CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 15 novembre 2017
910.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione. Atto n. 465.

PARERE APPROVATO

  La II Commissione,
   esaminato il provvedimento in oggetto;
   premesso che:
    lo schema di decreto legislativo in discussione è volto ad attuare la delega contenuta nell'articolo 1, commi 82, 83, 84, lettere f), g), h), i), l) e m), della legge n. 103 del 2017, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario»;
    in particolare, il comma 82 di tale articolo ha delegato il Governo ad adottare, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dal successivo comma 84, decreti legislativi diretti a riformare la disciplina delle impugnazioni nel processo penale;
    il predetto comma 84, nell'individuare i principi e criteri direttivi per la riforma del processo penale in materia di giudizi di impugnazione, dispone che il Governo deve: prevedere la ricorribilità per Cassazione soltanto per violazione di legge delle sentenze emesse in appello dal giudice di pace (lett. f); prevedere che l'appello del PG presso la corte di appello possa avvenire soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado (lett. g); intervenire sulla legittimazione all'appello del PM, per consentirgli di appellare la sentenza di proscioglimento nonché la sentenza di condanna solo quando abbia modificato il titolo del reato o abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o abbia stabilito una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (lett. h); intervenire sulla legittimazione all'appello dell'imputato, per negargli sia la possibilità di appellare le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento quando siano pronunciate con le formule: «il fatto non sussiste» o «l'imputato non lo ha commesso» (lett. i);
    il provvedimento si avvale, compatibilmente con i criteri direttivi previsti dalla legge delega, dei lavori di una apposita commissione ministeriale istituita con decreto del Ministro della giustizia del 9 dicembre 2015, perseguendo l'obiettivo di razionalizzare le attività giudiziarie connesse alle impugnazioni e di deflazionare, conseguentemente, il carico da cui sono gravati gli uffici giudiziari;
    in tale prospettiva, sono introdotte misure dirette a semplificare i procedimenti in appello e in Cassazione, in modo da rendere complessivamente più efficiente il sistema delle impugnazioni penali, eliminandone gli attuali aspetti di criticità;
    come si evince chiaramente dalla relazione illustrativa del provvedimento, la riforma in discussione razionalizza l'esercizio del potere di impugnazione sia della pubblica accusa, sia dell'imputato, «in modo da calibrare equamente il sacrificio in termini di accesso all'impugnazione»;
    in conformità ai criteri direttivi stabiliti dalla legge delega, viene quindi ridotta l'area della legittimazione all'appello per entrambe le parti del procedimento, il pubblico ministero e l'imputato;Pag. 48
    l'obiettivo di riduzione dell'area dell'appellabilità, come sottolineato nella relazione illustrativa, è conseguito attraverso interventi volti ad accentuare e a valorizzare il ruolo di «parte» della pubblica accusa, quale antagonista processuale dell'imputato;
   rilevato che:
    in particolare, l'articolo 2, comma 1, dello schema di decreto legislativo, nel novellare l'articolo 593 del codice di procedura penale (Casi di appello), stabilisce che l'imputato può appellare contro le sentenze di condanna, mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo « quando modificano il titolo di reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una specie di pena diversa da quella ordinaria del reato» (articolo 1, comma 84, lettera h) della legge delega);
    il novellato articolo 593 stabilisce altresì che il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento. L'imputato può appellare conto le medesime sentenze emesse al termine del dibattimento «salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso» (articolo 1, comma 84, lettera i) della legge delega);
    in tali ultime ipotesi, vero è che l'imputato potrebbe conservare un eventuale interesse ad impugnare le sentenze di proscioglimento, quando l'assoluzione, che non sia conseguente all'accertamento che «il fatto non sussiste» o «l'imputato non lo ha commesso», non spieghi gli effetti di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno (articolo 652 del codice di procedura penale);
    l'obiettivo del legislatore delegato, tuttavia, in via del tutto speculare alla riduzione della legittimazione all'impugnazione del pubblico ministero, è, ancora una volta, quello di ridurre l'area della legittimazione a appellare dell'imputato stesso, pur a fronte di un suo interesse ad impugnare sentenze di proscioglimento pronunciate con formula dubitativa;
    diversamente, ove si effettuasse la scelta di far coincidere, per l'imputato, l'area dell’«interesse» con quella della «legittimazione» all'impugnazione, il sistema risulterebbe del tutto sbilanciato in danno del pubblico ministero, cui è preclusa, invece, dal novellato articolo 593 del codice di procedura penale, la possibilità di appellare le sentenze di condanna;
   considerato che:
    l'articolo 1, comma 1, dello schema di decreto legislativo, attraverso l'introduzione di un comma 4-bis nell'articolo 568 del codice di procedura penale, modifica le regole generali in materia di impugnazione, prevedendo che «il pubblico ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all'imputato solo con ricorso per cassazione»;
    anche tale disposizione si colloca nell'ottica di accentuare il ruolo di «parte» del pubblico ministero: in assenza del nuovo comma 4-bis dell'articolo 568 del codice di procedura penale, la pubblica accusa potrebbe, infatti, impugnare le sentenze di proscioglimento al solo scopo di ottenere una formula più favorevole all'imputato («se il fatto non sussiste» o «l'imputato non lo ha commesso»), tradendo inequivocabilmente la ratio propria della legge delega, che – si ribadisce – è quella di ridurre l'area della legittimazione all'impugnazione entro un ’ottica di deflazione processuale e di rafforzamento del ruolo di parte;
    d'altro canto, sarebbe del tutto irragionevole prevedere, senza alcun limite, una legittimazione del pubblico ministero all'impugnativa delle sentenze di proscioglimento, riducendo, invece, in capo al medesimo, l'area di legittimazione all'impugnazione delle sentenze di condanna, che viene circoscritta ai soli casi indicati dal nuovo articolo 593, comma 1, del codice di procedura penale (modifica del titolo di reato, esclusione della sussistenza Pag. 49di una circostanza aggravante ad effetto speciale, applicazione di una specie di pena diversa da quella ordinaria);
    la relazione illustrativa chiarisce, in ogni caso, che il ruolo di «parte pubblica» del pubblico ministero non è, tuttavia, compresso: la legittimazione al ricorso per cassazione non è, infatti, oggetto di modifiche, essendo tale strumento utilizzabile dal pubblico ministero « anche in funzione diversa da quella propria di parte processuale esclusivamente antagonista dell'imputato»;
   osservato che:
    l'articolo 3, comma 1, dello schema di decreto legislativo in esame, in attuazione del criterio direttivo di cui all'articolo 1, comma 84, lettera g), della legge delega, razionalizza ulteriormente l'esercizio del potere della pubblica accusa, circoscrivendo l'appello del procuratore generale ai soli casi di acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica o di avocazione;
    al fine di ridurre gli appelli e di alleggerire il carico processuale, è inoltre estesa l'inappellabilità, già stabilita per le sentenze di condanna alla sola ammenda, anche alle sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la pena dell'ammenda o con pena alternativa (articolo 2);
    con particolare riferimento alla riforma delle impugnazioni dei provvedimenti aventi ad oggetto reati di competenza del giudice di pace, è prevista la ricorribilità per cassazione soltanto per violazione di legge delle sentenze emesse in grado di appello, proponendosi il legislatore delegato l'obiettivo di ridurre il numero di impugnazioni per tale tipologia di reati, ottimizzando il relativo sistema (articolo 5). In via di stretta correlazione, si attribuisce al Procuratore Generale presso la Corte di appello la competenza a ricorrere per cassazione soltanto per violazione di legge avverso le sentenze pronunciate in appello per reati di competenza del giudice di pace (articolo 9);
   osservato altresì che:
    l'articolo 4 del provvedimento, nel modificare la disciplina contenuta nell'articolo 595 del codice di procedura penale, limita al solo imputato la possibilità di proporre appello incidentale entro 15 giorni, decorrenti da quello in cui ha ricevuto la notificazione dell'atto di impugnazione (comma 1), conservando l'attuale previsione che confina, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, la proponibilità dell'incidentale ai soli casi in cui la parte, ora l'imputato, è legittimato all'impugnazione principale. Entro 15 giorni dalla notificazione dell'impugnazione presentata dalle altre parti, l'imputato può presentare al giudice mediante deposito in cancelleria, memorie e richieste scritte;
    tale previsione è motivata nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo con l'interesse dell'imputato «non legittimato all'appello o che non via abbia interesse» a rappresentare al giudice del gravame «l'esistenza in atti di dati probatori favorevoli ma che, magari, non sono stati presi in esame dal giudice di prime cure, giunto alla pronuncia favorevole valorizzando altro materiale di prova»;
    la predetta facoltà è comunque prevista in ogni stato e grado del procedimento dall'articolo 121 del codice di procedura penale. Il termine di 15 giorni è stato introdotto per permettere una ordinata scansione temporale dell'analisi del materiale probatorio di appello, essendo possibile il deposito di memorie e richieste anche successivamente a tale scadenza;
    la scelta del legislatore delegato di prevedere la proponibilità dell'appello incidentale esclusivamente da parte dell'imputato risponde ad una precisa finalità: quella di realizzare un sistema di impugnazioni basato su parametri oggettivi orientati ad un criterio di stretta legalità, scongiurando il rischio che il titolare dell'azione penale proponga appello solo in conseguenza dell'impugnazione proposta in via principale dalla controparte;Pag. 50
    tale assetto rimuove l'attuale squilibrio connesso alla facoltà della pubblica accusa di neutralizzare il divieto di «reformatio in peius» della sentenza attraverso la proposizione dell'appello incidentale;
    resta però ferma la possibilità che il pubblico ministero impugni in via principale, per mezzo del ricorso per cassazione, la sentenza per lui inappellabile e che, ove l'imputato proponga appello, il ricorso per cassazione si converta, ex articolo 580 c.p.p., in impugnazione di merito; in tale ipotesi, il ricorso per cassazione convertito in appello determina, sempre che ritenuto ammissibile secondo il criterio maggiormente selettivo delle impugnazioni di legittimità, l'effetto di sterilizzare il divieto della reformatio in peius;
    il senso della riforma è allora quello di evitare che la finalità di contenimento delle impugnazioni di merito proposte essenzialmente a scopi dilatori sia affidata all'eventualità dell'impugnazione incidentale del pubblico ministero; essa piuttosto è perseguita attraverso la rinnovata disciplina delle ammissibilità dell'atto di impugnazione, in particolare per mezzo della riscrittura già operata dell'articolo 581 c.p.p.;
    condiviso, pertanto, l'impianto complessivo del provvedimento in discussione, che delinea, in conformità ai criteri di delega, un sistema certamente più efficiente dei mezzi di gravame, nel rispetto del principio della parità tra accusa e difesa;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

Pag. 51

ALLEGATO 2

Modifica dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e altre disposizioni concernenti la tutela dei lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo. C. 4388 Laforgia ed abb.

PARERE APPROVATO

  La II Commissione,
   esaminato, per le parti di competenza, il provvedimento in oggetto;
   premesso che:
    la proposta di legge in discussione, che consta di cinque articoli, reca disposizioni in materia di tutela dei lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo, modificando le disposizioni della legge n. 300 del 1970, della legge n. 604 del 1966, nonché della legge n. 223 del 1991;
    in particolare il provvedimento definisce una nuova disciplina delle conseguenze del licenziamento individuale illegittimo, sostituendo integralmente l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (articolo 1);
    viene, inoltre, modificata la procedura obbligatoria relativa ai licenziamenti individuali per motivi economici (articolo 2), nonché quella relativa alla dichiarazione di mobilità e ai licenziamenti collettivi (articoli 3, 4 e 5);
   rilevato che:
    il decreto legislativo n. 23 del 2015, attuativo della legge delega n. 183 del 2014 (Jobs Act) disciplina le conseguenze dei licenziamenti illegittimi, individuali e collettivi, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente alla data della sua entrata in vigore (7 marzo 2015),
    tale decreto legislativo, che ha introdotto il contratto c.d. a tutele crescenti, ha, quindi, modificato, le disposizioni contenute nella legge n. 300 del 1970, nonché quelle contenute nella legge 23 luglio 1991, n. 223;
    come espressamente riconosciuto dalla Commissione europea nella «Relazione per paese relativa all'Italia 2017», la riforma realizzata attraverso il Jobs Act, persegue l'obiettivo di assicurare efficaci politiche attive del mercato del lavoro,» sortendo già alcuni positivi effetti, quali l'aumento dell'occupazione e il calo del c.d. dualismo;
    prima di procedere all'introduzione di eventuali correttivi all'impianto delineato da tale riforma, appare pertanto necessario monitorarne attentamente gli effetti nel medio periodo, in termini di rilancio degli investimenti ed aumento della competitività del sistema produttivo, come peraltro già espressamente previsto dal decreto legislativo n. 23 del 2015;
    in ragione della particolare complessità degli interventi delineati dal provvedimento in discussione, sarebbe stato, inoltre, necessario espletare, anche in sede consultiva, un'articolata attività conoscitiva per meglio approfondirne i contenuti e valutarne l'effettivo impatto;
  esprime

PARERE CONTRARIO