CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 20 novembre 2013
124.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 5

INTERROGAZIONI

  Mercoledì 20 novembre 2013. — Presidenza del vicepresidente Roberta AGOSTINI. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Gianpiero Bocci.

  La seduta comincia alle 15.05.

5-00586 Caparini: Vigili del fuoco volontari.

  Il sottosegretario Gianpiero BOCCI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

  Davide CAPARINI (LNA), replicando ringrazia il sottosegretario per la sua risposta.
  Si augura che i provvedimenti annunciati siano concertati con le organizzazioni rappresentative del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; sottolinea, infatti, come negli ultimi venti anni ci sia stata una carenza di dialogo con queste organizzazioni da parte dei governi che si sono succeduti.
  Evidenzia come esistano norme che rendono macchinoso l'accesso al volontariato nel Corpo dei vigili del fuoco che, unite all'introduzione nel 2011 del pagamento Pag. 6degli oneri annessi agli accertamenti sanitari, hanno ottenuto un effetto disincentivante. La conseguenza è che dal medesimo 2011 è diminuita l'aspirazione a prestare servizio volontario come vigile del fuoco. La riduzione dei volontari e il taglio del personale hanno avuto ovviamente riflessi sul comparto e sulla questione della sicurezza in generale.
  In conclusione prende atto con soddisfazione dell'intenzione del Governo di porre attenzione alle problematiche oggetto dell'interrogazione in titolo.

5-00772 Arlotti: Distacco-aggregazione dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalle Marche all'Emilia Romagna.

  Il sottosegretario Gianpiero BOCCI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Tiziano ARLOTTI (PD), replicando esprime la soddisfazione per quanto riferito dal Governo riguardo al travagliato iter referendario avviato dai cittadini dei Comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio, nel rispetto dell'articolo 132 della Costituzione.
  Ricorda, infatti che l'articolo 132 sancisce che si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni dei Comuni interessati, espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che i Comuni che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.
  Ricorda altresì che nel novembre 2006 nei confinanti sette Comuni della Valmarecchia si è svolto il referendum per l'aggregazione alla Regione Emilia Romagna, con la netta vittoria dei favorevoli al distacco. Con le stesse motivazioni, storiche, culturali, e logistiche, cinque mesi dopo, il 24 aprile 2007 con decreto del Presidente della Repubblica, viene indetto nei Comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio analoghi referendum, svoltisi il 24 e 25 giugno 2007 e anche in questa occasione con altissime percentuali hanno prevalso i favorevoli al distacco.
  Il Ministro dell'Interno, con una nota, richiamava il Ministero degli Affari Regionali a richiedere il parere alle regioni. Cosa eseguita con tempestività dall'allora Ministro Linda Lanzillotta il 3 settembre 2007 con lettera prot. n.2007/841 dove si sollecitava entro i 60 giorni canonici l'invio dei pareri per dare immediato proseguimento all’iter ed incominciare il dibattito parlamentare, ma tale lettera non è stata mai presa in considerazione.
  Successivamente, ci sono stati sette anni di incertezza. Osserva che tantissime sono state le iniziative di sollecito, da parte dei comitati promotori dei Sindaci, che si sono svolte sempre in modo pacifico, democratico, con vero senso di responsabilità civile e morale coinvolgendo le istituzioni, e più precisamente, le province, i ministri, i parlamentari che si sono succeduti in questi anni, ed anche il Presidente della Repubblica. Si tratta, a suo avviso, di un esempio di determinazione che deve fare riflettere ed essere motivo di orgoglio per tutti i parlamentari che rappresentano questi cittadini che non si sono mai arresi, neppure quando è vanificata la possibilità di unire gli iter con quello riguardante gli altri comuni della Valmarecchia, sfociato nell'aggregazione alla regione Emilia Romagna, con la legge 117 del 2009. A tale proposito ricorda che durante l'esame di questa legge, nella seduta dell'Assemblea del 6 maggio 2009 è stato accolto dal governo un ordine del giorno a firma dell'onorevole Elisa Marchioni, e che l'allora Sottosegretario all'interno Sen. Michelino Davico ha trasmesso alla Commissione Affari costituzionali della Camera, competente per materia, due lettere, nel dicembre 2009, contenenti tre note riguardanti il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio.
  L'ordine del giorno impegnava la Camera e il Governo a non considerare concluso il passaggio territoriale fintanto che anche l’iter di questi due comuni non fosse giunto a compimento.
  Nel frattempo due delibere favorevoli sono state votate all'unanimità dalla Provincia di Rimini, altre 2 sempre all'unanimità dalla Commissione Affari Generali Pag. 7della Regione Emilia Romagna e, infine, il 17 aprile 2012 è stato votato all'unanimità nell'Assemblea Regionale dell'Emilia Romagna il parere favorevole alla aggregazione. Si tratta, quindi, di un percorso chiaro e inequivocabile di questa regione.
  Osserva, invece, come dalla Regione Marche in questi anni, nonostante le tante lettere, le sollecitazioni dei Sindaci, dei Comitati referendari e diverse manifestazioni presso la sede regionale ad Ancona, siano state concesse tante promesse verbali di emanazione di un parere, mai mantenute.
  Ricorda che nel frattempo la Regione Marche ha visto rigettato il proprio ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge 177 del 2009, sul distacco e la aggregazione dei sette comuni dell'Alta Valmarecchia. Osserva come la sentenza n. 246 del 2010 è chiara, nel confermare la correttezza della procedura parlamentare, seguita anche a fronte dell'espresso parere negativo della regione Marche e come il primo caso di attuazione dell'articolo 132 della Costituzione abbia così avuto il pieno crisma della Corte costituzionale. Ricorda inoltre come per concludere la prima fase referendaria ed avviare la seconda fase parlamentare su richiesta del Ministro degli Affari Regionali, i Consigli Regionali debbono esprimere il loro parere, obbligatorio, ma non vincolante, espresso liberamente e autonomamente. Aggiunge che, a suo avviso, della sentenza della Corte costituzionale la Regione Marche non ne terrà mai conto.
  Evidenzia che nel Consiglio Regionale delle Marche è stata presentata l'interrogazione n. 672 del 2012 da parte del Consigliere Regionale Zaffini, dove il Presidente del Consiglio Regionale Vittoriano Solazzi ha delegato per competenza alla risposta l'Assessore Canzian. Il contenuto dell'intervento è stato, a suo parere, al quanto ambiguo.
  Successivamente si è svolto ad Ancona un incontro con i Comitati su sollecito dei Sindaci dei due Comuni, presenziato dal Presidente del Consiglio Regionale Vittoriano Solazzi, che una volta mostratagli la richiesta del Ministro per gli Affari Regionali risalente al 2007 ha promesso il parere, delegando al momento nuovamente l'assessore Canzian.
  Il parere promesso è arrivato, con lettera protocollata n. 20/AC/2012 della Giunta Regionale, indirizzata oltre che ai richiedenti, al Presidente del Consiglio Regionale, e alla Giunta Regionale stessa, in data 10 aprile 2012; il contenuto riconferma l'ambiguità adducendo pretestuosamente, senza alcun fondamento normativo e dottrinario a sostegno, che in assenza del disegno di legge governativo il consiglio non può esprimere il parere. Rileva che sussiste un precedente legislativo che smentisce la posizione della Regione Marche: il Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige, il 7 dicembre 2007, ha espresso un parere negativo riguardo alla richiesta di otto comuni dell'Altopiano di Asiago con richiesta ministeriale, ma solo sulla base della presenza di una proposta di legge parlamentare, mentre la Regione Veneto è rimasta addirittura dormiente per ben sei anni, sino al parere positivo a sua volta espresso senza disegno di legge governativo, nel febbraio 2013.
  Osserva che tutti gli organismi regionali erano al corrente di questa lettera e nessuno di essi ha contestato tale iniziativa. Tale comportamento irrispettoso, volto ad ostacolare l’iter, esercitato dalla Regione Marche ben oltre i termini previsti dalla normativa, lo si deve considerare senza dubbio alla pari di un parere negativo, e tale è, in quanto da tale atteggiamento si evince chiaramente che nel caso si fosse espresso il parere del Consiglio Regionale, ne sarebbe scaturito un parere negativo, comunque non vincolante per il proseguo dell’iter.
  Conseguentemente nella XV legislatura, 2006 – 2008, si è verificato il precedente in questa Commissione, dove congiuntamente i disegni di legge per l'analogo iter del Comune di Lamon, hanno avuto l'approvazione in sede referente sebbene provvisto solamente del parere del Trentino Alto Adige, mentre il parere della regione Veneto era mancante.
  Nella XVI legislatura per i due comuni, di Sassofeltro e Montecopiolo furono presentati Pag. 8ben quattro progetti di legge tra Camera e Senato, mentre nell'attuale ne sono state depositate tre alla Camera dei Deputati da parte dell'onorevole Gianluca Pini (n. 915), dell'onorevole Sergio Pizzolante (n. 1007) e da lui stesso (n. 1202).
  Reputa che mentre in questi giorni si discute e ipotizza il riordino territoriale nazionale, ci sia l'obbligo morale di dare una definitiva e democratica risposta a chi ha avuto il coraggio di scegliere anzitempo rispettando alla lettera il dettato Costituzionale. Soprattutto i comuni di Montecopiolo e Sassofeltro non possono essere lasciati nel limbo in un momento delicato in cui dovranno essere riorganizzate le funzioni di gestione associata dei servizi fondamentali per dare risposte ai propri cittadini. È infatti inaccettabile, a suo avviso, farli finire in una sorta di terra di nessuno.
  Nel ricordare che è stato avviato recentemente l’iter per l'aggregazione del comune di Sappada alla Regione Friuli Venezia Giulia, chiede che sia avviato anche quello riguardante i cittadini di Montecopiolo e Sassofeltrio, affinché si colmi dopo sette anni la disparità di trattamento che si è venuta a creare con i vicini cittadini della Valmarecchia, calendarizzando in tempi rapidi i succitati progetti di legge, onde assicurare il recepimento parlamentare della motivata volontà storica e culturale delle due comunità di cambio regionale.

5-01139 Pes: Corpo nazionale dei Vigili del fuoco – Nucleo sommozzatori di Sassari.
5-01138 Pes: Distaccamento misto dei Vigili del fuoco di Bono (Sassari).

  Roberta AGOSTINI, presidente, avverte che, in assenza di obiezioni, le interrogazioni a firma del deputato Pes, vertendo sulla stessa materia, saranno svolte congiuntamente. Comunica che il deputato Scalfarotto ha sottoscritto le due interrogazioni in titolo.

  Il sottosegretario Gianpiero BOCCI risponde alle interrogazioni in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

  Ivan SCALFAROTTO (PD), replicando alle interrogazioni di cui è cofirmatario, ringrazia il sottosegretario per la risposta fornita. Evidenzia preliminarmente come non possa sfuggire la singolare circostanza per cui le interrogazioni sono state presentate prima dei gravissimi accadimenti di questi giorni in Sardegna. Rileva come i fatti abbiano confermato l'importanza delle questioni poste con tali atti di sindacato ispettivo e la necessità che si ponga una particolare attenzione alle problematiche segnalate rispetto alle dotazioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nei luoghi ivi richiamati, a partire dal Nucleo sommozzatori di Sassari e dall'apertura definitiva della sede di Bono per garantire la sicurezza del territorio posto al centro nord della Sardegna.
  Invita quindi il Governo a considerare attentamente le questioni poste e ricorda come, alla luce degli ultimi incendi sviluppatisi, la Sardegna sia collocata al secondo posto per il fenomeno degli incendi dopo la Puglia.

  La seduta termina alle 15.30.

SEDE REFERENTE

  Mercoledì 20 novembre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Walter Ferrazza.

  La seduta comincia alle 15.30.

Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni.
Testo base C. 1542 Governo, C. 1408 Melilli e C. 1737 Guerra.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 19 novembre 2013.

Pag. 9

  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Riguardo agli emendamenti presentati, avverte che il deputato Borghi ha sottoscritto gli emendamenti 20.02, 21.6, 21.7, 22.6, 22.7 e 22.8, a prima firma del deputato Fabbri.
  Comunica quindi che sono stati presentati circa 400 subemendamenti (vedi allegato 4) agli emendamenti dei relatori nonché subemendamenti agli emendamenti presentati. In proposito, avverte che sono stati considerati irricevibili i subemendamenti integralmente sostitutivi o soppressivi degli emendamenti dei relatori ovvero modificativi o aggiuntivi di emendamenti soppressivi. Ricorda, infatti, che, come ribadito dal Presidente della Camera nella seduta della Giunta del Regolamento del 28 febbraio 2007 i subemendamenti hanno portata più limitata rispetto all'emendamento cui si riferiscono.

  Edmondo CIRIELLI (FdI) ritiene che riarticolare le competenze di comuni, province e regioni – che attualmente si sovrappongono in modo confuso e caotico – sia necessario ed è pertanto favorevole a un intervento riformatorio. Reputa d'altra parte che l'intervento delineato dal disegno di legge del Governo sia raffazzonato e approssimativo. Si tratta di un intervento che fa seguito ad un altro tentativo di riforma, posto in essere dal precedente Governo, a sua volta confuso, oltre che incostituzionale, come accertato dalla Corte costituzionale.
  Esprime un giudizio fortemente negativo sulla trasformazione delle province in enti di secondo grado, ritenendo che, oltre ad essere incostituzionale, questo passo determini un aumento della spesa pubblica, una riduzione delle risorse per erogare i servizi ai cittadini, una diminuzione della democrazia del paese e un complessivo caos.
  Richiama le parole di Giuseppe De Rita, il quale, in un illuminante editoriale intitolato «E se lasciassimo in pace le Province», ha parlato di damnatio d'opinione di uno dei più antichi assi portanti della nostra società: la Provincia come ente territoriale. Come ben spiega l'autorevole Presidente del Censis, nessuno ha il coraggio di ricordare tre cose decisive: che la giustificazione finanziaria della battaglia abolizionista è molto fragile; che il sistema economico e sociale italiano è tutto calibrato sul fronteggiamento dei problemi di area vasta; che la potenziale cancellazione dell'identità provinciale è un disinvestimento pericoloso in una società la cui crisi antropologica si basa su un individualismo sfrenato, che si gloria di vivere senza appartenenze.
  Sottolinea che innanzitutto non è chiaro quanto il disegno di legge del Governo costerà. Esso prevede che le province vengano svuotate delle funzioni amministrative e trasformate in enti di secondo grado. Le nuove province non avranno organi eletti dai cittadini, ma nominati dai sindaci dei grandi comuni. Si aboliscono le province nelle aree metropolitane e le sostituisce con le città metropolitane, che sono enti di secondo livello. Il sindaco della città metropolitana non sarà eletto dai cittadini dei comuni dell'area metropolitana, ma per legge sarà il sindaco del comune capoluogo. Il provvedimento obbliga poi i comuni all'esercizio associato delle loro funzioni tramite le unioni di comuni; blocca qualunque processo di riorganizzazione dell'Amministrazione periferica dello Stato e rinvia il riordino delle agenzie, società ed enti strumentali. In definitiva si tratta – a suo avviso – di un disegno di legge incostituzionale, che aumenta la spesa pubblica, cancella la democrazia e crea disservizi e caos.
  Osserva che sono molte le domande che il Governo non si è posto: in primo luogo, quanto costerà al Paese l'attuazione del provvedimento. Il Governo non lo sa. Nella relazione al testo non è infatti indicato il costo degli interventi. Nessuna istruttoria tecnica è stata realizzata sull'impatto economico del provvedimento sui conti dello Stato. In secondo luogo non è chiaro quanto risparmierà il Paese. Si parla di 318 milioni di euro di risparmio sulle spese elettorali e di 11 milioni sul costo Pag. 10degli organi politici: i risparmi sulle spese elettorali peraltro non ci saranno in realtà perché queste saranno sostenute comunque, dai Comuni e dallo Stato.
  Altra questione che – a suo avviso – il Governo non si è posta è questa: a chi saranno assegnate le funzioni, il personale, i bilanci, i debiti, il patrimonio, le quote di patto di stabilità, che oggi attengono alle province ? Nel testo si asserisce che tutte le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato saranno assegnate a comuni o unioni di Comuni o alle Regioni con successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o con leggi regionali.
  Ancora, come verrà finanziato il provvedimento ? Non si sa. Non essendo previste norme di copertura del provvedimento, non sono previste nemmeno le fonti di finanziamento.
  Si può provare a rispondere a queste domande. Quanto ai costi dell'attuazione del provvedimento, fa presente che la relazione tecnica afferma che «la costituzione di un numero maggiore di unioni di comuni e la fusione di comuni potranno comportare, nel lungo periodo, una riduzione di spesa dovuta alle economie di scala nell'erogazione di servizi». Quanto riportato dalla relazione tecnica è però – a suo giudizio – una contraddizione in termini: di fatto, si prevede che il trasferimento delle funzioni delle province a centinaia e centinaia di unioni di comuni e comuni comporterà un'economia di scala. Tuttavia il disegno di legge, nel trasferire le funzioni provinciali ai comuni e alle unioni di comuni, prevede anche che queste ultime siano esentate dal raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità. Ora, quanto costerà alle finanze pubbliche questo mancato contributo al risanamento dei conti pubblici e su chi andrà a gravare ? Nel ripartire le risorse, finanziarie, umane e strumentali dalle province ai comuni non viene prevista la correlata assegnazione degli obiettivi del patto di stabilità: su quale comparto andranno a pesare questi mancati contributi al risanamento dei conti pubblici ?
  Quanto ai tagli ai bilanci delle province per il 2014, osserva che per il solo anno 2014 le manovre economiche hanno stabilito 1,2 miliardi di tagli ai bilanci delle province. I bilanci di quali enti verranno gravati di questi ulteriori tagli ? i comuni ? le unioni di Comuni ? le Regioni ? E per quali importi ?
  Quanto agli incentivi per le unioni dei comuni, rileva che il provvedimento prevede la costituzione di nuove unioni e afferma che le agevolazioni per incentivare le unioni saranno erogate ad invarianza dei saldi del comparto degli enti locali, il che vuol dire che saranno utilizzate risorse oggi destinate a coprire servizi, per fare nascere nuove unioni di comuni, il che equivale a ridurre le risorse per i servizi erogati.
  Quanto ai costi derivanti dal passaggio della gestione degli edifici scolastici delle province ai comuni, fa presente che le province gestiscono 5.179 edifici scolastici composti di 117.348, classi che accolgono 2.596.031 alunni, dal 1996 ad oggi, quando le scuole superiori dei comuni sono state assegnate alle province. In questi 17 anni le province hanno potuto operare una razionalizzazione della rete scolastica, introducendo economie di scala che hanno prodotto risparmi e gestione virtuosa delle risorse. La possibilità di operare su area vasta ha permesso anche di frenare il proliferare di istituti scolastici per bacini di utenze minime, di gestire un bacino di utenza ampio e transcomunale, con risparmio di costi anche a fronte di un aumento della popolazione scolastica. In questo modo, da 7000 edifici si è arrivati a 5.179. Questo vuol dire che oggi le province gestiscono 5.179 edifici scolastici.
  Con le novità introdotte dal disegno di legge in esame, si arriverebbe ad almeno 1.327 centri di spesa, tanti essendo i comuni sedi di edifici scolastici delle province. La moltiplicazione dei centri di spesa equivale chiaramente ad un aumento della spesa pubblica. Se da 107 centri di spesa si passa a oltre 1.300 saltano i risparmi derivati dalle economie di scala. Oggi ogni provincia, con un solo contratto di servizio, assicura il funzionamento di tutte le scuole che gestisce (in Pag. 11media, da 20 per una provincia piccola ad oltre 300 per una provincia grande). Questi contratti, che sono oggi in essere in gran parte delle province, non sono frazionabili su più comuni.
  Ritiene che vada poi considerato l'aumento della spesa pubblica per il riscaldamento delle scuole. Fa presente che in media nazionale i singoli comuni spendono per il riscaldamento delle scuole da un minimo del 30 per cento in più ad un massimo del 100 per cento in più delle province dal momento che le province, grazie ad un unico contratto di servizio, spuntano prezzi nettamente inferiori rispetto a quelli dei singoli comuni, con appalti sui singoli edifici. Con una stima del tutto prudenziale, si può pensare che l'aumento a livello nazionale sarà pari al 53 per cento. Poiché la spesa per il riscaldamento di tutti gli edifici scolastici sostenuta dalle province nel 2012 è stata pari a circa 800 milioni di euro l'aumento della spesa pubblica sarebbe di circa 424 milioni di euro.
  Sottolinea che si determinerà anche un aumento dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici, che subirebbe un forte aumento a causa dell'aumento dei centri di spesa. A titolo del tutto prudenziale, la stima dell'aumento dei costi della manutenzione ordinaria e straordinaria è stimabile nel 20 per cento in più. Considerato che la spesa delle province per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per gli investimenti nelle scuole nel 2012 è stata pari a 880 milioni di euro, l'aumento della spesa pubblica è stimabile in almeno 176 milioni di euro in più.
  Va poi considerato che un aumento della spesa pubblica significa un aumento delle spese di progettazione, direzione opere e collaudo. Nelle province la progettazione, la direzione opere e il collaudo delle scuole è affidata agli Uffici tecnici, personale altamente qualificato: ingegneri, architetti, geometri, progettisti collaudatori. Grazie a queste professionalità il costo delle spese di progettazione direzione lavori e collaudo è il 4 per cento del costo di ogni opera. Nei comuni piccoli e medi – che sono il 72 per cento del totale – queste professionalità non sono presenti. I comuni pertanto devono rivolgersi a professionisti esterni per realizzare sia la fase progettuale che quella di collaudo: la spesa in questo caso si può stimare in almeno il 17 per cento in più del totale del costo dell'opera.
  Sulla base dei costi medi di progettazioni e collaudo, nel 2012 il costo della progettazione, direzione opere e collaudo nelle province è stato di 14 milioni di euro (il 4 per cento di 350 milioni), mentre con il passaggio delle scuole delle province ai comuni questi costi aumentano di 45 milioni. Si determina così un aumento della spesa pubblica per effetto del solo passaggio della gestione dell'edilizia scolastica dalle province al comuni: i maggiori costi per il riscaldamento degli edifici sono pari a 424 milioni di euro; i maggiori costi per manutenzione ordinaria e straordinaria sono pari a 176 milioni di euro; i maggiori costi per progettazione direzione lavori e collaudo sono pari a 45 milioni di euro. In totale, l'aumento della spesa pubblica, solo per edilizia scolastica, sarà di 645 milioni di euro l'anno.
  Questo aumento di spesa pubblica si tradurrà in meno risorse per la manutenzione, la gestione e la sicurezza delle scuole superiori. Si deve parlare poi dell'aumento della spesa pubblica derivante dal passaggio di funzioni dalle province alle regioni. Le regioni non sono enti di amministrazione, ma di legislazione, programmazione e controllo. Per questo hanno fino ad oggi trasferito le funzioni amministrative di gestione di servizi alle province, che le hanno esercitate determinando risparmi di spesa da economie di gestioni. Dal momento in cui le regioni hanno iniziato a delegare funzioni alle province ad oggi, le regioni hanno continuamente ridotto le risorse destinate a coprire le spese per questi servizi.
  Nonostante questi tagli, le province hanno continuato a garantire i servizi per le funzioni trasferite con risorse inferiori, ma a parità di efficienza, grazie alle economie di gestione che si sono potute realizzare su funzioni collegate (ad esempio: scuola e formazione lavoro; trasporto pubblico e viabilità). Se queste funzioni Pag. 12venissero riportate in capo alle regioni e di nuovo frammentate, le economie di gestione salterebbero e i costi tornerebbero ad aumentare.
  Occorre soffermarsi poi sul trasferimento delle funzioni delle province alle regioni. Dal 2009 al 2012 le Regioni hanno tagliato di oltre 1,7 miliardi di euro le risorse destinate a coprire i servizi che le Province esercitano per funzioni trasferite o delegate: lavoro, formazione professionale, trasporto pubblico locale, aiuti alle imprese, manutenzione del territorio, ambiente, strade, agricoltura, turismo. In base ai dati Siope riferiti al primo semestre 2013, per quest'anno la stima è di un'ulteriore riduzione del 20 per cento per le spese correnti e del 30 per cento per le spese per investimenti.
  In sostanza, con l'aumento della spesa pubblica per il passaggio della gestione dell'edilizia scolastica (640 milioni di euro) e l'aumento della spesa pubblica per il passaggio delle funzioni alle regioni (1,4 miliardi) si realizza un aumento totale della spesa pubblica, per i due soli aspetti analizzati, di circa due miliardi di euro.
  Occorre poi tenere presente il fatto che le regioni, non essendo enti di amministrazione, dovrebbero creare nuove agenzie, società, enti strumentali, per gestire le funzioni delle Province. Secondo la Corte dei conti l'analisi degli andamenti economico-patrimoniali, nel biennio 2010-2011, ristretta alle sole s.p.a. e s.o. partecipate al 100 per cento dalle Regioni, consente di concludere che, ad uno sguardo complessivo, tali società si presentano come una fonte di perdite: la maggior parte dei dati relativi ai risultati di esercizio, infatti, evidenziano nel 2011 significative flessioni rispetto all'esercizio precedente e ciò in alcuni casi ha implicato un aggravamento della situazione di perdita già evidenziatasi nel 2010.
  Nell'ipotesi di assegnare le funzioni delle Province alle Unioni di Comuni, occorre tenere presente che attualmente esistono 370 unioni dei comuni; 3,5 volte il numero delle Province, che sono 107. Le 107 Province rappresentano tutto il territorio nazionale, tutti i cittadini italiani e tutti i Comuni. Le 370 Unioni dei Comuni rappresentano il 23,5 per cento dei Comuni italiani (1.181 sugli oltre 8.100) e coprono il 12,9 per cento della popolazione italiana (rappresentano 7.708.290 cittadini sul totale di 59.433.744 italiani).
  Per coprire tutto il territorio nazionale, anche volendo escludere le 10 Città metropolitane, occorrerebbero almeno altre 300 Unioni di Comuni. Le Unioni di Comuni oggi svolgono in forma associata funzioni comunali molto diversificate e disomogenee: dall'apertura del libretto postale per i neonati a funzioni di assistenza e beneficienza, dalla gestione dei cimiteri alla gestione dei tributi, dai servizi sociali alla gestione dell'anagrafe, alla gestione della polizia municipale, dalle mense scolastiche all'igiene urbana. Si tratta di funzioni comunali, e non di area vasta, sulle quali gli studi condotti in materia di individuazione di fabbisogni standard già evidenziano una inefficienza rispetto alla gestione dei singoli Comuni. In sostanza, le funzioni esercitate dalle Unioni di Comuni costano di più di quelle dei singoli Comuni. In altre parole, passare da 107 province ad almeno circa 700 Unioni di Comuni farebbe aumentare in maniera incontrollata la spesa pubblica e crollare vertiginosamente l'efficienza, la qualità, i diritti e la garanzia stessa di pari diritti.
  C’è poi da considerare che il disegno di legge prefigura un'Italia divisa in due parti: da una parte le grandi città, mentre l'altra l'Italia, quella dei territori e dei piccoli Comuni, viene abbandonata. Il sistema elettorale di secondo livello definito dal disegno di legge, infatti, porterà a concentrare le decisioni più importanti solo sui comuni più grandi. A decidere sulle province saranno solo i sindaci dei grandi Comuni e i presidenti delle Unioni di Comuni sopra 10.000 abitanti. I piccoli comuni non avranno alcuna possibilità di essere rappresentati e di vedere considerate le loro esigenze.
  Per fare solo alcuni esempi, per formare una maggioranza nelle deliberazioni delle Conferenze dei sindaci delle Città metropolitane e nelle Assemblee di Sindaci delle Province sarà sufficiente: a Bologna si decide Pag. 13con il voto di soli 4 sindaci su 60 sindaci dell'area metropolitana; a Firenze si decide con il voto di soli 4 sindaci su 44 sindaci dell'area metropolitana; a Genova decide solo il sindaco del comune capoluogo su 67 sindaci dell'area metropolitana; a Torino si decide con il voto di 7 sindaci su 315 sindaci dell'attuale provincia; a Belluno si decide con il voto di soli 10 sindaci su 69 sindaci dell'attuale provincia; a Livorno decide solo il sindaco del comune capoluogo su 20 sindaci dell'attuale provincia; a Pesaro e Urbino si decide con il voto di 4 sindaci su 59 sindaci dell'attuale provincia; a Rovigo si decide con il voto di 7 sindaci su 50 sindaci dell'attuale provincia; a Rimini si decide con il voto di 2 sindaci su 27 sindaci dell'attuale provincia.
  Dalla breve analisi fin qui condotta è emerso che, prendendo in considerazione solo alcune delle conseguenze che deriverebbero dall'attuazione di questo disegno di legge, si dimostra che la spesa pubblica aumenterà di 2 miliardi e che la democrazia sarà cancellata. Il Governo e il Parlamento, per dare attuazione ad un mero annuncio e cancellare la classe politica che amministra le Province, faranno spendere al Paese almeno 2 miliardi: il risparmio annunciato di 11 milioni dovuto alla cancellazione degli amministratori provinciali sarà in definitiva pagato dal Paese con due miliardi.
  Conclude dichiarando che il suo gruppo ritiene essenziale una riforma dell'architettura organizzativa costituzionale dei territori e dei livelli di governo, ma ritiene anche questa vada perseguita con un intervento organico e ponderato, non demagogico. Non c’è dubbio che l'area vasta debba essere un punto centrale in questa riforma, ma fa presente che per creare il governo di area vasta ci sono anche strade diverse rispetto a quella seguita dal disegno di legge in esame. Si può pensare, ad esempio, a una revisione delle circoscrizioni provinciali con riduzione del loro numero, come pure ad una revisione dei confini regionali, per la creazione di un numero maggiore di regioni con area più limitata. In ogni caso, è indispensabile un intervento organico: un requisito, questo, che manca al disegno di legge del Governo. Per questa ragione dichiara la sostanziale contrarietà del suo gruppo al provvedimento.

  Emanuele FIANO (PD) chiede alla Presidenza di convocare una riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, per definire l'organizzazione dei lavori della Commissione sul provvedimento in esame, tenendo conto delle decisioni assunte dalla Conferenza dei presidenti dei gruppi nella riunione odierna.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, preso atto di quanto testé richiesto dalla collega Fiano avverte che sarà convocata una riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, al termine della seduta già prevista del Comitato permanente per i pareri.
  Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.50.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Mercoledì 20 novembre 2013. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 15.50.

DL 120/2013: Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione.
Emendamenti C. 1690-A Governo.
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Giuseppe LAURICELLA (PD), relatore, rileva che gli emendamenti 2.500 e 2.501 della Commissione non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone Pag. 14pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

  La seduta termina alle 15.55.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Mercoledì 20 novembre 2013.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.55 alle 16.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali.
C. 1359-B, Governo, approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, dal Senato, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato e dalla Camera.

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