CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 6 aprile 2016
621.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 7

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

  Mercoledì 6 aprile 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO.

  La seduta comincia alle 13.50.

Sugli esiti della riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione diritti della donna e uguaglianza di genere (FEMM) del Parlamento europeo avente ad oggetto «Donne rifugiate e richiedenti asilo nell'Unione europea» (Bruxelles, 3 marzo 2016).

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ricorda che lo scorso 3 marzo, la deputata Dieni, in rappresentanza della I Commissione, ha effettuato una missione a Bruxelles per partecipare alla riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione diritti della donna e uguaglianza di genere (FEMM) del Parlamento europeo avente ad oggetto «Donne rifugiate e richiedenti asilo nell'Unione europea».
  In esito allo svolgimento della missione, la deputata Dieni presenta una relazione sui temi oggetto della predetta riunione (vedi allegato 1).

  Federica DIENI (M5S) esprime soddisfazione per aver potuto partecipare a una riunione su un tema di grande rilevanza Pag. 8sul quale auspica che la Commissione possa intervenire con maggiore frequenza.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nel condividere l'auspicio della collega Dieni, fa presente di aver avuto contatti con la relatrice, deputata Barbara Pollastrini, al fine della ripresa dell'esame del provvedimento sui minori non accompagnati.

  La seduta termina alle 13.55.

SEDE REFERENTE

  Mercoledì 6 aprile 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO indi della vicepresidente Roberta AGOSTINI. – Interviene la sottosegretaria di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Sesa Amici.

  La seduta comincia alle 14.40.

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
C. 2613-D cost. Governo, approvato, in seconda deliberazione, dal Senato con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, ulteriormente modificato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 5 aprile 2016.

  Emanuele COZZOLINO (M5S) rileva che ormai si è giunti alle ultime battute parlamentari di una riforma che si presentava come rivoluzionaria, ma che, come risultato più eclatante, ha ridotto il Senato a una sorta di «dopolavoro». Ricorda che la ferma opposizione del suo gruppo, anche con gesti estremi di protesta come il salire sul tetto di Montecitorio, aveva impedito l'approvazione di una legge costituzionale che derogava alle disposizioni dell'articolo 138 della Costituzione. In questo caso all'opposizione non resta che promuovere, quale strumento costituzionale di garanzia delle minoranze, il referendum confermativo, sempre che il Governo non se ne appropri, come pare sia sua intenzione. Si tratta di una riforma non condivisa, approvata alla Camera in prima lettura dalla sola maggioranza, dopo che le opposizioni avevano abbandonato l'Aula. È una riforma che centralizza il potere decisionale in mano di una sola persona, cosa d'altronde che già avviene, come dimostra la vicenda della Basilicata con la decisione di considerare strategici determinati impianti. Se poi si legge la riforma costituzionale in combinazione con la legge elettorale, si accentua il carattere di potere personalistico del nuovo sistema, con i pericoli che ne conseguono. Evidenzia come non a caso la stessa ANPI (Associazione nazionale partigiani d'Italia) ha aderito all'iniziativa referendaria per il no alla riforma. Ritiene inoltre che una Costituzione nata dalla mediazione tra le forze politiche nel dopoguerra non avesse bisogno di una revisione, ma di essere attuata. Si tratta di un testo ancora attuale e semplice nella redazione. Sottolinea infine il comportamento del suo gruppo, non solo oppositivo ma anche propositivo, con la presentazione di pochi e mirati emendamenti nell'ambito delle precedenti letture sul provvedimento.

  Stefano QUARANTA (SI-SEL) ritiene che la situazione sia ormai compromessa, dato che siamo di fronte a un passaggio meramente formale. Ormai, quindi, non resta che lasciare la parola ai cittadini con un referendum confermativo, a cui sono legati effetti di natura politica. Nonostante ciò, ritiene necessario lasciare agli atti un intervento sul disegno di legge di riforma della Costituzione. Preliminarmente, nel temere che questo sarà l'ultimo 25 aprile Pag. 9festeggiato in vigenza della Costituzione nata dalla Resistenza, si chiede quale sarà il giudizio dei posteri sulla riforma costituzionale in esame. A suo avviso si tratta di una riforma con una pochezza di impianto culturale che la rende strampalata, superficiale, contraddittoria e imbarazzante. Imbarazzo che aumenta se si pensa che la riforma è stata promossa da un sedicente leader di centro-sinistra che ha creato un sistema di fiducia politica permanente e che ha utilizzato, per approvare la riforma, il premio di maggioranza ottenuto con una legge dichiarata incostituzionale. Così, con un margine stretto, è stato modificato nel suo complesso un terzo della Carta costituzionale, e su tale modifica complessiva i cittadini si potranno esprimere con un sì o con un no. È inoltre un referendum che si sta delineando con un plebiscito su di una persona e non come una discussione sul merito, cosa che è sintomo di decadenza politica. Sottolinea come le ragioni addotte a difesa della riforma siano di carattere populistico, come la riduzione dei costi della politica e il presunto aumento dell'efficienza delle istituzioni e della semplificazione dei procedimenti. Ritiene il tutto risibile di fronte a un Senato con cinque tipologie di senatori e del quale non si comprende il funzionamento. Non si comprende inoltre come potranno funzionare i Consigli regionali, quando molti loro consiglieri – nel caso della Lombardia 14 – svolgeranno le funzioni di senatori. Inoltre si è creato un Senato delle autonomie, mentre nel contempo si è riaperta in chiave centralistica la questione del Titolo V e del riparto di competenze tra Stato e Regioni.
  Rileva come nel passaggio parlamentare non sia stato possibile inserire neanche correttivi minimi, quali la riduzione dell'età minima per l'elettorato attivo e l'abolizione dei senatori a vita.
  Ma l'aspetto peggiore del disegno complessivo di riforma del sistema è stata la scelta di approvare prima la legge elettorale, quindi una legge ordinaria, che ha dato il segno alla riforma costituzionale. È un sistema basato sull'assioma di conoscere il nome del partito vincitore la sera stessa delle elezioni, assioma incompatibile con un sistema parlamentare e valido per elezioni monocratiche. Inoltre con il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza con il ballottaggio, non si avrà una dittatura della maggioranza, ma di una minoranza che anche con una bassa percentuale al primo turno, potrà ottenere tale premio. Si avrà così una forza che controlla deputati nominati, detenendo così il controllo sul potere legislativo e che, con la clausola di supremazia, riduce il potere delle Regioni. Si tratta, quindi, di un disegno inedito e pericoloso, che genera preoccupazioni se inserito nel complessivo sistema di governance europeo, sistema che, a suo avviso, preferisce avere come interlocutori governi autoritari più facili da controllare.
  In conclusione ribadisce la pochezza culturale della riforma e ritiene che il Presidente del Consiglio non sarà assolutamente ricordato come un grande riformatore.

  Federica DIENI (M5S) sa perfettamente che non vi è argomentazione che possa indurre la maggioranza a recedere dal suo intento di continuare lungo la china imboccata. È tuttavia suo dovere morale continuare a mettere in guardia, anche per lasciare agli atti la netta contrarietà del Movimento 5 Stelle rispetto a uno dei troppi provvedimenti della legislatura, e questo è forse il più importante, che porteranno l'Italia verso un ordinamento caotico e vulnerabile rispetto a progetti autocratici. Ovviamente tutto ciò, a suo avviso, sembra oggi un paradosso. Fa presente che siamo talmente abituati a vivere in questo sistema da sentirci liberi, dal dare per scontato che non ne possano esistere differenti, più democratici e partecipativi. Ma nel contempo siamo anche portati a pensare che gli spazi di libertà di cui ancora disponiamo siano eterni. Purtroppo la storia ci insegna che democrazia e libertà si perdono proprio quando si crede che siano acquisiti, quando si smarrisce uno spirito di vigilanza e di attenzione. Questo avviene soprattutto quando Pag. 10non si è più disposti a lottare, quando ci si è abituati a dire troppi sì e si è dimenticato l'orgoglio e la responsabilità insito in un no. Ritiene che sia la capacità di saper contrastare scelte sbagliate che dà la prerogativa di essere uomini liberi. La rinuncia, la continua sudditanza invece intorpidisce l'anima e rende schiavi: schiavi di una poltrona, schiavi dei benefici economici, del proprio orticello, di uno spazio di potere. Non crede che questo tipo di ragionamento possa smuovere i colleghi di maggioranza. Anche quelli che qualche dubbio sulla bontà di questa riforma se lo pongono – e ce ne sono – tranquillizzano la propria coscienza con parole confortanti e «ragionevoli» come «realpolitik» ovvero pronunciando frasi del tipo «bisogna essere concreti e non sognatori quando si ricopre un ruolo come quello del parlamentare» ovvero «in fondo la politica stessa non è l'arte del compromesso ?». Invita i colleghi di maggioranza a continuare pure a dormire sonni sereni, a tacitare la voce della consapevolezza di sbagliare. Anche se questa riforma è, a suo avviso, come minimo un pasticcio, un testo scritto male che inserisce in Costituzione meccanismi farraginosi, complicati e poco trasparenti. Ritiene che, alla fine, ciò che i colleghi di maggioranza raccontano a se stessi è che «non è poi la fine del mondo» e che «qualcosa di buono in questa riforma c’è». Eppure, a suo avviso, non bisogna essere dei geni per sapere quello che succederà se il referendum costituzionale confermerà questo testo. Tuttavia considera chiaro che, come minimo, si avrà un procedimento di approvazione delle leggi che amplierà il mercato delle vacche che già caratterizza le nostre Camere. Gli interessi, a suo avviso, si moltiplicheranno e sarà complicato comprendere secondo quali logiche si muoveranno dei senatori-consiglieri regionali che potranno trattare in separata sede le condizioni di un loro avvallo ai disegni di legge. Osserva che questi accordi non si prenderanno certo in un Senato che i neosenatori non vedranno se non per pochissimi giorni al mese. Fa presente che il presidente del consiglio che è un fan della «disintermediazione» riesce in questo modo a spostare ancor più fuori dal Parlamento, come se ce ne fosse bisogno, la sede delle decisioni.
  Questo, come ha già detto, va a cumularsi con un'altra serie interminabile di riduzioni di spazi di democrazia. Province e Senato non saranno da loro rimpianti di certo. Ma avrebbe voluto che le possibilità di dibattito democratico che essi nonostante tutto consentivano, fossero spostati verso i cittadini e non verso le segreterie dei Partiti. Il suo gruppo ha proposto l'allargamento del ricorso alla democrazia diretta, della trasparenza nei processi decisionali. Il Presidente Renzi e il suo Governo, invece, hanno preso questi spazi e li hanno ingurgitati. La legge cosiddetta Italicum, che premia il partito di maggioranza relativa riducendo parallelamente le sedi di confronto, è, a suo avviso, l'anticamera di una dittatura. Ritiene che, se anche i colleghi di maggioranza fossero in buona fede, non potrebbero in cuor loro escludere che questa porta spalancata venga utilizzata in futuro da altri.
  Passando a un punto, a suo avviso, particolarmente significativo, ritiene che la strumentalizzazione delle garanzie democratiche che sta compiendo la maggioranza, e in particolare il Partito Democratico, diventa emblematica nel caso dell'indizione del referendum per la conferma della riforma ai sensi dell'articolo 138. Sottolinea con chiarezza che non è compito della maggioranza richiedere quel referendum. Fa presente che la previsione della Costituzione secondo cui un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o Cinque consigli regionali possano chiedere il referendum, ove la riforma non sia approvata col quorum previsto, rende evidente che tale consultazione non sia una prerogativa della maggioranza che ha votato la modifica, ma dell'opposizione. Al riguardo, desidera ricordare una riflessione del professor Roberto Romboli, in cui ribadisce, per l'appunto, che, anche secondo le intenzioni del costituente desumibili in sede di approvazione del testo della Costituzione, «tale referendum nasce» – cita testualmente – Pag. 11«con lo scopo principalmente di garantire e tutelare le minoranze parlamentari, alle quali è riconosciuta la facoltà di richiedere il ricorso al corpo elettorale, allorché abbiano a percepire la revisione costituzionale come lesiva dei loro diritti.» Si tratta – prosegue nella citazione – di «un referendum di minoranza e a tutela della minoranza, di opposizione alla maggioranza espressa dai rappresentanti in Parlamento, avente lo scopo di dimostrare che alla maggioranza parlamentare non corrisponde quella del corpo elettorale, il quale ha così l'opportunità di smentire i propri rappresentanti». La stessa Assemblea costituente, quindi, ebbe ben presente la necessità di bilanciare la fondamentale scelta operata a favore della rigidità della Costituzione con la possibilità di portare alla stessa le modifiche che con il tempo si sarebbero inevitabilmente rese necessarie e, a tal fine, assicurando la partecipazione e l'intervento del popolo nel procedimento di revisione costituzionale. Per la realizzazione di tale finalità, si scelse proprio un intervento diretto dei cittadini, attraverso il referendum.
  Desidera al riguardo brevemente ricordare l'anomalia che ha caratterizzato il referendum del 2001 sul titolo V, rappresentata dal fatto che il ricorso alla votazione popolare fu richiesto anche dalla stessa maggioranza di centrosinistra che aveva votato in Parlamento la riforma, contraddicendo con ciò la natura oppositiva e di strumento di minoranza propria. A ciò si aggiungeva l'altra anomalia dovuta al comportamento delle forze politiche di centrodestra che avevano votato contro la riforma, le quali pure avevano richiesto il referendum, con il dichiarato scopo, non tanto di voler conservare il contenuto della Costituzione vigente, quanto di voler andare oltre nella modifica della stessa.
  Tornando alla revisione della riforma oggi in discussione, rileva come la maggioranza, quindi, proponendosi di raccogliere le sottoscrizioni per indire il referendum, non solo intenda appropriarsi delle prerogative della minoranza, ma anche stroncarle. Nel contempo la maggioranza, a suo avviso, vuole prendersi anche i suoi spazi, previsti per legge. Si chiede allora come ci si possa fidare dei colleghi di maggioranza quando danno garanzie sulla tenuta democratica del sistema e si comportano nel modo esattamente opposto.
  Chiede ufficialmente alla maggioranza, a nome del suo gruppo, di desistere da questo intento. Rileva che se si vuole imporre una riforma non ci si può accaparrare anche degli spazi costituzionalmente garantiti a chi è contrario ad essa. Se invece la maggioranza intende procedere, al contrario, non avrà alcuna ragione per dire che il suo gruppo esagera quando utilizza il termine «dittatura». La dittatura, infatti, a suo avviso, non è solo quella di un uomo solo, magari in divisa militare, ma come spiega la politologia è anche «la dittatura della minoranza». Ricorda che Cicerone diceva: «Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d'essere superiore alle leggi». Auspica, quindi, che i colleghi di maggioranza dimostrino di essere buoni cittadini e di rispettare la madre di tutte le leggi. Sottolinea, infine, che ha svolto in questa sede l'intervento che non potrà svolgere durante l'esame del provvedimento in Assemblea a causa della sospensione che le è stata comminata dall'Ufficio di Presidenza. In considerazione della rilevanza del dibattito sulle riforme costituzionali, si sarebbe aspettata che la Presidente Boldrini posticipasse l'avvio dell'esame in Assemblea del disegno di legge al fine di permettere a tutti i deputati colpiti dalla sanzione della sospensione dai lavori di prendervi parte.

  Cristian INVERNIZZI (LNA) concorda con quasi tutte le affermazioni dei colleghi delle opposizioni e sul fatto che quello in corso sia un passaggio meramente formale.
  Sottolinea come il procedimento di riforma della Costituzione sia avvenuto nel silenzio paradossale di chi, solo poco tempo fa, sosteneva che la nostra Carta costituzionale, la più bella del mondo, non potesse essere toccata. Una Costituzione nata dalla convergenza di tutte le forze Pag. 12democratiche, mentre questa riforma è opera di una sola persona che vuole fondare una nuova Repubblica, sul modello di Charles De Gaulle, senza averne il carisma né tantomeno l'appoggio popolare. Ricorda, infatti, come De Gaulle, ritiratosi dal Governo, fu richiamato dopo cinque anni e fu allora che riformò la Costituzione, dimostrando le sue doti di statista.
  Ritiene che la riforma costituzionale non durerà a lungo. Prima di tutto perché non risponde alle esigenze dei cittadini italiani, esigenze che nascono dall'esistenza di una questione settentrionale e di una meridionale, questioni che non necessitano di una visione centralista. Ma essenzialmente non durerà a lungo per il metodo che è stato usato per approvarla, a maggioranza e con il contributo di numerosi parlamentari provenienti da altri schieramenti. Si tratta, infatti, di un precedente che potrà essere utilizzato da futuri Presidenti del Consiglio che non sono espressione dell'attuale maggioranza, ma, ad esempio, della sua parte politica, per riformare a sua volta la Costituzione. Vengono inoltre messi in mano a una sola persona strumenti costituzionali di potere, magari a un leader con lo stesso «pelo sullo stomaco» e con la stessa «stima» verso il Parlamento dell'attuale Presidente del Consiglio, come denotato dall'atteggiamento arrogante dimostrato proprio alla Camera nel corso della prima lettura del disegno di legge di riforma costituzionale. Sottolinea, inoltre, come proprio coloro che si ergono a custodi della democrazia stiano preparando il terreno a forme potenzialmente autoritarie.
  Rileva come non sia vero che il bicameralismo non funzioni, come dimostra il sistema degli Stati Uniti d'America, dove tale sistema funziona, grazie e ai giusti contrappesi che fanno sì che il Presidente, che ha notevoli poteri, si debba confrontare con un Parlamento con una maggioranza eventualmente diversa. È quella che viene definita la fatica della politica, mentre in Italia si è scelta la strada di un sistema sostanzialmente monocamerale con la maggioranza espressione del Presidente del Consiglio. Ricorda come, anche nell'Assemblea costituente, si ebbero momenti di confronto acceso.
  Con riguardo al nuovo Senato, non si capisce la sua funzione e, a suo avviso, i consiglieri regionali dovrebbero svolgere solo il loro ruolo. In sostanza sarebbe stato meglio abolire il Senato a favore di un vero sistema monocamerale.
  Ma la sua preoccupazione vera non è legata alla figura del Presidente del Consiglio ma al confronto con altri Paesi europei che viaggiano a una velocità maggiore della nostra. Si chiede, quindi, quale sarà il futuro del nostro Paese tra venti anni.

  Emanuele FIANO (PD) intervenendo sull'ordine dei lavori, ritiene accettabile qualsiasi critica politica, ma ritiene anche che debba essere rispettata la funzione esercitata dalla quarta carica dello Stato.

  Francesco Paolo SISTO (FI-PdL) ritiene singolare la discussione su un provvedimento non modificabile, cosa che rende gli interventi in questa fase un esercizio di resistenza culturale senza incidenza.
  Osserva che la sua valutazione sul provvedimento è negativa prima di tutto su un piano metodologico, per la personalizzazione politica e per l'assenza di condivisione. Non apprezza poi la banalizzazione e il demansionamento che vengono portati avanti. Ma il vulnus maggiore è, a suo avviso, la mancanza di rispetto per una Costituzione che è l'orgoglio del Paese anche per il modo come è nata. Trova inaccettabile che non venga rispettato quello che equivale a un testo sacro solo per un tornaconto personale. Reputa inoltre inaccettabile che il Governo tenda a forzare la volontà del Paese con pressioni legate agli effetti politici dell'esito del referendum.
  Per comprendere poi il valore o il disvalore del disegno di legge di riforma, bisogna inserirlo nel contesto attuale, fatto di un abuso del ricorso alla decretazione d'urgenza e alle leggi di delegazione, nonché della posizione della questione di fiducia. È un sistema che crea l'abitudine Pag. 13alla patologica percussione dei meccanismi parlamentari. L'effetto è la discussione di pochi provvedimenti e che si grida allo scandalo quando vengono approvati emendamenti con una loro logica, come nel caso dell'omicidio stradale, ma che modificano la linea tenuta dal Governo.
  Ricorda che il suo gruppo, anche nella fase in cui collaborava con la maggioranza per una riforma condivisa, è stato sempre contrario al meccanismo di elezione dei senatori. Il risultato finale è una formula equivoca, un punto interrogativo che, a seconda di come sarà sciolto, avrà conseguenze sull'equilibrio complessivo della riforma. Inoltre, il ruolo dei senatori sindaci o consiglieri regionali, portatori di diversi interessi, potrà inoltre inceppare la macchina di questo monocameralismo partecipato. Un problema più grave del conflitto d'interessi, il cui testo di legge approvato dalla Camera è ritenuto dal Governo uno dei suoi fiori all'occhiello.
  Per leggere la riforma costituzionale nel contesto di altre riforme, prende a modello il libro di Joël De Rosnay «Il macroscopio», volto a fornire una visione globale dei fenomeni. E in questo quadro si devono guardare infatti non solo la legge elettorale, ma anche i provvedimenti adottati o in corso di discussione sui partiti politici, dato che sono organismi garanti della democrazia. La sottrazione di risorse pubbliche a tali organismi ha creato a suo avviso un danno incalcolabile alla democrazia.
  Reputa che tutto il sistema di personalizzazione avrà come effetto quello di trasformare organismi democratici di controllo in organismi garanti del potere. Anche la costante tendenza all'eliminazione o all'indebolimento di corpi intermedi quali segretari comunali, camere di commercio e organi di giustizia amministrativa, toglie ammortizzatori posti a difesa dei cittadini. Osserva poi come la Costituzione non debba dipendere dalla politica, ma che questa debba dipendere dalla Costituzione e come vadano recuperati i canoni di garanzia della Costituzione del 1948. Auspica che il referendum si volga su temi propri del contenuto della riforma e auspica altresì un'informazione chiara ai cittadini.

  Giuseppe D'AMBROSIO (M5S) ricorda che il gruppo del Movimento 5 Stelle ha posto l'accento sull'opportunità di procedere alle riforme costituzionali considerato che questa legislatura è nata monca per via della dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge elettorale da parte della Corte costituzionale. A ciò aggiunge che il Governo basa la sua maggioranza sui voti di moltissimi parlamentari che hanno cambiato casacca. Ritiene, pertanto, che gli attori in campo testimoniano la mancanza di credibilità del sistema politico, circostanza che avrebbe suggerito in modo opportuno di non proseguire nel percorso riformatore. Sottolinea che se l'obiettivo dichiarato della riforma costituzionale in discussione, secondo il Presidente del Consiglio, era quello di tagliare la macchina burocratica dello Stato, è stato palesemente smentito. È evidente, infatti, che il risparmio sbandierato dal medesimo Presidente del Consiglio, derivante dalla cosiddetta abolizione del Senato, pari a 1 miliardo di euro, è assolutamente irrealizzabile. Quanto poi all'affermazione relativa alla riduzione dei tempi del procedimento legislativo operata dal testo di riforma in esame, si tratta, a suo avviso, di un'ulteriore proposizione priva di fondamento. Sottolinea al riguardo che quando il Parlamento, come nel caso della legge sul finanziamento dei partiti, vuole approvare in fretta una proposta di legge, lo fa in tempi brevissimi. Quando, invece, come nel caso della legge sul contrasto alla corruzione, il Parlamento vuole rallentare il percorso legislativo, i tempi diventano biblici. È evidente quindi che i tempi del procedimento legislativo sono legati solo alla volontà politica. Evidenzia che il gruppo Movimento 5 Stelle ritiene che la revisione della Costituzione non sia una priorità per il Paese. Osserva che il Governo stesso attribuisce valore a questa riforma attraverso un vero e proprio ricatto politico, legando infatti la sua esistenza all'approvazione del testo Pag. 14oggi in discussione. Rileva che il Senato, lungi dall'essere abolito, come peraltro aveva suggerito il suo gruppo, diverrà un pericoloso ago della bilancia nel sistema democratico del nostro Paese. Fa presente che ancora una volta lo strumento del referendum popolare viene violentato, come è accaduto nel caso del referendum sulle trivelle, da parte dell'Esecutivo. Anche nel caso del disegno di legge di modifica della Costituzione un fondamentale strumento di democrazia diretta perde valore, poiché non deve essere la maggioranza a farsi promotrice del referendum ex articolo 138 al fine di legare la sua sorte all'esito favorevole della tornata referendaria. Il referendum confermativo di cui al citato articolo 138 è infatti uno strumento posto a garanzia delle opposizioni. In tal modo, a suo avviso, si creano pericolosi precedenti e lo sorprende che tale comportamento sia tenuto da una forza politica che fino a pochi anni fa scendeva in piazza a difendere la nostra Costituzione, definendola la più bella del mondo. Chiede pertanto alla maggioranza di fare un passo indietro e lasciare alle opposizioni il compito, ove lo ritengano necessario, di promuovere il referendum confermativo.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione.
Testo base C. 1202 Arlotti e C. 915 Gianluca Pini.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 10 marzo 2016.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, avverte che sono state presentate proposte emendative al provvedimento in esame (vedi allegato 2).

  Marilena FABBRI (PD), relatrice, chiede alla Commissione di valutare la possibilità di posticipare l'esame degli emendamenti al fine di consentire ai relatori di svolgere un'ulteriore riflessione su taluni aspetti del provvedimento, anche ai fini dell'eventuale presentazione di alcune proposte emendative.

  Riccardo NUTI (M5S) fa presente che il suo Gruppo ritiene necessario procedere rapidamente all'esame delle proposte emendative.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, considerando che il provvedimento non risulta iscritto nel calendario e nel programma dei lavori dell'Assemblea, ritiene che la richiesta della relatrice Fabbri, non essendovi obiezioni, possa essere accolta, fermo restando che sarà l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione, convocato nella giornata di domani, a stabilire come procedere nei lavori.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
C. 3004 Fontanelli, C. 3147 Lorenzo Guerini, C. 3438 Roberta Agostini, C. 3494 Zampa e C. 3610 D'Alia.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 5 aprile 2016.

  Gregorio FONTANA (FI-PdL) fa presente che il suo gruppo ritiene che ogni discussione intorno alla cosiddetta «attuazione» dell'articolo 49 della Costituzione sia priva di legittime, concrete e credibili prospettive. Ciò non significa che sia inutile, anzi, può essere utile al fine di conoscere e approfondire i nostri principi costituzionali, ma nella sostanza si tratta Pag. 15di una discussione che non può dar vita a iniziative legislative costituzionalmente legittime. In altre parole, a suo avviso, se si prosegue sulla strada indicata dalla maggioranza, si darà vita a una disposizione che inevitabilmente finirà per essere censurata dalla Corte costituzionale. Osserva che l'articolo 49 non ha bisogno di alcuna norma attuativa. È stata una scelta del legislatore costituente, come ha affermato, con estrema chiarezza, la Corte costituzionale, in un'ordinanza di non molti anni fa, la n. 79 del 2006.
  Si tratta di una posizione che sintetizza un orientamento consolidato nel nostro Paese, sia in dottrina sia in giurisprudenza, di un orientamento nel quale il suo gruppo si riconosce pienamente, in forza dei principi democratici e liberali in cui crede.
  La lettura più ovvia dell'articolo 49 è, a suo avviso, quella che è stata pacificamente accettata per oltre 50 anni: la Costituzione riconosce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente, e sottolinea che l'avverbio liberamente non è certo casuale, in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la pratica nazionale.
  Gli pare chiarissimo che l'espressione «con metodo democratico» è riferita al modo nel quale è lecito concorrere alla vita politica non al modo nel quale devono essere organizzati i partiti. A proposito di questo i costituenti spendono una sola parola: l'avverbio «liberamente».
  Ciò che si vorrebbe fare oggi è stravolgere, non applicare, l'articolo 49. Si vorrebbe cancellare il valore della libertà di associazione in partiti, prendendo a pretesto quel «metodo democratico» che la Costituzione richiama, come regola per il confronto fra i partiti, non già all'interno dei partiti.
  In un sistema di democrazia liberale, d'altra parte, non vi è alcuna ragione per la quale un gruppo di cittadini non possa scegliere liberamente in quale modo associarsi, secondo quali regole, con quali finalità e con quali metodi interni. Ciò che non è consentito è una cosa sola: perseguire finalità in contrasto con valori oggetto di una speciale tutela costituzionale e che sono, in qualche modo, al di fuori della disponibilità del legislatore, compreso il legislatore costituente. E solo di quelli.
  Ritiene che se la democrazia italiana ha avuto un problema, nei decenni e nonostante le intenzioni dei Costituenti, questo problema è stato proprio la tendenza dei partiti a sovrapporsi troppo spesso alle istituzioni. Quello di cui l'Italia avrebbe bisogno è, a suo avviso, esattamente il contrario della filosofia stessa che ispira le proposte di cui stiamo discutendo, ossia una più netta separazione fra partiti e istituzioni, che riporti i partiti al loro ruolo originale di libere associazioni fra privati.
  Ritiene che è pur vero che i partiti hanno una rilevanza pubblicistica, ma la rilevanza pubblicistica si realizza compiutamente nel momento in cui i cittadini si recano alle urne per votare.
  Ricorda che il problema dei padri costituenti in merito ai partiti politici era quello di reinserire i partiti politici nel sistema costituzionale dopo l'esperienza totalitaria, e rileva che la via attraverso cui fu fatto tale inserimento non fu quella dell'organizzazione dei pubblici poteri, poiché tale scelta, in qualche misura, richiamava il modello fascista, facendolo rivivere, dopo averlo negativamente giudicato e messo al bando, anche giuridicamente. Osserva che i partiti, invece, entrarono per così dire, nel sistema, passando attraverso il principio della libertà dei singoli. I partiti, cioè, per volontà dei Costituenti, si configurano come entità strumentali all'esercizio della libertà politica dei cittadini – libertà che trova la sua diretta espressione nel diritto di voto, di cui all'articolo 48, che apre, appunto, il Titolo IV della Carta costituzionale, dedicato ai Rapporti politici.
  Rileva che affermare che i partiti sono del tutto «strumentali» all'esercizio della libertà politica non significa minimamente sminuirne il ruolo. Ricorda che nei lavori alla Costituente fu proposto anche di vincolare la libertà di associazione in partiti, al rispetto dei principi fondamentali di Pag. 16libertà fondamentali e di dignità della persona. Ma anche questa proposta fu respinta, in quanto ritenuta suscettibile di aprire la strada a un controllo ideologico sull'attività dei partiti. In altre parole, la legislazione ordinaria non può introdurre, per i partiti, limitazioni ulteriori, rispetto a quelle previste in generale per le associazioni. La legislazione ordinaria non può introdurre le suddette limitazioni anche perché queste non sono necessarie. Il perimetro in cui si muove il Partito è già disegnato dall'articolo 18 sulla libertà di associazione.
  Rileva che non può essere negata legittimità neanche a un partito che voglia mettere in discussione l'ordinamento repubblicano, tanto è vero che abbiamo avuto in Parlamento un partito monarchico. Fin quando un partito non metta in discussione i principi umanitari indisponibili del nostro ordinamento – quelli «riconosciuti» e non istituiti, all'articolo 2 della nostra Costituzione – ha il diritto di esistere, ma, a suo avviso, negare quei principi, in Italia, significa commettere un reato.
  Ricorda che esiste una sfilza di articoli del codice penale a tutela di quei principi, dal reato di apologia di reato al reato di istigazione all'odio razziale o all'odio di classe, per citarne solo alcuni. Dice questo per affermare un principio, non per difendere un interesse di parte: la forza politica alla quale appartiene, Forza Italia, si è data da sempre, spontaneamente, regole e finalità del tutto compatibili con le proposte in discussione oggi. Ma la libertà e la democrazia sono valori indivisibili: limitare la libertà di qualcuno, fosse anche del mio avversario più accanito, significa rendere tutti meno liberi, perché si mette in discussione il fondamento stesso del concetto di libertà. Limitare la possibilità per i cittadini di partecipare alla competizione elettorale mina il principio fondante della democrazia rappresentativa.
  Questo d'altronde diventa, a suo avviso, evidentissimo provando a immaginare un'applicazione pratica dei principi che oggi si vorrebbero introdurre.
  Desidera soffermarsi sull'ipotesi che solo i partiti organizzati e riconosciuti possano partecipare alla competizione elettorale. Si chiede, quindi, se una lista civica, espressione di cittadini non organizzati in partito, non potrebbe partecipare alle elezioni, o se una lista dissidente, promossa da aderenti a un partito scontenti delle scelte del partito stesso, non potrebbe esistere. Al riguardo, pur comprendendo che tali ipotesi possano piacere al Presidente Renzi e tranquillizzarlo sui problemi interni al Partito Democratico, sottolinea che si tratta di casi che non possono piacere affatto alla democrazia. Si chiede ancora la sorte delle coalizioni di partiti, che volessero presentare una lista comune e, in particolare, se si debbano registrare anche le coalizioni, se anch'esse debbano darsi delle regole riconosciute e approvate con largo anticipo, ovvero se basti che siano in regola i singoli partiti che ne fanno parte. Si chiede ancora cosa potrebbe accadere se una coalizione volesse includere delle personalità indipendenti. Si tratta, a suo avviso, di evidenti incongruenze, che forse si possono chiarire, ma a prezzo di ulteriori forzature, di ulteriori limitazioni della libertà dei cittadini di concorrere alla vita pubblica, e in definitiva di quella stessa sovranità popolare che è fondamento primo della Costituzione stessa. Già oggi, d'altronde, sono in vigore limiti e vincoli fin troppo stringenti.
  In questa Legislatura si è deciso di subordinare l'accesso per i partiti ai pochi benefici di legge rimasti in vigore al deposito e all'approvazione dello Statuto da parte di una commissione costituita da magistrati. Ricorda che in base all'attuale legge elettorale per la Camera dei deputati, i partiti o gruppi politici organizzati che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali sono tenuti a depositare presso il Ministero dell'Interno il loro Statuto. D'altra parte, la legge tace sulle conseguenze del mancato adempimento di quest'obbligo. Il che la dice lunga sulla delicatezza della questione.
  Sottolinea che oggi la proposta a prima firma Guerini vorrebbe forse colmare tale Pag. 17lacuna, ma lo fa nel peggiore dei modi, nel più illiberale. Giudica altrettanto inaccettabile la proposta di subordinare l'accesso dei partiti a una serie di benefici a scelte di stampo marcatamente ideologico, che dovrebbero essere lasciate alla libera determinazione dei soggetti politici.
  Rileva che nella proposta a prima firma Fontanelli, infatti, si prevede che i partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti dalla legge debbano dotarsi di uno Statuto nel quale, «nel rispetto della Costituzione e dell'ordinamento dell'Unione europea», sia garantito a chiunque di iscriversi e sia vietata ogni diniego di iscrizione e ogni espulsione «per ragioni inerenti al sesso o all'orientamento sessuale, alla razza, alla religione, alla lingua, al luogo di nascita o di residenza ovvero alle condizioni economiche, sociali o personali». Si tratta, a suo avviso, di una vera assurdità. Si chiede, infatti, che senso avrebbe, ad esempio, proibire un partito fatto di sole donne, nato per promuovere la presenza femminile delle istituzioni, ovvero un partito composto esclusivamente di persone che abbiano un orientamento omosessuale, e per quale motivo si debba negare legittimità a un partito che voglia raccogliere solo esponenti del proletariato o della classe media. Ricorda, in proposito, che in passato abbiamo avuto partiti che facevano riferimento a categorie sociali ben definite, come gli agricoltori o i pensionati.
  Sa bene, perché si tratta di colleghi che conosce, che le loro intenzioni non sono di natura liberticida e che le proposte in esame non mirano a limitare o imbrigliare l'esercizio della sovranità popolare. Tuttavia, le leggi, come è noto, vanno scritte – o non scritte, come in questo caso – tenendo presenti i modi nei quali possono essere utilizzate da chi nel tempo le dovrà applicare.
  Anche per questo oltre a tutte le ragioni di merito ce n’è una di metodo che lo vede radicalmente contrario, e che preclude qualsiasi margine di discussione: il ricorso allo strumento della delega al Governo. Al riguardo, per quanto si voglia restringere e incanalare una tale delega, è del tutto improponibile, a suo avviso, la rinuncia da parte del Parlamento a occuparsi in via diretta, piena ed esclusiva, di una materia così decisiva per la democrazia. In questo caso, non ha senso quindi invocare la complessità della materia. Perché se è vero che si tratta di materia complessa, è anche vero che si tratta di materia delicatissima, nella quale non può essere consentito al Governo alcun margine di discrezionalità. Per tale ragione, il gruppo Forza Italia pronuncia un chiaro «no» a ogni forma di delega al Governo nella disciplina dei partiti politici. Non soltanto, infatti, si vuole limitare la libertà di associazione e di partecipazione politica, ma si vuole anche escludere il Parlamento da una deliberazione nel merito. Si tratta, a suo avviso, di una scelta arrogante, ma anche rivelatrice. Gli stessi proponenti sanno che una disamina parlamentare nel dettaglio sarebbe oltremodo imbarazzante e difficile per la maggioranza. Ma proprio per questo il suo gruppo chiede che queste decisioni siano lasciate alla sede propria, quella della sovranità popolare. Cambiare le regole del gioco con un decreto legislativo sarebbe un nuovo atto di sospensione della democrazia in Italia. Non il primo, e teme neppure l'ultimo che la maggioranza prova ad attuare.
  Tornando al merito della questione, desidera concludere con una citazione ben nota, ritiene, ai colleghi del gruppo del Partito Democratico. Ricorda che un autorevole membro dell'Assemblea costituente, in fase di discussione sull'attuale articolo 49, osservò che «vertendo la discussione sull'argomento più delicato dell'organizzazione dello Stato democratico, non si deve formulare un articolo che possa fornire pretesto a misure antidemocratiche, prestandosi ad interpretazioni diverse». Ad avviso del membro dell'Assemblea costituente, «mentre oggi si conoscono i partiti esistenti, domani potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio, e su quali basi lo si dovrebbe combattere». Egli era del parere «che dovrebbe essere combattuto sul terreno della competizione politica Pag. 18democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee, ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rifiuta alcuni dei principi contenuti nella formula in esame». Ricorda che il membro dell'Assemblea costituente in questione era Palmiro Togliatti. Sottolinea che allora la sinistra era lontana dal potere, e invocò, giustamente, i principi della democrazia liberale per difendere la propria presenza nella società e la propria possibilità di diventare, un giorno, forza di Governo.
  Il suo gruppo, ispirato ai principi liberali, non ha mai cambiato idea. È e sarà sempre contro ogni forma di partito-Stato e contro ogni forma di strisciante statualizzazione dei partiti. Per questo, si augura che la maggioranza rifletta e torni sui suoi passi, rivedendo nella maniera più radicale la proposta in esame.

  Riccardo NUTI (M5S) informa la Commissione che il suo gruppo ha presentato una proposta di legge in materia di partiti politici.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.30.

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