CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 aprile 2016
630.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA DI PARERE DELLA RELATRICE

  La XII Commissione,
   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di Economia e Finanza (DEF) per l'anno 2016 (Doc. LVII n. 4, con Allegati e Annesso);
   rilevato che il DEF conferma le misure previste nel Patto per la salute, che ha definito il fabbisogno finanziario ed ha disciplinato alcune misure finalizzate ad una più efficiente programmazione del Servizio sanitario nazionale (SSN), al miglioramento dei servizi ed all'appropriatezza delle prestazioni;
   rilevato altresì che, per quanto attiene al settore della sanità, nel Programma nazionale di riforma (PNR) si attribuisce un'importanza centrale al tema della sostenibilità finanziaria del SSN nel medio e lungo periodo, in relazione alle esigenze di efficientamento e di armonizzazione della spesa pubblica;
   rilevato che, per quanto riguarda le misure per il contenimento della spesa per il SSN, il Patto per la salute e la successiva legge di stabilità per il 2016 rimandano ad ulteriori interventi legati anche al contributo aggiuntivo delle regioni e delle province autonome che esse devono assicurare alla finanza pubblica, determinati poi con l'Intesa del 11 febbraio 2016 in sede di Conferenza Stato-Regioni;
   osservato che, poiché nelle previsioni l'aumento relativo alla spesa sanitaria è dell'1,5 per cento e quello del PIL nominale è del 2,8 per cento, il rapporto PIL/spesa sanitaria sarebbe nel 2018 del 6,5 per cento, ciò che porta a segnalare una preoccupazione per un valore che risulterebbe sottostimato rispetto agli standard europei;
   evidenziato che il Governo segnala di avere in corso la definizione e l'approvazione del regolamento per la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e apprezzato altresì l'impegno per l'efficientamento della spesa sanitaria e il lavoro profuso dal Governo e dalle regioni per l'applicazione di strumenti innovativi come il fascicolo elettronico, i costi standard, le centrali uniche di acquisto;
   evidenziato, inoltre, che tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 sono inclusi quelli concernenti il cosiddetto «Dopo di noi» (A.S. 2232), la responsabilità professionale del personale sanitario (A.S. 2224), la riforma del Terzo settore (A.C. 2617-B), e il cosiddetto «Social act», recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (A.C. 3594),
   esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   si provveda a segnalare l'esigenza di sottoporre al vaglio del Parlamento la determinazione dell'entità delle risorse da erogare al Servizio sanitario nazionale in sede di approvazione della legge di stabilità, senza rinviarla alle intese in sede di Conferenza Stato-regioni, anche in considerazione della nuova ripartizione delle Pag. 182competenze tra Stato e regioni in materia di salute, prevista dal disegno di legge di riforma costituzionale;
   si segnali la necessità di un'adeguata previsione della spesa sanitaria in relazione agli improcrastinabili rinnovi contrattuali nel settore nonché di un'accurata revisione dei vincoli vigenti sulla spesa e sulla dotazione del personale, introducendo elementi di graduale flessibilità, a partire dal superamento del tetto di spesa, in modo da favorire il superamento della precarietà del personale e lo sblocco del turn over.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI GRILLO, BARONI, DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE E DALL'OSSO

  La XII Commissione,
   esaminato il Documento economico e finanziario 2016;
   premesso che:
    complessivamente il DEF 2016 rivela un andamento negativo dell'economia del Paese e la ripresa, peraltro moderata (tasso di crescita 0,8 per cento) della prima metà del 2015, ha perso slancio nella seconda metà del medesimo anno; il Governo ha abbassato quindi le proiezioni di crescita per il triennio 2016-2018 e il PIL scende dall'1,6 all'1,2 per cento. Il tasso di inflazione al consumo dell'Italia è recentemente risceso sotto lo zero ed un'inflazione così bassa, nonostante gli stimoli della politica monetaria e la ripresa (seppur contenuta) del PIL, sono un segnale molto negativo;
    nel rapporto del Fondo Monetario Internazionale presentato il 12 aprile scorso (Word economic outlook – aprile 2016), le previsioni per l'economia dell'area dell'euro risultano riviste al ribasso, di 0,2 punti percentuali per il 2016 e di 0,1 punti per il 2016, rispetto alle previsioni di gennaio; nel complesso, nell'Area euro l'FMI prevede una crescita del prodotto pari all'1,5 per cento nel 2016 e all'1,6 nel 2017;
    sempre nel succitato rapporto, per l'Italia, il ritocco al ribasso delle previsioni è più consistente per il 2016 (3 decimi di punto in meno rispetto a gennaio), portando la crescita del PIL all'1 per cento nell'anno in corso. Per il 2017 il PIL è previsto aumentare dell'1,1 per cento (-0,1 rispetto al WEO di gennaio). Tali stime di crescita sono più modeste di quanto prospettato dalla Commissione Europea nel Winter Forecast di febbraio 2016 ed anche di quanto previsto dal Governo nel DEF 2016;
    il debito pubblico nell'anno 2015 è cresciuto di 34 miliardi, attestandosi al 132,5 per cento del PIL, arrivando a quota 2.170 miliardi. Le previsioni sull'andamento del debito pubblico in rapporto al PIL sono quindi riviste anche in funzione della minore previsione di crescita del PIL, ed è stimato al 132,4 per cento del PIL (nel 2016) per poi scendere progressivamente al 130,9 per cento nel 2017, al 128,0 per cento nel 2018 e raggiungere il 123,8 per cento nel 2019. Le previsioni sul 2019 contano soprattutto sul programma delle privatizzazioni da attuarsi negli anni 2016-2018 e su di un «ottimistico» tasso di crescita. Si ricorda che il debito pubblico italiano, nella zona euro, è al secondo posto dopo la Grecia e altri paesi europei hanno una dimensione del debito decisamente più ridotta (es. Germania con il 71,6 per cento del PIL, la Francia con il 96,2 per cento la Spagna con il 100,7 per cento);
    le entrate totali pur essendo aumentate rispetto al 2015, sono risultate inferiori alle stime del DEF 2015, ciò perché ci si aspettavano sia maggiori entrate da imposte dirette correlate alla crescita dell'occupazione e sia maggiori Pag. 184entrate da imposte indirette correlate ad una crescita dei consumi. In realtà sia la creazione di nuovi posti di lavoro e sia la crescita dei consumi si sono rivelate inferiori alle aspettative e conseguentemente anche le entrate da imposte dirette;
    la spesa pubblica è aumentata complessivamente dello 0,9 per cento: sono aumentate le spese per le prestazioni sociali e per consumi intermedi, mentre la spesa per consumi pubblici si è attestata al 19 per cento nel 2015 e la spesa per il personale si è ridotta (a causa del blocco del turn-over);
   in particolare, per le parti e le materie di competenza della XII Commissione:
    l'elemento più rilevante nel DEF 2016, è proprio l'ulteriore taglio alla sanità, misura corrispondente alle risultanze dell'Accordo stato regioni dell'11 febbraio 2016, ove si prevede, a carico del Servizio sanitario nazionale, quanto stabilito dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), la quale al comma 680 dispone tagli per: 3.980 milioni per il 2017 e 5.480 milioni per il 2018 e 2019, quale contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica; pertanto sulla Sanità oltre al taglio di 1, 8 miliardi del 2016 si aggiungono riduzioni per quasi 4 miliardi per il 2017 e 5 miliardi a decorrere dal 2018. Dalla medesima Intesa risultano tagli di 100 milioni per la prevenzione e gestione del rischio sanitario nonché la prosecuzione delle politiche di tagli agli investimenti in edilizia sanitaria per 208 milioni di euro. Inoltre permangono le misure sul personale: blocco del turn over e riduzione permanente del salario accessorio;
    nel triennio 2017-2019, la spesa sanitaria è prevista crescere ad un tasso medio annuo dell'1,5 per cento ma il rapporto fra la spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell'arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,5 per cento. Il decrescere dell'incidenza sul PIL è un elemento inquietante perché si traduce in «meno salute» e si pone al di sotto della media dei paesi OCSE e al di sotto dell'accettabilità;
    nel 2015, la spesa sanitaria corrente è risultata pari a 112.408 milioni, con un tasso di incremento dell'1 per cento rispetto al 2014. Rispetto al dato riportato nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 (pari a 111.289 milioni), si è registrato un incremento di circa 1,1 miliardi di euro, dovuto principalmente alla dinamica della spesa per prodotti farmaceutici ospedalieri e per distribuzione diretta inclusi nei consumi intermedi a cui si aggiunge la revisione al rialzo della stima degli ammortamenti del settore sanitario per circa 250 milioni nel 2014, con effetto di trascinamento nel 2015; l'aumento della spesa sanitaria dimostra che la politica di spending review confermata sia dal DL 78/2015 sia dall'ultima legge di stabilità non porta risultati, come peraltro indicato anche dalla Corte dei Conti in sede di audizione in merito al DEF 2016.
    nell'analisi dell'aggregato, in particolare, si fa riferimento all'immissione in commercio dei farmaci innovativi, tra i quali quelli per la cura dell'epatite C, caratterizzati da un costo elevato. A tal proposito, l'imminente scadenza del contratto con la Società Gilead, detentrice dell'Autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali Sovaldi ed Harvoni, destinati alla cura dell'epatite c, avrà gravi ripercussioni sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale. Il Governo peraltro ci tiene a sottolineare che tale aumento sarebbe stato anche più elevato in assenza delle disposizioni in materia di pay-back come previste nell'ultima legge di stabilità laddove è consentito alle Regioni di iscrivere nei bilanci le somme dovute dalle aziende farmaceutiche. Il payback è un meccanismo di ripiano attraverso il quale le case farmaceutiche restituiscono al SSN le somme che superano il tetto della spesa complessiva fissato per legge. In realtà questa restituzione non sempre avviene e in alcuni casi si è ricorso addirittura all'anomala prassi della «nota di credito»; la mancata restituzione è stimata in circa 2 miliardi e mezzo. Il TAR del Lazio ha ripetutamente bocciato il modello di riparto (payback) dell'AIFA per gli anni 2013 e 2014 sia per la spesa farmaceutica Pag. 185territoriale che ospedaliera. In proposito si sottolinea che ad oggi ancora non è avvenuto il riparto a favore delle regioni per gli anni 2013 e 2014 mentre per il 2015 l'Aifa non ha assegnato i budget alle varie aziende farmaceutiche. Inoltre l’Antitrust ha bocciato gli accordi di riservatezza che l'Aifa stipula con le cause farmaceutiche, come peraltro proprio diffusamente denunciato dal M5S;
   sul punto il Governo, anche nell'ambito del sistema di riforme che lo stesso propone, nulla innova e nulla dice riguardo la necessità di garantire la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali, in ossequio al sistema delineato dalla direttiva 89/105/CEE, e nonostante i numeri del medesimo DEF rivelino che il problema della spesa sanitaria è concentrato proprio sui farmaci. In Italia i prezzi dei farmaci, come stabilito dalla legge n. 326 del 2003 e come indicato nella delibera CIPE n. 3 del 10 febbraio 2001, sono contrattati dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) secondo procedure negoziali e accordi non trasparenti e secretati, per il tramite delle suddette clausole di riservatezza, con particolare riguardo proprio alla fase di fissazione del prezzo. Il DEF certifica quanto il M5S ha ripetutamente segnalato con numerosi atti di sindacato ispettivo riguardo l'eccessivo costo dei farmaci e lo sforamento del tetto di spesa e quanto rilevato anche dall'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali;
   sono state tante le inchieste giornalistiche e le indagini della magistratura o delle Autorità competenti (Antitrust e Anac) che hanno messo in luce l'anomalia del settore. Si citano i casi dei farmaci antivirali in relazione alla pandemia di aviaria allorquando il Ministero della salute acquistò trenta milioni di dosi di Oseltamivir, ovvero il Tamiflu della Roche con una spesa esorbitante; ancora, i casi dei farmaci vaccinali per la cosiddetta influenza suina, pandemie annunciate il cui approccio emergenziale, non supportato da evidenze scientifiche riguardo l'effettiva pericolosità, hanno consentito solo uno spreco abnorme di denaro pubblico e un sicuro affare per le aziende farmaceutiche produttrici di farmaci ad hoc; altrettanto noto è il caso del cartello anticoncorrenziale Roche-Novartis accusate di aver costituito un cartello per condizionare le vendite dei due principali farmaci anticecità, con rilevanti danni per il servizio sanitario che solo per il 2012 sono stati quantificati in 45 milioni di euro (Provvedimento AGCM n. 24.823 del 27 febbraio 2014);
   sarebbe necessario adottare misure atte a controllare i prezzi dei farmaci e a garantire il corretto esplicarsi di un sistema concorrenziale, a garanzia sia dell'appropriatezza e sia della ragionevole e universalistica accessibilità da parte degli utenti del sistema salute. È assolutamente indispensabile che le intese in materia di prezzi sui farmaci siano trasparenti e conoscibili, con evidenza del metodo utilizzato per la definizione del prezzo e degli utili, che sia modificato il sistema di rimborso dei farmaci e che sia avviato un processo di riordino dell'Aifa;
   l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sulla sostenibilità fiscale (spesa age-related), le previsioni di medio-lungo periodo dell'effetto sulla spesa sanitaria e sull'assistenza di anziani e disabili a lungo termine (Long-Term Care, LTC), rilevano che, dopo una fase iniziale di riduzione per effetto delle misure di contenimento della dinamica della spesa sanitaria, la previsione del rapporto fra spesa sanitaria e PIL presenterà, secondo le stime, un profilo crescente solo a partire dal 2020 e si attesterà attorno al 7,6 per cento del PIL nell'ultimo decennio del periodo di previsione, e comunque sempre al di sotto della media dei paesi OCSE. Mentre la proiezione della componente socio-assistenziale della spesa pubblica per Long Term Care (LTC), composta per circa 4/5 dalle indennità di accompagnamento e per circa 1/5 dalle prestazioni socio-assistenziali erogate a livello locale, dopo una fase iniziale di sostanziale stabilità, presenta Pag. 186un profilo crescente in termini di PIL, che in ogni caso si attesterà all'1,5 per cento per cento del PIL nel 2060;
   il Programma Nazionale Riforme del Governo, nell'ambito del consolidamento delle politiche di spending review, conferma l'incidenza del settore sanitario il cui fabbisogno è fissato, per il solo anno 2016, al livello di 111 miliardi. È altresì precisato che 800 milioni del finanziamento del servizio sanitario nazionale sono subordinati all'adozione dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) di cui allo stato attuale non c’è ancora traccia nonostante i ripetuti annunci (l'ultimo annuncio riferiva l'imminente approvazione per il 29 gennaio 2016) e il decreto attualmente in vigore rimane quello del 2001;
   al riguardo sarebbe auspicabile l'inserimento nei LEA della cura dell'endometriosi e degli screening neonatali per le malattie metaboliche ereditarie, come più volte annunciato dal ministro e come richiesto a gran voce dal movimento 5 stelle;
   la visione programmatica del governo è deludente riguardo le politiche di efficientamento e reitera progetti che in realtà sono annunciati da parecchi anni e rilevano un estremo ritardo nell'attuazione: in particolare riguardo alla centralizzazione degli acquisti e all'adozione del fascicolo sanitario elettronico (FSE). Su quest'ultimo il ritardo «implicitamente ammesso» è compensato da una sorta di soluzione intermedia che vede l'implementazione del «nodo nazionale di fascicolo» che di fatto supplisce alla mancata attivazione dei nodi regionali. Il fascicolo sanitario elettronico è inserito anche nell'ambito delle riforme dell'Agenda digitale al quale si aggiunge anche l'introduzione del Codice Unico Nazionale dell'Assistito (CUNA) ovvero l'infrastruttura tecnologica per l'assegnazione del codice univoco per seguire il percorso sanitario del cittadino nei diversi setting assistenziali del SSN. Il tutto ancora da realizzare, al netto dei tagli che l'ultima legge di stabilità ha previsto per la gestione corrente del settore informatico;
   nell'ambito delle politiche di efficientamento il Governo attribuisce particolare valenza ai piani di rientro per le aziende ospedaliere, anche universitarie, per gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e dal 2017 per le aziende sanitarie locali (ASL). Il Piano di rientro, di durata triennale, è attivato quando nel rapporto tra costi e ricavi emerga un disavanzo pari o superiore al 10 per cento dei ricavi, o, in valore assoluto, quando tale disavanzo sia pari ad almeno 10 milioni di euro e quando si rileva il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure. L'individuazione di tali enti, come previsto dalla medesima legge di stabilità 2016, deve essere fatta entro il 30 giugno di ogni anno mentre per il 2016 entro il 31 marzo. Al momento tale elencazione non è rinvenibile. La complessità delle relative linee guida, unitamente all'assenza di risorse economiche e professionali all'interno delle aziende sanitarie, rende improbabile che tali piani siano attivati secondo la tempistica prevista dalla legge di stabilità;
   nell'ambito delle riforme, oltre a confermare il rafforzamento di quanto previsto nel patto della salute 2014-2016, è riportata, nella tabella del cronoprogramma, anche la proposta di legge concernente la responsabilità sanitaria, voluta da questa maggioranza di Governo per abbattere i costi della medicina difensiva; anche se non appare chiaro quanto effettivamente possano incidere tali disposizioni;
   si conferma un ulteriore riduzione della spesa (-0,8 per cento) per i redditi da lavoro dipendente e il governo riferisce tale riduzione al blocco del turnover e alle politiche di contenimento delle assunzioni in vigore nelle regioni sotto piano di rientro nonché alla riduzione permanente del salario accessorio a seguito di rideterminazione dei fondi destinati alla contrattazione integrativa, il tutto in aggiunta al mancato rinnovo dei contratti. In maniera quasi sbalorditiva e contrariamente a quanto invece sostenuto nell'ultima legge Pag. 187di stabilità il Governo conferma su tutta la linea il mantenimento di dette misure di riduzione, anche in riferimento al settore sanitario; è indubbio che senza ricambio del personale tutti i discorsi di efficienza diventano inutili, tenuto conto che in Italia l'età media dei medici è tra le più alte d'Europa;
   nel DEF emerge chiaramente la volontà del governo di reiterare e rafforzare le misure di contenimento che dall'anno 2010 si sono concentrate sul personale delle amministrazioni pubbliche (con una riduzione della spesa complessiva nella PA di oltre 10 miliardi ed una riduzione del numero dei dipendenti per circa 110 mila unità). Le stime sulla spesa per il personale per gli anni a venire e fino al 2019 rimane stabile e si prevede di rafforzare il blocco del turn-over per il periodo 2016-2018 nella misura del 25 per cento dei risparmi derivanti dalle cessazioni e si conferma la riduzione delle risorse per il trattamento economico accessorio. Nel DEF non emerge chiaramente neanche cosa si intenda fare riguardo il blocco della contrattazione collettiva nazionale che, come noto, è stato dichiarato incostituzionale;
   la Camera dei Deputati, ha approvato la mozione n. 1-00767 presentata dal M5S con la quale, in maniera peraltro bipartisan, si è condivisa la necessità di porre rimedio alla emergenziale e non più sostenibile carenza di personale sanitario, impegnando il Governo allo sblocco del turnover e all'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
   inoltre anche nella legge di stabilità 2016, seppure con diversi limiti correlati alle regioni con piani di rientro, si era condivisa la necessità di porre in essere procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico sulla base delle valutazioni dei fabbisogni, con l'elaborazione di piani che ad oggi le regioni non hanno predisposto; nel DEF non c’è traccia degli impegni presi dal Governo al fine di risolvere la perdurante carenza di personale della sanità, a garanzia dei livelli essenziali di assistenza che, proprio a causa di tale carenza sono, gravemente compromessi;
   la spesa per l'acquisto di beni e servizi è scesa in misura poco inferiore all'1 per cento e tale contenuta riduzione, come evince nel DEF, è attribuita alla realizzazione da parte dell'Anac dei prezzi di riferimento di alcuni beni e servizi, alla possibilità per le aziende di rinegoziare i contratti e alla fissazione del tetto di spesa per i dispositivi medici, come peraltro introdotta dai governi precedenti (legge di stabilità 2013) e non da quello in carica;
   in realtà appare improbabile che la recente fissazione dei prezzi da parte dell'Anac, peraltro relativa solo ad alcuni beni e servizi, abbia già avuto i suoi effetti nell'anno 2015, così è ugualmente improbabile che la possibilità per le aziende sanitarie di rinegoziare i contratti d'acquisto con i fornitori, introdotta dal decreto legge n. 78 del 2015 ed entrata in vigore nel mese di settembre 2015, abbia prodotto già i suoi effetti;
   la fissazione di un tetto alla spesa per l'acquisto di dispositivi medici, pari al 4,4 per cento del fabbisogno sanitario regionale standard, in realtà, come qualsiasi taglio lineare, non si rivela efficace ed i numeri del DEF lo confermano. Sui dispositivi medici sarebbe stato necessario emanare il nuovo nomenclatore tariffario ovvero il documento che definisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del SSN. Il nomenclatore attualmente in vigore è quello stabilito dal DM del 27 agosto 1999 ed in realtà le norme vigenti prevedono che l'aggiornamento sia periodico con cadenza massima triennale; anche su questo punto in commissione affari sociali era stata approvata la risoluzione che impegnava il Governo a procedere, nel più breve tempo possibile, al rinnovo della Commissione unica sui Pag. 188dispositivi medici, ad adottare con urgenza, e comunque non oltre il 30 giugno 2014, il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario dei dispositivi medici, ad assumere iniziative per prevedere che i prezzi per i rimborsi derivanti dall'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» siano definiti in riferimento ai prezzi medi previsti nell'Unione europea. Di fatto il mancato aggiornamento non rende possibile da parte degli aventi diritto l'utilizzo dei nuovi dispositivi medici;
   sugli acquisti di beni e servizi in sanità il M5S ritiene fondamentale incidere sui numeri della corruzione che indicano l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno è più grave e che, solo riguardo alla sanità, è stimata in circa 6 miliardi. In relazione all'acquisto di beni e servizi l'attuazione della centralizzazione degli acquisti stenta a realizzarsi ed il governo proprio con il decreto attuativo della cosiddetta «delega Madia» che modifica il decreto n. 33 del 2013 sulla trasparenza sta andando nella chiara direzione di compromettere l'istituto della trasparenza quale presidio fondamentale per prevenire tanto la corruzione quanto lo spreco di risorse nell'ambito delle acquisizioni di beni e servizi. Pertanto è necessario che il governo realizzi concretamente l'attuazione dei costi standard e la centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario e che s'impegni a non compromettere ma piuttosto ad implementare l'istituto della trasparenza (il decreto 33 del 2013) così da garantire una integrale conoscibilità da parte dei cittadini delle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, con susseguente risparmio;
   riguardo la farmaceutica convenzionata il DEF segnala una riduzione del 1,2 per cento . Il Governo riferisce tale riduzione influenzata, oltre che dalla fissazione di un tetto della spesa farmaceutica territoriale con attivazione del meccanismo del pay-back, anche dalla riduzione del numero delle ricette, in misura pari al 2,3 per cento circa rispetto al 2014, nel contempo il Governo conferma la crescita della quota di compartecipazione a carico dei cittadini (aumento dei ticket !), con un incremento di circa l'1 per cento rispetto al 2014; al riguardo il Movimento 5 Stelle ha presentato una mozione sulla nuova governance farmaceutica, sottolineando che la rinegoziazione del prontuario farmaceutico nazionale, previsto nell'articolo 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015 non ha portato i risultati sperato, in quanto mancano circa 150 milioni l'anno;
   la correlazione tra la riduzione delle ricette e l'aumento del ticket rappresenta un segnale preoccupante della tendenza ad un minore ricorso alle cure da parte dei cittadini, in ragione di costi non più sostenibili sia del prezzo dei farmaci e sia del livello di compartecipazione. Diverse ricerche hanno rilevato che dall'inizio della crisi è sempre maggiore il numero di cittadini che rinunciano alle prestazioni sanitarie per motivi economici, alcune stime riferite all'anno 2013 rilevano che sono quasi 3 milioni i cittadini che hanno rinunciato all'assistenza sanitaria per motivi economici;
   in tema di politiche sociali la Sezione III del documento all'esame espone le principali misure adottate dal Governo;
   in particolare, in materia di lotta alla povertà vengono ricordate in primo luogo le misure contenute nella legge di stabilità 2016 destinate alle famiglie povere con minori a carico e segnatamente l'istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Tale Fondo, al quale è assegnata la somma di 600 milioni di euro per il 2016 e di un miliardo a decorrere dal 2017, è destinato a finanziare un'apposita legge di delega di riforma organica delle politiche assistenziali;
   il 28 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega (c.d. Social act) recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli Pag. 189interventi e dei servizi sociali collegato alla legge di stabilità 2016 (A.C. 3594) ora all'esame delle Commissioni riunite XI e XII della Camera;
   le risorse stanziate dalla legge di stabilità sono insufficienti a fronte del progetto di un sostegno economico, lanciato dal ministro Poletti, pari a circa 320 euro al mese per «280 mila famiglie, 550 mila bambini e quasi 1 milione e 150 mila persone»;
   il M5S è del parere che il contrasto alla povertà può avvenire introducendo il reddito di cittadinanza, per il quale occorrono 17 miliardi;
   in Italia ci sono oltre 4 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta. Non viene stanziata alcuna risorsa aggiuntiva e non ci si occupa dei servizi di accompagnamento che dovrebbero essere offerti alle persone povere oltre al beneficio monetario previsto. Inoltre non si forniscono progetti personalizzati d'inserimento sociale né strumenti di welfare adeguati a poterli realizzare;
   inoltre il DDL riordina, razionalizzandole, le prestazioni di natura assistenziale «e previdenziale» con misure legate al reddito e al patrimonio, peraltro la parola «previdenziale» è stata inserita solo nel disegno di legge, ma non compare nel collegato comma della legge di stabilità (comma 386), dove si fa esclusivamente riferimento alle misure di natura assistenziale. Nonostante le smentite del Governo, si teme che esso possa rivedere le pensioni di reversibilità, ovvero quelle erogate agli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che muore avendo maturato i requisiti per l'assegno. Le pensioni di reversibilità potrebbero essere, secondo il testo del governo, legate all'ISEE. Di conseguenza il numero di coloro che vi avranno accesso inevitabilmente si ridurrà e saranno tante le persone che non si vedranno più garantito questo diritto. Questo non solo è da ritenersi profondamente ingiusto ma è anche tecnicamente improprio e rischierebbe di aprire un contenzioso anche a livello giuridico;
   la pensione di reversibilità infatti è una prestazione previdenziale a tutti gli effetti, legata a dei contributi effettivamente versati, che in molti casi quindi sparirebbero nel nulla, o meglio, resterebbero nelle casse dello Stato. In sostanza, se ciò fosse confermato, possiamo senz'altro affermare di trovarci in presenza di una sorta di «rapina» legalizzata, perpetrata soprattutto ai danni delle donne perché l'età media degli uomini è più bassa e la reversibilità è quindi una prestazione che riguarda soprattutto loro. Senza contare il fatto che la misura colpirebbe con maggiore forza i familiari che hanno dedicato la propria vita, rinunciando a possibilità lavorative, all'assistenza di un figlio con disabilità (caregiver), potendo contare unicamente sull'esigue misure assistenziali dell'indennità di accompagnamento e della pensione di invalidità;
   ulteriore criticità rilevata è rappresentata dai numerosi riferimenti a deleghe di servizi territoriali al terzo settore e al privato sociale, il cui coinvolgimento appare eccessivo e preoccupante; infine appare pericolosa l'eccessiva ampiezza della delega e la discrezionalità pertanto concessa al Governo, su materie, tra l'altro della massima delicatezza;
   il Def menziona, inoltre la proposta di legge recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare (c.d. «Dopo di noi»), attualmente all'esame del Senato (A.S. 2232) che disciplina misure di assistenza cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, in quanto mancanti di entrambi i genitori o poiché gli stessi non sono in grado di sostenere la responsabilità della loro assistenza, e agevola le erogazioni di soggetti privati e la costituzione di trust in favore dei citati soggetti;
   la posizione del M5S sul succitato disegno di legge è fortemente contraria in quanto esso cristallizza il fallimento dello Stato sociale che non riesce a stanziare risorse sufficienti per un intervento serio Pag. 190di assistenza, non rispettando quindi neanche il dettato costituzionale. Si ritiene infatti che il disegno di legge tenda in realtà a coprire l'inosservanza di disposizioni già esistenti che dovrebbero già assicurare la presa in carico di tutti i soggetti bisognosi di cure e di una adeguata assistenza e il M5S ha già evidenziato come si sia proposto di utilizzare anche risorse delle singole famiglie per sopperire ai tagli che vengono costantemente effettuati alle risorse del settore socio-sanitario, criticando aspramente la possibile sovrapposizione con il fondo per la non-autosufficienza;
   preoccupazione rivestono inoltre le norme relative al trust in quanto tendono a preservare i grandi patrimoni che, destinati al sostegno al disabile, usufruiscono di forti riduzioni fiscali, comprendendo in tali ambiti interventi di associazioni di terzo settore o di associazioni di famigliari, che potrebbero anche, una volta esaurita le funzioni di sostegno al disabile privo di sostegno famigliare per avvenuto decesso, entrare in possesso di patrimoni immobiliari rilevanti, non a caso sono state bocciate proposte del M5S per una maggiore trasparenza da garantire in ambito di gestione e di passaggio dei patrimoni in questione;
   nell'Appendice A alla Sezione III del DEF (Cronoprogramma del Governo), tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 viene citato anche il disegno di legge di delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, attualmente all'esame della Camera in seconda lettura (A.C. 2617-B);
   il disegno di legge delega sul Terzo Settore riguarda la galassia composta da onlus, cooperative, associazioni e in genere le istituzioni non profit, un mondo che tra soggetti impiegati, indotto e volontario coinvolge circa 10 milioni di cittadini. Le cooperative sociali, pur essendo il 4 per cento del totale, danno lavoro al 38 per cento di dipendenti e lavoratori esterni. In Italia il settore conterebbe circa 355 mila organizzazioni, con 2,2 milioni di lavoratori e un fatturato di circa 200 miliardi (dimensione simile all'intero settore delle costruzioni);
   anche questo disegno di legge presenta elementi di enorme criticità soprattutto in riferimento alla trasparenza che, quanto meno in alcune sue rilevanti componenti, si è dimostrato non di rado opaco. Durante l'esame al Senato, con l'approvazione di un emendamento del Governo, è stata introdotta la Fondazione Italia Sociale, un organismo dalla dubbia natura giuridica destinato a rappresenta l'ennesimo centro di potere nel quale gestire i flussi di finanziamenti, senza bandi o concorsi, nei confronti di progetti nel terzo settore. Lo Statuto è ancora ignoto e così sono ignote le modalità di gestione delle risorse pubbliche già stanziate e che ammontano ad 1 milione di euro; inoltre potrà contare per finanziare le proprie attività sulla mobilitazione di risorse pubbliche e private, con l'obiettivo di svolgere un ruolo sussidiario dell'intervento pubblico. Il concetto di sussidiarietà in ambito pubblicistico è valso assai spesso ad escludere il ruolo di responsabilità dello Stato soprattutto rispetto ai doveri di vigilanza e regolazione; desta peraltro enorme sconcerto che tutti gli atti connessi alle operazioni di costituzione della Fondazione e di conferimento e devoluzione alla stessa sono esclusi da ogni tributo e diritto e sono effettuati in regime di neutralità fiscale; il M5S non condivide questa idea di privatizzare i bisogni assistenziali dei cittadini mentre sarebbe necessario reintrodurre l'Agenzia per il Terzo Settore, abolita dal Governo Monti;
   questo disegno di legge delega non riforma il Terzo Settore, ma lo stravolge trasformando, attraverso l'utilizzo forzato del concetto di impresa sociale, il non profit in profit: si finanziarizzano i bisogni e si delegano sempre più all'esterno le competenze (coop, onlus, etc) dello Stato, assegnando con fondi pubblici uno sconfinato campo di attività sociali e culturali a soggetti privati che potranno distribuire gli utili; soggetti nei cui confronti mancheranno Pag. 191adeguati strumenti di controllo e verifica e che entreranno nel mercato in un regime di concorrenza sleale, in quanto le onlus, coop, associazioni godono di regimi fiscali agevolati, al contrario delle tradizionali aziende concorrenti;
   con questa Riforma il non profit diventerà solo un ricordo e gli obiettivi primari delle imprese sociali saranno business e profitto, senza che siano stati posti freni alle potenziali operazioni speculative delle imprese sociali;
   tutto ciò premesso, esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 192

ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DALLE DEPUTATE NICCHI E GREGORI

  La XII Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4), in particolare per le parti e le materie di competenza;
   considerato che:
    a fronte di una profonda crisi economica che dura ormai da più di otto anni, che colpisce fortemente fasce sempre più larghe della popolazione, e che richiederebbe di conseguenza un serio programma di contrasto alla povertà, nel DEF il governo si limita a richiamare l'iter avviato alla Camera del disegno di legge delega per il contrasto alla povertà;
    a fronte di un aumento tra il 2008 e il 2014 di circa un terzo – da 11 a 15 milioni – dei cittadini con un reddito al di sotto della soglia di povertà, il citato disegno di legge delega mira a far uscire dalla soglia di povertà assoluta circa 280 mila famiglie rispetto ai circa 1,5 milioni di famiglie che si trovano in questa condizione;
    è evidente che se l'obiettivo della legge delega, è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente abbondantemente insufficienti. Il miliardo stanziato dal Governo con l'ultima legge di stabilità, è infatti solamente una piccolissima parte dei circa 7 miliardi stimati che sarebbero necessari a regime per sostenere realmente le famiglie e le persone in situazione di povertà e di disagio estremo;
    non c’è alcun percorso di avvicinamento ad una garanzia di reddito per tutti quelli che si trovano in povertà assoluta, ma si assiste solamente a un sostegno per una piccolissima parte, circa un quinto, dei poveri assoluti;
    in pratica si conferma l'assenza di una credibile politica di reale contrasto alla povertà nel nostro Paese, laddove sarebbe invece necessario implementare le politiche di contrasto alla disuguaglianza e di sostegno economico e di inserimento sociale delle persone in condizione, o a rischio, di povertà, anche attraverso l'introduzione, a regime, di un reddito di inclusione sociale o di un reddito minimo, quale forma reddituale diretta da affiancare contestualmente a misure efficaci volte a favorire l'uscita dalla condizione di marginalità, e per il (re)inserimento nel mercato del lavoro;
    peraltro il miliardo previsto dal Governo per le suddette finalità a partire dal 2017, non è previsto in aumento nel tempo, a meno che non si individuino ulteriori risorse dalla razionalizzazione delle prestazioni assistenziali (anche l'indennità di accompagnamento o l'invalidità civile ?) e previdenziali;
    va infatti segnalato che nella parte del DEF relativa alle misure di contrasto alla povertà, si fa ancora riferimento alla necessità (espressamente prevista nella citata legge delega) di prevedere misure di razionalizzazione delle «prestazioni di natura assistenziale» nonché delle «prestazioni di natura previdenziale», che tante Pag. 193polemiche, queste ultime, hanno sollevato e la cui soppressione è chiesta con forza da molte parti, mentre viene riaffermato il riferimento all'universalismo selettivo;
   è inoltre lo stesso DEF a ricordare i tagli che sono stati e saranno ancora imposti alle regioni e agli enti locali, con tutto quello che ciò comporta in termini di riduzione dei servizi e del welfare che gli enti territoriali devono garantire ai cittadini;
   Il rapporto preparato per la CE dall’European Social Policy Network, dal titolo «Social Investment in Europe» del 2015, ha denunciato come nonostante la povertà sia raddoppiata siano state «tagliate del 58 per cento le risorse destinate al Fondo nazionale per le politiche sociali rispetto al 2008»;
   è evidente che le poche risorse assegnate dal Governo per il contrasto della povertà, contemporaneamente affiancate da continui tagli alle risorse a favore degli enti territoriali, non potranno produrre alcun significativo beneficio a favore delle fasce di cittadini più esposti alla crisi;
   è necessario prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle spese sostenute per la spesa sociale e il sistema del welfare, così come risulta ormai indispensabile interrompere la continua politica di tagli alle regioni e agli enti locali;
   altro tasto dolente del DEF 2016 riguarda l'intervento del Governo sul fronte delle politiche per gli asili nido. Se ne parla nel «Programma Nazionale di Riforma» (pag. 88), ove si fa riferimento al Rifinanziamento del Fondo per il rilancio del Piano sviluppo servizi socio educativi per la prima infanzia (100 milioni per il rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio educativi per la prima infanzia). Si legge poi, appena due pagine dopo: «Infine si proseguirà attraverso il Piano straordinario triennale per lo sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia al fine di garantire politiche familiari che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». Ossia il nulla;
   dal Documento non si evince quindi alcun intervento strutturale per sostenere la presenza omogenea su tutto il territorio nazionale degli asili nido che rispondano alle esigenze effettive del Paese e il pur positivo richiamo al rifinanziamento di 100 milioni di euro del Fondo per il rilancio del Piano sviluppo servizi socio educativi per la prima infanzia, risulta del tutto inadeguato e insufficiente;
   giova ricordare che la questione asili nido assume un ruolo centrale sia in relazione ai tempi di vita e di lavoro ma anche e soprattutto perché rappresentano la base per il sostegno all'inserimento nel mondo del lavoro delle donne;
   per quanto riguarda la Sanità pubblica, il DEF 2016 in esame conferma ancora una volta come si sia lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
   secondo il Documento di Economia e finanza in esame, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi di euro nel 2017, a 116,1 nel 2018 e a 118,5 di euro nel 2019; vale la pena ricordare che questi numeri sono «teorici», perché, come insegna l'esperienza di questi ultimi anni, la sanità pubblica ha avuto stanziamenti effettivi sempre inferiori a quelli che di volta in volta venivano indicati e promessi dai vari Documenti di economia e finanza presentati al Parlamento;
   il caso dell'anno 2016 è sotto questo aspetto paradigmatico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, si è passati a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per giungere a un finanziamento reale ed effettivo di 111 miliardi (legge di stabilità 2016), peraltro comprensivi dei 800 milioni di euro da destinare ai nuovi LEA (ancora in attesa di essere emanati);Pag. 194
   il dato più allarmante contenuto nel Documento di economia e finanza 2016, è che ancora una volta la spesa sanitaria in rapporto al PIL andrà diminuendo. Il che significa che in termini reali la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi ancora;
   come riporta il Documento in esame, nel 2010 la spesa sanitaria in rapporto al PIL era del 7 per cento; nel 2015 era del 6,9; nel 2019 sarà del 6,5 per cento. Per ritornare ai livelli spesa sanitaria/PIL del 2010, secondo le indicazioni del Governo contenute in questo DEF, si dovrà aspettare il 2030-2035. Ossia bisognerà attendere 15-20 anni;
   ricordato che nel rapporto spesa sanitaria/PIL siamo da tempo al di sotto della media dei Paesi europei più avanzati. Il Rapporto sullo stato sociale 2015, del Dipartimento di economia e diritto «Sapienza», Università di Roma, ha confermato come i dati della nostra spesa sanitaria, sia in rapporto al PIL (7 per cento) che pro capite, indichino che siamo sotto la media dei rispettivi valori della UE a 15 (8,7 per cento); dopo di noi ci sono solo Spagna Grecia e Portogallo;
   dati confermati anche dal Rapporto Sanità a cura di C.R.E.A. Sanità-Università di Roma Tor Vergata, presentato nell'ottobre 2015, secondo il quale la spesa sanitaria italiana è del 28,7 per cento più bassa rispetto ai Paesi EU14, con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno dopo anno;
   come ricorda lo stesso DEF (pag. 105) «la Legge di Stabilità del 2016 ha previsto una manovra di contenimento della spesa sanitaria per il 2016 di ammontare pari a 1.783 milioni di euro. Inoltre, è stato previsto un contributo del settore sanitario relativamente alla manovra complessiva a carico delle Regioni. Tale contributo è stato definito dall'intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio e ammonta a 3.500 milioni di euro nel 2017, 5.000 milioni di euro nel 2018»;
   a ciò aggiungiamo il sostanziale blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego e quindi dello stesso personale del SSN, nonché il blocco del turn-over e l'incapacità del governo di dare una risposta positiva alla precarietà di molto personale medico, con abuso di contratti atipici. Tutto questo comporta un inevitabile peggioramento delle condizioni di lavoro e, di conseguenza, una riduzione della quantità e della qualità dei servizi sanitari erogati. E le modeste e aleatorie previsioni in materia di assunzioni nel comparto sanità previste dall'ultima legge si stabilità, non avranno alcuna positiva ricaduta sostanziale;
   il DEF 2016 inoltre, poco o nulla dice circa i rinnovi contrattuali attesi da anni, limitandosi a citare i prossimi rinnovi ma senza indicare ipotesi di relativi oneri. In realtà l'unico accenno ai rinnovi contrattuali del Pubblico impiego lo troviamo nei paragrafi relativi alle previsioni di spesa 2017-2019 della PA, dove si sottolinea che esse tengono conto, per quanto riguarda la dinamica delle spese di personale, di «un'ipotesi tecnica per il rinnovo contrattuale relativo al triennio 2019-2021», della quale però non viene fornito alcun dettaglio. Insomma, previsioni e tendenze a parte, per sapere l'ammontare effettivo delle risorse, sia per il comparto sanitario che per i rinnovi contrattuali, si dovrà aspettare la prossima nota di aggiornamento al DEF e poi la legge di stabilità a fine anno. Per quanto riguarda invece i rinnovi contrattuali (e per la sanità anche delle convenzioni mediche), il DEF, non offre cifre. La decisione sarà solo politica e dipenderà da quanto il Governo vorrà effettivamente mettere in campo su questo ambito;
   anche in questo Documento di economia e finanza manca quella che dovrebbe essere la premessa e la condizione ineludibile di qualunque politica sanitaria, ossia garantire a tutti i cittadini la necessaria assistenza sanitaria pubblica, attraverso un rafforzamento dell'universalità e dell'equità. Un rafforzamento che deve contraddistinguere il nostro servizio sanitario nazionale, quale pilastro fondamentale del sistema di welfare;Pag. 195
   nulla si dice inoltre riguardo alla previsione di specifiche iniziative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione che pesantemente colpisce questo settore, nonché alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale;
   è infine grave che non vi venga fatta menzione alle iniziative che dovrebbero essere messe da subito in atto per superare una criticità ormai non più tollerabile, ossia l'impossibilità del nostro servizio sanitario a garantire in tutte le strutture sanitarie del Paese, il pieno diritto delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza riconosciuto dalla legge n. 194 del 1978;
   ricordato che solo pochi giorni fa lo stesso Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa ha riconosciuto che l'Italia vìola i diritti delle donne che intendono interrompere la gravidanza, nonché i diritti degli stessi medici non obiettori di coscienza, costretti troppo spesso a sopperire alle carenze di organico dovuto alle elevate percentuali di medici obiettori,
   esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 196

ALLEGATO 4

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA DI PARERE DELLA RELATRICE

  La XII Commissione,
   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di Economia e Finanza (DEF) per l'anno 2016 (Doc. LVII n. 4, con Allegati e Annesso);
   rilevato che il DEF conferma le misure previste nel Patto per la salute, che ha definito il fabbisogno finanziario ed ha disciplinato alcune misure finalizzate ad una più efficiente programmazione del Servizio sanitario nazionale (SSN), al miglioramento dei servizi ed all'appropriatezza delle prestazioni;
   rilevato altresì che, per quanto attiene al settore della sanità, nel Programma nazionale di riforma (PNR) si attribuisce un'importanza centrale al tema della sostenibilità finanziaria del SSN nel medio e lungo periodo, in relazione alle esigenze di efficientamento e di armonizzazione della spesa pubblica;
   rilevato che, per quanto riguarda le misure per il contenimento della spesa per il SSN, il Patto per la salute e la successiva legge di stabilità per il 2016 rimandano ad ulteriori interventi legati anche al contributo aggiuntivo delle regioni e delle province autonome che esse devono assicurare alla finanza pubblica, determinati poi con l'Intesa del 11 febbraio 2016 in sede di Conferenza Stato-Regioni;
   osservato che, poiché nelle previsioni l'aumento relativo alla spesa sanitaria è dell'1,5 per cento e quello del PIL nominale è del 2,8 per cento, il rapporto PIL/spesa sanitaria sarebbe nel 2018 del 6,5 per cento, ciò che porta a segnalare una preoccupazione per un valore che risulterebbe sottostimato rispetto agli standard europei;
   evidenziato che il Governo segnala di avere in corso la definizione e l'approvazione del regolamento per la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e apprezzato altresì l'impegno per l'efficientamento della spesa sanitaria e il lavoro profuso dal Governo e dalle regioni per l'applicazione di strumenti innovativi come il fascicolo elettronico, i costi standard, le centrali uniche di acquisto;
   evidenziato, inoltre, che tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 sono inclusi quelli concernenti il cosiddetto «Dopo di noi» (A.S. 2232), la responsabilità professionale del personale sanitario (A.S. 2224), la riforma del Terzo settore (A.C. 2617-B), e il cosiddetto «Social act», recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (A.C. 3594);
   rilevata l'assenza nel DEF di specifiche iniziative in materia di bonifica dell'amianto, considerata l'estrema rilevanza che esse assumono per la tutela della salute, nonché di interventi per fare fronte alle richieste di indennizzi da parte dei soggetti danneggiati da trasfusione con emoderivati, anche tenuto conto delle recenti sentenze adottate sul tema,
   esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   si provveda a segnalare l'esigenza di sottoporre al vaglio del Parlamento la Pag. 197determinazione dell'entità delle risorse da erogare al Servizio sanitario nazionale in sede di approvazione della legge di stabilità, senza rinviarla alle intese in sede di Conferenza Stato-regioni, anche in considerazione della nuova ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in materia di salute, prevista dal disegno di legge di riforma costituzionale;
   si segnali la necessità di un'adeguata previsione della spesa sanitaria in relazione agli improcrastinabili rinnovi contrattuali nel settore nonché di un'accurata revisione dei vincoli vigenti sulla spesa e sulla dotazione del personale, introducendo elementi di graduale flessibilità, a partire dal superamento del tetto di spesa, in modo da favorire il superamento della precarietà del personale e lo sblocco del turn over;
   si segnali l'opportunità di inserire nel DEF, tra gli interventi da realizzare, l'adozione del Piano nazionale amianto;
   si segnali la necessità di provvedere ad un piano di interventi volto a fare fronte alle richieste di indennizzi da parte dei soggetti danneggiati da trasfusione con emoderivati, anche tenuto conto delle recenti sentenze adottate sul tema.

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ALLEGATO 5

5-06240 D'Arienzo: Iniziative volte a fare chiarezza sulla gestione dell'Ente nazionale sordi (ENS).

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'On. D'Arienzo – con il presente atto parlamentare – richiama l'attenzione sulla situazione dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi (E.N.S.).
  Al riguardo, è opportuno chiarire, in via preliminare, che i bilanci 2006-2010, oggetto dell'indagine della Corte dei conti, fanno riferimento a un periodo precedente a quello in cui la vigilanza sull'E.N.S è stata trasferita al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in conformità a quanto disposto dall'articolo 7, comma 9-ter, del decreto-legge n. 101 del 2013 (come convertito dalla legge n. 125 del 2013). La medesima disposizione normativa ha trasferito al Ministero del lavoro e delle politiche sociali anche la vigilanza sulla Unione Nazionale Mutilati per Servizio (U.N.M.S.) e sulla Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi civili (A.N.M.I.). Pertanto, nel periodo dal 2006 al 2010, il Ministero che rappresento non possedeva specifiche competenze in materia di vigilanza sull'E.N.S..
  Per quanto concerne il contributo finanziario erogato annualmente dal Ministero che rappresento all'E.N.S., a ciascuna delle predette associazioni, nonché all'Unione Italiana Ciechi (U.I.C.) e all'Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi per Lavoro (A.N.M.I.C.), faccio presente che l'importo destinato a ciascun ente ammontava, negli scorsi anni, a euro 516.000.
  Inoltre, al fine di accertare il regolare utilizzo del predetto contributo, il Ministero che rappresento, nel periodo 2013-2014, ha effettuato una serie di verifiche amministrativo-contabili nei confronti di alcune associazioni, tra cui l'E.N.S.. In particolare, dall'esame dei rendiconti predisposti dall'E.N.S. per le annualità dal 2008 al 2011 non sono emerse irregolarità nell'utilizzo delle risorse erogate.
  E ancora, fin dal secondo semestre del 2014, il Ministero che rappresento ha promosso una serie di incontri con gli attuali vertici dell'E.N.S. al fine di analizzare le principali questioni attinenti alla gestione e al funzionamento dell'Ente, traendo anche spunto da quanto evidenziato dalla Corte dei conti nella propria relazione.
  Nel corso di tali incontri, è emerso che l'attuale Presidenza dell'E.N.S., anche sulla base dei rilievi mossi dalla Corte, ha avviato una incisiva revisione delle modalità gestionali dell'Ente che in passato avevano determinato disfunzioni sul piano gestionale e finanziario. La Presidenza, inoltre, si è impegnata a rafforzare il monitoraggio e a risanare gradualmente la situazione economica dell'E.N.S., anche attraverso una più attenta programmazione delle spese.
  Peraltro, dai bilanci consuntivi, relativi alle annualità 2013 e 2014, non sono emerse le condizioni richieste dalla vigente normativa (articolo 15, comma 1-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011) per disporre il commissariamento dell'Ente, ovvero la mancata approvazione del bilancio o il disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi.
  Dal rendiconto gestionale emerge, infatti, un risultato economico-gestionale positivo che, per il 2014, risulta incrementato rispetto a quello dell'annualità precedente con una inversione della tendenza al disavanzo riscontrata nei bilanci relativi agli Pag. 199anni 2008-2010. E ciò benché i relativi risultati non siano pienamente confrontabili considerato l'avvenuto passaggio da parte dell'E.N.S., a partire dal 2012, dalla redazione del bilancio secondo il criterio di cassa (tipico degli enti e organismi pubblici) a quello secondo la competenza economica, in conformità alle disposizioni civilistiche e alle Linee guida a suo tempo emanate dall'ex Agenzia per il terzo settore.
  Inoltre – nel constatare che il citato decreto-legge n. 101 del 2013 non aveva previsto alcuna modalità concreta attraverso cui esercitare, con la necessaria continuità ed efficacia, i predetti compiti di vigilanza – il Ministero che rappresento, in vista del congresso nazionale dell'E.N.S.. ha richiesto ai vertici dell'Ente l'adozione di alcune modifiche statutarie volte a renderne più efficace e concreto il controllo.
  Aderendo a tali richieste e raccogliendo l'approvazione del Congresso nazionale, l'Ente ha modificato la composizione del Collegio Centrale dei Sindaci, prevedendo al suo interno la presenza obbligatoria di 2 rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È stata, quindi, recentemente formalizzata la designazione dei due componenti individuati in rappresentanza di questo Ministero.
  Per quanto riguarda le associazioni costituitesi per distacco dall'E.N.S., gli strumenti di sostegno previsti dalla legislazione vigente sono aperti a tutti i soggetti che presentino domanda e siano in possesso dei requisiti previsti. Tali strumenti, in particolare, si sostanziano nella concessione di contributi in favore delle cd. «associazioni di promozione sociale non storiche» a valenza nazionale – previsti dalle leggi nn. 476 del 1987 e 438 del 1998 – e nel finanziamento dei progetti di cui all'articolo 12 della legge n. 383 del 2000 relativa alle associazioni di promozione sociale.
  Tra i soggetti beneficiari risultano attualmente numerose associazioni rappresentative di varie categorie di persone con disabilità, tra cui anche quella dei sordi: a titolo meramente esemplificativo si può citare la FIADDA Onlus, Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti delle persone Audiolese, già risultata assegnataria di contributi ai sensi delle citate leggi n. 476 del 1987 e n. 438 del 1998.
  Da ultimo, tengo a precisare che la revisione della disciplina attuale in materia di contributi statali alle associazioni a carattere nazionale – che attualmente riserva una quota di risorse all'ENS, nonché all'U.N.M.S., all'A.N.M.I.C., all'U.I.C. e all'A.N.M.I.L – potrà essere realizzata mediante un apposito intervento normativo da adottarsi anche nell'ambito di quanto previsto dal disegno di legge delega in materia di riforma del Terzo Settore, recentemente approvato al Senato.

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ALLEGATO 6

5-07083 Bechis: Monitoraggio sui casi di collocamento dei minori in strutture residenziali.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto parlamentare dell'On. Bechis – inerente Monitoraggio sui casi di collocamento dei minori in strutture residenziali – faccio presente quanto segue.
  Premetto che l'inserimento dei minori in strutture residenziali rientra nei profili di competenza del Tribunale per i Minorenni, che è coadiuvato dai Servizi Sociali del territorio, e che, pertanto, il Ministero che rappresento non è legittimato ad entrare nel merito delle scelte adottate in autonomia dai predetti organi.
  Il Ministero che rappresento, per svolgere il monitoraggio annuale sui minorenni fuori dalla famiglia d'origine, si avvale del Centro Nazionale di Analisi d'Infanzia e Adolescenza con il supporto dell'Istituto degli Innocenti (IDI).
  I dati relativi ai minorenni fuori della famiglia d'origine della provincia autonoma di Trento sono stati forniti dalla provincia medesima, nell'ambito del monitoraggio annuale.
  In particolare, dai predetti dati risulta che i minori in affidamento familiare sono stati:
   106 nel 2012;
   113 nel 2013;
   107 nel 2014.

  I minori accolti nelle comunità residenziali invece sono stati:
   214 nel 2012;
   185 nel 2013;
   200 nel 2014.

  Per quanto riguarda i finanziamenti provinciali finalizzati agli inserimenti di minori in comunità, la provincia di Trento ha reso noto che per l'anno 2013 la spesa ammonta a circa 8 milioni di euro, mentre per l'anno 2014 è di circa 7 milioni di euro.
  Dai dati dell'ultimo monitoraggio del 31 dicembre 2012 è emerso che i bambini accolti nelle strutture residenziali sono stati 14.255, mentre quelli in affidamento familiare sono stati 14.194. per un totale di 28.449 in tutto il territorio nazionale.
  Per quanto riguarda la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per i finanziamenti relativi ai collocamenti residenziali, gli ultimi dati Istat disponibili (anno 2012) rilevano una spesa complessiva:
   di circa 260 milioni di euro, per prestazioni residenziali (per circa 18.000 utenti);
   di circa 278 milioni di euro, per le strutture residenziali (per 18.247 utenti) e con una spesa media per utente di circa 15.000 euro.

  Ricordo inoltre che, a sostegno delle famiglie «fragili», è stato avviato il Programma di Intervento per la Prevenzione della Istituzionalizzazione (PIPPI).
  Il suddetto Programma – promosso nel 2010 e proposto come sperimentazione pilota a tutte le 15 città «riservatarie» ai sensi della legge n. 285 del 1997 – è il risultato di una collaborazione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dell'Università di Padova e i servizi sociali.Pag. 201
  Esso mira a creare un raccordo tra istituzioni diverse (Ministero, Università, Comuni) che condividono la stessa mission di promozione del bene comune al fine di ridurre il numero dei bambini allontanati dalle famiglie.
  Il Programma, inoltre, persegue la finalità di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie cosiddette «negligenti» al fine di ridurre il rischio di maltrattamento e il conseguente allontanamento dei bambini dal nucleo familiare d'origine.
  Preciso, altresì, che, con il decreto direttoriale n. 78 del 7 agosto 2015, il Ministero che rappresento ha emanato le Linee Guida per la presentazione, da parte di regioni e province autonome, di proposte di adesione alla sperimentazione del modello di intervento PIPPI.
  Da ultimo, voglio ricordare il IV Piano Nazionale di Azione e di Interventi per la Tutela dei Diritti e lo Sviluppo dei Soggetti in Età Evolutiva, già approvato dall'Osservatorio Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza durante la seduta plenaria del 28 luglio 2015, che ha già ricevuto parere favorevole dall'Autorità Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza e della Commissione Parlamentare per l'Infanzia, nonché quello della Conferenza Unificata.
  Nel predetto Piano è previsto come parte integrante anche il Piano Nazionale di Prevenzione e contrasto dell'abuso dello sfruttamento sessuale dei minori, all'interno del quale vi è una specifica sezione denominata: «Sostegno alla genitorialità, sistema integrato dei servizi e sistema dell'accoglienza» che prevede tre azioni che hanno come obiettivo generale il riordino e la qualificazione del sistema di accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia d'origine. In particolare:
   la prima azione ha come obiettivo specifico la promozione della qualità e della appropriatezza degli interventi per i minori allontanati dalla propria famiglia;
   la seconda azione ha come obiettivo specifico la creazione di una banca dati comune sui minorenni collocati in comunità;
   la terza ed ultima azione ha come obiettivo specifico il riordino delle tipologie delle comunità di accoglienza dei minorenni e l'individuazione dei requisiti di livello nazionale.

  A tal fine, il Ministero che rappresento, il 6 marzo 2015, ha avviato un Tavolo tecnico, istituito con decreto direttoriale del 27 gennaio 2015 al fine di redigere le Linee di indirizzo per la regolamentazione delle strutture d'accoglienza dei minori, tenendo conto del ruolo delle regioni che al momento si occupano della programmazione e dei comuni che gestiscono tali strutture. L'obiettivo generale di tale strumento è quello di stabilire, a livello nazionale, dei criteri comuni da cui far discendere le regolamentazioni delle comunità e di essere utilizzato da tutti gli attori istituzionali coinvolti nella regolamentazione e nel monitoraggio. Le successive linee di intervento prevedono:
   1) l'istituzione in ogni regione di un Tavolo permanente sui minorenni fuori famiglia con funzioni di raccordo delle politiche, di coordinamento degli interventi e di monitoraggio e verifica degli esiti;
   2) l'istituzione di un tavolo interistituzionale per il raccordo tra le azioni proposte dal Ministero dell'interno alle Regioni e agli enti locali, in collaborazione con il Terzo Settore, con il Volontariato e con l'Associazionismo, in materia di minorenni non accompagnati, finalizzato a coniugare le istanze di protezione con le caratteristiche e i requisiti delle comunità e a garantire nei confronti di questi ragazzi il principio di non discriminazione;
   3) l'effettivo svolgimento dei compiti di vigilanza e controllo, previsti dalla normativa vigente su tutte le realtà di accoglienza, ricercando soluzioni e pratiche integrate e attente, oltre che ai requisiti strutturali, a quelli organizzativi e professionali, alla dimensione pedagogica e relazionale nonché alla qualità dei percorsi educativi e di crescita.