CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 6 luglio 2021
618.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
ALLEGATO
Pag. 188

ALLEGATO 1

Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali (Testo base C. 3179 Meloni e abb.).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea),

   esaminato il testo della proposta di legge AC. 3179 Meloni e abb., recante «Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali», adottata come testo base dalla II Commissione giustizia in data 29 giugno 2021;

   preso atto che la proposta di legge, composta di 10 articoli, interviene sull'ambito applicativo della disciplina vigente dell'equo compenso per le prestazioni professionali, ampliandolo; integra il codice civile, introducendovi la disciplina della nullità delle clausole che prevedono un compenso per il professionista inferiore a determinati parametri, nonché la disciplina delle clausole definite per legge vessatorie; interviene sulla rideterminazione giudiziale del compenso non equo e sul regime delle impugnazioni; prevede la possibilità che il parere di congruità del compenso emesso dall'ordine o dal collegio professionale acquisti l'efficacia di titolo esecutivo; consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell'ordine e infine istituisce, presso il Ministero della giustizia, l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso;

   considerato, in particolare, che il comma 1 dell'articolo 2 definisce l'ambito di intervento della proposta di legge circoscrivendolo al compenso del professionista in relazione a tutte le attività professionali che: trovano fondamento in convenzioni; sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro; il comma 3, inoltre, dispone l'applicazione della disciplina dell'equo compenso alle prestazioni rese dal professionista anche nei confronti della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione;

   considerato altresì che il successivo articolo 3 disciplina la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali, integrando a tal fine con diversi commi l'articolo 2233 del codice civile, che detta la disciplina del compenso nelle professioni intellettuali; in particolare, si prevede, con l'inserimento del nuovo comma quarto dell'articolo 2233 c.c, la nullità delle clausole che non stabiliscono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, con riguardo anche ai costi sostenuti dal prestatore d'opera, specificando altresì che sono nulle le pattuizioni di un compenso inferiore: agli importi stabiliti dai parametri o dalle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale; ai parametri determinati con decreto ministeriale, per la professione forense; il medesimo articolo 3, inoltre, integra l'articolo 2233 c.c. (commi da ottavo a dodicesimo) qualificando come vessatorie alcune clausole che, laddove inserite nelle convenzioni tra cliente e professionista, sono da considerarsi nulle con presunzione di carattere assoluto operante anche quando il contenuto della clausola sia stato oggetto di specifica trattativa;

   rilevato che le citate proposte di modifica al codice civile sono destinate ad avere una portata generale e dunque a trovare applicazione per tutte le prestazioni d'opera intellettuale, andando pertanto Pag. 189 oltre l'ambito applicativo della proposta di legge che ai sensi del citato articolo 2 viene invece riferito ai rapporti professionali con contraenti cosiddetti «forti» basati su convenzioni;

   considerato, per i profili di competenza, che in materia di compensi per le prestazioni professionali, l'ordinamento dell'Unione europea e in tale ambito i principi di tutela della concorrenza per il corretto funzionamento del mercato interno, di libertà di stabilimento dei prestatori e di libera circolazione dei servizi, delineano un quadro composito dei limiti cui è sottoposto in materia il legislatore nazionale, in base al quale in linea generale la previsione di tariffe minime e massime nello svolgimento delle libere professioni è ammessa soltanto per motivi imperativi di interesse generale e nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità; in questo senso dispone l'articolo 15 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, che al paragrafo 2 impone agli Stati membri di verificare «se il loro ordinamento giuridico subordina l'accesso a un'attività di servizi o il suo esercizio al rispetto di requisiti non discriminatori», tra cui sono indicate le «tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare» (lettera g)), e al paragrafo 3 dispone che gli Stati membri debbano verificare che i citati requisiti «soddisfino le condizioni seguenti: a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell'ubicazione della sede legale; b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale; c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato»; ai sensi del paragrafo 6 del medesimo articolo 15 della direttiva, «a decorrere dal 28 dicembre 2006 gli Stati membri possono introdurre nuovi requisiti quali quelli indicati al paragrafo 2», tra cui l'introduzione di tariffe minime e massime, «soltanto quando essi sono conformi alle condizioni» citate di cui al paragrafo 3;

   ricordato che in materia di compensi per le prestazioni professionali è intervenuta la Corte di Giustizia dell'Unione europea, da ultimo nella sentenza del 4 luglio 2019, caso C-377/17, la quale ha ritenuto che la Repubblica federale di Germania, avendo mantenuto tariffe obbligatorie per i servizi di progettazione degli architetti e degli ingegneri, sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 49 del TFUE, nonché dell'articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della citata direttiva 2006/123/CE; nello specifico, la Corte ha osservato che le tariffe in causa per essere conformi agli obiettivi di tale direttiva, avrebbero dovuto soddisfare le tre citate condizioni contenute al paragrafo 3 dell'articolo 15 della direttiva medesima, ovvero essere non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale. La Corte, nel caso di specie, ha ritenuto che le tariffe obbligatorie previste in Germania per i servizi di progettazione degli architetti e degli ingegneri violino il suddetto articolo 15 della direttiva 2006/123/CE, in quanto non idonee a perseguire in modo coerente e sistematico i «motivi imperativi di interesse generale» addotti dalla Germania, quali la garanzia dell'elevata qualità delle prestazioni professionali e la tutela dei consumatori;

   considerato, in particolare, che in base alla summenzionata pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea, «non si può escludere a priori che la fissazione di una tariffa minima consenta di evitare che i prestatori non siano indotti, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell'offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti (v., in tal senso, sentenza del 5 Pag. 190dicembre 2006, Cipolla e a., C-94/04 e C-202/04, EU:C:2006:758, punto 67)»; e che pertanto, in alcuni contesti di mercato, «l'imposizione di tariffe minime può essere idonea a contribuire a limitare» il predetto rischio di una concorrenza che può tradursi nell'offerta di prestazioni al ribasso, «impedendo che le prestazioni siano offerte a prezzi insufficienti per garantire, a lungo termine, la qualità delle stesse» (punti 81 e 82 della sentenza); ai fini della valutazione della compatibilità comunitaria delle fattispecie oggetto della proposta di legge, va dunque rilevato che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia Ue, «una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito solo se risponde realmente all'intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico» (punto 89); l'argomento dirimente che ha condotto alla citata sentenza di condanna è infatti rinvenibile, con riguardo alla fissazione di tariffe minime per le prestazioni professionali, nella «incoerenza nella normativa tedesca rispetto all'obiettivo di preservare un livello di qualità elevato delle prestazioni di progettazione perseguito dalle tariffe minime» (punto 92), atteso che nella Repubblica federale di Germania «le prestazioni di progettazione non sono riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali e che anche altri prestatori di servizi che non siano architetti e ingegneri, non soggetti a regolamentazioni professionali, possono fornire tali prestazioni» (punto 91); la Corte ha pertanto dovuto «constatare che la Repubblica federale di Germania non è riuscita a dimostrare che le tariffe minime previste (...) sono idonee a garantire il conseguimento dell'obiettivo consistente nel garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione e ad assicurare la tutela dei consumatori»;

   ricordato altresì che in data 22 novembre 2017 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 22 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, ha deliberato l'invio di una segnalazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto alcune disposizioni previste nel decreto-legge n. 148 del 2017 e nel relativo disegno di legge di conversione dello stesso, segnalando la contrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dall'articolo 19-quaterdecies in tema di «equo compenso» per le professioni, che ha introdotto il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle. Secondo l'Autorità, la disposizione, nella misura in cui collega l'equità del compenso a parametri tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l'effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti cosiddetti «forti» e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione. L'Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. L'Autorità ha quindi concluso che «l'articolo 19-quaterdecies in quanto idoneo a reintrodurre nell'ordinamento un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all'intero settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale, oltre a porsi in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle professioni regolamentate»;

   considerato che le modifiche alla disciplina vigente sull'equo compenso delle prestazioni professionali volte ad estenderne la portata debbono tener conto del divieto alle restrizioni e limitazioni della libera prestazione dei servizi di cui all'articolo 56 del TFUE e della libertà di stabilimento Pag. 191 di cui all'articolo 49 del TFUE, nonché di quanto previsto dalla citata direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno;

  esprime, per quanto di competenza,

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:

   1) provveda la Commissione di merito, per le ragioni esposte in premessa, a verificare ed eventualmente indicare, con riferimento alle modifiche al codice civile disposte dall'articolo 3, la sussistenza delle condizioni di non discriminazione, necessità e proporzionalità, richieste dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, ed esplicitate all'articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, precisando altresì i motivi imperativi di interesse generale posti a fondamento dell'intervento;

   2) si provveda in ogni caso a coordinare la disciplina prevista per tutte le prestazioni d'opera intellettuale dal citato articolo 3 con quanto previsto in ordine all'ambito applicativo della proposta di legge ai sensi dell'articolo 2;

  e la seguente osservazione:

   in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, valuti la Commissione di merito l'esigenza di determinare l'estensione della disciplina sull'equo compenso in modo coerente ed organico rispetto alla natura e alla tipologia delle prestazioni professionali oggetto della proposta di legge, in tal modo dimostrando la volontà di perseguire in modo sistematico l'obiettivo di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi resi e la tutela dei consumatori, qualificabile come motivo imperativo di interesse generale ai sensi della stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

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ALLEGATO 2

Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale (Nuovo testo C. 522 Ciprini e abb.).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XIV Commissione,

   esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 522 Ciprini e abb. recante «Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale»;

   apprezzate le finalità del progetto di legge, volto a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a promuovere la parità retributiva tra i sessi, attraverso la previsione di misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro e di nuove modalità per la redazione da parte delle aziende del Rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, nonché la definizione di una procedura per acquisire, da parte delle aziende pubbliche e private, una certificazione della parità di genere, cui sono connessi benefici contributivi;

   ricordato che il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego è alla base della normativa europea, essendo affermato dall'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e dall'articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e che la sua attuazione è stato oggetto della direttiva 2006/54/CE, attuata a livello nazionale dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, che ha apportato modifiche al Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198);

   ricordato inoltre che, stante il perdurante divario retributivo di genere (gender pay gap) e delle differenze nei livelli occupazionali di uomini e donne, l'Unione europea ha adottato ulteriori iniziative in materia, tra cui, nel 2014 la raccomandazione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza, la quale fornisce agli Stati membri orientamenti che li aiutino a garantire un'applicazione migliore e più efficace del principio della parità retributiva, nonché, nell'anno in corso, la Proposta di direttiva (COM(2021)93), volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi;

   sottolineato che le tematiche oggetto del provvedimento sono strettamente correlate con una delle principali finalità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), orientato a perseguire un maggiore coinvolgimento della forza lavoro femminile nello sviluppo della crescita del Paese, come si evince anche da alcune specifiche disposizioni di attuazione della Governance del PNRR, tra cui, in particolare, l'articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, il quale, nell'ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari, prevede l'adempimento di specifici obblighi, anche assunzionali, nonché l'eventuale assegnazione di un punteggio aggiuntivo all'offerente o al candidato che rispetti determinati requisiti volti a favorire l'occupazione femminile e giovanile;

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   valutato che, rispetto alle richiamate finalità del PNRR, il provvedimento, in quanto finalizzato a promuovere una cultura aziendale orientata alla parità di genere, appare porsi in una posizione funzionale;

   osservato, peraltro, che fenomeni di discriminazione di genere non sono una prerogativa specifica del settore aziendale, risultando presenti anche nell'Amministrazione pubblica, nella quale risulterebbe pertanto opportuno promuovere ulteriormente, apportando opportune integrazioni alla disciplina prevista dall'articolo 48 del Codice per le pari opportunità, l'adozione di pratiche e politiche volte ad assicurare un trattamento paritario dei lavoratori di entrambi i sessi, nonché la diffusione di strumenti di conciliazione tra vita e lavoro che abbiano dato prova di aumentare anche la produttività, tra i quali può essere ricompreso anche il lavoro a distanza,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente osservazione:

   valuti la Commissione di merito, per le ragioni espresse in premessa, l'opportunità di estendere anche alle pubbliche amministrazioni, l'obbligo, previsto dal provvedimento per le aziende pubbliche e private, di redigere, oltre ai piani di azione triennali attualmente previsti dall'articolo 48 del Codice per le pari opportunità, anche il Rapporto sulla parità di genere volto a verificare, a consuntivo, l'effettiva adozione delle azioni incluse nei predetti piani e la loro efficacia; valuti inoltre la Commissione di merito l'opportunità di estendere alle Amministrazioni pubbliche la facoltà di accedere a forme di certificazione della parità di genere, nonché l'opportunità di introdurre misure volte a promuovere ulteriormente, nel medesimo ambito delle Amministrazioni pubbliche, la diffusione di strumenti di conciliazione tra vita e lavoro, individuando modalità per misurarne l'apporto in termini di miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia del lavoro pubblico e di inclusione dei lavoratori e delle lavoratrici gravati da oneri di cura familiare.