CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 30 settembre 2020
444.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
ALLEGATO

ALLEGATO

Programma di lavoro della Commissione per il 2020 – Un'Unione più ambiziosa (COM(2020)37 final).

Programma di lavoro adattato 2020 della Commissione (COM(2020)440 final).

Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2020. Doc. LXXXVI, n. 3.

NUOVA PROPOSTA DI RELAZIONE FINALE PER L'ASSEMBLEA APPROVATA DALLA COMMISSIONE

Premessa

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea ha svolto l'esame congiunto della «Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2020 (Doc. LXXXVI, n. 3)», del «Programma di lavoro della Commissione per il 2020 – Un'Unione più ambiziosa (COM(2020)37 final)» e del «Programma di lavoro adattato 2020 della Commissione (COM(2020)440 final)».
  Tutte le Commissioni permanenti, nonché il Comitato per la legislazione, per i profili ricadenti nell'ambito delle rispettive competenze, hanno espresso i pareri dei quali si dà conto in questa relazione.
  In via preliminare, si sottolinea come l'esame dei documenti in oggetto rivesta quest'anno una rilevanza particolare, non solo in ragione del mutato quadro politico e programmatico derivante dal rinnovo del Parlamento europeo e dell'insediarsi della nuova Commissione europea, ma anche e soprattutto in virtù dell'avvento della crisi per la pandemia del Covid-19, che ha indotto per la prima volta la Commissione, il 27 maggio scorso, a modificare il suo programma di lavoro contestualmente all'adozione di un vasto e articolato piano per la ripresa europea, illustrato nella Comunicazione «Il momento dell'Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione» (COM(2020)456).
  Anche alla luce di tali eccezionali circostanze, la XIV Commissione ha inteso avviare un ciclo di attività istruttorie supplementari, attraverso lo svolgimento di una serie di audizioni informali di rappresentanti istituzionali nazionali ed europei, oltre che di autorevoli esperti ed esponenti del mondo accademico, volte ad acquisire elementi di conoscenza in ordine alle principali questioni concernenti le politiche europee.
  In particolare, la Commissione ha audito, nell'ordine: il professor Jean Paul Fitoussi; il professor Giulio Sapelli; il professor Antonio Tizzano; il professor Giulio Tremonti; il professor Lorenzo Codogno; il professor Sergio Fabbrini; il professor Carlo Cottarelli; il professor Enrico Giovannini; il Direttore dell'Agenzia per la coesione territoriale, Massimo Sabatini; la professoressa Mariana Mazzucato; il professor Alberto Quadrio Curzio; il professor Enzo Moavero Milanesi; il Coordinatore per gli Affari europei della Conferenza delle Assemblee regionali e Capo Delegazione italiana al Comitato europeo delle Regioni, Roberto Ciambetti; il professor Gaël Giraud; il Presidente del CER (Centro Europa ricerche), Vladimiro Giacché; il direttore del Center for European Policy Pag. 155Studies (CEPS) di Bruxelles, Daniel Gros; il professor Romano Prodi; la professoressa Paola Severino; il professor Vittorio Emanuele Falsitta; la professoressa Lucrezia Reichlin; il Direttore generale di Assonime, Stefano Micossi; la professoressa Antonella Stirati; il direttore del Centro studi Bruegel di Bruxelles, Guntram B. Wolff; la professoressa Donatella Di Cesare; la professoressa suor Alessandra Smerilli; il Vicepresidente della Banca europea degli investimenti (BEI) Dario Scannapieco; il Capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d'Italia, Eugenio Gaiotti e il Capo del Servizio Struttura economica del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone; il Vicepresidente della Commissione europea, incaricato delle relazioni interistituzionali e delle prospettive strategiche, Maros Sefcovic; il presidente dell'ISTAT, Gian Carlo Blangiardo; il Ministro dell'Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri; il Presidente della CONSOB, Paolo Savona; il Commissario europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni; il Presidente dell'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, Roberto Rustichelli; il Presidente dell'Agenzia nazionale del turismo, Giorgio Palmucci; il Vicepresidente esecutivo della Commissione europea sul Green Deal, Frans Timmermans; il Commissario della CONSOB e Presidente del Comitato per l'analisi economica e dei mercati dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), Carmine Di Noia; la Presidente della Cabina di Regia «Benessere Italia», istituita presso la Presidenza del Consiglio, Filomena Maggino; la dottoressa Maurizia Iachino Leto di Priolo, componente del Comitato di esperti in materia economica e sociale per la «Fase 2» istituito presso la Presidenza del Consiglio; la dottoressa Linda Laura Sabbadini, componente del Comitato di esperti in materia economica e sociale per la «Fase 2» istituito presso la Presidenza del Consiglio; il Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano e, infine, il Ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola.
  Attesa la mole e la rilevanza dei contributi forniti dai soggetti auditi, la presente relazione darà quindi conto anche degli esiti delle attività conoscitive svolte, con l'obiettivo di approfondire le principali questioni che nel mutato contesto della crisi pandemica devono essere affrontate dagli Stati membri e dalle Istituzioni europee e fornire in tal modo un contributo per la definizione di un quadro organico della politica europea del nostro Paese, nonché una base conoscitiva utile anche all'esame delle questioni connesse alla predisposizione, nell'ambito del nuovo programma Next Generation EU, del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza.

1. Gli effetti della pandemia del Covid-19.

  Il 29 gennaio 2020, prima del dilagare della crisi del Covid-19, la Commissione europea aveva presentato il programma di lavoro per il primo anno del suo mandato, che dettagliava, sviluppandole, le priorità delineate dalla Presidente Ursula von der Leyen negli Orientamenti politici per l'attività della Commissione europea negli anni 2019-2024, che si articolano in sei aree tematiche: 1. Un Green Deal europeo; 2. Un'Europa pronta per l'era digitale; 3. Un'economia al servizio delle persone; 4. Un'Europa più forte nel mondo; 5. Promuovere lo stile di vita europeo; 6. Un nuovo slancio per la democrazia europea.
  Queste priorità legislative per il 2020 – che sono state sostanzialmente confermate anche nel programma di lavoro adattato della Commissione seppur con una revisione della tempistica di alcune delle azioni proposte – si innestavano nel più ampio contesto del negoziato sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e dei negoziati per il nuovo accordo con il Regno Unito, nonché, più in generale, nel quadro di un processo volto, da un lato, ad orientare l'elaborazione delle politiche dell'Unione europea, in particolare nell'ambito del semestre europeo, sulla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, dall'altro a instaurare una relazione speciale Pag. 156con il Parlamento europeo in ordine alla relazione al quale la Commissione europea si è dichiarata a favore del riconoscimento di un diritto d'iniziativa.
  Com’è noto, lo scenario è cambiato radicalmente rispetto al momento della presentazione del programma della Commissione; nell'arco di alcune settimane, l'Europa e gli Stati membri, così come larga parte della Comunità internazionale, hanno dovuto reagire alla più grave emergenza sanitaria, economica e sociale sperimentata dopo la fine della seconda guerra mondiale, adottando provvedimenti senza precedenti per arginare la diffusione della pandemia e mitigare l'impatto della crisi ad essa conseguente su famiglie e imprese.
  Come sottolineato dal Ministro Amendola nel corso della sua audizione, l'avvento della pandemia ha con tutta evidenza messo sotto pressione elementi cruciali nella programmazione delle linee di azione per il 2020, come la libera circolazione delle persone, l'integrazione economica e il funzionamento del mercato unico.
  In questa difficile situazione, le Istituzioni dell'Unione europea hanno reagito tempestivamente adottando misure inedite per rispondere agli effetti immediati della crisi pandemica. Nel programma di lavoro adattato la Commissione ricorda, in particolare, come dall'inizio della crisi causata dalla esplosione della pandemia abbia adottato 291 tra decisioni e altri atti, la maggioranza dei quali non era prevista né figurava nel programma di lavoro originariamente presentato per l'anno in corso; nel frattempo, il numero tali atti è ulteriormente cresciuto e la stessa Commissione ha preannunciato che la programmazione legislativa dell'UE sarà integrata con le nuove proposte che la Presidente von der Leyen ha recentemente prospettato dinanzi al Parlamento europeo nel suo primo discorso sullo «Stato dell'Unione» e che diventeranno poi parte integrante del programma di lavoro della Commissione per il 2021.
  Prima di illustrare nei dettagli gli strumenti e le proposte elaborati in risposta all'emergenza epidemiologica è opportuno rilevare come nel corso delle audizioni svolte dalla XIV Commissione siano emersi importanti elementi che consentono di comprendere meglio la latitudine e gli impatti della pandemia sull'Unione europea e i suoi Stati membri.
  A tale riguardo è stato in particolare sottolineato (professoressa Smerilli) come l'Eurozona sia tra le aree più colpite dal COVID-19, che ha interessato un Continente già afflitto da un contesto macroeconomico fragile, caratterizzato da una crescita lenta e da una ripresa incompleta rispetto alla crisi finanziaria del 2008 in molti settori. L'eurozona nel suo complesso non è, infatti, tornata ai livelli del PIL antecedenti alla crisi del 2008 fino al 2014 e ha continuato in seguito a registrare risultati peggiori rispetto alla maggior parte dei principali blocchi economici. Nel 2019 i tassi di disoccupazione nell'Eurozona sono rimasti il doppio di quelli di Regno Unito e Stati Uniti e quasi tre volte superiori a quelli di Corea e Giappone. L'enorme numero di perdite di posti di lavoro aggraverà quindi una situazione già critica.
  La Commissione europea, nelle Previsioni economiche di estate 2020, pubblicate il 7 luglio, ha rivisto al ribasso le proprie stime di primavera, che già prefiguravano la peggiore recessione della storia dell'Eurozona, prevedendo che l'economia dell'area subirà una contrazione dell'8,7 per cento nel 2020, per poi crescere del 6,1 per cento nel 2021, mentre l'economia dell'UE si contrarrà dell'8,3 per cento nel 2020, per crescere del 5,8 per cento nel 2021. Il livello del prodotto in Italia è previsto scendere al –11,2 per cento nel 2020, per poi risalire al 6,1 per cento nel 2021: si tratta della peggiore performance dell'eurozona, con una recessione per l'anno in corso quasi doppia rispetto a quella stimata per la Germania (-6,3 per cento), ancorché solo lievemente superiore a quella di Paesi come la Spagna (-10,9 per cento) e la Francia (-10,6 per cento).
  Tale sensibile peggioramento delle prospettive, avvenuto nonostante la risposta Pag. 157politica rapida registrata sia a livello dell'UE che a livello nazionale, riflette un impatto economico delle misure di confinamento adottate più grave di quanto inizialmente previsto.
  La Commissione evidenzia, inoltre, come lo shock subito dall'economia dell'UE sia simmetrico, in quanto la pandemia ha colpito tutti gli Stati membri, ma sia il calo della produzione nel 2020 quanto il ritmo della ripresa nel 2021 saranno caratterizzati da notevoli differenze: le differenze a livello di entità dell'impatto della pandemia e di rapidità del recupero nei diversi Stati membri saranno infatti ancora più pronunciate rispetto a quanto previsto in primavera e i rischi che gravano sulle previsioni sono eccezionalmente elevati ed orientati in generale verso un peggioramento, salvo che la disponibilità in tempi rapidi di un vaccino contro il coronavirus consenta in futuro una revoca più veloce, rispetto a quanto ipotizzato, delle restrizioni ancora in vigore.
  Come taluni hanno evidenziato nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione (dott. Giacché), per l'Italia nelle previsioni correnti sembra stemperarsi addirittura la consueta distinzione fra tempi di pace e di guerra, dal momento che la flessione prospettata per il 2020 sarebbe inferiore solo a quelle degli anni 1943-1945, in cui il conflitto mondiale si estese al territorio nazionale distruggendo la capacità produttiva. Nella sua profondità inusitata, la recessione in corso sarebbe riconducibile a cause del tutto particolari. La generalizzata contrazione della domanda non è, infatti, innescata da patologie di natura economica (accelerazione dell'inflazione, accumulo di disavanzi esteri, perdita di competitività, sopravvenute condizioni di insolvenza del debito sovrano, indisponibilità del credito bancario, etc.), bensì dai provvedimenti di distanziamento sociale e di blocco delle attività produttive adottati per favorire il rientro dell'emergenza sanitaria.
  I possibili scenari economici futuri sono stati valutati compiutamente anche dall'OCSE nell’Economic Outlook pubblicato il 10 giugno, in cui si stima anche l'impatto della crisi sull'economia nel caso in cui si verifichi una nuova ondata di contagi il prossimo autunno; in tal caso, si prevede per l'area dell'euro nel 2020 una contrazione del PIL dell'11,5 per cento e un tasso di disoccupazione del 10,3 per cento. Per l'Italia, l'OCSE prevede una riduzione del PIL nel 2020 dell'11,3 per cento; nel caso di una recrudescenza dell'epidemia, il PIL scenderebbe del –14 per cento.
  Secondo le stime rese note nell’Employment Economic Outlook 2020 del 7 luglio scorso, i posti di lavoro a rischio nell'area OCSE, a fine 2020, saranno oltre 31 milioni nello scenario migliore, cioè senza una seconda ondata di contagi, che salirebbero a 53 milioni nello scenario peggiore; sempre secondo l'OCSE, nei primi tre mesi dell'anno in corso l'Italia ha già perso circa 500 mila posti di lavoro e in caso di scenario favorevole nel 2020 il Paese perderà complessivamente 1.148.620 occupati rispetto al 2019, che potrebbero salire a 1.483.920 in caso di scenario avverso.
  Infine, nell'ultimo conto economico trimestrale dell'ISTAT (31 agosto 2020) si rileva che nel secondo trimestre del 2020 il PIL italiano è diminuito del 12,8 per cento rispetto al trimestre precedente e del 17,7 per cento nei confronti del secondo trimestre del 2019, a causa della caduta dei consumi e degli investimenti e della componente estera. Per quanto concerne il tasso di disoccupazione, i più recenti dati Eurostat (settembre 2020), evidenziano un costante aumento nell'UE negli ultimi mesi: è passato dal 6,7 per cento di aprile al 7,2 per cento di luglio (nell'eurozona dal 7,4 per cento al 7,9 per cento) e il trend è previsto in ulteriore peggioramento. In Italia, si sarebbe passati dal 7,3 per cento di aprile al 9,7 per cento di luglio.
  In questo quadro congiunturale avverso senza precedenti, al fine di evitare che da un fenomeno temporaneo come il Covid-19 derivi un abbassamento permanente del prodotto potenziale, da parte delle organizzazioni internazionali è emerso univoco l'appello ad orientare in Pag. 158senso marcatamente espansivo le politiche monetarie e di bilancio, ristorando le perdite subite da lavoratori e imprese a causa del blocco delle attività economiche. Ed è proprio in questo solco che si collocano le misure straordinarie adottate dall'UE per fronteggiare gli effetti del Coronavirus.

2. La risposta inedita delle Istituzioni dell'Unione europea.

  Le Istituzioni europee hanno reagito tempestivamente alla crisi pandemica con misure importanti e inedite, che hanno condotto per molti versi ad un radicale cambio di paradigma rispetto alla reazione, valutabile per molti aspetti lenta, inefficace e scarsamente solidale, adottata dall'Unione europea nelle precedenti crisi del 2008-2009 e del 2011-2012.
  La risposta dell'UE si è articolata in un primo momento sul piano della politica monetaria, cui hanno fatto ben presto seguito interventi sul piano ordinamentale e della governance economica tesi a privilegiare le esigenze di sostegno a famiglie e imprese attraverso i bilanci pubblici, mentre da ultimo è stato proposto un significativo potenziamento del bilancio a lungo termine dell'Unione.
  In particolare, la Banca centrale europea (BCE) è intervenuta per sostenere l'economia di fronte a uno shock senza precedenti, ampliando gli acquisti di titoli pubblici e privati sia attraverso un rafforzamento per 120 miliardi di euro del programma già esistente (Asset Purchase Programme, APP), sia mediante l'introduzione di un nuovo programma straordinario, destinato a fronteggiare le conseguenze della pandemia (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP), la cui dotazione complessiva ammonta, dopo le ultime decisioni di inizio giugno, a 1.350 miliardi, con durata prevista almeno sino a giugno 2021 e modalità di intervento assai più flessibili del precedente programma di « quantitative easing» avviato nel 2015.
  La Commissione europea, per parte sua, ha sfruttato le possibilità previste dall'ordinamento europeo per aumentare i margini di intervento dei singoli Paesi. In tale direzione: a) ha per la prima volta ritenuto sussistenti le condizioni previste dalla clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, che consente di deviare dal percorso di rientro verso l'obiettivo di bilancio di medio termine in presenza di una grave recessione; b) ha adottato un Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato, con il quale ha legittimato, fino al 31 dicembre 2020, alcune tipologie di aiuti di stato volte a consentire agli Stati membri interventi più ampi a favore dell'economia nel contesto dell'emergenza del coronavirus, allentando le condizioni per l'adozione di misure di sostegno, ivi compresi i salvataggi e l'ingresso dello Stato nel capitale di imprese in difficoltà; c) ha semplificato le regole per l'utilizzo dei fondi europei, consentendo agli Stati membri di richiedere un cofinanziamento dell'UE pari al 100 per cento per i programmi della politica di coesione, facilitando il trasferimento di risorse tra fondi e categorie di regioni e autorizzando la massima flessibilità per reindirizzare le risorse verso le zone più colpite dalla crisi, introducendo al contempo una specifica misura per rendere immediatamente disponibili le risorse residue del bilancio 2014-2020.
  Le ripercussioni della pandemia, che rappresenta uno shock esterno di grande portata, le cui conseguenze saranno protratte nel tempo, non possono essere affrontate in modo efficace solo con la politica monetaria o con le politiche dei singoli Paesi, ma richiedono anche una risposta di bilancio comune.
  In questa prospettiva, il punto di svolta si è registrato nel corso del Consiglio europeo del 23 aprile scorso, che ha identificato, con la piena condivisione di tutti gli Stati membri, la necessità e l'urgenza di un piano per la ripresa. Il Consiglio UE, i cui membri si sono riuniti più volte in videoconferenza durante l'emergenza, ha allora dato mandato alla Commissione europea di elaborare uno specifico piano per la ripresa e raggiunto al contempo un accordo su tre reti di sicurezza Pag. 159per lavoratori, imprese e sistemi sanitari nazionali volti a mobilizzare nell'immediato sino a 540 miliardi di euro a favore degli Stati membri, quali: a) l'istituzione di un nuovo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un'emergenza (temporary Support to mitigate Unemployment Risks in Emergency – SURE), con una dotazione di 100 miliardi di euro destinati a fornire agli Stati membri che ne faranno richiesta prestiti a lungo termine a tassi d'interesse contenuti a sostegno e integrazione dei fondi nazionali per la disoccupazione; b) la costituzione di un fondo di garanzia (Pan-european guarantee fund) gestito dalla Banca europea degli investimenti (BEI) a sostegno di 200 miliardi di nuovi prestiti e garanzie alle imprese; c) la previsione di una nuova linea di credito precauzionale del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), per le spese direttamente o indirettamente connesse con il contrasto alla pandemia (Pandemic Crisis Support), con ammontare totale fino a 240 miliardi e nel limite del 2 per cento del Prodotto interno lordo dello stato richiedente la misura di sostegno.
  Nella medesima prospettiva sopra richiamata di finanziare la ripresa economica attraverso uno sforzo di bilancio comune avente anche una chiara funzione anticiclica si colloca infine l'accordo sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e sull'associato programma Next Generation EU, raggiunto dopo oltre quattro giorni di riunione, nell'ambito del Consiglio europeo che si è svolto dal 17 al 21 luglio. La Commissione ha presentato le sue proposte aggiornate il 27 maggio scorso, allo scopo di aumentare la resilienza degli Stati membri e riavviare l'economia europea, nel presupposto che i benefici che ne deriveranno andranno a vantaggio di tutti, evitando distorsioni permanenti del mercato interno e un aumento delle divergenze negli standard di vita tra i cittadini europei.
  L'accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo prevede una dotazione di bilancio di 1074,3 miliardi di euro per il periodo 2021-27, a cui si sommerebbe la dotazione, pari a 750 miliardi di euro, del nuovo strumento Next Generation EU, destinato a sostenere, attraverso un mix di sovvenzioni (per 390 miliardi di euro) e prestiti (per 360 miliardi), la ripresa degli Stati membri e a «investire in un'Europa verde, digitale e resiliente».
  Le risorse del nuovo strumento saranno reperite grazie all'innalzamento temporaneo del massimale delle risorse proprie al 2 per cento del reddito nazionale lordo dell'UE, che consentirà alla Commissione, forte del suo elevato rating creditizio, di contrarre per la prima volta sui mercati finanziari prestiti di così ampia portata a condizioni vantaggiose.
  I fondi raccolti per il finanziamento di Next Generation EU attraverso l'emissione di debito comune, la cui restituzione inizierebbe a partire dal 1o gennaio 2027 (e non dal 2028 come proposto dalla Commissione europea), saranno utilizzati sulla base di alcune tipologie di intervento, la più importante e innovativa delle quali è il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility), che, con una dotazione finanziaria di 672,5 miliardi di euro, prevede la concessione di 312,5 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti.
  Prima di esaminare in modo approfondito gli strumenti adottati a livello europeo e le loro ripercussioni per l'Italia, appare utile evidenziare come nel corso delle audizioni svolte dalla XIV Commissione siano emerse in modo nitido le radicali differenze nell'approccio adottato dall'Unione europea nel contesto attuale rispetto alle precedenti crisi economiche-finanziarie che hanno colpito il Continente; un approccio assai più solidaristico, orientato da una visione comune e supportato da strumenti innovativi di bilancio di grande portata e suscettibili di offrire, in prospettiva, un nuovo slancio al processo di integrazione.
  In particolare, nel corso delle audizioni è stato ben posto in evidenza (prof. Cottarelli) come, diversamente da quanto accaduto in questa occasione attraverso l'attivazione della clausola che ha consentito la sospensione dell'aggiustamento di bilancio Pag. 160richiesto dal Patto di Stabilità e Crescita, nella crisi del 2008-2009 i vincoli sul livello del deficit e del debito non furono affatto sospesi: nei confronti di quasi tutti i Paesi fu addirittura avviata una procedura per disavanzo eccessivo, anche se fu in pratica un pro forma, mentre la successiva crisi del 2011-12 fu invece l'occasione per introdurre nuove e, in parte, più rigorose regole fiscali, anche se alcune di queste entrarono in vigore solo successivamente.
  In secondo luogo, nelle due precedenti crisi non furono previsti meccanismi di finanziamento comune di maggiori deficit pubblici degli Stati membri; forme di prestiti in comune furono limitati al finanziamento del Meccanismo Europeo di Stabilità e del suo predecessore, il FESF, ma questi organismi raccoglievano finanziamenti per erogare prestiti di emergenza a Paesi che avevano perso l'accesso al mercato e che avrebbero dovuto ridurre il proprio deficit pubblico, non aumentarlo come, invece, si prevede in queste fase attraverso il ricorso a nuovi strumenti messi celermente a disposizione degli Stati membri, quali il fondo SURE e la nuova linea di credito del MES, cui si aggiungono il rafforzamento dei prestiti BEI e il nuovo programma Next Generation EU, che prevede un mix di prestiti e sussidi collegati al nuovo bilancio europeo a lungo termine le cui risorse necessarie saranno reperite attraverso il ricorso al mercato dei capitali da parte della Commissione europea in nome e per conto dell'Unione.
  In terzo luogo, nonostante una breve esitazione iniziale, anche la risposta adottata dalla UE sul piano della politica monetaria si è rivelata rapida ed incisiva, attraverso un'ampia azione espansiva della Banca centrale europea che si è ben presto dichiarata pronta ad aumentare i propri interventi per importi e durata grandi quanto necessario a superare la fase avversa.
  Di contro, va osservato che nella crisi del 2011-2012 la BCE cambiò decisamente il proprio approccio solo nel luglio 2012, con il famoso « whatever it takes» pronunciato dall'allora Governatore Mario Draghi. Anche in tal caso, dunque, nonostante si tratti di interventi di natura monetaria, giustificati dai rischi deflattivi e dalla necessità di garantire il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti i Paesi dell'area dell'euro, i massicci acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario hanno facilitato in modo decisivo il finanziamento dei deficit pubblici, ponendo al riparo dalla speculazione finanziaria i Paesi più vulnerabili come l'Italia, che secondo alcune stime quest'anno potrebbe beneficiare dell'acquisto di propri titoli di Stato da parte della BCE per un ammontare di circa 170 miliardi di euro, ovvero circa il 10 per cento del PIL nazionale italiano.
  Questa differenza nei tempi e nelle modalità di reazione delle Istituzioni europee appare senz'altro riconducibile alle caratteristiche della crisi attuale, una crisi non soltanto di entità anche più grave di quelle precedenti, ma causata da un fattore esogeno, sanitario, indipendente dalle azioni dei singoli Paesi e del tutto inatteso.
  Ciononostante, la risposta forte e coordinata delle Istituzioni europee sul piano della politica monetaria e fiscale – che ora sarà illustrata in dettaglio – non sembra esaurirsi nel contesto dell'emergenza pandemica e appare destinata a proiettarsi negli anni a venire, essendo giunta a maturazione, ad avviso della XIV Commissione, l'idea di costruire in modo compiuto una sovranità economico-finanziaria, industriale e tecnologica dell'Unione europea – che per essere propriamente tale dovrà necessariamente essere accompagnata da un'evoluzione istituzionale e di natura politica che ne determini priorità ed indirizzo – la quale si affiancherebbe alla sua leadership mondiale già conquistata in tema di sostenibilità ambientale.
  Una nuova sovranità europea, fondata sui principi definiti dai padri fondatori e costruita su rinnovati vincoli solidaristici, che avrà al centro i grandi assi della transizione verde e della trasformazione digitale, indicati nel programma di lavoro della Commissione in coerenza con le priorità previste dall'Agenda Strategica Pag. 1612019-2024, cui si affiancano gli sforzi per l'implementazione del Pilastro europeo dei diritti sociali e la diffusione dei valori europei e della democrazia, in un contesto in cui l'Europa sarà chiamata a rafforzare i legami di cooperazione e solidarietà scolpiti nei Trattati e a dimostrare la capacità di assumere un maggior peso nello scenario geopolitico mondiale.

3. La politica monetaria accomodante.

  Come evidenziato nel corso dell'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, il Consiglio direttivo della BCE ha adottato un ampio ventaglio di misure monetarie per contrastare le conseguenze della pandemia. Nell'ambito del suo mandato per sostenere l'economia, la BCE è intervenuta per contrastare il rischio che la caduta dell'attività si traduca in un riemergere della minaccia di deflazione (con l'avvio di un circolo vizioso tra rialzo dell'onere del debito, depressione dell'attività economica e dei prezzi) e preservare la trasmissione della politica monetaria in tutta l'area dell'euro, messa in pericolo dalle forti tensioni e frammentazioni nei mercati finanziari che hanno fatto seguito al diffondersi del contagio e in particolare dall'ampliarsi dei differenziali di rendimento tra attività finanziarie in molti Paesi.
  Lo stimolo monetario è stato fornito soprattutto da due strumenti.
  Il primo, già richiamato, consiste nel rafforzamento degli acquisti di titoli pubblici e privati, nell'ambito del quale il nuovo programma straordinario PEPP, introdotto il 18 marzo e implementato il successivo 4 giugno per far fronte al peggioramento delle prospettive di inflazione nel medio termine e al persistere di condizioni finanziarie più restrittive di quelle prevalenti prima dell'emergenza pandemica, continuerà almeno sino alla fine di giugno 2021, e in ogni caso fino a quando non sarà conclusa la crisi pandemica; il capitale rimborsato sui titoli in scadenza continuerà a essere reinvestito almeno sino alla fine del 2022, e comunque tenendo in considerazione la necessità di evitare ripercussioni sull'orientamento della politica monetaria.
  Rispetto ai programmi precedenti, il PEPP si caratterizza soprattutto per la flessibilità degli acquisti, che è possibile calibrare intervenendo quando serve e dove è più necessario, nel corso del tempo, tra le varie classi di attività finanziarie e tra i Paesi dell'area; di questa flessibilità è stato già fatto uso, atteso ad esempio che gli acquisti sono stati concentrati nei periodi di maggiori tensioni (a fine maggio erano stati acquistati titoli per 235 miliardi, circa un terzo del totale della dotazione iniziale del programma) e nei Paesi più colpiti: il parametro di riferimento per la ripartizione degli acquisti di titoli pubblici tra diverse giurisdizioni rimane la quota di partecipazione al capitale della BCE, ma è possibile discostarsene quando necessario.
  Tra l'avvio del programma e la fine di maggio gli acquisti di titoli pubblici italiani nell'ambito del PEPP sono stati pari a 37 miliardi (di cui 34 miliardi effettuati dalla Banca d'Italia): a questi si sono aggiunti quelli nell'ambito dell'APP, pari a 26 miliardi tra inizio marzo e fine maggio (23 della Banca d'Italia). Alla fine di maggio il valore di bilancio dei titoli pubblici e privati acquistati con l'APP e il PEPP dall'Eurosistema era pari rispettivamente a 2.743 e 235 miliardi (di cui 407 e 35 detenuti dalla Banca d'Italia); quello dei soli titoli pubblici a 2.218 e 187 miliardi (di cui 345 e 34 detenuti dalla Banca d'Italia).
  Gli interventi delle banche centrali dell'Eurosistema sono risultati efficaci nel contrastare le tensioni sui mercati finanziari: gli indici di liquidità e di volatilità del mercato dei titoli di Stato, che si erano eccezionalmente deteriorati in marzo, sono migliorati significativamente; gli spread sovrani si sono ridotti in tutti i Paesi; in Italia il differenziale di rendimento con i titoli tedeschi, che aveva toccato un massimo di oltre 300 punti a metà marzo, nella prima metà di giugno è stato pari, in media, a circa 180 punti Pag. 162base. Nel complesso la liquidità sul mercato dei titoli di Stato italiani è migliorata di oltre il 50 per cento.
  Il secondo strumento di stimolo monetario sono le misure con cui le banche centrali dell'Eurosistema hanno fornito liquidità al sistema bancario a condizioni molto favorevoli, con l'obiettivo di sostenere l'erogazione del credito a famiglie e imprese (a fronte di un fabbisogno di liquidità accresciuto in misura eccezionale dalla riduzione delle entrate), in maniera complementare alle garanzie pubbliche introdotte dal Governo e alle misure adottate dalle autorità di vigilanza europee. Sono state quindi aumentate le risorse disponibili per le banche nell'ambito delle operazioni mirate a lungo termine (TLTRO3), fino a 3.000 miliardi, con un costo che può scendere fino a –1,0 per cento; inoltre, sono state introdotte anche operazioni «ponte» condotte a frequenza settimanale e operazioni per garantire anche alle banche che non partecipano alle TLTRO3 di avere accesso a fondi più abbondanti. L'importo di fondi erogabili con le Targeted Longer-Term Refinancing Operations (TLTRO3) è stato aumentato dal 30 al 50 per cento della consistenza dei prestiti in essere per le singole controparti; il loro costo è stato ridotto, fino a –1,0 per cento tra giugno 2020 e giugno 2021 per le banche che raggiungeranno l'obiettivo di credito stabilito dal meccanismo di incentivi. Sono state introdotte anche nuove operazioni di rifinanziamento a più lungo termine (Longer-Term Refinancing Operations, LTRO), e dalla fine di maggio è stata altresì avviata una nuova serie di operazioni di rifinanziamento per l'emergenza pandemica (Pandemic Emergency Longer-Term Refinancing Operations, PELTRO), con scadenza nel terzo trimestre del 2021 e a un tasso inferiore di 25 punti base rispetto a quello medio sulle operazioni di rifinanziamento principali (attualmente pari allo 0 per cento).
  Infine, onde consentire agli intermediari di beneficiare appieno di questi prestiti e contenere le possibili conseguenze pro-cicliche sulla disponibilità di collaterale di eventuali declassamenti di titoli privati e pubblici da parte delle agenzie di rating, sono anche stati allentati i criteri di idoneità e le misure di mitigazione dei rischi applicate alle attività conferibili in garanzia. Al contempo, date le incertezze che ancora gravano sul quadro congiunturale, il Consiglio direttivo della BCE ha ribadito di essere pronto a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, nell'ambito del suo mandato, che richiede di assicurare il rientro dell'inflazione verso l'obiettivo di medio termine e la trasmissione delle misure di politica monetaria a tutti i settori e a tutti i Paesi dell'area dell'euro.
  Nel complesso, le misure di politica monetaria adottate dall'inizio dell'anno hanno contrastato il rischio grave di un collasso del sistema finanziario, del riemergere di frammentazione dei mercati lungo confini nazionali e della deflazione, migliorando in modo sostanziale le condizioni di accesso al credito; i loro effetti sull'attività economica e sui prezzi si trasmetteranno gradualmente nel tempo e non vi è dubbio che l'azione della BCE ha contributo e continuerà a contribuire in modo decisivo al contrasto della crisi derivante dalla pandemia.

3.1. La sentenza della Corte Costituzionale federale tedesca sul piano di acquisiti della BCE.

  Proprio in concomitanza con il richiamato e vigoroso potenziamento delle misure di politica monetaria, è intervenuta la Corte Costituzionale federale tedesca, che con la sua sentenza del 5 maggio 2020 ha accolto alcuni ricorsi di costituzionalità diretti contro il precedente Programma di acquisto del settore pubblico (PSPP) della BCE, il c.d. « quantitative easing».
  La Corte, pur non affermando che la BCE abbia agito in violazione del divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici di cui all'articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ha ritenuto che il Governo federale tedesco e il Bundestag debbano richiedere che le misure adottate nell'ambito Pag. 163del PSPP siano adeguatamente valutate e argomentate anche ai fini del rispetto del principio di proporzionalità di cui all'articolo 5 del TFUE.
  La Corte ha precisato che la decisione adottata non riguarda alcuna delle misure di assistenza finanziaria introdotte dall'Unione europea o dalla BCE nell'ambito dell'emergenza epidemiologica, ma si limita a riscontrare che il governo federale e il Bundestag tedesco hanno violato i diritti dei ricorrenti ai sensi di talune disposizioni della Legge fondamentale (Grundgesetz – GG), non avendo intrapreso iniziative per mettere alla prova che le decisioni della BCE sull'adozione e attuazione del PSPP soddisfino in particolare il principio di proporzionalità.
  Al riguardo, si ricorda che in precedenza, nella sentenza dell'11 dicembre 2018, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in risposta alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla medesima Corte costituzionale federale, aveva già sancito la piena compatibilità con il diritto dell'Unione del programma PSPP, evidenziando come esso non violi il divieto di finanziamento monetario e come l'obiettivo della stabilità dei prezzi comporti necessariamente anche effetti di trasmissione sull'economia reale, e ciò, come ha statuito la Corte di giustizia, non inficia la legittimità del mandato che il diritto primario affida alla BCE.
  Nel corso delle audizioni svolte dalla XIV Commissione la questione in oggetto è emersa più volte. In particolare, da un lato vi è stato chi (dott. Gros) ha paventato l'emersione di un rischio sotto il profilo giuridico anche in relazione al nuovo programma PEPP, rilevando come uno degli stringenti vincoli del programma precedente, ossia la ripartizione degli acquisti secondo lo schema di sottoscrizione del capitale della BCE di ciascuno Stato membro, sia stato considerato dalla stessa Corte di Giustizia europea come un indicatore importante per distiNGEUre il programma di acquisto di titoli sovrani della BCE quale strumento di politica monetaria da un finanziamento diretto agli Stati da parte della medesima Banca Centrale, che è invece vietato dal diritto dell'Unione; la flessibilità della c.d. chiave di capitale nel nuovo piano di acquisiti PEPP da 1.350 miliardi di euro potrebbe, quindi, qualora applicata in modo generalizzato, dare linfa alle argomentazioni della Corte costituzionale tedesca e, soprattutto, non risultare coerente con la stesse pronunce della Corte di Giustizia UE, atteso che non appare chiaro se la ripartizione geografica degli acquisti rappresenti per la Corte di Lussemburgo una condizione necessaria o sufficiente e se l'emergenza pandemica permetta una deroga a questa chiave di ripartizione. È stato inoltre evidenziato (dott. Gros) che alla fine del nuovo programma di acquisti l'Eurosistema potrebbe avere in portafoglio un quarto del debito sovrano dell'eurozona e che, per quanto riguarda l'Italia, il complesso dei titoli sovrani detenuti dalla Banca d'Italia possa arrivare a rappresentare il 27 per cento del totale.
  Sul punto, i rappresentanti della Banca d'Italia, intervenuti in audizione, hanno sottolineato come il Consiglio direttivo abbia posto molta attenzione all'analisi delle misure introdotte, per assicurarsi che siano efficaci e proporzionate per il perseguimento degli obiettivi dell'Eurosistema e che non diano luogo a effetti collaterali controproducenti.
  Numerosi studi sono stati condotti e messi a disposizione del pubblico dalle banche centrali della zona euro, inclusa la Banca d'Italia; essi indicano che gli strumenti monetari messi in campo negli ultimi anni sono stati necessari ed efficaci nel trasmettere il loro effetto all'economia, hanno contrastato i rischi di deflazione, hanno sostenuto l'attività e l'occupazione e mantenuto condizioni finanziarie distese. Le analisi hanno anche attentamente esaminato la possibilità che la lunga fase di tassi di interesse molto bassi e di operazioni ’non convenzionali’ possa determinare effetti sfavorevoli, come comportamenti destabilizzanti sui mercati finanziari, ripercussioni negative sulla capacità delle banche di erogare credito o di selezionare le imprese più valide, un aumento della disuguaglianza; questi timori, Pag. 164espressi a più riprese da alcuni osservatori, non avrebbero però trovato conferma alla luce dell'evidenza raccolta.
  Sotto altro punto di vista, nel corso delle audizioni (prof. Tizzano) è stato altresì evidenziato come la recente sentenza possa essere inquadrata in una tradizione giuridica della Corte costituzionale tedesca che ha più volte assunto posizioni dialettiche nei riguardi della Corte di Giustizia dell'UE, rivendicando il suo ruolo nell'ambito della costituzione tedesca; la Corte tedesca, formalmente, non avrebbe comunque violato il disposto della Corte di giustizia, in quanto i chiarimenti in ordine al rispetto del principio di proporzionalità non saranno forniti dalla BCE, organo sottoposto esclusivamente al diritto dell'Unione, bensì dalla Banca centrale tedesca che potrà fornire le necessarie assicurazioni al governo di quel Paese che a sua volta riferirà alla Corte; in tal senso la sentenza non dovrebbe provocare alcuna conseguenza sul piano pratico, salvo il riemergere di una questione di natura politica riconducibile all'architettura istituzionale dell'Europa, che non essendo uno Stato federale rende evidenti alcune storture nei rapporti tra le giurisdizioni nazionali, anche di tipo costituzionale, e la giurisdizione della Corte di giustizia dell'UE.
  Infine, va ricordato che la Corte di giustizia dell'Unione europea, in un comunicato stampa diramato all'indomani della sentenza, ha ancora una volta ribadito che una sua sentenza pronunciata in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente e che per garantire un'applicazione uniforme del diritto dell'Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un'istituzione dell'Unione è contrario al diritto dell'Unione; eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere infatti l'unità dell'ordinamento giuridico dell'Unione e pregiudicare la certezza del diritto. Al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono dunque obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione, perché solo in tal modo può essere garantita l'uguaglianza degli Stati membri nell'Unione da essi creata.

3.2. Le ipotesi di revisione del mandato della BCE e di cancellazione dei debiti sovrani.

  Ulteriori questioni emerse nel corso dell'attività istruttoria svolta dalla Commissione e che meritano di essere menzionate attengono alle ipotesi di revisione dei Trattati con riferimento al mandato della Banca centrale europea e all'adozione di misure non convenzionali di politica monetaria dirette ad attenuare l'impatto che la crisi derivante dalla pandemia avrà sul livello del debito degli Stati membri.
  Quanto al primo aspetto, la Commissione ha avuto modo di approfondire la proposta (professoressa Smerilli) di inserire nell'ambito del mandato della Banca Centrale Europea anche un obiettivo di piena occupazione, analogamente a quanto previsto per la Federal Reserve statunitense e la Bank of England. La previsione esplicita nei Trattati dell'obiettivo di contribuire alla diminuzione del tasso di disoccupazione della zona euro renderebbe più efficace una politica monetaria attualmente formalmente mirata solo all'obiettivo della stabilità dei prezzi – tradotto nel mantenimento, nel medio termine, di tassi d'inflazione inferiori, ma prossimi, al 2 per cento – risultando oggi quanto mai opportuna alla luce dei gravosi effetti sul piano sociale connessi alla pandemia, in particolare sul versante dell'occupazione giovanile.
  Al riguardo, i rappresentanti della Banca d'Italia intervenuti in audizione hanno ricordato che nel caso degli Stati Uniti la formulazione degli obiettivi sia in effetti diversa da quella della BCE, poiché la Federal Reserve ha un mandato duale che accanto alla stabilità dei prezzi contempla anche il fine della piena occupazione, diversamente da quello della Bank Pag. 165of England che è invece molto simile a quello del Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), avente l'obiettivo principale del mantenimento della stabilità dei prezzi ma, subordinatamente a questo, chiamato anche a supportare le politiche economiche generali dell'Unione, tra le quali figura l'obiettivo di una crescita sostenibile con piena occupazione.
  In questa prospettiva è stata sottolineata la scarsa rilevanza di una eventuale modifica formale del mandato della BCE, posto che anche le banche centrali che hanno obiettivi formulati in maniera diversa hanno seguito politiche sostanzialmente simili negli ultimi 10-15 anni; sono state all'uopo richiamate alcune analisi della BCE che registrano i notevoli effetti sull'occupazione delle politiche monetarie espansive da essa condotte, sottolineandosi altresì come il perseguimento dell'obiettivo della stabilità dei prezzi presupponga anche quello di assicurare condizioni di equilibrio sul mercato del lavoro. In questi termini, la questione della modifica del mandato nel senso indicato apparirebbe più formale che sostanziale.
  Sulla stessa linea sono state le considerazioni espresse dal Ministro Gualtieri, che ha ricordato come l'articolo 127 del TFUE, seppur indicando il mantenimento della stabilità dei prezzi come l'obiettivo principale, preveda espressamente che il SEBC, fatto salvo questo obiettivo, sia chiamato a contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti nell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea, tra cui appunto la crescita e l'occupazione, che sono pertanto già ricompresi nel mandato. Anche in questo caso, il Ministro ha evidenziato come la concreta esperienza abbia dimostrato che sulla base del mandato attuale la BCE si è rivelata pienamente in grado di svolgere una funzione del tutto analoga a quella di altre grandi banche centrali, rilevando come le politiche monetarie fortemente e giustamente espansive abbiano generato un riflesso indiretto molto significativo sulla crescita e sull'occupazione. A tale ultimo proposito, si segnala che nel corso delle audizioni è stato ribadito come il timore, ventilato a più riprese da alcuni osservatori e Paesi, che le politiche monetarie espansive adottate dalla BCE, ed in particolare l'acquisto titoli, comportino limitati benefici e implichino per contro rischi elevati di alimentare l'inflazione, non sia confortato dalle evidenze empiriche, che invece dimostrano con forza gli effetti positivi registrati in termini di crescita e credito alle imprese (prof. Giacché).
  In un analogo filone di pensiero si collocano le proposte di ampliare, nell'ambito di una revisione del TFUE, il mandato del SEBC conferendogli in modo sistematico quelle funzioni di «prestatore di ultima istanza» (lender of last resort, Lolr) tipiche degli Stati federali, non solo per fornire liquidità al sistema bancario dell'eurozona in caso di crisi di liquidità sistemica, come avvenuto a partire dalla crisi finanziaria del 2008 con l'erogazione di liquidità di emergenza, bensì anche direttamente ai singoli Stati membri attraverso l'acquisto di titoli di debito sui mercati primari, onde fornire in tal modo una rete di protezione dalla speculazione internazionale, come almeno in parte e indirettamente intende fare oggi il nuovo programma di acquisiti PEPP, abilitato a operare esclusivamente sul mercato secondario.
  Nel corso delle audizioni vi è stato peraltro chi (prof. Sapelli) si è spinto anche più avanti, sostenendo che occorrerebbe rimuovere i vincoli giuridici previsti dai Trattati affinché la Banca centrale possa emettere moneta per intervenire direttamente nell'economia reale al fine di sostenere imprese e famiglie e in particolare promuovere gli investimenti in conto capitale.
  In ogni caso, per quanto concerne la proposta relativa alla possibilità di acquisto da parte della BCE dei titoli di Stato anche sul mercato primario, si osserva come essa tragga origine dalla consapevolezza di come già con il «quantitative easing» lanciato nel 2015 e più volte prorogato e modificato, e ancor più con il recente PEPP – che ha alleggerito, ancorché temporaneamente, molti dei limiti per emissione ed emittente e delle garanzie dei Pag. 166precedenti programmi di acquisto di titoli di debito sovrano sui mercati secondari – i margini di manovra della politica monetaria nel quadro ordinamentale stabilito dai Trattati e dall'attuale statuto della BCE siano stati dilatati al massimo, facendo leva sull'obiettivo primario della stabilità dei prezzi e ammorbidendo in tal modo regole che, se applicate in modo acritico senza avere a mente le finalità alte e nobili sottese al progetto dell'integrazione europea, avrebbero potuto compromettere la stessa esistenza dell'eurozona.
  È perciò evidente che nel contesto attuale, così come nel futuro prossimo, i precedenti limiti ai programmi di acquisto di titoli di debito sovrano della BCE, al pari dei vincoli di bilancio sottesi al Patto di stabilità e crescita, non potranno essere integralmente ripristinati se si intende davvero tutelare l'economia dell'eurozona azzoppata dalla pandemia, fare un salto di qualità nelle politiche ad alto valore aggiunto dell'Unione, a partire dall'attuazione del Green deal e del Pilastro sociale, e scongiurare al contempo disastrose prospettive di default o di ristrutturazione dei debiti sovrani di taluni Stati membri.
  Oggi, dinanzi ai devastanti effetti socio-economici della pandemia, ciò che servirebbe sembra essere proprio ciò che l'articolo 123 del TFUE vieta, ossia la concessione di finanziamenti monetari e facilitazioni creditizie agli Stati membri per rimettere in moto le rispettive economie e prevenire attacchi speculativi sui mercati per quelli più fragili, attraverso la possibilità di acquisto di titoli di debito sovrano anche sui mercati primari, analogamente a quanto consentito alla Riserva Federale statunitense, che in risposta alla pandemia ha tempestivamente acquistato massicciamente titoli emessi dal Tesoro statunitense e adottato altri interventi di politica monetaria al punto da colmare in poche settimane il gap esistente con la BCE nel valore assoluto del totale dell'attivo (prof. Giacché).
  La sfida che l'Europa ha dinanzi nel breve periodo sembra dunque essere proprio quella di realizzare nella sostanza, a trattati invariati, questa prospettiva di costruzione in via permanente di una rete di protezione da possibili attacchi speculativi e di un sistema capace di livellare gli spread tra titoli sovrani, evitando al contempo però di disincentivare gli Stati membri a condurre una sana e prudente politica di bilancio e ad adottare le riforme strutturali funzionali ad una crescita sostenibile e duratura.
  Ciò che è emerso nel corso dell'esame condotto dalla Commissione è che l'Europa si trova oggi costretta ad utilizzare un armamentario istituzionale e di regole di politica economica e monetaria in larga parte inadeguati rispetto ai problemi che abbiamo dinanzi e ai numeri esorbitanti che li riflettono. Problemi che esploderanno con virulenza nei prossimi mesi sul piano sociale e probabilmente nei prossimi anni su quello finanziario e contabile, se e quando la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita verrà meno e occorrerà riprendere un percorso di convergenza verso l'obiettivo di bilancio di medio termine e il parametro del 60 per cento del debito in rapporto al PIL, debito che nel frattempo in Italia si sarà attestato intorno al 160 per cento del PIL.
  In questo scenario, si colloca l'ulteriore proposta, emersa più volte nel corso del dibattito svoltosi in Commissione, di adottare misure non convenzionali per favorire il riassorbimento dei rilevanti debiti pubblici generati dalla pandemia, quali l'annullamento di parte dei debiti sovrani detenuti dalla BCE e dal sistema delle Banche centrali.
  Non si tratterebbe, in tal caso, semplicemente di escludere il maggior debito imputabile alle conseguenze della crisi pandemica dal saldo rilevante ai fini del rispetto delle regole di bilancio europee, bensì di una vera e propria totale o parziale cancellazione dei titoli di debito sovrano iscritti all'attivo del bilancio della BCE, che nello scorso mese di luglio risultava detenere titoli per un controvalore di circa 2,5 mila miliardi di euro, di cui circa 400 miliardi di BTP italiani.
  Ad avviso dell'economista francese che ha avanzato tale proposta (prof. Giraud), non vi sarebbero ostacoli tecnici, sul piano Pag. 167finanziario, alla praticabilità di una tale opzione, posto che la riduzione dell'attivo della BCE e delle singole banche centrali che ne deriverebbe non impedirebbe di continuare a svolgere la loro missione e non sussisterebbe alcun obbligo di ricapitalizzazione della BCE, che potrebbe continuare a immettere liquidità nel sistema, ossia a «stampare moneta», come si usa dire con espressione gergale. Tale opzione, che sarebbe auspicabile soprattutto in un contesto come quello attuale in cui non sussiste peraltro la minaccia di inflazione e modulabile in vari modi sul piano tecnico, eviterebbe strette fiscali a carico delle politiche in essere e potrebbe essere abbinata alla previsione di vincoli di destinazione sulle eventuali nuove emissioni di debito aggiuntivo modulati sul conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile per favorire la transizione verde e digitale.
  Quanto all'effetto sull'euro di un parziale annullamento dei debiti sovrani detenuti nell'ambito del sistema europeo delle Banche centrali, è emerso come nessuno sia in grado di stimare a priori la reazione che avrebbero i mercati finanziari e le conseguenze sul piano valutario, che potrebbero anche essere positive atteso che si fornirebbe in tal modo un segnale di maggiore coesione e solidarietà politica e dunque di solidità dell'eurozona.
  Sul punto, i rappresentanti della Banca d'Italia intervenuti in audizione hanno espresso perplessità, non solo in quanto, come accennato, l'opzione dell'annullamento totale o parziale del debito nei bilanci delle Banche centrali non sarebbe possibile senza una modifica del TFUE, che proibisce qualsiasi forma di facilitazione creditizia ai Governi. Il processo sarebbe comunque molto complicato a livello formale e, sostanzialmente, il beneficio per i Governi sarebbe a loro avviso molto limitato, perché il debito è già nei bilanci delle banche centrali e l'operazione si configurerebbe come una sorta di partita di giro, certamente per quel che riguarda gli interessi che vengono pagati sui titoli di debito per essere poi riversati allo Stato.
  È stato, inoltre, osservato come in qualche misura anche le perdite di bilancio che registrerebbero le banche centrali darebbero luogo alla necessità di ricapitalizzazione e l'operazione potrebbe essere controproducente nella misura in cui mettesse a rischio la percezione che la politica monetaria possa perseguire il suo mandato, che è la stabilità dei prezzi e la stabilizzazione dell'economia, in indipendenza e autonomia, senza subordinare i suoi comportamenti alla necessità di sostenere la politica di bilancio. In tale contesto, è stato quindi rilevato come parrebbe difficile convincere gli operatori di mercato che si tratterebbe di una operazione una tantum ed eccezionale. Il rischio, effettivo, che un livello di debito troppo alto soffochi la ripresa, si può evitare attraverso strumenti appropriati e le iniziative assunte dalla Commissione europea per sospendere i sentieri di convergenza previsti nel Patto di stabilità e crescita si collocano in questa direzione.
  Considerazioni analoghe sono state espresse dal Ministro Gualtieri, che ha rilevato come la proposta di cancellazione del debito non sia concretamente perseguibile, stante il divieto di finanziamento monetario previsto nei trattati, ricordando inoltre come vari Stati membri beneficino già oggi dell'azione sui mercati delle banche centrali, perché gli interessi sui titoli vengono a loro volta trasferiti alle banche centrali nazionali e quindi ai Governi nazionali.
  La proposta, seppure solo piano teorico, andrebbe in ogni caso valutata anche dal punto di vista dei benefici concreti, che per il Ministro non vi sarebbero. Piuttosto, reputa del tutto adeguati il mandato e le politiche della BCE, la quale starebbe facendo tutto ciò che è necessario per sostenere l'integrità della zona euro, la stabilità dei prezzi e la trasmissione della politica monetaria, offrendo un contributo fondamentale a tutti gli Stati membri.
  Ciò che invece è assente nella costruzione europea è una vera politica fiscale comune.
  L'Unione economica e monetaria appare infatti carente sul versante delle Pag. 168politiche di bilancio e proprio per questo motivo il nuovo programma Next Generation EU appare di particolare rilievo, costituendo una risposta di bilancio comune, finanziata con l'emissione di un ammontare cospicuo di debito comune, che prefigura un salto di qualità molto significativo nelle politiche europee.
  Per completezza, tra le diverse ipotesi emerse nel dibattito pubblico in tale ambito appare opportuno richiamare, infine, anche quella che prevede la sostituzione dei titoli di debito a scadenza con l'emissione di titoli di Stato irredimibili con un rendimento non superiore al tasso di inflazione del 2 per cento che costituisce il parametro del mandato della BCE, ipotesi questa che non sembrerebbe porsi in contrasto con i trattati né richiedere interventi di ricapitalizzazione delle banche e potrebbe dare luogo, sul piano sostanziale, ad effetti simili all'annullamento dei debiti sovrani.

4. La revisione del Patto di Stabilità e Crescita.

  L'irrompere della recessione generata dall'emergenza epidemiologica ha indotto sin dai suoi inizi la Commissione europea e il Consiglio ad avvalersi di tutti gli strumenti di politica economica disponibili per sostenere gli Stati membri negli sforzi di bilancio volti a proteggere cittadini e imprese. L'attivazione, per la prima volta dalla sua istituzione nel 2011, della clausola di salvaguardia generale del Patto di Stabilità e Crescita, ha costituito il primo tassello di una strategia complessiva posta in essere per rispondere in maniera rapida, decisa e coordinata ai gravi effetti socioeconomici della pandemia. La clausola non sospende le procedure del Patto, ma consente di adottare le necessarie misure di coordinamento delle politiche nel quadro del medesimo Patto, discostandosi dagli obblighi di bilancio che normalmente si applicherebbero.
  Coerentemente, dopo la sua attivazione da parte del Consiglio, la Commissione ha formulato le Raccomandazioni specifiche per Paese relative all'anno in corso privilegiando le esigenze di sostegno dell'economia attraverso i bilanci pubblici, ossia abbandonando l'approccio prevalentemente finalizzato al conseguimento del pareggio di bilancio, considerato come uno dei capisaldi del buon funzionamento dell'economia della moneta unica.
  Rimane tuttavia aperta la questione della possibile durata di questa sospensione dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di bilancio a medio termine e, più in generale, quella della governance economica dell'UE e dell'idoneità delle attuali regole fiscali europee nel nuovo contesto post-pandemia e nel nuovo scenario geopolitico globale.
  Al riguardo, nel quadro dell'obiettivo prioritario indicato nel Programma di lavoro 2020 di costruire un'economia al servizio delle persone, conciliando la dimensione sociale e quella di mercato, la Commissione europea ha presentato, il 5 febbraio 2020, un riesame dell'attuale quadro di sorveglianza economica e di bilancio (Comunicazione (COM(2020)55), al fine di valutarne l'efficacia nel conseguimento dei suoi obiettivi fondamentali. In tale documento, redatto prima dell'emergere acuto della pandemia, si prende atto anzitutto di come il potenziale di crescita di molti Stati membri non sia ancora tornato ai livelli pre-crisi e di come seppur generalmente migliorata anche la situazione occupazionale e sociale non sia stata ripristinata in molti Stati; si rileva, inoltre, come in vari casi i rapporti debito/PIL continuino ad aumentare o, nella migliore delle ipotesi, si siano stabilizzati, accentuando le divergenze fra i livelli del debito nell'UE, e come le politiche di bilancio degli Stati membri siano ancora prevalentemente pro-cicliche.
  Dal riesame risulta anche che l'impostazione dell'attuale quadro di bilancio è diventata eccessivamente complessa poiché «caratterizzata da una molteplicità di norme connesse a diversi indicatori per misurare la conformità e contempla diverse clausole che consentono deviazioni dai requisiti, ciascuna in base ai propri criteri di ammissibilità». Inoltre, la Commissione Pag. 169evidenzia come il quadro attuale poggi in larga misura su variabili non direttamente osservabili e riviste di frequente, quali il divario tra prodotto effettivo e potenziale (output gap) e il saldo strutturale, il che ostacola la formulazione di orientamenti politici stabili. Infine, rileva che mentre è aumentata l'enfasi sugli aggiustamenti di bilancio annui e sulle valutazioni della conformità, è diminuita l'attenzione riservata alla pianificazione di bilancio a medio termine, cosa che ha indotto molti Stati membri a rimandare il raggiungimento degli obiettivi di bilancio a medio termine.
  Con il riesame presentato, la Commissione von der Leyen ha rilanciato quindi il dibattito pubblico sul futuro della governance economica dell'UE, auspicando che esso sia inclusivo, al fine di raccogliere osservazioni e pareri per poi completare, entro la fine del 2020, le sue riflessioni sulla portata di eventuali iniziative future.
  Il Governo da parte sua, nella Relazione programmatica, sostiene, e la Commissione condivide, che una governance dell'eurozona incompleta abbia aggravato l'impatto della crisi finanziaria, incidendo sul tessuto produttivo e sociale, anche a causa della mancanza di una funzione di stabilizzazione centralizzata, dell'eccessiva asimmetria e pro-ciclicità del Patto di stabilità e crescita e della mancanza di una fiscal stance anticiclica comune e di un coordinamento efficace fra Paesi in deficit e Paesi in surplus.
  Per tali ragioni, appare altresì condivisibile l'intenzione, annunciata dal Governo, di sostenere un processo di riforma della governance economica diretto a renderla più favorevole a una crescita bilanciata, sostenibile e inclusiva, anche mediante un adeguato supporto agli investimenti, affinché le regole di bilancio non si traducano in un'applicazione meccanica dei vincoli fiscali e siano applicate in modo flessibile ed economicamente ragionato, tenendo anche conto della situazione specifica dei singoli Paesi anche nell'ottica di una programmazione di medio-lungo termine.
  Tali posizioni, formulate nel contesto precedente la pandemia, assumono oggi una valenza particolare, atteso che l'intensità della sopravvenuta crisi socio-economica, congiuntamente ai nuovi ambiziosi obiettivi politici connessi alla transizione ecologica e digitale, richiedono un'incisiva rivisitazione delle regole fiscali nell'ambito di una più ampia riflessione sul completamento dell'Unione economica e monetaria.
  Si tratta, infatti, di prendere atto di come le politiche di austerità che dopo la crisi dei debiti sovrani del 2012 condussero all'approvazione del c.d. Fiscal Compact e al conseguente irrigidimento dei vincoli di bilancio dell'eurozona, non abbiano sortito gli effetti auspicati, comportando viceversa maggiori difficoltà per l'Europa, rispetto ad altre aree, ad uscire dalla crisi e più ampi divari sociali ed economici all'interno dell'UE, alimentando al contempo un diffuso euroscetticismo che in alcuni Paesi si è radicato al punto di rischiare di minare le prospettive future dell'integrazione europea.
  Seppur applicate nel tempo in modo via via più flessibile e «intelligente» attraverso un'apposita Comunicazione della Commissione europea, le norme vigenti del Patto di stabilità e crescita (PSC) si sono rivelate non adeguate ad una realtà, europea e internazionale, in continua e rapida evoluzione e caratterizzata dall'emergere di nuovi attori globali che hanno accentuato le dinamiche competitive tra le diverse aree economiche.
  In questo quadro, la flessibilità accordata in materia di investimenti e riforme strutturali a sostegno della crescita economica non ha sopperito alla mancanza di un'autentica politica fiscale dell'UE e di meccanismi ordinari capaci di orientare la politica economica e di bilancio in funzione anticiclica, tanto è vero che per far fronte alle fasi avverse si è dovuto far ricorso a strumenti eccezionali di altra natura, quali il «quantitative easing» sul piano della politica monetaria e il MES, che com’è noto non è giuridicamente uno strumento dell'Unione europea. Pag. 170
  Pur con la dovuta attenzione alla sostenibilità dei debiti pubblici, si ritiene pertanto indispensabile, come evidenziato anche nel corso dell'audizione del Commissario europeo per l'economia Gentiloni, adoperarsi per evitare che le regole ordinarie del PSC siano riattivate prematuramente e tout court, posto che una stretta intempestiva alla spesa pubblica, come dimostrato da quanto avvenuto nella precedente crisi finanziaria, potrebbe avere effetti negativi.
  A tale proposito il Ministro Amendola, nell'audizione che ha concluso il ciclo di attività conoscitive svolto dalla Commissione, ha riferito che con lettera del 19 settembre 2020 del Vice Presidente Dombrovskis e del Commissario Gentiloni ai Ministri dell'Economia e Finanze dei Paesi membri è stato comunicato che la «clausola di salvaguardia» legata al Patto di Stabilità e Crescita resterà attiva anche nel 2021, come indicato nella Strategia per la Crescita sostenibile recentemente presentata dalla Commissione europea.
  In ogni caso, rimane attuale e impellente l'esigenza di avviare una più approfondita riflessione sulla revisione delle vigenti regole di bilancio, anzitutto al fine di armonizzarle con l'esigenza di fornire un adeguato stimolo sia agli investimenti pubblici per la transizione verde e la trasformazione digitale, sia alla definizione di una rete di protezione sociale e di sostegno che possa anche fronteggiare il fenomeno, aggravato dalla pandemia, del declino demografico.
  In particolare, si ritiene che debba essere rilanciata con forza la previsione di una specifica «golden rule» per le spese connesse alle agevolazioni agli investimenti ambientali, debitamente classificati, diretti alla riconversione ecologica del tessuto produttivo, nonché agli investimenti pubblici annoverabili nell'ambito delle politiche del Green deal, che dovrebbero pertanto essere escluse dal computo del saldo di bilancio rilevante ai fini del rispetto del PSC, rendendo così maggiormente coerente la governance economica europea con l'obiettivo della transizione ecologica, nonché, in generale, con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite che sono ora incorporati in modo sistematico nel Semestre europeo.
  Parimenti, in ragione della crescente rilevanza assunta dalle tendenze demografiche e dall'emergere di squilibri generazionali che possono mettere seriamente a rischio la sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche e, in particolare, la tenuta dei sistemi previdenziali e sanitari, si ritiene opportuno adoperarsi affinché analoghi spazi di flessibilità di bilancio siano riconosciuti per le spese degli Stati membri dirette a finanziare riforme strutturali specificamente rivolte ad elevare il tasso di natalità sino a traguardare almeno la media dei Paesi dell'UE.
  Si tratterebbe in tal caso di riforme, anche di natura fiscale, tese a supportare le famiglie, in particolare quelle più vulnerabili, nell'ottica della promozione della natalità e del sostegno alla genitorialità e in funzione del raggiungimento dei target demografici indicati dalla stessa Commissione europea, che ha tra l'altro annunciato nel Programma di lavoro 2020 la presentazione di una relazione sull'impatto dei cambiamenti demografici, poi effettivamente avvenuta, nonché di un Libro verde sull'invecchiamento.
  Una tale innovazione – che, ripetiamo, avrebbe un impatto virtuoso sulla sostenibilità di lungo periodo dei bilanci pubblici – risulterebbe particolarmente vantaggiosa per il nostro Paese, afflitto, come rilevato nel corso dell'audizione del Presidente dell'ISTAT, da un inverno demografico senza precedenti in oltre 150 anni di Unità Nazionale, e che potrà essere reso ancora più fosco in ragione degli effetti della pandemia che verosimilmente orienteranno negativamente, per una pluralità di ragioni, le scelte di fecondità delle coppie.

5. La revisione del Semestre europeo.

  Le possibili innovazioni testé richiamate delle regole del PSC si inquadrerebbero perfettamente nella logica sottesa all'annunciata revisione dei meccanismi Pag. 171del Semestre europeo, che saranno riorientati sulla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Secondo quanto affermato nella Strategia annuale di crescita sostenibile, presentata dalla Commissione europea il 17 dicembre 2019, tali obiettivi saranno integrati in modo sistematico nelle fasi salienti del ciclo del Semestre, al fine di contribuire a guidare ed orientare le politiche economiche, sociali e di bilancio degli Stati membri verso il loro conseguimento, tenendo conto delle differenze esistenti tra i diversi Paesi, monitorando i progressi e garantendo un più stretto coordinamento degli sforzi nazionali.
  L'assunto di base dal quale muove questa impostazione è che la crescita economica non è fine a sé stessa e che pertanto l'economia deve essere al servizio dei cittadini e del pianeta.
  In uno scenario in cui i problemi climatici e ambientali, il progresso tecnologico e le tendenze demografiche, appaiono destinati a trasformare profondamente le nostre società, l'Unione europea e i suoi Stati membri debbono rispondere a questi sfidanti cambiamenti strutturali con un nuovo modello di crescita, che rispetti le limitazioni delle nostre risorse naturali e garantisca la creazione di posti di lavoro e una prosperità duratura per il futuro. A tal fine occorre accompagnare il processo verso la transizione climatica e digitale, trasformando al contempo l'economia sociale di mercato al fine di garantire che l'Europa mantenga i sistemi di welfare più avanzati del mondo e svolga il ruolo di centro dinamico di innovazione e imprenditorialità competitiva.
  Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 costituiranno in tal modo il nucleo della definizione delle politiche e dell'azione dell'UE e il Semestre europeo fornirà un quadro consolidato per il coordinamento delle politiche economiche e occupazionali necessarie per guidare l'Unione e i suoi Stati membri verso un nuovo paradigma di crescita fondato sul principio guida della sostenibilità competitiva.
  Un primo condivisibile passo in questa direzione è stato adottato già quest'anno: la Commissione europea, lo scorso mese di febbraio, ha infatti presentato le Relazioni per Paese 2020, in cui figura per la prima volta una sezione dedicata alla sostenibilità ambientale e un allegato alle relazioni illustra la performance di ciascuno Stato membro in relazione al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, il Consiglio dell'Unione europea, il 9 aprile 2020, nell'adottare le sue conclusioni in ordine alla predetta Strategia annuale di crescita sostenibile, ha tra l'altro invitato gli Stati membri a prendere atto degli obiettivi di sviluppo sostenibile nei rispettivi programmi nazionali di riforma, di pertinenza nell'ambito del semestre europeo.
  Come evidenziato nel corso delle audizioni (prof. Giovannini), nonché nell'ambito di una apposita indagine conoscitiva avviata dalla XIV Commissione, le politiche europee si stanno evolvendo nella direzione di incorporare l'Agenda 2030 al centro della nuova strategia di medio termine dell'UE, incardinata ora in modo esplicito sul concetto di crescita «sostenibile» e sul principio, evocato anche nella Comunicazione relativa al programma Next Generation EU, del «non lasciare nessuno indietro», che è alla base proprio dell'ambiziosa Agenda delle Nazioni Unite.
  Si ritiene dunque che tale prospettiva debba essere quanto prima compiutamente realizzata, affinché il Green Deal e, più in generale, le politiche per la sostenibilità ambientale e l'inclusione sociale, divengano elementi cardine della nuova governance economica europea, oltre che del Piano di ripresa contro la crisi innescata dalla pandemia e del prossimo bilancio a lungo termine dell'UE.

6. La revisione del regime degli aiuti di Stato.

  Tra le prime misure adottate in sede europea a sostegno dell'economia dell'UE e dei diversi Stati membri colpiti dalla crisi sanitaria, rientra, come accennato, la previsione Pag. 172di norme maggiormente flessibili in materia di aiuti di Stato, applicabili sino al 31 dicembre 2020, tranne che per la disciplina sugli aiuti relativi alla ricapitalizzazione delle imprese non finanziarie che sarà efficace sino al 1o luglio 2021. Prima di tale data il regime temporaneo sugli aiuti di Stato potrà essere ulteriormente modificato e prorogato, sulla base di considerazioni di politica della concorrenza o economiche. Il 2 luglio 2020 la Commissione ha da ultimo prorogato la validità di alcune norme in materia di aiuti di Stato che sarebbero altrimenti scadute alla fine del 2020 e deciso di apportare alcuni adeguamenti mirati alle norme vigenti al fine di garantire la prevedibilità e certezza del diritto durante la crisi del coronavirus.
  In questo quadro di maggiore flessibilità, i governi dei Paesi europei hanno definito misure discrezionali di notevole entità, per potenziare i servizi sanitari nazionali, sostenere il reddito dei lavoratori e delle famiglie e alleviare i problemi di liquidità delle imprese.
  Secondo le stime della Commissione pubblicate all'inizio di maggio, gli interventi discrezionali nell'area dell'euro superavano il 3 per cento del PIL, stima destinata ad aumentare poiché da allora alcuni Paesi, tra i quali la Germania e la Francia, hanno annunciato ulteriori misure. Tra le misure di sostegno finanziario alle imprese, di particolare rilievo è stato il rafforzamento del sistema delle garanzie pubbliche, con interventi che, sulla base delle informazioni fornite con i Programmi di stabilità, ammontano potenzialmente a circa il 25 per cento del PIL in Germania, al 14 per cento in Francia e a oltre il 9 per cento in Spagna, mentre superano il 30 per cento nel nostro Paese.
  Nel corso dell'istruttoria svolta in Commissione, pur essendo stata pienamente condivisa la necessità di un allentamento temporaneo della disciplina in materia di aiuti di Stato, è stato paventato il rischio che lo stesso, ancorché temporaneo, possa contribuire ad allargare le divergenze economiche tra i diversi Stati membri, soprattutto in ragione della presenza di spazi di bilancio dei singoli Paesi molto diversificati, minando in tal modo il principio della parità delle condizioni competitive (level playing field) che è essenziale per il buon funzionamento del mercato unico.
  In particolare, il Presidente dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato (prof. Rustichelli), ha evidenziato come l'applicazione delle nuove regole temporanee in materia di aiuti di Stato abbia comportato rapidamente una distribuzione di sussidi alle imprese europee inevitabilmente asimmetrica, conseguente alla diversa disponibilità economico-finanziaria dei diversi Paesi membri. Tali asimmetrie rischiano di conseguire, nel medio-lungo periodo, delle conseguenze pregiudizievoli per il buon funzionamento del mercato interno e, in particolare, per le imprese italiane destinatarie fino ad oggi di minori sussidi rispetto alle imprese di altri Paesi, peraltro colpiti meno fortemente dalla crisi epidemiologica.
  A tale riguardo, nel corso delle audizioni è stato, ad esempio, rilevato (prof. Prodi) che a seguito dell'allentamento della politica sugli aiuti di Stato un singolo Paese, la Germania, abbia da sola beneficiato del 52 per cento delle autorizzazioni alle misure di aiuto, a fronte del 48 per cento di tutti gli altri Stati membri.
  Inoltre, va tenuto presente che gli effetti economici della pandemia hanno riattivato dinamiche dirette all'ingresso dello Stato nel capitale delle imprese ai fini della loro ricapitalizzazione, che sono state rese praticabili, a determinate condizioni, dalla Commissione europea per evitare difficoltà sociali e fallimenti del mercato a causa di una perdita significativa di posti di lavoro, l'uscita di un'impresa innovativa o di importanza sistemica, o il rischio di perturbazione di un importante servizio.
  Proprio in virtù del predetto rischio, si evidenzia come l'esigenza di una robusta risposta di bilancio comune – come quella prospettata in Next Generation EU – appaia oggi particolarmente pressante, atteso che le conseguenze della crisi non possono essere affrontate in modo efficace e senza Pag. 173determinare distorsioni geografiche e settoriali nel mercato unico solo attraverso le politiche poste in essere dai singoli Paesi.
  Più in generale, si rileva come abbia recentemente preso l'avvio un dibattito in ordine ad una possibile revisione complessiva della normativa europea sugli aiuti di Stato, che inevitabilmente implica una più generale valutazione sulla politica della concorrenza e sulla strategia industriale.
  Tale dibattito è stato innescato anche da alcune recenti decisioni della Commissione europea, e in particolare dal veto posto alla proposta di fusione tra le società Alstom e Siemens, a seguito del quale è stato pubblicato il c.d. manifesto franco-tedesco per la politica industriale europea adatta al XXI secolo, nel quale si afferma la necessità di riformare le attuale regole in materia di antitrust al fine di consentire alle imprese europee di effettuare operazioni che le rendano più competitive, suggerendo, tra l'altro, di rivedere le regole sulle concentrazioni europee per consentire una maggiore flessibilità alla Commissione nella sua procedura di valutazione, nonché di semplificare le norme in materia di aiuti di Stato che consentono agli Stati membri di finanziare importanti progetti di ricerca e innovazione.
  Al di là di questa legittima posizione politica, ciò che va emergendo in modo sempre più nitido è che a fronte della competizione esasperata che si è scatenata negli ultimi anni con la concorrenza, spesso sleale, di alcune economie emergenti, e dinanzi al consolidarsi, accanto a tradizionali attori come gli Stati Uniti, di nuove realtà geopolitiche, come la Cina, in grado di mobilitare ingenti risorse a sostegno del suo apparato produttivo, l'Unione europea si è trovata in difficoltà, vedendo compromessa la sua capacità di competere ad armi pari in settori strategici preservando la capacità delle sue imprese di operare nei mercati globali anche attraverso una adeguata crescita dimensionale.
  In questo nuovo scenario, il rafforzamento del bilancio a lungo termine dell'Unione e il suo spiccato orientamento verso il potenziamento degli investimenti diretti alla transizione verde e digitale e alla ricerca e innovazione, costituiscono parte di una possibile risposta al fenomeno richiamato.
  Analogamente, alcune proposte formulate in relazione all'ampliamento delle risorse proprie dell'UE, possono essere di ausilio nella costruzione di una più solida sovranità economica, industriale e tecnologica europea; ci si riferisce, in particolare, all'ipotesi di istituire una imposta sul carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment mechanism) volta a ristabilire un equilibrio a tutela delle imprese europee nei confronti di quelle che producono in Paesi con standard meno elevati o assenti in termini di riduzione delle emissioni inquinanti; parimenti, si allude anche alla previsione di un sistema equo di tassazione dell'economia digitale (la c.d. digital tax), che potrebbe ripristinare condizioni di parità competitiva evitando odiosi fenomeni elusivi.
  Tali iniziative si dovranno in ogni caso innestare nell'ambito della nuova strategia industriale per l'Europa, che la Commissione europea ha definito per sostenere l'industria europea e le piccole e medie imprese nella competizione globale, assicurando il rispetto di regole di equa concorrenza facendo leva sull'impatto, le dimensioni e l'integrazione del mercato unico per imporre standard mondiali di sostenibilità e affermare una nuova leadership digitale dell'Europa.
  È evidente dunque che la discussione sulla revisione delle regole degli aiuti di Stato debba essere svolta contestualmente all'approfondimento della strategia industriale, secondo una logica complessiva e non segmentata, che sappia continuare a valorizzare le piccole e medie imprese e al contempo favorire l'affermazione di «campioni europei» nei settori strategici a più alto valore aggiunto, tenendo sempre bene a mente che l'obiettivo comune dev'essere quello di contrastare la concorrenza che viene dall'esterno dell'UE e non già di esasperare la competizione tra Paesi membri.
  In questa prospettiva, si condivide il proposito, annunciato dalla Commissione Pag. 174europea, di riformare, entro il 2021, la disciplina degli aiuti di Stato per l'ambiente e l'energia alla luce degli obiettivi politici del Green new Deal europeo, al fine di sostenere una transizione economicamente efficace e socialmente inclusiva alla neutralità climatica entro il 2050, e si auspica altresì che si possa addivenire ad una più complessiva revisione della normativa europea in materia di aiuti di Stato a favore della sostenibilità e dell'economia circolare, rivolta in particolare alle piccole e medie imprese, anche attraverso un'elevazione della soglia degli aiuti de minimis, così come rilevato nel parere espresso dalla X Commissione.

7. La rete di protezione di sicurezza per i lavoratori, le imprese e gli enti sovrani.

  Come accennato, con la definizione delle tre reti di sicurezza per lavoratori, imprese e sistemi sanitari dall'importo complessivo di 540 miliardi di euro, unitamente all'ampliamento a 1.350 miliardi del programma straordinario di acquisto di titoli della BCE, le Istituzioni europee hanno dato una prima forte risposta all'emergenza pandemica.
  Le tre reti di sicurezza si caratterizzano per essere accomunate dall'essere strumenti di debito messi a disposizione degli Stati membri a condizioni vantaggiose e utilizzabili a fronte di destinazioni specifiche dei fondi ottenuti mirate a fronteggiare le conseguenze della pandemia: investimenti per le imprese e spese di carattere sociale in favore degli Stati.

7.1. Lo strumento di sostegno per attenuare i rischi di disoccupazione (SURE).

  Per quanto riguarda lo SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency), si tratta, come accennato, di un regime di prestiti concessi dall'Unione europea per finanziare programmi nazionali di sostegno dell'occupazione resi necessari dalla recessione pandemica. Esso si configura come un nuovo e inedito strumento comune, che per la prima volta fornisce ai Paesi colpiti in modo asimmetrico da uno shock macroeconomico risorse reperite attraverso il ricorso al mercato da parte della Commissione europea.
  Con una dotazione di risorse di 100 miliardi di euro, il SURE fungerà in particolare da seconda linea di difesa per finanziare i regimi di riduzione dell'orario lavorativo e misure analoghe, aiutando gli Stati membri a proteggere i posti di lavoro. Le condizioni per determinare quando uno Stato membro possa beneficiare di un sostegno a valere su tale strumento sono definite in riferimento a un «repentino e severo aumento della spesa pubblica effettiva ed eventualmente anche programmata per preservare l'occupazione».
  I prestiti sono attivabili su richiesta dei singoli Stati, chiamati a offrire garanzie in linea con la propria quota sul totale del reddito nazionale lordo dell'Unione. Il sistema di garanzie eviterà la necessità di contributi in denaro anticipati dagli Stati membri, fornendo nel contempo il supporto di credito necessario per garantire un elevato rating del credito. A tal fine lo strumento sarà operativo quando tutti i Paesi si saranno impegnati per la loro quota di garanzie che devono nel complesso raggiungere un importo minimo del 25 per cento dell'ammontare massimo dei prestiti di 100 miliardi di euro; l'Italia ha già provveduto nell'ambito del decreto-legge «Rilancio» a fornire le garanzie richieste.
  Al pari di Next Generation EU, anche la dotazione dello strumento sarà reperita attraverso prestiti che la Commissione europea contrarrà sui mercati finanziari, che saranno poi concessi a condizioni agevolate, da definirsi caso per caso, in relazione alle spese sostenute a partire dal 1o febbraio 2020 per gli schemi di integrazione salariale o per regimi analoghi previsti per i lavoratori autonomi.
  Lo Stato membro interessato dovrebbe presentare una apposita richiesta di sostegno; prima che il Consiglio accordi l'assistenza finanziaria, la Commissione dovrebbe consultarsi con il medesimo Stato Pag. 175per valutare l'entità del repentino e severo aumento (verificatosi o atteso) della spesa pubblica destinata alla tutela dell'occupazione; il Consiglio, se sono soddisfatte le condizioni, adotterà poi una decisione di esecuzione che approva l'assistenza finanziaria deliberando a maggioranza qualificata e la Commissione e lo Stato membro beneficiario concluderanno un apposito accordo di attuazione.
  Si ricorda che, da ultimo, il Consiglio dell'Unione europea, su proposta della Commissione europea, ha approvato, lo scorso 25 settembre, l'attivazione di un sostegno finanziario a carico del nuovo strumento SURE di importo complessivo pari a 87,4 miliardi di euro, in favore di 16 Stati membri, di cui all'Italia è stata concessa la quota più consistente pari a 27,4 miliardi di euro.
  Oltre alle garanzie degli Stati membri, nel quadro del SURE sono integrate altre indicazioni tese ad assicurare la solidità finanziaria del regime: si prevede, tra l'altro, un portafoglio dei prestiti costruito in modo da limitare il rischio di concentrazione, l'esposizione annuale e l'esposizione eccessiva a singoli Stati membri, garantendo al tempo stesso che sia possibile erogare risorse sufficienti agli Stati membri che ne hanno maggiormente bisogno; non vi sono in ogni caso dotazioni prestabilite per i singoli Stati membri ed è prevista inoltre la possibilità di rinnovare il debito. Secondo quanto riferito dai rappresentanti della Banca d'Italia, è probabile che il nostro Paese sia tra i tre maggiori beneficiari dei fondi, ai quali possono essere complessivamente concessi finanziamenti fino a un massimo di 60 miliardi.
  È interessante notare come SURE si configuri, nella sostanza, come un'attuazione in condizioni di emergenza di un regime europeo di riassicurazione dell'indennità di disoccupazione nel contesto specifico della crisi dovuta al Covid-19, che mantiene intatta la possibile futura creazione di un analogo strumento a carattere permanente in forza di una diversa basa giuridica.
  A tale riguardo, si esprime apprezzamento per il fatto che nella comunicazione che delinea la sua risposta economica coordinata all'emergenza pandemica, la Commissione europea si sia impegnata ad accelerare l'elaborazione della proposta legislativa relativa a un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione, che costituisce una priorità urgente e ineludibile nel quadro dell'attuazione dei principi del Pilastro europeo dei diritti sociali, al pari dello sviluppo di un quadro europeo per i salari minimi nazionali.
  Tra le proposte prospettate nel corso del dibattito in Commissione era stata, del resto, avanzata l'ipotesi (dott. Gros) di rendere permanente lo SURE seppur studiato per rispondere nell'immediato alle sfide poste dalla pandemia, preferibilmente integrandolo nel bilancio dell'UE.
  Anche se si tratta di uno strumento temporaneo, che potrà concedere finanziamenti sino alla fine del 2022, esso potrebbe infatti costituire la base per un vero e proprio stabilizzatore automatico a livello europeo che, come rilevato anche nell'analisi della Banca d'Italia, è uno strumento necessario per il funzionamento di un'unione monetaria.
  È altresì interessante notare come la base giuridica dello strumento in questione sia rinvenibile nell'articolo 122 del TFUE, il medesimo già utilizzato durante la crisi finanziaria per la creazione del meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) finalizzato ad aiutare gli Stati membri che avevano perso, in tutto o in parte, l'accesso al mercato a causa di un forte aumento dei costi di finanziamento.
  In questo caso la pandemia è considerata un evento improvviso ed eccezionale che ha un impatto diffuso e dirompente sui sistemi economici degli Stati membri e che impone una risposta collettiva in uno spirito di solidarietà. In particolare, la creazione del sistema di garanzie basato sui contributi volontari degli Stati membri all'Unione per sostenere l'assistenza finanziaria nell'ambito dello strumento si fonderebbe sul paragrafo 1 dell'articolo 122 – in quanto l'intervento costituisce una risposta Pag. 176degli Stati membri, in uno spirito di solidarietà e con misure adeguate, alla situazione economica senza precedenti causata dalla pandemia –, mentre l'organizzazione e la gestione del sistema di prestiti si basano sul paragrafo 2 dell'articolo, che consente al Consiglio di fornire, su proposta della Commissione e a determinate condizioni, un'assistenza finanziaria temporanea e ad hoc dell'Unione a uno Stato membro che si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che esulano dal suo controllo. L'articolo 122, paragrafo 2, del TFUE può essere infatti utilizzato per qualsiasi tipo di evento di crisi eccezionale e non è limitato alle sole crisi di natura finanziaria o di stabilità finanziaria; il Consiglio dispone così di un ampio margine discrezionale per valutare se siano soddisfatte le condizioni di questa base giuridica, come è chiaramente il caso degli Stati membri più colpiti dalle gravi minacce per la sanità pubblica causate dalla pandemia e dalle conseguenze socioeconomiche che ne derivano.

7.2. Il potenziamento della leva finanziaria della Banca europea degli investimenti.

  Un'ulteriore strategia per far fronte alla crisi pandemica è costituita dal rafforzamento della BEI. L'istituto, che nel programma di lavoro della Commissione è destinato a divenire sempre più la banca deputata a sostenere la «transizione verde» e la lotta al cambiamento climatico, ha articolato con tempestività un pacchetto di risposta immediata all'emergenza da 40 miliardi, attraverso la concessione di garanzie alle banche, linee di liquidità per sostenere il capitale circolante delle imprese e programmi di acquisto di titoli di cartolarizzazioni, per trasferire il rischio di portafogli di prestiti alle PMI; ha inoltre potenziato la collaborazione con le istituzioni di promozione nazionali come la Cassa Depositi Prestiti, tramite una operazione di finanziamento per 1,5 miliardi e disposto l'aumento fino al 20 per cento degli importi dei finanziamenti già in essere, nonché innalzato la quota finanziabile di ciascun progetto (fino al 100 per cento per controparti del settore pubblico, a fronte del limite usuale del 50 per cento).
  La principale misura adottata è costituita tuttavia dall'istituzione del Fondo di Garanzia Pan-europeo, alimentato da garanzie degli Stati fino a 25 miliardi di euro, a copertura di ulteriori operazioni della BEI a prevalente sostegno delle PMI e principalmente attraverso strumenti di garanzia a favore di intermediari finanziari, in grado di mobilizzare fino a 200 miliardi di nuovi investimenti entro la fine del 2021. Il fondo di garanzia sarà operativo non appena saranno stati conferiti i contributi di Stati membri che rappresentino almeno il 60 per cento del capitale della BEI e sarà attivo fino alla fine del 2021, data prorogabile dietro approvazione degli Stati Membri.
  Questo potenziamento della leva finanziaria della Banca va valutato con estremo favore, anche alla luce del fatto che l'Italia è, storicamente, il maggior beneficiario della finanza della BEI, avendo nel complesso ricevuto 230 miliardi di prestiti per finanziare 2500 progetti; solo negli ultimi 10 anni sono stati erogati 102 miliardi di finanziamenti che hanno permesso di mobilizzare 277 miliardi di investimenti in tutto il territorio nazionale e anche nel 2019 l'Italia è stato il primo beneficiario della BEI: oltre 11 miliardi (con un aumento del 14 per cento rispetto all'anno precedente) per oltre 34 miliardi di investimenti sostenuti grazie a 143 diversi progetti.
  Va inoltre considerato che, al pari di quanto accaduto con il piano di investimenti della precedente Commissione Junker, di cui la BEI è divenuta il braccio finanziario esclusivo e di cui l'Italia è stato sinora il secondo Paese beneficiario (con oltre il 15 per cento degli investimenti sul totale di circa 70 miliardi sui 500 previsti in 5 anni), anche nell'ambito del nuovo strumento Next Generation EU, la BEI potrà svolgere un ruolo cruciale nel sostenere gli investimenti per la ripresa. Pag. 177
  Queste iniziative, assieme ad altre previste nel quadro del prossimo bilancio a lungo termine, vedranno impegnata in prima linea anche la BEI nella sua qualità di Banca dell'Unione europea, e per tale ragione occorre che tutti gli Stati membri azionisti forniscano un adeguato supporto alla sua azione, anche al fine di fugare il rischio che un aumento indiscriminato dei volumi delle sue attività comporti un deterioramento dei parametri finanziari e per questa via un indebolimento della Banca, la cui solidità è una condizione fondamentale anche per la ripresa dell'economia italiana.
  A tale ultimo riguardo, nel corso delle audizioni svolte è emerso, in particolare, (dott. Scannapieco) come negli ultimi vent'anni il PIL italiano sia cresciuto nel complesso del 7,7 per cento, a fronte di una crescita del 32 per cento di quello francese, del 30,6 per cento di quello tedesco e del 43,4 per cento di quello spagnolo. Una delle ragioni fondamentali alla base di questa deludente crescita del prodotto è rinvenibile nella caduta degli investimenti e una delle sfide prioritarie per garantire la ripresa è dunque quella di riportare la spesa pubblica per investimenti sui livelli europei, ossia circa il 3 per cento del PIL contro il 2,2 per cento dell'Italia. Ed è proprio in questa prospettiva che la BEI potrà continuare a giocare un ruolo essenziale, non solo come partner finanziario affidabile, che grazie al rating tripla-A emette bond sui mercati a tassi anche negativi, ma anche come operatore capace di offrire al contempo l'assistenza tecnica qualificata necessaria alla programmazione, spesso carente, degli investimenti utili al Paese.

7.3. La linea di credito speciale del MES per le spese sanitarie.

  La terza componente della rete di sicurezza adottata in risposta alla pandemia è costituita dalla nuova linea di credito precauzionale del Meccanismo Europeo di Stabilità (Pandemic Crisis Support), che potrà erogare complessivamente finanziamenti fino a circa 240 miliardi di euro a condizione di utilizzare le risorse per far fronte alle spese direttamente e indirettamente legate all'emergenza sanitaria. L'ammontare di prestiti per ciascun Paese potrà raggiungere un importo pari al 2 per cento del PIL del 2019, che per l'Italia si traduce in circa 36 miliardi.
  Secondo quanto riportato nel corso dell'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, per il ricorso alla linea di credito, operativa dallo scorso 15 maggio e attivabile fino alla fine del 2022, non è richiesta l'adozione di un programma di correzione macroeconomica e la sorveglianza, nell'ambito del semestre europeo, sarà limitata all'effettiva destinazione delle risorse utilizzate agli scopi indicati.
  Sul rapporto rischi-benefici relativi ad un eventuale ricorso a tale strumento da parte dell'Italia, nel corso delle audizioni sono emerse varie valutazioni.
  Le principali argomentazioni a sfavore del suo utilizzo si sono appuntate su tre versanti: i reali effetti economici, il rischio dell'effetto «stigma» che ne deriverebbe e le condizionalità macroeconomiche che potrebbe sorgere in futuro.
  Quanto al primo aspetto vi è chi (dott. Gros) ha osservato come dal punto di vista strettamente economico non sia chiaro se all'Italia convenga fare ricorso alla linea di credito del MES, perché se è vero che il relativo prestito avrebbe un costo molto basso, è altresì vero che il debito dell'Italia verso il MES si configurerebbe come debito «senior». A tale riguardo, del resto, è stato comunque altresì evidenziato (dott. Gros) come in ogni caso la sola esistenza di questa nuova linea di credito possa contribuire a contenere eventuali turbolenze sui mercati finanziari anche qualora non dovesse essere utilizzata; in questa prospettiva è stata rilevata anche la possibilità di fare ricorso a questa linea di credito, ma dichiarando pubblicamente che le relative risorse non saranno spese bensì accantonate come riserva in caso di necessità: lo stigma, in tal caso, sarebbe positivo.
  Per i sostenitori di tale opzione, il suo principale beneficio sarebbe rinvenibile Pag. 178nel risparmio sulla spesa per interessi a fronte dell'alternativa del ricorso al mercato, atteso che tenendo conto del differenziale tra il tasso di interesse sui titoli di Stato decennali italiani e quello applicato sulla linea di credito del MES, il pieno utilizzo di tale linea di credito permetterebbe una minore spesa per interessi dell'ordine di 500 milioni in media all'anno nell'arco di un decennio (rappresentanti Banca d'Italia). Inoltre, vi sarebbe il vantaggio di poter utilizzare sin da subito tale possibilità senza dover attendere la compiuta definizione degli ulteriori strumenti europei previsti in risposta alla pandemia (prof. Cottarelli).
  D'altro canto, nella stessa prospettiva, non è mancato chi ha sottolineato, viceversa, come il mancato ricorso al MES possa essere interpretato dai mercati come un segno di debolezza del Paese, determinando una sorta di effetto «stigma» al contrario (prof. Quadrio Curzio).
  Per quanto riguarda le condizionalità macroeconomiche, è stato altresì rilevato (professoressa Stirati) come il ricorso al MES possa comportare delle insidie nel medio periodo, perché a fronte di una condizionalità iniziale, limitata alla verifica del rispetto del vincolo di destinazione delle risorse, la procedura di sorveglianza rafforzata potrebbe far emergere nel tempo la necessità di aggiustamenti della situazione macroeconomica, soprattutto allorquando saranno ripristinati in tutto o in parte i vincoli di finanza pubblica derivanti dal Patto di Stabilità e Crescita. In questo senso, alcuni, come la professoressa Mazzucato, non ritengono utile il ricorso al MES proprio alla luce di possibili ulteriori condizionalità che potrebbero far riemergere politiche di austerità adottate nel recente passato che hanno avuto esiziali effetti regressivi.
  Di parere completamente opposto sono risultati tuttavia altri numerosi auditi. In effetti, nel corso delle audizioni svolte è stato osservato come tali condizionalità si limitano solo ed esclusivamente all'utilizzo delle risorse per far fronte agli effetti diretti e indiretti della crisi sanitaria e la sorveglianza sarebbe pertanto limitata al settore sanitario senza possibilità di richiesta di aggiustamenti di natura macroeconomica (prof. Cottarelli). D'altronde, è stato anche evidenziato come l'accesso a strumenti di supporto finanziario implichi in ogni caso una «sorveglianza rafforzata» da parte della Commissione europea, la quale ha tuttavia dichiarato che in questo caso essa sarà mite e circoscritta alla verifica dell'utilizzo dei fondi per il rafforzamento del sistema sanitario in chiave antipandemica (prof. Enzo Moavero Milanesi).
  Allo stesso modo, varie personalità intervenute in audizione (prof. Codogno, prof. Micossi, professoressa Reichlin e lo stesso Ministro Gualtieri), hanno evidenziato addirittura l'opportunità di utilizzare appieno tutti gli strumenti messi in campo dall'Unione europea per sostenere gli Stati membri nella gestione della pandemia. Anche il Commissario Gentiloni ha segnalato come, alla luce dei favorevoli tassi di interesse applicati ai prestiti e delle blande condizionalità previste, vi sia l'interesse per l'Italia di ricorrere allo strumento, al pari dello strumento SURE, ricordando peraltro che meccanismi di rendicontazione e verifica delle spese effettuate siano previsti non solo per il MES ma anche per il Recovery fund.
  In tale contesto, la decisione di attingere o meno alle risorse del MES appare dunque come una scelta di carattere meramente politico che non potrà prescindere da un pieno e necessario coinvolgimento del Parlamento.

8. Il Quadro finanziario pluriennale e il programma Next Generation EU.

8.1. Un bilancio europeo più ambizioso.

  Nel corso del ciclo di audizioni svolte la Commissione ha potuto seguire in modo costante e qualificato lo svolgimento delle fasi più complesse del negoziato che ha condotto all'accordo raggiunto, nel corso del Consiglio europeo del 17-21 luglio, sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e sull'associato programma Next Generation Pag. 179EU (NGEU), che pur recando alcune differenze rispetto al pacchetto di proposte presentate dalla Commissione il 27 maggio, ne conferma nella sostanza l'impianto originario.
  Rispetto alla proposta della Commissione europea, è prospettata una riduzione di risorse complessive, per l'intero settennato, pari a 25,7 miliardi di euro, da 1.100 a 1.074,3 miliardi, pari all'1,067 per cento dell'RNL dell'UE-27, mentre sono confermate le risorse complessive del nuovo strumento NGEU, pari a 750 miliardi di euro, con una differente ripartizione tra sovvenzioni e prestiti (rispettivamente 390 miliardi in sovvenzioni e 360 miliardi in prestiti, a fronte di 500 e 250 previsti originariamente dalla Commissione).
  Il pacchetto di proposte presentato dalla Commissione il 27 maggio è stato giudicato positivamente dalla prevalenza dei soggetti auditi, che ne hanno sottolineato il carattere innovativo, ambizioso e inedito.
  In via generale, nel corso delle audizioni, è stato osservato che Next Generation EU rappresenta un passo in avanti importante verso l'unione fiscale (dott. Gros e professoressa Reichlin) e un apripista verso una configurazione federalista del bilancio europeo e la creazione di un safe asset comune (dott. Giacché), un precedente nella prospettiva del rafforzamento dell'integrazione, sotto il profilo del completamento dell'Unione economica e monetaria, nonché della definizione di un programma economico su basi comuni (Commissario Gentiloni e Ministro Gualtieri).
   È stato inoltre enfatizzato (Vicepresidente Sefcovic) come le azioni poste in essere abbiano inaugurato un nuovo capitolo nella storia dell'integrazione europea in virtù della previsione di meccanismi congiunti di finanziamento europei rivolti anche a tutela dell'occupazione.
  Dal punto di vista istituzionale è stato in particolare rilevato come Next Generation EU e il relativo ricorso al mercato per finanziarlo configuri un rafforzamento del ruolo delle istituzioni sovranazionali rispetto a quelle intergovernative e possa rappresentare un passo in avanti tra il modello della confederazione intergovernativa e la federazione statale di tipo tedesco, ossia la via dell'Unione federale, basata sulla separazione e non sulla fusione, secondo uno schema in cui le competenze dell'UE dovrebbe essere rafforzate su poche ma importanti questioni (le grandi politiche in materia di ambiente, difesa, ecc.), mentre le altre decisioni sulle politiche rilevanti anche sul piano elettorale spetterebbero agli Stati membri: in tale prospettiva è stato formulato l'auspicio di realizzare un'Unione di Stati sovrani dentro un'Unione sovrana (professor Fabbrini).
   È stato, altresì, sottolineato il carattere solidaristico e redistributivo del nuovo programma. Oltre a essere considerati impensabili solo poco tempo fa, qualcuno ha fatto notare che gli strumenti nel quadro del nuovo pacchetto di iniziative europee sono al limite politico e giuridico dei trattati e che, pertanto, si porrà l'esigenza di un loro cambiamento in futuro, di cui si dovrebbe discutere nell'ambito della Conferenza sul futuro dell'Europa (professor Codogno).
  Uno degli elementi di maggiore innovazione delle proposte è rappresentato dal prospettato ricorso ai mercati finanziari per il reperimento delle risorse da destinare a Next Generation EU, attraverso l'emissione di titoli da parte della Commissione per conto dell'Unione europea, che rappresenta un cambio di paradigma verso la mutualizzazione e la condivisione dei rischi. Al riguardo, è stata rilevata l'importanza di strumenti del debito a livello europeo, che possano fungere da garanzia rispetto a shock catastrofici (dott. Wolff); le risposte a livello nazionale, che sono necessarie ma non sufficienti, determinano da sole forti esternalità all'interno del mercato unico, inficiando le condizioni di parità tra i diversi Paesi. La necessità di interventi comuni a livello dell'Unione europea parte dalla constatazione che i differenti spazi fiscali degli Stati membri possono provocare divergenze, che rischiano di ampliarsi minando il funzionamento Pag. 180del mercato unico e dell'eurozona, nonché compromettendo la ripartenza complessiva (Commissario Gentiloni).
  Tra l'altro, l'innalzamento del massimale della decisione sulle risorse proprie per l'assunzione di prestiti, attraverso l'aumento del margine di manovra (cd. headroom) di 0,6 punti percentuali, per quanto limitato e temporaneo, amplierebbe il bilancio europeo finanziato in deficit colmando l'assenza di un bilancio europeo di sufficienti dimensioni che possa svolgere, in via permanente, un ruolo anticiclico (prof. Cottarelli).
  Nel confronto con le proposte avanzate in passato in tema di «eurobond», vi è stato peraltro anche chi (prof. Tremonti) ha sottolineato come questi ultimi fossero concettualmente configurati come forme di debito dell'Europa per effettuare investimenti europei, mentre l'idea sottesa al Recovery fund presenta un doppio livello di debito: un debito dell'Europa e un debito che gli Stati contraggono con la stessa; per quanto concerne l'impatto del nuovo dispositivo, è stato invece rilevato come gli importi messi a disposizione siano importanti ma non risolutivi.
  Quanto alle caratteristiche dei titoli emessi dalla Commissione, è stata rilevata la necessità in sede negoziale di preservarne una lunga maturità e dilazione nel tempo (professoressa Stirati). Nelle conclusioni del Consiglio europeo, si conferma la fissazione di un calendario dei rimborsi, in modo da ridurre costantemente e prevedibilmente le passività fino al 31 dicembre 2058.
  Preoccupazione è stata espressa da più parti circa l'articolato iter di approvazione delle misure che, in ragione della necessità di bilanciare posizioni diverse nella definizione di un accordo e dell'approvazione all'unanimità, potrebbe rallentarne l'operatività e determinare significativi cambiamenti delle proposte iniziali. Si ricorda, infatti, che il Quadro finanziario pluriennale è adottato con un regolamento del Consiglio dell'UE all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Peraltro, il potere attribuito alla Commissione di contrarre prestiti per conto dell'Unione è conferito in virtù della decisione sulle risorse proprie di aumentare il massimale al 2 per cento dell'RNL dell'UE, che dovrà essere adottata con una procedura legislativa speciale fissata dall'articolo 311 del TFUE, in base alla quale il Consiglio delibera all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, e la decisione entra in vigore solo dopo l'approvazione degli Stati membri in conformità alle rispettive norme costituzionali. Esiste quindi la concreta possibilità che posizioni divergenti si manifestino a diversi livelli del processo decisionale. Al fine di sollecitare un rapido perfezionamento dell’iter da parte degli Stati membri, nelle conclusioni si sottolinea che questi «procederanno all'approvazione della nuova decisione sulle risorse proprie, nel più breve tempo possibile, conformemente alle rispettive norme costituzionali nazionali».
  La preoccupazione circa la tempistica di approvazione del pacchetto di proposte si è incrociata, nel corso delle audizioni, con quella riguardante l'effettiva disponibilità delle risorse, comunque non prima del 2021, e la loro distribuzione su un arco temporale pluriennale, che non ne consentirebbe un'integrale fruizione nell'immediato. A tale riguardo, merita ricordare che le proposte iniziali della Commissione prevedevano una parziale anticipazione dell'efficacia di alcune delle misure di sostegno alla ripresa prospettate per il nuovo QFP, nell'ordine di 11,5 miliardi di euro di finanziamenti per l'anno 2020, per aiutare le regioni più bisognose (tramite il programma REACT-EU), per potenziare il capitale delle imprese europee sane (attraverso lo Strumento di sostegno alla solvibilità) e per sostenere chi ha bisogno fuori delle frontiere dell'UE (tramite il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile – EFSD). Nell'accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo, è stato però convenuto di non apportare modifiche al QFP 2014-2020, nel contempo precisando che, a causa della situazione eccezionale, le azioni pertinenti avviate dal 1o febbraio 2020 in poi dovrebbero essere ammissibili Pag. 181al finanziamento a titolo di REACT-EU e del dispositivo per la ripresa e la resilienza, purché perseguano gli obiettivi dei rispettivi programmi.
  La maggior parte delle audizioni si è soffermata sulle caratteristiche salienti del nuovo programma Next Generation EU e del suo principale strumento, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
  Quanto alla suddivisione tra sovvenzioni e prestiti, è stata espressa una generale preferenza per i contributi a fondo perduto, per lo più a motivo di non accrescere l'esposizione debitoria del Paese: ciononostante, è stato segnalato da alcuni che la distinzione tra prestiti e trasferimenti agli Stati membri appare meno rilevante (prof. Cottarelli) di quanto percepito nel dibattito in corso, in quanto l'eventuale saldo dei benefici netti deve essere valutato tenendo conto anche degli obblighi di rimborso dei debiti contratti attraverso il bilancio europeo; poiché questi ultimi sono proporzionali al RNL, i benefici netti dipenderanno da quanto l'allocazione dei fondi si discosterà dalle quote di RNL, dando la preferenza ai Paesi più colpiti dalla crisi sanitaria (prof. Micossi). La Commissione prevede, infatti, di introdurre nuove risorse proprie per il rimborso dei prestiti, ma, qualora non dovessero essere approvate, agli Stati membri potrà essere richiesto di concorrere pro quota secondo le ordinarie modalità di finanziamento del bilancio dell'UE.
  Relativamente alla ripartizione delle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, è stato rilevato da alcuni come i criteri per l'assegnazione delle sovvenzioni si basino sui dati del 2019 (o dati precedenti), il che li caratterizzerebbe come strumenti tradizionali, come i fondi di coesione, e non come strumenti basati sullo shock pandemico (dott. Wolff). Laddove poi si consideri l'allocazione delle sovvenzioni in percentuale rispetto al prodotto nazionale lordo, tenendo conto dei contributi che i Paesi sono tenuti a versare, risulterebbero privilegiati i Paesi con redditi minori, tradizionalmente beneficiari delle politiche di coesione come i Paesi dell'Est e la Grecia.
  È stata pertanto richiamata da alcuni l'esigenza di considerare l'entità degli effetti causati dalla crisi pandemica e la caduta del PIL nella prima metà del 2020 ai fini della ripartizione delle risorse (professor Ciambetti e professoressa Stirati). A questo proposito, merita segnalare che l'accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo ha inserito il criterio del calo del PIL nel 2020 e nel periodo cumulato 2020-2021, in luogo di quello della disoccupazione, ai fini dell'impegno del 30 per cento delle sovvenzioni nel 2023.
  Ai fini dell'accesso al Dispositivo, gli Stati membri dovranno elaborare (e trasmettere alla Commissione europea) Piani per la ripresa e la resilienza, che definiscano i rispettivi programmi di riforma e investimento, in coerenza con le sfide e le priorità individuate nel contesto del Semestre europeo e con i Programmi nazionali di riforma. Le raccomandazioni della Commissione europea (Country Specific Recommendations) saranno, pertanto, la base per le azioni da finanziare con le risorse messe a disposizione, raccomandazioni che, oltre a focalizzare l'attenzione sui temi della transizione verde e digitale, fanno riferimento, tra l'altro, al miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario e del funzionamento della pubblica amministrazione. L'accesso alle risorse sarebbe dunque subordinato alla necessità, da parte del Paese beneficiario, di predisporre piani di spesa e riforme capaci di affrontare le specifiche sfide nazionali e di garantire al contempo la convergenza sugli obiettivi concordati a livello europeo. Il 17 settembre scorso la Commissione europea ha fornito più specifiche indicazioni sulla redazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza e sulla presentazione dei relativi progetti.
  Il Ministro dell'economia e delle finanze, dopo aver osservato che il Recovery fund rappresenta un'occasione unica per affrontare i problemi strutturali del Paese, ha anticipato l'intendimento di presentare in autunno il piano nazionale di recupero Pag. 182e resilienza, piano che dovrebbe entrare nel dettaglio rispetto alle direttrici sulle quali si sviluppa il PNR (Piano nazionale per le riforme). Il Ministro ha posto l'accento sulla necessità di un equilibrio tra l'esigenza di sostegno agli investimenti, che porti il livello degli investimenti sopra al 3 per cento del PIL, e quella di riduzione del debito pubblico. I primi orientamenti del Governo sulla predisposizione del piano per la ripresa e la resilienza sono contenuti nelle «Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza», trasmesse alle Camere il 15 settembre scorso e in ordine alle quali è stata avviata una specifica attività conoscitiva, cui ha preso parte anche la XIV Commissione, finalizzata a individuare, sulla base di una apposita procedura parlamentare, le priorità nell'utilizzo delle risorse del Recovery fund.
  La necessità di un grande rilancio delle riforme strutturali e di un ripensamento complessivo della spesa pubblica, da un lato, e di un piano a medio termine per la riduzione del debito in rapporto al PIL, dall'altro, è stata condivisa da altri auditi (Commissario Gentiloni, prof. Codogno e prof. Micossi).
  L'accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo ha inciso sulla procedura di approvazione dei piani: diversamente da quanto previsto dalle proposte della Commissione europea, per le quali i Piani avrebbero dovuto essere valutati e approvati esclusivamente dalla Commissione stessa, i Piani saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione. Tale novità avrebbe suscitato perplessità in sede negoziale, anche da parte di Francia, Spagna e Italia, perché rimetterebbe la decisione finale a una sede rappresentativa dei Governi nazionali qual è il Consiglio. Ai fini del rilascio dei fondi, si terrà conto del parere del Comitato economico e finanziario e, qualora il Comitato non riesca a raggiungere il consenso, verrà attivata la procedura che la stampa ha definito «freno d'emergenza»: ogni Stato membro potrà opporsi alla valutazione positiva per gravi scostamenti dall'adempimento soddisfacente dei pertinenti target e, su queste basi, richiedere entro tre giorni che la questione sia deferita al Consiglio europeo. Nessuna decisione riguardo i pagamenti potrebbe essere assunta finché il Consiglio europeo o l'Ecofin, da esso delegato, non abbia discusso la questione «in maniera esaustiva».
  Nel corso delle audizioni, è stata posta l'attenzione sulle «condizionalità», che caratterizzerebbero l'attribuzione delle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
  Oltre alla necessità di piani progettuali dettagliati, con un'analisi costi-benefici e della loro realizzabilità, sarà fondamentale rispettare la tempistica e i target, pena la mancanza o la sospensione della materiale erogazione delle risorse (prof. Moavero Milanesi). La valutazione positiva delle richieste di pagamento sarà, infatti, subordinata al raggiungimento di pertinenti traguardi intermedi e finali. Ciò comporterà per gli Stati membri non solo la necessità di ricercare un accordo sui progetti cui destinare le risorse, ma anche di accettare una forte sorveglianza europea sulle proprie politiche economiche (prof. Micossi), sorveglianza che è stata definita anche come una nuova forma di «dirigismo europeo» sulle attività di investimento e di riforma degli Stati (prof. Moavero Milanesi).
  Per quanto concerne la destinazione delle risorse, oltre alle finalità collegate alle grandi priorità della transizione verde e digitale, è stata segnalata l'importanza di prevedere misure e risorse a sostegno del turismo, che risulta particolarmente colpito a seguito della pandemia e che in Italia rappresenta il 13,2 per cento del PIL e circa il 14,5 per cento dell'occupazione (dott. Palmucci). È stata altresì segnalata l'importanza di destinare risorse al rafforzamento della sanità pubblica (professoressa Mazzucato), nonché alle iniziative volte a favorire l'occupazione femminile (dottoressa Iachino e dottoressa Sabbadini). Più in generale, è stato posto l'accento sulla necessità di rilanciare programmi di investimento pubblici e privati per la ripresa: a tale riguardo, è stato Pag. 183anche proposto di porre a capo di ciascuna filiera di investimento una grande impresa italiana (prof. Quadrio Curzio). Il Commissario Gentiloni ha invece segnalato tra l'altro l'opportunità che gli investimenti privati, che crolleranno nel 2020 e nel 2021 nei settori della transizione verde e digitale, siano compensati da quelli pubblici.
  In linea generale, va tenuto presente che la governance del Dispositivo per la ripresa e la resilienza e, in particolare, la previsione di meccanismi rigorosi e periodici di verifica a livello UE dello stato di avanzamento delle riforme e dei progetti di investimento indicati nei piani nazionali, sembrerebbe suggerire l'esigenza di introdurre efficaci e trasparenti meccanismi nazionali di monitoraggio che consentano l'appropriato esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo da parte del Parlamento non soltanto nella fase di predisposizione dei progetti, ma anche in quella della loro attuazione da parte dei soggetti competenti, ciò anche al fine di evitare il rischio di una perdita degli stanziamenti preassegnati all'Italia.

8.2. La transizione ecologica.

  Il nuovo bilancio, integrato dallo strumento NGEU, prevede la maggiore integrazione degli obiettivi ambientali, al fine di conseguire l'ambizioso obiettivo di destinare almeno il 30 per cento della spesa dell'UE al raggiungimento degli obiettivi climatici. Sia il bilancio che Next Generation EU dovranno rispettare l'obiettivo della neutralità climatica dell'UE entro il 2050 e contribuire al raggiungimento dei nuovi obiettivi climatici 2030 dell'Unione, che dovranno essere revisionati entro la fine dell'anno, come è stato confermato nel corso dell'audizione del Vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Frans Timmermans, che ha altresì ricordato l'importanza della strategia e delle iniziative riguardanti il Green Deal. È stata altresì segnalata l'importanza della priorità da attribuire al Green Deal europeo e a una coraggiosa strategia industriale europea, come due filoni gemelli del piano di rilancio post Covid (professoressa Smerilli).
  Le audizioni svolte hanno consentito di approfondire il tema degli effetti dei cambiamenti climatici (prof. Giraud): sono stati presentati dati circa l'impatto sull'aumento delle temperature, sull'innalzamento del livello dei mari, sulle difficoltà di approvvigionamento idrico, sull'aumento di alcune malattie (ad es. la malaria), nonché sulla perdita di biodiversità. Sono stati, altresì, rappresentati gli effetti di alcuni eventi climatici in termini di distruzione delle intere catene di valore (ad esempio, l'effetto delle alluvioni in Tailandia nel 2011 sull'industria automobilistica e su quella elettronica). Il numero degli eventi collegati al cambiamento climatico, che ha causato perdite economiche, è infatti triplicato tra il 1980 e il 2014. I Paesi maggiormente esposti a eventi estremi rappresentano l'11 per cento dell'economia globale e il 28 per cento della popolazione mondiale.
  Il tema della transizione verde permea, pertanto, tutto il nuovo quadro finanziario pluriennale e costituisce una delle grandi priorità cui orientare le varie azioni in modo più o meno diretto.
  Per quanto riguarda la situazione nazionale, nel corso delle audizioni è stato rilevato che la realizzazione di misure di rilancio e trasformazione del Paese verso lo sviluppo sostenibile dovrà essere garantita con le nuove risorse europee e attraverso una ricomposizione del bilancio pubblico; in questa prospettiva, è stato proposto il progressivo azzeramento dei 19 miliardi di sussidi dannosi all'ambiente, da trasformare in sussidi alle imprese per la transizione ecologica e l'economia circolare e in investimenti straordinari per aumentare la competitività del Paese e aiutare il suo sviluppo sostenibile e inclusivo (prof. Giovannini). È stata, altresì, proposta la realizzazione di un piano di investimenti dedicati alle città e ai territori per rendere il Paese più sicuro e resiliente (prof. Giovannini).
  I piani per la ripresa e la resilienza, che gli Stati membri dovrebbero elaborare (e Pag. 184trasmettere alla Commissione europea) per accedere al Dispositivo per la ripresa e la resilienza, devono essere coerenti anche con le sfide e le priorità individuate con i Piani nazionali per l'energia e il clima e con i Piani per una transizione giusta.
  Il riorientamento del Semestre europeo nella chiave della crescita sostenibile è ormai avviato e proseguirà secondo una serie di passaggi: dapprima la Strategia per la crescita sostenibile – che per il 2021 è stata presentata dalla Commissione il 17 settembre scorso – e successivamente le relazioni per Paese in cui dovrà essere presente una sezione dedicata alla sostenibilità ambientale.
  Le raccomandazioni specifiche per l'Italia per il 2020, tra l'altro, prevedono che l'Italia concentri gli investimenti sulla transizione verde, in particolare su una produzione e un utilizzo puliti ed efficienti dell'energia, sulla gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, sul trasporto pubblico sostenibile.
  Il Commissario europeo Timmermans ha ricordato il carattere strategico di alcune tipologie di investimenti per l'Italia: dal trasporto sostenibile all'efficienza energetica, dalla gestione dei rifiuti al dissesto idrogeologico, fino alla riconversione dell'ILVA in produzione di acciaio «verde».

8.3. La trasformazione digitale.

  La transizione digitale è l'altra priorità alla base della strategia di crescita, che informa le azioni del programma della Commissione. Negli scorsi mesi la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte per promuovere e sostenere la transizione digitale dell'UE, che contemplano iniziative in ogni settore, dal potenziamento della connettività e delle infrastrutture, al rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni, a nuove misure per il sistema delle imprese e per migliorare le competenze digitali degli europei. La strategia per i dati, di cui è stata sottolineata l'importanza nel corso delle audizioni, propone la creazione di un cloud europeo per competere a livello internazionale nei big data.
  Nel corso delle audizioni è stata segnalata l'importanza di destinare risorse alla riduzione del digital divide, per l'esigenza di riequilibrio del sistema e di una maggiore attenzione alla dimensione digitale delle aree non urbane, delle comunità montane e delle isole, che risultano penalizzate rispetto alle aree urbane.
  Il «divario digitale» è inoltre riferibile alle disuguaglianze digitali multidimensionali legate alle opportunità socioeconomiche di accesso alla tecnologia digitale e alle capacità socioeconomiche di utilizzare efficacemente le tecnologie digitali. Per questa ragione, è stata sottolineata l'opportunità di azioni per ridurre i divari, che si stanno aggravando con la pandemia, finalizzate a sostenere l'inclusività, la sostenibilità e la non discriminazione (professoressa Smerilli).
  Le raccomandazioni specifiche per l'Italia per il 2020 prevedono, tra l'altro, che l'Italia concentri gli investimenti anche sulla transizione digitale, in particolare su un'infrastruttura digitale rafforzata per garantire la fornitura di servizi essenziali. In questo quadro, tra le sfide principali nell'utilizzo del Recovery Fund, dovrà essere contemplata anche quella di colmare il deficit tra la domanda e l'offerta di competenze digitali, con un'attenzione particolare alla differenza di genere, che si riflette anche in tale ambito.
  Il citato pacchetto di investimenti a favore dello sviluppo sostenibile delle città e dei territori stima in 18,6 miliardi di euro le risorse necessarie per la trasformazione digitale in un periodo compreso tra uno e sei anni.

8.4. Il nodo delle risorse proprie e del dumping fiscale per una nuova «fiscalità europea».

  Una delle questioni dibattute nel corso delle attività conoscitive svolte dalla Commissione attiene alla politica fiscale e tributaria dell'UE, aspetti forse tra i più Pag. 185trascurati nel dibattito pubblico nonostante costituiscano i principali nodi irrisolti della costruzione dell'architettura europea e ne condizionino i possibili sviluppi.
  A un quarto di secolo dall'avvio del mercato unico e a un quinto dall'introduzione dell'euro, l'Unione europea non si è infatti ancora dotata di una adeguata politica di bilancio, né tantomeno di una propria articolata politica fiscale.
  Pur con qualche titubanza, dopo la crisi del decennio scorso, sono stati rafforzati gli strumenti per assicurare l'obiettivo della stabilità monetaria, finanziaria e bancaria; parimenti, sono stati potenziati gli strumenti per il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, ma ciò è avvenuto in una logica prettamente conservativa, con l'obiettivo ultimo di salvaguardare, attraverso il rispetto dei vincoli sul deficit e sul debito, gli equilibri di bilancio, sacrificando però di conseguenza gli obiettivi di crescita reale, occupazione e coesione sociale e i principi di eguaglianza e solidarietà che l'Europa aveva posto come sue fondamenta e che si riflettono nei trattati.
  A ciò si aggiunga, come evidenziato dal prof. Fitoussi, che l'Europa è al momento priva di strumenti di politica economica come il potere di svalutare la moneta e che le politiche unionali adottate negli ultimi anni hanno individuato come centro di gravità le politiche per la competitività, che presuppongono bassi salari, invece che puntare ad un aumento degli investimenti.
  L'esito di tale evoluzione non è stato soltanto quello di un Continente che in questi decenni è costantemente cresciuto assai meno rispetto ad altre aree avanzate del pianeta – Stati Uniti in primis – quanto piuttosto una sempre più evidente discrasia tra gli obiettivi «nobili» posti alla base dell'Unione europea e gli strumenti e i meccanismi decisionali previsti per perseguirli.
  Per comprendere in modo plastico la profondità di questo gap tra fini e mezzi è sufficiente rileggere il combinato disposto dell'articolo 2 dedicato ai valori e dell'articolo 3 relativo agli obiettivi dell'UE del Trattato sull'Unione Europea: dignità della persona umana, pace, benessere, libertà, sicurezza, giustizia, economia sociale di mercato per la piena occupazione, giustizia e protezione sociale, solidarietà tra generazioni e tra gli Stati membri, tutela dell'ambiente e sviluppo sostenibile, progresso scientifico ed economico, ecc.
  Questo ampio elenco di ambiziosi obiettivi comuni posti alla base dell'edificio europeo sembra contrastare in modo eclatante con i mezzi che l'UE ha a diposizione per conseguirli con successo, considerata anche la delimitazione delle competenze che i Trattati fondano sui principi di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità.
  La mancanza di un budget europeo all'altezza delle sfide della modernità appare in questa prospettiva come la questione cruciale, dalla quale dipende in definitiva la concreta possibilità di avere un'Unione più forte che non sia percepita dai cittadini europei come un fardello, un semplice insieme di vincoli, regole e procedure che limitano la sovranità nazionale senza alcuna reale e percepibile contropartita sui livelli di benessere e coesione sociale.
  A questa lacuna sottesa all'architettura istituzionale ed economica dell'Unione europea non sembrano aver posto rimedio le innovazioni apportate all'articolo 311 del Trattato sul funzionamento dell'UE, che pur dispone, testualmente, che «l'Unione si dota» nell'ambito del proprio bilancio, «dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche» e al contempo autorizza il Consiglio – seppur con una procedura legislativa speciale deliberata all'unanimità e soggetta a ratifica da parte degli Stati membri – ad «istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente» nel contesto di una decisione sulle risorse proprie.
  E veniamo così al cuore di una delle questioni principali, ossia le modalità di finanziamento, sul versante fiscale, del bilancio dell'Unione europea, che appare del tutto inadeguato sotto molteplici profili. Anzitutto, per le sue dimensioni, pari, Pag. 186secondo quanto previsto nell'accordo raggiunto nell'ultimo Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, a 1.074,3 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 in termini di impegni (a prezzi 2018), pari all'1,067 per cento dell'RNL dell'UE-27, cui si aggiungono, ma solo una tantum, i 750 miliardi di euro (a prezzi 2018) da utilizzare allo scopo di far fronte alle conseguenze della crisi COVID-19 (390 miliardi in sovvenzioni e 360 miliardi in prestiti), portando così il totale complessivo del bilancio a 1.824,3 miliardi di euro.
  Questo volume di risorse mobilitabili, che non è in alcun modo assimilabile a quello ad esempio del bilancio federale statunitense, appare per molti versi asfittico rispetto agli ambiziosi obiettivi in tema, ad esempio, di transizione verde e trasformazione digitale declinati per il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, soprattutto alla luce del nuovo contesto socio-economico post pandemia che aggraverà le difficoltà, già riscontrate dall'UE, nel far fronte alle nuove sfide della globalizzazione o, per taluni, dell'attuale scenario di de-globalizzazione.
  In secondo luogo, quale questione parimenti rilevante, sovviene il fatto che in via ordinaria – ossia al netto della recente e senz'altro apprezzabile innovazione del ricorso al mercato dei capitali da parte della Commissione UE per il finanziamento del Recovery fund – il bilancio dell'UE è incentrato in larghissima parte (oltre il 70 per cento), sui contributi versati dagli Stati membri e ciò si configura come un fattore implicito di resistenza all'ampliamento della sua leva finanziaria per il perseguimento di politiche comuni.
  L'attuale sistema delle risorse proprie si fonda, come è noto, su tre principali categorie di entrate: a) le cosiddette risorse proprie tradizionali (soprattutto dazi doganali); b) la risorsa propria basata sull'imposta sul valore aggiunto; e c) la risorsa propria basata sul reddito nazionale lordo. Tra queste, solo le prime sono una fonte diretta di entrate e pertanto classificabili come «autentiche» risorse proprie dell'UE, mentre le altre due categorie sono essenzialmente contributi nazionali che gli Stati membri devono mettere a disposizione del bilancio dell'UE.
  Nonostante fossero stati in origine introdotti come elemento «residuale» del sistema delle risorse proprie, i contributi basati sul reddito nazionale lordo sono divenuti nel tempo la componente preponderante del sistema, la cui entità alimenta nei cittadini la convinzione che essi non siano altro in definitiva che un ulteriore fattore di costo a fronte del quale non si avvertono benefici tangibili.
  Questo assetto anomalo, che contribuisce a indebolire la fiducia nelle Istituzioni europee limitandone l'operatività, si è rivelato molto difficile da riformare, poiché richiede, come accennato, l'unanimità degli Stati membri e la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.
  Non è quindi un caso che l'ultima sostanziale modifica di rilievo apportata al sistema delle risorse proprie risalga agli anni ’80, con l'adozione dei cosiddetti «pacchetti Delors». Da allora si sono succedute numerose iniziative – proposte della Commissione, dichiarazioni del Consiglio, gruppi di lavoro interistituzionali di alto livello, pronunciamenti del Parlamento europeo –, tutte però senza alcun esito apprezzabile.
  L'uscita del Regno Unito dall'UE, l'affacciarsi di una serie di nuove priorità strategiche, in particolare sul versante ambientale e dell'innovazione tecnologica, nonché, ora, il mutato contesto post pandemia, hanno riportato al centro il tema dell'architettura del bilancio dell'UE e, in generale, della sua (ancora assente) politica tributaria e della (ancora incompiuta) Unione fiscale.
  In questo quadro, nel corso delle audizioni è stato evidenziato (prof. Falsitta) come ad oggi non sia declinato in modo chiaro nei Trattati il concetto di «interesse fiscale europeo» e come la fiscalità europea sia volta essenzialmente a salvaguardare il corretto funzionamento del mercato unico, riflettendo una idea di «uguaglianza» semplicemente formale: il contribuente è percepito non come persona, bensì come homo oeconomicus che agisce Pag. 187nel sistema produttivo e al quale deve essere garantita parità di trattamento piuttosto che la tutela dei diritti sociali, che rimane una prerogativa quasi esclusiva degli Stati membri.
  Anche le recenti proposte avanzate in tema di risorse proprie – seppur costituiscano un apprezzabile passo in avanti nella costruzione di una nuova fiscalità europea – oltre ad apparire limitate nella loro dimensione quantitativa, sembrano ancora una volta progettate secondo quell'approccio funzionalista che ha sinora caratterizzato l'eurodemocrazia; approccio che si traduce in una logica di ingegneria fiscale che seppur apprezzabile per i profili di coerenza con le politiche europee, in particolare in tema di cambiamenti climatici, economia circolare e tutela del mercato unico, non sembra nel complesso porre le basi «valoriali» di un nuovo impianto tributario europeo.
  Occorre poi rilevare come al netto dei prestiti contratti sul mercato per finanziare il Recovery fund, il peso delle nuove risorse proprie di natura «fiscale» nel bilancio dell'UE rimarrebbe comunque modesto e l'incidenza dei contributi nazionali resterebbe comunque di gran lunga preponderante.
  Al riguardo, va evidenziato che in base all'accordo raggiunto dai leader europei, l'unica nuova risorsa propria che entrerebbe in vigore all'inizio del nuovo ciclo di bilancio sarebbe quella legata all'uso dei rifiuti di plastica – ossia un contributo nazionale calcolato in base al peso dei rifiuti non riciclati di imballaggi in plastica – laddove invece la Commissione europea aveva proposto, nel maggio 2018, di introdurre, sin da subito, un più articolato paniere di nuove risorse proprie comprensivo, tra l'altro, di una risorsa basata sulla base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società, per poi proporre nuove risorse proprie aggiuntive in una fase successiva del periodo finanziario 2021-2027.
  Il citato accordo – che prevede sia un aumento permanente del massimale delle risorse proprie pari all'1,4 per cento del RNL dell'UE in considerazione delle incertezze economiche e della Brexit, sia un innalzamento temporaneo di ulteriori 0,6 punti percentuali per il ricorso ai mercati finanziari ai fini del reperimento delle risorse da destinare a Next Generation EU – contempla invece un approccio in quattro fasi temporali: 1) una nuova risorsa propria legata, come accennato, all'uso dei rifiuti di plastica; 2) un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e proteggere le imprese che sostengono i costi per raggiungere l'obiettivo della riduzione delle emissioni, e la tassazione digitale (che dovrebbe, nelle intenzioni della Commissione europea, basarsi sul lavoro in corso in sede OCSE per una tassazione condivisa a livello globale dei proventi delle società attive in questo campo, fermo restando che, in caso di mancato accordo in sede OCSE, la Commissione europea ha già manifestato la sua intenzione di procedere comunque entro il 1o gennaio 2023); 3) una proposta riveduta sul sistema per lo scambio di quote di emissioni ETS, con possibile estensione anche ai settori marittimo e dell'aviazione; 4) altre risorse, tra cui una forma di imposizione sulle transazioni finanziarie.
  Come è noto, dalla Decisione in tema di risorse proprie e dalla relativa ratifica da parte dei Parlamenti nazionali, dipende in definitiva la capacità di rimborso di capitale e interessi dei prestiti che saranno contratti dalla Commissione a titolo di Next Generation EU.
  È infatti evidente che senza queste nuove fonti di entrata del bilancio UE occorrerebbe innalzare i contributi nazionali, atteso che qualora gli stanziamenti autorizzati iscritti nel bilancio non permettano all'Unione di far fronte agli obblighi risultanti dall'assunzione di prestiti gli Stati membri dovranno mettere a disposizione della Commissione le risorse necessarie a tal fine. Nell'ipotesi in cui non si riuscisse a disporre dei relativi proventi, anche per la persistenza delle riserve di vario genere emerse in sede negoziale su alcune delle nuove risorse proprie, le Conclusioni del Consiglio europeo del luglio Pag. 188scorso affermano che, in relazione agli stanziamenti per Next Generation EU, la decisione sul sistema delle risorse proprie specificherà i casi e le condizioni in cui agli Stati membri potrà essere richiesto di concorrere pro quota a finanziare i nuovi programmi secondo le ordinarie modalità di finanziamento del bilancio dell'UE.
  Viceversa, nell'ipotesi più ottimistica, in cui si attivassero tempestivamente nuove risorse proprie e i relativi proventi risultassero adeguati, si può supporre che sarebbero disponibili risorse più consistenti da destinare a sovvenzioni e prestiti. Nel loro insieme queste nuove risorse proprie, oltre a contribuire a finanziare, dal 2027, il rimborso e gli interessi dei finanziamenti raccolti sul mercato, potrebbero anche condurre a una riduzione dei contributi nazionali al bilancio dell'Unione 2021-2027 ad un livello inferiore a quanto versato nel 2020.
  In ogni caso, in ordine alla risorse proprie la Commissione condivide pienamente la posizione del Governo italiano, che si è sempre espresso a favore di soluzioni che contribuiscano anche alla progressiva armonizzazione del quadro fiscale in chiave anti-elusione e anti-dumping, sostenendo sia la base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (CCCTB), sia l'introduzione di una nuova tassa sulle transazioni finanziarie, oltre che di una digital tax che permetterebbe di reperire risorse da quei soggetti, quali le grandi imprese multinazionali, che finora hanno tratto vantaggio dal mercato unico senza tuttavia partecipare ai relativi costi o facendolo in modo molto limitato. Parimenti, la Commissione è in sintonia con le posizioni, molto avanzate, assunte dal Parlamento europeo, che sottolineano da molto tempo la necessità di implementare in modo significativo il sistema delle risorse proprie anche mediante l'introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie. Il Parlamento europeo si è pronunciato da ultimo nella risoluzione legislativa del 16 settembre 2020 sul progetto di Decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell'Unione europea, rilevando, tra l'altro, la necessità, al fine di migliorare la credibilità e la sostenibilità del piano di rimborso di Next Generation EU, che tali oneri siano coperti interamente da entrate derivanti da autentiche nuove risorse proprie.
  Nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione sono emerse anche proposte di carattere innovativo sul versante della fiscalità europea.
  In particolare, è stato sottolineato (prof. Falsitta) come ai fini del completamento dell'Unione economica e monetaria sia essenziale concepire un nuovo sistema fiscale europeo che sia anzitutto comprensibile, e per questa via «politicamente» accettabile, da parte dei cittadini europei: un sistema fondato, sul modello di Next Generation EU, su un nuovo debito comune, da ripagare con imposte comuni, per sostenere «interessi fiscali» comuni.
  In tale prospettiva è stata evidenziata l'opportunità di impostare le nuove risorse proprie come «imposte di scopo», non genericamente affluenti al bilancio a lungo termine e non solo vagamente collegate ai nuovi programmi prioritari dell'UE, e quindi ad esempio di destinare: a) il gettito di una eventuale imposta sulle transazioni finanziarie per finanziare, irrobustendolo, il Pilastro europeo dei diritti sociali, magari abbinando la proposta di salario minimo a quella di un «reddito minimo per la resilienza trasformativa», destinato a riqualificare la forza lavoro sulle nuove frontiere dell'innovazione e della sostenibilità, b) il gettito della nuova Border carbon tax, della plastic tax e dell'estensione del sistema di scambio delle quote di emissioni, a sostenere il Green Deal europeo e gli investimenti in infrastrutture eco-ambientali anche trans-europee, a cominciare da quelli per un'economia pulita dell'idrogeno; c) il gettito della digital tax a finanziare da un lato, le sfide della trasformazione tecnologica (5G, intelligenza artificiale, cloud, computer quantistici, robotica, cibersicurezza, aerospazio, ecc.), al fine di favorire l'emersione di «campioni europei» nei settori strategici; dall'altro gli investimenti, in particolare in campo socio-sanitario, per accrescere la Pag. 189resilienza da possibili incognite future che quelle stesse innovazioni tecnologiche potrebbero determinare.
  Inoltre, al fine di sostenere una pervasiva riconversione ecologica degli attuali modelli di produzione e consumo, è stata avanzata l'ipotesi di rivedere profondamente il regime armonizzato dell'IVA, al fine di consentire agevolazioni selettive, in termini di esenzioni e aliquote differenziate, per i beni e i servizi prodotti secondo standard avanzati di sostenibilità ambientale certificati da strumenti europei già esistenti e collaudati, quali il sistema comunitario di ecogestione ed audit ambientale (Emas) e il marchio comunitario di qualità ecologica (Ecolabel): l'IVA diverrebbe così l'embrione di una nuova forma di fiscalità ecologica europea, volta a far compiere un salto di qualità alla politica fiscale unionale.
  Allo stesso tempo, è stato evidenziato come il presupposto fondamentale per una discussione seria circa la definizione di un impianto tributario europeo sia il superamento di quelle condotte degli Stati membri che tramite abusi di diritto alterano la concorrenza tra le imprese, producono ingiustizia e sottraggono risorse preziose agli Stati, ossia superando il fenomeno del c.d. dumping fiscale.
  Appare infatti sempre più politicamente ed economicamente inaccettabile che in un'area di libero scambio come l'UE, in cui i capitali sono liberi di muoversi e in cui, per evitare distorsioni alla concorrenza, gli aiuti alle imprese sono soggetti a un rigoroso regime autorizzativo da parte della Commissione europea, esistano veri e propri paradisi fiscali, di cui si avvantaggiano in particolare le multinazionali, che si traducono in una riduzione della base imponibile di altre nazioni. Questa forma di competizione fiscale è stata sinora tollerata perché ritenuta parte essenziale della globalizzazione finanziaria, ma si rivela oggi ormai insostenibile poiché sottrae ingenti risorse alle finanze pubbliche di quei Paesi, come l'Italia, a cui, nello stesso tempo, si richiede rigore finanziario.
  Nel corso dell'audizione del Presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (prof. Rustichelli), è emersa in modo nitido la problematicità e la clamorosa entità del fenomeno.
  Al riguardo, è stato evidenziato come l'attuale quadro normativo dell'Unione europea determini una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra Stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale, nonché contributivo, tra Paesi e, dall'altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell'economia digitale.
  L'esperienza, unica nella storia del continente europeo, di un'unione monetaria accompagnata da una crescente integrazione dei mercati reali e finanziari, appare oggi sempre più incrinata dall'assenza di stringenti regole comuni fiscali e contributive. Tale vuoto normativo rende possibile ad alcuni Stati membri di porre in essere pratiche di dumping che possono minare le fondamenta della stessa costruzione europea. Paesi come l'Irlanda, l'Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell'area Euro, che attuano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita. Ne è prova la circostanza che nell'ultimo quinquennio il PIL italiano è cresciuto solo del 5 per cento, mentre il PIL dell'Irlanda è cresciuto del 60 per cento, quello del Lussemburgo del 17 per cento e quello dell'Olanda del 12 per cento. Altrettanto significativi risultano i dati relativi al reddito pro-capite nei diversi Paesi. A fronte di un reddito pro-capite nel 2019 in Italia pari a euro 28.860, si registra in Lussemburgo un reddito pro capite di 83.640, in Irlanda di 60.350 e in Olanda di euro 41.870.
  I trattati dell'Unione non fanno direttamente riferimento alla concorrenza fiscale. Attraverso la risoluzione del dicembre 1997 su un Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese, gli Stati membri si sono politicamente impegnati ad astenersi da pratiche fiscali dannose, mentre le norme UE in materia di Pag. 190aiuti di Stato impediscono di concedere un trattamento fiscale favorevole a determinate imprese. Tuttavia, né il Codice di Condotta, né le norme sugli aiuti di Stato, hanno limitato in misura significativa la capacità dei Paesi di utilizzare il proprio sistema fiscale come leva competitiva sleale, con effetti negativi sull'economia e sulla coesione dell'Unione europea nel suo complesso.
  Sempre il Presidente dell'Antitrust ha avuto modo di rilevare come la concorrenza fiscale sleale generi evidenti vantaggi per taluni Paesi: il Lussemburgo, Paese di circa 600 mila abitanti, è in grado di raccogliere imposte sulle società pari al 4,5 per cento del PIL, a fronte del 2 per cento dell'Italia; anche l'Irlanda (2,7 per cento) fa meglio dell'Italia, nonostante un'aliquota particolarmente bassa, che è, però, in grado di attrarre imprese altamente profittevoli con un margine operativo lordo mediamente pari al 69,4 per cento del valore aggiunto prodotto.
  È stato inoltre osservato come gli investimenti internazionali si adattino alla geografia della concorrenza fiscale: l'Italia attira investimenti esteri diretti pari al 19 per cento del PIL; il Lussemburgo pari a oltre il 5.760 per cento, l'Olanda al 535 per cento e l'Irlanda al 311 per cento. Valori così elevati non trovano spiegazione nei fondamentali economici di tali Paesi, ma sono in larga parte riconducibili alla presenza di società veicolo. In effetti, le imprese a controllo estero rappresentano oltre un'impresa su quattro del Lussemburgo, mentre generano il 73,6 per cento del margine operativo lordo complessivo prodotto dalle imprese in Irlanda, a fronte del 12,7 per cento in Italia.
  Uno studio commissionato dal Ministero delle Finanze olandese mostra che i soli flussi finanziari (dividendi, interessi e royalties) che attraversano le società di comodo olandesi ammontano a 199 miliardi di euro (il 27 per cento del PIL del Paese). Ma se alcuni Paesi ci guadagnano, è l'Unione europea a perderci, visto che le multinazionali reagiscono alla concorrenza fiscale, localizzando le loro sedi proprio nei Paesi europei con una tassazione più favorevole e ciò drena risorse dagli Stati in cui il valore è effettivamente prodotto.
  Alcune ricerche stimano che, a causa della concorrenza fiscale sleale a livello europeo, il fisco italiano perde la possibilità di tassare oltre 23 miliardi di dollari di profitti: 11 miliardi di profitti vengono spostati in Lussemburgo, oltre 6 miliardi in Irlanda, 3,5 miliardi in Olanda e oltre 2 miliardi in Belgio. Ciò comporta un danno per l'Italia che può essere stimato tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l'anno. Infine, va tenuto presente che Irlanda, Olanda e Lussemburgo raccolgono circa 270 miliardi di dollari di profitti «sviati», e che tali paradisi fiscali non si fanno neppure carico, non avendo sul proprio territorio gli opifici industriali delle società che hanno ivi spostato la propria sede fiscale, dei costi degli ammortizzatori sociali. Si tratta di un fenomeno che assume un ulteriore risvolto problematico nel caso dei Paesi che affiancano a tali pratiche fiscali sleali la pretesa, come accennato, di uno stretto rigore di bilancio da Paesi dai quali drenano risorse.
  La concorrenza fiscale sleale riduce poi anche la capacità dell'Unione europea nel suo complesso di raccogliere risorse, in tal modo impedendo una più equa tassazione dei profitti delle imprese. Infatti, come evidenziato da uno studio della stessa Commissione europea, le pratiche di profit-shifting hanno generato negli ultimi 20 anni minori entrate per l'Unione europea nell'ordine di 35-70 miliardi di euro all'anno.
  È stato inoltre messo in evidenza come la concorrenza fiscale sleale abbia altresì un impatto negativo sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sulla composizione del prelievo fiscale. La tassazione, infatti, tende a spostarsi su basi imponibili non trasferibili quali gli immobili, i lavoratori dipendenti, i veicoli e i carburanti. Si tratta, peraltro, di dinamiche che possono minare anche la parità di condizioni sul mercato, avvantaggiando in modo sproporzionato alcuni tipi di imprese e i loro dipendenti. Pag. 191
  Altrettanto dannose sono le pratiche di dumping sociale e contributivo che danneggiano i lavoratori e incentivano le delocalizzazioni delle imprese in Paesi che offrono minori tutele ai lavoratori e ridotti standard di tutela ambientale. A tale riguardo, le differenze tra i Paesi europei sono significative: ad esempio, nel 2019, il costo medio di un'ora di lavoro in Polonia è stato di 10,7 euro, mentre in Italia di 28,8 euro. Va considerato, inoltre, che mentre in Italia il 28,7 per cento del costo del lavoro è dovuto al versamento di contributi previdenziali a carico del datore di lavoro e ad altri costi (ad esempio, per la formazione), la percentuale di tali oneri ulteriori scende al 18,4 per cento in Polonia. Al tempo stesso, a fronte di livelli di investimenti in sicurezza sul lavoro e di tutele ambientali eterogenei, la Polonia riceve ogni anno oltre 12 miliardi di euro netti dall'Unione europea, mentre l'Italia è contributore netto di 5 miliardi.
  Anche in questo caso siamo dunque di fronte a una pratica che mina alle radici la tenuta del mercato unico, falsando la concorrenza tra imprese, soprattutto le più piccole e che, in ultima analisi, determina una rovinosa concorrenza al ribasso nelle politiche sociali ed ambientali.
  In questo quadro, non possono non condividersi le ulteriori considerazioni svolte dal Presidente Rustichelli laddove ha affermato come a tali preoccupazioni non abbia corrisposto finora una capacità altrettanto forte di risposta da parte delle autorità dell'Unione. Anche lo strumento degli aiuti di Stato, finora utilizzato in quanto unico disponibile, è apparso inadeguato a contrastare le pratiche fiscali aggressive dei paradisi fiscali europei, atteso che il meccanismo di recupero dagli stessi operatori economici dei vantaggi fiscali indebiti concessi da un Paese si è rivelato scarsamente deterrente e, anzi, incentiva gli Stati a praticare forme di concorrenza fiscale sleale.
  A tale riguardo è stato citato, ad esempio, l'indagine sugli aiuti di Stato in base alla quale nel 2016 la Commissione europea ha concluso che l'Irlanda ha illegalmente concesso ad Apple vantaggi fiscali indebiti per un totale di 13 miliardi di euro relativi al periodo 2003-2014; sulla base dei dati contenuti nell'indagine della Commissione, è possibile stimare che l'ammontare di imposte non versate da Apple nel periodo 2003-2014 rappresenta circa il 22 per cento del totale delle tasse sugli utili pagate dalle imprese in Irlanda nello stesso periodo (58,6 miliardi di euro); i 13 miliardi di euro (14,3 miliardi se si aggiungono gli interessi) che Apple ha versato all'Irlanda ad esito della decisione della Commissione del 2016 rappresentano circa il 5 per cento del PIL di tale Paese. Facendo un paragone con l'Italia in proporzione ai rispettivi PIL, è come se il nostro Paese avesse ricevuto da Apple circa 90 miliardi di euro.
  In conclusione, la Commissione ritiene che l'introduzione di un più robusto e articolato paniere di imposte europee debba essere necessariamente accompagnata dall'avvio di un pervasivo processo di revisione delle maggiori asimmetrie fiscali presenti nei Paesi dell'Unione europea che possa auspicabilmente condurre anche alla fissazione di un livello minimo della tassazione, in particolare societaria, tale da prevenire simili forme di concorrenza fiscale sleale che risultano peraltro ancora più dannose nell'attuale contesto di severa recessione.
  Inoltre, per addivenire ad un'autentica Unione fiscale occorre in prospettiva intervenire sugli assetti istituzionali, sia superando le competenze limitate dell'UE volte soltanto a salvaguardare il corretto funzionamento del mercato unico, sia semplificando radicalmente i meccanismi decisionali, tra i più gravosi previsti dal Trattato. L'esperienza ha dimostrato, infatti, che né la «cooperazione rafforzata» di cui all'articolo 20 del TUE, né il ricorso all'articolo 116 del TFUE per evitare distorsioni alla concorrenza dovute a disparità delle norme fiscali nazionali, hanno garantito progressi in tale direzione, mentre il ricorso sistematico alla c.d. clausole passerella potrebbe essere una soluzione solo di carattere transitorio ma invero inadatta a superare le distorsioni evidenziate. Pag. 192
  Appare dunque necessario adoperarsi per addivenire ad una modifica dei Trattati che possa andare alla radice del problema, passando dal voto all'unanimità alle maggioranze qualificate in materia fiscale, ferma restando la ratifica dei Parlamenti nazionali sulla Decisione sulle risorse proprie. Al contempo, al fine di conferire più solide basi democratiche ad un nuovo fisco europeo occorre che al Parlamento europeo sia attribuito uno specifico potere di iniziativa legislativa, in conformità al principio «no taxation without representation».

8.5. Il problema del pieno utilizzo dei fondi europei e la centralità delle politiche di coesione.

  Nel corso delle audizioni, è stato da più parti osservato come, a prescindere dall'ammontare di risorse di cui l'Italia potrebbe beneficiare, è necessario puntare a un loro pieno ed efficiente utilizzo.
  Considerato che l'allocazione delle risorse dipenderà sostanzialmente dalla capacità progettuale e propositiva degli Stati membri, vengono in rilievo, nel caso dell'Italia, i problemi legati all'utilizzo dei fondi europei, tenuto conto delle performance negli anni passati.
  Nel corso dell'audizione del Direttore per l'Agenzia della coesione sono stati evidenziati gli elementi salienti dello stato di attuazione della programmazione 2014-2020: un livello di spesa complessiva riferita a tutti i programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali, che si è attestato al 28,5 per cento al 31 dicembre scorso, pagamenti riguardanti tutti i fondi strutturali pari al 35 per cento delle disponibilità. Con riferimento al FESR, che è il fondo per cui l'Agenzia svolge la sua attività di coordinamento, i pagamenti in Italia raggiungono il 31 per cento, contro una media UE del 35 per cento: con riferimento al FSE, essi raggiungono il 32 per cento, contro una media UE del 39 per cento.
  Sebbene i programmi abbiano fatto registrare una accelerazione nella loro attuazione nel corso dell'ultimo anno, che ha portato al raggiungimento dei target di spesa, deve essere rilevato un livello di attuazione inferiore alla media europea causato non solo dall'avvio ritardato dell'attuale ciclo di programmazione (che ha riguardato tutti i Paesi europei), ma anche a cause più interne, che rimandano al complessivo indebolimento della capacità progettuale e realizzativa delle pubbliche amministrazioni, ad ogni livello di governo (ma più sensibile in alcune regioni del Mezzogiorno), che ha determinato l'accumulo di ritardi e lentezze procedurali. Si tratta comunque di difficoltà riferibili non solo alla politica di coesione, ma rappresentano piuttosto una debolezza di sistema, che insiste in generale sul complesso degli investimenti pubblici, come hanno rimarcato costantemente le raccomandazioni presentate con riferimento al PNR 2020.
  Nel corso delle audizioni sono state avanzate alcune proposte per migliorare l'utilizzazione dei fondi: dall'istituzione di una task force (prof. Codogno) a quella di un centro di coordinamento adeguato tra Ministero per gli affari europei, Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero degli esteri (prof. Savona). È stato, altresì, fatto notare che un altro aspetto cruciale nella sfida per trarre il massimo beneficio dai fondi europei riguarda il rispetto dei principi della buona regolazione in sede di recepimento degli atti europei, a partire dal rispetto del divieto di gold plating (prof. Micossi). È stata invece espressa preoccupazione per un'eccessiva centralizzazione delle funzioni a livello statale, che potrebbe comportare il forte legame con il sistema del semestre europeo (prof. Ciambetti), penalizzando le regioni.
  L'audizione del Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha rappresentato poi l'occasione per fare il punto sull'introduzione a livello europeo di forme di flessibilità nell'utilizzo dei fondi della politica di coesione, al fine di riorientare le riserve esistenti nella programmazione 2014-20 verso operazioni connesse alla crisi. Tale innovazione recepisce istanze di flessibilità nell'uso e nella Pag. 193rendicontazione dei fondi formulate dall'Italia anche prima della crisi, che andranno sostenute anche in futuro. Il Ministro ha precisato che, utilizzando i nuovi margini di flessibilità, sono stati adottati provvedimenti, che hanno consentito di mobilitare risorse aggiuntive per fare fronte all'emergenza, salvaguardando al tempo stesso i principi della politica di coesione. A tal fine, è stato mantenuto invariato il vincolo di destinazione territoriale degli obiettivi dei fondi (non avvalendosi della facoltà di modificare tale distribuzione territoriale), salvaguardando altresì le finalità strategiche degli interventi originari. Il FSC è infatti stato temporaneamente reso disponibile per gli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza, prevedendo al tempo stesso che le risorse aggiuntive vadano prioritariamente a rifondere i programmi originari. Tale meccanismo consente, tra l'altro, una marcata accelerazione dell'assorbimento delle risorse europee della programmazione 2014-20, che dovrebbe permettere di recuperare i ritardi.
  La riprogrammazione ha riguardato, per il momento, circa 10,5 miliardi, in linea con le aspettative, di cui 5,4 di competenza dei Ministeri gestori di fondi europei e la parte restante di competenza delle Regioni che hanno aderito in massima parte al processo (salvo 4 regioni con le quali l'accordo è in via di perfezionamento: Friuli-Venezia Giulia, Marche, Sardegna e Sicilia). Anche nel metodo l'accordo raggiunto contiene apprezzabili elementi innovativi, che dovranno valere per il futuro, a partire dal coordinamento strategico a livello centrale, che – ha specificato il Ministro – non mira a limitare l'autonomia delle regioni, bensì ad assicurare che i loro interventi siano coerenti con il PNR e l'agenda europea.
  È stata, infine, ribadita l'attenzione prioritaria alle politiche di coesione sociale e territoriale, al fine di superare divari e disuguaglianze che hanno una connotazione territoriale non solo tra Nord e Sud, ma anche tra aree urbane e interne, con divari di sviluppo presenti anche all'interno delle regioni più ricche. Oltre a ribadire la necessità del rilancio degli investimenti pubblici e privati, è stata prospettata l'opportunità di affiancare a tale azione anche misure eccezionali, quali ad esempio una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, la prosecuzione delle azioni del Piano per il Sud, riguardanti ad esempio la scuola e gli asili nido, nonché il reclutamento di professionalità tecniche all'interno delle amministrazioni pubbliche, la cui carenza è una delle principali cause dei ritardi nella capacità di assorbimento delle risorse europee.

9. Le altre politiche orizzontali e settoriali.

  L'esame congiunto dei documenti in oggetto, insieme alle puntuali indicazioni recate nei pareri espressi dalle Commissioni permanenti nei rispettivi settori di interesse, consente di individuare, nell'ambito delle priorità indicate dalla Commissione europea, alcune iniziative cui attribuire particolare rilevanza nell'ambito delle altre politiche di settore sinora non menzionate.

9.1. La politica agricola e della pesca.

  L'importanza del settore agricolo ai fini della transizione ecologica andrà tenuta in considerazione, non solo nell'ambito delle specifiche strategie di attuazione del Green Deal, come quella per la biodiversità o la strategia dal produttore al consumatore, ma più in generale riconoscendo un ruolo centrale alla politica agricola comune della UE (PAC) ai fini delle tematiche climatico-ambientali.
  A tal fine, nell'ambito del nuovo Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 occorrerà far sì che i fondi supplementari del Next Generation EU destinati al settore agricolo siano resi prontamente disponibili per favorire lo sviluppo degli investimenti nel settore rurale. In linea generale, si rileva come sussistano ancora delle criticità, evidenziate sia nel parere reso dalla Pag. 194XIII Commissione che nella memoria inviata dalla Coldiretti, che potrebbero essere risolte con azioni volte a:
   introdurre una necessaria correzione del meccanismo di c.d. convergenza esterna dei pagamenti diretti agli agricoltori, che premia attualmente l'estensione delle aziende agricole senza tenere conto di aspetti rilevanti come la qualità delle colture, l'intensità degli investimenti effettuati, l'occupazione generata dal settore agricolo e i costi del terreno e dei fattori produttivi;
   rafforzare la tutela delle indicazioni geografiche nel contesto europeo e internazionale, garantendo la trasparenza delle informazioni sull'origine delle materie prime in etichetta e il rapido recepimento della direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare;
   definire il concetto di «frode alimentare» e a categorizzarlo a livello UE, al fine di rendere omogenee le procedure, uniformare l'analisi del rischio e proporzionare la frequenza dei controlli ufficiali tra gli Stati Membri, per una più efficace azione di contrasto alle contraffazioni e al sounding;
   porre a carico del bilancio europeo la cd. riserva di crisi (attualmente a carico delle risorse PAC), attraverso un fondo permanente per garantire la tutela del reddito degli agricoltori e la sicurezza degli approvvigionamenti in condizioni di crisi non imputabili alla responsabilità degli agricoltori (quali ad esempio la gestione dei rischi climatici o il proliferare di specie invasive o patogeni alieni).

  Più in generale appare necessario orientare le politiche europee di sostegno al settore agricolo a salvaguardia del reddito degli agricoltori, del ricambio generazionale in agricoltura, del sostegno ai settori agricoli in difficoltà, in un contesto di attenzione alla sostenibilità ambientale dell'attività agricola, alla semplificazione normativa e alla riduzione dei costi amministrativi per gli agricoltori e le amministrazioni pubbliche, compresa la condizionalità estesa, gli eco-schemi, i pagamenti agro-climatico-ambientali.
  Occorre inoltre sostenere la transizione verso la riduzione degli input (prodotti fitosanitari, fertilizzanti e acqua), preservando la sostenibilità economica dell'attività agricola, ridurre l'utilizzo dei pesticidi, incentivando l'adozione di alternative a basso rischio e non chimiche, ridurre l'uso degli antibiotici, tramite il miglioramento delle tecniche di biosicurezza, prevenzione e diagnosi per garantire lo stato di salute e benessere degli animali da allevamento.
  In relazione ai negoziati internazionali in materia commerciale l'Unione dovrà garantire la tutela dei prodotti agroalimentari dei Paesi membri, tra cui rientra la tutela del Made in Italy e dei prodotti di qualità, sollecitando l'adozione di standard internazionali che siano in linea con le ambizioni ambientali e climatiche europee per una crescita sostenibile. È infatti prioritario garantire che le nuove politiche ambientali non si ripercuotano negativamente sulle imprese agricole europee, in termini di costi e adempimenti che favorirebbero una concorrenza asimmetrica, pregiudicando la competitività delle imprese italiane ed europee in un mercato allargato.
  Con riferimento al settore della pesca, la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2020 evidenzia l'impegno nella concreta attuazione del Programma Operativo del Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e per la Pesca (PO FEAMP), in coordinamento con le Regioni, al fine di consentire un'accelerazione della spesa. Allo stesso fine, in sede di negoziazione del Regolamento relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca per il periodo 2021-2027, andranno previsti meccanismi di semplificazione, per consentire l'utilizzo senza ritardi delle risorse finanziarie a sostegno dell'intero settore della pesca e dell'acquacoltura.
  Andrà inoltre valutata l'opportunità della reintroduzione dell'arresto temporaneo dell'attività di pesca, considerata una delle misure più efficaci per garantire il Pag. 195raggiungimento degli obiettivi della Politica comune della pesca (PCP), a salvaguardia degli stock ittici nel Mar Mediterraneo e della valorizzazione del settore dell'acquacoltura.
  Andrebbe infine sostenuto il processo di modernizzazione delle imbarcazioni per migliorarne la sicurezza, le condizioni di lavoro, l'efficienza energetica. A tal fine risulterebbe necessario l'innalzamento della percentuale di co-finanziamento con l'incremento dell'intensità di aiuto per gli interventi finalizzati alla prima acquisizione di una unità da pesca e alla sostituzione o all'ammodernamento di motori principali o ausiliari delle imbarcazioni.

9.2. Le politiche per l'Unione bancaria e l'unione dei mercati dei capitali.

  Oltre agli interventi straordinari di politica monetaria e di finanza sostenibile già esaminati, è opportuno ricordare la necessità di proseguire nelle azioni di rafforzamento dell'architettura dell'Area Euro sul fronte del completamento dell'unione bancaria e dell'unione dei mercati dei capitali. Tali azioni, finalizzate al miglioramento del quadro di governance economica dell'UE e a favorire l'afflusso del risparmio privato verso investimenti aggiuntivi, appaiono oggi ancor più necessarie a seguito della crisi economica generata dalla pandemia, al fine di sostenere la ripresa e consentire di raggiungere gli obiettivi di trasformazione energetica che richiedono un'imponente mole di investimenti.
  Come rilevato dalla VI Commissione, sul fronte dell'Unione bancaria, particolare importanza riveste l'attuazione del Sistema di Tutela dei Depositi Europeo, il cui completamento, previsto per il 2024, fornirebbe una copertura assicurativa più solida e più uniforme per tutti i depositanti al dettaglio nell'unione bancaria, contribuendo ad accrescere la fiducia e la stabilità finanziaria nella zona euro in generale.
  Riguardo al processo di integrazione dei mercati dei capitali europei, esso appare tuttora ostacolato dal permanere di regole e prassi di vigilanza non sufficientemente armonizzate. Come sottolineato nel corso delle audizioni (prof. Micossi), l'attuazione del piano di azione sulla Capital Markets Union, iniziato nel 2015 e rivisto nel 2017, è una delle priorità della Commissione anche nel 2020 e la sua realizzazione appare oggi ancora più urgente a seguito della Brexit, che potrebbe rendere meno agevole l'accesso delle imprese europee alla più importante piazza finanziaria in Europa in caso di una possibile divergenza delle politiche di regolazione nel Regno Unito rispetto all'Unione europea.
  La riduzione delle barriere territoriali regolamentari e culturali nei mercati dei capitali europei costituirebbe un'opportunità per favorire l'accesso ai mercati dei capitali da parte delle imprese italiane, il cui livello di capitalizzazione è inferiore rispetto alla media europea. L'esigenza di una maggiore capitalizzazione è accresciuta anche a seguito degli interventi di sostegno alla liquidità adottati in occasione della crisi sanitaria: la più elevata esposizione debitoria delle aziende rende infatti maggiormente necessario, nel medio periodo, un più agevole accesso ai mercati dei capitali, che consenta di convertire in capitalizzazione parte della liquidità ottenuta.
  I due processi di integrazione, bancaria e dei mercati dei capitali, devono procedere parallelamente, superando il dualismo tra banche e mercato nel ruolo del finanziamento del sistema economico. La recessione europea seguita alla crisi finanziaria del 2008 ha infatti testimoniato la maggiore fragilità di un sistema economico fondato su PMI dipendenti dal finanziamento bancario e la minore vulnerabilità di sistemi di finanziamento maggiormente diversificati, come evidenziato nel corso dell'audizione del commissario della CONSOB (prof. Di Noia). La fase di rilancio successiva alla pandemia potrà peraltro rappresentare un'opportunità per il mercato dei capitali in quanto la necessità di Pag. 196maggiore capitale per le imprese implicherà una migliore canalizzazione del risparmio verso l'economia reale.

9.3. Le politiche occupazionali e del lavoro.

  Oltre alle misure straordinarie già descritte, tra cui, in particolare, lo strumento temporaneo del regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione (SURE), è importante mantenere un'ottica di lungo periodo per sostenere politiche che vadano oltre la fase drammatica dell'emergenza, al fine di favorire e guidare la ripresa con un piano specifico nell'ambito del quadro finanziario pluriennale rinnovato, come preannunciato nell'aggiornamento del programma di lavoro. Andranno pertanto sostenute le iniziative, richiamate tra l'altro nei pareri resi dalla VIII e XI Commissione, miranti:
   a) all'introduzione di un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione, volto a sostenere chi lavora e a proteggere chi ha perso il posto di lavoro a causa di shock esterni, in particolare favorendone la riqualificazione;
   b) alla definizione dei salari minimi equi per i lavoratori dell'UE, sulla quale la Commissione preannuncia la presentazione di uno specifico strumento giuridico, nel rispetto delle tradizioni nazionali e della contrattazione collettiva;
   c) all'attuazione della «Nuova agenda per le competenze per l'Europa», in coerenza con la Raccomandazione sul «Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente», nonché all'attuazione della Raccomandazione relativa a un Quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità, mediante la convocazione dell'Organismo tecnico per l'apprendistato, al fine di armonizzare le diverse qualifiche e qualificazioni professionali acquisite in apprendistato e di affrontare gli aspetti normativi che ne riducono l'utilizzo;
   d) al rafforzamento dell'iniziativa Garanzia giovani, per aiutarli ad accedere alle opportunità di istruzione, formazione e lavoro;
   e) all'adozione di politiche occupazionali e di formazione professionali in grado di far fronte alle nuove tipologie di lavoro che si renderanno necessarie nel contesto economico e sociale connesso al Green Deal, al fine di favorire l'occupazione giovanile e il reinserimento della forza lavoro penalizzata dalla crisi economica.

9.4. Politiche per i trasporti.

  Resta centrale, nella politica dei trasporti europea, il tema del divario di dotazioni infrastrutturali che penalizza lo sviluppo economico di alcune aree territoriali, in particolare il Mezzogiorno. A tal fine andrà sostenuta con forza la necessità di inserire alcune opere strategiche nell'ambito del finanziamento del PON Infrastrutture e Reti 2021-2027 e del completamento delle direttrici TEN-T, tra cui, in particolare, quelle richiamate nel parere reso dalla IX Commissione:
   f) il completamento delle linee dell'Alta velocità Salerno-Reggio Calabria, il completamento della direttrice siciliana Messina-Catania-Palermo, il raddoppio della tratta Termoli-Lesina sulla linea ferroviaria Bologna-Lecce, nonché il finanziamento di interventi volti al potenziamento dell'intero corridoio scandinavo-mediterraneo;
   g) la velocizzazione della linea ferroviaria Pescara-Roma e la velocizzazione, elettrificazione ed eventuale raddoppio della linea ferroviaria «Jonica», prevedendo i necessari collegamenti tra le varie infrastrutture della linea jonica;
   h) uno studio di fattibilità per la creazione di un nuovo ed alternativo percorso che contempli la direttrice jonica quale completamento della direttrice adriatica fino a Reggio Calabria consentendo di valorizzare e collegare i porti ivi esistenti con il porto di Gioia Tauro;
   i) il completamento dei progetti relativi al Mezzogiorno che, considerati i termini temporali di eleggibilità delle spese Pag. 197del PON Infrastrutture e Reti 2014-2020, non sono finanziabili in tale periodo di programmazione.

  Andranno inoltre previste specifiche misure di rilancio del trasporto aereo per continuare a favorirne lo sviluppo, con l'obiettivo di sostenere il settore aereo e quello del turismo duramente colpiti dalla crisi a seguito dell'emergenza sanitaria, e misure per evitare ricadute negative sul settore dell'autotrasporto a seguito dell'uso di carburanti meno inquinanti per il trasporto marittimo, favorendo un bilanciamento dei maggiori costi prodotti al trasporto merci via mare.

9.5. Politiche di sicurezza comune.

  Per quanto attiene alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), nel parere reso dalla IV Commissione si richiama l'impegno del Governo, indicato nella Relazione programmatica, affinché le regole di assegnazione e impiego dei finanziamenti del Fondo europeo della difesa corrispondano alle aspettative italiane di sviluppo di una base industriale europea solida, in cui le capacità dell'industria italiana della difesa possano trovare adeguato spazio. È inoltre indicato il sostegno all'operazione EUNAVFOR MED, da connotare maggiormente quale strumento di sicurezza marittima e di contrasto delle attività che costituiscano una minaccia alla stabilità internazionale. È peraltro da ritenersi che tali priorità debbano essere aggiornate a seguito del nuovo quadro maturato negli ultimi mesi, sia dal punto di vista economico – con l'allentamento del Patto di stabilità e crescita e delle regole europee sugli aiuti di Stato – che strategico militare, per l'avvio della missione IRINI di fronte alle coste libiche

9.6. Politiche sulla migrazione.

  Con riferimento alle politiche migratorie, in ordine alle quali hanno formulato valutazioni le Commissioni I, III e XI nei rispettivi pareri, occorre sottolineare il fermo impegno a scongiurare che la strategia emergenziale dell'UE di risposta alla pandemia da Covid-19 si ripercuota negativamente sulle politiche europee in materia di asilo e di immigrazione. Occorre, al contrario, fornire nuovo slancio al dialogo con le Istituzioni europee e con gli altri Stati membri sul tema della gestione dei flussi migratori, con particolare riferimento a quelli che utilizzano le rotte via mare, ponendo in primo piano l'esigenza di evitare la perdita di vite umane in mare, ma anche l'esigenza che, a seguito dello sbarco sul territorio europeo, siano garantiti adeguati e rapidi meccanismi di ripartizione dei migranti tra tutti gli Stati membri.
  A tal fine, anche a fronte della recente pubblicazione del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, presentato lo scorso 24 settembre dal Vice Presidente Margaritis Schinas e dalla Commissaria Ylva Johanssonn, occorre rilanciare il dialogo nell'Unione europea per la costruzione di un sistema di gestione dei flussi migratori che concretizzi i principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità di cui all'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Ai fini di un nuovo patto sulla migrazione e l'asilo, è stata evidenziata la necessità di raggiungere un accordo sulla riforma del Sistema comune europeo d'asilo, ed in particolare, del cosiddetto regolamento Dublino, in grado di superare il principio di responsabilità dello Stato di primo ingresso sulle domande di protezione internazionale.
  In collaborazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi, occorre favorire i rimpatri e prevenire le partenze e garantire un maggior controllo delle rotte della migrazione irregolare. Occorre altresì sostenere l'esigenza di prevedere strategie europee per consentire l'ingresso legale ed in sicurezza di richiedenti protezione in situazione di particolare vulnerabilità.
  Sul fronte dell'integrazione socio-lavorativa occorre intraprendere azioni per prevenire e contrastare il caporalato e per Pag. 198favorire condizioni di regolarità lavorativa dei migranti, prevedendo l'organizzazione di task force ispettive straordinarie, nell'ambito delle quali il personale ispettivo potrà essere affiancato da mediatori culturali dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni.

9.7. Politiche di allargamento e di vicinato.

  Come evidenziato nel parere reso dalla III Commissione, perdura il sostegno italiano all'integrazione europea dei Balcani Occidentali, anche assicurando adeguate risorse finanziarie agli strumenti di preadesione. A tal fine è da considerare favorevolmente il carattere prioritario riconosciuto dalla Commissione europea alla definizione di un nuovo Partenariato orientale post-2020 e l'attenzione ai Balcani occidentali, anche attraverso l'introduzione, nel contesto del prossimo Quadro finanziario pluriennale, di un nuovo strumento per il vicinato, lo sviluppo e la cooperazione internazionale, con una congrua dotazione finanziaria.
  Di prioritario interesse per l'Italia resta, inoltre, il negoziato per il futuro accordo tra Regno Unito ed UE, ma va altresì condiviso l'obiettivo del Governo di coinvolgere pienamente la società civile ed i Parlamenti nel dibattito all'interno della Conferenza sul futuro dell'Europa, nonché l'esigenza di promuovere la presenza di funzionari italiani in posizioni di rilievo nell'ambito del Servizio europeo per l'azione esterna.
  Va infine sostenuta una posizione di dialogo con la Russia, confermando il pieno sostegno alla politica europea del «doppio binario»: fermezza sulle violazioni del diritto internazionale da parte della Russia, ma anche confronto costruttivo sui temi di interesse comune.

9.8. Politiche per l'uguaglianza di genere.

  La Commissione europea inserisce la lotta alle disuguaglianze di genere tra gli obiettivi strategici da raggiungere velocemente, con iniziative specifiche già a partire dal 2020, al fine di favorire il coinvolgimento delle donne nella vita sociale e produttiva, abbattendo ostacoli e discriminazioni nell'accesso al lavoro, nello sviluppo delle carriere e nei trattamenti retributivi.
  Come evidenziato tra l'altro nei pareri resi dalle Commissioni II, III e XI, le politiche in tale ambito dovrebbero vertere al raggiungimento di alcuni obiettivi prioritari, quali:
   garantire una parità di partecipazione e di opportunità nel mercato del lavoro, compresa la parità retributiva, migliorando l'accesso al mercato del lavoro delle donne. Tale obiettivo appare particolarmente rilevante per l'Italia che sconta un gap nel livello di occupazione femminile (49,5 per cento nella fascia d'età 15-64 anni) rispetto alla media europea (63,3 per cento nelle stesse fasce di età). È stato valutato che l'eliminazione di tale gap comporterebbe una crescita del PIL superiore all'8 per cento (cfr. l'audizione della dottoressa Iachino). A tal fine andrebbe elaborata una strategia articolata, mirante a favorire l'erogazione di servizi alla famiglia (accudimento, insegnamento e servizi per la casa), la qualificazione professionale femminile, forme di premialità alle aziende che adottino politiche di riequilibrio di genere, incentivi all'imprenditorialità femminile e promozione di forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche attraverso l'opportuna alternanza tra lavoro da remoto e lavoro in presenza;
   conseguire un equilibrio di genere a livello decisionale e politico, introducendo nella PA una policy di genere ambiziosa che assicuri pari opportunità in tutte le fasi del percorso lavorativo e prevedendo un monitoraggio quali-quantitativo degli effetti della normativa delle quote di genere e della presenza femminile negli organi collegiali di amministrazione e controllo delle società commerciali;
   porre fine alla violenza e agli stereotipi di genere, inclusa la violenza online nei confronti delle donne e delle persone LGBT; Pag. 199
   prevedere un piano d'azione sulla parità di genere e l'emancipazione femminile nelle relazioni esterne.

  Si evidenzia, inoltre la necessità di integrare tali obiettivi con ulteriori finalità volte a superare il fenomeno della crisi demografica e ad elevare il tasso di natalità del nostro Paese sino a traguardare almeno la media europea, quale cluster di intervento autonomo, idoneo a massimizzare l'impatto sulla crescita, oltre che come criterio di selezione degli interventi. A fronte della crisi demografica che affligge l'Italia ormai da diversi anni, nell'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund occorre attribuire la massima attenzione alle politiche di contrasto a tale crisi, attraverso specifiche azioni volte a superare le criticità, come un'efficace ed unitaria regolamentazione incentivante la natalità, programmi di sostegno e promozione di una ripresa del tasso di fertilità, nonché l'introduzione di strategie pluriennali che affrontino in maniera sistemica e non emergenziale il fenomeno, sottolineando l'importanza dell'integrazione di tali aspetti nelle politiche strategiche dell'Unione europea (cd. European flagships).
  In particolare, con riferimento agli investimenti per le politiche familiari, volte ad incrementare il tasso di occupazione delle donne, attraverso adeguate soluzioni per affrontare la sfida della conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare, si segnala l'opportunità di prevedere, anche mediante agevolazioni di natura fiscale, misure volte alla promozione e diffusione degli asili nido.
  A tal fine andrebbe valutata l'opportunità di prevedere, come obiettivo da raggiungere in un arco di tempo di cinque anni (in linea con l'indicazione contenuta nel documento presentato agli Stati Generali dal Presidente del Consiglio dei ministri), una copertura pari al 60 per cento per gli asili nido, utilizzando anche le risorse a valere sul Recovery Fund. Una misura di questa portata avrebbe delle ricadute positive sull'occupazione femminile, valutabili in più di 100 mila unità solo per la cura e l'educazione dei bambini, senza considerare l'effetto che si otterrebbe nella diminuzione del tasso di interruzione del lavoro da parte delle donne e l'incentivo all'ingresso nel mercato del lavoro.
  Per quanto riguarda l’empowerment femminile, andrebbe altresì avviata la riforma dei congedi parentali, elevando la relativa indennità ad almeno il 60 per cento, intervenendo altresì sui congedi di paternità, elevando quelli obbligatori a 15 giorni e prevedendo specifici incentivi per la loro fruizione.
  Un'ulteriore misura che sarebbe opportuno promuovere nell'ambito di tale cluster di intervento per potenziare l'occupazione femminile è quella di estendere l'agevolazione contributiva per l'assunzione delle donne prevedendo che il beneficio spetti in via ordinaria con riferimento a tutte le donne disoccupate da almeno 12 mesi, in luogo dei 24 attualmente previsti. L'aumento del tasso di occupazione femminile derivante dall'applicazione di una tale misura a livello nazionale (stimato al 22 per cento), consentirebbe al nostro Paese di raggiungere l'obiettivo della Strategia Europa 2020, che prevede un tasso di occupazione femminile al 75 per cento per la media UE e al 67-69 per cento per l'Italia, con riflessi positivi anche sul PIL.

10. Conclusioni: le prospettive del processo di integrazione dell'UE.

  La nuova Commissione europea, con la presentazione del suo primo programma di lavoro, come adattato in relazione all'emergenza epidemiologica, ha impresso uno slancio senza precedenti al processo di integrazione europea, prospettando le basi politiche e giuridiche per la costruzione di una nuova sovranità economica, industriale e tecnologica dell'Unione europea, che si affiancherebbe all'ulteriore rafforzamento della sua leadership mondiale già conquistata sul versante della sostenibilità ambientale e della lotta ai cambiamenti climatici. Pag. 200
  Una nuova sovranità europea, fondata sui principi definiti dai padri fondatori, che avrà al centro i grandi assi della transizione verde e della trasformazione digitale, così come l'attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali e la diffusione dei valori europei, della solidarietà, della democrazia, del primato dello Stato di diritto e del multilateralismo, in un contesto in cui l'Europa sarà chiamata a rafforzare le proprie politiche, anche in campo sanitario, e a intensificare la cooperazione tra gli Stati membri per dimostrare la capacità di assumere un maggior peso nello scenario geopolitico mondiale.
  L'avvento della Pandemia da Covid-19, pur implicando la rimodulazione delle scadenze nell'attuazione di alcune delle iniziative annunciate nel programma di lavoro originario della Commissione, ha di contro impresso una forte accelerazione al processo di integrazione, aprendo prospettive inedite e per molti versi impensabili nello scenario pre-Covid.
  Ciò che è emerso in modo nitido è che, nonostante le defatiganti trattative e le divisioni emerse soprattutto tra gli Stati del Nord e gli altri Stati membri, l'esito finale del negoziato consacrato nell'accordo raggiunto nel Consiglio europeo del luglio scorso costituisce un cambio di paradigma nelle politiche europee, un salto di qualità suscettibile di generare sviluppi ben al di là dell'attuale contesto emergenziale.
  L'Europa ha scelto non solo di risanare i danni derivanti dalla pandemia, ma ha saputo cogliere l'occasione per gettare al contempo le fondamenta del suo futuro.
  Diversamente da quanto accaduto nelle precedenti crisi finanziarie e dei debiti sovrani – in cui l'assenza di politiche solidaristiche e l'attaccamento ossessivo ad una ferrea disciplina fiscale hanno mostrato tutti i loro limiti, anche sul piano degli effetti macroeconomici, alimentando un diffuso euro-scetticismo – le iniziative adottate in risposta alla pandemia hanno dimostrato una capacità di reazione dell'Unione europea che in termini di tempestività e impatto ha spiazzato anche i suoi più severi detrattori.
  Nonostante le incertezze iniziali e la ritrosia di alcuni Paesi – che avrebbero in prima battuta preferito confinare l'intervento di sostegno e rilancio alle prime misure di allentamento dei vincoli di bilancio e della disciplina in materia di aiuti di Stato e di flessibilizzazione per l'impiego dei fondi strutturali, nonché alla rete di sicurezza costituita dal MES e dal SURE e al potenziamento della leva finanziaria della BEI – l'intesa infine raggiunta, anche grazie al contributo decisivo dell'Italia, sul programma Next Generation EU ha costituito un autentico punto di svolta nell'architettura economico-finanziaria della UE.
  Ciò non soltanto per la mole delle risorse in termini di prestiti e sussidi messa a diposizione e per i criteri solidaristici adottati nella loro allocazione in favore degli Stati più colpiti dalla pandemia, ma anche per il meccanismo di reperimento sul mercato dei capitali della provvista necessaria ad alimentare il Recovery fund (così come il SURE), che configura in nuce l'embrione di un'autentica Unione fiscale nella quale si genera debito comune, che potrà essere in parte ripagato attraverso nuove forme di fiscalità comuni, per sostenere gli Stati membri perseguendo al contempo interessi comuni fondati su valori condivisi.
  Inoltre, lo stesso impianto del Recovery fund, volto a promuovere contestualmente la ripresa nel breve periodo anche in chiave anticiclica, la resilienza agli shock futuri e la sostenibilità competitiva del sistema economico europeo nel medio periodo, potrebbe far sì che nel corso del tempo la crescita aggiuntiva renda lo strumento per la ripresa e la resilienza autofinanziato, attraverso attività e gettito fiscale supplementari generati per gli Stati membri e l'UE, così come evidenziato nella Comunicazione sulla Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021 presentata dalla Commissione europea il 17 settembre scorso.
  Seppur previsto solo in via straordinaria e temporanea, un potenziamento del bilancio a lungo termine dell'Unione come quello congegnato – che compone in un Pag. 201quadro strategico unitario le misure per la ripresa e la resilienza, le raccomandazioni di policy della Commissione e i nuovi traguardi europei in tema di transizione verde e digitale e inclusione sociale – testimonia dunque il maturare della piena consapevolezza da parte degli Stati europei dei vincoli di reciproca interdipendenza che intercorrono tra gli stessi e, in definiva, il ribaltamento di una logica fondata sugli egoismi nazionali: da una crisi potente, che ha colpito simultaneamente la domanda e l'offerta, e simmetrica ma con possibili effetti distorsivi asimmetrici, come quella causata dal Covid-19, nessuno Stato avrebbe potuto risollevarsi da solo e in assenza delle misure prospettate anche il mercato unico ne sarebbe uscito frammentato e fortemente indebolito, mentre la disoccupazione di massa avrebbe potuto far detonare terribili conflitti sociali.
  Ciò sembrerebbe essere stato scongiurato perché nel momento più buio l'Europa ha saputo trovare linfa e forza nel suo unico e prezioso modello di economia sociale di mercato.
  La XIV Commissione, pur avendo ben presenti le possibili incognite che ancora possono emergere nella compiuta definizione dei nuovi strumenti europei nell'ulteriore corso del negoziato, esprime il vivo apprezzamento per i risultati sinora conseguiti anche grazie al tenace e decisivo impegno del Governo e dei rappresentanti italiani nelle Istituzioni europee, che hanno saputo affermare un'idea di Europa forte, solidale, ambiziosa e lungimirante, in sintonia con lo spirito dei Trattati e all'altezza della sua storia e delle sfide della contemporaneità.
  Si tratta di un risultato che non era affatto scontato e che ha visto consumarsi scontri molto aspri nella compagine dei leader europei.
  Molti problemi, naturalmente, rimangono ancora da sciogliere, sia sul piano comunitario che su quello nazionale.
  Quanto ai primi, l'attività conoscitiva svolta dalla Commissione ha consentito di sviscerare le principali criticità che si frappongono a un ulteriore balzo in avanti del processo di integrazione europea.
  Tra queste, dal punto vista istituzionale, possono essere annoverati, senza pretesa di esaustività: la resistenza a superare un approccio intergovernativo ancorato ad una logica consensuale unanimistica, che governa ancora la politica estera, di difesa e sicurezza e quella fiscale, ma che più in generale sembra pervadere direttamente o indirettamente, minandolo, l'intero processo decisionale dell'UE, e ciò nonostante l'avvenuto recupero di un più incisivo ruolo di proposta della Commissione; l'eccessiva complessità dei meccanismi decisionali e la loro scarsa trasparenza; l'assenza di un potere di iniziativa legislativa del Parlamento europeo.
  Dal punto di vista delle politiche sostanziali, è stata invece evidenziata l'assenza di strumenti unionali di politica economica ed industriale atti a sostenere in modo adeguato l'economia reale soprattutto nelle fasi avverse del ciclo, cui si lega un meccanismo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri che si snoda nell'ambito del Semestre europeo ispirato a rigorosi criteri prudenziali e che nonostante il tentativo di renderlo più flessibile continua a limitare oltremodo la capacità espansiva dei bilanci pubblici anche con riguardo alle spese di investimento.
  A tale ultimo riguardo non a caso, dopo l'attivazione della clausola generale di salvaguardia in ragione del Coronavirus, il dibattito intorno alle modifiche da apportare al Patto di stabilità e crescita, le cui procedure non sono sospese, si è intensificato.
  La Commissione condivide in proposito quanto affermato dal Governo nella Relazione programmatica in ordine all'eccessiva asimmetria e pro-ciclicità del Patto e alla necessità di riformare la governance dell'eurozona anche attraverso la previsione di un'efficace funzione di stabilizzazione centralizzata e quindi di una fiscal stance anticiclica comune, migliorando al contempo il coordinamento fra Paesi in deficit e Paesi in surplus. Nella presente Pag. 202relazione sono inoltre avanzate alcune specifiche proposte miranti a riformare il PSC al fine di promuovere anzitutto gli investimenti per la riconversione ecologica del tessuto produttivo e per il contrasto alla crisi demografica, fenomeno che in Italia ha assunto dimensioni allarmanti suscettibili di riflettersi sugli equilibri di bilancio futuri e dunque sulla stessa tenuta del suo sistema di protezione sociale. Appare al riguardo evidente, quindi, come l'Italia debba farsi promotrice di un dibattito in merito alla revisione del PSC, che dovrà essere quanto più ampio e approfondito possibile e scaturire da una visione unitaria, affinché tale revisione risulti più agevole, tenendo comunque conto della necessità di agire tempestivamente.
  Sotto altro profilo, nonostante il diffuso apprezzamento per i programmi straordinari di acquisto di titoli pubblici e privati varati dalla BCE e per le misure adottate per assicurare la liquidità al sistema bancario e i relativi meccanismi di trasmissione all'economia reale, taluni limiti sono stati riscontrati anche con riguardo alla politica monetaria.
  In particolare, è stata evidenziato come rispetto ad altre Banche centrali – come ad esempio la Riserva Federale statunitense che ha peraltro recentemente rivisto in senso espansivo la propria potenzialità di azione – gli interventi della BCE a favore degli Stati trovino un ostacolo giuridico nell'articolo 123 del TFUE, che, com’è noto, non consente l'acquisito diretto di titoli di debito sovrano, al pari delle forma di finanziamento monetario a Stati, organismi dell'Unione o imprese pubbliche, impedendo in tal modo di costruire in modo sistematico una rete di protezione dalla speculazione internazionale in favore di tutti gli Stati dell'area dell'euro tale da appiattire i differenziali di rendimento e sterilizzare il rischio di possibili turbolenze.
  Ancorché la concreta esperienza abbia dimostrato che il sistema europeo delle Banche centrali ha saputo reagire in modo appropriato anche per contrastare i rischi e gli effetti della crisi derivante dalla pandemia, permane l'esigenza, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale federale tedesca, di offrire una più solida base giuridica all'azione del SEBC soprattutto in vista di un'eventuale continuazione di programmi di acquisito di titoli pubblici caratterizzati da una ampia flessibilità, come il recente PEPP, da cui il nostro Paese trae rilevanti benefici e il cui prematuro venir meno potrebbe inficiare le potenzialità di ripresa.
  Più in generale, permane l'esigenza di rafforzare, accanto all'obiettivo della stabilità dei prezzi, anche quello, pur contemplato dall'articolo 127 del TFUE, di assicurare un adeguato sostegno da parte del SEBC alle politiche generali dell'Unione al fine precipuo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi alti e nobili definiti nell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea, con particolare riferimento a quello della piena occupazione.
  Sotto altro versante, uno dei problemi principali e dei maggiori ostacoli ad una ulteriore evoluzione del processo di integrazione europea è rinvenibile nella tendenza alla competizione verso il basso della fiscalità e dei sistemi di protezione sociale, che dà luogo agli odiosi fenomeni di dumping fiscale e sociale.
  Sul primo aspetto la presente relazione si sofferma diffusamente, al fine di evidenziare l'insostenibilità sul piano politico ed economico di un'Unione in cui esistono veri e propri «paradisi fiscali», di cui si avvantaggiano in particolare le multinazionali, che si traducono in una riduzione della base imponibile di altre nazioni. Questa forma di competizione fiscale è stata sinora tollerata perché ritenuta parte essenziale della globalizzazione finanziaria, ma si rivela oggi ormai inaccettabile poiché sottrae ingenti risorse alle finanze pubbliche di quei Paesi, come l'Italia, a cui, nello stesso tempo, si richiede rigore finanziario.
  È, questo, un tema spinoso di dimensioni macroscopiche, che impatta su interessi fortissimi di alcuni Stati membri che vorrebbero mantenere lo status quo, ma che non può non essere affrontato in Pag. 203modo risoluto se si vuole davvero costruire una compiuta e più forte Unione economica e monetaria.
  Parimenti andrà affrontato il tema dell'altrettanto odioso fenomeno del dumping sociale, in relazione al quale tuttavia la proposta di istituzione di un salario minimo europeo avanzata dalla Commissione, unitamente a quella di definizione di un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione, costituiscono già una condivisibile base di partenza per dare forma e sostanza all'attuazione dei principi del Pilastro europeo dei diritti sociali. Base di partenza perché l'obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di armonizzare i sistemi di protezione sociale definendo strumenti comuni atti a garantire in ogni Paese condizioni dignitose di vita a tutti i cittadini.
  Strettamente connesso alle questioni testé richiamate è, infine, il tema specifico della fiscalità e delle nuove risorse proprie dell'UE, che rappresentano il presupposto base per ampliare in prospettiva le capacità di bilancio dell'Unione senza gravare ulteriormente sulle finanze pubbliche degli Stati membri e per questa via perseguire più efficacemente gli obiettivi di benessere, progresso sociale e sostenibilità ambientale sanciti nei trattati.
  In questo ambito l'accordo conseguito nel Consiglio europeo dello scorso mese di luglio prevede, com’è noto, che nei prossimi anni l'Unione lavorerà a una riforma del sistema delle risorse proprie, introducendone di nuove di cui quelle dopo il 2021 saranno utilizzate per il rimborso anticipato dei prestiti contratti a titolo di Next Generation EU. In particolare, come primo passo sarà introdotta una nuova risorsa propria basata sui rifiuti di plastica non riciclati che si applicherà a decorrere dal 1o gennaio 2021; come base per risorse proprie supplementari, nel primo semestre del 2021 la Commissione presenterà le proposte relative a un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a un prelievo sul digitale, ai fini della loro introduzione al più tardi entro il 1o gennaio 2023. Inoltre, la Commissione presenterà una proposta di revisione del sistema di scambio di quote di emissioni, eventualmente estendendolo al trasporto aereo e marittimo e si lavorerà all'introduzione di altre risorse proprie, che potrebbero comprendere anche un'imposta sulle transazioni finanziarie.
  L'accordo raggiunto rappresenta per alcuni versi un passo indietro rispetto alle proposte formulate in precedenza dalla Commissione europea – soprattutto in ragione del venire meno della proposta relativa ad una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società – e, in generale, un punto di compromesso rispetto alle proposte, più avanzate, sostenute dal Parlamento europeo.
  Ciò nondimeno, il selezionato paniere di nuove risorse proprie, così come l'annunciata proposta di revisione della tassazione dell'energia in vista dell'obiettivo della neutralità climatica del Continente al 2050, denotano la volontà politica di utilizzare anche la leva fiscale al fine di promuovere un pervasivo processo di cambiamento dei modelli di produzione e consumo secondo il principio della sostenibilità competitiva, che insieme all'inclusione sociale è alla base della nuova strategia di crescita sostenibile della Commissione europea.
  I prospettati nuovi tributi europei risultano, infatti, coerenti con le nuove priorità strategiche dell'UE, in particolare in tema di Green Deal ed economia circolare, atteso che a questa logica rispondono a ben vedere sia la «plastic tax» che la revisione dell'Emission trading scheme, e al contempo sono volti a salvaguardare il mercato unico dalla concorrenza, spesso sleale, di paesi terzi che non osservano stringenti standard di sostenibilità ambientale, come nel caso della nuova «Carbon border tax»: come ha affermato la Presidente della Commissione europea, il carbonio deve avere il suo prezzo, perché la natura non può più pagarne il prezzo.
  Considerazioni diverse possono essere fatte per la digital tax, in relazione alla quale, nonostante lo slittamento al 2021 della presentazione della relativa proposta, appare apprezzabile la determinazione manifestata dalla Commissione europea Pag. 204nel voler andare avanti anche in caso di un fallimento del negoziato in corso da tempo in sede OCSE.
  Nell'insieme, le proposte avanzate in tema di nuove risorse proprie testimoniano un coraggio e un'ambizione inediti delle Istituzioni europee, pronte a sfidare, per ragioni di equità e in nome di un diverso modello di sviluppo, i giganti delle tecnologie digitali, le produzioni più inquinanti a base di combustibili fossili e, in ipotesi, anche gli eccessi della speculazione finanziaria, ossia, a ben vedere, le lobby più potenti a livello planetario.
  In questo contesto appare fondamentale un ruolo proattivo dell'Italia che miri alla definizione di risorse proprie che non impattino negativamente sul settore produttivo e che costituiscano una base solida di risorse comuni con cui finanziare le principali politiche dell'UE.
  Nonostante apprezzabili novità occorre comunque rilevare, in linea generale, come al netto dei prestiti contratti sul mercato per finanziare il Recovery fund, il peso delle nuove risorse proprie di natura «fiscale» nel bilancio dell'UE, pur potendo alleviare l'onere a carico degli Stati membri per gli interessi e il rimborso dei suddetti prestiti, rimarrebbe comunque ancora contenuto e l'incidenza dei contributi nazionali, concepiti nei trattati come residuali, resterebbe invece di gran lunga preponderante.
  La Commissione condivide pertanto pienamente la posizione del Governo italiano, che si è sempre espresso a favore di un potenziamento della leva fiscale dell'UE e di soluzioni che contribuiscano anche alla progressiva armonizzazione del quadro fiscale in chiave anti-elusione e anti-dumping, sostenendo la previsione sia di una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (CCCTB), sia di una imposta sulle transazioni finanziarie, nonché l'introduzione di una «digital tax» che permetterebbe di reperire risorse da quei soggetti, in particolare le grandi imprese multinazionali, che finora hanno tratto vantaggio dal mercato unico senza tuttavia partecipare ai relativi costi o facendolo in modo molto limitato. Allo stesso modo, la Commissione è in sintonia con le posizioni assunte dal Parlamento europeo, che sottolineano da molto tempo la necessità di implementare in modo significativo il sistema delle risorse proprie anche mediante l'introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie rilevando, tra l'altro, la necessità, al fine di migliorare la credibilità e la sostenibilità del piano di rimborso di Next Generation EU, che tali oneri siano coperti interamente da entrate derivanti da autentiche nuove risorse proprie.
  Considerate le resistenze di alcuni paesi in questa direzione, nel corso dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione è emerso da più parti come occorra in prospettiva intervenire sugli assetti istituzionali, semplificando radicalmente i meccanismi decisionali, tra i più gravosi previsti dai trattati. L'esperienza ha dimostrato, infatti, che né la «cooperazione rafforzata», né il ricorso all'articolo 116 del TFUE per evitare distorsioni alla concorrenza dovute a disparità delle norme fiscali nazionali, hanno garantito progressi in tale direzione, mentre il ricorso sistematico alla c.d. «clausola passerella» potrebbe essere una soluzione solo di carattere transitorio ma invero inadatta a superare le distorsioni evidenziate soprattutto in tema di dumping fiscale.
  Appare dunque necessario svolgere, in vista della prossima Conferenza sul futuro dell'Europa, una seria riflessione su tali tematiche, anche al fine di non escludere a priori una modifica dei trattati che possa andare alla radice del problema, passando dal voto all'unanimità alle maggioranze qualificate in materia fiscale, ferma restando la ratifica dei Parlamenti nazionali sulla Decisione sulle risorse proprie. Al contempo, al fine di conferire più solide basi democratiche ad un nuovo fisco europeo, appare opportuno che al Parlamento europeo sia attribuito uno specifico potere di iniziativa legislativa, in coerenza al principio «no taxation without representation».
  Per quanto concerne i profili della politica nazionale, la XIV Commissione ribadisce l'apprezzamento per l'operato Pag. 205del Governo, sia per i risultati ottenuti durante il negoziato, che vedono l'Italia come il Paese che potrebbe fruire del maggior ammontare delle risorse messe a disposizione dall'Unione europea, sia per le politiche adottate o programmate, che nei diversi ambiti dell'inclusione sociale, della sostenibilità, del riequilibrio dei divari territoriali e di genere e dell'innovazione, appaiono coerenti con le priorità strategiche dell'Unione europea e ispirate all'obiettivo di elevare gli indicatori di benessere, equità e sostenibilità in coerenza con le sfide poste dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
  Il dibattito è ora concentrato sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo delle risorse del Recovery fund. Non è questa la sede propria per esprimersi sul punto; è tuttavia possibile affermare che il nostro Paese ha dinanzi una opportunità irripetibile per rafforzare la sua resilienza, a partire dall'ambito sanitario, e nello stesso tempo trasformare in modo strutturale l'economia rilanciando, in favore delle nuove generazioni, il suo potenziale di crescita economica e sociale.
  Per non sprecare questa opportunità unica è necessario uno sforzo progettuale di ammodernamento senza precedenti, una sinergia articolata di riforme e investimenti che dovrà essere imponente e spingersi a diverse latitudini, ma che dovrà svilupparsi secondo una strategia organica di lungo periodo evitando la dispersione delle risorse e la frammentazione delle iniziative. Sarà dunque imprescindibile definire tale strategia fissando gli obiettivi sia qualitativi che quantitativi e le connesse priorità, affinché l'Italia esca dalla crisi non solo rinforzata, ma profondamente rinnovata e con una politica economica e di bilancio basata su un quadro ben definito di riforme e misure volte a raggiungere le finalità individuate. Una siffatta visione strategica può essere articolata solo in connessione con una evoluzione del processo di integrazione europea ispirata a obiettivi di sviluppo convergenti, il cui perseguimento dovrà essere supportato anche con interventi sul versante istituzionale.
  In questa prospettiva il Green Deal e l'annunciato obiettivo di riduzione delle emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030 – ai quali sarà destinato il 37 per cento delle risorse di Next Generation EU, di cui una quota del 30 per cento dovrebbe essere reperita sui mercati con l'emissione di «obbligazioni verdi» – comporterà una radicale riconversione del tessuto produttivo e interventi trasversali in tutti gli ambiti, dall'energia ai trasporti, dall'agricoltura all'industria, dal fisco alla pubblica amministrazione, dall'edilizia ai rifiuti, sino a incidere su stili di vita e abitudini di consumo della società.
  Si tratta di un'occasione storica, che oltre a contribuire a salvaguardare il pianeta e migliorare la qualità della vita dei cittadini, potrà generare molti posti di lavoro ed elevare la competitività del sistema economico agendo sui costi dei processi produttivi anziché sulla compressione dei salari.
  Similmente, la trasformazione digitale, su cui dovrà essere investito almeno il 20 per cento di Next Generation EU, potrà sia risultare funzionale all'attuazione del Green Deal, sia elevare l'efficienza della pubblica amministrazione, attraverso l'introduzione di nuovi processi amministrativi e servizi pubblici digitali, oltre che, naturalmente, incrementare anche la produttività delle imprese e colmare i divari digitali esistenti anche a livello territoriale.
  L'affermarsi di un diritto alla connettività e di una identità digitale protetta da regole europee, la parità di accesso alle competenze digitali e la costruzione di una avanzata economia dei dati favorirebbero, inoltre, l'interazione tra cittadini, centri di ricerca, università, think tank, imprese e istituzioni, configurando, in tal modo, uno straordinario volano per l'innovazione in tutti i settori, biomedico ed energia in primis, e anche in tal caso ciò sarebbe fonte di nuovi e qualificati posti di lavoro. La costruzione, nell'ambito di Next Generation EU, di un cloud europeo di dati accessibili, come prospettato nel progetto GaiaX, appare in questa direzione essenziale anche nell'ottica di assicurare la Pag. 206sicurezza informatica e la relativa autonomia e sovranità anche digitale dell'UE.
  Tra gli assi strategici d'intervento figurano, altresì, il capitale umano, l'istruzione, la formazione, la ricerca e l'innovazione, in relazione ai quali le risorse europee appaiono decisive per colmare i ritardi e i gap accumulati in coerenza con le Raccomandazioni della Commissione europea – a partire dagli sforzi per contrastare l'abbandono scolastico, migliorare risultati e competenze e promuovere l'occupazione giovanile e femminile – nonché, in prospettiva, per riposizionare strategicamente il Paese sulle nuove frontiere dell'innovazione tecnologica, in particolare dell'intelligenza artificiale, della robotica, delle nanotecnologie e delle infrastrutture quantistiche.
  Le risorse di Next Generation EU, unitamente a quelle del prossimo bilancio a lungo termine dell'UE, appaiono infine dirimenti per colmare, accanto ai divari strutturali che il Paese registra da anni in termini di produttività e investimenti, i persistenti e profondi divari territoriali, non solo tra il Nord e il Mezzogiorno, bensì anche quelli, che stanno assumendo una dimensione crescente, tra centri urbani e aree interne, per i quali gli investimenti che saranno intrapresi nell'infrastrutturazione digitale potranno offrire un contributo di particolare rilievo.
  Altrettanto fondamentali saranno gli impegni e le azioni, che anche la Commissione europea considera strategici, per la lotta alle disuguaglianze di genere, che vanno posti in essere rapidamente con iniziative specifiche al fine di favorire un maggiore coinvolgimento delle donne nella vita sociale e produttiva, abbattendo ostacoli e discriminazioni nell'accesso al lavoro, nello sviluppo delle carriere e nei trattamenti retributivi. Particolare attenzione dovrebbe inoltre essere riservata alle misure di potenziamento dell'occupazione nei settori ad alta intensità occupazionale femminile, come quelli dell'assistenza sociale, della sanità e dell'educazione, avendo come obiettivo il raggiungimento nel medio-lungo periodo dei livelli dei Paesi europei più avanzati.
  Negli ambiti citati, negli altri indicati nelle Linee Guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) trasmesse dal Governo alle Camere il 16 settembre scorso, nonché in quelli che potranno essere individuati dal Parlamento nell'esercizio della sua funzione di indirizzo per l'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery fund, occorre puntare a un pieno, efficiente e tempestivo impiego delle relative risorse.
  L'allocazione dei fondi, che dovrà riflettere le sfide specifiche per il nostro Paese, anche in vista dell'attuazione di riforme strutturali da tempo attese, ed essere allineata alle priorità dell'UE, dipenderà sostanzialmente dalla capacità progettuale e realizzativa.
  A tale ultimo riguardo, come evidenziato nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione, occorre continuare a migliorare e accelerare le procedure di utilizzo dei fondi europei nei diversi livelli di governo, al fine di allineare i tempi degli impegni e della spesa almeno alla media europea, ciò anche in ragione dei stringenti vincoli temporali previsti dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Proprio questi ultimi sembrerebbero suggerire l'opportunità da un lato, di prevedere efficaci e trasparenti meccanismi nazionali di monitoraggio, sottoposti al controllo parlamentare, dello stato di avanzamento dei progetti che saranno contemplati nel prossimo PNRR, che potrebbero essere assistiti anche dalla previsione dell'attivazione in via automatica di poteri sostitutivi in capo ad un apposito soggetto in caso di mancato rispetto delle scadenze previste – i target intermedi (milestones) – da parte degli enti competenti che possa compromettere o ritardare l'assegnazione delle risorse o il conseguimento degli obiettivi fissati.
  Dall'altro lato, ferma l'esigenza di allineare le competenze programmatorie e gestionali con chiare responsabilità politiche e amministrative, appare necessario, in coerenza con il regolamento europeo in via di definizione e anche in vista di un efficace esercizio delle funzioni di indirizzo Pag. 207e controllo parlamentare, che le azioni del PNRR siano inquadrate nell'ambito di efficace set di indicatori di risultato ex ante ed ex post, utilizzando a tal fine come parametri di riferimento da una parte gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES), dall'altro gli obiettivi e i relativi 169 target previsti nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che, come è noto, sono ora parte integrante del Semestre europeo.
  In conclusione, la XIV Commissione ritiene che si debba essere orgogliosi della più recente evoluzione delle politiche europee e altrettanto fieri dell'operato del Governo per i risultati raggiunti nel difficile negoziato.
  Naturalmente, con riferimento al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, rimangono ancora alcuni nodi da sciogliere, di cui il più complicato è rinvenibile, come evidenziato nel corso dell'audizione del Ministro Amendola, nella condizionalità legata allo Stato di diritto, richiesta a gran voce dal Parlamento europeo e contrastata da alcuni Stati membri.
  Analogamente, molti sforzi devono essere ancora compiuti in altri importanti ambiti, a partire dalla definizione di una nuova politica europea sulla migrazione, in relazione alla quale è stato da ultimo presentato un nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo che dovrebbe superare l'approccio sotteso al cosiddetto Regolamento di Dublino e che la Commissione auspica possa tradursi in atti normativi capaci di riflettere in modo compiuto l'attuazione dei principi di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri indicati nell'articolo 80 del TFUE.
  Parimenti, occorre adoperarsi per completare l'Unione bancaria e del mercato dei capitali nell'ambito della più estesa discussione sul completamento dell'UEM e il miglioramento del quadro di governance economica dell'UE, di cui la revisione del Patto di Stabilità e Crescita costituisce l'aspetto prioritario.
  Sotto altro profilo, occorre proseguire in modo oculato il processo di allargamento, in particolare sostenendo l'integrazione europea dei Balcani Occidentali, e assicurare al contempo un adeguato supporto, anche finanziario, alle politiche per il vicinato, lo sviluppo e la cooperazione internazionale, e ciò nel quadro di uno sforzo più ampio per il rilancio del multilateralismo e la riforma delle istituzioni internazionali nella direzione indicata dalla Presidente della Commissione europea nel suo primo discorso sullo «Stato dell'Unione» pronunciato dinanzi al Parlamento europeo pronunciato dinanzi al Parlamento europeo.
  Infine, nell'ottica della costruzione di una nuova sovranità e autonomia strategica europea, occorre in prospettiva compiere ogni sforzo per potenziare la capacità decisionale dell'UE, oltre che in campo fiscale, nella politica estera e in quella di sicurezza e di difesa comune, e al contempo estendere le sue competenze anche nel settore, sempre più strategico, della sanità, e in questa direzione la prossima Conferenza sul futuro dell'Europa potrebbe costituire l'occasione per rilanciare su nuove basi, anche istituzionali, il progetto europeo al fine di affrontare al meglio le sfide attuali e future.
  La strada sinora intrapresa è tuttavia quella giusta, e forse l'unica possibile.
  Sta a noi ora metterci in cammino verso un mondo più giusto, più resiliente, più sostenibile, avendo come stella polare i valori dell'Unione europea sanciti nei trattati.