CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 13 settembre 2016
691.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 89

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 13 settembre 2016. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.05.

Disposizioni concernenti la comunicazione e la diffusione delle competenze di base necessarie per la gestione del risparmio privato.
Nuovo testo C. 3666 Bernardo e abb.
(Parere alla VI Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Giampiero GIULIETTI (PD), relatore, evidenzia che la proposta di legge in esame, che la XIV Commissione esamina ai fini del parere da rendere alla Commissione Finanze, intende promuovere azioni efficaci, efficienti e sistematiche per la diffusione – presso i giovani e gli adulti – dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, intesa quale strumento per la tutela del consumatore. A tal fine si affida al Governo il compito di adottare appositi programmi (Strategia nazionale per l'educazione finanziaria) e viene istituito un Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, la cui attività è sottoposta a controllo parlamentare.Pag. 90
  Sono inoltre chiarite le iniziative educative da inserire in contesti scolastici per i giovani ed extrascolastici per gli adulti.
  L'articolo 1, comma 1 esplicita le finalità della proposta.
  Essa mira in particolare ad assicurare efficacia, efficienza e sistematicità alle azioni dei soggetti pubblici e privati in materia di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale quale strumento per la tutela del consumatore. Tale scopo è perseguito sia sotto il profilo formativo della gioventù in età scolare, sia sotto il profilo educativo della popolazione in età adulta. Viene precisato inoltre che le finalità suddette sono perseguite ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera n) della Costituzione, norma che affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le norme generali sull'istruzione, nonché dell'articolo 118, quarto comma, Cost., il quale sancisce il principio di sussidiarietà orizzontale, secondo cui lo Stato e le altre articolazioni territoriali favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
  Il comma 2 fa salve le competenze esercitate, in materia di educazione finanziaria, dai soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa vigente.
  L'articolo 1-bis, comma 1, reca la definizione di «educazione finanziaria» rilevante ai sensi di legge.
  Per tale si intende dunque, in conformità con quanto espresso dall'OCSE, il processo attraverso il quale i cittadini, al fine di poter assumere con libertà e autonomia le decisioni di consumo, di risparmio e di investimento, migliorano la loro comprensione degli strumenti e dei prodotti finanziari, ivi compresi quelli di natura assicurativa e previdenziale, e, attraverso informazioni, guide e/o comunicazioni obiettive, nonché sviluppano le competenze necessarie ad acquisire una maggiore consapevolezza dei rischi e delle opportunità finanziarie.
  Lo scopo dell'educazione finanziaria è di compiere scelte informate, sapere dove rivolgersi per chiedere aiuto e intraprendere altre azioni concrete per migliorare il grado di benessere e di protezione delle attività finanziarie, anche di tipo assicurativo e previdenziale.
  Il comma 2 dell'articolo 1-bis delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, un programma che definisca una Strategia nazionale per l'educazione finanziaria, che comprende la stesura di apposite linee guida e l'adozione delle necessarie misure organizzative da parte dei ministeri che partecipano all'attuazione del programma. Sono elencati i princìpi e criteri direttivi cui deve attenersi tale Strategia nazionale.
  Il comma 3 dispone che la proposta di programma sia trasmessa alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri congiunti da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia della Camera e del Senato e per i profili finanziari, entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione. Ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, deve trasmettere nuovamente il testo del programma alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Decorso il termine di trenta giorni, il programma può comunque essere adottato in via definitiva.
  Si prevede inoltre (comma 4) la trasmissione annuale, da parte del Governo, di una relazione sullo stato di attuazione della Strategia nazionale per l'educazione finanziaria; essa può contenere eventuali proposte di modifica e di aggiustamento del menzionato programma, da discutere e adottare con le medesime procedure previste dal richiamato comma 3.
  L'articolo 2, al comma 1, istituisce e disciplina il Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale presso il Ministero dell'economia e delle finanze (comma 1).
  Il comma 2 chiarisce che il Comitato è presieduto da un direttore, nominato dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro dell'istruzione e scelto fra personalità con comprovate competenze ed esperienza nel settore.Pag. 91
  Il Comitato è inoltre composto da sedici membri, di cui uno designato dal Ministro dell'economia e delle finanze, uno dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, uno dal Ministro dello sviluppo economico, due dalla Banca d'Italia, due dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), uno dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), uno della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), uno dall'Associazione bancaria italiana, uno dall'Associazione Forum per la finanza sostenibile, uno dall'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, uno dall'Associazione italiana del credito al consumo e immobiliare, uno dall'Associazione delle società per la consulenza agli investimenti, uno dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti e uno, esperto nelle materie economico-finanziarie, designato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.
  I membri del Comitato, scelti fra personalità con comprovate competenze ed esperienza nel settore, durano in carica tre anni e l'incarico può essere rinnovato per una sola volta.
  Il Comitato (comma 3) opera attraverso riunioni periodiche e prevedendo, ove necessario, la costituzione di specifici gruppi di ricerca cui potranno partecipare accademici ed esperti della materia. La partecipazione al Comitato non dà titolo ad alcun emolumento o compenso.
  Il comma 4 chiarisce quali sono i compiti del Comitato, che stabilisce le linee comuni delle politiche nazionali in materia di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, individuando obiettivi e programmi dell'azione pubblica nel predetto ambito. Il Comitato definisce la programmazione annuale delle predette attività da parte degli attori pubblici, determinando i settori prioritari di intervento, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale, tenendo conto delle indicazioni provenienti dai competenti organismi internazionali e dei programmi di azione individuati in sede di Unione europea e valorizzando le relazioni internazionali che sono già state avviate dalle Autorità indipendenti per i rispettivi ambiti di competenza. Tra i compiti assegnati al Comitato vi è anche l'implementazione sul proprio sito internet di un servizio di comunicazione in tempo reale (on line chat) a disposizione degli utenti, per rispondere alle domande proposte in materia finanziaria, previdenziale e assicurativa.
  Ai sensi del successivo comma 5, nello svolgimento delle sue funzioni il Comitato può acquisire informazioni e documenti da altre amministrazioni pubbliche e da tutti i soggetti pubblici e privati aventi compiti in materia di educazione finanziaria.
  Il comma 6 obbliga il Comitato a trasmettere al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro dell'istruzione, entro il 30 giugno di ciascun anno, una relazione sulle attività svolte nell'anno precedente e sui risultati raggiunti.
  Analogamente, ai sensi del comma 7 il Ministro dell'economia e finanze – di concerto con il Ministro dell'istruzione – entro il 30 settembre di ogni anno trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri e alle Camere un rapporto informativo sull'attività svolta dal Comitato nel periodo 1o gennaio – 31 dicembre dell'anno precedente.
  Il comma 8 affida le modalità di organizzazione e di funzionamento del Comitato ad un regolamento adottato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Il comma 9 reca la clausola di invarianza finanziaria.
  L'articolo 3, al comma 1, in attuazione del già richiamato principio di sussidiarietà orizzontale, affida al Comitato il compito di promuovere attività di comunicazione e diffusione di informazioni volte a favorire la conoscenza e l'acquisizione delle competenze di base sulla gestione del risparmio esercitata da soggetti privati, con particolare attenzione all'assenza di conflitti di interessi.Pag. 92
  Il successivo comma 2 consente agli enti locali di attivare progetti finalizzati all'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale anche con la partecipazione dei soggetti privati.
  L'articolo 3-bis contiene norme relative all'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale per i giovani e per gli adulti.
  In particolare sono elencati i compiti affidati al Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale (comma 1) con riferimento alla definizione di iniziative scolastiche dirette ai giovani, alla luce di quanto dispone la legge di riforma del sistema nazionale di istruzione (legge 13 luglio 2015, n. 107), e in accordo con il Tavolo Paritetico Economia e Legalità del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Per quanto invece riguarda (comma 2) le iniziative info-educative dirette agli adulti, il Comitato, con il diretto coinvolgimento degli altri ministeri coinvolti, sentiti i soggetti che operano a livello territoriale, sviluppa le linee guida per la realizzazione di iniziative di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale diversificate in ragione delle esigenze dei diversi destinatari. Le iniziative sono rivolte prioritariamente ai soggetti maggiormente a rischio di esclusione finanziaria e sociale o che si trovano in condizioni economiche svantaggiate e sono successivamente estese all'intera popolazione.
  Ai sensi del comma 3, i soggetti che erogano programmi educativi comunicano, sulla base dei criteri di misurazione dell'efficacia concordati con il Comitato, i risultati delle rispettive attività.
  Segnalo in conclusione che tale provvedimento si colloca nel solco delle iniziative intraprese a livello internazionale e nazionale in materia di educazione finanziaria.
  L'OCSE, nel 2008, ha istituito l’International network on financial education (INFE), un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti delle autorità pubbliche dei Paesi membri, per discutere periodicamente degli ultimi sviluppi in ciascun Paese in tema di educazione finanziaria, nonché per predisporre studi analitici e comparativi, metodologie, best practices e linee guida in relazione alle aree chiave prioritarie. Nel 2012 è stato introdotto nei tradizionali test OCSE/PISA – che sono test destinati alla valutazione di competenze nella lettura, in matematica e scienze – un framework destinato a rilevare dati comparativi sulle competenze finanziarie di quindicenni, con l'obiettivo di fornire un quadro di riferimento utile per migliorare le politiche educative dei diversi stati in questa direzione.
  I risultati dell'Italia in materia di alfabetizzazione finanziaria sono stati inferiori alla media dei 13 Paesi ed economie dell'OCSE che hanno partecipato all'indagine. Più di uno studente su cinque in Italia (21,7 per cento rispetto al 15,3 per cento in media nei Paesi ed economie dell'OCSE) non riesce a raggiungere il livello di riferimento per le competenze di alfabetizzazione finanziaria (Livello 2).
  Solo il 2,1 per cento degli studenti raggiunge il livello più alto nella scala PISA (rispetto a una media del 9,7 per cento nei Paesi ed economie dell'area OCSE). Nel complesso gli studenti italiani ottengono risultati in materia di alfabetizzazione finanziaria inferiori a quanto ci si potrebbe aspettare in base al loro livello di competenze in lettura e matematica. Ciò si verifica in modo particolare per gli studenti con alte competenze in matematica.
  L'OCSE ha rilevato come tale risultato suggerisce che le principali competenze acquisite dagli studenti a scuola non includono competenze che consentirebbero loro di ottenere buoni risultati nell'indagine sull'alfabetizzazione finanziaria. In Italia, la relazione tra lo status socioeconomico e i risultati in materia di alfabetizzazione finanziaria è significativamente più debole rispetto alla media dell'area OCSE. Ciò suggerisce che il Paese offre agli studenti opportunità di apprendimento relativamente eque. Tuttavia, la differenza tra le regioni che ottengono i risultati migliori (Friuli Venezia Giulia e Veneto) e quelle che ottengono i risultati peggiori (Calabria) è di 86 punti, superiore a un livello di competenze nella scala PISA. Inoltre, gli studenti italiani hanno Pag. 93meno esperienza in materia di prodotti e servizi finanziari rispetto agli studenti degli altri Paesi dell'OCSE che hanno partecipato alla valutazione: il 44 per cento degli studenti italiani è titolare di un conto corrente o di una carta prepagata rispetto a una media del 54 per cento dell'area OCSE.
  Anche la Banca mondiale nel 2010 ha lanciato un programma globale per la protezione e l'alfabetizzazione del consumatore in materia finanziaria, il Global program for consumer protection and financial literacy. Il programma promuove la diffusione di informazioni semplici e immediatamente comprensibili, in modo da aiutare i Paesi a raggiungere concreti e visibili miglioramenti nella tutela dei consumatori e nell'uso dei servizi finanziari. Nel giugno 2012 la Banca mondiale ha redatto il documento Good practices for financial consumer protection, per contribuire al dialogo internazionale sulla tutela dei consumatori.
  La politica dell'Unione europea nell'area dell'educazione finanziaria è stata chiarita nella Communication on financial education del 2007 che riconosce il ruolo dell'educazione finanziaria nella politica del mercato interno e i suoi benefici. Successivamente la Commissione (nel 2011) ha rivisto le sue iniziative di intervento in materia di educazione finanziaria, realizzando la Review of the initiatives of the european Commission in the area of financial education. Nel 2008 la Commissione ha costituito il cd. Expert group on financial education (EGFE), con l'obiettivo di creare uno scambio di informazioni in relazione alle tematiche trattate nella comunicazione della Commissione europea del 2007.
  L'EGFE ha reso possibile il trasferimento di informazioni e di best practices tra i membri e ha messo in comune le competenze di alfabetizzazione finanziaria sviluppate nei diversi contesti.
  In Italia, l'articolo 33 della legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), nell'individuare i principi e i criteri direttivi per recepire nell'ordinamento la direttiva 2008/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai contratti di credito ai consumatori, chiariva il ruolo dell'educazione finanziaria quale strumento di tutela del consumatore e prevedeva la promozione – nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente – di iniziative di informazione ed educazione volte a diffondere la cultura finanziaria fra il pubblico, al fine di favorire relazioni responsabili e corrette tra intermediari e clienti.
  Iniziative in tema di educazione finanziaria sono state inoltre adottate dalla Banca d'Italia e dalla Consob, che dedicano all'argomento una apposita sezione del proprio sito internet, nonché da alcuni enti privati, in particolare i rappresentanti di categoria, quali ANIA e ABI.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni concernenti la certificazione ecologica dei prodotti cosmetici.
Testo unificato C. 106 Realacci e C. 2812 Abrignani.
(Parere alle Commissioni VIII e X).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Maria IACONO (PD), relatrice, rileva che la proposta di legge in esame, recante disposizioni per la certificazione ecologica dei prodotti cosmetici, è stata modificata in sede referente a seguito dell'adozione di un testo unificato (in conseguenza dell'abbinamento con la proposta di legge n. 2812), che successivamente è stato modificato in fase emendativa dalle Commissioni di merito.
  Il testo sottoposto all'esame della Commissione Politiche dell'Unione europea in sede consultiva – come modificato dalle Commissioni – si compone di nove articoli ed è finalizzato a disciplinare l'assegnazione del marchio italiano di qualità ecologica ai prodotti cosmetici.
  L'articolo 1 individua l'ambito di applicazione della proposta di legge nei prodotti Pag. 94cosmetici, rinviando al riguardo all'articolo 1 della legge 11 ottobre 1986, n. 713 e al Regolamento (CE) 30 novembre 2009, n. 1223.
  Ricorda che la legge n. 713/1986, che aveva recepito la direttiva 76/768/CEE, ha definito come prodotti cosmetici le sostanze e le preparazioni, diverse dai medicinali, destinate ad essere applicate sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo, esclusivo o prevalente, di pulirli, profumarli, modificarne l'aspetto, correggere gli odori corporei, proteggerli o mantenerli in buono stato. Successivamente, la direttiva 76/768/CEE, è stata abrogata a decorrere dall'11 luglio 2013, dall'articolo 38 del Regolamento (CE) 30 novembre 2009, n. 1223, che attualmente costituisce il riferimento normativo principale in materia di cosmetici.
  L'articolo 2 dispone, al comma 1, che il marchio italiano di qualità ecologica viene rilasciato su base volontaria, su richiesta del produttore, per quei prodotti cosmetici – individuati ai sensi dell'articolo 1 – che soddisfano i parametri ecologici di cui all'articolo 3 e che presentano un carico ambientale inferiore alla media dei prodotti in commercio. Per la disciplina del marchio di qualità ecologica il comma 1 dell'articolo 2 rinvia al Codice della proprietà industriale ed in particolare alla disciplina del marchio collettivo (articolo 11 del Codice della proprietà industriale e articolo 2570 c.c.), su base volontaria, di proprietà pubblica, registrato. La registrazione del marchio viene richiesta dal Comitato per il marchio comunitario di qualità ecologica dei prodotti (Comitato per l'Ecolabel e per l'Ecoaudit istituito presso il Ministero dell'ambiente), di cui al decreto ministeriale n. 413/1995. Il Comitato, ai sensi del comma 2, è l'organismo competente all'assegnazione del marchio in esame e provvede all'esercizio di tali funzioni con le risorse umane e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
  Ricorda che l'articolo 11 (sistemi per l'assegnazione di marchi di qualità ecologica negli Stati membri) del Regolamento cd. Ecolabel CE n. 66/2010 dispone che, «laddove siano stati pubblicati i criteri per il marchio Ecolabel UE per un dato gruppo di prodotti, altri sistemi per l'assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 di tipo I, ufficialmente riconosciuti a livello nazionale o regionale, che non coprono tale gruppo di prodotti al momento della pubblicazione, possono essere estesi al gruppo di prodotti in oggetto soltanto qualora i criteri stabiliti da tali sistemi siano almeno tanto rigorosi quanto quelli del marchio Ecolabel UE». Inoltre, «al fine di armonizzare i criteri dei sistemi europei per l'assegnazione di marchi di qualità ecologica (EN ISO 14024 di tipo I), i criteri del marchio Ecolabel UE tengono conto anche dei criteri esistenti, elaborati negli Stati membri nell'ambito di sistemi di assegnazione di marchi di qualità ecologica ufficialmente riconosciuti».
  L'articolo 3 definisce i parametri ecologici e i connessi criteri di valutazione e calcolo applicabili ai prodotti cosmetici ai fini dell'attribuzione del marchio di qualità ecologica. Il comma 1 demanda ad un apposito regolamento del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della salute, sentiti l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e l'Istituto superiore di sanità (ISS) – l'adozione, per ogni tipologia di prodotto cosmetico, dei limiti, dei metodi di prova, dei criteri di valutazione e dello strumento di calcolo applicati all'intero ciclo di vita del prodotto, in linea con le previsioni contenute nel regolamento (CE) 1223/2009, nonché dei criteri previsti dalla decisione 2014/893/UE laddove compatibili.
  Ricorda che per effetto della decisione n. 2014/893 della Commissione europea del 9 dicembre 2014, attuativa del regolamento (CE) n. 66/2010, sono operativi i nuovi criteri ecologici del marchio Ecolabel per i «prodotti cosmetici da sciacquare» (shampoo, balsami, saponi, schiume da barba). La decisione (che sostituisce la precedente decisione n. 2007/506/CE) riguarda sia i prodotti di igiene personale o dei capelli come saponi da toeletta, preparati da doccia, shampoo, sia Pag. 95i balsami per i capelli sia i prodotti per la rasatura. I criteri riguardano sia i prodotti per uso privato sia quelli per uso professionale.
  I commi 2 e 3 dell'articolo 3 elencano i criteri che dovranno informare l'emanazione del citato regolamento riguardo, rispettivamente, ai limiti relativi alla tossicità, alla nocività e alla biodegradabilità, nonché alla qualità degli imballaggi, comprendenti gli involucri e i contenitori del prodotto, in merito alla incidenza ecologica dell'imballaggio medesimo.
  Il comma 4, infine, prevede una validità di 4 anni, a decorrere dalla adozione del suddetto regolamento, dei parametri ecologici e dei connessi criteri di valutazione e di calcolo, conseguentemente, aggiornati ogni quattro anni dal Ministero dell'Ambiente.
  L'articolo 4, comma 1, dispone che il produttore, al momento della richiesta del marchio di qualità ecologica, deve dichiarare:
   la composizione del prodotto, con la denominazione, gli elementi identificativi, la quantità e la concentrazione di ciascun componente, compresi gli additivi;
   la funzione di ciascun componente nel preparato;
   e la scheda informativa o di sicurezza relativa al prodotto medesimo. Per ciascun componente che non deve essere testato sugli animali, il produttore fornisce la documentazione necessaria ai fini della certificazione, la quale può provenire anche dai fornitori del produttore.

  Ai sensi del comma 2, la richiesta è trasmessa al Comitato, che verifica la conformità della domanda e dei prodotti rispetto ai criteri indicati nei regolamento di cui all'articolo 3. Se necessario, il Comitato richiede, entro 120 giorni, integrazioni della documentazione presentata e verifiche da parte di laboratori indipendenti dal produttore. Alla richiesta di concessione del marchio deve essere allegato un esemplare dell'imballaggio primario del prodotto. In caso di esito positivo, il Comitato approva il prodotto attribuendo il marchio italiano di certificazione ecologica.
  Ai sensi del comma 3, i dati relativi ai parametri ecologici (di cui all'articolo 3) sono oggetto di controllo periodico da parte del produttore e costituiscono il «dossier ecologico e di dermocompatibilità» del prodotto cosmetico.
  L'articolo 5 prevede il supporto tecnico, logistico e funzionale a favore del Comitato di certificazione da parte dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che vi provvede – per le funzioni rientranti tra le proprie finalità istituzionali – con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Il comma 2 elenca le materie relative alla attività di supporto tecnico svolta dall'ISPRA secondo le direttive del citato Comitato.
  L'articolo 6 stabilisce che gli obiettivi dei controlli indicati dalla legge sono volti in particolare a promuovere: la riduzione dell'inquinamento idrico, la riduzione al minimo della produzione di rifiuti, la riduzione o la prevenzione dei potenziali rischi per l'ambiente connessi all'uso di sostanze pericolose, la prevenzione dei potenziali rischi per la salute connessi all'uso di sostanze pericolose, nonché la coerenza dell'etichettatura rispetto ai contenuti del prodotto.
  L'articolo 7 prevede a carico dei soggetti richiedenti l'assegnazione del marchio italiano di certificazione ecologica dei prodotti cosmetici il pagamento del diritto di assegnazione, a copertura delle spese di istruttoria delle domande stesse, nonché, in caso di ottenimento del marchio, del diritto annuale di utilizzazione, a decorrere dalla data di assegnazione (comma 1) e il pagamento delle spese per le verifiche di controllo, le prove di laboratori accreditati sul rispetto dei criteri per la concessione del marchio, nonché le spese per la registrazione del contratto (comma 2).
  Il comma 3, infine, stabilisce che la quantificazione degli importi relativi ai diritti di cui al comma 1 e alle spese di cui al comma 2 (a carico dei soggetti richiedenti l'assegnazione del marchio italiano Pag. 96di certificazione ecologica dei prodotti cosmetici), è demandata ad un decreto del Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. I relativi proventi sono versati in conto entrata e riassegnati, nella misura del 50 per cento, su un apposito capitolo dello stato di previsione dei Ministero dell'ambiente per il funzionamento del Comitato, da destinare prioritariamente alle campagne di promozione, formazione, studio e ricerca, ivi comprese quelle svolte dall'ISPRA ai sensi delle lettere d) ed e) del comma 2 dell'articolo 5, nonché alle attività di controllo.
  L'adozione impropria o abusiva del marchio di certificazione (cioè del marchio italiano di qualità ecologica dei prodotti cosmetici) comporta sanzioni, previste dall'articolo 8 attraverso un rinvio al codice penale (libro secondo, titolo VII, capo II) e al Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005). Tale infrazione deve essere pubblicata in almeno uno dei giornali a diffusione nazionali oltre che sul sito internet del Comitato per il marchio comunitario di qualità ecologica dei prodotti, istituito presso il Ministero dell'ambiente.
  Infine, l'articolo 9 stabilisce che il Ministero dell'ambiente provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, alla revisione del decreto del Ministero dell'ambiente del 2 agosto 1995, n. 413, recante norme per l'istituzione ed il funzionamento del Comitato per l'Ecolabel e l'Ecoaudit, anche al fine di adeguarne le norme sul funzionamento del Comitato alle disposizioni ora previste.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica.
Nuovo testo C. 2305 Decaro e abb.
(Parere alla IX Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Vanessa CAMANI (PD), relatrice, evidenzia come il provvedimento in discussione – che la XIV Commissione esamina ai fini del parere da rendere alla IX Commissione Trasporti – rechi Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica, nel testo risultante dagli emendamenti approvati nel corso dell'esame in sede referente.
  L'articolo 1 detta le finalità dell'intervento legislativo, che intende promuovere l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto sia per le esigenze quotidiane sia per le attività turistiche e ricreative, al fine di migliorare l'efficienza, la sicurezza e la sostenibilità della mobilità urbana, tutelare il patrimonio naturale e ambientale, ridurre gli effetti negativi della mobilità in relazione alla salute e al consumo di suolo, valorizzare il territorio e i beni culturali, implementare e sviluppare l'attività turistica.
  Lo Stato, le regioni, gli enti locali e gli altri soggetti pubblici interessati, nell'ambito delle rispettive competenze e in conformità con la disciplina generale dei trasporti e del governo del territorio, perseguono questo obiettivo, in modo da pervenire a un sistema generale e integrato della mobilità, sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, accessibile a tutti i cittadini.
  L'articolo 2 reca le definizioni di termini utilizzati dalla legge, con particolare riferimento alle ciclovie, e si prevede che il Governo modifichi il regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada (decreto del Presidente della Repubblica 495/1992), in modo da individuare specifiche caratteristiche tecniche in termini di percorribilità, sicurezza e riconoscibilità delle ciclovie di interesse nazionale.
  L'articolo 3 stabilisce che si approvi il Piano generale della mobilità ciclistica, il quale costituisce parte integrante del Piano generale dei trasporti e della logistica. Il Piano fa riferimento ad un periodo di tre anni e riguarda, da un lato, lo sviluppo della mobilità ciclistica in ambito Pag. 97urbano e metropolitano e, dall'altro, lo sviluppo della mobilità ciclistica su percorrenze definite a livello regionale, nazionale ed europeo.
  L'articolo 4 dispone che la Rete ciclabile nazionale, di cui all'articolo 3, è denominata «Bicitalia» e costituisce la rete infrastrutturale di livello nazionale integrata nel sistema della rete ciclabile transeuropea «EuroVelo». La norma dispone inoltre che le infrastrutture inserite nella Rete ciclabile nazionale Bicitalia costituiscono infrastrutture di interesse strategico nazionale.
  Bicitalia è costituita dalle ciclovie di interesse nazionale, dedicate ai ciclisti e più in generale agli utenti non motorizzati e presenta specifiche caratteristiche. Nel Piano generale della mobilità ciclistica sono stabilite le modalità di realizzazione e di gestione della Rete ciclabile nazionale Bicitalia e i relativi oneri riferibili agli aspetti di rilevanza sovraregionale e di competenza statale, cui si provvede a valere sulle risorse di cui agli articoli 11 e 12.
  Si stabilisce altresì che le regioni provvedono, sentiti gli enti locali interessati, a predisporre i progetti necessari alla realizzazione della Rete ciclabile nazionale Bicitalia entro dodici mesi dall'approvazione del Piano generale della mobilità ciclistica.
  L'articolo 5, prevede l'istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della Direzione generale per la mobilità ciclistica, cui compete predisporre lo schema del Piano generale della mobilità ciclistica e dei relativi aggiornamenti. L'istituzione della nuova Direzione generale non deve determinare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, in quanto si procederà avvalendosi delle risorse umane, finanziarie e strumentali vigenti.
  L'articolo 6 prevede che le regioni predispongano e approvino annualmente, in coerenza con il Piano regionale dei trasporti e della logistica, il Piano regionale della mobilità ciclistica, il quale individua gli interventi da adottare per promuovere l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto sia per le esigenze quotidiane sia per le attività turistiche e ricreative nel territorio regionale e per conseguire le altre finalità del provvedimento in esame. A questo fine le regioni possono istituire un apposito ufficio per la mobilità ciclistica che non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  L'articolo 7 stabilisce che i comuni e le città metropolitane predispongono e definiscono i Piani comunali della mobilità ciclistica o Biciplan, quali piani di settore dei Piani urbani della mobilità sostenibile (PUMS), finalizzati a definire gli obiettivi, le strategie e le azioni necessarie a promuovere e intensificare l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto sia per le esigenze quotidiane sia per le attività turistiche e ricreative e a migliorare la sicurezza dei ciclisti e dei pedoni, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
  L'articolo 8 reca disposizioni particolari per province e le città metropolitane, prevedendo, al comma 1, che i predetti enti, attraverso i rispettivi Uffici Mobilità ciclistica, si attivino per garantire un'idonea attuazione delle finalità del provvedimento.
  L'articolo 9 reca disposizioni particolari per i comuni, stabilendo che dovranno prevedere, in prossimità di stazioni ferroviarie, autostazioni, stazioni metropolitane, stazioni di mezzi di trasporto marittimi, fluviali e lacustri, la realizzazione di velostazioni, ovvero di adeguati centri per il deposito custodito di biciclette, l'assistenza tecnica e l'eventuale annesso servizio di noleggio. Inoltre, i comuni prevedono nei regolamenti edilizi misure finalizzate alla realizzazione di spazi comuni e attrezzati per il deposito di biciclette negli edifici adibiti a residenza e attività terziarie o produttive e nelle strutture pubbliche.
  L'articolo 10 interviene in materia di ciclovie di complemento, inserendo, nell'articolo 13 del codice della strada (il quale reca le norme per la costruzione e la gestione delle strade), un nuovo comma 4-ter, in base al quale le piste ciclabili di Pag. 98cui al comma 4-bis del medesimo articolo 13 del codice devono essere connesse alle ciclovie della Rete ciclabile nazionale Bicitalia, qualora siano da essa intersecate o in prossimità; in alternativa devono sempre essere connesse o ad una rete ciclabile locale o alla viabilità intersecata.
  L'articolo 10-bis integra l'articolo 1 del codice della strada, inserendo tra i principi a cui si ispirano le norme del codice stesso e i relativi provvedimenti attuativi, il principio della mobilità sostenibile e, tra gli obiettivi delle predette norme, anche quello della promozione dell'uso dei velocipedi.
  L'articolo 11 reca le risorse finanziarie per l'attuazione degli interventi previsti dalla legge, prevedendo che, a decorrere dall'esercizio finanziario 2016, sia destinato a tal fine il 2 per cento degli stanziamenti del Fondo da ripartire per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, istituito dall'articolo 202, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 50 del 2016. Il comma 2 specifica che possono essere destinate all'attuazione della legge anche risorse relative al finanziamento e cofinanziamento dei Programmi operativi finanziati dai Fondi strutturali dell'Unione europea, qualora prevedano misure rientranti nell'ambito di applicazione della legge stessa, nonché le risorse individuate dalle regioni e dagli enti locali a valere sui propri bilanci.
  L'articolo 11-bis prevede inoltre che siano resi disponibili nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, destinati alla ricostituzione e rifinanziamento del Fondo per la mobilità sostenibile istituito dall'articolo 1, comma 1121, della legge n. 296 del 2006. A questi oneri si fa fronte utilizzando le risorse del Fondo speciale in conto capitale dello Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare.
  L'articolo 12 prevede che anche i proventi di sponsorizzazioni private, nonché i lasciti e le donazioni liberali finalizzati al finanziamento della mobilità ciclistica possano concorrere all'attuazione dei programmi e degli interventi previsti dal provvedimento.
  L'articolo 13 stabilisce che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti presenti al Parlamento una relazione annuale sullo stato di attuazione della legge e della legge n. 366 del 1998 (recante norme per il finanziamento della mobilità ciclistica), da pubblicare sul proprio sito web, indicando in particolare: l'entità delle risorse finanziarie stanziate e spese; il numero e la qualità degli interventi finanziati e realizzati; lo stato di attuazione della Rete ciclabile nazionale Bicitalia e il cronoprogramma degli interventi previsti dalla programmazione nazionale; i risultati in termini di incremento della mobilità ciclistica nei centri urbani, nonché di rafforzamento della sicurezza della mobilità ciclistica; lo stato di attuazione dell'integrazione modale tra la bicicletta e gli altri mezzi di trasporto locale e regionale; la partecipazione a progetti e a programmi comunitari; un'analisi comparata con le iniziative assunte negli altri Paesi membri dell'Unione europea.
  In ambito europeo, sebbene la responsabilità delle politiche urbane – ivi compresa la promozione dell'uso della bicicletta – incomba principalmente alle autorità locali, conformemente al principio di sussidiarietà, l'UE si è impegnata attivamente sul tema sin dal 2001, con l'adozione del Libro bianco sulla politica dei trasporti, volto a promuovere una nuova cultura della mobilità urbana, nel cui ambito il trasporto urbano sostenibile e accessibile costituisce un elemento chiave.
  La Commissione europea ha quindi presentato nel 2007 il Libro verde «Verso una nuova cultura della mobilità urbana» (COM(2007)0551 def.) e, successivamente, il «Piano d'azione sulla mobilità urbana» (COM(2009) 490 def.), entrambi volti ad affrontare le diverse dimensioni della mobilità urbana, sottolineando la necessità di attuare un approccio quanto più possibile integrato e in grado di razionalizzare l'uso di tutti i modi trasporto.Pag. 99
  In particolare, il Libro verde invita a promuovere gli spostamenti a piedi e in bicicletta, per una piena integrazione di queste modalità di trasporto nelle politiche di mobilità urbana, sia in sede di elaborazione che di monitoraggio. Inoltre, nel Piano d'azione sulla mobilità urbana si sottolinea come l'integrazione, l'interoperabilità e l'interconnessione tra le varie reti di trasporto, se efficienti, rappresentino un elemento chiave per il sistema dei trasporti.
  Più di recente, nella Comunicazione della Commissione europea del 2013 «Insieme verso una mobilità urbana competitiva ed efficace sul piano delle risorse» (COM(2013)913 final), si insiste sulla opportunità che gli Stati membri si dotino, nel quadro delle iniziative per la mobilità urbana sostenibile, di un piano per rendere più attraenti e sicuri gli spostamenti a piedi e in bicicletta. In proposito, dovrebbe essere presa in considerazione la creazione di nuove infrastrutture dedicate per ciclisti e pedoni, al fine di separare questi ultimi dal traffico motorizzato pesante e, ove opportuno, di ridurre le percorrenze.
  Richiama infine una recente proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla mobilità urbana sostenibile (2014/2242(INI), nella quale si ricorda che, secondo i dati Special Eurobarometer del 2013, circa il 50 per cento dei cittadini europei utilizza quotidianamente l'auto privata, il 16 per cento utilizza il trasporto pubblico e il 12 per cento la bicicletta, e che – considerando che circa il 50 per cento degli spostamenti nelle aree urbane avviene su distanze inferiori ai 5 chilometri – in molte città tali spostamenti potrebbero essere effettuati a piedi, in bicicletta o mediante trasporti pubblici/collettivi. Si rileva inoltre che il 38 per cento di tutti gli incidenti mortali avviene nelle aree urbane e il 55 per cento su strade extraurbane, che le vittime sono nella maggior parte dei casi ciclisti e altri utenti della strada vulnerabili.
  La proposta di risoluzione incoraggia le autorità degli Stati membri e le città europee ad elaborare piani di mobilità urbana sostenibile che diano priorità a modi di trasporto a basse emissioni, e ad impegnarsi maggiormente nello sviluppo di centri intermodali funzionali, che forniscano servizi di trasporto diversificati e permettano una combinazione agevole di soluzioni di trasporto, tra cui trasporto collettivo, trasporto condiviso, biciclette e servizi di noleggio.
  Il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri a rivedere le loro strategie al fine di migliorare il trasporto non motorizzato ed a promuovere l'uso delle biciclette, anche mediante la definizione di ambiziosi obiettivi in materia di tassi di utilizzo delle biciclette entro il 2030, e a migliorare le condizioni per gli spostamenti a piedi o in bicicletta. Si incoraggiano inoltre la Commissione e gli Stati membri a incrementare la sensibilizzazione nei confronti della bicicletta e dei modi di trasporto alternativi, invitando le città a organizzare sistemi di condivisione delle biciclette in collegamento con i mezzi pubblici.
  Con finalità di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, è necessario dare la priorità, nei piani per la mobilità elettrica, ai modi di trasporto puliti (tram, funivie, biciclette e car sharing) e accordare particolare importanza all'intermodalità, coniugando spostamenti a piedi, in bicicletta e sui mezzi pubblici.
  Si propone a tal fine di raddoppiare l'uso delle biciclette nelle aree urbane entro il 2025 e di indire una giornata europea della bicicletta, allo scopo di sensibilizzare il grande pubblico al tema.
  Prendendo le mosse dagli sviluppi delle attuali politiche, la Commissione europea ha anche avviato una serie di iniziative orientative, tra le quali CIVITAS (iniziativa CIty-VITAlity- Sustainability), volta ad aiutare le città europee ad applicare più adeguatamente strategie integrate a favore di trasporti urbani sostenibili. Altre azioni (quali EPOMM, ELTIS) hanno assunto la connotazione di piattaforme per lo scambio di migliori pratiche, banche dati e servizi di orientamento.Pag. 100
  Importanti progetti cofinanziati, tra cui BYPAD e SPICYCLE, hanno inoltre aiutato molte città ad attuare meccanismi di bike sharing, fornendo infrastrutture apposite e promuovendo campagne d'informazione sulla sicurezza.
  Rileva in conclusione come il provvedimento appaia coerente con le indicazioni emerse a livello europeo.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.30.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 13 settembre 2016. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.30.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/89/UE che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo.
Atto n. 318.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno, rinviato nella seduta del 26 luglio 2016.

  Maria IACONO (PD), relatrice, formula una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dalla relatrice.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/36/UE sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali.
Atto n. 320.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Tea ALBINI (PD), relatrice, sottolinea come lo schema di decreto legislativo in esame contenga disposizioni per il recepimento della direttiva 2014/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali. Esso interviene nella disciplina del lavoro stagionale dei cittadini di Paesi terzi al fine di semplificare le procedure di ingresso e soggiorno, nel rispetto dei diritti dei lavoratori migranti.
  Ricorda quindi che il provvedimento è stato presentato il 29 luglio 2016 in attuazione della delega conferita con legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114) ed in particolare dall'articolo 1 e relativo Allegato B.
  Il termine di recepimento è fissato dalla direttiva al 30 settembre 2016, mentre il termine per l'espressione del parere parlamentare è scaduto il 7 settembre 2016.
  Richiama sinteticamente i principali contenuti della direttiva, 2014/36/UE che disciplina le condizioni di ingresso e di soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di Paesi terzi e definisce i diritti dei lavoratori stagionali.
  La direttiva dispone che, per soggiorni non superiori a 90 giorni, le condizioni di ammissione dei lavoratori stagionali nel territorio degli Stati membri che applichino integralmente l’acquis di Schengen sono disciplinate da regolamenti (CE) (n. 810/2009; n. 562/2006 e n. 539/2001). Pertanto, la direttiva disciplina unicamente i criteri ed i requisiti per l'accesso all'occupazione, prescrivendo che la domanda di ammissione sia accompagnata da: un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro che specifichi, fra l'altro, il luogo e il tipo di lavoro, la durata dell'impiego, la retribuzione e le ore di lavoro settimanali o mensili; la prova di aver fatto richiesta di un'assistenza sanitaria; la prova che il lavoratore stagionale disporrà di un alloggio adeguato e che disponga di risorse sufficienti per Pag. 101mantenersi durante il soggiorno senza ricorrere ai sistemi di assistenza nazionale.
  Per quanto riguarda i lavoratori stagionali ammessi per soggiorni superiori a 90 giorni, la direttiva definisce sia le condizioni di ammissione e di soggiorno nel territorio, sia i criteri e i requisiti per l'accesso all'occupazione negli Stati membri. Con riguardo alla documentazione fornita, le disposizioni relative alle domande di ammissione coincidono con quelle richieste per soggiorni inferiori a 90 giorni, con la previsione ulteriore che lo Stato ospitante deve verificare che il cittadino non presenti un rischio di immigrazione illegale (ossia che rimanga oltre la scadenza dell'autorizzazione). Inoltre, lo Stato membro non può ammettere cittadini considerati pericolosi per l'ordine pubblico, la sicurezza o la salute pubblica e deve esigere che questi siano in possesso di un documento di viaggio valido almeno per il periodo di validità dell'autorizzazione per l'esercizio di lavoro stagionale.
  La direttiva non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (il sistema delle quote). Specifica, inoltre, i motivi per i quali gli Stati membri avranno la facoltà di rigettare le domande di ammissione.
  Gli Stati membri rilasciano una autorizzazione per motivi di lavoro stagionale (nella forma del permesso di soggiorno o visto) per breve periodo o per lunga durata. Motivazioni analoghe al rigetto della domanda presiedono alla revoca dell'autorizzazione.
  Il periodo massimo di soggiorno per i lavoratori stagionali non dovrà essere inferiore a cinque mesi e non superiore a nove mesi in un dato periodo di dodici mesi. Al termine, il cittadino del Paese terzo dovrà lasciare il territorio, a meno che lo Stato membro interessato non abbia rilasciato un permesso di soggiorno per motivi diversi dal lavoro stagionale.
  La direttiva dispone inoltre in merito alla possibilità di concedere una proroga, sostituendo il visto per soggiorno di breve durata con un visto per soggiorno di lunga durata o con un permesso di lavoro stagionale, nel caso in cui il lavoratore stagionale proroghi il suo contratto con lo stesso datore di lavoro o intenda farsi assumere da un altro datore di lavoro. Gli Stati membri agevoleranno il reingresso dei cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato membro interessato, in qualità di lavoratori stagionali.
  Viene poi disciplinata la procedura per l'esame della domanda di autorizzazione per motivi di lavoro stagionale.
  La direttiva prevede, inoltre, che i lavoratori stagionali beneficino di un alloggio che garantisca loro un tenore di vita adeguato, nonché del diritto alla parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, ferma restando la possibilità di limitazioni per alcuni ambiti, espressamente previsti dalla direttiva.
  A tal fine gli Stati membri devono porre in essere meccanismi appropriati per il controllo dei datori di lavoro e, se del caso, effettuare ispezioni efficaci e adeguate nel loro territorio. I datori di lavoro che non rispettano le prescrizioni della direttiva possono essere oggetto di sanzioni.
  Gli Stati membri provvedono altresì a corrispondere un indennizzo al lavoratore stagionale nel caso di revoca dell'autorizzazione.
  Lo schema di decreto legislativo n. 320 adottato dal Governo è costituito da 3 articoli.
  L'articolo 1 apporta modifiche testuali al decreto legislativo 286/1998 (Testo Unico dell'immigrazione). In particolare, sono stati riformulati gli articoli 5 e 24 e sono portati a norma di rango primario e (contestualmente abrogate) alcune disposizioni di natura regolamentare, articoli 11, 38 e 38-bis del regolamento di attuazione del testo unico (decreto del Presidente della Repubblica 394/1999). L'articolo 2 reca la clausola di invarianza finanziaria. L'articolo 3 prevede alcune disposizioni abrogative.
  Nel dettaglio, l'articolo 1, comma 1, lettera a) reca disposizioni relative al reingresso dei lavoratori stagionali che hanno già lavorato in Italia, in attuazione dell'articolo Pag. 10216 della direttiva. In particolare, si pone come condizione per il rilascio del permesso pluriennale il soggiorno di almeno una volta nei 5 anni precedenti, in luogo dei 2 anni consecutivi.
  Il comma 1, lettera b) riscrive completamente l'articolo 24 del TU dedicato al lavoro stagionale.
  Per effetto delle modifiche:
   il comma 1 indica l'elenco dei settori occupazionali che includono attività soggette al ritmo delle stagioni, ossia i settori agricolo e turistico/alberghiero. Viene eliminata la verifica preventiva dei centri per l'impiego della eventuale disponibilità di lavoratori italiani o comunitari a ricoprire il lavoro stagionale offerto. Permane l'obbligo di verifica, presso il centro per l'impiego competente, della indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale. Inoltre, si prevede che ai lavoratori stagionali si applichi la disciplina generale in materia di lavoro subordinato recata dal TU, ad eccezione di alcuni punti;
   il comma 2 dispone che, una volta presentata l'istanza, lo sportello unico per l'immigrazione rilascia il nulla osta al lavoro stagionale, in luogo della autorizzazione;
   il comma 3 introduce una disciplina dettagliata degli obblighi del datore di lavoro riguardo all'alloggio dei lavoratori stagionali;
   il comma 4 riproduce le norme regolamentari che si applicano al procedimento di esame dell'istanza per il rilascio del nulla osta per gli altri lavoratori;
   il comma 5 riguarda le richieste di nulla osta al lavoro stagionale di più datori di lavoro per lo stesso lavoratore; si conferma la previsione di un unico nulla osta cumulativo, nonché l'esonero dall'obbligo di rientro nello Stato di provenienza per il rilascio di ulteriore visto da parte dell'autorità consolare, ora previsto da una norma speciale (decreto-legge n. 5 del 2012) che viene abrogata;
   il comma 6 riguarda l'ipotesi di silenzio-assenso in caso di mancanza di risposta entro i 20 giorni da parte dello sportello unico: la richiesta si intende accolta, in assenza di specifico diniego qualora il lavoratore sia stato autorizzato e regolarmente assunto dallo stesso datore di lavoro almeno una volta nei 5 anni precedenti;
   il comma 7 elimina la previsione di durata minima del nulla osta per lavoro stagionale (attualmente 20 giorni) e mantiene quella massima (9 mesi);
   il comma 8 dispone che, in caso di nuova opportunità di lavoro stagionale, il nulla osta è automaticamente prorogato e il permesso di soggiorno può essere rinnovato.
   il comma 9 riguarda il diritto di precedenza del lavoratore stagionale che ha già lavorato in Italia per il reimpiego, sempre per motivi di lavoro stagionale, presso lo stesso o altro datore di lavoro: il diritto di precedenza si attiva a condizione che il lavoratore abbia svolto lavoro stagionale in uno dei 5 anni precedenti;
   il comma 10 rende più agevole la conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in quello non stagionale, consentendo al lavoratore di chiedere la conversione dopo un periodo di lavoro di almeno 3 mesi;
   il comma 11 disciplina la procedura di rilascio del nullaosta pluriennale per lavoro stagionale;
   il comma 12 prevede ulteriori cause di rifiuto e revoca del nulla osta per lavoro stagionale imputabili al datore di lavoro, che costituiscono motivo di rifiuto o revoca del permesso di soggiorno ai sensi del nuovo comma 13;
   il comma 14 dispone che qualora il rifiuto o la revoca del nulla osta o del permesso di soggiorno sia avvenuto per cause attribuibili al datore di lavoro, questi è tenuto a versare al lavoratore una Pag. 103indennità calcolata in base alle retribuzioni dovute ai sensi del contratto collettivo nazionale e non corrisposte;
   il comma 15 prevede che in caso di occupazione alle proprie dipendenze per lavoro stagionale di lavoratori privi del permesso di soggiorno in corso di validità al datore di lavoro si applicano le sanzioni previste dall'articolo 22 del TU;
   il comma 16 reca l'indicazione dei soggetti esclusi dall'ambito di applicazione del decreto che sono: gli stranieri che al momento della domanda risiedono nel territorio di uno Stato membro; i lavoratori impiegati da imprese stabilite in uno Stato membro nell'ambito della prestazione di servizi, compresi i cittadini di Paesi terzi distaccati da un'impresa stabilita in uno Stato membro; i familiari di cittadini dell'Unione che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione nell'Unione; i cittadini che godono del diritto di libera circolazione in virtù di accordi stipulati dall'unione.

  Infine, il comma 17 prescrive che il permesso di soggiorno rechi un riferimento che ne indichi il rilascio per motivi di lavoro stagionale.
  Sottolinea, in conclusione, che lo schema di decreto in esame, finalizzato all'adeguamento delle disposizioni nazionali alla normativa europea, si scontra con alcune criticità, anche emerse in sede di confronto con le organizzazioni datoriali e sindacali, svoltosi presso il Ministero del lavoro.
  Si deve infatti ricordare il notevole scarto esistente tra le quote di ingresso previste e i permessi di soggiorno per lavoro stagionale effettivamente rilasciati, nonché i tempi assai lunghi delle procedure per l'ottenimento dei permessi medesimi. Inoltre, con specifico riferimento al settore agricolo, non si può sottovalutare l'incidenza del diffuso e deprecabile fenomeno del caporalato.
  Si tratta di dati oggettivi che si pongono in contrasto con le indicazioni della direttiva; né appaiono adeguati gli strumenti e le modalità per il monitoraggio e la verifica dell'intervento regolatorio effettuato, che la direttiva invita gli Stati membri ad approntare.
  Si tratta di questioni non ancora risolte, che ritiene dovrebbero essere oggetto di rilievo nel parere che la Commissione dovrà esprimere.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea.
Atto n. 323
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Francesca BONOMO (PD), relatrice, Lo schema di decreto legislativo in esame, presentato alla Camera lo scorso 2 agosto 2016, è stato adottato in attuazione della delega contenuta all'articolo 1, allegato B, della legge di delegazione europea 2013 secondo semestre (legge n. 154 del 2014).
  Il termine per esprimere il parere parlamentare è scaduto il 12 settembre 2016.
  Ricorda invece che il termine di recepimento della direttiva 2014/42/UE è il 4 ottobre 2016.
  Prima di illustrare il contenuto dell'atto del Governo, ricorda sinteticamente che la direttiva 2014/42/UE è stata adottata in accoglimento delle sollecitazioni avanzate nel Programma di Stoccolma e nelle conclusioni del Consiglio GAI in materia di confisca e recupero dei beni del giugno 2010, circa l'importanza di una più efficace identificazione, confisca e riutilizzazione dei beni di origine criminosa, nonché delle indicazioni contenute nella Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011.Pag. 104
  La direttiva, ai sensi degli articoli 82 e 83 del Trattato (TFUE), stabilisce norme minime per agevolare il principio del riconoscimento reciproco e la cooperazione penale o in relazione a sfere di reati particolarmente gravi, dalla portata transnazionale. La necessità del provvedimento è giustificata con riferimento alla crescente espansione della criminalità organizzata transnazionale. Proprio in questo quadro il congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato costituiscono un efficace strumento di contrasto. La direttiva si propone di modificare e di ampliare le disposizioni dell'azione comune 98/699/GAI e delle decisioni quadro 2001/500/GAI e 2003/577/GAI (articolo 14), le cui misure si sono rivelate non del tutto efficaci.
  Nel merito, la direttiva introduce norme minime relative al congelamento di beni – in vista di un'eventuale conseguente confisca – e alla confisca di beni in materia penale.
  Rientrano nel campo di applicazione della direttiva i seguenti reati: corruzione di funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea nonché corruzione nel settore privato; falsificazione dell'euro nonché frodi e falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti; riciclaggio di denaro; terrorismo; traffico illecito di stupefacenti; criminalità organizzata; tratta di esseri umani; abuso e sfruttamento sessuale dei minori e pornografia minorile; attacchi contro i sistemi di informazione.
  In particolare, la direttiva prevede che le autorità nazionali possono procedere alla confisca di beni strumentali e proventi da reato, ovvero di beni di valore corrispondente, a seguito di condanna penale definitiva o, in specifici casi, anche qualora il procedimento non giunga alla pronuncia definitiva.
  Gli Stati membri debbono adottare le misure necessarie che rendano possibile la confisca quando l'autorità giudiziaria, sulla base degli elementi in suo possesso, compresa la sproporzione tra il reddito reale e quello legittimo del condannato, sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose (cosiddetto confisca estesa).
  Si prevede inoltre che gli Stati membri adottino disposizioni per la confisca nei casi di trasferimento dei beni a terzi, almeno nei casi in cui tali terzi sapevano o avrebbero dovuto sapere che il trasferimento o l'acquisizione dei beni aveva lo scopo di evitarne la confisca stessa.
  Gli Stati membri sono chiamati ad adottare le misure necessarie per definire le ipotesi di congelamento dei beni in vista della successiva confisca. In ogni caso vanno assicurati il diritto all'impugnazione dei provvedimenti di confisca nonché forme di comunicazione immediata dei provvedimenti di congelamento dei beni.
  Per assicurare l'efficacia dei provvedimenti gli Stati membri adottano misure necessarie ad individuare e rintracciare i beni da sequestrare o confiscare, e garantiscono un'adeguata gestione dei beni soggetti a sequestro.
  L'impatto delle nuove norme dovrà essere valutato mediante opportuni rilievi statistici circa il numero di provvedimenti di sequestro e di confisca eseguiti ovvero il valore dei beni interessati, consentendo alla Commissione di verificare l'efficacia degli strumenti.
  Con riferimento allo schema di decreto legislativo in esame, rilevo che il provvedimento del Governo si compone di 8 articoli, ripartiti in 3 Titoli.
  L'articolo 1 definisce l'ambito di applicazione del provvedimento.
  L'articolo 2 interviene sul codice penale modificando l'articolo 240 c.p. e inserendo il nuovo articolo 466-bis.
  In particolare, la lettera a) del comma 1, estende la confisca obbligatoria al profitto derivante dai delitti relativi agli attacchi ai sistemi informatici (artt. 615-ter e ss c.p.) anche per equivalente. La lettera b) del comma 1 inserisce nel codice penale l'articolo 466-bis prevedendo come obbligatorie la confisca diretta dei beni strumentali all'esecuzione di alcuni reati in tema di falsificazione di monete e altri Pag. 105mezzi di pagamento e la confisca diretta o per equivalente del loro profitto o prodotto.
  L'articolo 3, modificando l'articolo 2635 del codice civile, prevede, con riguardo al reato di corruzione tra privati, la confisca per equivalente, quantomeno nella misura del prezzo e dell'utilità pagata, salvo che appartengano a persona estranea al reato ovvero quando ciò non sia possibile.
  Il successivo articolo 4 interviene in materia di traffico illecito di stupefacenti, prevedendo la confisca obbligatoria – anche per equivalente – delle cose che sono il profitto o il prodotto del reato, anche in caso di patteggiamento.
  L'articolo 5 estende le ipotesi di confisca allargata alle ulteriori fattispecie indicate dalla direttiva. In particolare, l'istituto della confisca allargata trova applicazione anche con riguardo ai delitti commessi per finalità di terrorismo e con riguardo ad ulteriori specifici reati in ambito informatico.
  L'articolo 6 prevede, con riguardo ai reati connessi alla lotta alle frodi e alle falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti, la confisca obbligatoria anche per equivalente delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato.
  L'articolo 7, in attuazione dell'articolo 11 della direttiva, contiene disposizioni circa gli obblighi di comunicazione annuale alla Commissione dei dati quantitativi e di valore dei sequestri e delle confische eseguite, rilevati dal Ministero della giustizia.
  L'articolo 8, infine, prevede la clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.45.