CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 12 settembre 2013
80.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e VI)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 13 SETTEMBRE 2013

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SEDE REFERENTE

  Giovedì 12 settembre 2013. — Presidenza del presidente della VI Commissione Daniele CAPEZZONE. — Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  La seduta comincia alle 15.

DL 102/2013: Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici.
C. 1544 Governo.

(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

  Marco CAUSI (PD), relatore per la VI Commissione, rileva come le Commissioni riunite Bilancio e Finanze avviino nella seduta odierna l'esame, in sede referente, del disegno di legge C. 1012, di conversione del decreto-legge n. 102 del 2013, recante disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici.
  Il decreto-legge si compone di sedici articoli, dei quali interessano le competenze della Commissione Finanze gli articoli da 1 a 6 e gli articoli 12 e 14, che verranno esposti e commentati nella seconda parte di questa relazione.
  Ritiene quindi necessario, in premessa, svolgere alcune considerazioni generali sulle questioni di impianto della politica tributaria che ci vengono proposte da questo decreto e, ampliando la prospettiva, dalla fase ciclica che l'economia italiana sta attraversando.
  Il presente decreto-legge, che dispone la soppressione della prima rata dell'IMU per l'anno 2013, non contiene alcuna norma di riforma generale della disciplina della tassazione immobiliare, così com'era previsto dal decreto n. 54 del 2013, approvato pochi mesi fa dal Parlamento. Anche il decreto-legge n. 102, come il decreto-legge n. 54, è un provvedimento di carattere provvisorio, che rimanda le scelte più generali di riforma, che avrebbero dovuto essere assunte entro il 31 agosto, alla legge di stabilità e a un altro decreto-legge che verrà collegato a quest'ultima.Pag. 17
  Questa scelta di rinvio, va detto con onestà politica e intellettuale, non aiuta una completa e ponderata valutazione delle decisioni del Governo contenute nel decreto da parte del Parlamento e dell'opinione pubblica. Il Parlamento si trova infatti, e così le famiglie, gli operatori economici e i comuni, di fronte a tre rilevanti elementi di incertezza e di incompletezza informativa. Superarli nei prossimi giorni, in modo da chiarire i contorni dell'approdo finale che verrà stabilito alla metà di ottobre, è necessario per dare costrutto e spessore a una discussione troppo spesso attraversata da semplificazioni e superficialità che, invece, è bene restino fuori dal lavoro istruttorio che le Commissioni parlamentari competenti per l'esame in sede referente sul provvedimento sono chiamate a svolgere.
  Il primo elemento d'incertezza riguarda l'evoluzione complessiva dell'equilibrio finanziario delle pubbliche amministrazioni durante l'ultimo quadrimestre dell'anno in corso, alla luce delle numerose questioni che restano aperte (la seconda rata IMU, l'IVA, le missioni internazionali, le coperture per il finanziamento della cassa integrazione e per i disoccupati che hanno perduto l'accesso al sistema pensionistico per effetto dell'innalzamento dell'età pensionabile), oltre che, naturalmente, alla luce del peggioramento dei dati relativi alla recessione italiana nel primo semestre dell'anno al confronto con le stime di inizio anno.
  La nota di aggiornamento al DEF, che il Governo presenterà il 20 settembre prossimo, dovrà sciogliere queste incertezze e chiarire, con rigore e prudenza, quali siano davvero i possibili margini di manovra, anche superando alcuni elementi di opacità contenuti nella Relazione di aggiornamento dei quadri di finanza pubblica che ieri la Camera ha approvato, dove si riconosce un peggioramento per il 2014 e il 2015, ma nulla si dice su come ci si avvii a chiudere il 2013.
  Ritiene che non possiamo permetterci di correre il rischio di porre a repentaglio l'equilibrio dei conti pubblici raggiunto con tanti sacrifici. Ed è compito del Governo, e in primo luogo del Ministro dell'Economia, mettere il Parlamento a conoscenza dei dati effettivi e, conseguentemente, delle possibili opzioni. Mentre è dovere del Parlamento ricordare che si è all'interno di un processo di bilancio con caratteristiche sempre più marcatamente federali, e che quindi le scelte di percorso non possono nascere da opzioni unilaterali, né tantomeno da scostamenti casuali e imprevisti dovuti alle difficoltà di decisione politica interna, ma semmai da un processo di interazione e concertazione con le autorità europee.
  Il secondo elemento d'incertezza riguarda il profilo che le politiche tributarie italiane intendono assumere nell'attuale fase ciclica. Poiché è ovvio che non si possono ridurre contemporaneamente tutte le imposte, per evidenti motivi di tenuta dei conti, è necessario operare scelte e selezioni in funzione di obiettivi dichiarati e trasparenti di politica economica.
  Nella manovra del dicembre 2011, ad esempio, si perseguì la strada della svalutazione fiscale, con interventi di sgravio sul cuneo e sulla tassazione d'impresa (ACE). Fu aumentata in modo consistente, dall'altro lato, la tassazione patrimoniale attraverso l'IMU (oltre che ridotta la spesa pubblica, con interventi strutturali come quello sulle pensioni). L'obiettivo di politica economica sul versante tributario era palese: la tassazione patrimoniale era più bassa in Italia al confronto con gli altri Paesi, e si trattava quindi di superare una distorsione strutturale; per favorire la crescita e l'efficienza economica è opportuno spostare il peso fiscale dai redditi da lavoro e d'impresa verso patrimoni e consumi. Giulio Tremonti – citando non casualmente un esponente che non appartiene al suo schieramento politico – sintetizzava la questione con l'espressione: spostare la tassazione dalle persone alle cose.
  Se oggi si volesse, in conseguenza della perdurante recessione, sostenere la domanda interna, l'intervento più efficace sarebbe sull'IRPEF, e soprattutto sull'IRPEF gravante sui redditi bassi e medio-Pag. 18bassi, con effetti di riduzione del cuneo fiscale, come da molti richiesto. Sarebbe interessante valutare, durante l'esame del presente decreto e della prossima legge di stabilità, proposte che vadano in questa direzione.
  Il Governo ha scelto un'altra strada, quella della riforma della tassazione immobiliare, anche se ancora non sono chiari gli obiettivi di politica economica che intende perseguire. Ad esempio, per aiutare la ripresa delle compravendite sarebbe molto efficace ridurre le imposte sulle transazioni immobiliari, come prospettano le conclusioni dell'indagine conoscitiva sulla tassazione immobiliare effettuata dal Senato in questi mesi. Di questo però si è parlato poco o nulla. La discussione è concentrata interamente sull'IMU. Si fa fatica a vedere, in questo decreto, ciò che era stato promesso nel decreto-legge n. 54, e cioè un ridisegno complessivo della tassazione immobiliare. E il Governo è sembrato a tratti non rendersi conto del legame esistente fra tassazione immobiliare e sistema dei tributi comunali, come ad esempio quando ha respinto emendamenti sul decreto-legge n. 54 volti ad affermare che la riforma da costruire dovesse coinvolgere la tassazione immobiliare e, insieme, quella comunale. Si tratta di criticità rilevanti, che il Parlamento non può fare a meno di rilevare.
  Una riduzione dell'IMU sui fabbricati strumentali alle attività produttive sarebbe di grande utilità, soprattutto per i settori esportatori dell'economia italiana, ma il decreto-legge in esame la limita al solo settore agricolo. Sarebbe importante valutare l'estensione del benefico agli altri settori produttivi.
  L'IMU, introdotta in una situazione di emergenza dal Governo Monti, sulla base del decreto legislativo sul fisco municipale approvato dal precedente Governo Berlusconi, ha diverse distorsioni, e la loro rimozione è certamente condivisibile. Ha fatto bene il Governo, ad esempio, a superare il regime di cogestione dell'imposta fra Stato e Comuni, che non ha ben funzionato. Per migliorare equità ed efficienza di questa imposta, poi, è necessario avviare finalmente il lavoro di riforma del Catasto, su cui nei prossimi giorni sarà approvato in questo ramo del Palamento, prima ancora del decreto-legge n. 102, l'importante provvedimento di delega al Governo per la riforma degli strumenti della politica fiscale.
  Va poi ricordato che nella transizione dall'ICI all'IMU gli immobili sfitti, lasciati nella disponibilità del proprietario, hanno ottenuto un trattamento relativamente migliore degli immobili che i proprietari immettono nel mercato degli affitti. Sarebbe utile verificare la possibilità di superare questa distorsione, a cui il Governo aveva pensato ma che poi non ha trovato – per motivi che, francamente, si stenta a comprendere – spazio nel decreto-legge di cui oggi inizia l'esame. Per migliorare il funzionamento del mercato degli affitti il decreto-legge introduce alcune importanti misure, da valorizzare, fra cui una riduzione della cedolare secca sugli affitti a canone concordato. Alla luce della riforma che si prospetta, e cioè della sostituzione dell'IMU sull'abitazione principale a carico dei proprietari con una imposta sui servizi comunali a carico di tutti, compresi i non proprietari, sarebbe utile verificare la fattibilità di ulteriori interventi a vantaggio dell'affitto, come ad esempio un aumento delle detrazioni a beneficio degli affittuari ovvero una differenziazione delle aliquote IMU a beneficio dei proprietari, sempre con l'obiettivo di incentivare il canale del canone concordato.
  L'apporto che l'abolizione dell'IMU sull'abitazione di residenza può portare al sostegno della domanda interna non è stato, invece, mai compiutamente dimostrato.
  Il Rapporto che il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha pubblicato, anzi, ha mostrato che, essendo il gettito dell'imposta, nel comparto abitativo, relativamente più concentrato di quello di altre imposte – un effetto che deriva dalla maggiore concentrazione dei valori della proprietà immobiliare al confronto con quella dei redditi, oltre che dal sistema di detrazioni fisse introdotto nel dicembre Pag. 19del 2011, che già esenta dall'imposta il 25 per cento dei proprietari – il 70 per cento dell'imposta è versata dal 30 per cento degli immobili di maggior valore catastale. Poiché il possesso di immobili di elevato valore catastale è correlato al reddito (passato e presente, con eccezioni di cui si può tenere conto con adeguati sistemi di detrazione), le valutazioni del MEF indicano che solo una piccola parte dei 4,8 miliardi di sgravio complessivo di imposta va a beneficio di famiglie di reddito basso e medio basso, e quindi a elevata propensione al consumo.
  Infatti il Rapporto del MEF ricorda che: «La proposta di esenzione totale dall'IMU per l'abitazione principale non sembra pienamente giustificabile sul piano dell'equità ed efficienza (...); sotto il profilo dell'efficienza, le imposte immobiliari sono preferibili alle imposte sui fattori produttivi (lavoro e capitale) perché minimizzano l'impatto negativo delle imposte sulla crescita economica e hanno effetti meno distorsivi sull'utilizzo dei fattori produttivi e sull'accumulazione del capitale; (...) Sotto il profilo dell'equità si rileva come il possesso dell'abitazione principale è uno dei fattori per la definizione della condizione economica dei contribuenti e della relativa capacità contributiva. L'IMU sull'abitazione principale, pur tassando il patrimonio ad aliquote proporzionali e non progressive, equivale a un'imposizione progressiva sul reddito, considerato che la ricchezza immobiliare è più concentrata del reddito.»
  È lo stesso Governo, insomma, a certificare che l'impatto del provvedimento ai fini del sostegno ai consumi sia più modesto al confronto con altre manovre tributarie. Dato che il Rapporto del MEF è ricchissimo di analisi, dati, valutazioni e proposte alternative, e dato che occorre dare per scontato che quel Rapporto sia stato letto e preso in considerazione dall'intero Governo, e non solo dal Ministro che l'ha, meritevolmente, prodotto, la conclusione minima a cui si può pervenire – interrompendo qui un ragionamento che potrà utilmente essere approfondito nel prosieguo della nostra discussione – è che il Governo è apparso, in merito, confuso, sia nella definizione degli obiettivi di politica economica, sia nella coerenza fra documentazione tecnica prodotta e dinamica della discussione politica.
  La terza area d'incertezza riguarda il futuro assetto a regime del sistema dei tributi comunali. Un sistema che è ormai in crisi permanente dal 2008. In tutto il mondo la tipica base imponibile per la finanza comunale è legata agli spazi occupati da terreni e immobili. Il motivo è evidente: la base fondiaria e immobiliare è certa all'interno di circoscrizioni amministrative piccole come quelle comunali, mentre altre basi imponibili sarebbero più difficili, se non impossibili, da accertare, e cioè da suddividere fra i diversi territori.
  Inoltre, il valore del patrimonio immobiliare è influenzato dalla qualità e quantità di servizi e infrastrutture la cui produzione è organizzata dall'ente amministrativo di prossimità, e ciò crea un circuito virtuoso fra bontà dei servizi e delle infrastrutture, esternalità che essi creano per il territorio e meccanismi per il loro finanziamento. Infine, i soggetti che occupano gli spazi urbani, famiglie e imprese, sono i diretti interessati al buon funzionamento dell'ente locale e ciò crea un ulteriore circuito virtuoso, di responsabilizzazione da parte degli amministratori e di controllo da parte dei residenti. Circuito che, naturalmente, si spezza se il finanziamento dell'ente locale non viene garantito dai residenti, ma da altri sistemi, ad esempio di finanza interamente derivata.
  In effetti, consultando le banche dati internazionali, ci sono solo quattro Paesi al mondo che, nell'adottare l'imposta patrimoniale reale, esentano l'abitazione principale: si tratta della Mongolia, del Niger, della Repubblica del Congo e dello Yemen. Nonostante le difficoltà che il nostro sistema socio economico affronta da più di un decennio, non crede che si sia già arrivati, come Paese Italia, ad essere costretti a scegliere benchmark internazionali di questo livello, e su questo invita a una riflessione seria e onesta le forze Pag. 20politiche che fanno dell'abolizione dell'IMU sulla prima casa una bandiera di carattere programmatico.
  Il modo in cui, nei diversi Paesi, lo spazio occupato si trasforma in base imponibile per l'imposta locale è molto eterogeneo. Si va da un estremo in cui viene adottata una patrimoniale pura, associando allo spazio occupato il valore catastale dell'immobile, ad un altro estremo in cui il costo dei servizi viene semplicemente diviso pro capite (poll tax). In quest'ultimo caso, com’è noto, sono massime le conseguenze negative sul piano distributivo e di mancato rispetto dei principi di capacità contributiva. Esistono comunque diverse modalità con cui far convivere le varie componenti di un'imposta locale sui servizi, comprendendovi sia la quota patrimoniale sia quella connessa all'estensione degli spazi e a indicatori di consumo dei servizi. In alcuni Paesi, come la Francia, l'imposta patrimoniale locale convive con un'imposta locale sui servizi. In tutti i Paesi la gestione di queste imposte è ampiamente devoluta alla responsabilità delle comunità locali, con intervalli di variazione molto elevati fra i diversi territori, ben più alti – soprattutto nei Paesi ad ordinamento federale – di quelli mai concessi ai Comuni italiani sia con l'ICI sia con l'IMU.
  Il Governo ha annunciato che la riforma che si intende mettere definitivamente a punto alla metà di ottobre prossimo contempla la sostituzione dell'IMU sulle abitazioni principali con una nuova imposta comunale sui servizi. Si tratta di una decisione sostenibile, di un compromesso onorevole fra le diverse proposte, anche molto distanti fra loro, avanzate dai partiti che formano la maggioranza di Governo. Si va, insomma, nella direzione di quella «sintesi equilibrata e innovativa delle diverse posizioni e sensibilità che sono emerse in materia» auspicata dal relatore sul decreto-legge n. 54 del 2013, onorevole Capezzone, il quale sottolineava come ciascuna forza politica avrebbe dovuto «anche rivedere la fissità delle rispettive posizioni di partenza».
  Di un'imposta comunale sui servizi si parla in Italia dalla seconda metà degli anni ’90, e proposte in questa direzione sono state avanzate, in sostituzione dell'ICI sulle abitazioni principali, nel 2010 dal Partito Democratico e nel 2011 da un decreto legislativo mai attuato, elaborato dal Ministro Calderoli e approvato dal Governo Berlusconi poco prima delle sue dimissioni, che istituiva il tributo comunale rifiuti e servizi (RES). Visto, però, che le imposte comunali sui servizi possono assumere natura molto variegata, è assolutamente necessario che il Parlamento e il Governo comincino fin da ora a chiarire «quale» imposta comunale sui servizi verrà introdotta al posto dell'IMU sull'abitazione principale.
  Non si possono lasciare nell'incertezza e nell'approssimazione elementi fondamentali: sarà più vicina a una poll tax o avrà una componente legata al valore patrimoniale ? Ricorda che nel decreto Calderoli-Berlusconi l'imposta era interamente patrimoniale. Sarà pagata da tutti i residenti ? Solo dalle famiglie o anche dalle imprese ? Come si intreccerà con l'IMU, la quale, è bene ricordarlo, resta in vigore per tutte le unità immobiliari non abitative e per quelle abitative non destinate ad abitazione principale ? Ci sarà o no un aumento dei trasferimenti ai Comuni, per fare in modo che la nuova imposta valga, per la famiglia proprietaria di casa che non paga più l'IMU, meno di quanto valeva l'IMU ? E come si intende evitare, o riequilibrare, l'impatto certamente regressivo dovuto al fatto che una parte della nuova imposta sarà a carico delle famiglie non proprietarie della casa di abitazione ? Il mantenimento dell'imposta patrimoniale reale su una piccola quota di abitazioni principali di maggior valore potrebbe essere utile in questa direzione, e cioè in direzione dell'equità, oltre che aiutare a comporre un quadro finanziario che oggi sembra francamente drammatico ?
  Non si tratta di particolari di poco conto. Il giudizio su quel compromesso onorevole cui ha appena fatto riferimento dipende in modo cruciale dalle risposte Pag. 21che il Governo e il Parlamento sapranno dare, nei prossimi giorni, alle domande appena enunciate: si potrà giudicare quel compromesso come la base per una riforma strutturale destinata a durare nel tempo, oppure invece come un accordo dal sapore politicistico, destinato a non produrre alcunché di sensato per il sistema della finanza comunale e per il sistema tributario nel suo complesso. È responsabilità delle forze politiche, in primo luogo di quelle di maggioranza, condurre questa discussione su basi di verità e di sano realismo, superando ogni ipocrisia e ogni approccio di tipo propagandistico.
  Passando quindi ad una descrizione delle singole norme del decreto-legge, l'articolo 1 prevede che per l'anno 2013 non è dovuta la prima rata dell'Imposta municipale propria (IMU), istituita dal decreto-legge n. 201 del 2011, sugli immobili per i quali tale rata era già stata sospesa con il decreto-legge n. 54 del 2013.
  In particolare, la prima rata non è dovuta per le seguenti tipologie di immobili:
   a) abitazioni principali e assimilati (IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa); in analogia a quanto già previsto dal decreto-legge n. 54 del 2013, da tale previsione sono esclusi i fabbricati di particolare pregio e valore, vale a dire le abitazioni di tipo signorile classificate nella categoria catastale A/1; le abitazioni in villa classificate nella categoria catastale A/8 e, infine, i castelli e i palazzi di eminente pregio artistico o storico classificati nella categoria catastale A/9;
   b) terreni agricoli (al riguardo ricorda che, ai fini IMU, sono considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, al verificarsi delle condizioni di legge; ai fini del calcolo del valore dei predetti terreni agricoli, si applica un moltiplicatore pari a 135, ridotto a 110 qualora il terreno sia posseduto e condotto dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, ai sensi del comma 5 dell'articolo 13, del decreto-legge n. 201 del 2011).
   c) fabbricati rurali: in merito ricorda che, ai sensi della disciplina IMU, i fabbricati rurali sono assoggettati ad imposta; se si tratta di fabbricati ad uso abitativo, essi scontano l'IMU nelle modalità ordinarie (ove ricorrano le condizioni di legge, secondo le disposizioni previste per l'abitazione principale); per i fabbricati rurali strumentali, il comma 8 dell'articolo 13 del citato decreto-legge n. 201 del 2011 prevede un'aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento; inoltre l'articolo 9, comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (federalismo municipale) esenta dall'imposta i fabbricati rurali a uso strumentale ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'ISTAT.

  Secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 54 del 2013, la sospensione della rata dell'IMU opera nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi:
   la riforma della disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES);
   la modifica dell'articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale;
   l'introduzione della deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive.

  L'articolo 2 modifica il quadro delle esenzioni e agevolazioni in materia di IMU, con particolare riguardo ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita; agli immobili appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibiti ad abitazione principale, agli alloggi sociali e agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per Pag. 22le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica; agli immobili destinati alla ricerca scientifica; agli immobili posseduti da personale delle Forze armate, delle Forze di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché da quello appartenente alla carriera prefettizia.
  Più in dettaglio, il comma 1 – con una modifica non testuale alla disciplina dell'IMU contenuta all'articolo 13 del predetto decreto-legge n. 201 del 2011 – stabilisce che per l'anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell'IMU relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, a condizione che permanga tale destinazione e che gli immobili non siano locati.
  Il comma 2, lettera a), interviene sul predetto articolo 13, modificando il comma 9-bis al fine di rendere i predetti immobili totalmente esenti a decorrere dal 1o gennaio 2014, fermi restando i requisiti della destinazione alla vendita e dell'assenza di locazione. La precedente formulazione del comma 9-bis attribuiva ai comuni la facoltà di ridurre l'aliquota di base di tali tipologie di immobili fino allo 0,38 per cento per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori.
  La lettera b) del comma 2, intervenendo sul comma 10 dell'articolo 13, elimina l'espresso rinvio all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992 e rende esplicita l'applicazione della detrazione d'imposta nella misura prevista per l'abitazione principale per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP.
  Il comma 3 modifica la lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell'ICI, al fine di rendere esenti dall'IMU – a decorrere dal periodo di imposta 2014 – gli immobili destinati ad attività di ricerca scientifica.
  Il comma 4 equipara, ai fini dell'applicazione della disciplina in materia di IMU, le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, all'abitazione principale. Sono altresì equiparati all'abitazione principale, ma solo a decorrere dal 1o gennaio 2014, i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali.
  Il comma 5 reca alcune agevolazioni per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per il personale appartenente alla carriera prefettizia. Per tale personale è possibile ottenere il riconoscimento di abitazione principale per l'immobile posseduto, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, e non concesso in locazione, anche in assenza delle condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica.
  In considerazione delle disposizioni in materia di imposta municipale propria recate dai precedenti articoli 1 e 2, l'articolo 3, comma 1, dispone il ristoro ai comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna del minor gettito che ad essi ne deriva, attraverso l'attribuzione ai medesimi comuni di un contributo di 2.327,3 milioni di euro per l'anno 2013 e di 75,7 milioni a decorrere dall'anno 2014.
  Secondo quanto stimato nella Relazione tecnica, le disposizioni recate dagli articoli 1 e 2 del provvedimento determinerebbero una perdita complessiva di gettito per l'intero comparto dei comuni di importo pari a 2.422,1 milioni di euro per l'anno 2013 (di cui 2.396,2 milioni derivanti dall'abolizione della prima rata IMU e 35,9 milioni derivanti dalle variazioni al regime dell'IMU determinate dall'articolo 2) e a 79,3 milioni dall'anno 2014.
  Di tale importo complessivo, 2.327,3 milioni di euro nel 2013 e 75,7 milioni dall'anno 2014 riguarderebbero i comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, che vengono a tal fine ristorati con l'assegnazione del contributo in oggetto. Relativamente ai Pag. 23comuni delle regioni a statuto speciale diverse da Sicilia e Sardegna, il minor gettito IMU, stimato in complessivi 94,8 milioni nel 2013 e in 3,6 milioni a partire dall'anno 2014, verrebbe ristorato, secondo quanto riportato nella Relazione tecnica, attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
  Il comma 2 rinvia ad un decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, il riparto del contributo tra i comuni interessati, da effettuarsi, secondo la norma, in proporzione alle stime di gettito dell'IMU comunicate a tal fine dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.
  L'articolo 4 interviene sulla disciplina della cosiddetta «cedolare secca» introdotta dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (in tema di federalismo fiscale municipale), al fine di ridurre, per gli immobili locati a canone «concordato», l'aliquota al 15 per cento – in luogo dell'aliquota vigente pari al 19 per cento – a decorrere dall'anno di imposta 2013.
  Ricorda che, al fine di favorire il contrasto all'evasione fiscale nel settore delle locazioni, la disciplina della cosiddetta «cedolare secca sugli affitti» prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 è consentito ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell'ordinaria tassazione IRPEF sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono pari al 21 per cento per i contratti a canone libero ed al 19 per cento per quelli a canone concordato.
  Sono escluse dall'ambito di applicazione le locazioni realizzate nell'esercizio di attività d'impresa, arti e professioni.
  Oltre a severe sanzioni in caso di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l'applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) le misure suddette prevedono che, in caso di contratto a canone concordato, il locatore che opta per la cedolare secca non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.
  L'articolo 5 reca norme in materia di TARES, prevedendo che il comune può stabilire di applicare per l'anno 2013 la componente del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, diretta alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto del principio «chi inquina paga», sancito dall'articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, secondo alcuni criteri legati alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie ed ai coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti per ogni categoria o sottocategoria omogenea, di fatto superando il rinvio ai criteri stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani.
  In merito ricorda che il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) è stato istituito del decreto-legge n. 201 del 2011, a decorrere dal 1o gennaio 2013, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. A decorrere dal 1o gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. Pag. 24
  La tariffa, che è commisurata all'anno solare e deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:
   una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti;
   una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione;
   i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche.

  Con riguardo alla base imponibile sulla quale applicare il tributo, in seguito alle modifiche introdotte con la legge di stabilità 2013, è stata disposta l'applicazione a regime dei criteri del decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Essa rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell'inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento.
  L'articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 158 dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (ora abrogato), il decreto del Presidente della Repubblica ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile).
  In tale contesto ricorda inoltre che l'articolo 1-bis del decreto-legge n. 1 del 2013 aveva posticipato, per il solo anno 2013, al mese di luglio il termine di versamento della prima rata del tributo, precedentemente fissato al mese di aprile dalla legge di stabilità 2013, ferma restando la facoltà per il comune di posticipare ulteriormente tale termine.
  Successivamente, l'articolo 10 del decreto legge 35 n. 2012 ha consentito ai comuni, per il solo anno 2013, di stabilire con propria deliberazione la scadenza e il numero delle rate di versamento del tributo; inviare ai contribuenti, per il pagamento delle prime due rate, i modelli di pagamento precompilati già predisposti per la Tarsu, la Tia 1 o la Tia 2; continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Per il solo 2013, la maggiorazione standard pari a 0,30 euro per metro quadrato – per la quale i comuni, nel 2013, non possono esercitare la facoltà di aumento fino a 0,40 euro – assegnata ai comuni ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge 201/2011, Pag. 25viene riservata allo Stato ed è versata in unica soluzione unitamente all'ultima rata del tributo, tramite il sistema dei versamenti unitari con compensazione con il modello F24, nonché tramite bollettino di conto corrente postale.
  Passando ad illustrare in dettaglio il contenuto dell'articolo 5, il comma 1 stabilisce che, per l'anno 2013, il comune può stabilire con proprio regolamento, entro il 30 novembre 2013 (termine fissato dall'articolo 8 per l'approvazione del bilancio di previsione), di applicare la componente del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi nel rispetto del principio «chi inquina paga», sancito dall'articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e tenendo conto di alcuni criteri:
   a) commisurazione della tariffa sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti;
   b) determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti;
   c) commisurazione della tariffa tenendo conto, altresì, dei criteri determinati con il citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158;
   d) introduzione di ulteriori riduzioni ed esenzioni, oltre a quelle previste dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011.

  Si tratta, in sostanza, di riduzioni tariffarie, nella misura massima del trenta per cento, nel caso di abitazioni con unico occupante o tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo; locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente; abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali ad uso abitativo.
  Conseguentemente, il comma 2 abroga il comma 19 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, che prevedeva l'iscrizione in bilancio delle riduzioni ed esenzioni come autorizzazioni di spesa e ne assicurava la copertura con risorse diverse dai proventi del tributo. Sarà quindi possibile coprire le predette agevolazioni con le risorse rinvenienti dal pagamento del tributo stesso.
  Il comma 3 fa salva la previsione già contenuta nella norma istitutiva del tributo, secondo la quale in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi per lo smaltimento in discarica (costi di realizzazione e di esercizio dell'impianto, costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria e costi stimati di chiusura, nonché costi di gestione successiva alla chiusura) previsti dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 36 del 2003, di attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
  Ai sensi del comma 4 il comune è autorizzato a predisporre e inviare ai contribuenti il modello di pagamento dell'ultima rata del tributo sulla base delle disposizioni regolamentari e tariffarie previste dall'articolo 5.
  L'articolo 6 reca misure di sostegno all'accesso all'abitazione e al settore immobiliare.
  In particolare, il comma 1 autorizza la Cassa Depositi e Prestiti a mettere a disposizione degli istituti di credito italiani, nonché delle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia e autorizzate all'esercizio dell'attività, una base di liquidità – mediante l'utilizzo dei fondi della raccolta del risparmio postale – per erogare nuovi finanziamenti espressamente destinati a mutui, garantiti da ipoteca, su immobili residenziali, con priorità per quelli finalizzati all'acquisto dell'abitazione principale nonché ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico. A tal Pag. 26fine le banche possono contrarre finanziamenti secondo contratti tipo definiti con apposita convenzione tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l'Associazione Bancaria Italiana; per i finanziamenti in questione si applica il regime fiscale agevolato di cui al comma 24 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 269 del 2003, ossia l'esenzione da tutte le imposte, tributi e diritti sugli atti relativi alle operazioni previste dalla disposizione.
  La cassa può inoltre acquistare obbligazioni bancarie garantite (covered bond) o tranches senior di operazioni di cartolarizzazione (titoli caratterizzati da bassa rischiosità) emesse a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, per favorire la diffusione di tali strumenti presso le banche autorizzate al fine di aumentarne le disponibilità finanziarie per l'erogazione di finanziamenti ipotecari.
  L'intervento viene realizzato attraverso alcune modifiche al decreto-legge n. 269 del 2003, che reca le funzioni della Cassa. Oltre a finanziare Stato, Regioni, enti locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, mediante l'utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato e fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, la Cassa può compiere ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della Società, nei confronti dei soggetti istituzionali pubblici o promossa dai medesimi soggetti.
  Rammenta che le operazioni compiute da CDP attraverso l'utilizzo dei fondi della raccolta postale e dei fondi provenienti da altre operazioni finanziarie ugualmente assistiti da garanzia dello Stato, avviene attraverso un sistema di cosiddetta «gestione separata» ai fini contabili ed organizzativi, uniformato a criteri di trasparenza e di salvaguardia dell'equilibrio economico.
  In merito osserva come l'attività di Cassa Depositi e Prestiti, consistente nel fornire provvista agli istituti bancari – che la disposizione in esame inserisce, con finalità di sostegno alle politiche abitative, nelle attività istituzionali delle Società – sia già contemplata in altre norme, le quali dispongono che CDP fornisca provvista al sistema bancario con finalità di sostegno al tessuto produttivo o di sostegno alla ricostruzione di territori colpiti da situazioni di particolare criticità.
  Il comma 2 incrementa di 20 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2014 e 2015, la dotazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa.
  Al riguardo ricorda che il Fondo, istituito dall'articolo 2, comma 475, della legge n. 244 del 2007, consente la sospensione del pagamento delle rate per un massimo di 18 mesi, essendo a carico del fondo il pagamento della quota interessi legata al tasso di riferimento dovuta per il periodo della sospensione. Per effetto della sospensione la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione stessa; al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti.
  La dotazione iniziale del Fondo, ai sensi della citata legge finanziaria 2008, era di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente l'articolo 13, comma 20 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha rifinanziato il Fondo con 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
  La legge di riforma del mercato del lavoro (in particolare l'articolo 3, commi 48 e 49, della legge n. 92 del 2012) ha esteso le misure di sospensione a carico del Fondo anche a ulteriori tipologie di mutui; ha precisato le condizioni alle quali non può essere richiesta la sospensione delle rate; ha codificato in norma primaria le condizioni alle quali si accede ai benefici della sospensione e dell'intervento del Fondo, precedentemente recate dalle sole Pag. 27disposizioni di attuazione. Con decreto del 22 febbraio 2013, n. 37, il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato il nuovo Regolamento recante modifiche al decreto 21 giugno 2010, n. 132, concernente norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa. L'ammissione al beneficio, nel dettaglio, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi riferiti al beneficiario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo: a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato (ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, per raggiunti limiti di età con diritto alla pensione, di licenziamento per giusta causa e di dimissioni del lavoratore non per giusta causa); b) cessazione dei rapporti di lavoro di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione; c) morte o riconoscimento di handicap grave, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80 per cento. Rispetto alla normativa previgente, non è più ammissibile l'accesso al Fondo giustificato dal sostenimento di spese di spese mediche o di spese di ristrutturazione. L'accesso alle agevolazioni, inoltre, è subordinato al possesso di un reddito annuo non superiore ai 30 mila euro e per finanziamenti non eccedenti i 250.000 euro.
  Il comma 3 estende, a decorrere dall'anno 2014, la platea dei beneficiari del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa istituito dall'articolo 13, comma 3-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, già operativo per le giovani coppie coniugate o i nuclei familiari anche monogenitoriali con figli minori (con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato), ai giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all'articolo 1 della legge n. 92 del 2012. Dovrebbero intendersi così richiamate tutte le forme contrattuali atipiche previste dall'articolo 1 della legge 92 del 2012, vale a dire rapporto di lavoro a tempo determinato, accessorio, intermittente, a progetto e di somministrazione. L'estensione della platea di beneficiari viene stabilita attraverso l'aggiunta di un periodo al citato comma 3-bis dell'articolo 13 del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale precisa, altresì, che per tale finalità si applica la disciplina prevista dal decreto interministeriale di cui al precedente periodo, ossia il decreto che stabilisce i criteri di accesso al Fondo e le sue modalità di funzionamento. Un ulteriore periodo aggiunto al comma 3-bis dell'articolo 13 del decreto legge n. 112 del 2008 incrementa la dotazione del Fondo di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
  Al riguardo rammenta che i mutui ammissibili alla garanzia del Fondo non devono superare 200.000 euro. I mutuatari devono avere alla data di presentazione della domanda di mutuo i seguenti requisiti:
   età inferiore a 35 anni (anche per le coppie coniugate tale requisito deve essere soddisfatto da entrambi i componenti il nucleo familiare);
   reddito complessivo rilevato dall'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 35.000 euro e non più del 50 per cento del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF deve derivare da contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato;
   non essere proprietari di altri immobili ad uso abitativo, salvo quelli di cui il mutuatario abbia acquistato la proprietà per successione a causa di morte, anche in comunione con altro successore, e che siano in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli.

  L'immobile da acquistare per essere adibito ad abitazione principale non deve inoltre rientrare nelle categorie catastali A1, A8 e A9 (vale a dire, le abitazioni di pregio) e non deve avere una superficie superiore a 90 metri quadrati. Nella concessione della garanzia viene data priorità ai casi nei quali l'immobile sia situato in aree a forte tensione abitativa e non deve avere le caratteristiche di abitazione di lusso.Pag. 28
  Il comma 4 assegna una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 al Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge n. 431 del 1998.
  La norma provvede ad integrare le risorse del Fondo (destinate alla concessione di contributi integrativi a favore dei conduttori appartenenti alle fasce di reddito più basse per il pagamento dei canoni di locazione) per il quale, prima dell'emanazione del decreto-legge, non vi era alcuno stanziamento di bilancio per il triennio 2012-2014.
  Tale fondo era infatti stato inserito tra le possibili destinazioni previste dall'articolo 1, comma 270, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), istitutivo del Fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili con una dotazione di 16 milioni di euro. Tuttavia il successivo decreto di riparto del Fondo (D.P.C.M. 15 febbraio 2013) ha assegnato l'intero stanziamento in favore delle misure per favorire l'attività lavorativa dei detenuti.
  Il comma 5 interviene sulla questione della cosiddetta «morosità incolpevole» degli inquilini in difficoltà nel pagamento dell'affitto a causa di difficoltà temporanee, istituendo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, le cui risorse sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  In merito osserva come la norma non fissi criteri per il riparto del Fondo, ma si limiti a prevedere che le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei comuni ad alta tensione abitativa dove siano già stati attivati bandi per l'erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli.
  Il comma 6 introduce un'ulteriore proroga di tre anni del termine per il completamento dell'intervento di trasformazione edilizia, al fine di consentire alle imprese che hanno acquistato un bene immobile (terreno edificabile o edificato) situato in area compresa in piani urbanistici diretti all'attuazione di programmi di edilizia residenziale di usufruire dell'agevolazione dell'imposta di registro ridotta all'1 per cento.
  L'articolo 12 riduce il limite massimo di fruizione per la detraibilità dei premi di assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni a 630 euro per l'anno 2013 ed a 230 euro a decorrere dal 2014 a fronte di un limite pari a 1.291,14 euro previsto dalla legislazione vigente.
  In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 15 del Testo unico imposte sui redditi (TUIR) in materia di detrazioni per oneri. Il comma 1 del predetto articolo 15 prevede che dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento di alcuni oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, tra i quali, alla lettera f), sono inclusi i premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente non inferiore al 5 per cento, ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana se l'impresa di assicurazione non ha facoltà di recesso dal contratto, per un importo complessivamente non superiore a lire 2 milioni e 500 mila (pari a 1.291,14 euro). Per i percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilato, si tiene conto, ai fini del predetto limite, anche dei premi di assicurazione in relazione ai quali il datore di lavoro ha effettuato la detrazione in sede di ritenuta.
  La riduzione opera nelle seguenti misure:
   da 1.291,14 euro a 630 euro per il periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013;
   da 630 a 230 euro a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014.

  In deroga al principio di irretroattività delle norme che impongono un prelievo Pag. 29fiscale (sancito dall'articolo 3 della legge n. 212 del 2000 – statuto del contribuente), la disposizione si applica quindi anche per il periodo d'imposta in corso.
  Il comma 2 estende tali limiti anche ai contratti di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni stipulati o rinnovati entro il periodo d'imposta 2000.
  Ricorda, infatti, che il decreto legislativo n. 47 del 2000, recante la riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare e dei prodotti assicurativi vita, ha introdotto un nuovo sistema fiscale applicabile esclusivamente ai contratti stipulati o rinnovati a partire dal 1o gennaio 2001, mentre per i contratti sottoscritti entro il 31 dicembre 2000 continua ad essere applicata, per l'intera durata del contratto, la vecchia normativa. Questi ultimi fruiscono della detrazione d'imposta del 19 per cento per un importo complessivamente non superiore a 1.291,14 euro, ai sensi del citato articolo 15 del TUIR.
  Il regime fiscale introdotto con il decreto legislativo n. 47 del 2000, applicabile ai soli contratti stipulati dopo il 1o gennaio 2001, prevede invece che i per i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione aventi prevalente contenuto finanziario non è previsto alcun beneficio fiscale, in termini di detraibilità, in relazione ai premi versati.
  I premi per i contratti stipulati o rinnovati sino al 31 dicembre 2000 danno diritto alla detrazione IRPEF se riconducibili ad assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni. La detrazione è ammessa a condizione che il contratto abbia una durata non inferiore a 5 anni e non consenta la concessione di prestiti nel periodo di durata minima (5 anni). In presenza di tali due requisiti il diritto alla detrazione permane fino alla scadenza del contratto. Con la norma in esame anche a tali contratti è estesa la riduzione della detrazione spettante per il 2013 e dal 2014.
  L'articolo 14 estende l'ambito temporale di applicazione delle disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2006 che prevedono, per i soggetti condannati con sentenza di primo grado in giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, la facoltà di chiedere la definizione del procedimento con pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza.
  Le citate disposizioni, contenute nell'articolo 1, commi 231 e seguenti, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), hanno introdotto la definizione agevolata in sede di appello dei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per un ambito limitato di fattispecie. In particolare, tali norme consentivano al condannato di ottenere, unitamente alla chiusura del procedimento, una notevole riduzione della somma prevista dalla sentenza di primo grado (tra il 10 e 20 per cento e in misura non superiore al 30 per cento del danno), purché ne avanzassero richiesta in sede di impugnazione della stessa sentenza in appello.
  Sulla base delle citate disposizioni l'istituto della «definizione agevolata» è subordinato a specifiche condizioni:
   a) il giudizio riguarda fatti commessi antecedentemente al 1o gennaio 2006;
   b) su tali fatti è intervenuta una pronuncia di condanna in primo grado entro il 31 dicembre 2005.

  Le disposizioni appena richiamate spiegavano quindi retroattivamente i loro effetti, applicandosi solo ai giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti riguardanti fatti commessi antecedentemente al 1o gennaio 2006, data della loro entrata in vigore.
  Il comma 1 dell'articolo 14, invece, ne estende temporalmente l'applicazione, comprendendo i giudizi il cui oggetto è individuato facendo riferimento ad un duplice criterio:
   1) la condotta, purché iniziata prima della data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2006;
   2) il danno erariale provocato dalla condotta medesima, purché verificatosi entro la data di entrata in vigore del decreto-legge.

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  Poiché il secondo criterio prescinde dal dato temporale della condotta, per effetto della combinata efficacia di entrambi, la disposizione risulta avere un ambito di applicazione amplissimo, comprendendo sia condotte iniziate prima dell'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2006, sia condotte iniziate successivamente, purché abbiano prodotto un danno all'erario entro la data di entrata in vigore del decreto-legge.
  Ai sensi del comma 2 condizione di applicazione della definizione agevolata è la presentazione di apposita richiesta, nel termine, da ritenersi perentorio, di venti giorni precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013.
  Rileva come, mentre la disciplina prevista dalla legge finanziaria per il 2006 prescriveva che la richiesta fosse fatta in sede di impugnazione, la disposizione dell'articolo 14 stabilisca il termine ultimo in una data fissa.
  Per effetto della previsione del comma 2 l'istituto risulta dunque applicabile anche a giudizi per i quali sia già stato presentato appello, indipendentemente dallo stato del procedimento, poiché il termine dei venti giorni precedenti l'udienza di discussione può essere superato dalla data del 15 ottobre 2013.
  Inoltre, mentre la formulazione del comma 232 dell'articolo 1 della predetta legge n. 266 non adombra alcun potere valutativo del giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di definizione, che «delibera» sull'istanza, il comma 2 dell'articolo 14, con la locuzione «in caso di accoglimento» evidenzia la discrezionalità del giudice circa l’an dell'accoglimento dell'istanza.
  La formulazione adottata sia dal comma 2, sia dalla normativa della legge n. 266 delinea invece una discrezionalità del giudice sul quantum della definizione, i cui confini però sono stabiliti diversamente dalle due norme.
  Il comma 231 della citata legge n. 266 ha previsto che la richiesta di definizione del procedimento preveda un pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, e il successivo comma 232 ha disposto che la somma dovuta sia determinata dal giudice in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella stessa sentenza.
  Il comma 2 prevede che la richiesta di definizione indichi una somma non inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado e che il giudice determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta.
  Per effetto di tale formulazione viene meno il vincolo, posto dalla legge n. 266, per effetto del quale la determinazione del giudice non poteva superare il limite del 30 per cento di quanto stabilito in primo grado, essendo vincolata invece tale determinazione solo a non essere inferiore al 25 per cento della stessa somma.
  Per quanto riguarda i profili di rito la sezione d'appello delibera in camera di consiglio, con decreto da comunicare immediatamente alle parti, nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta.
  Il termine di versamento della somma non è oggetto di valutazione da parte del giudice, in quanto predeterminato dal comma 2 e, in caso di accoglimento, con decreto determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013.
  Poiché per la definizione del giudizio il comma 2 richiama il citato comma 233 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005, deve ritenersi che, come ivi previsto, il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello.
  La relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge afferma che il giudizio più rilevante cui sarebbe applicabile la disposizione in commento, sulla base delle informazioni fornite dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è quello relativo all'impugnazione, da parte dei concessionari per la gestione della rete telematica del gioco lecito, della Pag. 31sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, n. 214/2012, depositata in data 17 febbraio 2012.
  Si tratta della condanna al risarcimento per danno erariale per aver violato gli obblighi di servizio relativamente al mancato collegamento degli apparecchi da gioco alla apposita rete telematica. Dal dispositivo della sentenza risulta che i dieci concessionari sono stati condannati al risarcimento per un importo complessivo pari a 2.475.000.000 euro.
  La relazione tecnica evidenzia che «la definizione agevolata comporta un effetto finanziario positivo di circa 600 milioni di euro per il 2013».
  Tali effetti sono considerati dall'articolo 15, comma 3, a copertura degli oneri: infatti la lettera e) indica maggiori entrate pari 600 milioni per il 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione dell'articolo 14, che sono conseguentemente riportati nel prospetto relativo agli effetti finanziari del provvedimento.
  Considerato che il potere discrezionale del giudice sul quantum della somma da versare per la definizione del giudizio è limitato solo dalla previsione normativa della soglia minima sotto la quale la stessa somma non può essere fissata, l'effetto finanziario potrebbe essere superiore.
  Quanto alla qualificazione in termini positivi di tale effetto va tenuto presente che la sua valutazione va effettuata in relazione alla quantificazione del danno erariale accertato.
  In relazione alle norme di copertura recate dall'articolo 15, segnala il comma 4, ai sensi del quale il Ministero dell'economia e delle finanze effettua il monitoraggio sulle entrate derivanti dalla definizione agevolata del contenzioso di cui all'articolo 14 e dalle maggiori entrate IVA determinate dalle disposizioni in materia di pagamenti dei debiti degli enti locali di cui all'articolo 13. Qualora da tale monitoraggio emerga un andamento che non consenta il raggiungimento degli obiettivi di maggior gettito indicati, il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro il mese di novembre 2013, stabilisce l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise, in misura tale da assicurare il conseguimento dei predetti obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare nel 2014 per effetto dell'aumento degli acconti per l'anno 2013.
  Ricorda al riguardo che l'articolo 11 del decreto-legge n. 76 del 2013 ha incrementato dal 99 al 100 per cento la misura dell'acconto IRPEF dovuto a decorrere dall'anno 2013 ed ha innalzato dal 100 al 101 per cento, per il solo periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura dell'acconto IRES.

  Rocco PALESE (PdL), relatore per la V Commissione, preliminarmente esprime soddisfazione per il fatto che le Commissioni riunite abbiano chiesto alla Presidenza della Camera il differimento dell'avvio dell'esame del provvedimento in Assemblea dopo la conclusione dell'esame da parte della stessa della delega in materia fiscale. Evidenzia quindi la necessità di un coordinamento stabile in materia fiscale, rilevando in particolare come si rischi di avere una pressione fiscale a livello locale eccessiva, in mancanza di una corrispondente riduzione del prelievo fiscale erariale. Nell'osservare come il decreto-legge in esame sia necessario e rappresenti una precisa scelta programmatica presentata in campagna elettorale, in ragione dell'eccessivo inasprimento della pressione fiscale sulla casa, attuata con il decreto-legge n. 201 del 2011 emanato dal Governo Monti. Sottolinea come, a seguito dell'introduzione dell'IMU, si sia configurato un vero e proprio esproprio a danno dei proprietari delle case. Evidenzia inoltre come l'introduzione dell'IMU abbia avuto anche una notevole influenza sulla paralisi del mercato immobiliare e quindi un suo definitivo superamento servirebbe anche a far ripartire le compravendite. Evidenzia come si debbano definire al più presto anche le coperture finanziarie necessarie ad abolire anche la seconda rata dell'IMU dopo la soppressione della prima Pag. 32disposta dal decreto-legge in esame. Evidenzia come, oltre alle disposizioni sull'IMU, il provvedimento contenga anche altre importanti norme molto attese. Richiama in proposito il rifinanziamento della Cassa integrazione e l'aumento delle risorse per far fronte alla questione di cosiddetti esodati, nonché lo sblocco di ulteriori 7,2 miliardi di euro nel 2013 per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni e quelle recate dall'articolo 14, sulla definizione agevolata in appello dei giudizi in materia di responsabilità erariale. Con particolare riferimento a queste ultime disposizioni, evidenzia come le stesse siano destinate a trovare applicazione non solo nei confronti dei concessionari per la gestione della rete telematica del gioco lecito, ma anche nei confronti di altri soggetti che potrebbero beneficiare delle relative agevolazioni. Rileva quindi che gli effetti finanziari positivi derivanti dalla norma potrebbero essere maggiori rispetto a quelli attesi stimati dalla relazione tecnica allegata al provvedimento in 600 milioni di euro per l'anno 2013.
  Procede quindi all'illustrazione degli articoli 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15 e 16 del provvedimento.
  Al riguardo, fa presente che l'articolo 7 dispone l'erogazione ai comuni di un importo di 2,5 miliardi di euro, a titolo di anticipo – rispetto a quanto sarà stabilito con un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di prossima emanazione – su quanto spettante ai comuni medesimi a valere sul Fondo di solidarietà comunale istituito dalla legge di stabilità 2013. La disposizione fa riferimento all'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che ha modificato la previgente disciplina dell'imposta municipale propria, di cui al decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo municipale. In particolare, si prevede che, in aggiunta al primo acconto già erogato nel febbraio 2013, ne sia corrisposto uno ulteriore per complessivi 2.500 milioni di euro, ripartito tra i singoli comuni secondo quanto riportato nell'allegato 1 al decreto-legge. I comuni interessati sono tutti quelli delle regioni ordinarie, nonché quelli delle regioni Sicilia e Sardegna, come già previsto dal comma 380 (lettera e) della legge di stabilità 2013. Al riguardo, ricorda che il primo anticipo è stato erogato alla fine del mese di febbraio 2013, secondo quanto espressamente prescritto dall'articolo 1, comma 382, della legge n. 228 del 2012. Tale norma dispone, infatti, che entro il 28 febbraio 2013 il Ministero dell'interno eroghi ai comuni delle Regioni a statuto ordinario ed ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna un importo, a titolo di anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale. L'importo dell'attribuzione è pari, per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, al 20 per cento di quanto spettante per l'anno 2012 a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio e pari al 20 per cento, per ciascun comune della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, di quanto spettante per l'anno 2012 a titolo di trasferimenti erariali. L'importo complessivo di tale anticipo è stato pari a 1.566 milioni. Considerato che l'ammontare complessivo dell'anticipo in esame viene determinato espressamente in norma per 2.500 milioni, a differenza di quanto operato per il precedente anticipo corrisposto nel mese di febbraio, la cui quantificazione è stata effettuata invece sulla base dei suddetti specifici parametri dettati dall'articolo 1, comma 382, della legge n. 228 del 2012, potrebbero risultare opportuni chiarimenti circa i criteri seguiti per determinare l'ammontare medesimo, nonché, conseguentemente, per effettuarne la distribuzione tra i comuni interessati.
  Rileva che l'articolo 8 reca tre diversi interventi, con riferimento all'anno 2013, su alcune disposizioni che interessano gli enti locali, prorogando al 30 novembre 2013 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione per tale anno, stabilendo che per il 2013 le deliberazione e gli altri atti in materia di IMU acquistino efficacia a decorrere dalla data pubblicazione sul sito di ciascun comune ed, infine, differendo al 30 novembre 2013 il termine per la redazione della relazione di inizio Pag. 33mandato comunale e provinciale. In particolare, il comma 1 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013. Ricorda che il predetto termine, stabilito a regime dall'articolo 151 del testo unico degli enti locali al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno dell'anno ad opera dell'articolo 1, comma 381, della legge di stabilità 2013 e, successivamente, al 30 settembre del medesimo anno dall'articolo 10, comma 4-quater, del decreto-legge n. 35 del 2013. L'ulteriore proroga disposta dal comma 1 in commento deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative – ivi incluse quelle contenute nel decreto-legge in esame – finora intervenute in corso d'anno nella materia. Il successivo comma 2, in deroga a quanto previsto dall'articolo 13, comma 13-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, stabilisce che per l'anno 2013 le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria, acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune, anziché decorre dalla data di pubblicazione degli stessi nel Portale del federalismo fiscale di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 360 del 1998. Il comma 3 interviene in ordine all'istituto della relazione di inizio mandato per gli enti locali, prevista dall'articolo 4-bis al decreto legislativo n. 149 del 2011. Tale articolo ha istituito la relazione di inizio mandato comunale e provinciale, con la quale ciascun ente locale verifica la propria situazione patrimoniale e finanziaria e la misura dell'indebitamento. La relazione deve essere predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro novanta giorni dall'inizio del mandato; sulla base delle risultanze di tale relazione l'ente locale interessato può ricorrere, sussistendone i presupposti, alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti. In deroga a tale disposizione, il comma 3 in commento dispone che per gli enti locali il cui mandato consiliare sia iniziato successivamente al 31 maggio 2013, il termine per la redazione e la sottoscrizione della relazione sia differito al 30 novembre 2013.
  Segnala che l'articolo 9 reca alcune modifiche alla disciplina sull'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali recata dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, con riguardo in particolare ai tempi ed ai criteri concernenti la fase della sperimentazione del nuovo regime contabile. In particolare, l'articolo prolunga di un anno la durata della fase della sperimentazione del nuovo regime contabile e ne integra alcuni dei criteri già previsti. Dispone poi alcuni incentivi per gli enti che partecipano alla sperimentazione, con la previsione delle necessarie coperture finanziarie e, per le regioni in sperimentazione, prevede che esse concorrano agli obiettivi di finanza pubblica, utilizzando il criterio della competenza eurocompatibile, introdotto dalla legge di stabilità 2013.
  Ricorda che il decreto legislativo n.118 del 2011, emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, prevede all'articolo 36, ai fini di una corretta entrata a regime della nuova disciplina contabile per gli enti territoriali dallo stesso recata, una fase sperimentale biennale per gli anni 2012 e 2013, decorsa la quale il nuovo sistema avrebbe avuto applicazione. Il decreto legislativo dispone conseguentemente, all'articolo 38, che i nuovi principi in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi strumentali, con particolare riguardo all'adozione del bilancio di previsione annuale di competenza e cassa e della classificazione per missioni e programmi, si dovessero applicare a decorrere dal 2014. Il comma 1, quindi, modificando i citati articoli 36 e Pag. 3438, pospone di un anno entrambe tali scadenze, stabilendo alla lettera a), che la fase sperimentale avrà durata triennale e, conseguentemente, alla lettera b), che i nuovi principi contabili si applicheranno a decorrere dal 2015. La relazione illustrativa segnala come tale rinvio sia dovuto dalla complessità delle procedure di emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale, atteso che un apposito schema di decreto legislativo correttivo della disciplina della riforma contabile è già in avanzata fase di predisposizione. Il comma 2, invece, integra i contenuti della sperimentazione, in relazione all'ulteriore anno consentito dal comma 1, prevedendo che nel terzo anno siano sperimentate le più significative novità che dovranno essere recate dalla riforma, quali l'adozione del principio contabile applicato alla programmazione, un bilancio di previsione riferito ad un orizzonte temporale almeno triennale e l'istituzione, in luogo del vigente fondo svalutazione crediti, di un nuovo fondo denominato «Fondo crediti di dubbia esigibilità». Il comma 3 abroga l'articolo 12 del citato D.P.C.M. 28 dicembre 2011, che definisce e stabilisce le modalità di possibile utilizzo del risultato di amministrazione dell'esercizio finanziario annuale; l'abrogazione è disposta in considerazione dei nuovi contenuti stabiliti dal comma 2 dell'articolo 9 in commento per l'attività di sperimentazione, rispetto ai quali l'articolo 12 non risulta più coerente. I commi 4 e 5 attengono agli enti che partecipano alla sperimentazione. In particolare il comma 4 dispone che la sperimentazione possa essere estesa agli enti che ne facciano domanda entro il 30 settembre 2013, mentre il comma 5 stabilisce che la verifica del limite per il 2013 sulla spesa per il personale – limite posto dall'articolo 1, comma 557, della legge. n. 296 del 2006 possa essere riferito all'esercizio 2011; ciò, precisa la relazione illustrativa, al fine di evitare agli enti in sperimentazione effetti negativi (correlati al mancato rispetto dei parametri per tale categoria di spesa) derivante dal nuovo principio di competenza da adottarsi durante il periodo di sperimentazione. Il comma 6, modificando l'articolo 31, relativo al patto di stabilità interno) della legge di stabilità per il 2012, interviene in ordine ai criteri di virtuosità degli enti territoriali e introduce alcuni incentivi per i comuni che partecipazione alla sperimentazione. Le relazione illustrativa e tecnica allegate al decreto-legge precisano che il sistema di incentivazione degli enti che partecipano alla sperimentazione ha carattere oneroso, per complessivi 670 milioni nel 2014, 120 dei quali coperti a valere sull'apposito Fondo di cui al comma 5-bis, e 550 affidati, secondo quanto desumibile dal testo, ad una modifica dell'obiettivo del patto di stabilità interno degli enti locali non in sperimentazione. Obiettivo che, precisa la sola relazione illustrativa, andrebbe aumentato dell'1 per cento. In ordine al sopradescritto meccanismo, il cui impatto finanziario non è esposto in norma (tranne per la quota di oneri coperti sul Fondo di cui al comma 5-bis), considera opportuno un chiarimento, anche al fine di valutare l'idoneità – sia sotto il profilo contabile che per i profili ordinamentali – dello strumento costituito dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, cui viene affidato il compito di provvedere alla compensazione, a carico degli enti locali non in sperimentazione (vale a dire alla quasi totalità degli enti locali), degli oneri derivanti dall'incentivazione in favore degli enti sperimentatori. I commi 7 ed 8 prevedono agevolazioni per l'anno 2014 per gli enti che partecipano alla sperimentazione, disponendo: che gli enti locali nei quali l'incidenza delle spese di personale è inferiore al 50 per cento possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 50 per cento – anziché del 40 per cento come ora stabilito – della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente; che per i medesimi enti il limite della spesa per procedere ad assunzioni a tempo determinato o con altri contratti di natura flessibile, stabilito nel 50 per cento della spesa per le medesime finalità sostenuta nell'anno 2009 sia innalzata, per il 2014, nel limite del 60 per cento. Il comma 9, da Pag. 35ultimo, prevede che le regioni in sperimentazione concorrano agli obiettivi di finanza pubblica (vale a dire per quanto concerne il patto di stabilità per le regioni) in termini di competenza eurocompatibile, a norma dell'articolo 1, commi 499 e seguenti, della legge di stabilità 2013. Tali norme, nel definire gli obiettivi del patto di stabilità per gli anni 2013 e successivi, fissano un tetto alle spese complessive e introducono, al posto del precedente criteri della cassa, una diversa modalità di calcolo dell'insieme da considerare, definita competenza eurocompatibile (o saldo eurocompatibile). Le voci che costituiscono tale competenza sono: gli impegni di parte corrente al netto dei trasferimenti, delle spese per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente; i pagamenti per trasferimenti correnti, per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente; i pagamenti in conto capitale escluse le spese per concessione di crediti, per acquisto di titoli, di partecipazioni azionarie e per conferimenti.
  Osserva che l'articolo 10 detta norme volte al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e all'interpretazione della disposizione relativa all'utilizzo delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello. In particolare, il comma 1 dispone il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga previsti dall'articolo 2, commi da 64 a 66, della legge n. 92 del 2012 (legge di riforma del mercato del lavoro, cosiddetta Legge Fornero) attraverso un incremento, per l'anno 2013, di 500 milioni di euro del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, mantenendo ferme le risorse già destinate alla medesima finalità dall'articolo 1, comma 253, della legge n. 228 del 2012 (Legge di stabilità 2013). Il medesimo comma 1 prevede, altresì, che l'incremento di 500 milioni di euro del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione debba ripartirsi tra le regioni, tenendo conto delle risorse che devono essere destinate, per le medesime finalità, alle regioni che possono procedere al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione, sulla base di quanto disposto dal citato articolo 1, comma 253, della legge n. 228 del 2012. Il comma 2 introduce una disposizione interpretativa circa l'utilizzo delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello. Più precisamente, si stabilisce che a decorrere dal 2014 le risorse del suddetto Fondo, istituito dall'articolo 1, comma 67, della legge n. 247 del 2007, sono utilizzate per il riconoscimento del relativo beneficio contributivo con riferimento alle quote di retribuzione, così come individuate dal medesimo comma 67, corrisposte nell'anno precedente. In sostanza, la norma sembra precisare che la retribuzione cui far riferimento ai fini dell'erogazione del beneficio sia la cosiddetta retribuzione contrattuale annua. In merito, ricorda che l'ISTAT definisce tale retribuzione come la «retribuzione annua ricalcolata, con riferimento agli stessi elementi di cui si tiene conto mensilmente nell'indice delle retribuzioni contrattuali, con l'inclusione degli importi erogati a titolo di arretrati e/o una tantum».
  Segnala che l'articolo 11 contiene disposizioni in favore dei cosiddetti lavoratori esodati nei limiti di 6.500 soggetti e nel limite massimo delle risorse appositamente stanziate dal provvedimento. In particolare, il comma 1 prevede che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, applicabili anche ai soggetti che maturino i requisiti entro il 31 dicembre 2011, a condizione che rispettino le condizioni previste dall'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n. 216 del 2011, trovino applicazione anche nei confronti dei lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro medesimo. La disposizione prevede, altresì, che restino in ogni caso ferme le seguenti condizioni per Pag. 36l'accesso al beneficio dell'anticipo del pensionamento da parte dei soggetti interessati che: abbiano conseguito successivamente alla data di cessazione, che comunque non può essere anteriore al 1o gennaio 2009 e successiva al 31 dicembre 2011, un reddito annuo lordo complessivo riferito a qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, non superiore a euro 7.500 (lettera a); risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla disciplina pensionistica vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n.201 del 2011 (cioè il 6 dicembre 2011) avrebbero comportato la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del richiamato decreto (lettera b). Il comma 2 dispone che il beneficio è riconosciuto nel limite di 6.500 soggetti e nel limite massimo delle risorse appositamente stanziate, vale a dire 151 milioni di euro per il 2014, 164 milioni di euro per il 2015, 124 milioni di euro per il 2016, 85 milioni di euro per il 2017, 47 milioni di euro per il 2018 e 12 milioni di euro per il 2019. Ai fini della presentazione delle istanze da parte dei lavoratori, si applicano le procedure relative alla tipologia dei lavoratori di cui all'articolo 6, comma 2-ter, del richiamato decreto, come definite dal Decreto Ministeriale. 1o giugno 2012 e dal Decreto Ministeriale. 22 aprile 2013, con particolare riguardo alla circostanza che la data di cessazione debba risultare da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie alle Direzioni Territoriali del lavoro, ovvero agli altri soggetti equipollenti-individuati da disposizioni legislative o regolamentari, nonché alla procedure di presentazione delle istanze alle competenti Direzioni Territoriali del lavoro, di esame delle medesime e di trasmissione delle stesse all'INPS.
  Al riguardo, osserva che la formulazione della norma non appare chiara in merito all'individuazione dei soggetti equipollenti e della relativa normativa. L'INPS ha inoltre l'obbligo di provvedere al monitoraggio delle domande di pensionamento; qualora dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico delle domande di pensione, l'INPS non prende in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici in precedenza previsti. Secondo quanto contenuto nella relazione tecnica allegata, la consistenza del limite massimo numerico nonché il profilo dei limiti di spesa annui sono stati determinati sulla base dei dati amministrativi INPS e tenuto conto che, stante i tempi e le procedure amministrative, le nuove pensioni così determinate dalle disposizioni in esame inizieranno a manifestare gli effetti di onerosità dall'inizio del 2014 nonché con un'ulteriore «coda» nel corso del 2015. Il comma 3, infine, dispone che i risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di cui all'articolo 24, comma 18, del decreto-legge n. 201 del 2011, debbano confluire nel Fondo istituito dall'articolo 1, comma 235, primo periodo, della legge n. 228 del 2012, per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia per i lavoratori, finalizzate all'applicazione delle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del più volte citato decreto, ancorché gli stessi abbiano maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011. Lo stesso comma, inoltre, apporta alcune modifiche al richiamato articolo 1, comma 235, della legge 228 del 2012. Più specificamente, si precisa che in sede di monitoraggio dell'attuazione dei decreti attuativi dei provvedimenti richiamati, effettuato allo scopo di accertate eventuali economie destinate al finanziamento del Fondo per gli esodati di cui all'articolo 1, comma 235, della legge citata, deve tenersi conto anche delle modifiche apportate all'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n. 216 del 2011, dal precedente comma 1 dell'articolo in esame (lettera a). Vengono, inoltre, innalzati i massimali delle risorse destinate al Fondo per gli esodati per gli anni 2014-2019, con i seguenti nuovi importi: 1.110 milioni di euro (invece di 959) per il 2014; Pag. 371.929 milioni di euro (invece di 1.765) per il 2015; 2.501 milioni di euro (invece di 2.377) per il 2016; 2.341 milioni di euro (invece di 2.256) per il 2017; 1.527 milioni di euro (invece di 1.480) per il 2018, 595 milioni di euro (invece di 583) per il 2019 (lettera b). Ricorda, infine, che sono attualmente all'esame dell'XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati una serie di provvedimenti (C. 224, C. 387, C. 727, C. 946 C. 1014, C. 1045 e C. 1336), che intervengono sulla questione dei cosiddetti esodati.
  Ricorda che l'articolo 13 interviene in materia di pagamenti dei debiti degli enti territoriali, rideterminando le risorse del relativo Fondo per assicurare liquidità per i pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili, stanziate dal decreto-legge n. 35 del 2013 per far fronte agli interventi in esso previsti: il Fondo viene, in particolare, incrementato di 7,2 miliardi per il 2013 e contestualmente ridotto del medesimo importo per il 2014. Nel contempo, per far fronte a pagamenti ulteriori rispetto a quelli soddisfatti con il decreto-legge n. 35 del 2013 – la norma incrementa il predetto Fondo di 7,2 miliardi di euro per il 2014. Vengono altresì dettate disposizioni volte a consentire la concessione di ulteriori anticipazioni per il pagamento dei debiti sanitari da parte delle regioni, rispetto a quanto già previsto nel decreto-legge n. 35 del 2013, a valere sulle somme spettanti alle stesse a titolo definitivo. Fa presente, in particolare, che il comma 1 dell'articolo 13 ridetermina la dotazione del Fondo per assicurare liquidità per pagamenti certi liquidi ed esigibili degli enti territoriali, istituito dall'articolo 1, comma 10, del decreto-legge n. 35 del 2012 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze, incrementandolo di 7.218,6 milioni di euro per l'anno 2013 e contestualmente riducendolo del medesimo importo per l'anno 2014. Inoltre, il comma interviene sulla tempistica delle anticipazioni effettuate a valere sull'accantonamento del 10 per cento della dotazione della Sezione del Fondo per debiti non sanitari di regioni e province autonome, disponendone lo slittamento al 2014. A tale fine, la norma dispone l'integrale sostituzione del citato comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013. In particolare, il comma 1 in esame, per le tre Sezioni in cui il Fondo è articolato, incrementa di 1.611 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014 lo stanziamento della Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali, incrementa di 3.102,5 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014, le risorse della Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari e incrementa di 2.505,2 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014, le risorse della Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. Osserva quindi che il successivo comma 8 incrementa di 7.218,6 milioni di euro per il 2014 la dotazione complessiva del Fondo, ma finalizza tali risorse «ad ulteriori pagamenti» da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine. Come afferma la relazione tecnica, tale incremento è finalizzato a far fronte a pagamenti ulteriori rispetto a quelli soddisfatti con il richiamato decreto-legge n. 35 del 2013, le cui risorse sono invece oggetto di rimodulazione da parte del comma 1. Fa presente che il comma 1 conferma quanto già previsto circa la possibilità di effettuare variazioni compensative, in termini di competenza e di cassa, tra le dotazioni delle relative sezioni del Fondo, ma elimina l'obbligo di comunicazione alla Corte dei Conti del relativo decreto del Ministro del'economia e delle finanze, il quale ora è comunicato solo al Parlamento. Infine, il comma interviene sulla tempistica delle anticipazioni di liquidità effettuate a valere sull'accantonamento del 10 per cento della dotazione della Sezione del Fondo per debiti non Pag. 38sanitari di regioni e province autonome, disponendone l'integrale slittamento al 2014, stabilendo che l'accantonamento del 10 per cento della dotazione complessiva della predetta Sezione è destinato, unitamente alle disponibilità non erogate in prima istanza alla data del 31 dicembre 2013, ad anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti non sanitari richieste in data successiva al 30 aprile 2013 e, comunque, non oltre il 28 febbraio 2014. Le anticipazioni così richieste dovranno essere erogate non più entro il 31 ottobre, ma entro il 31 marzo 2014. Osserva quindi che il comma 2 dispone che l'anticipazione concessa dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. ai sensi del comma 13 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013, può essere erogata a saldo, nell'anno 2013, su richiesta dell'ente locale beneficiario. La relazione tecnica specifica che con tale comma si prevede l'anticipazione dell'erogazione delle somme concesse dalla Cassa depositi e prestiti agli enti locali che hanno provveduto a sottoscrivere i contratti di mutuo di cui al comma 13 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013, per un importo pari a 1,611 miliardi. Segnala che il comma 2 prevede inoltre che i criteri e le modalità di accesso all'erogazione sono definiti sulla base dell'Addendum firmato tra Ministero dell'economia e finanze e Cassa depositi e prestiti in data 12 aprile 2013, nonché sulla base di un atto, il cui schema deve essere approvato con decreto del Direttore generale del tesoro e pubblicato sui siti internet del Ministero dell'economia e delle finanze e di Cassa depositi e prestiti, modificativo del contratto di anticipazione originariamente stipulato tra le parti. Il comma 3, inoltre, prevede che l'erogazione di cui al comma 2 è restituita con le modalità di restituzione già disciplinate nel sopra citato comma 13, dell'articolo 1, del decreto-legge n. 35 del 2013, mediante rate annuali, da corrispondersi a partire dall'anno 2015. Il tasso di interesse da applicare é pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a 5 anni in corso di emissione rilevato dal Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro, alla data del 31 agosto 2013 e pubblicato sul sito internet dello stesso Ministero. Il pagamento della prima rata, comprensivo degli interessi per un'annualità, sarà effettuato il 1o febbraio 2015, in deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, il quale dispone che – ai fini dell'ammortamento delle anticipazioni di liquidità – la prima rata decorre dall'anno successivo a quello di sottoscrizione del contratto. Osserva quindi che il comma 4 dispone che, su richiesta delle Regioni interessate, può essere erogata nell'anno 2013 l'anticipazione di liquidità per l'anno 2014 ad esse concessa dal decreto ministeriale del 14 maggio 2013. La relazione tecnica evidenzia che tale anticipazione è pari a 3,355 miliardi di euro, ma l'erogazione netta a favore delle regioni nell'anno 2013 sarà di 3,102 miliardi di euro, importo che corrisponde all'incremento per il 2013 delle risorse della Sezione Regioni del Fondo del Fondo anticipazioni liquidità, disposta dal comma 1. Infatti – sulla base della modifica operata dal comma 1 dell'articolo in esame al comma 10, ultimo periodo, dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013 – l'erogazione dell'accantonamento, pari a 252,8 milioni di euro – corrispondenti al 10 per cento delle risorse della Sezione regioni del Fondo anticipazioni liquidità per l'anno 2013 – slitta all'anno 2014. Ricorda che anche per le Regioni si dispone, in deroga al già citato comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, che il pagamento della prima rata di restituzione delle anticipazioni ricevute, comprensivo degli interessi per un'annualità, sarà effettuato il 1o febbraio 2015. Segnala quindi che il comma 5 mantiene fermo quanto disposto dal comma 14 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013, il quale dispone che l'ente locale provveda all'estinzione dei debiti indicati dal comma 13, immediatamente all'atto di ciascuna erogazione dell'anticipazione ed in ogni caso entro i successivi trenta giorni. L'ente interessato è altresì tenuto a fornire a Cassa depositi formale certificazione, rilasciata dal responsabile finanziario dell'ente, ovvero da altra persona Pag. 39formalmente indicata dall'Ente, dell'avvenuto pagamento e dell'effettuazione delle relative registrazioni contabili. I commi 6 e 7 recano disposizioni in materia di accesso anticipato alle regioni a quota parte delle risorse da assegnare con il procedimento disciplinato dall'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 35 del 2013, che concede anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. In merito al contenuto del comma 6, fa presente che le regioni possono presentare domanda di accesso anticipato a quota parte delle risorse da assegnarsi con il procedimento di cui al citato comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 35 del 2013, entro e non oltre il 15 settembre 2013. A tal fine le regioni interessate devono assicurare: idonee e congrue misure, anche legislative, di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità, prioritariamente volte alla riduzione della spesa corrente, così come individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 3, comma 5, lettera a), del decreto-legge n. 35 del 2013; la presentazione di un ulteriore piano dei pagamenti relativo ai debiti certi, liquidi ed esigibili cumulati alla data del 31 dicembre 2012 non ricompresi nel piano dei pagamenti predisposto ai sensi dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del medesimo decreto-legge. Resta fermo che il piano dei pagamenti può comprendere debiti certi, sorti entro il 31 dicembre 2012, intendendosi sorti i debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, ai sensi di quanto disposto dal secondo periodo dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 35 del 2013; il pagamento entro il 31 dicembre 2013 dei debiti inseriti nel piano dei pagamenti di cui alla lettera b) del presente comma. Segnala inoltre che il comma 7 dispone che la documentazione necessaria deve essere presentata dalle regioni entro il 10 ottobre 2013 e sarà verificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali in tempo utile a consentire la stipula dei contratti di prestito entro il 20 ottobre 2013. Anche per tali tipologie di anticipazioni, si dispone in deroga a quanto previsto dal già citato comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, che il pagamento della prima rata di restituzione del prestito, comprensivo degli interessi per una annualità, sarà effettuato il 1o febbraio 2015. Il comma 8 incrementa di 7.218,6 milioni di euro la dotazione per il 2014 del Fondo per assicurare liquidità per pagamenti certi liquidi ed esigibili degli enti territoriali, istituito dall'articolo 1, comma 10, del decreto-legge n. 35 del 2013. L'incremento è finalizzato – per espressa previsione della norma – a far fronte ad ulteriori pagamenti da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine. Dunque, come specifica la relazione tecnica, l'incremento è finalizzato a far fronte a ulteriori pagamenti rispetto a quelli soddisfatti dall'originario decreto-legge n. 35 del 2013. Il comma 9 rinvia ad un apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottarsi, d'intesa con la Conferenza Unificata, entro il 28 febbraio 2014, la definizione della distribuzione dell'incremento tra le tre Sezioni del Fondo e dei criteri, dei tempi e delle modalità per la concessione alle Regioni e agli enti locali delle relative risorse, che dovrà avvenire conformemente alle procedure di cui agli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge n. 35 del 2013. Rileva infine – come ribadito nella Relazione al Parlamento presentata dal Governo in data 3 settembre 2013 – che le maggiori anticipazioni di liquidità disposte dai commi 1 -7 sono suscettibili di determinare impatti positivi sulle previsioni di crescita del PIL, stimati dalla predetta Relazione in + 0,1 per cento nel 2013, + 0,28 per cento nel 2014 e + 0,03 nel 2015.
  Evidenzia che l'articolo 15, ai commi 1 e 2, autorizza maggiori emissioni di titoli di Stato per l'anno 2013, rispetto ai limiti massimi fissati dalla legge di bilancio per il 2013, al fine di reperire le risorse Pag. 40necessarie ad assicurare la liquidità alle regioni e agli enti locali per l'attuazione degli interventi disposti dall'articolo 13 del provvedimento. I successivi commi da 3 a 6 recano le norma di copertura finanziaria degli oneri recati dalle altre norme del provvedimento, ad esclusione dell'articolo 9, comma 6, per il quale è prevista una apposita norma di copertura. In particolare, il comma 1 dell'articolo in esame autorizza l'emissione di titoli di Stato per un importo massimo di 8.000 milioni di euro per l'anno 2013, al fine di reperire le risorse necessarie ad assicurare alle regioni e agli enti locali maggiore liquidità per pagamenti aggiuntivi di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31 dicembre 2012 da effettuarsi nell'anno 2013 – per ulteriori 7,2 miliardi di euro rispetto a quanto previsto originariamente dal decreto-legge n. 35 del 2013 – secondo quanto disposto dall'articolo 13 del provvedimento. L'autorizzazione a maggiori emissioni, per un importo fino a 8 miliardi di euro, comporta, di conseguenza, una rideterminazione in aumento del limite massimo di emissione di titoli di Stato, stabilito dalla legge di approvazione del bilancio 2013 (legge n. 229 del 2012), nonché del livello massimo del ricorso al mercato, stabilito dalla legge di stabilità 2013, come rideterminati dall'articolo 12, comma 1, del decreto-legge n. 35 del 2013. Per poter procedere all'attuazione delle disposizioni dell'articolo 13 del decreto legge in esame, nelle more dell'emissione dei suddetti titoli di stato, il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio e, ove necessario, a disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione andrà effettuata entro la conclusione dell'esercizio in cui sono erogate le anticipazioni. L'aumento dell'anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti delle Amministrazioni locali (7,2 miliardi di euro) determina, inoltre, un aumento di pari importo anche del saldo netto da finanziare, rispetto al limite massimo definito nella legge di stabilità 2013. Il comma 3 reca le norma di copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento nel suo complesso – ivi compresi gli oneri derivanti dalle emissioni dei titoli pubblici di cui ai commi precedenti, ad esclusione dell'articolo 9, comma 6, per il quale è prevista una apposita norma di copertura. Gli oneri sono complessivamente quantificati pari a 2.934,4 milioni di euro per l'anno 2013, a 553,3 milioni di euro per l'anno 2014, a 617,1 milioni di euro per l'anno 2015 e a 486,1 milioni di euro a decorrere dal 2016. A tali oneri si provvede quanto a 300 milioni di euro per l'anno 2013, mediante riduzione delle disponibilità, di competenza e di cassa, degli stanziamenti relativi alle spese per consumi intermedi e investimenti fissi lordi, così ripartiti tra i Ministeri, secondo quanto indicato nell'allegato 2 al decreto in esame. Nella tabella che segue sono indicati gli importi di riduzione disposti per singolo Ministero – con eccezione dei Ministeri dell'istruzione e dei beni e attività culturali – e le conseguenti residue disponibilità di bilancio per l'anno 2013, al netto di impegni ed accantonamenti. La norma prevede, inoltre, che per effettive, motivate e documentate esigenze, su proposta delle Amministrazioni interessate, possono essere disposte variazioni compensative, nell'ambito di ciascuna categoria di spesa, tra i capitoli interessati dalle riduzioni, purché sia garantita l'invarianza degli effetti sull'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni; quanto a 675,8 milioni di euro per l'anno 2013 mediante riduzione delle autorizzazioni di spesa elencate nell'allegato 3, secondo gli importi ivi indicati. Nella tabella 1, riportata in fondo alla scheda, sono indicati gli importi di riduzione per ciascuna autorizzazione di spesa e la residua disponibilità di bilancio per l'anno 2013, al netto di impegni ed accantonamenti; quanto a 250 milioni euro per l'anno 2013, mediante riduzione del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, di cui all'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 247; quanto a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione Pag. 41dell'autorizzazione di spesa prevista per l'anno 2014 dall'articolo 1, comma 184, della legge n. 228 del 2012 relativa alla realizzazione del sistema MO.S.E., e per 100 milioni di euro per l'anno 2015 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 7-ter, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, relativa al finanziamento della rete infrastrutturale ferroviaria nazionale per la prosecuzione dei lavori relativi al Terzo Valico dei Giovi e per il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona; quanto a 600 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla definizione agevolata dei contenziosi, in applicazione dell'articolo 14; quanto a 925 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate per IVA derivanti dalle disposizioni recate dall'articolo 13; quanto a 300 milioni di euro, per l'anno 2013, mediante il versamento di analogo importo all'entrata del bilancio dello Stato, a valere sulle disponibilità dei conti bancari di gestione riferiti alle diverse componenti tariffarie intestati alla Cassa conguaglio settore elettrico. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con apposita delibera, provvede ad imputare la suddetta somma a riduzione delle disponibilità dei predetti conti, assicurando l'assenza di incrementi tariffari; per la restante quota parte per gli anni 2014-2016, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 12, relativo alla minore detrazione dei premi assicurativi sulla vita e contro gli infortuni, pari a 458,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016. Ricorda che il comma 4 reca una clausola di salvaguardia finanziaria relativamente al gettito atteso dall'IVA e dalla definizione agevolata dei contenziosi, che forniscono copertura finanziaria agli oneri derivanti dal provvedimento. In particolare, la norma prevede un monitoraggio da parte del Ministero dell'economia e delle finanze sull'andamento delle suddette entrate derivanti dalla definizione agevolata dei contenziosi e delle maggiori entrate IVA derivanti dai pagamenti dei debiti degli enti locali. Qualora dal monitoraggio emerga un gettito inferiore a quello necessario a garantire la copertura finanziaria del provvedimento in esame, il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il mese di novembre 2013, stabilisce con proprio decreto l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, in misura tale da assicurare il conseguimento degli obiettivi di maggior gettito anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare nel 2014 per effetto dell'aumento degli acconti per l'anno 2013. Osserva in proposito che si potrebbe valutare l'opportunità di integrare la disposizione, prevedendo che, prima dell'eventuale adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, il Governo trasmetta al Parlamento un'apposita relazione che renda conto dello scostamento verificatosi rispetto alle risorse destinate alla copertura finanziaria e indichi i parametri che saranno utilizzati ai fini della concreta definizione delle misure fiscali da adottare per effetto dell'attivazione della clausola di salvaguardia. Segnala, inoltre, che il comma 5, in coerenza con quanto stabilito dai commi 1 e 2, sostituisce l'allegato 1 all'articolo 1, comma 1, della legge di stabilità 2013 – come già precedentemente sostituito dall'articolo 12, comma 8, del decreto-legge n. 35 del 2013 – che fissa i livelli massimi del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato, in termini di competenza, per il triennio 2013-2015, con l'Allegato 4 del presente decreto-legge. Il comma 6 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
  Ricordando che l'articolo 16 disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge, rinvia infine, per quanto riguarda i profili attinenti alla quantificazione degli oneri e alla relativa copertura finanziaria, alla documentazione predisposta dagli Uffici.
  Ribadisce, infine, come il provvedimento in esame dal contenuto, complesso Pag. 42ed articolato, sia necessario allo scopo di assicurare il coordinamento della finanza centrale con quella locale, anche al fine del rispetto dei vincoli europei. Auspica quindi un positivo contributo del Parlamento alla conversione del decreto-legge, anche grazie alle attività conoscitive che saranno svolte dalle Commissioni.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, rinvia ad altra seduta il seguito dell'esame, ricordando che il ciclo di audizioni previsto ai fini dell'istruttoria legislativa sul provvedimento inizierà nella mattinata di domani.

  La seduta termina alle 15.45.