CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 31 gennaio 2019
135.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 53

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 31 gennaio 2019. – Presidenza della presidente Giulia SARTI.

  La seduta comincia alle 9.50.

DL 135/2018: Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione.
C. 1550 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Mario PERANTONI (M5S), relatore, fa presente che la Commissione è oggi chiamata ad esaminare il decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, approvata dal Senato.
  Nel limitarsi a illustrare le disposizioni di interesse della Commissione Giustizia (articoli 4, 7 e 11-quinquies), rinvia comunque alla documentazione predisposta dagli uffici per una disamina più dettagliata delle stesse.
   Segnala che l'articolo 4 contiene alcune modifiche al codice di procedura civile in materia di esecuzione forzata, volte a rendere più agevole l'accesso all'istituto della conversione del pignoramento. La disposizione, a seguito delle Pag. 54modifiche approvate dal Senato, garantisce inoltre al debitore ed ai suoi familiari il diritto di abitare l'immobile pignorato fino al decreto di trasferimento del bene, che conclude il procedimento di espropriazione immobiliare. In particolare, il comma 1 interviene sulla conversione del pignoramento, disciplinata dall'articolo 495 del codice di procedura civile. Si tratta della possibilità, data al debitore sottoposto ad esecuzione forzata, di sostituire le cose pignorate con una somma di denaro comprensiva delle spese di esecuzione e dell'importo dovuto al creditore pignorante e agli altri creditori eventualmente intervenuti a titolo di capitale, interessi e spese.
  Rammenta che, rispetto alla disciplina anteriore, il decreto-legge: prevede che la somma che il debitore deve depositare in cancelleria, unitamente all'istanza di conversione del pignoramento, debba essere pari ad un sesto – e non un quinto, come in precedenza previsto – dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori successivamente intervenuti (lettera a); concede al debitore una rateizzazione in 48 mesi – e non 36, come in precedenza previsto – per versare la somma, determinata dal giudice con ordinanza, da sostituire al bene pignorato (lettera b); consente al debitore di beneficiare della conversione del pignoramento anche quando ritarda il pagamento di una rata, fino a un termine massimo di 30 giorni, in luogo degli attuali 15. Decorso tale termine, le somme fino a quel momento versate saranno assoggettate a pignoramento e il debitore decade dalla facoltà di richiedere nuovamente la conversione.
  Osserva che il comma 2, modificato nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione in Senato, interviene sulla disciplina dell'espropriazione immobiliare, per sostituire interamente l'articolo 560 del codice di procedura civile (Custodia dei beni pignorati). Il testo originario del decreto-legge in conversione, invece, si limita a sostituire il terzo comma dell'articolo 560, per quanto riguarda la possibilità per il debitore che vanti crediti nei confronti della pubblica amministrazione di continuare ad abitare l'immobile pignorato in attesa dell'espropriazione forzata. Con la sostituzione dell'articolo 560 del codice di procedura civile, il provvedimento afferma il diritto del debitore (e dei suoi familiari conviventi) a continuare ad abitare l'immobile sino al decreto di trasferimento che conclude l'espropriazione forzata immobiliare (terzo comma). Tale diritto è riconosciuto a tutti i debitori, a prescindere dalla loro posizione di creditori nei confronti delle pubbliche amministrazioni (come invece disposto dal testo del decreto-legge).
  Segnala che a tal fine il debitore deve: conservare il bene tutelandone l'integrità, con la diligenza del buon padre di famiglia (secondo comma); abitare l'immobile personalmente. Soltanto il giudice dell'esecuzione può eventualmente autorizzare la locazione (settimo comma); consentire, d'accordo con il custode, la visita dell'immobile da parte di potenziali acquirenti, con le modalità individuate dal giudice (articolo 569 del codice di procedura civile) quando ha autorizzato la vendita dell'immobile (quarto e quinto comma).
  Precisa che, se il debitore rispetta queste disposizioni «il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento» (ottavo comma). Viceversa, in caso di violazione delle disposizioni, «il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell'immobile pignorato» (sesto comma).
  Rileva che anche il comma 3 dell'articolo 4 interviene sull'espropriazione immobiliare, modificando l'articolo 569 del codice di procedura civile, relativo all'udienza di autorizzazione della vendita, per richiedere ai creditori di comunicare in anticipo l'ammontare del credito per il quale procedono. In particolare, il comma 1 dell'articolo 569 prevede che a seguito dell'istanza di vendita del bene, presentata dai creditori a norma dell'articolo 567 del codice di procedura civile e corredata della documentazione catastale dell'immobile, il giudice dell'esecuzione debba nominare (entro 15 giorni) un esperto per la Pag. 55determinazione del valore dell'immobile e fissare l'udienza di comparizione delle parti. Il decreto-legge aggiunge che non oltre 30 giorni prima della data fissata per la comparizione, i creditori (il pignorante e gli intervenuti) debbano depositare un atto con il quale indicano l'ammontare del credito residuo per il quale procedono, comprensivo di interessi e spese. In mancanza di tale atto, il credito resterà fissato nell'importo indicato con il precetto (o l'intervento), maggiorato dei soli interessi legali (e dunque senza possibilità di recuperare le spese). L'atto di quantificazione dovrà altresì essere previamente notificato al debitore. La ratio della disposizione, in base alla relazione illustrativa dell'originario disegno di legge di conversione (A.S. 989), risiede nella volontà di agevolare l'accesso alla conversione del pignoramento, consentendo al debitore di conoscere esattamente l'importo da versare per accedere alla procedura. Infine, il comma 4 specifica che le nuove disposizioni si applicano alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore dell'intervento di modifica.
  Fa presente che l'articolo 7, non modificato dal Senato, reca misure urgenti in materia di edilizia penitenziaria volte a far fronte all'emergenza determinata dal progressivo sovraffollamento delle strutture carcerarie e a consentire una più celere attuazione del piano di edilizia penitenziaria in corso. Come sottolinea la relazione illustrativa si tratta di un «intervento avente carattere di urgenza perché volto a prevenire gli effetti del predetto fenomeno adottando misure che, con il coinvolgimento del personale tecnico dell'amministrazione penitenziaria, favoriscono la realizzazione di nuove strutture carcerarie e la manutenzione o la ristrutturazione di strutture esistenti al fine di creare una maggiore disponibilità di posti».
  Segnala che, più nel dettaglio, il comma 1 – facendo salve le competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in materia di edilizia penitenziaria – assegna, per un biennio (dal 1o gennaio 2019 al 31 dicembre 2020), al personale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) anche le seguenti ulteriori funzioni: l'effettuazione di progetti e perizie per la ristrutturazione e la manutenzione anche straordinaria degli immobili in uso governativo all'amministrazione penitenziaria, nonché per la realizzazione di nuove strutture carcerarie, ivi compresi alloggi di servizio per la polizia penitenziaria, ovvero per l'aumento della capienza delle strutture esistenti; la gestione delle procedure di affidamento dei suddetti interventi e di quelle di formazione dei contratti e di esecuzione degli stessi in conformità alla normativa vigente in materia; l'individuazione di immobili, nella disponibilità dello Stato o di enti pubblici territoriali e non territoriali, dismessi e idonei alla riconversione, alla permuta, alla costituzione di diritti reali sugli immobili in favore di terzi al fine della loro valorizzazione per la realizzazione di strutture carcerarie.
  Precisa che, come evidenzia la relazione illustrativa tale intervento normativo, che consiste in un ampliamento delle funzioni già assegnate al personale tecnico del DAP, «costituisce un'alternativa all'intervento commissariale». Rileva altresì la relazione come l'esperienza nel settore abbia evidenziato – con riguardo all'edilizia penitenziaria – aspetti problematici connessi alla eccessiva lunghezza dei tempi intercorrenti tra la progettazione e la disponibilità delle nuove strutture e alla sostanziale estraneità dell'amministrazione penitenziaria rispetto alle opere di edilizia. Al Ministero della giustizia (DAP) è infatti assegnata una competenza solo residuale nella progettazione e nella realizzazione delle opere. Tali interventi rientrano infatti nell'ambito di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Dipartimento delle infrastrutture). Per lo svolgimento di tali nuove funzioni il comma 2 prevede che il DAP possa avvalersi anche del personale dei competenti Uffici del Genio militare del Ministero della difesa attraverso la stipula di apposite convenzioni. La definizione del programma dei lavori da eseguire e l'individuazione dell'ordine di priorità è demandato Pag. 56ad un successivo decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi – su proposta del Capo del DAP – entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Nel formulare la proposta il capo del DAP deve tenere conto dei programmi di edilizia penitenziaria predisposti dal Comitato paritetico in materia di edilizia penitenziaria costituito presso il Ministero della giustizia (comma 3). In proposito la relazione illustrativa rileva: «Si tratta di una necessaria norma di raccordo tra le competenze dell'amministrazione della giustizia (DAP) e quelle del Ministero cui sono rimesse in via ordinaria le competenze in materia di progettazione e realizzazione delle strutture carcerarie (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti). Essa ha dunque la funzione di definire l'ambito di operatività della disposizione, finalizzata a favorire una accelerazione dell'attuazione dei piani di edilizia carceraria in atto mediante il supporto temporaneo ed eccezionale, del personale dell'amministrazione penitenziaria, autorizzato, dalla norma illustrata, a svolgere, a sua volta, in un quadro unitario e concordato, attività funzionali alla realizzazione urgente di strutture penitenziarie».
  Rammenta che il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che all'attuazione dell'articolo in esame si debba provvedere nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente destinate all'edilizia penitenziaria. In proposito la relazione tecnica evidenzia come le risorse previste a legislazione vigente nel Bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2018 –Tabella 5 – 1.1. Amministrazione penitenziaria – Azione Realizzazione di nuove infrastrutture, potenziamento e ristrutturazione nell'ambito della edilizia carceraria sui Capitoli 7300 e 7301, ammontano complessivamente a circa 26 milioni di euro per l'anno 2018 e a circa 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020. È inoltre assegnato all'amministrazione penitenziaria un importo complessivo di 185 milioni di euro nel periodo 2018-2033 a valere sul fondo per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese di cui all'articolo 1, comma 140 della legge di bilancio 2017 (come rifinanziato dalla legge di bilancio 2018).
  Fa presente che l'articolo 11-quinquies, introdotto nel corso dell'esame in Senato, reca, al comma 1, una norma di interpretazione autentica al fine di superare le incertezze applicative relative alla ineleggibilità di avvocati che hanno già svolto due mandati consecutivi, come stabilito dalla legge 12 luglio 2017, n. 113. L'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 prevede, infatti, che i consiglieri degli ordini forensi non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi. Proprio con riguardo all'articolo 3 della legge del 2017 e alla interpretazione di tale disposizione nella parte in cui prevede l'ineleggibilità degli avvocati che hanno già svolto due mandati consecutivi (comma 3, secondo periodo), sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la Sentenza 19 dicembre 2018, n. 32781. La Suprema Corte – in sede di impugnazione di una pronuncia del Consiglio nazionale forense – ha ritenuto che la disposizione si intende riferita anche ai mandati espletati anche solo in parte prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che, a far tempo dall'entrata in vigore di detta legge (21 luglio 2017) e fin dalla sua prima applicazione in forza del comma terzo del suo articolo 17, non sono eleggibili gli avvocati che abbiano già espletato due mandati consecutivi (esclusi quelli della durata inferiore al biennio ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 3 della legge n. 113 del 2017) di componente dei Consigli dell'ordine, pure se anche solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di cui alle leggi 31 dicembre 2012, n. 247 e 12 luglio 2017 n. 113. Secondo la Suprema Corte la norma deve essere letta tenuto conto delle rationes della normativa ovverosia garantire la più ampia partecipazione degli iscritti all'esercizio delle funzioni di governo degli Ordini professionali favorendo l'avvicendamento nell'accesso agli organi Pag. 57di vertice evitando la «sclerotizzazione» delle compagini potenzialmente dannosa.
  Osserva che l'articolo 11-quinquies del decreto-legge in esame stabilisce che l'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 deve interpretarsi nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di ricandidatura per coloro che hanno già svolto due mandati esecutivi, si tiene conto dei mandati espletatati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell'ordinamento forense. La disposizione fa salvo quanto previsto dall'articolo 3, commi 3, terzo periodo, e 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113, in ordine rispettivamente alla possibilità di ricandidarsi quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato e all'irrilevanza dei mandati di durata inferiore ai due anni. Rileva che il comma 2 dell'articolo dispone, poi, con riguardo al rinnovo dei consigli degli ordini circondariali degli avvocati scaduti il 31 dicembre 2018, una proroga del termine di cui all'articolo 27, comma 4, della legge n.  247 del 2012, stabilendo che l'assemblea per l'elezione del consiglio si svolge entro il mese di luglio 2019. Alla approvazione dell'articolo in esame consegue l'abrogazione del decreto-legge n. 2 del 2019, recante disposizioni aventi il medesimo contenuto delle norme in esame. Si prevede, nel contempo, che restino validi gli atti e i provvedimenti adottati e siano fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge. Il comma 3 contiene la clausola di invarianza finanziaria, specificando che dall'attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

  Giusi BARTOLOZZI (FI), invita il relatore e i componenti della Commissione a riflettere in ordine alla disposizione contenuta al comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge in esame che, sostituendo l'articolo 560 del codice di procedura civile in materia di custodia dei beni pignorati, afferma il diritto del debitore e dei suoi familiari conviventi a continuare ad abitare l'immobile pignorato sino al decreto di trasferimento che conclude l'espropriazione forzata immobiliare. In proposito ritiene che concedere al debitore di rimanere nel bene pignorato fino al decreto di trasferimento renda di fatto impossibile vendere il bene stesso.

  Giulia SARTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.55.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 9.55 alle 10.05.

SEDE REFERENTE

  Giovedì 31 gennaio 2019. — Presidenza della presidente Giulia SARTI. – Interviene il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Jacopo Morrone.

  La seduta comincia alle 13.10.

Modifiche all'articolo 5 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile.
C. 506 Morani.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Giusi BARTOLOZZI (FI), fa presente che è in corso di esame presso il Senato la proposta di legge S. 735 del senatore Simone Pillon, recante norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, che, pur affrontando un tema più ampio, contiene anche disposizioni in materia di assegno Pag. 58divorzile. Ritiene pertanto che sarebbe più opportuno sospendere temporaneamente l'esame della proposta di legge della collega Morani, in attesa che sia trasmesso alla Camera e assegnato alla Commissione Giustizia il citato provvedimento in corso di esame al Senato.

  Giulia SARTI, presidente, ricorda alla collega Bartolozzi che la proposta di legge C. 506 Morani è iscritta nel calendario dell'Assemblea per il mese di marzo, in quota opposizione, su richiesta del Partito democratico. Assicura comunque che provvederà ad effettuare le opportune verifiche relativamente alla possibile sovrapposizione tra il provvedimento che la relatrice si appresta ad illustrare e il testo in corso di esame presso la Commissione Giustizia del Senato.

  Alessia MORANI (PD), relatrice, ricorda che la Commissione avvia oggi l'esame della proposta di legge a sua firma che reca modifiche all'articolo 5 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile e che recupera i contenuti dell'analoga iniziativa assunta nel corso della scorsa legislatura dall'allora presidente Ferranti. Ricorda a tale proposito che la proposta C. 4605 fu approvata dalla Commissione Giustizia il 21 dicembre 2017, dopo un'indagine conoscitiva nell'ambito della quale sono stati auditi diversi illustri docenti universitari di diritto privato, (cita in particolare per il loro prezioso contributo scientifico il professor Cesare Massimo Bianca, libero docente di diritto civile e Mirzia Bianca, professoressa di istituzioni di diritto privato presso l'università degli studi di Roma «La Sapienza»), i presidenti della prima sezione civile dei tribunali di Roma e Firenze, i rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Organismo congressuale forense (OCF) nonché delle associazioni di avvocati per la famiglia e i minori. Obiettivo dell'intervento normativo è quello di garantire un equo bilanciamento degli interessi in gioco in occasione dello scioglimento del matrimonio e dell'unione civile, evitando che tale circostanza sia causa di un indebito arricchimento o di un degrado esistenziale del coniuge economicamente debole. Evidenzia che la proposta di legge in esame, come la citata C. 4605, prende le mosse da una serie di precedenti giurisprudenziali in materia che hanno avuto vasta eco per l'eccessiva entità dell'assegno disposto a favore del coniuge debole; d'altro canto, la cronaca ha segnalato diversi casi di ex coniugi (generalmente i mariti) costretti in difficili condizioni di vita in quanto l'assegno che sono tenuti a versare rappresenta una parte significativa del loro guadagno. Ricorda inoltre che, a seguito di un importante pronunciamento della Corte di Cassazione che nel maggio 2017 ha modificato dopo molti anni la propria precedente consolidata giurisprudenza, è stato da più parti invocato un intervento interpretativo delle Sezioni unite, giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287. Appare dunque, vieppiù necessario considerare che proprio nella direzione che indica il nostro provvedimento sono orientati gli ordinamenti europei dove è tenuta presente l'esigenza che al coniuge divorziato debole venga dato un aiuto economico destinato, per quanto possibile, a compensare la disparità o lo squilibrio economico creato dallo scioglimento del matrimonio.
  Pertanto, prima di procedere alla illustrazione del provvedimento, ritiene opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di assegno divorzile.
  Ricorda preliminarmente che il diritto al mantenimento di uno degli ex coniugi a spese dell'altro può essere sancito dal giudice con la sentenza di divorzio. L'articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (legge sul divorzio, come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) stabilisce che il tribunale dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Tale decisione deve tenere conto di una serie di elementi: condizioni Pag. 59dei coniugi; ragioni della decisione; contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune; reddito di entrambi; durata del matrimonio (alla cui luce vanno valutati i precedenti elementi). L'accertamento del diritto all'assegno si articola in due fasi: la prima, volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno; la seconda, finalizzata alla sua determinazione in concreto.
  Sottolinea che fino al 2017 la giurisprudenza, integrando la scarna normativa, ha concordemente affermato (su tutte, Cass. SS.UU. civili, sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990) che il presupposto per concedere l'assegno di mantenimento – l’an debeatur – fosse costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario provare uno stato di bisogno dell'avente diritto. Quindi, il coniuge richiedente poteva anche essere economicamente autosufficiente, ma se, a seguito del divorzio, vi era un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche godute durante il matrimonio, in linea di massima, queste dovevano essere ripristinate dal giudice, determinando la misura concreta dell'assegno – il quantum debeatur – in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri sopraelencati con riguardo al momento della pronuncia di divorzio.
  Fa presente che tale costante orientamento in materia di assegno divorzile è stato rivoluzionato dalla sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 della Cassazione che ha ritenuto superato, nell'ambito dei mutamenti economico-sociali intervenuti, il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Si legge nella sentenza n. 11504 che occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva» perché è «ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere – afferma la Cassazione – che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale». La Corte ha ritenuto che con la sentenza di divorzio «il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche su quello economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale». Dunque, secondo la Suprema Corte – per valutare il diritto (o meno) all'assegno di divorzio – va individuato un «parametro diverso» cioè il «raggiungimento dell'indipendenza economica» del coniuge richiedente: se si accerta la sua indipendenza economica viene meno il diritto all'assegno. Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la Prima Sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento, ma finendo per proporre una rilettura più flessibile del criterio dell'autosufficienza economica: la Corte di legittimità ha infatti affermato la necessità di adeguare il parametro dell'autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l'assegno, alla sua «specifica individualità» (Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042 e Cass., 26 gennaio 2018), al «contesto sociale in cui è inserito».
  Segnala che questa lettura più mite del criterio dell'autosufficienza economica era stata anticipata da alcuni giudici di merito (Corte d'Appello di Milano, 16 novembre 2017) mentre altra parte della giurisprudenza di merito si era adeguata al nuovo orientamento (Tribunale di Milano, ordinanza 22 maggio e sentenza 5 giugno 2017; Tribunale di Palermo, sentenza 26 giugno 2017; Tribunale di Roma, sentenza 1 agosto 2017) ed altra parte ancora aveva invece espressamente disatteso l'insegnamento della sentenza di legittimità n. 11504/2017 (Tribunale di Udine, 1o giugno 2017; Corte d'Appello di Napoli, 22 Pag. 60febbraio 2018). Anche in dottrina, se la maggior parte dei commentatori aveva visto con favore il superamento del tenore di vita familiare come criterio indiscriminato per la valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l'assegno, da più parti si era anche evidenziato come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge che, durante il matrimonio, ha sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alle esigenze della famiglia. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno dunque invocato un intervento delle Sezioni unite, che – come anticipato – è giunto con la citata sentenza 11 luglio 2018, n. 18287.
  Fa presente che la Cassazione a Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto interpretativo vertente sui presupposti di attribuzione dell'assegno divorzile, ha disatteso il criterio dell'indipendenza economica proposto dalla Prima Sezione pur condividendo l'abbandono del criterio tradizionale del tenore di vita matrimoniale: le SS.UU. hanno infatti affermato che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970; ciò richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto». La Corte ha precisato anche che «la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi».
  Ciò premesso, nel passare al contenuto del provvedimento, segnala che esso si compone di due articoli attraverso i quali si modifica l'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, con effetto anche sui procedimenti per lo scioglimento del matrimonio già in corso. In particolare, i commi 1 e 2 dell'articolo 1 della proposta di legge intervengono sull'articolo 5 della legge sul divorzio ripartendo su due commi i contenuti dell'attuale comma 6 ed aggiungendo due ulteriori disposizioni.
  Sottolinea che, in base al nuovo sesto comma, con la sentenza di divorzio, il tribunale può disporre l'attribuzione di un assegno allo scopo di equilibrare, per quanto possibile, la disparità delle condizioni di vita dei coniugi determinata dallo scioglimento del matrimonio (o dalla cessazione dei suoi effetti civili). Di conseguenza, è soppresso il riferimento al possesso di mezzi adeguati (o all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive) da parte del richiedente, come presupposto del diritto all'assegno di divorzio.
  Segnala che altre novità riguardano gli elementi da valutare per la determinazione del quantum dell'assegno periodico da parte del tribunale, che diventano oggetto di un nuovo settimo comma in base al quale: l'attuale ampio concetto di «condizioni dei coniugi» (che per la giurisprudenza comprende le condizioni sociali e di salute, l'età, le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive, in quanto idonei ad influenzare le capacità economiche e di guadagno dei coniugi) è sostituito da quello più specifico di «condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio»; il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione Pag. 61del matrimonio è sostituito con il parametro del comportamento tenuto dai coniugi in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale; la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito ma è estesa anche al patrimonio dei coniugi; sono confermati gli elementi già considerati dall'attuale comma 6 dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970; la durata del matrimonio è tuttavia indicata nella proposta di legge come elemento valutativo autonomo; sono, poi, aggiunti ulteriori elementi di valutazione quali l'impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili o non economicamente indipendenti; la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive; la mancanza di una adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento di doveri coniugali. Si tratta sostanzialmente di un rafforzamento, mediante il riconoscimento con legge, di specifici elementi di valutazione già operanti in sede giurisprudenziale.
  Fa presente che con il nuovo ottavo comma la proposta di legge introduce un'altra innovazione all'attuale disciplina prevedendo che, ove la ridotta capacità di produrre reddito da parte del coniuge richiedente sia momentanea («dovuta a ragioni contingenti o superabili»), il tribunale possa attribuire l'assegno anche solo per un determinato periodo. Con l'inserimento di un nono comma la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o «stabile convivenza» del richiedente e precisa che il diritto all'assegno non rivive a seguito della cessazione del nuovo vincolo o del nuovo rapporto di convivenza. Il comma 3 dell'articolo 1 della proposta in esame conferma l'applicazione delle nuove disposizioni sull'assegno di divorzio anche allo scioglimento delle unioni civili, già previsto dall'articolo 1, comma 25, della legge 20 maggio 2016, n. 76. Le modifiche a tale ultima disposizione hanno, infatti, natura di coordinamento con la illustrata novella dell'articolo 5 della legge sul divorzio.
  Segnala che l'articolo 2 della proposta di legge contiene la norma transitoria in base alla quale i nuovi presupposti e criteri per il riconoscimento dell'assegno di divorzio si applicano anche ai procedimenti per lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio in corso.
  Da ultimo, per il prosieguo dell'esame del provvedimento, ritiene opportuno svolgere un breve ciclo di audizioni.

  Giulia SARTI, presidente, rinvia all'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, la definizione delle modalità per il prosieguo dell'esame, una volta che siano state completate le opportune verifiche circa la questione posta dalla collega Bartolozzi.

  La seduta termina alle 13.30.

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 31 gennaio 2019. — Presidenza della presidente Giulia SARTI. – Interviene il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Jacopo Morrone.

  La seduta comincia alle 13.30.

DL 135/2018: Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione.
C. 1550 Governo, approvato dal Senato.
(Seguito esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta antimeridiana della giornata odierna.

  Giusi BARTOLOZZI (FI), ritiene che la Commissione non abbia potuto disporre del tempo necessario per effettuare una approfondita analisi del provvedimento in discussione, rammentando che dopo l'illustrazione dei contenuti del decreto-legge in titolo da parte del relatore, onorevole Pag. 62Perantoni, svolta nella mattinata odierna, i componenti della Commissione sono stati impegnati nei lavori dell'Assemblea.

  Mario PERANTONI (M5S), relatore, ritiene che le norme contenute nel provvedimento non presentino particolari questioni. In particolare, desidera precisare che, per quanto attiene all'istituto della riconversione del pignoramento, il provvedimento non dispone norme ordinamentali ma soltanto agevolazioni ulteriori nei confronti del debitore come: la previsione che la somma che il debitore deve depositare in cancelleria debba essere pari a un sesto, e non più a un quinto, come previsto in precedenza, dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori successivamente intervenuti; la concessione al debitore di una rateizzazione di quarantotto mesi per versare la somma, determinata dal giudice con ordinanza, da sostituire al bene pignorato; la concessione al debitore del beneficio della conversione del pignoramento anche quando ritarda il pagamento di una rata, fino ad un termine massimo di trenta giorni, in luogo degli attuali quindici. Sottolinea, quindi, l'aspetto politico dell'inversione della regola della custodia, sollevata dalla collega Bartolozzi nella seduta antimeridiana. In proposito rammenta che tale possibilità è già prevista nel nostro ordinamento, potendo già attualmente il giudice concedere al debitore e ai suoi familiari la facoltà di rimanere ad abitare l'immobile pignorato in attesa dell'espropriazione forzata. Ritiene che tale disposizione, che prevede una particolare tutela per i nuclei familiari e non per le attività produttive, sia ragionevole, soprattutto in un periodo come quello attuale caratterizzato da una forte crisi economica. Non ravvisa, inoltre, elementi di criticità in ordine alle disposizioni di cui all'articolo 7 del decreto-legge, che, attribuendo una competenza temporanea al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è volto a favorire la realizzazione di nuove strutture carcerarie e la manutenzione o la ristrutturazione di tutte le strutture esistenti al fine di creare una maggiore disponibilità di posti. Con riferimento, inoltre, alle disposizioni di cui all'articolo 11-quinquies del decreto-legge, rammenta che lo stesso reca una norma di interpretazione autentica al fine di superare le incertezze applicative relative alla ineleggibilità di avvocati che hanno già svolto due mandati consecutivi, come stabilito dalla legge n. 113 del 2017. Ciò premesso, pur comprendendo la richiesta dei colleghi di poter disporre di tempi adeguati per l'esame del provvedimento, ritiene di averne sintetizzato adeguatamente i contenuti.

  Giusi BARTOLOZZI (FI), con riguardo alla modifica dell'articolo 560 del codice di procedura civile in tema di custodia del beni pignorati, ritiene che non possa essere invocata la clausola di invarianza finanziaria. Nel preannunciare l'intenzione di sottoporre la questione alla Commissione Bilancio, evidenzia come consentire ai debitori di continuare ad abitare l'immobile sino al decreto di trasferimento che conclude l'espropriazione forzata immobiliare, comporti inevitabilmente oneri aggiuntivi per le casse dello Stato. Ritiene infatti che concedere al debitore di rimanere nel bene pignorato fino al decreto di trasferimento, oltre a rendere di fatto impossibile vendere il bene stesso, comporterà anche la conseguenza di allungare ulteriormente i tempi di conclusione della procedura di esecuzione forzata. Preannuncia che nel corso dell'esame in Assemblea si soffermerà nuovamente su tale questione per dimostrare che con tale disposizione non si fornisce una particolare tutela ai nuclei familiari, prolungando in misura considerevole le procedure di esecuzione forzata. Si domanda pertanto per quale motivo si voglia intervenire a modificare norme che funzionano, causando peraltro un danno erariale. Quanto alle disposizioni recate dall'articolo 11-quinquies, che reca una norma di interpretazione autentica della legge 12 luglio 2017, n. 113, in ordine all'ineleggibilità di avvocati che hanno già svolto due mandati consecutivi, ricorda che sull'argomento Forza Italia aveva presentato al Senato un Pag. 63emendamento, ripreso dalla Lega e successivamente ritirato, che andava nel senso opposto rispetto alla norma introdotta dal provvedimento in esame. Ritiene infine che l'unica misura ragionevole sia quella relativa alla modifica dell'articolo 569 del codice di procedura civile, relativo all'udienza di autorizzazione della vendita, per richiedere ai creditori di comunicare in anticipo l'ammontare del credito per i quale procedono. Ciò premesso, preannuncia il voto contrario del gruppo di Forza Italia sul provvedimento in esame.

  Mario PERANTONI (M5S), relatore, ritiene che le disposizioni in materia di custodia dei beni pignorati contenute nel provvedimento in discussione non potranno arrecare danni alle casse dello Stato in quanto, purtroppo, gli ulteriori costi determinati da eventuali allungamenti dei tempi delle procedure di espropriazione immobiliare saranno poste a carico del debitore.

  Giusi BARTOLOZZI (FI) non ritiene condivisibili le osservazioni testé formulate dal relatore.

  Mario PERANTONI (M5S), relatore, propone di esprimere parere favorevole sul provvedimento in discussione.

  La Commissione approva la proposta di parere favorevole del relatore.

  La seduta termina alle 13.40.

AUDIZIONI INFORMALI

  Giovedì 31 gennaio 2019.

Audizione, nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 649 Bartolozzi, recante «Delega al Governo per l'istituzione del Tribunale superiore dei conflitti presso la Corte di cassazione», di rappresentanti dell'Associazione italiana professori di diritto amministrativo (AIPDA).

  Le audizioni informali si sono svolte dalle 13.45 alle 14.20.