CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 10 febbraio 2015
384.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (VI e X)
COMUNICATO
Pag. 18

SEDE REFERENTE

  Martedì 10 febbraio 2015. — Presidenza del presidente della VI Commissione Daniele CAPEZZONE – Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  La seduta comincia alle 9.

DL 3/2015: Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
C. 2844 Governo.
(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

  Marco CAUSI (PD), relatore per la VI Commissione, rileva come la Commissione sia chiamata a esaminare, in sede referente, in congiunta con la Commissione Attività produttive, il disegno di legge C. 2844, di conversione del decreto-legge n. 3 del 2015, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
  Per quanto riguarda il contenuto del decreto-legge, che si compone di 9 articoli, segnala come attengano principalmente agli ambiti di competenza della Commissione Finanze gli articoli 1, 2, 5, commi 1 e 4, e 6.
  L'articolo 1 reca, al comma 1, un importante intervento di riforma del settore delle banche popolari, che viene realizzata attraverso una serie di modifiche alla disciplina in materia recata dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993.
  A tale proposito ricorda, in linea generale, che le banche popolari sono istituti di credito, di norma costituiti come società cooperative, che operano sostanzialmente nel mercato nazionale, lasciando invece agli istituti di credito «classici» le opportunità di investimenti in mercati esteri.
  Le banche popolari si distinguono dagli enti aventi natura giuridica di S.p.A. per alcune peculiarità, tra cui:
   il principio del voto capitario, posto dall'articolo 30 del TUB, in base al quale ciascun socio, a prescindere dal numero e dal valore delle azioni detenute, dispone di un solo voto;
   il limite al possesso di azioni della banca: in base al comma 2 dell'articolo 30 del TUB nessun socio può detenere azioni in misura superiore all'1 per cento del Pag. 19capitale sociale, salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento (come da ultimo disposto dall'articolo 23-quater del decreto-legge n. 179 del 2012); in proposito rammenta che l'articolo 2, comma 17-quaterdecies, del decreto-legge n. 225 del 2010 ha prorogato al 31 dicembre 2014 il termine per l'adempimento del dovere di alienazione per i soggetti i quali, alla data del 31 dicembre 2009, detenevano una partecipazione al capitale sociale superiore ai limiti di legge, qualora il superamento del limite derivasse da operazioni di concentrazione tra banche oppure tra investitori, fermo restando che tale partecipazione non potrà essere incrementata. In deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al 3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria, a condizione che il superamento del limite sia dovuto a operazioni di aggregazione;
   la previsione di un numero minimo di soci che, in base al comma 4 dell'articolo 30 del predetto TUB, non può essere inferiore a duecento;
   l'istituto del gradimento, previsto dal comma 5 dell'articolo 30 del TUB, per cui il consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio, motivando il rigetto con riferimento all'interesse della società, alle prescrizioni statutarie e allo spirito della forma cooperativa. Contro il rigetto può essere fatto ricorso al collegio dei probiviri.
  L'articolo 31 del TUB attribuisce alla Banca d'Italia la facoltà di autorizzare le trasformazioni di banche popolari in società per azioni per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema.
  L'articolo 29 del medesimo TUB stabilisce inoltre che le banche popolari sono costituite in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Il comma 4 precisa che alle banche popolari non si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 1577 del 1947 (noto come «legge Basevi»), in materia di cooperazione. In tal senso il TUB ha recepito l'orientamento giurisprudenziale – già emerso in precedenza – che escludeva la possibilità di ricondurre le banche popolari nell'ambito della disciplina generale sulla cooperazione. In ciò le banche popolari si distinguono dalle banche di credito cooperativo che, anch'esse costituite, ai sensi dell'articolo 33 del TUB, in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata, hanno più intensamente conservato il carattere di mutualità derivante dalla loro origine storica (le banche di credito cooperativo sono succedute alle casse rurali e artigiane) e, pertanto, sono tenute ad adottare nello statuto le clausole che incidono sulla possibilità di distribuire utili e riserve ai soci e di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci stessi, nonché ad osservare i criteri di operatività prevalente con i soci, definiti dalla Banca d'Italia ai sensi dell'articolo 35 del TUB. È previsto inoltre che alle sole banche popolari non si applichino le disposizioni del codice civile che disciplinano le caratteristiche della mutualità prevalente (articoli 2512 e 2514 del codice civile), nonché in materia di trasferimento delle quote o azioni (articolo 2530, primo comma).
  In proposito ricorda che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione al Parlamento del 4 luglio 2014, ha suggerito alcune modifiche alla disciplina delle banche popolari attraverso:
   l'eliminazione del voto capitario, dei limiti alla partecipazione azionaria, del numero minimo di soci e della clausola di gradimento;
   l'eliminazione dell'eccezione, rispetto alle disposizioni generali, applicata alle banche popolari in materia di deleghe di voto.
  A giudizio dell'Autorità tali modifiche sono finalizzate a favorire la piena contendibilità degli assetti proprietari e il ricambio della compagine sociale (e quindi della governance), per il quale occorre rimuovere i vincoli alla circolazione delle Pag. 20azioni e superare gli ostacoli alla partecipazione alla vita societaria.
  Rammenta inoltre che in tal senso si era espressa anche la Banca d'Italia nel corso di alcune audizioni presso le Camere in occasione dell'esame di proposte di legge di riforma delle banche popolari nelle passate legislature, suggerendo, fra l'altro:
   l'ampliamento dei limiti partecipativi individuali al capitale;
   un ruolo più incisivo degli investitori istituzionali, prevedendo per essi limiti di partecipazione più ampi di quelli ordinari e diritti speciali di nomina di propri rappresentanti negli organi di amministrazione e controllo;
   l'estensione delle possibilità di delega del voto da parte dei soci;
   la revisione della disciplina delle trasformazioni;
   l'attenuazione dei vincoli alla cessione delle azioni e all'ammissione a socio. In taluni casi sono previste differenziazioni nella disciplina tra popolari quotate e non quotate e il riconoscimento di margini di autonomia statutaria.
  A giudizio della Banca d'Italia, per una banca popolare quotata, a proprietà diffusa e scala operativa non più solo locale, infatti, la rigida applicazione di alcuni tratti del modello cooperativo può affievolire gli incentivi al controllo della base sociale, rendere il management autoreferenziale, causare ingerenze nelle scelte aziendali da parte di minoranze organizzate, ostacolare l'ingresso di nuovo capitale. I limiti stringenti al possesso azionario, il voto capitario e i vincoli alla rappresentanza in assemblea sono considerati fattori che limitano l'operare dei meccanismi di governance tipici delle società quotate: dalla concorrenza sul mercato dei capitali all'efficace supervisione del board sul management, al ruolo dell'assemblea attraverso la presenza – anche per delega – di investitori qualificati.
  Inoltre ricorda che il Governatore della Banca d'Italia, nel corso di un'audizione dinanzi alla Commissione Finanze della Camera svoltasi il 15 dicembre 2014, ha evidenziato come alcune «banche popolari di media dimensione siano caratterizzate da strutture proprietarie e da assetti di governo societario che non agevolano gli interventi di rafforzamento» necessari a far fronte a eventuali fasi di crisi, segnalando l'importanza di «continuare a sollecitare queste banche a porre in essere le misure, non solo organizzative, necessarie per agevolare la capacità di reperire risorse sul mercato e divenire più attraenti agli occhi degli investitori».
  In tale contesto normativo la lettera b), numero 1), del comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge modifica il citato articolo 29 del TUB, relativo alla disciplina concernente la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.
  In particolare, i nuovi commi 2-bis e 2-ter, introdotti nel predetto articolo 29 dalla lettera b), prevedono che la banca popolare debba trasformarsi in società per azioni qualora l'attivo della banca superi gli 8 miliardi di euro, oppure se tale limite sia superato dal gruppo bancario di cui la popolare è capogruppo.
  In tale caso l'organo di amministrazione è tenuto a convocare l'assemblea ai fini della trasformazione, qualora l'attivo non sia ricondotto al di sotto della predetta soglia entro un anno.
  In caso di mancata trasformazione in SpA (o di liquidazione della banca) entro il richiamato termine di un anno, la Banca d'Italia può assumere una serie di determinazioni, tenuto conto delle circostanze e dell'entità del superamento del limite di 8 miliardi:
   vietare alla banca di intraprendere nuove operazioni (potere attribuito alla Banca d'Italia dall'articolo 78 del TUB);
   assumere provvedimenti di amministrazione straordinaria della banca previsti dal Titolo IV, capo I, sezione I del TUB (articoli da 70 a 77);
   proporre alla Banca centrale europea la revoca dell'autorizzazione all'attività bancaria e proporre al Ministero dell'economia Pag. 21e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa della banca stessa.
  Il nuovo comma 2-quater del medesimo articolo 29 del TUB demanda alla Banca d'Italia l'emanazione delle disposizioni di attuazione, dalla cui entrata in vigore decorre il regime transitorio di 18 mesi previsto dal comma 2.
  Come già accennato in precedenza, segnala come le norme appena descritte realizzino una riforma attesa da oltre venti anni, sollecitata, oltre che dai già citati interventi della Banca d'Italia e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche dal Fondo monetario internazionale e dall'OCSE.
  Tali modifiche riguardano dieci banche popolari, di cui sette quotate, le quali risultano già solide, ma che potranno ulteriormente rafforzarsi grazie alla trasformazione della loro veste giuridica, che consentirà loro di divenire ancora più forti, anche attraverso forme di aggregazioni e fusioni, contribuendo a incrementare il grado di stabilità complessiva dell'intero sistema creditizio nazionale.
  In tale contesto desidera quindi sottolineare come l'intervento normativo recato dall'articolo 1 non sia motivato da una condizione di debolezza delle banche popolari interessate, ma sia invece fondato sull'esigenza di valorizzare ulteriormente uno dei punti di forza del sistema bancario italiano. Ai sensi delle citate previsioni le banche popolari cui esse si applicheranno supereranno quel carattere di mutualità che non appare più attinente alla loro attuale realtà, perdendo in particolare taluni peculiari istituti, quali il voto capitario, il gradimento dei soci, che costituisce un elemento quanto mai lontano dai principi liberali, nonché i limiti al possesso azionario. A tale ultimo proposito ritiene peraltro che occorra al riguardo compiere una valutazione approfondita, verificando l'opportunità di consentire alle banche popolari coinvolte di mantenere tale previsione, che anche gli statuti di talune banche organizzate in forma di società per azioni contemplano.
  Illustra quindi il numero 2) della lettera b), il quale abroga invece il comma 3 dell'articolo 29 del TUB, secondo cui la nomina degli organi di amministrazione e controllo della banca spetta solo ai competenti organi sociali. Viene consentita quindi alle banche popolari la possibilità di riservare specifici diritti patrimoniali e amministrativi ai soci in possesso di strumenti finanziari, con particolare riferimento all'esercizio di un numero di voti in assemblea maggiore rispetto a quello previsto per gli altri soci, fino ad un massimo di un terzo dei voti esercitabili in assemblea, e al diritto di nominare fino ad un terzo dei componenti dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo.
  La lettera c) del comma 1 sostituisce inoltre integralmente l'articolo 31 del TUB, relativo alla procedura per la trasformazione in SpA di banche popolari o per le fusioni cui prendano parte banche popolari da cui risultino società per azioni. In tale ambito si elimina la previsione del previgente comma 1, secondo cui le predette trasformazioni o fusioni sono autorizzate dalla Banca d'Italia in tre soli casi: nell'interesse dei creditori, per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione. Il nuovo comma 1 dell'articolo 31 si limita invece a disciplinare i quorum delle predette operazioni di trasformazione o fusione, prevedendo che:
   a) in prima di prima convocazione sia necessaria la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all'assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci;
   b) in seconda convocazione sia necessaria la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti.
  Segnala come venga dunque meno, rispetto al previgente comma 2 dell'articolo 31, la norma secondo cui i quorum deliberativi in questa materia sono quelli previsti dagli statuti delle singole banche popolari per le modifiche statutarie e come la disposizione miri a introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per vicende societarie straordinarie. Il nuovo Pag. 22comma 2 dell'articolo 31 prevede che, in caso di recesso del socio a seguito dell'operazione di trasformazione o fusione, si applica il comma 2-ter dell'articolo 28 del TUB, introdotto dalla lettera a) del comma 1 in esame. La predetta lettera a) del comma 1 ha infatti inserito nell'articolo 28 un nuovo comma 2-ter, in base al quale la Banca d'Italia può prevedere che il rimborso delle azioni in caso di recesso del socio, anche in caso di trasformazione della banca, ovvero nel caso di morte o esclusione del socio stesso dalla compagine sociale, possa essere limitato, anche in deroga a previsioni di legge, qualora tale limitazione sia necessaria per assicurare che le azioni siano computate nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca, ai fini del rispetto dei coefficienti di solidità patrimoniali imposti dalla normativa europea in materia. In particolare la norma specifica il potere della Banca d'Italia a limitare il rimborso agli altri strumenti di capitale (diversi dalle azioni).
  Tale previsione si inserisce nel quadro delle misure che hanno introdotto il principio del cosiddetto bail in, in base al quale, in caso di crisi della banca, la stabilità della stessa debba essere in primo luogo salvaguardata ricorrendo alle risorse patrimoniali della banca stessa, nonché a carico dei suoi soci.
  Segnala inoltre come la norma riproduca il contenuto di una disposizione inserita nello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/36/UE, cosiddetta CRD IV, consultabile nel sito internet del Ministero dell'economia e delle finanze. Si ricorda che i principi e criteri direttivi per il recepimento della predetta direttiva CRD IV sono contenuti nell'articolo 3 della legge n. 154 del 2014 (Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre) e che il relativo termine di recepimento è scaduto il 31 dicembre 2013.
  Il comma 3 dell'articolo 31 del TUB, come riformulato dalla lettera c) del comma 1, rinvia alle norme generali di cui agli articoli 56 e 57 del TUB in materia di autorizzazione della Banca d'Italia alle modifiche statutarie, fusioni o scissioni riguardanti banche, che possono essere autorizzate quando non contrastino con i principi di sana e prudente gestione delle banche coinvolte.
  Un altro modifica significativa è quella realizzata dalla lettera d) del comma 1, la quale interviene sull'attuale assetto normativo delle banche popolari e delle banche cooperative, con modifiche che intendono sostanzialmente differenziare la disciplina applicabile all'uno e all'altro tipo di istituto. Per effetto delle disposizioni recate dal numero 1) della predetta lettera d) viene modificato anzitutto il comma 1 dell'articolo 150-bis del TUB, il quale enumerava le disposizioni del codice civile che non si applicano né alle banche popolari, né alle banche cooperative, al fine di espungere il riferimento presente alle banche popolari.
  Sottolinea come, in tal modo, il legislatore delinei due diversi regimi indipendenti, l'uno (di cui al comma 1 dell'articolo 150-bis) che trova applicazione per le banche cooperative, e l'altro (di cui al comma 2 del medesimo articolo 150-bis) destinato ad applicarsi alle banche popolari.
  Inoltre, per effetto delle modifiche al comma 2 del medesimo articolo 150-bis del TUB recate dal numero 2) della già citata lettera d), diventano applicabili alle banche popolari le seguenti norme del codice civile (viene dunque meno la non applicabilità a tale categoria di alcuni istituti civilistici):
   l'articolo 2346, sesto comma, che contempla in sostanza la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti;
   l'articolo 2526, in materia di soci finanziatori e altri sottoscrittori di titoli di debito, che demanda all'atto costitutivo la possibilità di emettere strumenti finanziari, secondo la disciplina prevista per le società per azioni e di stabilirne i diritti patrimoniali o amministrativi e le eventuali condizioni cui è sottoposto il loro Pag. 23trasferimento. I privilegi previsti nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale non si estendono alle riserve indivisibili.
  I predetti strumenti finanziari si distinguono in strumenti partecipativi, dotati di diritti amministrativi e/o patrimoniali, e, in ogni caso, rappresentativi di una partecipazione sociale, e strumenti meramente finanziari o di debito, che non attribuiscono la qualità di socio e, anche quando sono correlati da diritti amministrativi, non consentono il diritto di voto in assemblea. Fa presente come, ai possessori di strumenti finanziari, non possa, in ogni caso, essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all'insieme dei soci presenti ovvero rappresentati in ciascuna assemblea generale. Il recesso dei possessori di strumenti finanziari forniti del diritto di voto è regolato dalla disciplina ordinaria delle società per azioni (articoli 2437 e seguenti).
  La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti di amministrazione solo a investitori qualificati. Ai sensi dell'articolo 11, comma 3-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013, tale norma va interpretata nel senso che il limite all'emissione di strumenti finanziari si riferisce esclusivamente ai titoli di debito;
   l'articolo 2538, terzo comma, in materia di deroghe al voto capitario, che consente all'atto costitutivo di attribuire ai soci cooperatori persone giuridiche più voti, ma non oltre cinque, in relazione all'ammontare della quota oppure al numero dei loro membri;
   l'articolo 2541, che disciplina le assemblee speciali dei possessori degli strumenti finanziari privi del diritto di voto nell'assemblea generale;
   l'articolo 2542, primo comma, che attribuisce la nomina degli amministratori all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell'atto costitutivo;
   l'articolo 2543, terzo comma, che consente ai possessori degli strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione di eleggere, se lo statuto lo prevede, fino ad un terzo dei componenti dell'organo di controllo;
   l'articolo 2544, secondo comma, primo periodo e terzo comma, che in caso di sistema dualistico, limita a un terzo del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione il numero dei componenti che possono essere eletti dai possessori di strumenti finanziari e, in caso di sistema monistico, stabilisce che agli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, in misura comunque non superiore ad un terzo, non possono essere attribuite deleghe operative né gli stessi possono fare parte del comitato esecutivo.
  Accanto alle norme inapplicabili secondo il precedente regime, è disposta la non applicazione alle banche popolari dell'articolo 2542, secondo comma, del codice civile. Di conseguenza, la maggioranza degli amministratori non dovrà più essere scelta tra i soci cooperatori ovvero tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche.
  Illustra quindi il numero 3) della predetta lettera d) il quale, sostituendo il comma 2-bis dell'articolo 150-bis TUB, innalza da 10 a 20 il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, tale numero – la cui determinazione resta demandata agli statuti delle banche popolari – non può essere inferiore a 10. La disposizione costituisce una deroga espressa all'articolo 2539, primo comma, del codice civile, che per le cooperative disciplinate dalle norme sulla società per azioni fissa tale limite massimo a 10 deleghe.
  Pertanto, in forza delle modifiche recate dalla lettera d), anche le banche popolari che non si trasformeranno in società per azioni potranno realizzare operazioni di ricapitalizzazione, attraverso l'apporto di soci finanziari che vedranno riconosciuto il loro apporto anche in termini di governance. In tale contesto evidenzia come le banche di credito cooperativo Pag. 24non subiranno invece modifiche al loro quadro normativo: a tale proposito ritiene opportuno valutare se utilizzare lo strumento rappresentato dal decreto-legge anche in favore di tale settore del mondo bancario, in particolare per quanto riguarda i profili relativi alla soluzione di eventuali crisi.
  Il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge reca altresì una disciplina transitoria in base alla quale, in prima applicazione, l'adeguamento alle nuove previsioni dell'articolo 29 del TUB in materia di trasformazione in società per azioni deve avvenire, per le banche popolari già autorizzate a operare, entro 18 mesi dall'emanazione delle disposizioni attuative da parte della Banca d'Italia.
  Passa quindi a illustrare l'articolo 2, che reca disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento. Più in dettaglio, il comma 1 dell'articolo 2 dispone che gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, in caso di trasferimento di un conto di pagamento, adottano e concludono la procedura di cui all'articolo 10, paragrafi da 2 a 6, della direttiva n. 2014/92/UE, entro i termini ivi previsti, senza oneri e spese di portabilità a carico del cliente.
  Il comma 2 prevede esplicitamente che, in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini di cui al comma 1, l'istituto bancario o il prestatore di servizi di pagamento è tenuto a risarcire il cliente in misura proporzionale al ritardo e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento.
  Il comma 3, per il caso di richiesta di trasferimento del conto di pagamento unitamente alla richiesta di trasferimento di strumenti finanziari, di ordini di pagamento e di ulteriori servizi e strumenti ad esso associati, esonera il consumatore da ulteriori oneri e spese per la portabilità. Sottolinea quindi come, in sostanza, in tale ipotesi al consumatore verranno addebitati i soli costi relativi al trasferimento del conto di pagamento. A tale proposito ritiene opportuno valutare se tali previsioni in materia di portabilità dei servizi diversi dai conti di pagamento, quali ad esempio i conti titoli, debbano essere inseriti nel medesimo ambito normativo relativo alla portabilità dei conti di pagamento.
  Il comma 4 aggiunge un comma 1-bis all'articolo 116 del TUB in materia di trasparenza, ai sensi del quale le banche e gli intermediari finanziari devono rendere noti gli indicatori che assicurano la trasparenza informativa alla clientela, quali l'indicatore sintetico di costo e il profilo dell'utente, anche attraverso gli sportelli automatici e gli strumenti di accesso remoto ai servizi bancari.
  In proposito rileva come le previsioni dell'articolo recepiscano quanto richiesto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato – nelle proposte di riforma concorrenziale al Parlamento e al Governo, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l'anno 2014, pubblicata nel luglio 2014. L'Antitrust, per quanto riguarda l'adozione di strumenti che favoriscano la spinta competitiva innescata dai consumatori di servizi bancari, ha sottolineato che essi devono mirare ad aumentare il tasso di mobilità della clientela, che risulta ancora oggi di modesto rilievo. A parere dell'Autorità sussistono, infatti, problemi di trasparenza e completezza informativa, permangono vincoli non necessari tra servizi bancari e si registrano tempistiche ancora troppo lunghe in caso di trasferimento di alcuni servizi. Relativamente al grado di trasparenza delle informazioni a favore dei clienti bancari, l'Antitrust ha osservato come, nonostante l'introduzione di indicatori sintetici di costo, la scarsa mobilità registrata e la grande dispersione dei prezzi segnalino il permanere di ostacoli informativi per i consumatori e difficoltà alla mobilità: in tale ambito l'Autorità reputa necessario fornire ai consumatori adeguati strumenti di comparazione tra il costo del proprio conto e quelli offerti dalle altre banche mediante lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro). A tal fine l'Antitrust ritiene necessario integrare le norme contenute nel titolo VI, capo 1, del TUB in materia di trasparenza dei rapporti contrattuali Pag. 25delle condizioni con i clienti, rendendo obbligatorio il termine entro cui il processo di trasferimento di un conto corrente deve essere terminato. Tale termine non dovrebbe superare i 15 giorni lavorativi, come previsto dalla proposta di direttiva comunitaria sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base (COM(2013)266) (adesso direttiva 2014/92/UE). A ciò andrebbe associata una disposizione che obblighi la banca, laddove il trasferimento non venisse concluso entro tale termine per responsabilità della stessa banca, a risarcire il cliente in una misura proporzionata al ritardo e alla disponibilità sul conto corrente. Il trasferimento del conto corrente deve, a giudizio dell'Autorità, garantire altresì il trasferimento dei servizi e strumenti di incasso/pagamento ad esso associati, senza oneri a carico del correntista. Sempre secondo l'Antitrust devono altresì essere introdotti strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che consentano un più agevole confronto tra i servizi bancari da parte dei consumatori.
  Rileva quindi come, nell'ambito dell'articolo 5, attengano ai profili di competenza della Commissione Finanze i commi 1 e 4.
  Il comma 1 modifica la disciplina del regime opzionale di tassazione agevolata nella misura del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzo e/o dalla cessione di opere dell'ingegno, da brevetti industriali, da marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (cosiddetta patent box), introdotta dai commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014). In dettaglio, la lettera a) del comma 1 modifica il comma 39 della legge di stabilità 2015, estendendo a tutti i marchi d'impresa (e non più, quindi, solo a quelli funzionalmente equivalenti ai brevetti), nonché ai disegni e modelli, l'ambito di applicazione del richiamato regime agevolativo del patent box; inoltre, le operazioni con società dello stesso gruppo vengono ammesse all'agevolazione, anche in assenza della procedura di ruling con l'amministrazione finanziaria prevista dal medesimo comma 39.
  Ricorda che l'originaria formulazione del comma 39 prevedeva infatti che l'agevolazione è ammessa solo a condizione che il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivo è determinato sulla base di un apposito accordo con l'amministrazione finanziaria. In tali ipotesi la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione in via preventiva ed in contraddittorio con l'Agenzia delle entrate dell'ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l'individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi. Analogo accordo è previsto nel caso in cui i redditi siano realizzati nell'ambito di operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa.
  La lettera b), modificando il comma 41 della predetta legge di stabilità, estende l'ambito applicativo del regime agevolato alle attività svolte con società che non sono parte dello stesso gruppo, ferma restando la condizione che si tratti di attività di ricerca e sviluppo. Attualmente il comma 41 prevede che l'opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca ed organismi equiparati, finalizzati alla produzione di beni immateriali oggetto del beneficio fiscale in argomento.
  In sostanza, l'estensione dell'ambito di applicazione della normativa in materia recata dalle lettere a) e b) consente di eliminare taluni limiti nell'applicazione della disciplina stessa, in particolare per quanto riguarda le attività di ricerca e sviluppo e l'acquisizione di marchi d'impresa, disegni e modelli.Pag. 26
  La lettera c) del comma 1, modificando il comma 42 della legge di stabilità, chiarisce che nel calcolo della quota di reddito agevolabile si deve tenere conto dei soli costi rilevanti ai fini fiscali. Ai sensi del citato comma 42, infatti, la quota di reddito agevolabile è determinata sulla base del rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l'accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale e i costi complessivi sostenuti per produrre il bene.
  La lettera d) inserisce in tale ambito un nuovo comma 42-bis, al fine di ridefinire il rapporto fra i costi per l'attività di ricerca e sviluppo e i costi complessivi. In particolare, i costi di attività di ricerca e sviluppo sono aumentati di un importo corrispondente ai costi sostenuti per l'acquisizione del bene immateriale o per contratti di ricerca, relativi allo stesso bene, fino al trenta per cento di tale ammontare.
  La lettera e) modifica conseguentemente il comma 44 della legge di stabilità 2015, che demanda a un decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'adozione delle disposizioni attuative del regime agevolativo, al fine di espungere il riferimento alla individuazione delle tipologie di marchi escluse dall'ambito di applicazione delle norme in commento.
  Il comma 4 dell'articolo 5 reca la copertura finanziaria per le attività di raccolta e commercializzazione dei brevetti previste dal comma 1, valutata in 36,9 milioni di euro per l'anno 2016, 33,3 milioni di euro per l'anno 2017, 40,3 milioni di euro per l'anno 2018 e 35 milioni di euro annui a decorrere dal 2019, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE).
  In merito alla formulazione dell'articolo segnala come la rubrica faccia riferimento a un credito d'imposta per acquisto beni strumentali nuovi, che non costituisce tuttavia oggetto dell'articolo stesso.
  L'articolo 6 estende il regime di esenzione della ritenuta alla fonte del 26 per cento degli interessi e degli altri proventi corrisposti a fronte di finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese da parte di enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europei, anche ai finanziamenti effettuati dagli investitori istituzionali esteri costituiti in Paesi inseriti nella white list (di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 239 del 1996) e soggetti a forme di vigilanza negli Stati in cui sono istituiti.
  Con riguardo a tale disposizione, segnala che, mediante la soppressione del riferimento agli organismi di investimento collettivo del risparmio «che non fanno ricorso alla leva finanziaria», possono accedere all'agevolazione anche enti che fanno ricorso alla leva finanziaria (ad esempio fondi speculativi), ancorché privi di soggettività tributaria e purché costituiti nei Paesi white list. Rispetto alla normativa previgente, la disposizione allarga l'ambito soggettivo di operatività dell'agevolazione anche a enti non residenti in Paesi UE o aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, consentendo in tal modo di migliorare la competitività dell'Italia, sul piano dell'attrattività degli investimenti esteri, rispetto agli altri Paesi avanzati.
  In merito rammenta che l'articolo 26, comma 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, introdotto dall'articolo 22 del decreto-legge n. 91 del 2014, ha esentato dalla ritenuta alla fonte del 26 per cento gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europea, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell'Unione europea o organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni. Successivamente l'articolo 10, comma 2, del decreto-legge n. 133 del 2014, ha esteso il predetto Pag. 27regime di esenzione anche agli Istituti di promozione dello sviluppo presenti negli Stati membri (i corrispondenti europei dell'italiana Cassa Depositi e Prestiti).

  Luigi TARANTO (PD), relatore per la X Commissione, illustra il contenuto del decreto-legge, per le parti che attengono prioritariamente alla competenza della Commissione Attività produttive, ovvero gli articoli 3, 4, 5, 7 e 8.
  L'articolo 3 attribuisce alla SACE Spa la competenza a svolgere l'attività creditizia, previa autorizzazione della Banca d'Italia e nel rispetto delle normative internazionali, europee e nazionali. La finalità esplicita della norma è duplice: rafforzare l'attività di SACE a supporto dell’export e dell'internazionalizzazione delle imprese italiane e aumentare la competitività della stessa SACE rispetto alle altre entità che operano con le stesse finalità sui mercati internazionali.
  Alla SACE è rimessa la scelta delle modalità operative per l'esercizio del credito, in via diretta o mediante la costituzione di una società controllata (export import bank). Segnala che il modello dell’export import bank, con società a capitale pubblico che offrono servizi assicurativi e creditizi alle imprese interessate ad operare con l'estero, è presente negli Stati Uniti (Exim) in Canada (Edc), in Cina (China Exim Bank), India (Exim India), Giappone (Jbic) e Corea del sud (Kexim).
  L'articolo 4, al fine di stimolare l'innovazione tecnologica in una più ampia platea di imprese del tessuto produttivo nazionale, introduce la definizione di piccole e medie imprese innovative, che potranno accedere ad alcune delle semplificazioni, agevolazioni ed incentivi attualmente riservati alle start-up innovative. L'articolo interviene inoltre sull'ambito di applicazione della normativa sulle start-up innovative, con lo scopo di estendere la relativa disciplina agevolata a ulteriori soggetti. In particolare, il comma 1 introduce la definizione di PMI innovative inserendola nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (comma 5-undecies, articolo 1, decreto legislativo n. 58 del 1998 – TUF). Si ricorda che per la definizione di PMI il comma 1 del testo in esame rinvia a quella contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, ossia le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro, oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Il medesimo comma 1 individua i requisiti necessari per la qualifica di PMI innovativa.
  Per quanto riquarda le caratteristiche generali, possono essere qualificate innovative le PMI: residenti in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia; che abbiano l'ultimo bilancio certificato e l'eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili; non siano in possesso di azioni quotate; non siano iscritte al registro speciale previsto per le start-up innovative e l'incubatore certificato.
  Con riguardo all'individuazione del contenuto innovativo dell'impresa, è inoltre necessaria la presenza di almeno due dei seguenti requisiti: volume di spesa in ricerca e sviluppo; personale qualificato; titolarità di privative industriali. Nello specifico i requisiti richiesti sono i seguenti:
   1) volume di spesa in ricerca e sviluppo in misura uguale o superiore al 3 per cento della maggiore entità fra costo e valore totale della produzione della PMI innovativa, escluse le spese per l'acquisto e la locazione di beni immobili. Sono da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative alla sperimentazione, prototipazione e sviluppo del piano industriale, ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d'uso;Pag. 28
   2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al quinto della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale;
   3) titolarità, anche quali depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale, relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero titolarità dei diritti relativi a programmi per elaboratore (software), purché tale privativa sia direttamente afferente all'oggetto sociale e all'attività di impresa.
  Il comma 2 prevede l'istituzione di una apposita sezione speciale all'interno del registro delle imprese a cui le PMI innovative devono esser iscritte per poter accedere alle agevolazioni (di cui al comma 9 dell'articolo in esame). La sezione speciale del registro delle imprese consente la condivisione delle informazioni relative all'anagrafica, all'attività svolta, ai soci fondatori e agli altri collaboratori, al fatturato, al patrimonio netto, al sito internet, ai rapporti con gli altri attori della filiera. I commi 3 a 4 disciplinano la procedura dell'iscrizione nel registro delle imprese con particolare riguardo alle informazioni che devono essere contenute nella domanda nonché alla frequenza per l'aggiornamento delle informazioni (30 giugno e 31 dicembre di ogni anno). Il comma 5 specifica gli obblighi per le PMI, di trasparenza e accessibilità alle suddette informazioni.
  I commi 6 e 7 riguardano il mantenimento o la perdita dei requisiti delle PMI innovative:
   entro 30 giorni dall'approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, il rappresentante legale delle PMI innovative deve attestare il mantenimento del possesso dei requisiti e depositare tale dichiarazione presso l'ufficio del registro delle imprese (comma 6);
   entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti, le PMI innovative sono cancellate d'ufficio dalla sezione speciale del registro delle imprese, mentre permane l'iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese. Ai sensi del comma 7 il mancato deposito della dichiarazione di mantenimento dei requisiti è equiparato alla perdita dei requisiti stessi. È inoltre esplicitamente richiamata l'applicazione dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 247 del 2004, relativo alla procedura di cancellazione dal registro delle imprese della società semplice, della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice.
  Il comma 8 contiene la clausola di salvaguardia finanziaria con riguardo alle attività aggiuntive che le disposizioni concernenti le PMI innovative comportano per le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le quali vi provvedono nell'ambito delle dotazioni finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
  Il comma 9 estende alle PMI innovative diverse disposizioni di favore attualmente previste dal decreto-legge n. 179 del 2012 per le start-up innovative. In seguito all'applicazione delle disposizioni sulle start-up richiamate nel testo del comma in esame, le PMI innovative possono usufruire delle seguenti agevolazioni:
   deroghe al diritto societario, consistenti nella semplificazione di alcune procedure in materia di reintegro delle perdite, diritti attribuiti ai soci, disapplicazione della disciplina delle società di comodo e in perdita sistemica, offerta al pubblico, divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni, emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o Pag. 29di diritti amministrativi, nonché l'esonero dal versamento di alcuni diritti di bollo e di segreteria (articolo 26 del predetto decreto-legge n. 179);
   agevolazioni fiscali in favore di alcuni soggetti che intrattengono rapporti, a diverso titolo, con le PMI innovative. In primo luogo, è previsto un regime vantaggioso per gli amministratori, i dipendenti e i collaboratori di tali imprese. Per tali soggetti, non concorre a formare l'imponibile a fini fiscali e contributivi quella parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti (anche di opzione). Con riguardo al regime fiscale applicabile alle azioni, alle quote e agli strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per l'apporto di opere e servizi in favore delle PMI innovative, fermo restando che i predetti strumenti finanziari – secondo le regole generali – non sono sottoposti a tassazione in capo al soggetto apportante, nel caso delle suddette PMI detti strumenti non concorrono a formare l'imponibile fiscale anche se emessi a fronte di crediti maturati per la prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali (articolo 27 del citato decreto-legge n. 179 del 2012);
   accesso semplificato, gratuito e diretto al Fondo centrale di garanzia secondo le modalità del DM 26 aprile 2013 e sostegno specifico nel processo di internazionalizzazione da parte dell'Agenzia ICE. Il sostegno include l'assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare, contrattualistica e creditizia, l'ospitalità a titolo gratuito alle principali fiere e manifestazioni internazionali, e l'attività volta a favorire l'incontro delle imprese innovative con investitori potenziali (articolo 30, commi 6, 7 e 8 del decreto-legge n. 179);
   campagne di sensibilizzazione, pubblicità e monitoraggio delle misure tramite il «sistema permanente di monitoraggio e valutazione», istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (articolo 32 del decreto-legge n. 179);
   incentivi fiscali (attualmente previsti per le start-up innovative per il quadriennio 2013-2016) in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale delle PMI innovative. Le persone fisiche potranno detrarre dall'IRPEF una percentuale delle somme investite nel capitale sociale delle predette imprese, sia per gli investimenti effettuati direttamente che per tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente in start-up innovative. Per i soggetti IRES è invece prevista la possibilità di dedurre dall'imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Tali somme saranno dunque esenti da imposizione (articolo 29 del decreto-legge n. 179, in attuazione del quale è stato emanato il DM 30 gennaio 2014). Queste disposizioni si applicano solo alle PMI innovative costituite da non oltre 7 anni, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dall'articolo 21 del regolamento (UE) n. 651/2014.
  Il comma 10 estende alle PMI innovative anche le norme in materia di raccolta di capitale di rischio introdotte per le start-up innovative dall'articolo 30 del citato decreto-legge n. 179 del 2012, consentendo che essa avvenga mediante portali online (cosiddetto crowdfunding). A tal fine le lettere a) e b) del comma 10 integrano il Testo unico della finanza – TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998), al fine di estendere alle PMI innovative la disciplina della gestione di portali per la raccolta di capitali per start-up innovative e dell'offerta al pubblico, rispettivamente disciplinate dal capo III-quater del titolo III, Parte II, del TUF (in particolare, dall'articolo 50-quinquies) e dall'articolo 100-ter del TUF. Più in dettaglio, anche per tale tipologia societaria la raccolta di capitale potrà avvenire mediante portali online (cosiddetto crowdfunding, ai sensi dell'articolo 50-quinquies del TUF); valgono anche per le PMI innovative le regole concernenti i soggetti autorizzati all'esercizio di tali attività, i relativi requisiti, il funzionamento e le modalità operative. La Pag. 30CONSOB è organo deputato alla vigilanza e all'emanazione delle norme attuative. Con le modifiche apportate all'articolo 100-ter del TUF, si consente di formulare offerte al pubblico, esclusivamente attraverso portali, per la raccolta di capitali per la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up e delle PMI innovative, dagli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative e in PMI innovative. In precedenza, tale modalità di raccolta con offerta al pubblico era riservata alla sola sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up innovative; con la modifica descritta l'offerta può riguardare sia gli strumenti finanziari emessi dalle imprese innovative, sia quelli emessi da soggetti (OICR e altre società di capitali) che investono in PMI innovative e start-up innovative. Ricorda in proposito che, con la deliberazione del 26 giugno 2013, n. 18592, la CONSOB ha adottato il regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line.
  Il comma 11 interviene sull'ambito di applicazione della normativa sulle start-up innovative (di cui al richiamato articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012), con lo scopo di estendere la relativa disciplina agevolata a ulteriori soggetti. In particolare, la lettera a) del comma 11 espunge dal comma 2 del citato articolo 25 il riferimento alla forma giuridica di società di diritto italiano o di Societas Europea, residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi (articolo 73 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), che individua gli enti assoggettati a IRES – imposta sui redditi delle società). La lettera b) del comma 11, il quale integra l'articolo 25, comma 2, lettera c), del decreto-legge n. 179 del 2012, precisa invece che, per usufruire del regime delle start-up innovative, una società deve essere, in alternativa, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del TUIR; residente in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, in tal caso purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia. Di conseguenza, potranno usufruire del regime agevolato anche le società residenti in uno Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo, a condizione di avere una sede produttiva o una filiale in Italia.
  L'articolo 5 modifica la disciplina del regime opzionale di tassazione agevolata nella misura del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzo e/o dalla cessione di opere dell'ingegno, da brevetti industriali, da marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (cosiddetta patent box), introdotta dai commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014). Con particolare riguardo agli ambiti di competenza della Commissione Attività produttive, i commi 2 e 3 affidano alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) compiti di servizio in favore del sistema nazionale della ricerca, tra cui la raccolta dei risultati della ricerca svolta negli enti pubblici e la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici, tra cui la raccolta dei risultati della ricerca svolta negli enti pubblici e la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici.
  Più in dettaglio, il comma 2, amplia i compiti della Fondazione, attribuendo alle stessa le funzioni relative:
   alla sistematizzazione a scopi informativi e di vendita dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica svolta negli enti pubblici di ricerca, delle competenze scientifico-tecnologiche e delle infrastrutture di ricerca presenti negli enti stessi;
   all'istituzione di un sistema per la commercializzazione dei brevetti registrati da università, da enti di ricerca e da ricercatori del sistema pubblico e disponibili per l'utilizzazione da parte delle imprese;
   alla creazione di un tramite tra le imprese per lo scambio di informazioni e Pag. 31per la costituzione di reti tecnologiche o di ricerca tra esse.
  Ai sensi del comma 3, gli enti pubblici di ricerca sono tenuti a fornire alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia le informazioni riguardanti i risultati delle ricerche svolte. Per parte sua, la Fondazione è tenuta a distribuire i proventi derivanti dalla vendita o dalla cessione del diritto d'uso di un brevetto o di un altro titolo di proprietà intellettuale, al netto dei costi, agli enti pubblici che le abbiano conferito mandato per la vendita o la cessione. Le università possono stipulare accordi, contratti e convenzioni con la Fondazione per la valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica, secondo le modalità previste per gli enti pubblici di ricerca. Inoltre, al fine di diffondere l'innovazione nel sistema delle piccole e medie imprese, la Fondazione può stipulare accordi, convenzioni e contratti con il sistema camerale, con le associazioni delle imprese, con i distretti industriali e con le reti d'impresa.
  L'articolo 7 dispone che il Governo promuova l'istituzione di una Società per azioni per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese con sede in Italia il cui capitale sarà interamente sottoscritto da investitori istituzionali e professionali. Lo scopo è la ristrutturazione, il sostegno e riequilibrio della struttura finanziaria e patrimoniale di imprese caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di mercato. Osserva in proposito come non sia ulteriormente specificato l'ambito di applicazione della disposizione e, in particolare, non è posto alcun limite dimensionale, minimo o massimo, con riferimento ad esempio al numero degli addetti, per le imprese che possono beneficiare del sostegno dell'istituenda società. La Società per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese sostituisce il Fondo di servizio per la patrimonializzazione delle imprese, istituito dall'articolo 15 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto decreto-legge «Sblocca Italia») con lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane, a patto che fossero in «equilibrio economico positivo» e che necessitassero di adeguata patrimonializzazione. Si tratta pertanto di uno strumento caratterizzato da natura e finalità diverse rispetto al Fondo, che era tenuto ad investire in aziende non solo prospetticamente, ma anche correntemente in utile.
  Il comma 2 specifica le modalità di intervento della Società, che può investire capitale raccolto in proprio; compiere operazioni di finanziamento; acquisire o succedere in rapporti esistenti anche ridefinendone le condizioni e i termini, al servizio dello sviluppo operativo e dei piani di medio-termine all'uopo predisposti, compreso l'affitto o la gestione di aziende, rami di aziende o siti produttivi.
  Ai sensi del comma 3 possono sottoscrivere il capitale della Società i soli investitori istituzionali e professionali. È prevista anche l'eventuale emissione di azioni di categorie diverse e l'utilizzo di strumenti finanziari. Si stabilisce inoltre che, sempre al fine di facilitare la raccolta delle risorse finanziarie necessarie, alcuni investitori possano avvalersi anche della garanzia dello Stato sino all'esaurimento delle risorse disponibili, ossia nel limite di 300 milioni di euro. Per gli azionisti che invece decidano di non avvalersi della garanzia dello Stato vengono riconosciuti particolari diritti da definire attraverso la successiva redazione dello statuto della Società.
  Il comma 4 si occupa invece degli azionisti che si avvalgono della garanzia dello Stato per apportare capitale nella Società. Si prevede che tale categoria riconosca allo Stato un corrispettivo per la garanzia prestata, in conformità con la normativa dell'Unione Europea, che può incidere anche sulla quota degli utili distribuiti dalla Società. Al riguardo il comma 6 prevede che la Società deve distribuire almeno i due terzi degli utili prodotti, in modo da garantire un rendimento a coloro che decidono di apportare il capitale di rischio necessario alla costituzione della Società di servizio, il cui obiettivo è ricompreso nella cessione delle partecipate o nel trasferimento dei beni e Pag. 32dei rapporti oggetto di investimento entro un termine che dovrà essere stabilito dal suo statuto.
  Ai sensi del comma 5, i soggetti che concorrono alla gestione della Società devono operare in situazione di neutralità e imparzialità indipendenza e terzietà rispetto agli investitori. Il comma 6 specifica che l'obiettivo della Società è la cessione delle partecipate ovvero il trasferimento dei beni e rapporti oggetto del singolo investimento. L'individuazione del termine massimo entro cui effettuare la cessione o il trasferimento delle partecipate è rimessa allo statuto. È invece specificato l'obbligo per la società di distribuire almeno i due terzi degli utili prodotti.
  Il comma 7 demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico – subordinatamente all'autorizzazione dell'Unione europea ai fini della disciplina sugli aiuti di Stato – l'individuazione delle caratteristiche e la quota massima di coperture della garanzia, i criteri e le modalità di concessione ed escussione della garanzia stessa e gli obblighi verso lo Stato dei soggetti che si avvalgono della garanzia.
  Il comma 8 dispone che la concessione della garanzia debba comunque avvenire nel limite di 300 milioni di euro. La copertura delle garanzie prestate dallo Stato avviene attraverso il prelievo di risorse equivalenti dalle disponibilità in conto residui iscritte in bilancio per l'anno 2015, relative all'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 37, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014, ed il contestuale loro versamento ad apposita contabilità speciale di nuova istituzione da effettuare entro l'anno 2015.
  L'articolo 8 modifica il meccanismo dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica a uso produttivo (cosiddetta «nuova legge Sabatini»). La modifica consiste nel ricorso facoltativo e non più obbligatorio all'apposito plafond costituito presso Cassa depositi e prestiti, da parte delle banche e degli intermediari finanziari che erogano i finanziamenti alle piccole e medie imprese per le suddette finalità di investimento. Le banche e le società di leasing potranno dunque concedere i finanziamenti alle PMI, su cui verranno riconosciuti i contributi in conto interessi dello Stato, utilizzando anche provvista autonoma. Il comma 1 estende infatti la possibilità di usufruire dei contributi statali – che coprono parte degli interessi a carico delle imprese sui finanziamenti bancari, in relazione agli investimenti realizzati – anche alle piccole e medie imprese che abbiano ottenuto finanziamenti erogati dalle banche e intermediari finanziari che ricorrano a provvista autonoma e non alla provvista presso Cassa depositi e prestiti. Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'individuazione dei requisiti, delle condizioni di accesso e delle modalità di erogazione dei contributi statali, con riguardo all'estensione di essi anche alle imprese che abbiano ottenuto finanziamenti dalle banche, svincolati dal plafond presso Cassa depositi e prestiti.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, informa che, a partire dalla seduta di domani, si procederà al ciclo di audizioni previsto ai fini dell'istruttoria sul provvedimento. Avverte quindi che le Presidenze delle Commissioni riunite si riservano di integrare il quadro delle audizioni già programmate, alla luce delle richieste pervenute, nonché di definire compiutamente la tempistica delle audizioni stesse, le quali si svilupperanno anche nel corso della prossima settimana.

  Daniele PESCO (M5S) sottolinea innanzitutto come il decreto-legge in esame appaia privo dei prescritti caratteri di necessità e urgenza e risulti pertanto in contrasto con le previsioni in materia di decretazione d'urgenza recate dall'articolo 77 della Costituzione.
  Sul piano del merito evidenzia come l'articolo 1, in materia di regime giuridico Pag. 33delle banche popolari, che costituisce la disposizione di gran lunga più importante del decreto-legge, abbia suscitato numerosissime critiche da parte di quasi tutti gli ambiti del settore finanziario. Ciò conferma, a suo giudizio, l'inopportunità di intervenire attraverso un decreto-legge su una materia che invece dovrebbe essere più propriamente affrontata attraverso un disegno di legge ordinario.
  Più in dettaglio, ritiene che l'articolo 1 non rispetti i requisiti di ragionevolezza, soprattutto tenendo presente che le banche popolari costituiscono il settore del mondo creditizio che ha assicurato la maggiore erogazione di credito all'economia in questa fase di crisi, laddove invece le altre banche, più interessate a compiere operazioni finanziarie speculative, hanno ridotto il credito al settore produttivo. In tale contesto le previsioni del medesimo articolo 1, che consentiranno alle banche ordinarie e agli altri investitori di intervenire nel capitale delle banche popolari, risultano pertanto inopportune e paradossali.
  Un ulteriore aspetto da chiarire riguarda i motivi per i quali il Governo ha ritenuto di emanare il decreto-legge nel periodo intercorrente tra le dimissioni del Presidente della Repubblica Napolitano e le elezioni presidenziali, senza sentire il bisogno di attendere, più correttamente, la nomina del nuovo Presidente della Repubblica, per sottoporgli il provvedimento d'urgenza.
  Evidenzia quindi, ancora con riferimento alle previsioni dell'articolo 1, l'esistenza di un palese conflitto di interesse in capo ad alcuni esponenti del Governo, segnatamente al Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, rilevato del resto da molte voci dei mercati finanziari. Ulteriori gravi dubbi suscitano le operazioni di rastrellamento di azioni di banche popolari operate, nell'imminenza dell'adozione del decreto-legge, da taluni esponenti notoriamente vicini al PD, che hanno indotto la CONSOB ad indagare in materia.
  Ritiene quindi, nel complesso, che gli interessi coinvolti dalle previsioni dell'articolo 1 risultino particolarmente rilevanti e debbano pertanto essere attentamente valutate. In tale contesto auspica che la maggioranza si dimostri disponibile a modificare le proprie posizioni in merito, nonché a riflettere maggiormente sulle scelte da compiere in tale settore, nell'interesse del Paese e dei cittadini.

  Rocco PALESE (FI-PdL), nel giudicare senz'altro rilevante e complessa la riforma della disciplina delle banche popolari prevista all'articolo 1 del decreto-legge, sottolinea innanzitutto come lo strumento del decreto-legge non sia adatto ad affrontare tali importanti modifiche. Ritiene inoltre singolare che il decreto-legge in esame sia stato sottoscritto dal Presidente del Senato Grasso durante il suo periodo di supplenza della Presidenza della Repubblica, soprattutto in considerazione del fatto che, secondo notizie in suo possesso, il Presidente Napolitano non aveva inteso firmare il provvedimento nella fase finale del suo incarico.
  Rileva altresì come, nel tempo intercorso tra gli annunci relativi al contenuto del provvedimento e la sua effettiva adozione da parte del Governo, sembrino essersi verificati eventi che possono far ipotizzare operazioni di insider trading sui titoli delle banche popolari, auspicando che tali dubbi possano essere chiariti nel corso della prevista audizione del Presidente della CONSOB.
  Entrando nel merito delle disposizioni del decreto-legge, ritiene vi siano diversi aspetti da chiarire, quali a esempio l'effettiva decorrenza del termine di 18 mesi, previsto al comma 2 dell'articolo 1, entro il quale le banche popolari devono adeguarsi alla nuova disciplina relativa alla trasformazione obbligatoria in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi, ritenendo in proposito che tale termine debba essere più ampio, se riferito a banche popolari che hanno realizzato operazioni di fusione nel 2014. In tale contesto dichiara inoltre di non condividere le ragioni per le quali il Pag. 34Governo ha individuato, come requisito soggettivo ai fini dell'applicazione della nuova disciplina, le dimensioni dell'attivo delle banche popolari, chiedendo come mai non si sia scelto piuttosto di far riferimento ai requisiti di capitale, come previsto dalla disciplina di Basilea 3.

  Sebastiano BARBANTI (Misto-AL) sottolinea innanzitutto come il decreto-legge presenti evidenti profili d'incostituzionalità, ponendosi in violazione degli articoli 2, 3 e 77 della Costituzione.
  Rileva, inoltre, la pericolosità della riforma del sistema delle banche popolari prospettata dall'articolo 1, con il quale il Governo mira a imporre per legge una trasformazione in società per azioni della veste giuridica delle banche popolari con attivi superiori a 8 miliardi di euro, rischiando di compromettere uno degli elementi più positivi del settore bancario, il quale si qualifica per un positivo grado di «biodiversità» che si attaglia perfettamente alle caratteristiche peculiari del sistema produttivo italiano, connotato storicamente dalla presenza prevalente di imprese di dimensioni piccole e piccolissime. A tale proposito sottolinea come le banche popolari abbiano svolto un ruolo importante appunto a sostegno delle PMI e delle famiglie, in un periodo che ha visto l'aggravarsi del fenomeno della contrazione del credito concesso dalle banche all'economia reale.
  Al contrario, le misure previste dall'articolo 1 rischiano di risultare controproducenti rispetto alla funzione di finanziamento dell'economia reale che deve essere svolta dalle banche, oltre a costituire un potenziale ostacolo rispetto alla crescita dimensionale e alla stabilità delle stesse banche popolari, le quali potrebbero essere indotte a non superare la soglia degli 8 miliardi di attivo proprio per non incorrere nell'obbligo di doversi trasformare in società per azioni. Considera pertanto necessario intervenire in modo diverso sulla questione, perseguendo innanzitutto una riforma della governance interna delle banche stesse.
  In tale contesto ricorda inoltre di aver già segnalato, attraverso la sua interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-04601, svolta presso la Commissione Finanze il 28 gennaio scorso, come le previsioni del medesimo articolo 1 determinino rischi di insider trading o di abuso di informazioni rilevanti, posto che, a seguito delle indiscrezioni lasciate trapelare dal Governo nei giorni precedenti l'approvazione del decreto-legge, e diffuse dagli organi di stampa, i titoli delle banche popolari quotate hanno registrato rialzi molto consistenti, con gravi ripercussioni sul regolare funzionamento dei mercati finanziari, rispetto ai quali sottolinea l'esigenza di disporre il divieto di vendita allo scoperto dei titoli medesimi.
  Ritiene quindi che occorra valutare con attenzione le proposte di riforma del settore delle banche popolari che sono state elaborate da Assopopolari e che l'articolo 1 del provvedimento debba essere abrogato, dovendosi più opportunamente procedere in materia attraverso un provvedimento legislativo ordinario.

  Stefano ALLASIA (LNA) manifesta un orientamento decisamente contrario al provvedimento nel suo complesso, come del resto evidenziato nella pregiudiziale di costituzionalità presentata dal proprio gruppo.
  Pur condividendo alcune disposizioni contenute nel decreto-legge in esame, esprime disaccordo sulla filosofia sottesa all'operazione realizzata dal Governo soprattutto con la modifica della disciplina delle banche popolari, ritenendo che con tale intervento si sia deciso di sottrarre ai piccoli azionisti di queste banche il diritto di decidere del proprio futuro.
  Condivide quindi molte considerazioni critiche svolte dai deputati degli altri gruppi fin qui intervenuti sull'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza, anche in ipotesi nelle quali non sussistono i requisiti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione, ed esprime notevoli preoccupazioni sulla possibilità, offerta ad investitori stranieri, di entrare nel sistema finanziario nazionale.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.45.