CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 15 dicembre 2015
562.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

  Martedì 15 dicembre 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il viceministro della giustizia Enrico Costa.

  La seduta comincia alle 18.

Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario.
Testo unificato C. 259 Fucci ed abb.
(Parere alla XII Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 14 dicembre 2015.

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   Donatella FERRANTI, presidente, avverte che sono pervenute alla Presidenza alcune osservazioni relative alla proposta di parere presentata ieri dal relatore. Si tratta, in particolare, di osservazioni trasmesse dai deputati Colletti, Alessandro Pagano, Dambruoso, Giuditta Pini e Marotta.

  Franco VAZIO (PD), relatore, presenta ed illustra una nuova proposta di parere (vedi allegato), che non tiene comunque conto delle osservazioni pervenute, che si riserva di approfondire.
  Le modifiche alla proposta di parere attengono all'articolo 6. In particolare, sono volte a precisare che le linee guida dovrebbero essere pubblicate contestualmente per i singoli settori di specializzazione medico-chirurgica entro due anni dall'entrata in vigore della legge, dal Ministro della Salute con aggiornamento ed eventuale integrazione a cadenza annuale. Inoltre si prevede che la disciplina transitoria dovrebbe essere riformulata in modo tale che la norma penale più favorevole introdotta dal comma 2 entri in vigore nello stesso momento per tutti gli esercenti le professioni sanitarie. L'articolo 3 del decreto legge n. 158 del 2012 continuerebbe ad applicarsi sino alla pubblicazione delle linee guida e per quei settori di specializzazione medico-chirurgica per i quali non esistono linee guida pubblicate ai sensi del comma 1.

  Andrea COLLETTI (M5S) manifesta in primo luogo perplessità con riferimento all'articolo 6, comma 1, laddove si fa riferimento sia al consenso informato che alle «buone pratiche cliniche». Osserva che, in realtà, non costituisca offesa all'integrità psico-fisica esclusivamente ciò che il paziente ha autorizzato. Pertanto, ritiene che il riferimento alle raccomandazioni e buone pratiche è totalmente inidoneo. Ritiene, altresì che, per evitare contenzioso sarebbe utile prevedere che il consenso informato sia «scritto ed attuale» e prevedere altresì l'obbligo di indicare le differenti opzioni terapeutiche, come da concorde giurisprudenza.
  Rileva, inoltre, che debba essere specificato che spesso le linee guida non sono italiane bensì internazionali e che, anzi, l'Italia potrebbe anche recepire con ritardo delle linee guida importanti.
  Con riferimento all'articolo 6, comma 2, osserva che, se già la Legge Balduzzi aveva dei profili di incostituzionalità laddove rendeva non punibile la colpa lieve, tale previsione va ad aggravare ulteriormente la situazione, rendendo necessaria addirittura la colpa grave per un «omicidio colposo», rischiandosi, in tal modo, la declaratoria di incostituzionalità a norma dell'articolo 3 della Costituzione.
  Ancora peggio, a suo avviso, potrebbe essere vincolare la punibilità a linee guida adottate da società scientifiche private, ovvero significa privatizzare il concetto di punibilità e di scriminante.
  Con riferimento all'articolo 6, comma 3, ritiene vi sia una chiara antinomia con le disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, laddove il primo prevede la punibilità solo per colpa grave, il secondo esclude invece la punibilità solo per colpa lieve. Ritiene, pertanto, che vi siano due norme penali che disciplinano il medesimo fatto ma con due soglie di punibilità diverse.
  Per quanto concerne l'articolo 7, comma 1, osserva come lo stesso sia da ritenersi profondamente errato, poiché ivi si prevede che la responsabilità della struttura esista solo se vi è una responsabilità del medico e/o dell'operatore sanitario, ciò, a suo avviso, non corrisponde alla realtà, nella quale si possono verificare, ad esempio, casi di infezione per i quali inoltre si applica addirittura la responsabilità oggettiva. Rammenta, inoltre, come già ora, a norma dell'articolo 2049 c.c. il datore di lavoro è responsabile del danno dei propri dipendenti.
  Relativamente all'articolo 7, comma 2, segnala come il paziente che si rivolge al medico in regime di libera professione intramuraria scelga proprio quel medico, e come, pertanto, sia chiaro che vi debba essere un rapporto di natura contrattuale.
  Con riferimento all'articolo 8, preso atto che la maggioranza vuole inserire una Pag. 38condizione di procedibilità molto onerosa per la parte istante, ritiene opportuno che al 696-bis si possano applicare norme quali il 210 c.p.c. nonché un controllo più forte del giudice, anche perché troppo spesso i consulenti non hanno alcuna competenza giuridica od in materia di mediazione. Ritiene che dovrebbe essere altresì previsto che i medesimi consulenti espressamente rispondano alle cosiddette note critiche delle parti.
  Relativamente al comma 2 del medesimo articolo 8, non comprende le ragioni per cui, invece di eliminare la norma presente nel decreto legislativo n. 28 del 2010, si inserisca una disposizione così barocca.
  Quanto al comma 3 del predetto articolo osserva, in primo luogo, che il termine perentorio utilizzato al primo periodo è totalmente errato poiché significherebbe che nessun atto potrà essere posto in essere successivamente allo spirare di detto termine. Osserva che tale perentorietà non è neanche prevista dalla normativa sulla mediaconciliazione né da quella sulla negoziazione assistita. In secondo luogo, rileva che non ha senso mettere una decadenza così stringente di addirittura 3 mesi. Osserva, infatti che, se la prescrizione è decennale, inserire una tale decadenza è a rischio incostituzionalità in base all'articolo 24 della Costituzione. Si chiede, oltretutto, perché sia dato il tempo necessario alle parti per poter arrivare ad una transazione, dal momento che, spesso e volentieri, per arrivare ad una transazione da parte dell'assicuratore di una azienda sanitaria è necessaria una deliberazione del direttore generale per la franchigia prevista dal contratto, senza, peraltro, tenere conto del fatto che l'attore ha già pagato un sostanzioso contributo unificato, e, che successivamente, dovrà pagarne un altro ancora più sostanzioso. In terzo luogo, rileva come una causa di responsabilità medica mal si addica ad un procedimento sommario proprio per la delicatezza delle questioni. A suo avviso, meglio sarebbe lasciare alle parti la libertà di decidere, in base al caso concreto, se utilizzare il procedimento sommario o quello ordinario, anche tenuto conto del fatto che c’è sempre il rischio che, alla prima udienza, il giudice muti il rito con conseguente perdita di tempo.
  Con riferimento all'articolo 8, comma 4, osserva, in primo luogo, che la partecipazione ad un procedimento civile non può mai essere obbligatoria essendo la contumacia un diritto costituzionale. In secondo luogo, fa notare che, nella maggior parte dei casi, al posto delle strutture si costituiscono direttamente le assicurazioni che assumono la difesa tecnica: qualora passasse tale norma si dovrebbero, quindi, forzatamente costituire anche la struttura con degli autonomi difensori, con aggravi di costi. In terzo luogo, si chiede quali siano tutte le parti che sono obbligate a partecipare al giudizio e se tra di esse rientrino anche medici e infermieri. Infine, richiama l'attenzione sul fatto che il secondo periodo di tale comma prevede che chi non partecipa debba pagare sia le spese di consulenza sia quelle di lite con il provvedimento che definisce il giudizio, mentre, nell'articolo 696 bis del codice di procedura civile non vi è un provvedimento che definisce il giudizio medesimo. Ritiene, inoltre, ciò porterà ad un aumento del contenzioso. Se un ricorrente si vede dar torto da una ATP sarà comunque portato ad iniziare il procedimento di merito per vedersi riconosciute le spese di consulenza e di lite. Ciò, a suo avviso, non ha alcun senso.
  Per quanto attiene all'articolo 9, comma 1, si chiede se l'azione di rivalsa riguardi solo le strutture pubbliche o anche quella private. Ritiene, infatti, che ove riguardasse solo le pubbliche, il riferimento sarebbe ultroneo, se riguardasse anche quelle private, sarebbe allora illegittimo.
  In merito all'articolo 11, ritiene opportuno mutuare la disciplina prevista nel codice delle assicurazioni private, come da emendamento già presentato in Commissione Affari Sociali.
  Infine, relativamente all'articolo 13, comma 1, osserva, che, invece, di «problemi tecnici complessi» si dovrebbe fare riferimento a «problemi di particolare Pag. 39difficoltà». Inoltre, a suo parere, bisognerebbe circoscrivere meglio l'ambito di applicazione del collegio laddove si necessitino consulenze di più specialisti, proprio per la complessità del quesito o della vicenda. A suo avviso, bisognerebbe, altresì, prevedere che la nomina di più consulenti dovrebbe essere a costi invariati sia per le parti che per lo Stato (nei casi di patrocinio a spese dello stato), ed introdurre delle norme per disciplinare meglio i casi di astensione o ricusazione dei consulenti che operano anche come fiduciari della assicurazioni.

  Giuditta PINI (PD), relativamente alla proposta di parere presentata dal relatore, ritiene necessario, sopprimere la condizione di cui al numero 4 in quanto la ritiene non strettamente attinente alle competenze della Commissione giustizia e trasformare la condizione di cui al numero 5 in osservazioni. Ritiene, inoltre, che le osservazioni di cui alle lettere c), f) e g), volte a disciplinare dettagliatamente i rapporti di assicurazione, non siano direttamente afferenti alle competenze della medesima Commissione.

  Stefano DAMBRUOSO (SCpI), con riferimento al provvedimento in esame, osserva, preliminarmente, che un intervento così specifico ma di portata sistemica estremamente ampia in aspetti tecnico-assicurativi, in grado di incidere anche pesantemente sulle dinamiche del relativo mercato, possa essere più opportunamente esaminato nell'ambito di competenza della Commissione Finanze.
  Con riferimento alla proposta di parere presentata dal relatore, fa presente, in primo luogo, che, tra le condizioni, al punto n. 4, vi è l'obbligo a carico delle compagnie di formulare offerta di risarcimento o di indicare i motivi per cui ritengono di non formulare offerta, ove convenute nella procedura obbligatoria di conciliazione, comminando una sanzione rilevante sia nel caso di mancata offerta sia nel caso di offerta che risulti inferiore della metà rispetto al risarcimento riconosciuto al termine dell'azione giudiziale. Tale previsione, a suo avviso, appare tecnicamente impossibile da applicare poiché le problematiche relative all'accertamento delle responsabilità e del loro livello nonché alla quantificazione del danno conseguente ad atto clinico sono ben più complesse di quelle relative all'offerta di risarcimento nella RC auto, nell'ambito della quale è previsto detto obbligo ed è sottoposto a termini brevi. Osserva che nel caso della responsabilità civile sanitaria sanitaria sono, invece, necessari tempi idonei a permettere di istruire correttamente il sinistro e di formulare una adeguata proposta di liquidazione economica oppure motivare in modo congruo un eventuale rifiuto. Ritiene che l'approvazione di una norma così concepita rischierebbe di determinare una ulteriore rarefazione dell'offerta, fino all'abbandono del particolare ramo da parte delle compagnie di assicurazione, già oggi molto prudenti nell'assumere rischi così elevati e con assai scarsa mutualità, soprattutto con riferimento alle strutture sanitarie, determinando un effetto contrario alla ratio ispiratrice del provvedimento.
  In secondo luogo, segnala che, tra le osservazioni, al punto c), lo schema di parere interviene in materia di obbligo di assicurazione (articolo 10 del testo proposto dalla Commissione Affari sociali). Al proposto nuovo comma 5 si prevede l'eventuale subentro contrattuale della compagnia di assicurazione, di cui, a suo avviso, non risulta affatto chiaro il contesto. Al proposto nuovo comma 6 rileva un intervento fortemente critico e anche contraddittorio in sé, poiché mentre si evoca il principio di libertà tariffaria stabilito dalle direttive comunitarie nel contempo si prevede di stabilire «i criteri tecnici per la determinazione delle tariffe e per il calcolo dei premi», entrando così in modo autoritativo nel pieno della specifica attività d'impresa delle compagnie di assicurazione. Tale previsione appare in palese contrasto con le norme comunitarie che ispirano la legislazione nazionale di settore e anche con la libertà di iniziativa economica privata tutelata dall'articolo 41 della Costituzione. Osserva, ancora, che al Pag. 40proposto nuovo comma 11, si stabilisce che le eventuali «altre analoghe misure» rispetto alle coperture assicurative (probabilmente si pensa alla c.d. auto-assicurazione) non possono essere più adottate decorsi 5 anni dall'entrata in vigore della legge. Ritiene che tale previsione non tenga conto della difficoltà, già presente al momento attuale, per molte strutture sanitarie di trovare copertura sul mercato assicurativo, che a sua volta trova crescenti difficoltà sul mercato riassicurativo internazionale.
  In terzo luogo, rileva che, tale osservazioni, al punto f) vengono mutuate dalla disciplina r.c. auto le modalità e soprattutto i termini per l'offerta di risarcimento da parte della compagnia di assicurazione. Si ribadisce quanto sopra detto in merito alla complessità dell'accertamento nel caso della responsabilità civile medica. Nella responsabilità civile sanitaria, che ha struttura complessa, in cui sono coinvolti numerosi profili e ambiti non quantitativi ma decisamente qualitativi perché legati al diritto alla salute, danno alla persone etc, il termine previsto di 90 giorni appare, a suo avviso, insufficiente a permettere di istruire correttamente l'evento dannoso e a darne una adeguata proposta di liquidazione economica oppure a motivare in modo congruo un eventuale rifiuto.
  Fa presente, infine, che tra le osservazioni, alla lettera g), si propone (artt. 11-bis e 11-ter) l'istituzione di un organismo di tariffazione, che interviene in maniera estremamente autoritativa sull'attività assicurativa e riassicurativa internazionale, la cui libertà dovrebbe essere invece costituzionalmente garantita al pari di ogni altra iniziativa economica privata. A suo avviso, in particolare, risulta assolutamente improponibile quanto previsto al comma 4 del proposto articolo 11-ter, che dispone che qualora l'impresa di assicurazione persista nel rifiuto di coprire un rischio il cui premio è stato fissato dall'Organismo di tariffazione, questa è soggetta alla revoca all'autorizzazione all'esercizio in tutti i rami ai sensi dell'articolo 242 del Codice delle assicurazioni private. Ritiene che il premio ed anche l'eventuale rifiuto rappresentano il semplice risultato numerico di calcoli statistico ed attuariali necessari anche ai fini dell'osservanza delle leggi nazionali e comunitarie e comunque sono la regola di una buona tecnica assicurativa per una sana e prudente gestione, sottoposta peraltro a vigilanza da parte dell'Organismo di regolazione. Appare inoltre lesiva della tutela costituzionalmente prevista della libertà di iniziativa economica privata (articolo 41 della Costituzione).
  Ritiene, inoltre, parimenti grave la norma di cui al comma 3 del medesimo articolo, che dispone la nullità delle clausole dei trattati di riassicurazione che escludono la copertura riassicurativa a causa delle tariffe stabilite dall'Organismo di tariffazione.
  Si domanda, infine, se il sistema di tariffazione e il sistema di raccolta dati siano conformi alla normativa Antitrust e se non vada sentita l'AGCM.

  Antonio MAROTTA (AP) fa presente di aver trasmesso alla Presidenza delle osservazioni sulla proposta di parere del relatore che evidenziano le stesse perplessità appena evidenziate dal deputato Dambruoso. In particolare, dichiara di non condividere la nuova disciplina relativa alle imprese assicurative, che in alcuni casi prevedono delle sanzioni eccessive rispetto alla violazione contestata, arrivando alla revoca dell'autorizzazione ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 quando da parte dell'impresa di assicurazione persiste il rifiuto di coprire un rischio il cui premio è stato fissato dall'Organismo di tariffazione.
  In merito ai tempi di esame del provvedimento, ritiene che alla Commissione dovrebbe essere assicurato un congruo margine di tempo per poter valutare la proposta di parere che il relatore presenterà dopo aver valutato le osservazioni trasmesse dai deputati nonché quelle emerse nel corso del dibattito.

  Donatella FERRANTI, presidente, ritiene che la presentazione di osservazioni Pag. 41anche complesse da parte di deputati in merito alla proposta del parere non contenta di poter esprimere oggi il parere, come invece aveva prefigurato nella seduta di ieri. Ciò significa, pertanto, che la Commissione esprimerà il parere nella seduta di domani, come peraltro previsto inizialmente. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico-amministrativo, fatto a Roma il 26 agosto 2014.
C. 3302 Governo, approvato dal Senato.

(Parere alla XII Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michela ROSTAN (PD), relatrice, fa presente che la Commissione è chiamata ad esprimere il parere, per quanto di competenza, sul disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico-amministrativo, fatto a Roma il 26 agosto 2014 (A.C. 3302), già approvato dal Senato.
  Segnala che, come si evince dalla relazione illustrativa, l'accordo in oggetto è finalizzato a consentire, nel rispetto della normativa vigente nei due Paesi, lo svolgimento di un'attività lavorativa autonoma o subordinata da parte dei familiari dei membri delle Rappresentanze uruguayane in Italia e presso la Santa Sede e di quelle italiane in Uruguay. Si tratta di funzionari diplomatici, funzionari consolari di carriera, membri del personale tecnico e amministrativo, ad esclusione degli impiegati locali. I familiari delle suddette categorie di personale sono tutelati dalle Convenzioni di Vienna sulle Relazioni diplomatiche e consolari, rispettivamente del 1961 e del 1963, dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio, che estendono loro privilegi e immunità previste per i membri delle Rappresentanze straniere accreditate.
  In particolare, fa presente che l'accordo prevede sia modalità di autorizzazione allo svolgimento delle attività lavorative che appropriati meccanismi giuridici di limitazione della sfera di applicazione delle immunità dalle giurisdizioni civile, amministrativa e penale per gli atti compiuti nel prestare tali attività. Sono, infatti, previsti procedimenti che autorizzano allo svolgimento di attività lavorative, rispetto alle quali entrerà in funzione una «sospensione» del regime di immunità tesa a tutelare l'ordinamento italiano (e uruguayano) ed il principio di uguaglianza dei lavoratori di fronte alla legge.
  Al riguardo, l'articolo 5 dell'Accordo, al comma 1, dispone che, qualora i familiari che svolgono un'attività lavorativa in conformità alle disposizioni dell'Accordo stesso godano di immunità dalla giurisdizione dello Stato ricevente ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961, o in virtù di altro accordo internazionale applicabile, le immunità dalla giurisdizione civile ed amministrativa e dall'esecuzione di sentenze o provvedimenti in campo civile o amministrativo siano sospese limitatamente agli atti compiuti nell'esercizio dell'attività lavorativa suddetta.
  Il comma 2 del medesimo articolo prevede che qualora i familiari che svolgono un'attività lavorativa in base all'Accordo godano di immunità dalla giurisdizione penale in conformità ai suddetti accordi internazionali e siano accusati di un reato commesso durante l'esercizio di tale attività, lo Stato inviante darà seria considerazione alla richiesta di rinuncia all'immunità presentatagli dallo Stato ricevente, al fine del perfezionamento di tale rinuncia.
  Il comma 3 prevede che la rinuncia all'immunità dalla giurisdizione penale non possa essere intesa come riferita anche Pag. 42all'immunità dall'esecuzione della sentenza, per la quale dovrà essere richiesta una rinuncia espressa.
  Il comma 4 stabilisce, infine, che l'esame della richiesta e il responso dello Stato inviante dovranno avvenire nel più breve termine possibile. Qualora non si verificasse la rinuncia potranno essere considerati il richiamo e la revoca dell'autorizzazione.
  Ciò premesso, propone di esprimere parere favorevole sul provvedimento in esame.

  La Commissione approva la nuova proposta di parere del relatore.

  La seduta termina alle 18.20.

SEDE REFERENTE

  Martedì 15 dicembre 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il viceministro della giustizia Enrico Costa.

  La seduta comincia alle 18.20.

Disposizioni in materia di esercizio abusivo di una professione e di obblighi professionali.
C. 2281, approvata dal Senato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 18 novembre 2014.

  Donatella FERRANTI, presidente, dopo aver ricordato che sul provvedimento in esame si è svolto un ciclo di audizioni che ha messo in rilievo una serie di questioni che potranno essere affrontate in occasione dell'esame degli emendamenti.
  Constatando che non vi è richiesta di interventi, dichiara chiuso l'esame preliminare e fissa il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 14 di venerdì 15 gennaio 2016.
  Nessun altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 18.25.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 15 dicembre 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il viceministro della giustizia Enrico Costa.

  La seduta comincia alle 18.25.

Schema di decreto legislativo recante norme di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI relativa alle squadre investigative comuni.
Atto n. 228.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Stefano DAMBRUOSO (SCpI), relatore, preliminarmente esprime la propria soddisfazione per la circostanza che lo Stato italiano si accinge finalmente a dare attuazione ad una decisione quadro emanata ormai da tredici anni e che si è dimostrata particolarmente efficace, considerato che ha fornito alla Spagna ed alla Francia gli strumenti decisivi per sconfiggere il terrorismo di matrice indipendentista basca.
  Ricorda che la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 ripropone integralmente il contenuto dell'articolo 13 della Convenzione di Bruxelles relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, del 29 maggio del 2001.
  Segnala che il citato articolo 13 delinea le squadre investigative comuni quale strumento elettivo di assistenza non rogatoriale finalizzato all'accertamento e alla repressione di fenomeni criminosi che coinvolgano l'ambito territoriale di due o più Stati. L'adozione della decisione quadro si è resa necessaria – in considerazione Pag. 43dei ritardi registrati nella ratifica e del clima di diffusa preoccupazione determinatosi in conseguenza dell'attentato terroristico dell'11 settembre 2001 – al fine di assicurare l'entrata in vigore delle disposizioni relative alle squadre investigative in anticipo rispetto alle altre norme del Trattato. Il termine di attuazione era fissato per il 1o gennaio 2003. Nel merito, segnala che la decisione quadro prevede che, al fine di condurre indagini penali che esigono un'azione coordinata e concertata negli Stati membri, due o più Stati membri possano costituire una squadra investigativa comune. A tal fine le autorità competenti degli Stati membri interessati concludono un accordo comune che definisce le modalità della squadra investigativa comune. L'istituto, pur non essendo circoscritto al contrasto di specifiche forme di criminalità, è concepito come strumento prioritario per combattere il terrorismo, il traffico di stupefacenti e la tratta di esseri umani. La squadra investigativa comune deve essere caratterizzata da uno scopo preciso e una durata limitata, la quale può essere prolungata con il consenso di tutte le parti contraenti. Gli Stati membri interessati sono responsabili della composizione, delle finalità e della durata del mandato della squadra investigativa. Nelle attività di una squadra investigativa comune gli Stati membri possono anche decidere di avvalersi della collaborazione di rappresentanti di Europol, dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) o di Stati terzi. I membri della squadra provenienti da uno Stato membro diverso rispetto a quello sul cui territorio interviene la squadra sono definiti «membri distaccati» presso la squadra. A costoro possono essere conferiti incarichi in conformità al diritto dello Stato membro in cui hanno luogo le operazioni. Quanto ai reati che dovessero commettere o subire gli agenti distaccati, essi sono assimilati ai funzionari dello Stato membro in cui interviene la squadra per quanto concerne la loro responsabilità penale.
  Fa presente che il provvedimento in esame, che è volto a dare attuazione alla delega conferita al Governo dalla legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114), si compone di otto articoli.
  Osserva che l'articolo 1 individua l'ambito applicativo del decreto legislativo, chiarendo che l'obiettivo del provvedimento è quello di dare attuazione alla decisione quadro n. 2002/465/GAI che prevede l'istituzione di squadre investigative comuni.
  Segnala che gli articoli 2 e 3 disciplinano rispettivamente la richiesta di costituzione di squadra investigativa comune presentata dall'autorità giudiziaria italiana e la procedura che segue ad un'analoga richiesta proveniente da Stato estero. In particolare, per quanto riguarda la cosiddetta procedura attiva, segnala che l'articolo 2 stabilisce che la richiesta di costituzione di una squadra investigativa comune può essere presentata da ciascun procuratore della Repubblica. Nel caso in cui diversi uffici del pubblico ministero procedono ad indagini collegate, la richiesta è formulata d'intesa fra loro (comma 3). La richiesta può essere presentata quando sussista l'esigenza di compiere:
   a) indagini in relazione a delitti puniti con pena massima non inferiore a 5 anni di reclusione o ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (comma 1). Oltre ai delitti puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, la disposizione – attraverso il rinvio al codice di rito – consente, quindi, la costituzione di squadre investigative per indagini relative ai seguenti delitti: associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, all'immigrazione clandestina o realizzata allo scopo di commettere delitti di contraffazione; associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; delitti di mafia (associazione di tipo mafioso o delitti comunque commessi avvalendosi di tali associazioni o al fine di agevolarne l'attività, scambio elettorale politico-mafioso); delitti di tratta (riduzione in schiavitù, tratta, acquisto o alienazione di schiavi); sequestro di persona a scopo di estorsione; attività organizzate per il traffico Pag. 44illecito di rifiuti; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale nonché delitto di strage; omicidio; ipotesi aggravate dei delitti di rapina ed estorsione; reati sessuali ai danni di minori; delitti di criminalità informatica; ipotesi aggravate del delitto di contrabbando di tabacchi, di violenza sessuale e di traffico illecito di stupefacenti; delitti di immigrazione clandestina e delitti di illegale fabbricazione, commercio o detenzione di armi ed esplosivi;
   b) indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati o di assicurare il loro coordinamento (comma 2).

  Per quanto concerne la procedura, rammenta che la richiesta di istituzione della squadra investigativa comune oltre ad essere trasmessa all'autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri con cui si intende istituire una squadra, deve essere comunicata anche al procuratore generale presso la Corte d'appello. Nel caso in cui la squadra sia istituita per indagini in relazione ai delitti di cui al citato articolo 51 del codice di procedura penale, della richiesta deve essere data informazione, ai fini del coordinamento investigativo, anche al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (comma 4).
  Con riguardo alla cosiddetta procedura passiva, ovvero alla richiesta di costituzione di una squadra investigativa comune proveniente da uno Stato membro, in base all'articolo 3, ricorda che il procuratore della Repubblica riceve la richiesta e, in caso di competenza di altro ufficio, la trasmette immediatamente alla procura competente, dandone avviso alla autorità straniera richiedente (comma 2). Il procuratore della repubblica competente (individuato dal comma 1 nel procuratore preposto all'ufficio «titolare delle indagini che esigono un'azione coordinata e concertata con quelle condotte all'estero» o nel procuratore «del luogo in cui gli atti di indagine della squadra investigativa comune devono essere compiuti») informa della richiesta il procuratore generale presso la Corte d'appello, così che questi possa eventualmente avvisare della richiesta stessa gli altri pubblici ministeri del distretto che possano essere interessati alle indagini, al fine del coordinamento delle stesse. Se si tratta di indagini per delitti rispetto ai quali è competente la procura distrettuale, la comunicazione è data al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (comma 3). Il comma 4 prevede che il procuratore della Repubblica, sentito il procuratore generale presso la Corte d'appello o, per i reati di propria competenza, il procuratore antimafia e antiterrorismo, comunichi senza ritardo all'autorità dello Stato estero richiedente la decisione di non dare corso alla richiesta, qualora questa comporti il compimento di atti espressamente vietati dalla legge o contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. Tale decisione deve essere altresì comunicata anche al Ministro della giustizia, ai fini di consentire «all'organo di indirizzo politico le opportune valutazioni di competenza». Come si precisa nella relazione il potere di sindacato sulla liceità degli atti di indagine non preclude la possibilità per l'autorità dello Stato membro richiedente di reiterare la richiesta, purché fondata su finalità e azioni investigative conformi ai principi e alle leggi dell'ordinamento giuridico italiano.
  Fa presente che i primi due commi dell'articolo 4 delineano il contenuto dell'atto costitutivo della squadra investigativa comune, che deve essere sottoscritto dal Procuratore della Repubblica e dall'autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri coinvolti (comma 1).
  In particolare, l'atto deve indicare (comma 2): i componenti della squadra investigativa comune, ossia i membri nazionali (individuati fra gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria) e quelli distaccati da altri Stati membri (designati in base alla normativa nazionale); il direttore della squadra, scelto tra i suoi componenti; l'oggetto e le finalità dell'indagine; il termine entro il quale la squadra investigativa comune può operare; il pubblico Pag. 45ministero sotto la cui direzione opera la squadra investigativa comune, nell'ipotesi in cui la richiesta sia stata formulata d'intesa fra diversi uffici del pubblico ministero (comma 7).
  All'atto costitutivo è allegato il piano di azione operativo, contenente le misure organizzative e l'indicazione delle modalità di esecuzione (comma 3). Il comma 4 aggiunge che quando ravvisano la necessità investigativa le autorità che hanno costituito la squadra possono non solo modificare, con atto sottoscritto, l'oggetto e la finalità dell'indagine, ma anche prorogare il termine entro il quale le attività di indagine devono essere compiute. Con le stesse modalità, per sopravvenute esigenze anche investigative le autorità possono modificare anche la composizione della squadra con la sostituzione o l'aggiunta di membri (comma 5). Il comma 6 precisa che la squadra investigativa comune che opera sul territorio italiano è sottoposta alla direzione del pubblico ministero.
  Fa presente che l'articolo 5 dispone in ordine alla qualifica e alla responsabilità penale dei membri distaccati. In particolare il comma 1 individua lo status dei componenti della squadra investigativa comune distaccati dall'autorità estera, precisando che essi assumono, anche agli effetti della legge penale, la qualifica di pubblico ufficiale e ad essi sono attribuite le funzioni di polizia giudiziaria nel compimento delle attività di indagine. Ai sensi del comma 2 il pubblico ministero, sotto la cui direzione è posta la squadra investigativa comune, con provvedimento motivato, può escludere dal compimento di singoli atti sul territorio dello Stato i membri distaccati.
  Segnala che l'articolo 6 prevede il regime di utilizzazione delle informazioni investigative e degli atti di indagine. Il comma 1 delinea il fondamento normativo dell'azione delle squadre investigative, precisando che esse operano sul territorio italiano in base alla legge italiana. Il comma 2 disciplina l'acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti compiuti dalla squadra investigativa, di cui all'articolo 431 del Codice di procedura penale. In particolare, senza novellare la disposizione codicistica citata, si precisa che entrano a far parte del fascicolo del dibattimento anche «i verbali degli atti non ripetibili posti in essere dalla squadra investigativa comune». Con riguardo al regime degli atti compiuti all'estero dalla squadra investigativa, il comma 3 precisa che essi hanno la stessa efficacia e utilizzabilità dei corrispondenti atti regolati dalla legge processuale italiana. Il comma 4 disciplina, poi, l'utilizzo delle informazioni legalmente ottenute dai componenti della squadra e non altrimenti disponibili per le autorità competenti dello Stato membro sul cui territorio sono state assunte. Conformemente a quanto previsto dall'articolo 1, par. 10, della decisione quadro, tali informazioni possono essere utilizzate: a) per i fini previsti all'atto della costituzione della squadra; b) previo accordo dello Stato membro interessato, per l'individuazione, l'indagine e il perseguimento di altri reati. Detto consenso può essere negato soltanto in caso di grave pericolo per l'efficacia delle indagini penali nello Stato membro interessato o qualora quest'ultimo potesse rifiutare l'assistenza giudiziaria ai fini di tale uso; c) per scongiurare una minaccia immediata e grave alla sicurezza pubblica, lasciando impregiudicata la lettera b) in caso di successivo avvio di un'indagine penale; d) per altri scopi entro i limiti convenuti dagli Stati membri che hanno costituito la squadra. Il comma 5 prevede che il procuratore della Repubblica che ha sottoscritto l'atto costitutivo della squadra investigativa comune può richiedere all'autorità competente degli altri Stati membri coinvolti nella squadra di ritardare – per un massimo di sei mesi – l'utilizzazione delle informazioni ottenute dai componenti della squadra, quando ciò può pregiudicare altre indagini o procedimenti penali in corso in Italia. Ai sensi del comma 6, la stessa possibilità deve essere accordata dal procuratore della Repubblica, quando analoga richiesta provenga dall'autorità estera.Pag. 46
  Rammenta che l'articolo 7 reca disposizioni in materia di responsabilità civile dei membri della squadra investigativa. In particolare il comma 1 limita la responsabilità dello Stato italiano ai soli danni causati dai propri componenti della squadra investigativa comune e derivanti dalle attività della squadra stessa. In base al comma 2, se i componenti della squadra hanno causato danni a terzi nel territorio di un altro Stato membro, lo Stato italiano è tenuto a rimborsare integralmente a quest'ultimo le somme dal medesimo versate per ristorare il danno subito dalle parti lese. Infine il comma 3 infine, dando attuazione all'articolo 2 della decisione quadro n. 2002/465/GAI, prevede che per i danni cagionati dai componenti della squadra investigativa comune sul territorio italiano sia responsabile lo Stato italiano, che a tal fine provvederà al risarcimento. Resta ferma la possibilità per lo Stato italiano di agire in rivalsa verso lo Stato di appartenenza dei membri distaccati per ottenere il rimborso delle somme versate.
  Ricorda, infine, che l'articolo 8 reca la clausola di copertura finanziaria, indicando gli oneri derivanti dall'attuazione dei provvedimenti e i mezzi per farvi fronte.

  Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive.
Atto n. 231.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Donatella FERRANTI, presidente, intervenendo in sostituzione del relatore, onorevole Ermini, impossibilitato a partecipare alla seduta odierna, rammenta che la Commissione è chiamata ad esaminare, nella seduta odierna, lo schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (A.G. 231).
  Segnala che tale provvedimento è adottato in attuazione della legge di delegazione europea per il 2014 (legge n. 114 del 2015). In particolare quest'ultima, all'articolo 18, delega specificamente il Governo ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega e secondo le procedure di cui all'articolo 31, commi 2, 3, 5 e 9, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea), i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l'attuazione di un elenco di decisioni quadro.
  Fa presente che il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, nell'ordinamento italiano, ha già ricevuto prime importanti applicazioni con la legge 22 aprile 2005, n. 69, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri e con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, contenente Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. In generale, nel campo delle norme processuali l'Unione Europea e gli Stati membri tendono ad adottare sempre più frequentemente il principio del reciproco riconoscimento. Pag. 47Tuttavia, le suddette norme vigenti, in ragione dei rispettivi campi di applicazione ben definiti, non possono soddisfare adeguatamente le esigenze relative ai casi di pene non detentive irrogate nei confronti di persone aventi residenza legale e abituale al di fuori dello Stato che ha emesso la condanna, nonché di condanne con sospensione condizionale della pena e di liberazione condizionale le quali comportano obblighi di sorveglianza. Introducendo la possibilità di trasferire la sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive tra uno Stato membro e l'altro, si intende da un lato favorire il reinserimento e la riabilitazione sociale del condannato rispettando il suo diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione europea e, d'altro lato, migliorare il controllo del rispetto degli obblighi e delle prescrizioni impartiti.
  Nel passare all'esame del contenuto dello schema di decreto legislativo, segnala che lo stesso si compone di 4 Capi, 18 articoli e due Allegati. Il capo I (articoli da 1 a 4) riguarda le disposizioni generali; il capo II (articoli da 5 a 8) riguarda la trasmissione all'estero. Il capo III (articoli da 9 a 16) riguarda la trasmissione all'estero; il capo IV (articoli 17 e 18) riguarda le disposizioni transitorie e finali).
  In particolare, osserva che l'articolo 1 dello schema di decreto legislativo individua l'oggetto del medesimo decreto, consistente nell'attuazione nell'ordinamento interno della decisione quadro 2008/947/GAI. A confronto con il corrispondente articolo 1 della Decisione quadro 2008/947/GAI, rubricato Obiettivi e ambito di applicazione, lo schema di decreto non riporta un'esplicita indicazione dei tipi di sentenza e di decisione nonché dei trasferimenti di competenza per la sorveglianza delle misure che rientrano nell'ambito di applicazione della norma, né un'esplicita esclusione delle sentenze penali che irrogano pene detentive e misure restrittive della libertà personale nonché delle sanzioni pecuniarie e decisioni di confisca. Peraltro, come si è visto in precedenza, per l'esecuzione delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale nell'ordinamento italiano esiste già il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161.
  Fa presente che l'articolo 2 dello schema di decreto legislativo in esame riguarda le definizioni, così come l'articolo 2 della decisione quadro 2008/947/GAI. Vi sono peraltro alcune differenze: laddove si fa riferimento alla «liberazione condizionale» – secondo la decisione quadro si tratta di liberazione anticipata di un condannato dopo che questi abbia scontato parte della pena detentiva o della misura privativa della libertà, mentre nello schema di decreto legislativo è assente il riferimento alla misura privativa della libertà. Inoltre, nella decisione quadro si definiscono misure di sospensione condizionale gli obblighi e prescrizioni nei confronti di una persona fisica in relazione ad una sospensione condizionale della pena, a una liberazione condizionale o a una condanna condizionale; nello schema di decreto manca il riferimento all'ipotesi di condanna condizionale.
  Rammenta che l'articolo 3 dello schema di decreto legislativo individua le autorità competenti di parte italiana per il perseguimento delle finalità della decisione quadro nonché della norma attuativa nazionale: esse sono il Ministero della Giustizia e l'autorità giudiziaria. In linea di massima, la trasmissione e la ricezione dei provvedimenti giudiziari in questione e del relativo certificato (di cui all'Allegato I) nonché la corrispondenza ad essi relativa spetta al Ministero, ma entro certi limiti, indicati dal medesimo schema di decreto, è consentita la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie. In quest'ultimo caso, l'autorità giudiziaria italiana è tenuta però ad informare il Ministero.
  Fa presente che l'articolo 4 dello schema di decreto, composto da un solo comma, elenca dettagliatamente obblighi e prescrizioni impartiti con la sospensione condizionale della pena, le sanzioni sostitutive o la liberazione condizionale. L'elenco di cui all'articolo 4 della Decisione quadro 2008/947/GAI, invece, riguarda sospensione condizionale o sanzioni Pag. 48sostitutive, ma non la liberazione condizionale. Al riguardo, rammento che l'istituto della liberazione condizionale è disciplinato nell'ordinamento italiano dall'articolo 176 del codice penale, mentre la sospensione condizionale della pena è disciplinata dagli articoli 163 e seguenti del codice penale. Nella sostanza, l'elenco suddiviso in undici lettere contenuto nell'articolo 4 dello schema di decreto legislativo può dirsi coincidente con il testo dell'articolo 4, comma 1, della decisione quadro.
  Segnala che gli articoli 5 e 6 dello schema di decreto legislativo, nella Tabella di concordanza che accompagna lo schema di decreto legislativo, sono posti in corrispondenza con l'articolo 5 della decisione quadro 2008/947/GAI sui criteri per la trasmissione di una sentenza e, se del caso, di una decisione di sospensione condizionale. Gli articoli 5 e 6 dello schema di decreto si riferiscono espressamente soltanto alla fattispecie della liberazione condizionale e non alla sospensione condizionale, compresa tuttavia nel richiamo alla «sentenza» che, in base alle definizioni previste dallo schema di decreto, riguarda proprio l'istituto della sospensione condizionale oltre che la sanzione sostitutiva. La trasmissione all'estero viene disposta immediatamente dopo il passaggio in giudicato della sentenza ovvero immediatamente dopo la decisione di liberazione condizionale, sempre che gli obblighi e le prescrizioni imposti vadano adempiuti e osservati per un minimo di sei mesi. La trasmissione è disposta dal pubblico ministero, tenendo conto dello scopo di favorire il reinserimento sociale e la riabilitazione del condannato o di rafforzare la protezione delle vittime o della collettività. Occorre verificare il consenso dell'autorità interessata, nel caso di esecuzione debba essere effettuata in Stato membro diverso da quello di residenza legale e abituale del condannato. Quando è ignota l'autorità competente dello Stato di esecuzione, l'autorità giudiziaria italiana procedente compie gli accertamenti necessari, anche attraverso i punti di contatto della rete giudiziaria europea.
  Rileva che l'articolo 7 dello schema di decreto legislativo regola il procedimento di trasmissione. Esso prevede che il provvedimento con cui è disposta la trasmissione all'estero sia inviato, unitamente alla sentenza o alla decisione di liberazione condizionale e al certificato, al Ministero della Giustizia che, a sua volta, lo inoltra all'autorità competente dello Stato di esecuzione, previa traduzione nella lingua di questo Stato. In base al comma 2, se la traduzione del certificato non è necessaria o se vi provvede l'autorità giudiziaria, il provvedimento può essere inviato direttamente all'autorità competente dello Stato di esecuzione e deve essere comunicato per conoscenza al Ministero della giustizia. Sono inoltre disciplinate le ipotesi di ritiro del certificato, di cui è data comunicazione nei dieci giorni dalla decisione. Il ritiro può essere effettuato dal p.m., purché non sia stata avviata l'esecuzione all'estero. Si tratta delle seguenti ipotesi: a) l'autorità dello Stato di esecuzione comunichi che la legislazione dello Stato prevede un'applicazione di misure restrittive della libertà personale di durata superiore a quelle corrispondenti in Italia; b) viene comunicato che l'autorità dello Stato di esecuzione ha assunto la decisione di adottare le misure di sospensione condizionale secondo la legislazione di quello Stato.
  Rammenta che l'articolo 8 dello schema di decreto legislativo è rubricato Effetti del riconoscimento e sostanzialmente corrisponde all'articolo 7 della decisione quadro 2008/947/GAI, a sua volta rubricato Conseguenze per lo Stato di emissione. Il comma 1 dell'articolo 8 dello schema di decreto concerne i riconoscimenti di sentenze o decisioni italiane da parte di uno Stato membro di esecuzione e stabilisce che, quando l'autorità competente dello Stato di esecuzione informa l'Italia dell'avvenuto riconoscimento della sentenza o decisione di liberazione condizionale, la nostra autorità giudiziaria non è più tenuta ad adottare provvedimenti ai fini della sorveglianza degli obblighi e delle disposizioni impartiti (salvo in un caso: il ritiro del certificato). Il comma 2 dell'articolo 8 prevede l'ipotesi in cui uno Stato Pag. 49di esecuzione comunichi all'Italia, Stato di emissione, la cessazione della propria competenza per l'esecuzione, in conseguenza del fatto che il soggetto condannato si sia sottratto all'esecuzione o non abbia più la residenza ovvero la dimora abituale in quello Stato. In questa eventualità, si ha una riassunzione di competenza da parte italiana. Analogamente, la competenza può essere riassunta quando tiene conto della durata e del grado di osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impartiti durante la sorveglianza all'estero.
  Ricorda che l'articolo 9 dello schema di decreto legislativo, viceversa, riguarda la competenza a livello italiano sulle richieste di riconoscimento e trasferimento della sorveglianza, trasmesse dall'estero. In questi casi, la competenza a decidere sul riconoscimento dei provvedimenti pervenuti e sul trasferimento della sorveglianza è attribuita alla corte d'appello nel cui distretto la persona condannata risiede o dimora, oppure laddove ha espresso l'intenzione di volersi trasferire. È possibile però che la corte d'appello rilevi la propria incompetenza; in tal caso, essa lo dichiara con sentenza e trasmette gli atti alla corte d'appello competente, dandone tempestivamente informazione alle autorità dello Stato di emissione, anche attraverso il Ministero della giustizia.
  Segnala che l'articolo 12 – il cui contenuto è strettamente connesso con quello dell'articolo 9 – disciplina il procedimento di riconoscimento. Fa presente che esso ribadisce, in primo luogo, la competenza della corte d'appello che si pronuncia sulle richieste di riconoscimento provenienti da altri Stati membri (comma 1). Rileva che l'articolo in commento prevede che la corte stessa possa, tramite il Ministero della Giustizia, richiedere allo Stato di emissione integrazioni della documentazione trasmessa (comma 2), indi disciplina lo svolgimento del procedimento nonché gli eventuali ricorsi in cassazione (commi da 3 a 7). Il procedimento deve svolgersi in camera di consiglio, con le modalità ordinarie dettate dall'articolo 127 del codice di procedura penale. Il ricorso in cassazione non sospende l'esecuzione della decisione. Sempre in base all'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, la decisione della corte d'appello sul riconoscimento e sul trasferimento della sorveglianza è emessa entro trenta giorni, salvo circostanze nelle quali il termine non possa essere rispettato. In tali casi eccezionali, il presidente della corte stessa informa le autorità dello Stato di emissione e il termine prorogato di venti giorni. Le decisioni della corte d'appello possono essere impugnate dal procuratore generale, o dalla persona condannata e dal suo difensore. Essi possono ricorrere per cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione della decisione. La corte di cassazione, a sua volta, deciderà entro trenta giorni. Quando si ricorre in cassazione, il termine per il riconoscimento è prorogato per un periodo equivalente a quello entro il quale la cassazione deve decidere, ovvero di trenta giorni anch'esso. Le condizioni per il riconoscimento della sentenza o della decisione di liberazione condizionale formano l'oggetto dell'articolo 10 dello schema di decreto legislativo, che le elenca. La prima condizione è che il condannato all'estero abbia la residenza o dimora abituale nello Stato italiano o abbia manifestato la volontà di stabilirvisi. La seconda è che il fatto per cui la condanna è stata irrogata costituisca reato anche dall'ordinamento italiano (tale valutazione sarà indipendente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato stesso in questione). La terza è che la durata e la natura degli obblighi siano compatibili con la legislazione italiana, salvo eventuali adattamenti entro certi limiti, che vengono precisati nei commi 2 e 3 dell'articolo stesso. Ai sensi del comma 2, qualora la natura, la durata degli obblighi e delle prescrizioni ovvero la durata delle misure (sospensione condizionale, sanzioni sostitutive e liberazione anticipata) sono incompatibili con la normativa italiana per corrispondenti reati, la corte d'appello ne informa l'autorità dello Stato di emissione e procede ai necessari adeguamenti, ridotti al minimo indispensabile rispetto alle previsioni dello Stato di emissione. Pag. 50Comunque, l'adeguamento non comporterà alcun aggravamento degli obblighi e delle prescrizioni imposti al condannato. In base al comma 3, gli eventuali adeguamenti renderanno la durata degli obblighi e delle prescrizioni o la durata delle misure conformi al limite massimo previsto dalla legislazione italiana per reati equivalenti e non consentiranno che esso sia oltrepassato. Analoghi principi sugli adattamenti si trovano nell'articolo 9 della decisione quadro 2008/947/GAI.
  Fa presente che l'articolo 11 dello schema di decreto legislativo, così come il corrispondente articolo 10 della Decisione quadro 2008/947/GAI, reca una lunga serie di deroghe al principio della doppia punibilità. In base al suddetto principio, ai fini dell'estradizione passiva il fatto deve costituire reato per la legge penale sia dello Stato richiedente, che di quello concedente, indipendentemente dalla diversità dei regimi sanzionatori. È condizione necessaria per il riconoscimento in deroga che la sanzione penale prevista nello Stato di emissione per il reato in oggetto abbia una durata massima non inferiore a tre anni di reclusione e sia interessata una delle fattispecie di reato elencate analiticamente nello schema di decreto. Tra le fattispecie per le quali è prevista la deroga si ricordano l'associazione per delinquere, il terrorismo, la tratta di esseri umani, il traffico d'armi, la frode, la criminalità ambientale, l'omicidio volontario, la violenza sessuale, il dirottamento di navi o di aerei, il sabotaggio. Per l'elenco completo delle fattispecie, composto da 32 voci in totale, rinvio al testo dell'articolo 11 dello schema di decreto. Spetta alla corte di appello accertare la corrispondenza tra la definizione dei reati per cui è richiesta la trasmissione, secondo la legge dello Stato di emissione e le fattispecie medesime.
  Segnala che l'articolo 13 dello schema di decreto legislativo verte sui numerosi casi nei quali la corte d'appello italiana può rifiutare il riconoscimento della sentenza o della decisione di liberazione condizionale che le sono pervenuti. Tale casistica ha molti punti di contatto con quella indicata dall'articolo 11 (Motivi di rifiuto del riconoscimento e della sorveglianza) della Decisione quadro 2008/947/GAI e con quella recata dal decreto legislativo n. 161/2010, articolo 13 (Motivi di rifiuto del riconoscimento), ma non è esattamente identica né all'una né all'altra. Per puntuali confronti con l'articolo 11 della Decisione quadro in parola, si rimanda alla citata Tabella di concordanza acclusa all'A.G. n. 231. Il comma 1 dell'articolo 13 dello schema di decreto legislativo stabilisce altresì che la corte d'appello, se rifiuta il riconoscimento, deve darne informazione all'autorità competente dello Stato di emissione.
  I casi di rifiuto sono i seguenti: assenza delle condizioni prescritte o reati non previsti dalla legislazione italiana, salve le fattispecie dell'articolo 11 (lettera a); incompletezza o carenze del certificato (lettera b); violazione del ne bis in idem (lettera c); pena prescritta e sussistenza della giurisdizione italiana per il fatto di reato in questione (lettera d); causa di immunità nell'ordinamento italiano (lettera e); pena nei confronti di persona non imputabile (lettera f); obblighi e prescrizioni da adempiere per un periodo inferiore a sei mesi (lettera g); ipotesi di processo nei confronti di irreperibili (lettera h); misura di trattamento medico o psichiatrico incompatibile con il sistema italiano (lettera i); reati commessi, in tutto o in parte, in Italia in base alla legge italiana (lettera l).
  Il comma 2 dell'articolo 13 dello schema di decreto legislativo prevede che nei casi di cui al comma 1, lettere a), b), c), g), h) e l), la corte d'appello, prima di decidere di rifiutare il riconoscimento e il trasferimento della sorveglianza, consulti l'autorità competente dello Stato di emissione e le richieda ogni informazione utile, anche tramite il Ministero della giustizia.
  Il comma 3 dell'articolo 13 dello schema di decreto legislativo prevede e disciplina i casi in cui – nelle ipotesi del comma 1 – la corte d'appello può decidere, in accordo con lo Stato di emissione, di sorvegliare gli obblighi e le prescrizioni imposti dalla sentenza o dalla decisione di liberazione condizionale, ma senza assumere Pag. 51la competenza di adottare decisioni di modifica o revoca né di imposizione di misure restrittive della libertà personale. In tali evenienze, la corte di appello deve informare l'autorità dello Stato di emissione circa qualsiasi circostanza o elemento conoscitivo che potrebbe comportare l'adozione di connesse decisioni. A tal fine utilizza un modulo allegato allo schema di decreto.
  Rammenta che l'articolo 14 dello schema di decreto legislativo è dedicato agli effetti del riconoscimento. Il comma 1 afferma che quando è pronunciata sentenza di riconoscimento, la sorveglianza è disciplinata dalla legge italiana. Inoltre, ai sensi del medesimo comma 1, si applicano le disposizioni in materia di amnistia, indulto e grazia. In base al comma 2 dell'articolo 14 dello schema di decreto legislativo, l'autorità italiana che provvede alla sorveglianza è il procuratore generale presso la corte d'appello che ha deliberato il riconoscimento. Il comma 3 individua nella corte d'appello il soggetto competente per le decisioni connesse alla sospensione condizionale della pena, alla liberazione condizionale e alle sanzioni sostitutive. La corte d'appello, in particolare, interviene in caso di inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni da parte della persona condannata o se quest'ultima commette nuovi reati. Essa informa delle sue eventuali decisioni l'autorità competente dello Stato di emissione.
  Fa presente che l'articolo 15 disciplina i casi di cessazione della competenza dell'autorità giudiziaria italiana sull'esecuzione. Nella Decisione quadro 2008/947/GAI, il tema della cessazione di competenza viene affrontato all'articolo 20. La competenza sull'esecuzione cessa qualora la persona condannata si sottragga all'osservanza sugli obblighi e sulle prescrizioni o non ha residenza legale e abituale nello Stato italiano. In tali casi, il procuratore generale presso la corte d'appello informa l'autorità competente dello Stato di emissione dell'avvenuta cessazione dei poteri di sorveglianza. Il comma 2 dell'articolo 15 dello schema di decreto legislativo, che riguarda casi di remissione dei poteri di sorveglianza su richiesta da parte dello Stato di emissione, è sostanzialmente conforme al comma 2 dell'articolo 20 della Decisione quadro 2008/947/GAI. Il comma 2 dell'articolo 15 dello schema stabilisce che, sulle richieste dall'estero, si pronuncia la corte d'appello che, su richiesta del procuratore generale, può rimettere l'esercizio dei poteri di sorveglianza allo Stato di emissione.
  Segnala che le spese per la sorveglianza sull'osservanza degli obblighi e delle prescrizioni sul territorio nazionale sono poste dall'articolo 16 dello schema di decreto legislativo a carico dell'Italia. Ciò è in linea con le previsioni dell'articolo 22 della Decisione quadro 2008/947/GAI. Sulla questione delle spese, rammenta che la Relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto legislativo segnala la possibilità di ricorrere alle risorse ordinarie disponibili a legislazione vigente iscritte sull'U.d.V. 1.1 Amministrazione penitenziaria – Interventi, con particolare riferimento al capitolo 1761. Il capitolo indicato reca uno stanziamento pari a 88.19 milioni di euro per l'anno 2015, di 86,09 milioni per il 2016 e i 85,82 per il 2017.
  Sempre in materia di spese, fa presente che l'articolo 17 dello schema di decreto legislativo reca la clausola di invarianza finanziaria.
  Rileva che l'articolo 18 stabilisce che, per quanto non previsto dallo schema di decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili.
  Segnala che l'Allegato I, menzionato all'articolo 3 e all'articolo 8 dello schema di decreto legislativo, consiste in un certificato da usare per lo scambio delle informazioni salienti relative ad ogni singolo caso. Tale Allegato I, in pratica, è un complesso di voci, campi da riempire e caselle da barrare.
  Fa presente, infine, che l'Allegato II è un modulo per le segnalazioni di violazioni di una misura di sospensione condizionale o di una sanzione sostitutiva nonché di altri elementi conoscitivi.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

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Schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.
Atto n. 233.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Donatella FERRANTI, presidente, intervenendo in sostituzione della relatrice, onorevole Rossomando, impossibilitata a partecipare alla seduta odierna, rammenta che la Commissione è chiamata ad esaminare, nella seduta odierna, lo schema di decreto legislativo recante «Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare» (A.G. 233). Tale schema di decreto è adottato in attuazione della legge di delegazione europea per il 2014 (legge n. 114 del 2015).
  In particolare, osserva che quest'ultima, all'articolo 18, delega specificamente il Governo ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega e secondo le procedure di cui all'articolo 31, commi 2, 3, 5 e 9, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea), i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l'attuazione di un elenco di decisioni quadro. Nell'elenco è compresa la decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare. Tale decisione quadro stabilisce le norme per il reciproco riconoscimento delle misure cautelari da parte dei Paesi dell'Unione europea (UE) nel corso di procedimenti penali. L'articolo 1 della decisione specifica che tali norme disciplinano il riconoscimento di una decisione sulle misure cautelari, la sorveglianza delle misure cautelari e la consegna dell'interessato che viola le misure cautelari impostegli. Per «decisione sulle misure cautelari» la decisione quadro intende una decisione esecutiva emessa durante il procedimento penale da un'autorità competente dello Stato di emissione conformemente alla legislazione e alle procedure nazionali e che impone a una persona fisica, come alternativa alla detenzione cautelare, una o più misure cautelari.
  Fa presente che le misure di cui alla decisione quadro mirano a rafforzare la protezione dei cittadini in generale, consentendo a una persona residente in uno Stato membro ma sottoposta a procedimento penale in un secondo Stato membro di essere sorvegliata dalle autorità dello Stato in cui risiede in attesa del processo, di contro al previgente regime, con due sole alternative, la detenzione cautelare o la circolazione non sottoposta a controllo.
  Nel passare all'esame del contenuto del provvedimento in discussione, segnala che lo stesso si compone si compone di 4 Capi, 18 articoli e due Allegati. Esso è strutturato in maniera in parte diversa rispetto alla Decisione Quadro 2009/829/GAI che, invece, è formata da 29 articoli. Come emerge dalla Tabella di concordanza allegata alla relazione illustrativa dello schema di decreto, le differenze strutturali sono legate principalmente a tre fattori. In primo luogo, alcuni articoli della Decisione Quadro 2009/829/GAI non richiedono disposizioni di attuazione. In secondo luogo, talora si è ritenuto superfluo tradurre in una disposizione normativa interna le indicazioni recate dalla Decisione Quadro, trattandosi di procedure di comune applicazione da parte degli Stati membri. In fine, talune disposizioni raggruppate dalla Decisione Quadro 2008/947/GAI in un articolo apposito sono inserite dallo schema di decreto legislativo in altri punti dell'articolato nel suo insieme. Inoltre, nel caso specifico dell'articolo 21 (Consegna dell'interessato) Pag. 53della Decisione Quadro 2009/829/GAI, si è scelto di applicare una norma già presente nell'ordinamento italiano.
  In particolare, segnala che l'articolo 1 dello schema di decreto legislativo (Disposizioni di principio e ambito di applicazione) individua l'oggetto dello schema di decreto, vale a dire, l'attuazione della Decisione Quadro 2009/829/GAI.
  Fa presente che l'articolo 2 consiste in una serie di definizioni. Esso corrisponde perciò al contenuto dell'articolo 4 della Decisione Quadro, con poche differenze di scarso rilievo.
  Rammenta che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, dello schema di decreto legislativo, le autorità competenti di parte italiana per il perseguimento delle finalità della Decisione Quadro europea nonché della norma attuativa nazionale sono il Ministero della Giustizia e l'autorità giudiziaria. I commi 2 e 3 dell'articolo 3 dello schema delineano le rispettive funzioni assegnate al Ministero e all'autorità giudiziaria. La trasmissione e la ricezione dei provvedimenti giudiziari in materia di misure alternative alla detenzione cautelare nonché gli appositi certificati (di cui all'Allegato I) e la relativa corrispondenza spettano al Ministero, ma entro certi limiti, stabiliti dallo schema in esame, è consentita la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie. In quest'ultimo caso, l'autorità giudiziaria italiana è tenuta però a informare il Ministero.
  Segnala che l'articolo 4 dello schema di decreto, composto da un unico comma, elenca dettagliatamente obblighi e prescrizioni impartiti con la decisione sulle misure cautelari alla persona sotto processo. Tale elenco, in sei punti, riproduce l'analogo elenco di cui all'articolo 8, comma 1, della Decisione Quadro 2009/829/GAI con poche variazioni di natura formale.
  Gli articoli 5 e 6 dello schema in esame si occupano della competenza interna per le trasmissioni all'estero delle decisioni sulle misure cautelari e delle condizioni delle trasmissioni stesse.
  Spetta al p.m. presso il giudice che ha emesso la decisione sulle misure cautelari trasmettere tale decisione all'autorità dello Stato membro in cui l'interessato ha la propria residenza legale o abituale, quando l'interessato abbia manifestato la volontà di rientrare in quello Stato. Su richiesta dell'interessato, la trasmissione è disposta in favore dell'autorità di altro Stato membro, in cui l'interessato voglia trasferirsi, purché tale autorità abbia consentito (articolo 5). La trasmissione all'estero viene disposta immediatamente dopo la decisione sulle misure cautelari, con l'indicazione del periodo di applicazione (articolo 6, comma 1). La trasmissione è disposta in favore di un solo Stato di esecuzione per volta. Quando è ignota l'autorità competente dello Stato di esecuzione, l'autorità giudiziaria italiana procedente compie gli accertamenti necessari (articolo 6, comma 5).
  L'articolo 7 dello schema di decreto regola il procedimento di trasmissione.
  Esso prevede che il provvedimento con cui è disposta la trasmissione all'estero sia inviato, unitamente alla decisione sulle misure cautelari e al certificato debitamente compilato di cui all'Allegato I, al Ministero della Giustizia che, a sua volta, lo inoltra all'autorità competente dello Stato di esecuzione (previa traduzione nella lingua di questo Stato). In base al comma 3, il p.m. può ritirare il certificato sul provvedimento adottato purché non abbia avuto inizio l'esecuzione all'estero, quando l'autorità dell'altro Stato comunica i termini di durata massima della sorveglianza delle misure cautelari previsti dalla legislazione di quello Stato e tali termini siano superiori a quelli corrispondenti in Italia. Viene quindi disciplinata la comunicazione del ritiro del certificato. In caso di mancato riconoscimento della decisione italiana sulle misure cautelari da parte di un altro Stato membro, il Ministero della Giustizia – se ne è informato – ne dà comunicazione all'autorità giudiziaria italiana che ha emesso il provvedimento.
  L'articolo 8 riguarda gli effetti del riconoscimento (o della cessazione di competenza dopo il riconoscimento) delle decisioni sulle misure cautelari assunte dall'autorità giudiziaria italiana da parte di uno Stato membro. Il comma 1 dell'articolo Pag. 54concerne il caso in cui una decisione italiana sulle misure cautelari venga riconosciuta da un altro Stato membro. Quando ciò si verifica, l'autorità giudiziaria italiana, avuta notizia dell'avvenuto riconoscimento, non è più tenuta ad adottare provvedimenti ai fini della sorveglianza degli obblighi e delle disposizioni impartiti (salvo che nel caso, precisato dal comma stesso, di ritiro del certificato). Il comma 2 disciplina invece il caso in cui uno Stato membro comunichi la cessazione della propria competenza per l'esecuzione della decisione italiana, o perché la persona interessata non risiede né dimora più in quello Stato, o perché sia intervenuta una modifica delle misure cautelari disposte dall'Italia tale da avere fatto venire meno una corrispondenza con le analoghe misure previste dalla legislazione di quello Stato, oppure ancora per scadenza dei termini massimi di sorveglianza delle misure cautelari fissato dalla legislazione di quello Stato. Nell'eventualità della suddetta cessazione di competenza, dichiarata da un altro Stato membro, l'autorità giudiziaria italiana riassume l'esercizio del potere di sorveglianza. Spetta all'autorità giudiziaria italiana decidere in ordine alla proroga, revoca della decisione sulle misure cautelari, alla modifica degli obblighi e delle prescrizioni e all'emissione di un mandato di arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva con la medesima forza. La cessazione di competenza da parte italiana, invece, è regolata dall'articolo 15.
  Fa presente che l'articolo 9 dello schema di decreto riguarda la competenza a livello nazionale sulle richieste di riconoscimento e di sorveglianza provenienti dall'estero. In questi casi, la competenza a decidere sul riconoscimento dei provvedimenti pervenuti e sul trasferimento della sorveglianza è attribuita alla corte d'appello nel cui distretto la persona interessata ha la propria residenza oppure ha espresso l'intenzione di volersi trasferire in vista dell'esecuzione delle misure domiciliari. È possibile però che la corte d'appello rilevi la propria incompetenza; in tal caso, essa lo dichiara con ordinanza e trasmette gli atti alla corte d'appello competente, dandone tempestivamente informazione alle autorità dello Stato di emissione, anche attraverso la collaborazione del Ministero della giustizia.
  Segnala che l'articolo 12, strettamente connesso all'articolo 9, fissa la competenza della corte d'appello che si pronuncia sulle richieste di riconoscimento provenienti da altri Stati membri (comma 1), prevede che la corte stessa possa, tramite il Ministero della Giustizia, richiedere allo Stato di emissione integrazioni della documentazione trasmessa (comma 2) e disciplina lo svolgimento del procedimento nonché gli eventuali ricorsi (commi da 3 a 7). La corte d'appello decide senza formalità sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta, entro dieci giorni dalla data di ricevimento della richiesta e dei relativi atti allegati. Sono fatte salve le circostanze nelle quali il termine non possa essere rispettato. Le decisioni della corte d'appello vengono trasmesse al procuratore generale e sono impugnabili nelle forme indicate dall'articolo 22 della legge n. 69 del 2005. Pertanto, possono essere impugnate dal difensore della persona interessata oppure dal procuratore generale, i quali possono ricorrere in cassazione entro dieci giorni dalla conoscenza legale delle decisioni in questione. Nell'eventualità di ricorso in cassazione, il termine per il riconoscimento è prorogato per un periodo di trenta giorni, che è equivalente a quello entro cui la corte di cassazione deve decidere. Tuttavia, possono darsi situazioni nelle quali la corte di cassazione sia impossibilitata a rispettare il termine suddetto. In tali casi eccezionali, il presidente della corte di cassazione informa le autorità dello Stato di emissione ed il termine è prorogato di venti giorni. La decisione definitiva è trasmessa al Ministero della Giustizia, che ne informa lo Stato di emissione.
  Rammenta che l'articolo 10 dello schema elenca le condizioni per il riconoscimento della decisione sulle misure cautelari. Tali condizioni, che devono ricorrere congiuntamente, sono tre. La prima è che la persona interessata abbia la residenza legale o abituale nello Stato italiano o abbia Pag. 55manifestato la volontà di stabilirvisi in vista dell'esecuzione delle misure cautelari. La seconda è che il fatto per cui è stata emessa la decisione sulle misure cautelari costituisca reato anche secondo l'ordinamento italiano (tale valutazione sarà indipendente dalla denominazione del reato stesso). La terza è che la durata e la natura degli obblighi e prescrizioni impartiti con le misure cautelari siano compatibili con la legislazione italiana. In base al comma 3, tuttavia, se la natura o al durata degli obblighi e delle prescrizioni sono incompatibili con la normativa italiana per corrispondenti reati, la corte d'appello procede ai necessari adeguamenti, informandone l'autorità competente dello Stato di emissione, con le minime deroghe necessarie rispetto a quanto previsto dallo Stato di emissione. L'adeguamento, comunque, non comporterà alcun aggravamento degli obblighi e delle prescrizioni imposti alla persona interessata, né in termini di contenuto né di durata.
  Segnala che l'articolo 11 dello schema di decreto legislativo, così come il corrispondente articolo 14 della Decisione Quadro 2009/829/GAI, reca una lunga serie di deroghe al principio della doppia punibilità (per usare la terminologia dello schema di decreto, ovvero della doppia incriminazione; oppure ancora della doppia incriminabilità, secondo la terminologia della Decisione Quadro). Il citato articolo 11, dunque, prevede che le richieste in ordine a determinati reati possano dare luogo a riconoscimento anche a prescindere dalla doppia incriminazione. È condizione necessaria per il riconoscimento in deroga che la sanzione penale prevista nello Stato di emissione per il reato in oggetto abbia una durata massima non inferiore a tre anni di reclusione e sia interessata una delle fattispecie di reato elencate analiticamente nello schema di decreto. Tra le fattispecie per le quali è prevista la deroga ricordano l'associazione per delinquere, il terrorismo, la tratta di esseri umani, il traffico d'armi, la frode, la criminalità ambientale, l'omicidio volontario, la violenza sessuale, il dirottamento di navi o di aerei, il sabotaggio. Per l'elenco completo delle fattispecie, composto da 32 voci in totale, si rimanda al testo dell'articolo 11 dello schema di decreto. Spetta alla corte d'appello accertare la corrispondenza tra la definizione dei reati per cui è richiesta la trasmissione, secondo la legge dello Stato di emissione, e le fattispecie medesime.
  Fa presente che l'articolo 13, comma 1, dello schema indica i casi nei quali la corte d'appello italiana può rifiutare il riconoscimento delle decisioni sulle misure cautelari che le sono pervenute: assenza delle condizioni prescritte o dei reati per cui è consentito, qualora i fatti non siano previsti come reati anche dalla legislazione italiana (lettera a); carenze nel certificato trasmesso dall'autorità dello Stato di emissione (lettera b); violazione del ne bis in idem (lettera c); avvenuta prescrizione del reato (lettera d); sussistenza di una causa di immunità riconosciuta dalla Stato italiano (lettera e); misura irrogata nei confronti di persona non imputabile per l'età, secondo la legge italiana (lettera f).
  Rammenta che il comma 2 prevede che, nei casi previsti dalle lettere a), b), c) del comma 1, la corte d'appello, prima di decidere di rifiutare il riconoscimento e il trasferimento della sorveglianza, consulti l'autorità competente dello Stato di emissione e le richieda ogni informazione utile, anche tramite il Ministero della giustizia.
  Segnala che l'articolo 14 dello schema in esame è dedicato agli effetti del riconoscimento. Il comma 1 afferma che, quando la corte di appello italiana provvede al riconoscimento, la sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni sia disciplinata dalla legge italiana. In base al comma 2 dell'articolo 14, l'autorità italiana che provvede alla sorveglianza è il procuratore generale presso la corte d'appello che ha deliberato il riconoscimento. È il procuratore generale stesso ad informare – anche tramite il Ministero della giustizia – l'autorità competente dello Stato di emissione di eventuali inosservanze degli obblighi e delle prescrizioni imposti, nonché di altri elementi tali da comportare la revoca delle decisioni o la modifica delle prescrizioni imposti. Per fornire tali informazioni, il procuratore Pag. 56generale si avvarrà di un modulo di cui all'Allegato II dello schema di decreto legislativo in esame.
  Osserva che con l'articolo 15, lo schema di decreto disciplina i casi di cessazione della competenza dell'autorità giudiziaria italiana sull'esecuzione: lo Stato italiano considera cessati i suoi poteri di sorveglianza in una serie di ipotesi. La prima è che l'interessato abbia stabilito la residenza legale e abituale fuori dall'Italia. La seconda riguarda il caso in cui non si trovi più sul territorio italiano. La terza riguarda il caso in cui lo Stato di emissione abbia modificato gli obblighi e le prescrizioni impartiti in modo tale che essi non rientrino più fra quelli previsti dalla nostra legislazione e, di conseguenza, la nostra autorità giudiziaria abbia rifiutato di esercitare i nuovi obblighi e prescrizioni richiesti. La quarta riguarda la scadenza dei termini massimi di sorveglianza delle misure cautelari previsti dalla legislazione italiana. La quinta e ultima riguarda il caso in cui lo Stato di emissione non abbia dato risposta entro termini ragionevoli a comunicazioni di parte italiana circa l'inosservanza da parte della persona interessata di obblighi e prescrizioni, tale da comportare il riesame o la revoca della decisione sulle misure cautelari o quanto meno la modifica degli obblighi e delle prescrizioni impartiti.
  Rammenta che l'articolo 16 dello schema di decreto pone a carico dell'Italia le spese per la sorveglianza sull'osservanza degli obblighi e delle prescrizioni sul territorio nazionale, uniformandosi alla regola dettata dall'articolo 25 della Decisione Quadro 2009/829/GAI. Sulla questione delle spese, la Relazione tecnica di natura economico-finanziaria che accompagna lo schema di decreto segnala la possibilità di ricorrere alle risorse ordinarie disponibili a legislazione vigente iscritte sull'U.d.V. 1.1 Amministrazione penitenziaria – Interventi, con particolare riferimento al capitolo 1761. Il capitolo indicato reca uno stanziamento pari a 88.19 milioni di euro per l'anno 2015, di 86,09 milioni per il 2016 e i 85,82 per il 2017.
  A sua volta, l'articolo 17 dello schema in esame reca la clausola di invarianza finanziaria, ovvero esclude l'insorgenza di nuovi oneri a carico dello Stato.
  Segnala che l'articolo 18 stabilisce che, per quanto non previsto dal decreto legislativo, si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili.
  L'Allegato I, menzionato dagli articoli 3 e 7 dello schema, consiste in un certificato da usare per la comunicazione delle informazioni salienti relative ad ogni singolo caso.
  Ricorda, infine, che l'Allegato II, citato all'articolo 14 dello schema di decreto legislativo, è un modulo ideato appositamente per le comunicazioni relative alla violazione di obblighi e prescrizioni inerenti alle misure cautelari oppure alla sussistenza di altri elementi conoscitivi tali da comportare l'adozione di ulteriori decisioni.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 18.40.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale.
C. 1063 Bonafede.

ERRATA CORRIGE

  Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 551 (rigo nero) del 2 dicembre 2015, a pagina 8, prima colonna, prima riga, le parole «e Forza Italia» sono soppresse.

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