CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 18 luglio 2017
854.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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INCONTRI CON DELEGAZIONI DI PARLAMENTI STRANIERI

  Martedì 18 luglio 2017.

Incontro con una delegazione della Camera dei rappresentanti del Giappone.

  L'incontro informale si è svolto dalle 12.05 alle 13.05.

COMITATO DEI NOVE

  Martedì 18 luglio 2017.

Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista.
Emendamenti C. 3558-A Dambruoso.

  Il Comitato dei nove si è riunito dalle 13.15 alle 13.20.

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SEDE REFERENTE

  Martedì 18 luglio 2017. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. — Intervengono la sottosegretaria di Stato per i rapporti con il Parlamento, Sesa Amici e la sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli.

  La seduta comincia alle 13.20.

Riconoscimento dell'inno di Mameli «Fratelli d'Italia» quale inno ufficiale della Repubblica.
C. 3951 D'Ottavio e C. 1793 Nastri.

(Seguito dell'esame e conclusione).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 6 luglio 2017.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, avverte che la relatrice ha presentato l'emendamento 1.50 (vedi allegato 1) al testo base C. 3951 D'Ottavio: il termine per la presentazione di subemendamenti all'emendamento della relatrice è scaduto alle ore 12 di giovedì 12 luglio. Comunica che sono stati presentati 3 subemendamenti (vedi allegato 1).

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatrice, evidenzia che l'emendamento 1.50 che ha presentato è volto a precisare che il testo del «Canto degli Italiani», titolo originario dell'Inno di Mameli e lo spartito musicale originale costituiscono l'inno nazionale della Repubblica. A tal proposito, ritiene che non sia necessario allegare il testo dell'inno alla proposta di legge in quanto già richiamato in diverse fonti normative tra le quali, ad esempio l'articolo 1, comma 2, della legge 23 novembre 2012, n. 222, recante norme sull'acquisizione di conoscenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole, e il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 14 aprile 2006 «Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche».
  Richiama, tuttavia, l'attenzione dei colleghi deputati sul testo integrale che è in distribuzione. Segnala che, per prassi consolidata e secondo le indicazioni del cerimoniale diplomatico della Repubblica, negli eventi ufficiali vengono eseguite solo le prime due strofe di otto versi. Il secondo comma dell'emendamento è dunque finalizzato ad attribuire al Governo la definizione delle modalità di esecuzione dell'inno nelle cerimonie ufficiali.
  Nel raccomandare l'approvazione del suo emendamento 1.50, esprime parere contrario su tutte le restanti proposte emendative, invitando, infine, al ritiro dell'emendamento Sisto 1.3, che giudica sostanzialmente assorbito dal proprio emendamento 1.50.
  Auspica, in conclusione, il trasferimento del provvedimento alla sede legislativa, una volta verificata la sussistenza dei necessari requisiti.

  La sottosegretaria Sesa AMICI esprime parere conforme a quello espresso dalla relatrice.

  Gian Luigi GIGLI (DeS-CD) osserva che probabilmente non è un caso se il cosiddetto Inno di Mameli è rimasto per oltre settanta anni l'inno «provvisorio» della Repubblica Italiana. In Italia non vi è infatti nulla di più stabile del precariato, come dimostrano le mille sanatorie dell'università o le accise sulla benzina. Sottolinea quindi che l'Inno cosiddetto di Mameli è rimasto nella sua precarietà stabile, come un soprammobile ingombrante, dal lontano 12 ottobre 1946, quando l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi ne autorizzò l'uso per il giuramento delle reclute nella giornata delle Forze Armate del 4 novembre 1946. Evidenzia come fosse talmente provvisorio che allo stesso De Gasperi, quando si recò per la prima volta negli Stati Uniti per sollecitare gli aiuti americani, essendo stata abolita la Marcia Reale, fu suonato ’O sole mio, il canto italiano più conosciuto e amato nel Pag. 13mondo, come già accaduto nel 1920, con la Marcia Reale ancora in vigore, durante la premiazione del marciatore Ugo Frigerio alle Olimpiadi di Anversa, alla presenza di re Alberto del Belgio, perché la banda che doveva eseguire l'inno italiano pare avesse perso lo spartito della Marcia Reale. Sottolinea che se oggi in questa sede fosse proposto ’O sole mio, questo susciterebbe il suo entusiasmo, mentre quella che definisce una «marcetta,» con una definizione che, come spiegherà a breve, non è sua, proprio non riesce a sentirla propria e tantomeno a cantarla. Rileva come del resto in Italia quasi nessuno conosceva le parole dell'Inno cosiddetto di Mameli, finché l'allora Presidente della Repubblica Ciampi non pensò bene di riesumarlo, scandalizzato dal fatto che non lo conoscessero neanche i calciatori della nazionale, rimasti a bocca chiusa durante i mondiali del 1998. In quell'occasione il Presidente Carlo Azeglio Ciampi espresse il proprio rammarico, seppur dando ai calciatori le attenuanti per la difficoltà del testo, aggiungendo, testualmente: «Il nostro Inno, sì, è una marcetta, ma ormai quando sento le prime note e quelle prime parole, Fratelli d'Italia, il mio spirito nazionale si alza automaticamente in piedi pronto a cantare con la mano sul cuore». Per Ciampi diventò un dovere morale, fino a far stampare il testo per diffonderlo nelle scuole. Per lui, invece, rimane un Inno in cui fa fatica a immedesimarmi per il disagio che gli provoca e che cercherà di spiegare.
  Osserva che si tratta anzitutto di ragioni di carattere estetico e in secondo luogo di carattere storico. Per quanto riguarda l'estetica, ritiene che un inno nazionale dovrebbe caratterizzarsi per la solennità della musica e per l'elevato spessore poetico delle parole. Ricorda infatti che nell'Italia pre-unitaria alcuni degli inni in vigore sono stati composti da musicisti eccelsi, come Franz Joseph Haydn; Giovanni Paisiello e Charles Gounod. Non è rilevante, tuttavia, che il musicista sia necessariamente famoso, ma l'Inno dovrebbe sempre evocare una grande suggestione ed essere dotato di maestosità. È il caso, ad esempio dell'Inno sardo, composto da Mariano Garau, così bello da essere sopravvissuto alla fine del Regno di Sardegna e della stessa Casa Savoia e talmente maestoso da essere suonato ancora al Quirinale il 28 aprile 1992, nel momento in cui il Presidente della Repubblica dimissionario Francesco Cossiga lasciava il Palazzo. Nulla di tutto ciò può dirsi per l'Inno di Mameli: se musicalmente la sua poco ispirata musichetta potrebbe essere a fatica ancora assorbita dall'orecchio, le parole, frutto della retorica patriottarda risorgimentale, sono invece indigeribili, oltre che prive di qualunque significato linguistico per il comune cittadino dei nostri giorni. Al proposito, ritiene opportuno ripercorrere le parole dell'Inno, per dimostrare che non vi è un solo verso che possa trasmettere un'aggregante emozione nazionale, ottenendo, anzi, l'effetto contrario. Sottolinea infatti che sono pochissimi a sapere chi sia Scipio e cosa abbia a che fare con l'Italia il suo elmo. Osserva, inoltre, come alla domanda retorica «Dov’è la Vittoria ?», qualcuno, soprattutto nell'Italia del nord, dove davanti ai nomi di persona si usa mettere l'articolo, potrebbe essere tentato di rispondere che è uscita senza lasciar detto nulla. Sul fatto che poi la vittoria sia stata schiava di Roma, almeno a partire dal 1848 non risulta e comunque il richiamo non è inclusivo, ma semmai respingente. Andando avanti, rileva che cosa sia la coorte rappresenta un mistero per i più e quanto al «Siam pronti alla morte», ricorda ancora gli scongiuri di un ex Presidente del Consiglio. Ritiene la seconda strofa più leggibile, ma bisognosa di un sostegno psicologico, per quanto segnata dalla depressione. Sottolinea che è forse per questo che, da quando l'Inno è per così dire tornato di moda, si ripete sempre la prima strofa al posto della seconda, perché con quelle parole sarebbe più facile deprimersi che entusiasmarsi. Osserva come la terza strofa è segnata dalla confusione teologica. A suo avviso la quarta strofa, che assembla richiami storici di epoche diverse, con Ferruccio, i Vespri e Balilla, deve essere stata quella Pag. 14più amata da Mussolini che alla gioventù fascista raccomandava di tenere insieme per santi Mameli e Balilla. Evidenzia come la quinta e ultima strofa sia forse la peggiore, con il suo poco credibile insieme di giunchi, spade, penne, sangue e cuori bruciati, che fa pensare come probabilmente la vena poetica del giovane Goffredo Mameli si fosse ormai esaurita. Le considerazioni finora svolte riguardano il profilo del gusto.
  Osserva che l'inno cosiddetto di Mameli, però, non pone solo problemi di ordine estetico, ma solleva anche dubbi di tipo storico, ad iniziare dal nome a cui fa riferimento il titolo originario della proposta di legge: «Riconoscimento dell'inno di Mameli “Fratelli d'Italia” quale inno ufficiale della Repubblica». Riconosce che su questo è intervenuto correttamente l'emendamento della relatrice, in quanto, appunto, in realtà l'inno non si intitola «Fratelli d'Italia», ma «Canto degli Italiani»: inoltre non è appropriato definirlo di Mameli, ma andrebbe semmai definito l'Inno di Michele Novaro, cioè con il nome dell'autore della musica e non dell'autore delle parole, come è consuetudine, se non regola. Evidenzia che dire l'Inno di Mameli, infatti, è come dire non l'Aida di Verdi, ma l'Aida di Ghislanzoni. Si tratta, a suo avviso, di una forzatura che sembra quasi richiamare una sorta di «accanimento di paternità», dovuto al fatto che è altamente probabile che il cosiddetto «Inno di Mameli» non sia stato scritto da Mameli. È possibile infatti avanzare l'ipotesi che Goffredo Mameli, che all'epoca aveva diciannove anni, si sia attribuito un testo scritto da padre Atanasio Canata, il priore del convento di Càrcare, dove la famiglia aveva collocato il ragazzo, ricercato dalla polizia dopo una rissa e un pestaggio. Rileva che per prima cosa sembrano avvalorare tale ipotesi le lettere che in quei mesi Goffredo Mameli spedì dal convento all'amico Canale e alla madre, che documentano uno stile di scrittura povero, con molti errori di grammatica e un autoritratto lontano dai crismi dell'eroismo: «Sono arrivato ’morto di sogno’ ma io qui me la passo benissimo, mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno, e questo è l'ideale del mio Paradiso, spero che voialtri farete altrettanto !». Evidenzia come sia difficile credere che lo stile del giovane Mameli sia quello del poeta che negli stessi giorni avrebbe scritto l'Inno, con versi ampollosi e retorici, in ritmo senario, con riferimenti eruditi, indicativi di un maturo studioso più che di un diciannovenne focoso. Sottolinea come un elemento certo è il racconto che Michele Novaro, il musicista allora ventiduenne, fece anni dopo in occasione di una commemorazione di Mameli: il testo dell'Inno gli arrivò proprio dal convento di Càrcare, tramite Ulisse Borzino che, mentre stava andando a Torino, era passato a trovare il comune amico Goffredo. Questi glielo affidò chiedendogli di portarlo a Novaro «da parte sua» per provare a metterlo in musica. Borzino trovò Michele Novaro a una riunione a casa di Lorenzo Valerio, esponente dei liberali piemontesi. Appena Novaro lesse i versi, cominciò subito a comporre la musica ma come raccontò egli stesso, «nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e per conseguenza anche sul povero foglio». Sottolinea, quindi, che si trattava di un foglio arrivato certamente «da parte di» Mameli, ma non è altrettanto certo da chi fosse scritto. Rileva, inoltre, come padre Atanasio Canata era conosciuto come un erudito letterato, prolifico autore di orazioni e versi in ritmo senario che richiamano quelli dell'inno in modo inequivocabile. A dimostrazione di ciò, sottolinea come una delle sue odi si conclude con «La Patria chiamò», le stesse identiche parole del ritornello dell'Inno. Padre Canata era inoltre un giobertiano, lontano dal poco dotto Mameli, di idee politiche mazziniane. Uno storico contemporaneo, il professor Aldo Mola, esperto di storia risorgimentale e Direttore del Centro per la storia della Massoneria, così analizza l'opera di Cannata: «Tutte le sue opere sono infuse del cristianesimo liberale di ispirazione giobertiana, lo stesso che si ritrova nell'Inno: «l'unione e l'amore / rivelano ai popoli / le vie del Signore». Questo fa pensare che l'autore fosse un Pag. 15papista, non un rivoluzionario mazziniano. Osserva poi come siano rilevanti alcuni versi di padre Canata, di cui è ben intuibile il destinatario, e che sono un elemento di riflessione sulla paternità dell'Inno: «Meditai per la Patria robusto un canto / ma venali menestrelli si rapìan dell'arte il vanto / Sulla sorte dei fratelli / non profuse allor che pianto / e aspettando nel suo cuore / si rinchiuse il pio cantore» e addirittura in un appunto: «E scrittore sei tu ? Ciò non mi quadra, una gazza sei tu, garrula e ladra».
  Osserva inoltre come già pochi mesi dopo la sua prima esecuzione, si pensò di sostituire l'Inno con uno spartito più valido. Mazzini chiese una nuova musica a Giuseppe Verdi, e pensò di affiancargli il giovane Mameli per le parole. Ma il testo proposto da questi, dall'aggressivo titolo «Il Canto di guerra», non fu, per usare un eufemismo, molto apprezzato, e finì anch'esso, questa volta non accidentalmente, nel fuoco di un camino. Così rimase «Il Canto degli Italiani», destinato a divenire di lì a poco «l'Inno di Mameli» per la morte prematura, sebbene poco gloriosa, del ragazzo: ferito accidentalmente in modo non particolarmente grave a una gamba dalla baionetta di un commilitone, come egli stesso scrisse alla madre, venne curato male, si decise troppo tardi l'amputazione della gamba e morì poco dopo per la sopravvenuta infezione il 6 luglio 1849 a soli 21 anni. Sottolinea come, intenzionalmente alimentata, crebbe la leggenda dell'eroe morto in battaglia e del grande poeta, che fece di Mameli il campione di una realtà che non era la sua, Inno compreso, meritandogli così un posto nella toponomastica di regime in ogni Comune d'Italia ed uno, più importante, nella mitologia del nuovo stato unitario.
  Sintetizzando, sottolinea come si tenga come Inno una marcetta di terz'ordine, difficile da capire e difficile da ricordare, chiamata non con il suo vero titolo – come rilevato anche dall'emendamento della relatrice – e non con il nome dell'autore della musica, che di regola individua il brano, ma con quello dell'autore delle famose e fumose parole, avallando un probabile falso d'autore. Ritiene che la Commissione debba fermarsi a riflettere, evitando di legiferare con la stessa foga del giovane Goffredo.
  Conclude precisando che, pur rifuggendo da ogni istinto nazionalista, non è pregiudizialmente contrario ad un Inno nazionale, che dovrebbe tuttavia esprimere il sentire di un popolo, esprimerne l'identità, raccoglierlo ad unità non per sopraffare gli altri, ma per ritrovarsi e riconoscersi come comunità nel momento della prova e del pericolo. L'Inno di Mameli è invece l'Inno di un moto unitario nato male, fuori da ogni moto di popolo, in vista di un'unità che esisteva già dal punto di vista geografico, culturale e religioso, che esisteva in parte – sebbene molto meno – anche dal punto di vista linguistico, ma che per realizzarsi davvero dal punto di vista sentimentale ebbe bisogno di 600.000 morti e di un milione di invalidi diventati fratelli nelle trincee della prima guerra mondiale, affratellati dal sangue in quella che non fu l'ultima guerra di indipendenza, ma l'inutile strage voluta da una monarchia non ancora riconosciuta dal popolo, voluta dalla massoneria imperante e dai peggiori nazionalismi dell'epoca. Un'unità sentimentale che ha creduto di consolidarsi con la sbornia nazionalistica e le avventure coloniali del fascismo, salvo risvegliarsi con la vergogna del nome stesso di patria dopo il disastro della guerra. L'Inno non rispecchia a suo avviso il sentimento nazionale di una nazione in cui l'amor di patria, quello vero, ha fatto fatica a svilupparsi. È un inno che, come il tricolore, più che per gli sforzi del presidente Ciampi, si è imposto per il tifo calcistico e continua ad imporsi solo quando la nazionale vince. Propone dunque di cambiarlo. Non sarebbe difficile, perché si potrebbe attingere dal ricco patrimonio musicale del popolo italiani, un popolo fatto non solo di eroi, di navigatori, di santi, di trasvolatori, di trasmigratori, ma anche di artisti, in particolare di musicisti e di poeti. Non manca certo la musica bella in Pag. 16Italia, anche se non è più possibile ormai adottare il «Va Pensiero» di Verdi, diventato inno della secessione della Padania, o l’«Inno a Roma» di Puccini, abusato nel periodo fascista, ma ci si potrebbe sempre rifarei con il coro dei Lombardi, visto che la Lega non l'ha ancora rivendicato come proprio. Se non si vuole far questo, si promuova allora un grande concorso nazionale per un inno nuovo di zecca. Se neanche questo è possibile si potrebbero mantenere la musica di Novaro e le prime irrinunciabili parole «Fratelli d'Italia», cambiando il resto di un testo a suo avviso orrendo, che nulla vieta di adeguare. Sottolinea come ciò sia stato fatto in altre nazioni, Belgio e Polonia fra gli altri, ma l'esempio più forte viene dalla Russia, dove, nello smantellamento di tutti i simboli riconducibili al passato comunista, si era sostituito l'Inno tradizionale con uno nuovo di zecca, che non fu accettato dal popolo. Il governo decise allora di tornare a quello tradizionale, ma lasciandone solo la musica e cambiando il testo per adeguarlo alla nuova realtà. Il popolo, già abituato a quelle note, lo approvò subito e tuttora per tutti i russi rappresenta la nazione. Se dunque ci si vuole tenere la «marcetta», almeno si tolgano le parole, si suoni solo la melodia e si lanci un grande concorso nazionale per trovare un nuovo testo. Teme tuttavia, che anche questa soluzione di minima troverà difficoltà insormontabili. Osserva che già in passato nel nostro Paese qualsiasi proposta alternativa ha trovato silenzio, fastidio se non indignazione, e tanta ironia. Sembra che sia come parlar male di Garibaldi, come criticare la Rivoluzione Francese in Francia. Costituirebbe un attentato al mito fondativo e questo non è permesso perché ridiscutere il mito vorrebbe dire mettere in discussione il processo che l'ha prodotto. Ricorda che ancora l'altra domenica il quotidiano «La Stampa» titolava «Giù le mani dall'Inno di Mameli». Evidenzia come la verità a volte è scomoda, non la si cerca per paura di trovarla ed è un peccato, perché crede che nel Paese ci sia un gran bisogno di verità. Si dichiara convinto che un'operazione verità attorno al nostro Inno stimolerebbe la rinascita di quell'orgoglio nazionale che dà forza e coesione ai popoli nei momenti difficili.
  Ribadisce come ci siano forti sospetti che il nostro Inno nazionale, il cosiddetto «Inno di Mameli», non sia di Mameli. Non crede quindi sia giusto licenziare senza vaglio e approfondimento un simbolo così importante, che fuori da ogni logica, ma forse non a caso, è rimasto «provvisorio» per un tempo così lungo, Ma osserva come ora, in raro accordo trasversale, la politica è pronta ad approvare questa proposta di legge. Ma si chiede come sia possibile che, in un caso come questo, tutti siano soddisfatti di essere rappresentati da un falso che non è neanche un capolavoro. Fa dunque appello al buon gusto dei deputati della Commissione e chiede di non oltraggiare ulteriormente la bellezza. Ricorda che l'Italia è il Paese della Bellezza, come direbbe un ex Presidente del Consiglio ed è solo la bellezza che salverà il mondo, come direbbe Dostojevski.

  Umberto D'OTTAVIO (PD), dopo aver ringraziato l'intera Commissione nonché gli uffici per il lavoro svolto, osserva che l'inno in questione, sul quale è legittimo possano esservi opinioni divergenti, ben rappresenti un'idea di unità nazionale nella quale gli italiani si riconoscono pienamente, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale. Dopo aver ricordato le iniziative legate all'inno italiano promosse dalla Presidenza della Repubblica in relazione alla festa del 2 giugno, giudica coraggiosa la scelta di riconoscere il «Canto degli italiani» come inno nazionale, a fronte di uno stato di provvisorietà che si è prolungato negli anni, nonostante i diversi tentativi esperiti con poco successo nel corso delle passate legislature.

  Francesco Paolo SISTO (FI-PdL) ringrazia la relatrice per aver recepito, nel suo emendamento 1.50, che fa riferimento al concetto di inno nazionale, lo spirito della proposta emendativa 1.3, a sua prima firma. Ritira, pertanto, il suo emendamento 1.3.

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  Marilena FABBRI (PD) invita a comprendere il profondo valore storico espresso dall'inno italiano, ben evidenziato, a suo avviso, anche in taluni libri pubblicati sull'argomento, come «Fratelli d'Italia. La vera storia dell'Inno di Mameli» di Tarquino Maiorino. Giuseppe Marchetti Tricamo e Piero Giordano, facendo notare che le diverse strofe dell'inno hanno un valore allegorico volto ad esprimere l'unità risorgimentale. Ritiene giusto, pertanto, riconoscere il «Canto degli italiani» quale inno nazionale, considerato il suo valore storico, ricollegato dallo spirito popolare al Risorgimento e alla Resistenza.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, fa notare che l'intervento del deputato Gigli ha descritto il risorgimento come un'operazione mazziniano-massonica e ha dimostrato sulla prima guerra mondiale, definita inutile spargimento di sangue, una sorta di nostalgia per la triplice alleanza. Questo a dimostrazione dell'influenza di un'impostazione veterocattolica e anti nazionale contraria anche alla breccia di Porta Pia.
  Dichiara di considerare, invece, anche per motivi familiari, il Risorgimento un momento fondamentale della nostra storia e di nutrire grande rispetto per chi vi partecipò, inclusi i mazziniani.

  La Commissione respinge, con distinte votazioni, gli emendamenti Gigli 1.1 e 1.2 e i subemendamenti Gigli 0.1.50.1. 0.1.50.2 e 0.1.50.3. Approva, quindi, l'emendamento 1.50 della relatrice (vedi allegato 2)
  Delibera di conferire il mandato alla relatrice, deputata Gasparini, di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

  La seduta termina alle 13.55.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Martedì 18 luglio 2017. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 19.20

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2017.
Emendamenti C. 4505-A Governo.
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Alessandro NACCARATO, presidente e relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 2 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista.
Emendamenti C. 3343-A Fiano.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Alessandro NACCARATO, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 4 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione Pag. 18e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica.
Emendamenti C. 3960-A, approvata dal Senato.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Luigi FAMIGLIETTI (PD), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

  La seduta termina alle 19.25

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Relazione 2016 sull'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
COM(2017)239 final.

SEDE REFERENTE

Nuove norme per la concessione della Stella al merito del lavoro.
C. 3211 Gnecchi.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

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