CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 19 aprile 2016
628.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
COMUNICATO
Pag. 174

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 19 aprile 2016. — Presidenza del presidente Ettore Guglielmo EPIFANI.

  La seduta comincia alle 14.35.

Documento di economia e finanza 2016.
Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.
(Parere alla V Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Ettore Guglielmo EPIFANI, presidente, in sostituzione del relatore, on. Luigi Taranto, illustra i contenuti del provvedimento in titolo. Il Documento di economia e finanza (DEF) costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall'Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale definiti nella Strategia Europa 2020. Il DEF enuncia, pertanto, le modalità e la tempistica attraverso le quali l'Italia intende conseguire il risanamento strutturale dei conti pubblici e perseguire gli obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, energia e sostenibilità ambientale definiti nell'ambito dell'Unione europea.
  Il DEF viene trasmesso alle Camere affinché si esprimano sugli obiettivi e sulle conseguenti strategie di politica economica contenute nel Documento. Dopo il passaggio parlamentare, il Programma di Stabilità e il Programma nazionale di riforma vanno inviati al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile.
  Quanto alla struttura, il DEF si compone di tre sezioni e di una serie di Pag. 175allegati. La prima sezione espone lo schema del Programma di Stabilità, che deve contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.
  Nella seconda sezione sono indicate le regole generali sull'evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l'esigenza, evidenziata in sede europea, di individuare forme efficaci di controllo dell'andamento della spesa pubblica.
  La terza sezione del DEF 2016 reca lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova Strategia «Europa 2020». In conseguenza della decisione, risultante dal nuovo quadro programmatico di finanza pubblica del DEF in esame, di posporre di un anno, dal 2018 al 2019, il conseguimento dell'Obiettivo di Medio Periodo del pareggio di bilancio in termini strutturali (Medium Term Objective, MTO), unitamente al Documento di economia e finanza 2016 è stata trasmessa alle Camere anche la Relazione prescritta dall'articolo 6, comma 5, della legge di attuazione del pareggio di bilancio n. 243 del 2012.
  La Relazione in esame aggiorna il piano di rientro previsto nella precedente Relazione (Doc. LVII, n. 2-bis – Allegato III) presentata nello scorso mese di settembre unitamente alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015, nella quale il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali era stato previsto nel 2018, con un allungamento di un anno rispetto a quanto stabilito nel DEF 2015, ivi riferito all'anno 2017. Questa Relazione è stata approvata da ciascuna Camera (a maggioranza assoluta dei propri componenti, come prescrive l'articolo 6 della legge n. 243/2012) in data 8 ottobre 2015, rispettivamente con risoluzione n. 6/00163 alla Camera e con risoluzione n. 6/00127 presso il Senato.
  In allegato al DEF sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentarsi alle Camere entro il mese di gennaio. Sulla base di quanto prevedono alcune norme della legge n. 196 del 2009 e ulteriori disposizioni che prescrivono la presentazione in allegato al DEF di alcuni specifici documenti, al DEF 2016 sono allegati:
   il rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica, di cui all'articolo 3 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 – Allegato I);
   il documento sulle spese dello Stato nelle regioni e nelle province autonome, di cui al comma 10 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 – Allegato II);
   la relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, di cui al comma 9 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 – Allegato III);
   la relazione sui fabbisogni annuali di beni e servizi della pubblica amministrazione e sui risparmi conseguiti con il sistema delle convenzioni Consip, di cui all'articolo 2, comma 576, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Doc. LVII, n. 4 – Allegato IV);
   la relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, di cui al comma 7 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 e all'articolo 7 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Doc. LVII, n. 4 – Allegato V);
   un documento concernente strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica (Doc. LVII, n. 4 – Allegato VI).

  Con riferimento alla congiuntura internazionale il DEF 2016, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, evidenzia come nel 2015 il ritmo di crescita dell'economia mondiale abbia mostrato un rallentamento rispetto al Pag. 1762014, nonostante il sostegno fornito dal calo dei corsi petroliferi. Anche la crescita del commercio mondiale ha mostrato nel 2015 un andamento stagnante. La modesta crescita del PIL e del commercio globale è legata al deterioramento delle prospettive economiche globali, su cui ha pesato in particolare la flessione dei mercati, ed in taluni casi l'entrata in recessione di importanti paesi emergenti, che si è intensificata a seguito del perdurante declino dei prezzi delle materie prime e dell'inasprimento delle condizioni finanziarie. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea a febbraio, riportati nel DEF 2016, la crescita del PIL mondiale si sarebbe realizzata ad un tasso del 3,0 per cento, rispetto al 3,3 dell'anno precedente, con il commercio mondiale in aumento del 2,6 per cento, in decelerazione rispetto al 3,4 per cento del 2014 e molto al di sotto della media di lungo periodo. In questo quadro, le prospettive di crescita dell'economia globale si mantengono moderate anche negli anni a venire, al 3,3 per cento nel 2016 e al 3,5 per cento nel 2017. Rispetto a tali andamenti riportati nel DEF – corrispondenti come detto alle ultime previsioni disponibili della Commissione europea di febbraio – le nuove proiezioni elaborate del Fondo monetario internazionale il 12 aprile scorso, nel nuovo World Economic Outlook, limitano ulteriormente le prospettive di crescita globale.
  Per quanto concerne l'Area dell'euro, la ripresa economica sta proseguendo, anche se a ritmi inferiori a quelli attesi agli inizi dell'anno sulla scia dell'indebolimento del contesto esterno. La crescita del PIL dell'1,6 per cento nel 2015, in accelerazione rispetto all'anno precedente (0,9 per cento), è principalmente attribuibile alla ripresa dei consumi privati e degli investimenti fissi, i quali, tuttavia, restano nel complesso comunque su livelli inferiori rispetto a precedenti periodi di ripresa del ciclo. Il tasso di disoccupazione per l'area nel complesso, sebbene in diminuzione, si è mantenuto ancora su livelli elevati (10,3 per cento a gennaio 2016). Secondo il DEF la domanda interna potrebbe essere sostenuta da una più rapida ripresa del settore delle costruzioni, che nel corso della crisi ha riassorbito gran parte degli squilibri che si erano accumulati in precedenza.
  Con riferimento quadro macroeconomico, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, è esposta l'analisi relativa all'anno 2015 e le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2017-2020, che riflettono i primi segnali di graduale ripresa dell'economia, nonostante gli elementi d'incertezza che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globali. Per quanto concerne lo scenario macroeconomico nazionale il DEF evidenzia come l'economia italiana sia tornata a crescere, dopo tre anni di contrazione del prodotto interno lordo (- 2,8 punti percentuali nel 2012, –1,7 nel 2013 e –0,3 nel 2014), registrando un tasso dello 0,8 per cento in termini reali.
  La crescita del prodotto è risultata di poco inferiore a quanto previsto a settembre 2015 nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 (+0,9 per cento) e nel Documento programmatico di bilancio, presentato ad ottobre 2015, a causa del rallentamento dell'andamento del PIL nella seconda metà dell'anno, rispetto alla fase di crescita sostenuta registrata nel primo semestre, in connessione con l'inatteso indebolimento del contesto esterno, dovuto al rallentamento delle grandi economie emergenti e alle perduranti difficoltà dell'Eurozona.
  Sul risultato positivo del 2015 ha inciso in maniera rilevante – si osserva nel DEF – il recupero della domanda interna, in continua espansione durante l'anno, il cui contributo positivo alla crescita del PIL è stato pari a 0,5 punti percentuali, ponendosi a fine anno su livelli di crescita tendenziale superiori all'1,5 per cento.
  Un apporto negativo è invece disceso dalla domanda estera netta (-0,3 punti percentuali, che si sostituisce a un valore positivo cumulato di 4,8 punti nel quadriennio 2011-2014). In particolare, l'apporto negativo delle esportazioni nette deriva innanzitutto dall'intensa ripresa Pag. 177delle importazioni e, in misura minore, da un parziale affievolimento della dinamica delle esportazioni, penalizzate dall'indebolimento del ciclo internazionale.
  In sostanza – sottolinea il DEF – l'andamento positivo della domanda interna è stato, nel corso dell'anno, più che compensato dapprima da un calo dell’export, legato al rallentamento delle grandi economie emergenti, e successivamente, nel quarto trimestre, da un calo della produzione, da riconnettersi probabilmente anche all'impatto economico ed emotivo degli attacchi terroristici di Parigi e all'andamento dell'economia e dei mercati finanziari in Cina, Russia e Brasile.
  Per quanto concerne le previsioni, si ricorda che il DEF presenta due scenari di previsioni macroeconomiche, uno tendenziale e l'altro programmatico, che, fermo restando le assunzioni relative al quadro internazionale, coerenti con le più recenti previsioni delle principali istituzioni internazionali, differiscono per le assunzioni relative alle riforme economiche. In particolare, le previsioni del quadro tendenziale incorporano gli effetti sull'economia delle azioni di politica economica, delle riforme e della politica fiscale messe in atto precedentemente alla presentazione del Documento stesso. Il quadro programmatico, invece, include l'impatto sull'economia delle politiche economiche prospettate all'interno del Programma di Stabilità e del Piano Nazionale delle Riforme, che saranno concretamente definite nella Nota di aggiornamento che sarà presentata a settembre 2016 e adottate con la prossima legge di stabilità. Le due previsioni coincidono per l'anno in corso, mentre si differenziano gradualmente negli anni successivi (si veda più avanti la Tabella 10 – Il quadro macroeconomico tendenziale e programmatico).
  Per quanto concerne il quadro macroeconomico tendenziale il DEF conferma per il 2016 la fase di moderata ripresa dell'economia italiana iniziata nel 2015, in previsione di una graduale stabilizzazione della domanda interna. Il documento mette in evidenza come il contributo alla ripresa dell'economia italiana venga soprattutto dalla domanda interna. Si prevede, infatti, una ripresa graduale dei consumi, favorita dagli incrementi di reddito disponibile legati alla stabilità dei prezzi e ai guadagni dell'occupazione, e degli investimenti, in conseguenza delle migliorate condizioni finanziarie e del cambiamento di clima delineato dagli indicatori di fiducia. Il clima di incertezza che caratterizza l'economia mondiale dovrebbero invece riflettersi sull'andamento delle esportazioni, determinandone un rallentamento.
  Gli andamenti congiunturali più recenti, sottolinea il DEF, segnalano tendenze positive per il quadro macroeconomico di inizio 2016, prospettando una accelerazione della crescita del prodotto interno lordo già nel primo trimestre 2016. Nonostante le prospettive favorevoli del primo trimestre, in relazione alle sopraggiunte difficoltà del contesto internazionale ed europeo, il DEF fissa le stime tendenziali di crescita del PIL per il 2016 all'1,2 per cento, al ribasso rispetto alla crescita dell'1,6 per cento prevista in termini programmatici a settembre 2015, nella Nota di aggiornamento del DEF. Per gli anni successivi, si prevede una crescita tendenziale del PIL che si mantiene stabile al medesimo livello di quest'anno intorno all'1,2 per cento fino al 2018, accelerando all'1,3 per cento nel 2019, ponendosi al di sotto delle previsioni programmatiche elaborate a settembre scorso nella Nota di aggiornamento del precedente DEF.
  La revisione delle stime di crescita del PIL nel 2016 risente, principalmente, del profilo di crescita dell'economia italiana nel 2015 che nella seconda metà dell'anno è risultato più contenuto rispetto alle attese, nonché del peggioramento dello scenario internazionale, in particolare, il perdurante rallentamento dei paesi emergenti, in primis la Cina, e le turbolenze sui mercati finanziari, legate sia al crollo dei prezzi del petrolio sia alla percezione del maggior rischio sui titoli bancari europei.
  Nello scenario programmatico gli effetti delle politiche di bilancio determinerebbero una crescita del PIL superiore a quello tendenziale dal 2017 in poi, Pag. 178quando esso registrerebbe un incremento rispettivamente di 0,2 percentuali nel primo anno, di 0,3 punti percentuali nel secondo e di 0,1 punti percentuali nel 2019.
  Gli effetti delle politiche di bilancio che influenzano l'evoluzione del quadro programmatico rispetto allo scenario tendenziale ricomprendono anche le stime dell'impatto macroeconomico delle riforme strutturali vengono riportate nel Programma Nazionale di Riforma, nel quale, pur precisandosi che le stesse dovrebbero produrre effetti già a partire dal 2016, se ne fornisce un quadro – articolato per ciascuna delle riforme – ad iniziare dal 2020, precisandosi che vengono incluse soltanto le nuove riforme già varate dall'attuale Governo ovvero in corso di approvazione. Le principali aree interessate sono la PA, la competitività, il mercato del lavoro, la giustizia, l'istruzione e la riduzione del cuneo fiscale.
  Con riferimento al quadro di finanza pubblica il Documento di economia e finanza riporta l'analisi del conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente, integrato con le informazioni relative alla chiusura dell'esercizio 2015. I dati riferiti all'esercizio 2015 resi noti dall'ISTAT attestano un indebitamento netto della PA per il 2015 pari, in valore assoluto, a 42.388 milioni, corrispondente al 2,6 per cento del PIL. Il dato indica un miglioramento rispetto all'anno 2014: in tale esercizio l'indebitamento è infatti risultato pari a 48.936 milioni (3,0 per cento del PIL). Il dato di consuntivo riportato dal DEF risulta sostanzialmente in linea, in valore assoluto rispetto alle stime della Nota tecnico-illustrativa della legge di stabilità 2016 (NTI).
  Rispetto all'anno 2014, nel 2015 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche hanno registrato, in valore nominale, un incremento di 7,4 miliardi di euro (da 776,6 miliardi a 784,0 miliardi di euro). Tuttavia, poiché tale incremento risulta proporzionalmente inferiore a quello del PIL, l'andamento delle entrate rispetto al prodotto evidenzia una riduzione. Infatti, le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL registrano una contrazione, attestandosi al 47,9 per cento del PIL (-0,3 per cento rispetto al 2014).
  Le spese finali nel 2015 mostrano un incremento rispetto al precedente esercizio (+ 0,1 per cento), passando da 825.534 milioni a 826.429 milioni. Tale risultato si determina a fronte di un aumento della 10,7 per cento delle spese in conto capitale e di una riduzione della spesa per interessi (-7,9 per cento) mentre le spese correnti primarie rimangono sostanzialmente invariate.
  Infine, la spesa in conto capitale registra un rialzo del 10,7 per cento nel 2015. L'incremento complessivo risulta determinato, secondo le informazioni del DEF, dall'incremento di tutte le componenti dell'aggregato di spesa: in particolare, gli investimenti fissi lordi crescono dell'1 per cento, i contributi agli investimenti del 19,1 per cento e gli altri trasferimenti in c/capitale del 34,7 per cento.
  Rispetto alle stime contenute nella Nota tecnico-illustrativa alla legge di stabilità (NTI) 2016, riferite al triennio 2016-2018, il DEF presenta le nuove previsioni sulla base delle informazioni relative al 2015 diffuse dall'ISTAT, del nuovo quadro macroeconomico rappresentato nella Sezione I del DEF medesimo (che contiene il Programma di stabilità dell'Italia) e dell'impatto finanziario dei provvedimenti approvati fino al mese di marzo 2016. Sono inoltre presentate le previsioni relative all'esercizio 2019, non considerato nell'orizzonte previsionale della NTI.
  Il conto economico esposto dal DEF evidenzia per il 2016 un indebitamento netto pari al 2,3 per cento del PIL (39,3 mld). Rispetto al 2015, nel 2016 si determina quindi una riduzione di tale saldo dello 0,3 per cento in termini di PIL, dovuta sia a un miglioramento del saldo primario (1,6 mld circa) sia a una minore spesa per interessi (- 1,5 mld). Concorre al miglioramento del rapporto indebitamento netto/PIL anche la crescita del PIL nominale, stimata per il 2016 al 2,2 per cento rispetto al 2015. Per gli anni successivi, si stima una riduzione Pag. 179progressiva dell'indebitamento netto, sia in valore assoluto sia in rapporto al PIL, fino a raggiungere, nell'esercizio 2019, un saldo positivo (accreditamento netto). Il Documento di economia e finanza 2016 stima per il periodo di previsione un andamento crescente, in valore assoluto, delle entrate finali, che passano da 789 miliardi nel 2016 a 856 miliardi nel 2019.
  Il DEF 2016 stima per il periodo di previsione un andamento crescente, in valore assoluto, delle spese finali che passano da 828,7 milioni del 2016 a 848,9 milioni del 2019. In termini di PIL tuttavia l'incidenza delle spese si riduce da 49,6 per cento del 2016 al 48,4 del 2017 fino ad attestarsi al 46,7 per cento al termine del periodo di previsione.
  Il Documento di economia e finanza 2016 aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio 2016-2019 e, in particolare, il piano di rientro verso l'Obiettivo di Medio Termine, già autorizzato con le risoluzioni delle Camere sulla Relazione al Parlamento 201528 adottate in data 8 ottobre 2015 e, ulteriormente aggiornato con la Comunicazione al Parlamento 2015, deliberata dal Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2015.
  Il Governo, come anticipato in premessa, accompagna la presentazione del DEF con una Relazione al fine di chiedere un aggiornamento del piano di rientro verso l'obiettivo di medio periodo e rinviare il sostanziale pareggio di bilancio al 2019, dunque, entro l'ultimo anno dell'orizzonte di programmazione del DEF.
  La terza sezione del DEF 2016 reca il Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova Strategia «Europa 2020». In tale ambito sono indicati:
   le priorità del Paese, con le principali riforme da attuare, e i tempi previsti per la loro attuazione (parte I: La strategia di riforma dell'Italia e Appendice A: Cronoprogramma del Governo);
   lo scenario macroeconomico e i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini macroeconomici e finanziari (parte II: Scenario macroeconomico e impatto delle riforme e Appendice B: Tavole di sintesi dell'impatto macroeconomico delle riforme);
   l'azione del Governo, lo stato di avanzamento delle riforme avviate, in relazione alle raccomandazioni formulate dal Consiglio UE al termine del «semestre europeo» 2015, nonché il piano per il Mezzogiorno (parte III: Le risposte di policy alle principali sfide economiche e Appendice C: Sintesi delle misure in risposta alle raccomandazioni del Consiglio 2015);
   le iniziative più rilevanti al fine del raggiungimento degli obiettivi nazionali previsti dalla Strategia Europa 2020 (parte IV: Progressi nei target della strategia Europa 2020 e Appendice D: Sintesi delle misure per il raggiungimento dei target della strategia Europa 2020).

  Completano la sezione due parti sui fondi strutturali nella programmazione 2014-2020 e sulle interlocuzioni istituzionali con regioni e province autonome e con le parti sociali (Parte V: Fondi strutturali e Parte VI: Interlocuzioni istituzionali e coinvolgimento degli stakeholder).
  Il Consiglio dell'Unione europea del 14 luglio 2015 ha adottato, sulla base delle proposte della Commissione, una raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia e formulato un parere sul programma di stabilità 2015 del nostro Paese. In particolare, raccomanda che l'Italia adotti provvedimenti nel 2015 e nel 2016 in sei ambiti di intervento: Sostenibilità finanze pubbliche; Infrastrutture e coesione; Pubblica amministrazione; Sistema finanziario; Mercato del lavoro; Semplificazione e concorrenza.
  Di seguito dà conto delle parti di più stretta competenza della X Commissione relative alle politiche pubbliche nel Programma Nazionale di Riforma.Pag. 180
  Le politiche di riforma indicate nel PNR 2016 – che, in generale, rivisita e amplia l'approccio e gli obiettivi del 2015, allineandoli con l'Analisi annuale della crescita della Commissione europea e le Raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea sulla politica economica sia alla zona euro che all'Italia – partono dal presupposto che, per sostenere la produttività nel medio e lungo termine, è necessario, tra l'altro, continuare a sviluppare il capitale umano – che include il miglioramento dell'istruzione, lo sviluppo della ricerca tecnologica, la promozione della scienza e della cultura – facendone vera priorità della politica nazionale.
  Per il settore della ricerca, la Relazione della Commissione europea evidenzia alcune delle debolezze strutturali che incidono sul sistema italiano della ricerca. In particolare, oltre alle perduranti carenze di finanziamento della R&S, soprattutto per le piccole imprese giovani e innovatrici che non dispongono di sufficienti risorse interne per finanziare i propri progetti, la Commissione sottolinea come negli ultimi anni molti ricercatori italiani abbiano lasciato il paese a causa della mancanza di prospettive di carriera e di retribuzioni concorrenziali. Stigmatizza, inoltre, la scarsa cooperazione tra università e imprese che caratterizza il sistema italiano di ricerca e innovazione, e osserva che ciò rallenta il trasferimento di conoscenze dalle università e da altri istituti pubblici di ricerca alle imprese e la ripartizione dei rischi connessi alle attività di R&S.
  Nel 2012 la quota pubblica di R&S finanziata dalle imprese rappresentava solo lo 0,014 per cento del PIL, a fronte della media UE pari allo 0,051 per cento.
  Per il settore della giustizia si segnala che, parallelamente alla riforma del processo civile, il Governo intende perseguire la riforma della disciplina delle crisi di impresa e dell'insolvenza, con l'obiettivo di aumentare le opportunità di risanamento delle crisi aziendali, limitandone i danni al tessuto economico circostante. Lo scorso 11 marzo è stato presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3671 recante un'ampia delega proprio per la riforma della suddetta disciplina. Tale provvedimento, la cui approvazione, sulla base del cronoprogramma è prevista per il mese di ottobre, si inserisce nel quadro del più ampio processo di riforma inaugurato con il decreto legislativo n. 30 del 2015 in materia fallimentare, civile e processuale civile e di funzionamento dell'amministrazione giudiziaria che introduceva importanti misure per accrescere la rapidità e 195 l'efficienza delle procedure concorsuali e di esecuzione forzata. Con il nuovo disegno di legge delega l'Esecutivo si propone di delineare un intervento organico di riforma del diritto dell'insolvenza e delle relative procedure concorsuali, anche per allineare l'Italia alle moderne normative vigenti nella maggior parte dell'Unione europea. I principali elementi che caratterizzano la delega possono essere riassunti come segue:
   previsione di una procedura di allerta e di composizione assistita della crisi, in linea con le indicazioni della Commissione europea, secondo cui il debitore deve avere accesso ad un quadro di ristrutturazione preventiva, che gli consenta di ristrutturare precocemente la propria impresa al fine di evitare l'insolvenza;
   semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative e applicative e creazione di un unico procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell'insolvenza;
   individuazione del tribunale competente e valorizzazione della specializzazione dei magistrati addetti alla materia;
   introduzione in luogo della procedura di fallimento, della liquidazione giudiziale, più rapida e snella;
   previsione di norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie e innalzamento delle soglie per l'accesso alla procedura; introduzione di una specifica regolamentazione delle situazioni di crisi ed insolvenza dei gruppi di imprese, in linea con quanto previsto dal Regolamento europeo sull'insolvenza transfrontaliera (Regolamento n. 848/15/UE).

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  In materia di Competitività, in linea con le osservazioni formulate a febbraio 2016 dalla Commissione UE nel Country Report relativo all'Italia, il Governo dichiara di importanza cruciale, per sostenere la crescita del prodotto, il miglioramento della competitività del Paese e l'accelerazione degli investimenti, la componente della domanda che maggiormente ha subito l'impatto della grande crisi. Il Governo osserva che le misure già intraprese per stimolare gli investimenti fissi lordi devono essere supportate da riforme che migliorino ulteriormente il «clima d'investimento» dell'Italia, con particolare riferimento alla propensione a investire in capitale di rischio.
  Nel Country Report di febbraio 2016, la Commissione UE ha aggiornato l'esame approfondito condotto nell'ambito del monitoraggio degli squilibri macroeconomici a dicembre 2015 (Italia – «Review of progress on policy measures relevant for the correction of macroeconomic imbalances»), richiamando alcuni progressi compiuti dall'Italia nel perseguimento dell'obiettivo di aumentare la produttività e la competitività esterna del Paese, anche attraverso una riduzione del carico fiscale sui fattori produttivi e una rimozione degli ostacoli strutturali agli investimenti. La Commissione UE rileva, in sintesi, la necessità di contrastare il deterioramento della competitività del sistema industriale italiano ascrivibile ad una pluralità di fattori: la debole crescita della produttività, connessa tra l'altro alle caratteristiche del sistema produttivo nazionale, gli elevati oneri e adempimenti a carico delle imprese stesse, e gli effetti della crisi finanziaria, con la forte contrazione che hanno subito i crediti delle banche alle imprese.
  Per ciò che attiene alla produttività, la Commissione evidenzia come essa ristagni dalla metà degli anni ’90. In particolare, la produttività totale dei fattori è andata calando in Italia mentre è aumentata o è rimasta stabile negli altri grandi paesi della zona euro. Il divario di crescita della produttività interessa quasi tutti i settori dell'economia, ma nei servizi è più ampio. Inoltre, poiché le piccole imprese tendono ad avere una produttività minore rispetto alle grandi, la produttività aggregata in Italia risente della presenza di un'alta percentuale delle prime. Comunque, secondo la Commissione, l'andamento della produttività – che continua a trascinarsi a causa del ristagno della produttività totale dei fattori – è stato aggravato dalla crisi e risente del fatto che gli investimenti non siano ancora ripartiti dopo il netto calo registrato durante la crisi.
  Nel PNR 2016 vengono in dettaglio descritte le azioni intraprese a sostegno della competitività e della crescita, dando indicazione dell'impatto macroeconomico delle stesse misure nel medio lungo periodo. Nella valutazione dell'impatto sono incluse anche le riforme del Governo, varate o in corso di approvazione. In particolare, il DEF 2016 ascrive alle riforme per la competitività un impatto pari ad un incremento di 0,4 punti percentuali di PIL nel 2020 rispetto allo scenario base e di 0,7 punti nel 2025. Le stime includono gli effetti delle misure per la concorrenza e l'apertura dei mercati contenute nel disegno di legge annuale sulla concorrenza (S. 2085), concernenti il settore assicurativo e i fondi pensione, le comunicazioni e il settore energetico. Le stime includono altresì la legge delega per la riorganizzazione della PA (legge n. 124/2015) e le misure per le imprese del decreto-legge n. 91/2014 (cd. Competitività): credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi, ampliamento di operatività dell'aiuto alla crescita economica (ACE), misure a favore delle emissioni di obbligazioni societarie, interventi finalizzati alla riduzione delle bollette elettriche e in materia di esenzione da corrispettivi e oneri del sistema elettrico, di riduzione dei costi del sistema elettrico per le isole minori non interconnesse, di gare d'ambito per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale.
  Il cronoprogramma delle riforme contenuto nel DEF 2016 prevede comunque Pag. 182l'adozione di nuove policy a sostegno della competitività e della tenuta dei sistema produttivo italiano sul mercato internazionale, annunciando, entro il 2016, l'adozione di un Piano per il rilancio del manifatturiero (cd. Piano manifattura Italia). Si tratta – afferma il DEF – di un pacchetto di provvedimenti per favorire la digitalizzazione delle imprese italiane, che include il rafforzamento del quadro normativo dedicato alla R&S, il sostegno all'integrazione e al consolidamento delle filiere industriali italiane, strumenti fiscali che favoriscono le fusioni e incorporazioni tra imprese e l'alta formazione. L'Esecutivo intende perseguire inoltre la sua strategia di rafforzamento delle forme “aggregative” delle imprese italiane. Le reti d'impresa rappresentano una modalità organizzativa che può aiutare a conseguire un vantaggio competitivo, consentendo di sopperire ai limiti connessi con le ridotte dimensioni del tessuto produttivo nazionale. Viene richiamato in proposito l'intervento contenuto nella legge di stabilità 2016 per agevolare la costituzione di reti d'impresa e le unioni in associazione temporanea di imprese (Ati) o in raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) che possono beneficiare dei fondi messi a disposizione dal MiSE (articolo 1, comma 641). Secondo i dati contenuti nel PNR, a marzo 2016 risultano stipulati 2.699 contratti di rete, che coinvolgono 13.518 imprese. I numeri – si afferma – confermano il trend di forte crescita dei mesi scorsi. È intenzione del Governo estendere le misure di agevolazione per le imprese in contratti di rete; introdurre incentivi per specifiche tipologie di reti (green e internazionali) e adottare strumenti di supporto ai «soggetti catalizzatori», anche con semplificazioni normative. Il cronoprogramma prevede l'adozione di questo pacchetto entro il 2016.
  Posto poi che la competitività delle imprese italiane è oggi insidiata dalla concorrenza sleale d'imprese illegali sul piano internazionale, il Governo annuncia l'adozione di un Piano nazionale anticontraffazione, a tutela delle imprese che proteggono con marchi, brevetti e disegni i propri asset intangibili. Tali misure, negli intendimenti del Governo, dovrebbero affiancare strumenti già attivati, quali il Piano straordinario per il made in Italy (decreto-legge n. 133/2014 e legge di stabilità 2015, articolo 1, comma 202) di sostegno all’export e all'attrazione degli investimenti esteri, operativo per il periodo 2015-2017, implementato con ulteriori risorse nella legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 370).
  Complementare al pacchetto di riforme strutturali per la competitività è il pacchetto di riforme di finanzia per la crescita per migliorare la propensione all'investimento delle imprese private, alle quali il PNR ascrive effetti pari a 0,2 punti percentuali di PIL nel 2020.
  Relativamente alle misure per l'innovazione, il Governo ricorda la costituzione della figura giuridica della PMI innovativa (decreto-legge n. 3/2015) con l'estensione di misure già previste a beneficio delle start-up innovative a una platea di imprese più ampia: le PMI innovative, vale a dire tutte le PMI che operano nel campo dell'innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione, dalla formulazione dell'oggetto sociale e dal livello di maturazione.
  Per ciò che concerne la disciplina sulle start-up innovative (decreto-legge n. 83/2012) è stato adottato il decreto del MEF (DM 25 febbraio 2016) che estende al 2016 le agevolazioni fiscali per chi investe in tali imprese, innalzando la soglia d'investimenti ammissibili a 15 milioni per ciascuna startup nell'intero periodo di permanenza dell'impresa nella sezione speciale del Registro delle imprese. Il Governo ricorda inoltre l'entrata in operatività del credito d'imposta sulle spese in ricerca e sviluppo (decreto-legge n. 145/2014, come modificato dalla legge di stabilità 2015, e relativo DM attuativo 27 maggio 2015).
  Sono poi richiamate le misure in materia di valorizzazione dei brevetti e delle altre opere dell'ingegno (cd. patent box).
  Il Governo annuncia inoltre un nuovo pacchetto di misure «Finanza per la Crescita Pag. 1832.0»: una serie di interventi volti a favorire gli investimenti in capitale di rischio da parte sia di investitori retail, sia istituzionali, nonché volte a facilitare le procedure per la quotazione azionaria delle piccole e medie imprese.
  Il cronoprogramma delle riforme (Allegato A del PNR) indica, entro il 2016, il rafforzamento delle misure agevolative per le start-up innovative e PMI innovative.
  Relativamente agli incentivi agli investimenti produttivi, il Governo, come già fatto nel DEF 2015, richiama – oltre al già citato credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi, operativo fino al giugno 2015 (decreto-legge n. 91/2014) – gli interventi di revisione della cd. «Nuova Sabatini», strumento già citato nel DEF 2015 e valutato positivamente dalla Commissione UE nel Country Report del precedente anno.
  Le modifiche apportate a tale strumento di sostegno (articolo 8 del decreto-legge n. 3/2015) sono recentemente divenute operative (DM 25 gennaio 2016) e prevedono che i contributi statali a favore delle PMI che acquistano in beni strumentali possano essere concessi anche a fronte di finanziamenti erogati dalle banche e dalle società di leasing, a valere su una provvista diversa dall'apposito plafond (5 miliardi) della Cassa Depositi e Prestiti.
  Il DEF 2016 fornisce alcuni dati circa l'operatività della cd. «Nuova Sabatini», che a febbraio 2016 ha registrato 9.547 domande, con la prenotazione di 2,88 miliardi di finanziamenti CDP e di circa 223 milioni di contributi Mise. Le domande agevolate deliberate ammontano a 2,5 miliardi e i contributi Mise concessi sono pari a 196,6 milioni.
  Per quanto riguarda gli interventi in materia garanzie a sostegno degli investimenti delle imprese, il Governo evidenzia – sulla scorta di quanto rilevato dalla Commissione UE nel Country Report di febbraio 2016 – che il Fondo centrale di Garanzia per le PMI ha svolto un ruolo rilevante, prevedendone un rafforzamento con interventi correttivi, migliorativi. Il PNR richiama in proposito gli interventi già adottati nel decreto-legge n. 3/2015 e con la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 886) che è intervenuta per ampliare le garanzie che possono essere concesse a valere su di esso, destinando almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Un significativo filone di interventi volti all'obiettivo dello stimolo della competitività del sistema imprenditoriale è rappresentato, nel DEF 2016, dalle politiche per la concorrenza.
  L'Unione europea ha sottolineato l'importanza (Raccomandazione n. 6) di adottare misure finalizzate a favorire la concorrenza in tutti i settori contemplati dal diritto della concorrenza e intervenire in modo deciso sulla rimozione degli ostacoli che ancora permangono.
  Già nel DEF 2015 il Governo sottolineava l'esigenza di dare nuovo impulso all'attuazione delle norme in materia di liberalizzazione delle attività economiche, indicando in particolare lo strumento della legge annuale sulla concorrenza quale strumento per porre in atto un'attività periodica di rimozione dei tanti ostacoli e freni, normativi e non, che restano nei mercati dei prodotti e dei servizi. Nel corso del 2015 il disegno di legge annuale per la concorrenza per il 2015 è stato approvato dalla Camera dei Deputati (C. 3012) ed è attualmente all'esame del Senato (S. 2085. Nel cronoprogramma il Governo fissava alla fine del 2015 l'implementazione delle predette misure.
  La Commissione UE, nel Documento sugli squilibri macroeconomici di febbraio 2016, riconosce che lo strumento della legge annuale sulla concorrenza costituisce un significativo punto di partenza per mettere in moto un meccanismo positivo nell'ambito del quale gli ostacoli regolamentari alla concorrenza vengono periodicamente esaminati e rimossi. Evidenzia però che il disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente Pag. 184all'esame del Senato, avrebbe potuto esser più ambizioso per quanto riguarda la liberalizzazione di alcune professioni quali quelle di notaio, avvocato e farmacista. Inoltre, il disegno di legge non copre molti settori rilevanti, che sono ancora eccessivamente protetti o regolamentati, tra cui, l'allocazione delle frequenze dello spettro radio, il settore sanitario, le centrali idroelettriche, i trasporti pubblici locali e i taxi, i porti e gli aeroporti.
  Con riguardo al settore del commercio al dettaglio, la Commissione evidenzia che il settore mostra segni di inefficienza. Più in particolare i grandi punti vendita al dettaglio sono ancora soggetti a regole speciali, in particolare per le nuove aperture; gli operatori storici godono di un'eccessiva protezione rispetto ai nuovi arrivati; vengono ancora applicate restrizioni molto rigide a promozioni, sconti e vendite sottocosto.
  Con riguardo al contesto imprenditoriale, segnala che le misure di apertura del mercato devono essere sostenute da un contesto più favorevole alle imprese. Infatti il paese resta caratterizzato da un sistema frammentato e stratificato di leggi e regolamenti che emanano da diversi livelli di governo. Un'ampia revisione della legislazione, prevista dall'articolo 1 del decreto-legge n. 1/2012, in materia di liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese, non è mai stata attuata.
  Con riguardo al disegno di legge annuale sulla concorrenza, il Governo segnala che il provvedimento, approvato dalla Camera dei deputati con numerose modifiche, verrà approvato entro giugno 2016. I settori interessati sono: assicurazioni, telecomunicazioni, servizi postali, energia, banche, servizi professionali (notai, avvocati, ingegneri), farmacie e trasporti. Il Governo intende proseguire il percorso avviato con la prima legge annuale per la concorrenza rendendola uno strumento d'intervento regolare per migliorare il funzionamento dei mercati. La seconda legge annuale sulla concorrenza sarà varata nel 2016 dopo la segnalazione da parte dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il provvedimento, attualmente allo studio, potrebbe intervenire sul settore delle comunicazioni, sanità, trasporti e servizi pubblici locali, in raccordo con la riforma della Pubblica Amministrazione.
  Sul tema della Finanza per la crescita, la Commissione UE, nella più volte citata Relazione, rileva come in Italia i mercati dei capitali continuano ad essere meno sviluppati rispetto ad altre economie avanzate, il che riduce le alternative ai prestiti bancari per le imprese. Le imprese italiane sono infatti ancora in gran parte dipendenti dal canale di finanziamento bancario e gravate da oneri fiscali elevati. In questa sede, si rammentano i principali strumenti di natura finanziaria e fiscale a sostegno della crescita; si rinvia al paragrafo specificamente dedicato alla competitività per quanto invece concerne le altre misure, quali i Fondi di Garanzia, gli interventi di Cassa Depositi e Prestiti, i finanziamenti, la cd. «Nuova Sabatini», i contratti di rete, la tutela del made in Italy e gli interventi settoriali.
  Per quanto riguarda gli incentivi ai canali di finanziamento alternativi a quello bancario, il Documento di economia e finanza enumera anzitutto le iniziative comprese nel pacchetto denominato «Finanza per la crescita», tra cui si ricordano, in particolare le seguenti misure di natura finanziaria:
   i cd. mini bond (strumenti finanziari delle piccole e medie imprese, disciplinati dal decreto-legge n. 83 del 2012) e i project bond (modificati dal decreto-legge n. 133 del 2014);
   la nuova disciplina delle SIIQ, ovvero le società di investimento immobiliare quotate (decreto-legge n. 133 del 2014);
   le norme in tema di equity crowdfunding, ossia le disposizioni che consentono la raccolta di capitali mediante portali online (decreto-legge n. 179 del 2012, estese dal decreto-legge n. 3 del 2015 alle PMI innovative); Pag. 185
   le semplificazioni per la quotazione delle PMI, l'introduzione nel Testo Unico Finanziario della disciplina della maggiorazione del voto, la possibilità per fondi di credito, assicurazioni e società di cartolarizzazione di concedere finanziamenti alle imprese (decreto-legge n. 91 del 2014);
   l'ACE – aiuto per la crescita economica e le misure che ne hanno esteso l'applicazione (decreti-legge n. 201 del 2011, n. 147 del 2013 e n. 91 del 2014), tutte già operative da tempo.

  Per quanto riguarda le misure fiscali volte ad alleggerire il carico tributario sulle imprese, il DEF rammenta anzitutto le norme del decreto-legge n. 3 del 2015 che hanno istituito e disciplinato la categoria della PMI innovativa, alla quale si riconoscono una serie di semplificazioni e agevolazioni già previste per le start-up innovative, in particolare gli incentivi fiscali (in favore sia degli gli investitori che di coloro i quali intrattengono rapporti, anche di lavoro, con l'impresa) e le norme in materia di raccolta di capitale di rischio attraverso portali online (c.d. crowdfunding).
  Con riferimento alle start-up innovative, il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 26 febbraio 2016 estende al 2016 le agevolazioni fiscali per chi investe in queste imprese, innalzando la soglia d'investimenti ammissibili per ciascuna start-up innovativa. Anche per il 2016 alle persone fisiche è consentito detrarre da IRPEF il 19 per cento dei conferimenti rilevanti effettuati, fino ad un massimo di 500.000 euro. I soggetti passivi IRES possono dedurre un importo pari al 20 per cento della somma investita, per una cifra non superiore a 1,8 milioni. Le percentuali salgono rispettivamente al 25 per cento e al 27 per cento qualora le start-up siano a vocazione sociale o sviluppino e commercializzino prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico.
  Il Governo rammenta inoltre l'intento di stimolare la competitività mediante l'incentivo alla spesa in ricerca e sviluppo tramite il relativo credito d'imposta (introdotto originariamente dal decreto-legge n. 145 del 2013 e reso pienamente operativo dalla legge di stabilità 2015). L'agevolazione è fruibile da tutte le imprese ed è pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute nel periodo 2015-2019, innalzate al 50 per cento per le spese relative all'impiego di personale qualificato e a contratti di ricerca con università o altri enti equiparati e con start-up innovative.
  Al fine di incentivare la valorizzazione dei brevetti e delle altre opere dell'ingegno è stato perfezionato il regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dai beni immateriali (patent box), introdotto dalla legge di stabilità 2015 e modificato dalla legge di stabilità 2016. Esso consiste nell'esclusione dal reddito del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzazione di alcune tipologie di beni immateriali (marchi e brevetti) nonché delle plusvalenze derivanti dalla loro cessione, se il 90 per cento del corrispettivo è reinvestito.
  Il Governo riferisce che per l'anno di imposta 2015 sono state circa 4.500 le richieste di adesione al nuovo regime del patent box presentate dalle imprese, di cui circa 1.200 solo da imprese della Lombardia. La maggior parte delle domande proviene da aziende con fatturato compreso tra i 5 e i 50 milioni (circa 1.900 domande). Subito dopo si collocano le imprese con fatturato inferiore a 5 milioni (circa 1.400).
  Al fine di agevolare gli investimenti, con la legge di stabilità 2016 è stato aumentato del 40 per cento l'ammortamento per l'acquisto di tutti i beni strumentali nuovi da parte di imprese e professionisti. Lo stesso provvedimento ha ridotto da dieci a cinque anni dei tempi di ammortamento fiscale dell'avviamento commerciale.
  Il DEF elenca inoltre il complesso delle misure volte a incentivare l'internazionalizzazione delle imprese contenute, in particolare, nel decreto-legge n. 145 del 2013 Pag. 186e nel decreto-legge n. 91 del 2014. Tra queste viene citato l'articolo 8 del decreto-legge n. 269 del 2003, come novellato dal decreto-legge n. 145 del 2013 (cd. Destinazione Italia) sul tema del ruling di standard internazionale. In merito si segnala tuttavia che la disciplina del ruling è stata superata dalla nuova normativa sugli accordi tra imprese aventi attività estera ed amministrazione finanziaria, ad opera dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 147 del 2015, provvedimento che attua la delega fiscale (legge n. 23 del 2014) sotto il profilo dell'internazionalizzazione delle imprese. A tal fine, viene sostituita la previgente disciplina con una nuova procedura per la stipula di accordi preventivi con l'amministrazione finanziaria, ricondotta nell'alveo della disciplina generale dell'accertamento, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
  La legge di stabilità per il 2016 ha introdotto inoltre uno specifico incentivo per il Mezzogiorno fino al 2019: alle imprese che acquistano beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni del Sud Italia è attribuito un credito d'imposta – per il quale sono stati stanziati 617 milioni l'anno – nella misura massima del 20 per cento per le piccole imprese, del 15 per cento per le medie imprese e del 10 per cento per le grandi imprese.
  Infine, per il settore delle politiche ambientali, Il Programma nazionale indica la previsione di una serie di misure per favorire la transizione verso un'economia più circolare volta a migliorare l'efficienza e la sostenibilità nell'uso delle risorse, con la finalità di rilanciare gli investimenti verdi anche in un'ottica occupazionale
  Secondo quanto indicato dal programma, inoltre, è in fase di definizione un provvedimento legislativo (c.d. Green Act), volto al completamento dell'azione per la sostenibilità ambientale, contenente misure finalizzate alla decarbonizzazione dell'economia, all'efficienza nell'utilizzo delle risorse, alla protezione e al ripristino degli ecosistemi naturali e alla finanza per lo sviluppo. Il cronoprogramma del DEF 2016 prevede la definizione del Green Act entro il 2017. Si rileva come il programma già allegato al DEF 2015 prospettasse l'adozione di un provvedimento legislativo, denominato Green Act, entro il mese di giugno 2015, volto a contenere misure in materia di efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, con particolare riguardo alla rigenerazione urbana, nonché per l'uso efficiente del capitale naturale.
  In materia di fonti rinnovabili, il Programma nazionale rileva che nel 2014, a sei anni dalla scadenza stabilita dall'Europa, l'Italia ha raggiunto il target, facendo registrare il 17,1 per cento di consumi finali lordi coperti da tali fonti energetiche. La strategia per il perseguimento del target nazionale è contenuta all'interno del Piano di Azione Nazionale (PAN), in cui vengono descritti gli obiettivi e le principali azioni intraprese per coprire con energia prodotta da fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali.
  Il Programma evidenzia come in Italia, negli ultimi anni, si è assistito a una rapida crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, anche a seguito delle politiche di incentivazione, e si riportano ampiamente i dati di tale produzione energetica, che registra una crescita del 6,9 per cento rispetto al 2012 secondo i dati del Gestore Servizi Energetici (GSE). Dal 2013 al 2014 il numero di impianti alimentati da fonti rinnovabili è aumentato del 9,7 per cento, da ascrivere in particolare alla crescita degli impianti fotovoltaici, che rappresentano il 36 per cento della potenza complessiva degli impianti a fonti rinnovabili. Si registra, inoltre, in continuo aumento anche il contributo della fonte eolica, mentre gli impianti a bioenergie registrano una potenza installata di 4 GW circa per circa 2.500 unità. Si richiamano infine i livelli correnti in materia di efficienza energetica, pari a 7,57 (valori in Mtep/anno) a fronte di un obiettivo Italia.

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  Nel ricordare che la proposta di parere elaborata dal relatore sarà sottoposta alla Commissione per l'approvazione nella seduta già fissata per il prossimo giovedì 21 aprile, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e di pedagogista.
Testo unificato C. 2656 Iori e abb.
(Parere alla VII Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Chiara SCUVERA (PD) relatrice, riferendo sui contenuti del provvedimento in esame evidenzia come il testo unificato intende disciplinare l'esercizio delle professioni di educatore socio-pedagogico e di pedagogista, nonché, per alcuni aspetti, la professione di educatore professionale socio-sanitario, nuova denominazione dell'attuale educatore professionale. A tal fine, stabilisce, in particolare, che l'esercizio delle rispettive attività è consentito solo a chi è in possesso delle relative qualifiche, attribuite all'esito del percorso di studi universitario specificamente indicato, abilitante per le sole figure di pedagogista e di educatore professionale socio-sanitario.
  Attualmente, nell'ordinamento è riconosciuto solo il profilo dell'Educatore professionale.
  In particolare, lo stesso è stato riconosciuto dal Ministero della Sanità attraverso il DM 8 ottobre 1998, n. 520 – regolamento emanato in attuazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 502/1992 – che, nell'individuare le figure professionali ed i relativi profili, relativamente alle aree del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, ha stabilito che «l'educatore professionale è l'operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà». Esso opera all'interno di strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio-educative.
  In base al medesimo DM, la formazione dell'educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del SSN e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici individuate con protocolli d'intesa fra regioni e università. Le università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di medicina e chirurgia, in collegamento con le facoltà di psicologia, sociologia e scienza dell'educazione.
  A sua volta, il decreto interministeriale 27 luglio 2000 ha stabilito che i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa previgente al DM 520/1998 – tra i quali titoli conseguiti al termine di corsi regionali – sono equipollenti al diploma universitario di educatore professionale, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base.
  Con la determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie – avvenuta prima con DI 2 aprile 2001 (ex DM 509/1999) e, successivamente, con DI 19 febbraio 2009 (ex DM 270/2004) – il profilo di Educatore professionale afferisce alle professioni sanitarie dell'area della riabilitazione (classe di laurea L/SNT/2, già classe 2). Il medesimo DI 19 febbraio 2009 ha richiamato esplicitamente il campo di attività previsto per l'educatore professionale dal DM 520/1998.
  Da ultimo, il DPCM 26 luglio 2011 – recependo l'accordo in Conferenza Stato-regioni del 10 febbraio 2011, concernente i criteri e le modalità per il riconoscimento dell'equivalenza ai diplomi universitari dell'area sanitaria – effettuato ai soli fini dell'esercizio professionale, sia subordinato che autonomo – dei titoli del pregresso ordinamento (in attuazione dell'articolo 4, comma 2, legge 42/1999) – ha escluso esplicitamente, tra gli altri, i titoli Pag. 188universitari rilasciati dalla facoltà di Pedagogia/Scienze della Formazione per educatore professionale, conseguiti dopo l'entrata in vigore della legge 42/1999.
   Nel prosieguo del dossier si fa riferimento alla numerazione degli articoli come presente nel testo inviato alle Commissioni per il parere, nel quale sono stati soppressi, durante l'esame in sede referente, gli artt. 8 e 12 del testo iniziale (senza che questo abbia determinato una rinumerazione conseguenziale).
  L'articolo 1 individua le professioni sulle quali il testo unificato interviene. In particolare, esplicita che per l'educatore professionale socio-sanitario continua ad applicarsi, per quanto non espressamente ora previsto, il DM 520/1998. Evidenzia, inoltre, che si intende valorizzare le professioni di educatore socio-pedagogico e di pedagogista, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità, nel quadro degli indirizzi forniti dall'Unione europea in materia di educazione formale, non formale e informale.
   Al riguardo, si ricorda, in particolare, che le Conclusioni 2009/C 119/02 del Consiglio europeo del 12 maggio 2009 su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione («ET 2020»), confermando quanto già evidenziato dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 e dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del giugno 2000 – hanno convenuto che «la cooperazione europea nei settori dell'istruzione e della formazione per il periodo fino al 2020 dovrebbe essere istituita nel contesto di un quadro strategico che abbracci i sistemi di istruzione e formazione nel loro complesso, in una prospettiva di apprendimento permanente», in un quadro, cioè, di «apprendimento in tutti i contesti, siano essi formali, non formali o informali, e a tutti i livelli».
  Nella legislazione nazionale, l'articolo 2 del decreto legislativo 13/2013, richiamato nel testo, definisce l’«apprendimento formale» (che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, o di una certificazione riconosciuta), l’«apprendimento non formale» (caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi di apprendimento formali) e l’«apprendimento informale» (che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell'ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero).
  L'articolo 2 avvia la definizione delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista – entrambe caratterizzate da autonomia scientifica e responsabilità deontologica –, in particolare specificando che il pedagogista è un professionista di livello apicale.
  Entrambe le figure professionali operano nel campo dell'educazione formale e di quella non formale, in regime di lavoro autonomo, subordinato o, ove possibile, mediante forme di collaborazione, svolgendo interventi in vari contesti educativi e formativi, su individui e gruppi (di ogni età), nonché attività didattica, di ricerca e di sperimentazione.
  In particolare, in base al combinato disposto dell'articolo 2, comma 4, e degli artt. 7 e 11, l'esercizio della professione è consentito solo a chi possiede le qualifiche di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista, attribuite all'esito del percorso di studi universitario specificamente indicato che, per il pedagogista, come già detto, è abilitante.
  Lo stesso principio si applica, in base all'articolo 2, comma 4, anche per l'esercizio della professione di educatore professionale socio-sanitario, subordinato al conseguimento dello specifico titolo di studio abilitante.
  Gli articoli 3 e 4 individuano gli ambiti dell'attività professionale, nonché i contesti in cui la stessa è esercitata.Pag. 189
  In particolare, l'articolo 3 specifica che:
   l'educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nei servizi e presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nonché nei servizi socio-sanitari, con riferimento agli aspetti socio-educativi;
   l'educatore professionale socio-sanitario opera nei servizi e presidi sanitari, nonché nei servizi e presidi socio-sanitari (e non anche, come invece attualmente prevede il DM 520/1998, nelle strutture socio-educative).

  Con riferimento agli ambiti prioritari di intervento dell'educatore professionale socio-pedagogico e del pedagogista, fa riferimento ai seguenti: educativo e formativo; scolastico; socio-sanitario e della salute, con riguardo agli aspetti socio-educativi; socio-assistenziale; della genitorialità e della famiglia; ambientale; culturale; sportivo e motorio; giudiziario; dell'integrazione e della cooperazione internazionale.
  L'articolo 4, invece, elenca le diverse tipologie di servizi nei quali l'educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista, in particolare, operano, specificando che possono essere pubblici o privati.
  Si tratta, fra l'altro, di: servizi educativi per lo sviluppo della persona e della comunità territoriale; servizi educativi da 0 a 3 anni; servizi extrascolastici per l'infanzia, nonché per l'inclusione e la prevenzione del disagio e della dispersione scolastica; servizi educativi nelle scuole; servizi per la genitorialità e la famiglia; servizi educativi per le pari opportunità; servizi di consulenza, in particolare in ambito familiare; servizi educativi di promozione del benessere e della salute; servizi educativi, ludici, artistico-espressivi e del tempo libero per soggetti di ogni età; servizi per anziani; servizi di educazione formale e non formale per adulti; servizi per l'integrazione degli immigrati e dei rifugiati e per la formazione interculturale; servizi di educazione ambientale e sui beni culturali; servizi educativi nel campo dell'informazione e della comunicazione; servizi educativi nei contesti lavorativi e nei servizi di formazione, collocamento, consulenza; servizi per la rieducazione e la risocializzazione di soggetti detenuti e servizi di assistenza ai minori coinvolti nel circuito giudiziario e penitenziario; servizi per l'aggiornamento e la formazione iniziale di educatori e di pedagogisti.
  Gli articoli 6 e 10 – declinando quanto già stabilito agli articoli 2, 3 e 4 (ma con alcune differenze lessicali sulle quali è opportuna una riflessione) – precisano le attività professionali e le competenze, rispettivamente, dell'educatore professionale socio-pedagogico e del pedagogista.
  In particolare, all'educatore professionale socio-pedagogico spetta, tra l'altro, programmare, progettare, attuare, gestire e valutare le azioni educative e formative dei servizi pubblici e privati di educazione e formazione, nonché concorrere alla progettazione dei suddetti servizi e di azioni educative rivolte ai singoli soggetti.
  Il pedagogista si occupa – oltre che di azioni pedagogiche rivolte a singoli soggetti –, di progettare, programmare, organizzare e coordinare i servizi pubblici o privati di educazione e formazione, nonché di monitorarli e valutarli.
  I due articoli elencano, inoltre, le specifiche attività attribuite alle due professioni.
   Gli articoli 7 e 11 – cui si è già accennato – disciplinano la formazione universitaria necessaria, disponendo che:
   la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico è attribuita a chi consegue un diploma di laurea nella classe di laurea L-19, Scienze dell'educazione e della formazione;
   la qualifica di educatore professionale socio-sanitario è attribuita a chi consegue un diploma di laurea abilitante nella classe di laurea L/SNT/2, Professioni sanitarie della riabilitazione.
   Le università favoriscono l'attivazione di corsi di laurea interdipartimentali o interfacoltà fra strutture afferenti all'area medica e strutture afferenti all'area delle scienze dell'educazione e della formazione, per il conseguimento di un diploma di laurea nella classe L-19 o nella classe Pag. 190L/SNT/2 e favoriscono il riconoscimento del maggior numero di crediti allo studente che, possedendo già uno dei due titoli, intenda conseguire l'altro;
   la qualifica di pedagogista è attribuita a chi consegue un diploma di laurea magistrale abilitante nelle classi di laurea magistrale: LM-50, Programmazione e gestione dei servizi educativi; LM-57, Scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua; LM-85, Scienze pedagogiche; LM-93, Teorie e metodologie dell'e-learning e della media education.

  Entrambi gli articoli specificano, inoltre, che la formazione universitaria del pedagogista e dell'educatore professionale socio-pedagogico deve essere funzionale al raggiungimento delle conoscenze, abilità e competenze necessarie per lo svolgimento delle attività professionali indicate, rispettivamente, negli artt. 6 e 10.
  La medesima qualifica di pedagogista è attribuita a professori universitari, anche fuori ruolo e in quiescenza, e a dottori di ricerca in pedagogia, anche se in possesso di titoli di studio diversi da quelli indicati, che abbiano insegnato discipline pedagogiche per almeno 3 anni accademici, anche non consecutivi, nelle università italiane o in strutture di particolare rilevanza scientifica anche sul piano internazionale, nonché ai ricercatori universitari a tempo indeterminato (figura che, si ricorda, ai sensi della legge 240/2010, è posta ad esaurimento) in discipline pedagogiche, anche se in possesso di titoli di studio diversi da quelli indicati. In materia, si ricorda che, sulla base dell'articolo 4, comma 2, del DM 270/2004, recante il vigente regolamento sull'autonomia didattica degli atenei, sono stati adottati, il 16 marzo 2007, un DM relativo alla determinazione delle classi delle lauree e un DM relativo alla determinazione delle classi di laurea magistrale.
  In base al primo DM, gli sbocchi occupazionali dei laureati nella classe delle lauree in scienze dell'educazione e della formazione (classe L-19) riguardano attività di educatore e animatore socio-educativo nelle strutture pubbliche e private che gestiscono o erogano servizi sociali e socio-sanitari (residenziali, domiciliari, territoriali) previsti dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (legge 328/2000) e riguardanti famiglie, minori, anziani, soggetti detenuti nelle carceri, stranieri, nomadi, servizi culturali, ricreativi, sportivi, di educazione ambientale.
  Gli stessi laureati possono, inoltre, svolgere attività professionale come formatore, istruttore o tutor nei servizi di formazione professionale e continua, pubblici, privati e del privato sociale, nelle imprese e nelle associazioni di categoria, come educatori nei nidi e nelle comunità infantili, nei servizi di sostegno alla genitorialità, nelle strutture prescolastiche, scolastiche ed extrascolastiche e nei servizi educativi per l'infanzia e per la preadolescenza. In base al DM relativo alle classi di laurea magistrale, i laureati nella classe LM-50 operano nell'area del coordinamento di servizi educativi e socio-assistenziali con il compito, fra gli altri, di progettare, supervisionare e valutare progetti educativi e riabilitativi. Gli sbocchi occupazionali sono principalmente nei servizi alla persona, erogati da enti pubblici o privati, in campo educativo, sociale, sanitario e assistenziale, oltre che, con funzioni di alta responsabilità, in scuole, agenzie di formazione professionale, strutture socio-culturali e socio-educative di enti locali, regioni e pubblica amministrazione, cooperative, associazioni di volontariato, aziende sanitarie e socio-sanitarie.
  I laureati nella classe LM-57 operano nell'area degli interventi e dei servizi formativi rivolti agli adulti e ordinati ad azioni di formazione e aggiornamento, riqualificazione, orientamento e bilancio di competenze, inserimento lavorativo. Gli sbocchi occupazionali sono prevalentemente in istituzioni ed enti pubblici e privati che erogano azioni, interventi e servizi di formazione continua, in aziende private, agenzie ed enti di formazione professionale, servizi alle imprese, servizi Pag. 191per l'impiego, servizi socio-educativi e culturali, organismi del terzo settore, servizi formativi della PA.
  Per i laureati nella classe LM-85 gli sbocchi occupazionali sono in attività di ricerca educativa e di consulenza nella programmazione e gestione di interventi nelle scuole e nei servizi in campo educativo e formativo erogati da enti pubblici e privati e del terzo settore, e organismi di direzione, orientamento, supporto e controllo presso la PA.
  I laureati nella classe LM-93 operano, con funzioni di elevata responsabilità, negli ambienti educativi formali, non formali e informali, nei settori dell'animazione culturale e del tempo libero, nelle organizzazioni socio-assistenziali che operano dell'area del disagio e della rieducazione o del reinserimento sociale, nei settori aziendali ed editoriali della produzione mediale e massmediale, nella formazione dei formatori sui temi media educational, nella formazione di insegnanti e dirigenti scolastici sui temi relativi alle tecnologie comunicative nei contesti scolastici, nelle attività di promozione dell'uso delle tecnologie comunicative. Nello stesso ambito, si ricorda, peraltro, che, con decreti del MIUR, di concerto con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, è stata stabilita l'equiparazione, ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici, tra titoli del vecchio ordinamento (ante DM 509/1999) e titoli ex DM 509/1999 e ex DM 270/2004. In particolare, con decreto interministeriale 9 luglio 2009 è stata stabilita la corrispondenza tra la classe L-19 (ex DM 270/2004) e la classe 18 Scienze dell'educazione e della formazione (ex DM 509/1999). Con ulteriore decreto interministeriale 9 luglio 2009 è stata stabilita l'equiparazione delle classi LM-50, LM-57 e LM-85 (ex DM 270/2004), rispettivamente, alle classi 56/S Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi, 65/S Scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua, 87/S Scienze pedagogiche (ex DM 509/1999).
  In materia di formazione universitaria, interviene anche l'articolo 13 che dispone che entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge i Ministri competenti apportano le necessarie modifiche ai già citati DM 16 marzo 2007 e al già citato DI 19 febbraio 2009.
  Gli articoli 5 e 9 riconoscono all'educatore professionale socio-pedagogico e al pedagogista le conoscenze, competenze e abilità proprie, rispettivamente, delle aree di professionalità del 6o e 7o livello del Quadro europeo delle qualifiche. Sull'argomento, si ricorda che il 23 aprile 2008 è stata adottata la Raccomandazione europea del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF: European Qualifications Framework) con la quale gli Stati membri sono stati invitati a rapportare i sistemi nazionali delle qualifiche al Quadro europeo entro il 2010 e ad adottare misure affinché entro il 2012 i nuovi certificati di qualifica, i diplomi e i documenti Europass contenessero un chiaro riferimento all'appropriato livello del EQF. Quest'ultimo è strutturato secondo otto livelli di riferimento, declinati in conoscenze, abilità e competenze.
  Per quanto concerne l'Italia, il 20 dicembre 2012, in sede di Conferenza Stato-Regioni, è stato sottoscritto un accordo – recepito con decreto interministeriale 13 febbraio 2013 – con il quale è stato adottato il «Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al EQF». In base a tale accordo, la laurea e il diploma accademico di I livello sono riferiti al livello 6 del EQF, mentre la laurea magistrale, il diploma accademico di secondo livello, il master universitario di primo livello, il diploma accademico di specializzazione e il diploma di perfezionamento o master sono riferiti al livello 7 del EQF. Al riguardo, si veda anche il comunicato stampa del MIUR del 1o febbraio 2013.
  L'articolo 14 dispone, di particolare interesse per le competenze della Commissione Attività produttive, che le professioni di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista rientrano fra le professioni non organizzate in ordini o Pag. 192collegi, di cui alla legge n. 4/2013. L'articolo 1, comma 2, della legge 4/2013 dispone che per «professione non organizzata in ordini o collegi» si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo. Individua, inoltre, esplicitamente alcune esclusioni: si tratta delle attività (intellettuali) riservate per legge agli iscritti in albi o elenchi, ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative. La legge dispone, altresì (articolo 2), che coloro che esercitano la professione possono costituire associazioni professionali di natura privatistica – caratterizzate dall'assenza di scopo di lucro (articolo 5, comma 1, lett. f) –, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. In sostanza, la legge 4/2013 ha previsto l'autoregolamentazione volontaria per la qualifica delle figure professionali, anche indipendentemente dall'adesione dei soggetti che esercitano le professioni ad una delle associazioni. In particolare, la qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI (d'ora in avanti: norme tecniche UNI), di cui alla direttiva 98/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998. Le associazioni professionali e le forme aggregative delle stesse associazioni – il cui elenco è pubblicato sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico – collaborano all'elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, e possono promuovere la costituzione di organismi accreditati di certificazione della conformità per i settori di competenza. Tali organismi – accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento per gli organismi di certificazione ACCREDIA – possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista, anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alle norme tecniche UNI definite per la singola professione. Le associazioni professionali, invece, possono rilasciare ai propri iscritti un'attestazione relativa, tra l'altro, agli standard qualitativi e di qualificazione professionale necessari per il mantenimento dell'iscrizione all'associazione e all'eventuale possesso della certificazione di conformità alle norme tecniche UNI. Il possesso dell'attestazione non rappresenta requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale. Dispone, altresì, che le stesse professioni di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista sono inserite negli elenchi e nelle banche dati dei soggetti deputati alla classificazione e alla declaratoria delle professioni, nonché nel repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali. Al fine indicato, sono attivati specifici codici professionali – anche per l'educatore professionale socio-sanitario – ed è unificata la classificazione delle professioni di CNEL, ISFOL, ISTAT, Ministeri, regioni e altri organismi autorizzati. A tale classificazione devono attenersi anche gli organismi di accreditamento e certificazione della qualità, le associazioni professionali e i singoli professionisti. Al riguardo, si ricorda, anzitutto, che la Commissione europea, con raccomandazione 29 ottobre 2009 (2009/824/EC), ha adottato la nuova classificazione internazionale delle professioni, inducendo i paesi membri a elaborare dati statistici in materia di lavoro secondo la classificazione ISCO08 o secondo una classificazione nazionale da essa derivata. Per l'Italia, l'ISTAT ha conseguentemente aggiornato la precedente tassonomia (CP2001), adottando la nuova nomenclatura e classificazione delle professioni CP2011. L'obiettivo della CP2011 è fornire uno strumento per ricondurre le professioni esistenti all'interno di un numero limitato di raggruppamenti, da utilizzare per comunicare, diffondere e scambiare dati statistici e amministrativi sulle Pag. 193professioni, comparabili a livello internazionale. Di conseguenza, come indicato anche nella premessa, la classificazione non può in alcun modo essere considerata uno strumento normativo per il riconoscimento istituzionale di talune professioni o per la determinazione di standard retributivi e delle condizioni di impiego. I livelli di competenza previsti dalla classificazione internazionale delle professioni ISCO08, ripresi sostanzialmente dalla CP2011, sono quattro e vengono definiti operativamente considerando la natura del lavoro che caratterizza la professione, il livello di istruzione formale (così come descritto dalla classificazione internazionale Isced97) e l'ammontare di formazione o di esperienza richieste per eseguire in modo adeguato i compiti previsti. Il principio della competenza delinea un sistema classificatorio articolato su 5 livelli di aggregazione gerarchici. In particolare, i nove grandi gruppi, che rappresentano il livello di classificazione più elevato, contengono 37 gruppi che, a loro volta, racchiudono 129 classi. Queste sono ulteriormente disaggregate in 511 categorie, all'interno delle quali sono comprese 800 unità professionali. Tra queste:
   l'unità professionale 3.2.1.2.7 è relativa agli Educatori professionali;
   l'unità professionale 3.4.5.2.0 è relativa ai Tecnici del reinserimento e dell'integrazione sociale, e comprende le professioni di: Addetto all'infanzia con funzioni educative; Assistente di atelier creativo per bambini; Assistente per le comunità infantili; Educatore professionale sociale; Esperto assistenza anziani attivi; Esperto reimpiego pensionati; Esperto reinserimento ex carcerati; Mediatore interculturale; Tecnico della mediazione sociale; Tecnico per l'assistenza ai giovani disabili;
   l'unità professionale 2.6.5.3.2 è relativa agli Esperti della progettazione formativa e curricolare, e comprende le professioni di: Coordinatore di settore nella formazione; Coordinatore progettista nella formazione; Esperto di processi formativi; Esperto nuove tecnologie per insegnamento; Formatore specialista di contenuti; Pedagogo; Progettista corsi di formazione; Responsabile sistemi e-learning (distance learning manager).

  Segnala, inoltre, che ISFOL e ISTAT hanno realizzato il Sistema informativo sulle professioni, finalizzato a fornire informazioni sull'occupazione e sulle caratteristiche delle professioni presenti nel mercato del lavoro. Il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali è previsto dal già citato decreto legislativo 13/2013. In particolare, al fine di uniformarsi alle direttive europee, favorire la mobilità, l'incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, nonché la spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo, l'articolo 8 ha istituito il repertorio citato, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali dei titoli di istruzione e formazione, compresi quelli di istruzione e formazione professionale, e delle qualificazioni professionali.
  L'articolo 15 reca norme finali e transitorie. In particolare, dispone, anzitutto, che la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico è attribuita (direttamente) a chi, alla data di entrata in vigore della legge, è in possesso di un diploma o di un attestato che, entro 90 giorni dalla medesima data, è riconosciuto equipollente a un diploma di laurea della classe L-19. A tal fine, prevede l'emanazione di un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. È, altresì, attribuita (direttamente) a coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, sono assunti con contratto a tempo indeterminato negli ambiti professionali indicati nel testo, che abbiano almeno 50 anni di età o 25 anni di servizio. Prevede, infine, che, in via transitoria – evidentemente in casi diversi da quelli sopra indicati – la medesima qualifica è acquisita, previo superamento di un corso intensivo di formazione di almeno un Pag. 194anno, da svolgersi presso le università, anche tramite la formazione a distanza, da chi sia inquadrato nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, con il profilo di educatore, a seguito di un pubblico concorso, ovvero da chi abbia svolto l'attività di educatore per almeno 3 anni, anche non continuativi. Per questa seconda fattispecie dispone che l'attività svolta è dimostrata con dichiarazione del datore di lavoro, ovvero con autocertificazione.
  Le modalità di accesso e di svolgimento del corso e della prova scritta finale devono essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
  L'articolo 16, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria.

  Ettore Guglielmo EPIFANI, presidente, sottolinea come il provvedimento in titolo sia molto atteso dagli operatori del settore.
  Nessuno chiedendo di parlare, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.50

SEDE REFERENTE

  Martedì 19 aprile 2016. — Presidenza del presidente Ettore Guglielmo EPIFANI.

  La seduta comincia alle 14.50.

Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata.
C. 3337 Cancelleri.
(Seguito dell'esame e rinvio – Abbinamento della proposta di legge C. 3258).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 7 aprile 2016

  Ettore Guglielmo EPIFANI, presidente, avverte che l'11 aprile 2016 è stata assegnata alla Commissione, la proposta di legge C. 3258 d'iniziativa del deputato Minardo recante: «Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant)». Poiché la suddetta proposta di legge reca materia identica a quella della proposta di legge C. 3337 Cancelleri, ne dispone l'abbinamento, ai sensi dell'articolo 77, comma 1, del regolamento.

  Angelo SENALDI (PD), relatore, illustra il contenuto della proposta di legge C. 3258 Minardo volta a disciplinare l'attività diretta all'erogazione del servizio di ristorazione all'interno di immobili destinati ad abitazione. La proposta di legge si compone di 6 articoli.
  L'articolo 1 reca la definizione dell'attività di home restaurant e individua quale scopo della legge la valorizzazione della cultura del cibo tradizionale e la cultura del prodotto tipico e del territorio.
  L'articolo 2 stabilisce i requisiti lo svolgimento dell'attività di home restaurant sottolineando che i soggetti coinvolti si avvalgono della propria organizzazione familiare e utilizzano parte dell'immobile destinato ad abitazione che devono possedere i requisiti igienico-sanitari per l'uso abitativo previsti dalle leggi e dai regolamenti vigenti. Devono possedere l'attestato dell'analisi dei rischi e dei punti critici di controllo (HACCP), in materia di igiene e sicurezza alimentare. L’home restaurant costituisce attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande cui si applica il comma 6 dell'articolo 3 della legge 25 agosto 1991, n. 287.
  L'articolo 3 reca gli adempimenti necessari per l'avvio dell'attività di home restaurant tra i quali la segnalazione certificata di inizio attività.
  L'articolo 4 dispone in materia di regime fiscale. All'attività di home restaurant si applica il regime fiscale e previdenziale previsto dalla normativa vigente per le attività saltuarie. 2. Nel caso in cui l'attività di home restaurant da saltuaria sia trasformata in abituale ovvero al superamento di euro 10.000 di reddito annuo Pag. 195si applica l'articolo 4, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e i soggetti esercenti l'attività di home restaurant devono presentare la dichiarazione dei redditi, devono essere muniti di partita dell'imposta sul valore aggiunto e devono iscriversi alla gestione per gli artigiani e i commercianti istituita presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
  L'articolo 5 stabilisce i requisiti di accesso e di esercizio dell'attività di home restaurant.
  L'articolo 6 reca disposizioni in materia di regime previdenziale e fiscale. Al comma 1 si stabilisce che per l'anno in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per i quattro anni successivi, per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti dai soggetti che svolgono attività di home restaurant che abbiano un reddito annuo non superiore a 30.000 euro, non si applicano il reddito minimo imponibile previsto ai fini del versamento dei contributi previdenziali dall'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, nonché il livello minimo contributivo previsto dall'ente gestore della forma di previdenza obbligatoria alla quale sono iscritti.
  Con riferimento alle disposizioni recate dalla proposta di legge Cancelleri C. 3337, segnala le seguenti differenze di contenuto:
   non è previsto per l’home restaurant un limite né di stanze né di coperti, sebbene si preveda che l'attività utilizza parte dell'abitazione;
   l'attività non è considerata saltuaria al superamento di euro 10.000 di reddito annui e sono indicati gli obblighi da adempiere se si verifica il superamento di questa soglia (articolo 4);
   si richiama esplicitamente l'articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante requisiti professionali ed impossibilità di svolgere l'attività (articolo 5);
   è previsto un regime previdenziale e fiscale di favore per quegli esercizi non rientranti per ragioni di reddito tra gli home restaurant saltuari, ma il cui reddito non supera i 30 mila euro (articolo 6).

  Ettore Guglielmo EPIFANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.