CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 6 luglio 2021
618.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 179

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 6 luglio 2021. — Presidenza del presidente Sergio BATTELLI.

  La seduta comincia alle 15.30.

Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali.
Testo base C. 3179 Meloni e abb.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con condizioni e osservazione).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

  Piero DE LUCA (PD), relatore, ricorda che la Commissione è chiamata ad esaminare, ai fini del parere da rendere alla II Commissione giustizia, il testo della proposta di legge recante disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali (C. 3179 Meloni e abb.), adottato come testo base dalla Commissione di merito.
  Ricorda preliminarmente che il provvedimento è iscritto all'ordine del giorno della seduta di domani e che pertanto la Commissione dovrà esprimere il parere già nella seduta odierna.
  In via generale, evidenzia che la proposta di legge, secondo quanto affermato nella sua relazione illustrativa, persegue l'intento di tutelare il diritto del professionista di ottenere un giusto ed equo compenso nei rapporti contrattuali che lo riguardano, concretizzando il principio già sancito dall'articolo 2233 del codice civile, secondo il quale «la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione». Allo stato attuale tale principio, sempre secondo quanto afferma la relazione illustrativa, non appare tutelato, atteso che il professionista non può far valere l'inadeguatezza del compenso in presenza di un accordo che lo determini in misura irrisoria, neanche sotto il profilo dell'articolo 36 della Costituzione; la proposta va, pertanto, nella direzione di Pag. 180dare un'effettiva tutela contrattuale al professionista, tenendo in ogni caso in considerazione anche il diritto del cittadino consumatore di ottenere una prestazione di qualità, impossibile da garantire al di sotto dei livelli minimi di compenso previsti dai parametri ministeriali, ciò con l'obiettivo di ristabilire un necessario riequilibrio nei rapporti tra operatori economici.
  In questo quadro il testo in esame, composto di 10 articoli, interviene sull'ambito applicativo della disciplina vigente, ampliandolo; integra il codice civile introducendovi la disciplina della nullità delle clausole che prevedono un compenso per il professionista inferiore a determinati parametri, nonché la disciplina delle clausole definite per legge vessatorie; interviene inoltre sulla rideterminazione giudiziale del compenso non equo e sul regime delle impugnazioni; prevede la possibilità che il parere di congruità del compenso emesso dall'ordine o dal collegio professionale acquisti l'efficacia di titolo esecutivo; consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell'ordine e infine istituisce, presso il Ministero della giustizia, l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso.
  Prima di descrivere con maggiore dettaglio l'articolato della proposta di legge, ricorda che sulla materia in oggetto sono stati in passato già disposti interventi normativi.
  In particolare, rammenta anzitutto che nel nostro ordinamento il compenso del professionista è stato a lungo commisurato in base a un sistema tariffario obbligatorio. Sulla materia è poi intervenuta la cosiddetta legge Bersani (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006) che, all'articolo 2, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà dei minimi tariffari. Il definitivo superamento del sistema tariffario è stato successivamente operato dell'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, che ha previsto l'abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, venivano meno anche i massimi tariffari), introducendo una nuova disciplina del compenso professionale che prevedeva che il professionista potesse liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato all'importanza dell'opera. Inoltre, l'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto che, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, la determinazione del compenso professionale debba essere effettuata con riferimento a parametri tariffari stabiliti con decreto del ministro vigilante.
  Con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (legge n. 247 del 2012, articolo 13) ha stabilito per i compensi la possibile pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione. L'articolo 13 della legge professionale forense ha previsto l'aggiornamento ogni 2 anni dei parametri per la liquidazione dei compensi indicati nel DM giustizia, su proposta del CNF. Per la professione forense, i parametri trovano applicazione: quando il giudice liquida le spese al termine dei giudizi; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso in forma scritta; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso consensualmente.
  In seguito, nella scorsa legislatura, è stata introdotta una disciplina specifica dell'equo compenso, per porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti «forti», individuati nelle imprese bancarie e assicurative, nonché nelle imprese diverse dalle PMI. Sono stati infatti approvati in rapida successione l'articolo 19-quaterdecies del Pag. 181decreto-legge n. 148 del 2017 (cosiddetto decreto fiscale), e l'articolo 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che hanno disciplinato l'equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati, poi esteso anche alle altre professioni regolamentate e nell'ambito del lavoro autonomo.
  In particolare, ricorda che l'articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 ha disciplinato il compenso degli avvocati nei rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, nonché con imprese diverse dalle microimprese e dalle piccole e medie imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da una convenzione. Il legislatore ha così introdotto una disciplina del compenso e ha richiesto che esso sia equo, presupponendo che la convenzione sia predisposta unilateralmente dal cliente «forte» a svantaggio del professionista. A tal fine, il citato decreto-legge ha introdotto nella legge professionale forense (legge n. 247 del 2012) l'articolo 13-bis, poi modificato dalla legge di bilancio 2018, che qualifica come equo il compenso dell'avvocato determinato nelle convenzioni quando esso sia: «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» e «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale» nonché conforme ai parametri determinati dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale.
  Il comma 2 dell'articolo 19-quaterdecies, inoltre, ha esteso il diritto all'equo compenso previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti, iscritti o meno agli ordini e collegi, i cui parametri sono definiti dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale, con esclusivo riferimento alle professioni ordinistiche, ha soppresso le tariffe professionali ed ha introdotto i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti.
  Osserva che, al fine di inquadrare la tematica dell'equo compenso con riguardo ai profili di competenza della Commissione, è opportuno rammentare che su questa materia è intervenuta in passato anche l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che in data 22 novembre 2017 ha deliberato l'invio di una segnalazione ai Presidenti del Senato e della Camera, nonché al Presidente del Consiglio, avente ad oggetto alcune delle disposizioni previste nel citato decreto-legge n. 148 del 2017 e nel relativo disegno di legge di conversione.
  In quella sede è stata in primo luogo segnalata la contrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dal citato articolo 19-quaterdecies in tema di «equo compenso» per le professioni, che introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle. Secondo l'Autorità, la disposizione, nella misura in cui collega l'equità del compenso a paramenti tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l'effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti cosiddetti «forti», ricomprendendovi anche la Pubblica Amministrazione.
  L'Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. Nella medesima segnalazione l'Autorità ricordava che simili interventi determinano un'ingiustificata inversione di tendenza rispetto all'importante processo di liberalizzazione delle professioni in atto da oltre un decennio e non rispondono ai principi di proporzionalità concorrenziale. L'Autorità ha quindi concluso che «l'articolo 19-quaterdecies in quanto idoneo a reintrodurre nell'Ordinamento un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all'intero Pag. 182settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale, oltre a porsi in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle professioni regolamentate».
  Per quanto concerne ancora i profili di competenza, osserva che in materia di compensi professionali l'ordinamento dell'Unione europea, e in tale ambito i principi di tutela della concorrenza per il corretto funzionamento del mercato interno, di libertà di stabilimento dei prestatori e di libera circolazione dei servizi, delineano un quadro composito dei limiti cui è sottoposto il legislatore nazionale. In linea generale, va considerato che l'indicazione di tariffe minime e massime è di norma vietata in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, quali ad esempio la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi.
  Ricorda che in materia è intervenuta la Corte di Giustizia dell'Unione europea, da ultimo nella sentenza del 4 luglio 2019, caso C-377/17, la quale ha ritenuto che la Repubblica federale di Germania, avendo mantenuto tariffe obbligatorie per i servizi di progettazione degli architetti e degli ingegneri, sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 49 del TFUE, nonché dell'articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva «servizi»).
  Nello specifico, la Corte ha osservato che le tariffe in causa, per essere conformi agli obiettivi di tale direttiva, avrebbero dovuto soddisfare le tre condizioni contenute al paragrafo 3 dell'articolo 15 della direttiva medesima, ovvero essere non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale. La Corte, nel caso di specie, ha ritenuto che le tariffe obbligatorie previste in Germania per i servizi di progettazione di base degli architetti e degli ingegneri violino il suddetto articolo 15 della direttiva 2006/123/CE, in quanto non idonee a perseguire in modo coerente e sistematico i «motivi imperativi di interesse generale» addotti dalla Germania, quali in particolare la garanzia dell'elevata qualità delle prestazioni professionali e la tutela dei consumatori.
  Il principio che si ricava anche da questa e altre pronunce è dunque che la fissazione di tariffe minime o massime nello svolgimento delle libere professioni può essere ammessa solo nella misura in cui le stesse siano fondate su un motivo di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità. Tra questi motivi di interesse generale può esservi, ad esempio, quello impedire che le prestazioni siano offerte a prezzi insufficienti per garantire la qualità delle stesse, ossia che si realizzi una concorrenza che di traduce nell'offerta di prestazioni al ribasso con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti, oppure quella di contribuire alla tutela dei consumatori, aumentando la trasparenza delle tariffe praticate dai prestatori e impedendo a questi ultimi di praticare onorari eccessivi.
  Con riferimento alla proposta in oggetto, osserva inoltre che, in base alla summenzionata pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea, «non si può escludere a priori che la fissazione di una tariffa minima consenta di evitare che i prestatori non siano indotti, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell'offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2006, Cipolla e a., C-94/04 e C-202/04, EU:C:2006:758, punto 67)». Nella suddetta pronuncia della Corte di giustizia UE si afferma infatti che, in alcuni contesti di mercato, «l'imposizione di tariffe minime può essere idonea a contribuire a limitare» il predetto rischio di una concorrenza che può tradursi nell'offerta di prestazioni al ribasso, «impedendo che le prestazioni siano Pag. 183offerte a prezzi insufficienti per garantire, a lungo termine, la qualità delle stesse» (punti 81 e 82 della sentenza). Ai fini della valutazione della compatibilità comunitaria delle fattispecie oggetto della proposta di legge in esame, rileva pertanto che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia Ue, «una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito solo se risponde realmente all'intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico» (punto 89); a tale ultimo proposito sottolinea che l'argomento dirimente che ha condotto alla citata sentenza di condanna è rinvenibile, con riguardo alla fissazione di tariffe minime per le prestazioni professionali, nella «incoerenza nella normativa tedesca rispetto all'obiettivo di preservare un livello di qualità elevato delle prestazioni di progettazione perseguito dalle tariffe minime» (punto 92), atteso che nella Repubblica federale di Germania «le prestazioni di progettazione non sono riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali e che anche altri prestatori di servizi che non siano architetti e ingegneri, non soggetti a regolamentazioni professionali, possono fornire tali prestazioni» (punto 91); la Corte ha pertanto dovuto «constatare che la Repubblica federale di Germania non è riuscita a dimostrare che le tariffe minime previste (...) sono idonee a garantire il conseguimento dell'obiettivo consistente nel garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione e ad assicurare la tutela dei consumatori».
  Ciò premesso, ricorda che il testo in esame è volto ad estendere l'equo compenso in favore di tutte le categorie di professionisti, prevedendo a tale fine di inserire nel codice civile, nella parte che disciplina le professioni intellettuali, disposizioni analoghe a quelle già inserite nell'ordinamento forense, ciò, come chiarito dalla la relazione illustrativa, per rendere effettiva la norma civilistica e per garantire un'equa e giusta retribuzione anche a tutti gli altri lavoratori professionisti.
  In particolare, l'articolo 1 reca la definizione di equo compenso. A tal fine, ribadendo quanto già previsto nella normativa vigente, l'articolo in esame specifica che, per essere considerato equo, il compenso deve essere: proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti, per gli avvocati, dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale; per gli altri professionisti il richiamo è ai compensi definiti da specifici decreti ministeriali emanati in attuazione dell'articolo 9 del citato decreto-legge n. 1 del 2012. L'articolo 2 dispone circa l'ambito di applicazione della proposta, stabilendo che essa si applichi ai rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché delle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Le disposizioni della legge si applicano, altresì, alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione.
  Osserva che la ratio sottesa a tali disposizioni è dunque quella di tutelare le categorie professionali nei confronti dei soggetti del mercato, quali banche, assicurazioni e imprese di maggiori dimensioni, nonché le pubbliche amministrazioni, che si presume godano di una posizione forte nei mercati dei servizi professionali da cui potrebbero trarre indebiti vantaggi.
  Rispetto alla richiamata normativa vigente, la proposta amplia l'ambito applicativo della disciplina sull'equo compenso delineando, in relazione alla realtà produttiva italiana, le caratteristiche che deve avere l'impresa per poter essere considerata, rispetto al professionista, un contraente «forte». Pag. 184
  Attualmente, infatti, sulla base dell'articolo 13-bis, comma 1, della legge n. 247 del 2012 (v. sopra), la disciplina sull'equo compenso si applica, oltre che in relazione alle imprese bancarie e assicurative, anche in tutti i rapporti basati su convenzioni tra professionista e impresa diversa dalla micro, piccola e media impresa come definite dalla raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003. In base ai parametri europei, «la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro».
  Il comma 3 dell'articolo 2 estende l'applicazione della disciplina dell'equo compenso alle prestazioni rese dal professionista anche nei confronti degli agenti della riscossione, oltre che, come detto, nei confronti della pubblica amministrazione.
  L'articolo 3 aggiunge una serie di commi all'articolo 2233 del codice civile, che detta la disciplina del compenso nelle professioni intellettuali, al fine di sanzionare con la nullità le pattuizioni che prevedano un compenso manifestamente sproporzionato rispetto all'opera prestata o al servizio reso, intendendo per tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi individuati con i valori stabiliti dai parametri o dalle tariffe fissati con decreto ministeriale per le professioni regolamentate o a quelli fissati per la professione forense. Con ulteriori norme sono tipizzate le clausole vessatorie che, laddove inserite nelle convenzioni tra cliente e professionista, sono da considerarsi nulle; la presunzione ha carattere assoluto e opera anche quando il contenuto della clausola sia stato oggetto di specifica trattativa. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d'ufficio.
  Con riferimento a tale articolo 3 osserva che le predette modifiche al codice civile sono destinate ad avere una portata generale e a trovare applicazione per tutte le prestazioni d'opera intellettuale, e dunque ben oltre l'ambito applicativo previsto dall'articolo 2 della proposta di legge, che, come detto, concerne invece i soli rapporti professionali con contraenti «forti» basati su convenzioni. Sul piano della tecnica normativa rileva pertanto che le disposizioni degli articoli 2 e 3 andrebbero in ogni caso coordinate.
  Nel merito, osserva invece che il complesso delle disposizioni dell'articolo 3, che novellano l'articolo 2233 del codice civile, applicandosi a tutte le prestazioni professionali senza distinzioni, appaiono suscettibili di determinare criticità sotto il profilo della compatibilità con l'ordinamento europeo, atteso che da esse non si evincono in modo sistematico i motivi imperativi di interesse generale perseguiti e che potrebbero legittimare, nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità, l'introduzione di compensi «minimi» non inferiori agli importi individuati con i valori stabiliti dai parametri o dalle tariffe fissati con decreto ministeriale per le professioni regolamentate o a quelli fissati per la professione forense.
  Continuando nell'illustrazione del testo, ricorda che l'articolo 4 contiene ulteriori norme sulle statuizioni del giudice in materia di equo compenso e di clausole vessatorie, nonché disposizioni sugli accordi tra i professionisti e le imprese e sui termini di prescrizione del diritto al pagamento degli onorari.
  L'articolo 5 prevede per il professionista la possibilità che il parere di congruità emesso dall'ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione, possa acquistare in taluni casi l'efficacia di titolo esecutivo, mentre l'articolo 6 stabilisce che il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione di responsabilità professionale decorre dal giorno del compimento della prestazione da parte del professionista iscritto all'ordine o al collegio professionale, evitando in tal modo la possibilità che il professionista sia soggetto all'azione di responsabilità all'infinito.
  L'articolo 7 prevede che i diritti individuali omogenei dei professionisti possono essere tutelati anche attraverso l'azione di classe, che potrà essere proposta dal Consiglio nazionale dell'ordine al quale sono Pag. 185iscritti i professionisti interessati o dalle associazioni maggiormente rappresentative, individuate dai rispettivi ordini.
  L'articolo 8 prevede l'istituzione di un Osservatorio nazionale sull'equo compenso presso il Ministero della giustizia e ne individua i componenti e i compiti.
  Infine, gli articoli 9 e 10 recano le disposizioni transitorie e le abrogazioni.
  In conclusione, fermo restando che la Commissione è chiamata a pronunciarsi sulla proposta di legge adottata come testo base dalla Commissione di merito, la quale potrà pertanto essere emendata nel corso dell'esame in sede referente, propone di esprimere un parere favorevole con due condizioni e una osservazione, che si soffermano in particolare su quanto disposto dagli articoli 2 e 3 del provvedimento alla luce della disciplina europea.
  Attesa la ristrettezza dei tempi a disposizione, propone, concorde la Commissione, di procedere subito alla lettura della proposta di parere, per poi eventualmente svolgere il dibattuto in sede di dichiarazione di voto. Illustra quindi la proposta di parere favorevole con condizioni e osservazione formulata (vedi allegato 1).

  La Commissione approva.

Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale.
Nuovo testo C. 522 Ciprini e abb.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazione).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

  Antonella PAPIRO (M5S), relatrice, ricorda che la Commissione è chiamata a esaminare, ai fini del parere da rendere alla XI Commissione Lavoro, il testo unificato del provvedimento in oggetto, come risultante dalle proposte emendative approvate nel corso dell'esame in sede referente, recante «Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale».
  Evidenzia che le disposizioni contenute nel provvedimento in esame appaiono volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a promuovere la parità retributiva tra i sessi, attraverso la previsione di misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, nuove modalità per la redazione da parte delle aziende del rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile (concernente, tra l'altro, le differenze salariali tra i sessi e la composizione delle rispettive retribuzioni), nonché la definizione di una procedura per acquisire, da parte delle aziende, una certificazione della parità di genere, cui sono connessi benefici contributivi.
  Ricorda che il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego è alla base della normativa europea, essendo affermato dall'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e dall'articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e che la sua attuazione è stato oggetto della direttiva 2006/54/CE, attuata a livello nazionale dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, che ha apportato modifiche al Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198). Stante il perdurante divario retributivo di genere (gender pay gap) e delle differenze nei livelli occupazionali di uomini e donne, l'Unione europea ha successivamente adottato ulteriori iniziative in materia, tra cui, nel 2014 la raccomandazione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza, la quale fornisce agli Stati membri orientamenti che li aiutino a garantire un'applicazione migliore e più efficace del principio della parità retributiva, nonché, nell'anno in corso, la Proposta di direttiva (COM(2021)93), attualmente all'esame della nostra Commissione, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione Pag. 186 tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi.
  Sottolinea che l'esigenza di una effettiva parità di genere nel mondo del lavoro costituisce una tematica strettamente correlata con una delle principali finalità del PNRR, ovvero ottenere un maggiore coinvolgimento della forza lavoro femminile nello sviluppo della crescita del Paese, obiettivo rispetto al quale il provvedimento in esame, finalizzato a promuovere una cultura aziendale orientata alla parità di genere, appare porsi in una posizione funzionale.
  Passando a descrivere le misure contenute nell'articolato, premette che esso si compone di 6 articoli, di cui i primi 4 sono volti ad apportare modifiche al Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (di seguito Codice): l'articolo 5 è volto a introdurre agevolazioni contributive, mentre l'articolo 6 è finalizzato a promuovere l'equilibrio di genere negli organi amministrativi delle società pubbliche.
  Più in dettaglio, l'articolo 1 apporta modifiche all'articolo 20 del Codice, ponendo in capo alla consigliera o consigliere nazionale di parità, in luogo del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il compito di presentare al Parlamento, ogni due anni, una relazione sul monitoraggio dell'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro, e, in particolare, sugli effetti prodotti dall'implementazione del Codice.
  L'articolo 2 apporta modifiche all'articolo 25 del Codice, specificando che possono essere qualificati come comportamenti di discriminazione indiretta anche quelli di natura organizzativa e oraria; viene inoltre esteso l'ambito delle fattispecie che costituiscono discriminazione, includendovi, oltre alle discriminazioni connesse allo stato di gravidanza, maternità e paternità, anche ogni modifica organizzativa legata al sesso, all'età e alle esigenze di cura personale e familiare che pongano il lavoratore in posizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori. Ricordo che tra le condizioni a cui il Codice riconnette situazioni di discriminazione illegittima sono contemplate anche la limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali e quella dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.
  L'articolo 3 apporta modifiche all'articolo 46 del Codice, estendendo alle aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti (rispetto ai 100 attualmente previsti) l'obbligo di redigere un rapporto biennale sulla parità di genere in azienda, prevedendo per le aziende più piccole una corrispondente facoltà. Viene inoltre specificato il contenuto informativo del rapporto, da redigere in modalità esclusivamente telematica secondo un modello che andrà pubblicato nel sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Si prevede in particolare che il rapporto debba includere informazioni in merito al numero di occupati, sia totale che dei nuovi assunti nell'anno, di sesso femminile e maschile, le differenze tra le retribuzioni (distinguendo tra le varie componenti retributive), l'inquadramento contrattuale e le funzioni svolte dai lavoratori e dalle lavoratrici, nonché informazioni sui processi di selezione e reclutamento, sull'accesso alla qualificazione professionale, alla progressione di carriera e alla formazione manageriale, sugli strumenti per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Deve inoltre essere assicurata la possibilità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali, nonché la tutela dei dati personali. Sono infine previsti gli obblighi di trasmissione del rapporto, nonché una procedura per la verifica, ad opera dell'Ispettorato nazionale del lavoro, della veridicità dei rapporti e una connessa sanzione pecuniaria, da 1.000 a 5.000 euro, in caso di rapporto mendace o incompleto.
  L'articolo 4, aggiungendo l'articolo 46-bis nel Codice, introduce, a decorrere dal 2022, una procedura per la certificazione della parità di genere, prevedendo la definizione, con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di parametri minimi per il conseguimento della certificazione, Pag. 187 con particolare riferimento alle retribuzioni corrisposte, alle opportunità di carriera e agli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, definendo altresì le modalità di acquisizione e monitoraggio dei dati posti alla base della certificazione, assicurando il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e forme di pubblicità della certificazione stessa. È inoltre prevista l'istituzione, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato tecnico permanente incaricato dell'attività di certificazione di genere nelle imprese.
  L'articolo 5 prevede, nel limite di un onere di 50 milioni annui e ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, misure di decontribuzione a favore dei datori di lavoro privati che conseguano la certificazione della parità di genere. Il beneficio per ciascuna azienda non può superare l'1 per cento e il valore assoluto massimo di 50.000 euro annui. Segnalo che la norma non indica l'aggregato contabile a cui si applica la predetta percentuale; essa potrebbe pertanto riferirsi all'abbattimento di un punto dell'aliquota contributiva a carico del datore di lavoro o all'abbattimento dell'1 per cento del monte contributivo a carico dello stesso datore di lavoro.
  L'onere della disposizione, pari a 50 milioni di euro annui come limite massimo di spesa, è posto a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185.
  L'articolo 6, intervenendo in materia di equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche, estende alle società controllate da pubbliche amministrazioni non quotate in mercati regolamentati l'applicazione dell'obbligo di assicurare che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, come previsto dal comma 1-ter dell'articolo 147-ter del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
  In conclusione, nel ribadire l'importanza delle misure contenute nel provvedimento in esame, la cui approvazione consentirebbe di rafforzare l'azione del PNRR finalizzata a un maggiore coinvolgimento della forza lavoro femminile nei processi produttivi del Paese, segnala, ancorché non sia di stretta competenza della Commissione, l'opportunità di estendere anche al mondo delle pubbliche amministrazioni – attualmente tenute a redigere piani di azione triennali, ai sensi dell'articolo 48 del Codice – l'obbligo di redigere il rapporto sulla parità di genere, come previsto dal provvedimento in esame per le aziende pubbliche e private, al fine di verificare, a consuntivo, l'effettiva adozione delle azioni incluse nei predetti piani e la loro efficacia. Occorrerebbe, infatti, riconoscere che fenomeni di discriminazione di genere non sono una prerogativa specifica del settore aziendale, ma sono presenti anche nell'Amministrazione pubblica, nella quale risulterebbe pertanto, a suo avviso, opportuno promuovere l'adozione di pratiche e politiche volte ad assicurare un trattamento paritario dei lavoratori di entrambi i sessi, nonché prevedere la diffusione di strumenti di conciliazione tra vita e lavoro che abbiano dato prova di aumentare anche la produttività, tra i quali può essere ricompreso anche lo smart working. In questa prospettiva, osserva che il processo di certificazione della parità di genere, previsto dall'articolo 4 del provvedimento in esame, potrebbe dunque essere utilmente esteso anche alle Amministrazioni pubbliche.
  Attesa la ristrettezza dei tempi a disposizione procede, concorde la Commissione, a illustrare la proposta di parere favorevole con osservazione formulata (vedi allegato 2).
  Conclude quindi sottolineando, in qualità di membro dell'Intergruppo per le donne, i diritti e le pari opportunità, l'importanza del provvedimento in esame per un Paese che voglia conseguire un livello di civiltà adeguato alla sua storia e voglia al contempo raggiungere un livello di sviluppo conforme alle sue ambizioni.

  La Commissione approva.

  La seduta termina alle 16.