'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 e dalla giurisprudenza costituzionale. Gli stessi parametri sono richiesti anche per le disposizioni della legge di conversione dei decreti-legge, con la finalità, evidenziata nella relazione illustrativa, di evitare «un “extra caricamento” di tali leggi, diventato ormai un modus operandi legislativo ordinario che provoca gravissimi squilibri di carattere costituzionale e normativo».
  Al riguardo, ricorda che il vigente articolo 77 della Costituzione non esplicita i limiti contenutistici alla decretazione d'urgenza, limiti che sono invece individuati, a livello di legislazione ordinaria, dall'articolo 15, comma 2, della legge n. 400 del 1988. Molti dei limiti introdotti con tale legge sono frutto a loro volta di interpretazione costituzionale, che la Corte ha ricollegato all'esistenza degli stessi presupposti fattuali di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione.
  In primo luogo, nel nuovo quinto comma dell'articolo 77 della Costituzione sono riprese le prescrizioni dell'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988 relativamente al contenuto del decreto-legge, che deve essere specifico, omogeneo, corrispondente al titolo e recare misure di immediata applicazione.
  Inoltre, nel nuovo quinto comma dell'articolo 77 si «costituzionalizzano» alcuni dei limiti già individuati dalla legge ordinaria:

   il divieto di disciplinare con decreto-legge le materie coperte dalla cosiddetta «riserva di Assemblea», vale a dire quelle per cui l'articolo 72, quinto comma, della Costituzione prevede la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere: progetti di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi. Tale limite è già previsto dalla legge n. 400 del 1988, all'articolo 15, comma 2, lettera b);

   il divieto di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti: già la legge n. 400 del 1988, all'articolo 15, comma 2, lettere c) e d), prevede che il decreto-legge non possa rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali fosse stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere, né regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti;

   il divieto di attribuire poteri regolamentari (si tratta di un limite non previsto dalla legge n. 400 del 1988).

  In proposito ricorda che il potere regolamentare del Governo non trova disciplina nelle disposizioni costituzionali, bensì nell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988. In dottrina si registrano posizioni differenziate sull'ammissibilità sul piano generale e astratto di un fondamento di poteri regolamentari all'interno dei decreti-legge.
  Sul punto segnala la sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2020, in cui si rileva che la necessità di provvedere con urgenza non postula inderogabilmente un'immediata applicazione delle disposizioni contenute nel decreto-legge, così che il rinvio da parte della disciplina impugnata Pag. 30 a successivi provvedimenti attuativi non costituisce di per sé motivo di illegittimità (sentenze n. 97 del 2019, n. 5 del 2018, n. 236, n. 170 e n. 16 del 2017).
  Rimane invece aperta la questione della presenza di norme di autorizzazione alla delegificazione in decreti-legge: al riguardo, la Corte costituzionale, in un obiter dictum nella sentenza n. 149 del 2012, ha lasciato impregiudicata la possibilità di pronunciarsi sulla «correttezza della prassi di autorizzare l'emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreti-legge».

  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.20.