CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 21 giugno 2017
842.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale. Atto n. 418.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XII Commissione (Affari sociali),
   esaminato, nelle sedute del 30 maggio, dell'8, del 13, del 20 e del 21 giugno 2017, lo schema di decreto legislativo recante Revisione della disciplina in materia di impresa sociale (atto n. 418);
   tenuto conto delle audizioni informali svoltesi presso la medesima Commissione il 5 e il 14 giugno 2017 e preso atto delle memorie scritte depositate dai soggetti auditi nel corso di tali audizioni;
   considerato che la legge 6 giugno 2016, n. 106, all'articolo 1, comma 2, lettera c), ha previsto la revisione della disciplina dell'impresa sociale, nel rispetto dei principi e criteri generali di cui agli articoli 6, 7, comma 1, e 9, comma l, lettera f), della medesima legge;
   rilevato, in generale, che lo schema di decreto legislativo in esame appare coerente con le finalità e gli obiettivi della legge delega;
   rilevato, per quanto riguarda le singole disposizioni recate dallo schema di decreto in esame, che:
   l'articolo 1, comma 2, non include esplicitamente le imprese individuali e le società unipersonali tra gli enti che non possono assumere la qualifica di impresa sociale, come invece sarebbe opportuno in ragione della vocazione sociale e partecipativa di un istituto che meglio si presta alla dimensione dell'iniziativa collettiva; per lo stesso motivo, all'articolo 4, è necessario estendere anche alle imprese individuali e alle società unipersonali il divieto di detenere il controllo di un'impresa sociale;
   all'articolo 1, comma 3, si riserva esclusivamente agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato e non ad altri enti del Terzo settore la possibilità di accedere alla qualifica di impresa sociale limitatamente alle attività comprese nell'elenco di cui all'articolo 2;
   il decreto in esame, all'articolo 1, comma 4, dispone che le cooperative sociali e i loro consorzi di cui alla legge n. 381 del 1991 assumano di diritto la qualifica di impresa sociale, ma che per esse si applichino solo gli articoli 14, 15, 16 e 18 del decreto stesso, rimanendo valida per il resto la specifica normativa vigente;
   l'attuale disciplina delle cooperative sociali non risulta pertanto coordinata con la nuova definizione delle attività di interesse generale delle imprese sociali di cui all'articolo 2 dello schema di decreto legislativo in esame, con la conseguenza di penalizzare oggettivamente le cooperative sociali, che peraltro rappresentano la forma più ampiamente diffusa di impresa sociale;
   tra le attività di interesse generale indicate dall'articolo 2, comma 1, dello schema di decreto, non sono incluse alcune voci che sarebbe opportuno inserire mentre altre sono presenti con definizioni imprecise o diverse da quelle utilizzate per la medesima attività nell'articolo 5 dello Pag. 145schema di decreto recante Codice del Terzo settore (Atto 417), rischiando così di generare ambiguità interpretative;
   il divieto, contenuto all'articolo 3, comma 2, lettera b), di corrispondere ai lavoratori subordinati o autonomi compensi superiori di oltre il 20 per cento a quelli previsti per qualifiche simili dai contratti collettivi, in quanto ciò configurerebbe un caso di distribuzione indiretta di utili, appare un'eccessiva ingerenza nell'autonomia dell'ente e nella sua capacità di dotarsi di competenze adeguate ad attuare strategie di sviluppo;
   al tempo stesso, la possibilità, contemplata dal medesimo articolo 3, comma 3, lettera b), che l'impresa possa destinare parte degli utili o avanzi di gestione annuale ad erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, anche non soci né controllati, desta perplessità in quanto rischia di favorire comportamenti antieconomici quando non addirittura elusivi;
   pur attribuendo la legge delega centralità e primazia ai principi di partecipazione e di democrazia economica, le garanzie in tal senso contenute nello schema di decreto sono insufficienti; in particolare, la disposizione contenuta nell'articolo 7, comma 1, con riguardo alla composizione dell'organo amministrativo, non assicura che la maggioranza degli amministratori sia espressione dei soci, né previene l'eterodirezione dell'impresa;
   destano serie perplessità anche le norme sulla devoluzione del patrimonio, in particolare all'articolo 12, comma 5, dove si prevede la devoluzione «libera» del patrimonio ad un altro ente del Terzo settore non soggetta ad alcun controllo o autorizzazione: questo, oltre che discutibile per ragioni di prevenzione delle condotte elusive, è in contrasto con la disposizione contenuta nell'articolo 9 dello schema di decreto recante Codice del Terzo settore (Atto 417), ove si prevede che la devoluzione del patrimonio in caso di estinzione o scioglimento sia necessariamente condizionata al previo parere dell'Ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore, pena la nullità degli atti di devoluzione;
   l'articolo 14, comma 5, che disciplina la devoluzione del patrimonio in caso di procedura concorsuale, rinvia proprio all'articolo 12, comma 5, in cui si disciplina la devoluzione «libera» del patrimonio per scioglimento volontario o perdita volontaria della qualifica, con ciò consentendo irragionevolmente che, anche in ipotesi di liquidazione coatta per insolvenza, l'impresa possa liberamente devolvere il patrimonio residuo ad un ente di propria scelta; sarebbe più coerente il rinvio all'articolo 15, comma 8, ove si prevede la devoluzione obbligatoria del patrimonio in caso di perdita della qualifica di impresa sociale;
   desta perplessità anche l'articolo 16, dove si stabilisce la facoltà e non l'obbligo di destinare una quota non superiore al 3 per cento degli utili netti annui ai fondi per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali, in quanto la non obbligatorietà del versamento rischia di relegare tale istituto alla inutilità; inoltre, va rilevata la mancata menzione della salvaguardia della normativa specifica delle cooperative, che all'articolo 11, comma 4, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, già prefigura l'obbligo di versamento del 3 per cento degli utili netti annui ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione;
   all'articolo 18, in relazione alle agevolazioni fiscali previste dai commi 3 e 4 per le persone fisiche o le società che effettuino investimenti nel capitale di un'impresa sociale e li mantengano per almeno tre anni, va valutato se tale limite temporale sia sufficiente a scongiurare eventuali operazioni di carattere puramente speculativo;
   lo schema di decreto, ogni volta che richiama o cita le cooperative sociali, omette il riferimento ai consorzi di cooperative sociali di cui all'articolo 8 della legge 8 novembre 1991, n. 381; Pag. 146
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1. all'articolo 1, comma 2, si provveda ad inserire anche le imprese individuali e le società unipersonali tra i soggetti che non possono acquisire la qualifica di impresa sociale;
   2. all'articolo 1, comma 4, sia soppressa la disposizione che limita esclusivamente agli articoli 14, 15, 16 e 18 l'applicabilità delle norme contenute nel presente schema di decreto alle cooperative sociali e ai loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n.381;
   3. all'articolo 2, comma 1, si apportino le seguenti modifiche:
    I. alla lettera a), siano aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, delle leggi regionali di settore e della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni»;
    II. alla lettera b), siano soppresse le parole: «riconducibili ai Livelli essenziali di assistenza come definiti dalle disposizioni vigenti in materia»;
    III. alla lettera e), siano premesse le parole: «attività e»;
    IV. alla lettera i), le parole: «turistiche o ricreative di particolare interesse sociale» siano sostituite dalle seguenti: «ricreative di interesse sociale»;
    V. alla lettera l), siano aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché la formazione professionale realizzata da enti accreditati dalle regioni, finalizzata al rilascio di qualificazioni professionali di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 13 del 2013»;
    VI. la lettera o) sia sostituita dalla seguente: «attività commerciali, produttive, di educazione e di informazione, di promozione, di rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell'ambito o a favore delle filiere del commercio equo e solidale, da intendersi – nelle more dell'applicazione definitiva della disciplina sul commercio equo e solidale – come un rapporto commerciale con un produttore operante in un'area economica svantaggiata situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a consentire, accompagnare e migliorare l'accesso del produttore al mercato, attraverso il dialogo, la trasparenza, il rispetto e la solidarietà, e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l'obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere loro di condurre un'esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile»;
    VII. alla lettera q), siano soppresse le parole: «e di accoglienza umanitaria di stranieri»;
    VIII. la lettera s) sia sostituita dalla seguente: «agricoltura sociale, ai sensi e nel rispetto dell'articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni, quando le attività sono esercitate da imprese sociali che hanno la qualifica di imprenditore agricolo o da imprese sociali che hanno la forma della cooperativa sociale»;
    IX. dopo la lettera t), siano aggiunte le seguenti:
     u) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai sensi dell'articolo 16, comma 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223;
     v) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
     w) protezione civile, ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
     x) accoglienza umanitaria e integrazione sociale degli stranieri;Pag. 147
     y) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata;
   4. all'articolo 3, comma 2, lettera b), si innalzi dal 20 al 40 per cento il previsto limite di incremento dei compensi, a parità di qualifiche, rispetto a quelli indicati dai contratti collettivi, in quanto ciò costituirebbe distribuzione indiretta di utili;
   5. all'articolo 4, comma 3, siano apportate le seguenti modificazioni:
    a) siano aggiunti, fra i soggetti che non possono detenere il controllo di un'impresa sociale, oltre agli enti con scopo di lucro e alle amministrazioni pubbliche, anche le imprese individuali o società unipersonali;
    b) dopo le parole: «decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni,» siano aggiunte le seguenti: «e le società a partecipazione pubblica di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n.175»;
   6. all'articolo 12, comma 3, siano soppresse le parole: «, ovvero la denominazione dei beneficiari delle devoluzione del patrimonio» in quanto questo comma si riferisce agli atti di cui al comma 1, che non contemplano alcuna ipotesi di devoluzione, semmai di trasferimento dell'azienda;
   7. all'articolo 12, comma 5, allo scopo di prevenire il rischio di eventuali operazioni elusive nella devoluzione libera del patrimonio, dopo le parole: «ad altri enti del Terzo settore» siano aggiunte le seguenti: «costituiti e operanti da almeno tre anni»;
   8. all'articolo 14, comma 5, le parole: «ai sensi dell'articolo 12, comma 5» siano sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell'articolo 15, comma 8»;
   9. all'articolo 17, ove si prevedono norme di coordinamento e transitorie, sia inserita una novella dell'articolo 1 della legge 8 novembre 1991, n. 381, volta a far rientrare fra le attività esercitabili dalle cooperative sociali di tipo a), anche le attività di cui alle lettere a), b), c), d), i), l), m) e p) dell'articolo 2, comma 1, dello schema di decreto in esame;
   10. dopo l'articolo 20, sia aggiunto il seguente: «Articolo 20-bis(Clausola di salvaguardia). 1. Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
  e con le seguenti osservazioni:
   a) all'articolo 1, comma 1, si valuti l'eventualità di sostituire le parole: «favorendo il più ampio coinvolgimento» con le seguenti: «assicurando il più ampio coinvolgimento»;
   b) all'articolo 1, si valuti l'opportunità di prevedere, anche per le associazioni di promozione sociale, la possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale limitatamente allo svolgimento di una delle attività di cui all'articolo 2, con le medesime modalità previste al comma 3 per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti;
   c) all'articolo 3, comma 3, andrebbe valutata l'opportunità di sopprimere la lettera b), con la quale si prevede la possibilità di effettuare erogazioni gratuite a soggetti del Terzo settore non soci;
   d) all'articolo 7, appare opportuno assicurare in modo più chiaro che la maggioranza degli amministratori sia espressione dei soci o associati;
   e) all'articolo 15, comma 3, si valuti l'eventualità di abbassare il numero di duemila imprese sociali aderenti necessario affinché un ente associativo riconosciuto possa essere accreditato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini dell'esercizio dell'attività ispettiva;
   f) all'articolo 16, comma 1, andrebbe presa in considerazione l'eventualità di rendere obbligatorio e non facoltativo il contributo del tre per cento degli utili da Pag. 148destinarsi ai fondi per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali, escludendo da tale obbligo le imprese sociali cooperative, in quanto già assoggettate all'obbligo di cui all'articolo 11, comma 4, della legge n. 59 del 1992;
   g) all'articolo 17, sarebbe opportuno prevedere, fra le norme di coordinamento, anche una modifica dell'articolo 8 della legge 8 novembre 1991, n. 381, con la possibilità di conteggiare nel 70 per cento della base sociale dei consorzi anche le imprese sociali diverse dalle cooperative sociali;
   h) all'articolo 18, commi 3 e 4, si valuti l'opportunità di portare da 3 a 5 gli anni nei quali deve essere mantenuto l'investimento di capitale in un'impresa sociale al fine di usufruire delle previste agevolazioni fiscali;
   i) si valuti l'utilità di sostituire, ovunque ricorrano, le parole: «cooperative sociali» con le seguenti: «cooperative sociali e loro consorzi».

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore. Atto n. 417.

PROPOSTA DI PARERE DELLA RELATRICE

  La XII Commissione,
   esaminato, nelle sedute del 30 maggio, dell'8, del 13, del 20 e del 21 giugno 2017 lo schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore (atto n. 417);
   tenuto conto delle audizioni informali svoltesi presso la medesima Commissione il 5 e il 14 giugno 2017 e preso visione delle memorie scritte depositate dai soggetti auditi nel corso di tali audizioni;
   preso atto che lo schema del decreto legislativo in oggetto dà attuazione alla legge delega – in particolare all'articolo 1, comma 2, lettera b) – disponendo il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito Codice del Terzo settore;
   considerato che tale attività di revisione e riordino è finalizzata alla valorizzazione del contributo del Terzo settore allo sviluppo del Paese e alla sua tenuta sociale, ponendosi la predetta legge delega l'obiettivo di concentrare la tutela e la valorizzazione delle realtà effettivamente meritevoli rispetto al più vasto campo dell'associazionismo attraverso la predisposizione di una normativa volta a favorire tali realtà in termini fiscali e di semplificazione;
   sottolineato come la riforma in oggetto non riguardi la totalità delle realtà presenti nel mondo dell'associazionismo in quanto, oltre alla tutela costituzionale della libertà di associazione, garantita dagli articoli 2 e 18 della Costituzione, rimangono in vigore gli articoli del libro primo, titolo II, del codice civile, che regolano la materia delle associazioni e delle fondazioni. Il Codice riguarda, quindi, gli enti che scelgono di aderire al Terzo settore e di iscriversi al Registro unico nazionale, che è condizione necessaria per l'applicabilità del Codice;
   rilevato, in termini generali, come lo schema di decreto presenti un contenuto complesso, improntato sulla ricerca di un equilibrio tra le esigenze di riforma, da un lato, e il rispetto e la valorizzazione delle tante esperienze positive che esistono allo stato attuale nel Paese, dall'altro;
   evidenziato, tuttavia, come non venga data piena attuazione agli obiettivi posti alla base della legge n. 106 del 2016 soprattutto perché, permanendo la normativa di carattere generale del codice civile, e prevedendo il Codice una serie di nuovi adempimenti burocratici decisamente onerosi, a fronte di vantaggi fiscali in continuità con il passato, una parte dei soggetti interessati potrebbe ritenere più vantaggioso rimanere nell'ambito della normativa dettata dal codice civile. Il fenomeno è particolarmente evidente per le associazioni sportive, per le quali è indubbio che la legge 16 dicembre 1991, n. 398, risulti più vantaggiosa; altrettanto si può ipotizzare per gli enti ecclesiastici;
   osservato che, invece, rimane sostanzialmente non attuata la delega contenuta alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 1 Pag. 150della legge n. 106 del 2016, concernente la revisione del codice civile, per le ragioni che saranno via via puntualizzate nel corso del parere;
   rilevato, per quanto riguarda le singole disposizioni recate dallo schema in esame, che:
   l'articolo 5, nell'elencare le attività di interesse generale, contiene al tempo stesso alcune indicazioni alquanto restrittive, altre invece eccessivamente generiche. Inoltre, alcuni settori risultano assenti ovvero non chiaramente indicati, quali ad esempio la difesa dei consumatori – che non può essere ridotta a rappresentanza economica –, i settori dell'auto-aiuto e della mutualità – nei quali si stanno sperimentando modalità innovative di economia sociale anche grazie alla sharing economy –, la promozione delle politiche di genere, la lotta agli sprechi alimentari (legge n. 66 del 2016), il contrasto alla povertà (legge n. 33 del 2017) e alla povertà educativa, il contrasto al bullismo e al cyberbullismo (legge n. 71 del 2017), le attività connesse all'attuazione della legge n. 112 del 2016, sul cosiddetto «Dopo di noi» (tutte attività, queste ultime, riconducibili a leggi approvate nel corso della presente legislatura, con un apporto rilevante della Commissione Affari sociali);
   le definizioni delle attività di interesse generale sembrano sbilanciate nel senso di riferirsi agli enti erogatori di servizi piuttosto che a quelli di advocacy; inoltre, alcune definizioni sono diverse rispetto a quelle utilizzate nello schema di decreto legislativo in materia di riordino dell'impresa sociale (Atto n. 418);
   appare incomprensibile il restringimento delle prestazioni socio-sanitarie – di cui all'articolo 5, comma 1, lettera c) – alla sola erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), in quanto porterebbe ad escludere attività di carattere solidaristico che non siano ricomprese nei LEA (quale ad esempio quella svolta da un ambulatorio odontoiatrico mobile rivolto alla cure gratuite in favore di persone disagiate, in quanto le cure dentali non sono ricomprese nei LEA); inoltre, l'uso della parola «prestazione « invece di «attività» tiene fuori dal perimetro del Terzo settore enti che storicamente ne fanno parte quali ad esempio quelli che si occupano della donazione gratuita di sangue o di organi (la prestazione, infatti, è la trasfusione, non la donazione);
   la previsione delle attività ricreative e di quelle turistiche di interesse sociale – di cui all'articolo 5, comma 1, lettere i) e k) – sono suscettibili di creare un certo allarme presso le imprese profit che svolgono la propria attività in questi settori data la possibilità di abusi, ciò che induce a volerne precisare meglio l'ambito;
   il riferimento all'agricoltura sociale di cui all'articolo 5, comma 1, lettera s), rischia di generare dubbi interpretativi, in quanto pone rilevanti problemi di coordinamento con il combinato disposto degli articoli 2, comma 1, lettere a), b), c), d), e 5, della legge n. 141 del 2015, sull'agricoltura sociale, ai sensi del quale la possibilità che le attività di agricoltura sociale individuate dalle predette lettere, di tipo imprenditoriale, possano essere svolte in associazione con soggetti non imprenditoriali del Terzo settore, non significa che l'apporto collaborativo di detti enti non imprenditoriali sia inquadrabile nell'ambito dell'agricoltura sociale;
   l'articolo 8, nel prevedere l'obbligo di destinazione del patrimonio degli enti del Terzo settore all'esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, indica una serie di comportamenti potenzialmente elusivi del divieto di distribuzione degli utili in riferimento soprattutto al personale, mentre nulla prevede circa i rischi conseguenti ad altri tipi di comportamenti quali ad esempio la creazione di più enti, emanazione del primo, o il rapporto con gli enti soci;
   la previsione contenuta nella lettera d) del comma 3 dell'articolo 8, in base alla quale si considerano distribuzione di utili le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di mercato, anche a coloro che hanno effettuato Pag. 151erogazioni liberali a favore dell'organizzazione e ai loro parenti fino al terzo grado e affini entro il secondo grado, non sembra poter essere concretamente applicata nei confronti degli enti di dimensioni maggiori a cui verrebbe richiesto di sapere quale relazione intercorre tra un donatore, magari on line, e un utente;
   l'articolo 11 prevede, per le imprese sociali, che l'iscrizione nell'apposita sezione del registro delle imprese soddisfi il requisito dell'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, impedendo in tal modo un controllo adeguato sia sulla dimensione «sociale» che su quella «non lucrativa»; si ritiene che debba comunque permettersi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in sede di verifica e di controllo, di intervenire, anche eventualmente prevedendo la doppia cancellazione;
   all'articolo 12 – e, successivamente, agli articoli 32 e 35 – si impone a tutti gli enti la modifica della ragione sociale, che costituisce un adempimento burocratico costoso e inutile, ritenendosi invece più ragionevole ampliare quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 11, in merito all'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore;
   un'ulteriore misura di semplificazione deriverebbe dalla soppressione dell'articolo 13, comma 3, in quanto non si comprende a che titolo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovrebbe definire una modulistica comune in materia di bilancio quando la materia è regolata da norme civilistiche e, soprattutto, dalle esigenze del fisco;
   sempre per evidenti ragioni di semplificazione, i bilanci di cui all'articolo 14 dovrebbero diventare il «contenitore» di tutte le informazioni richieste in diversi articoli dello schema di decreto e che al suddetto registro, per ragioni di risparmio, dovrebbe essere inviata non più di una comunicazione annuale;
   all'articolo 15, non appare appropriato l'utilizzo di termini quali «registro» o «libri» al posto di «elenco» e «verbale», ciò che suscita preoccupazioni da parte delle associazioni di piccole dimensioni. Occorrerebbe, inoltre, prevedere la gestione informatizzata dei libri sociali obbligatori;
   l'articolo 17 sembra non essere conforme allo spirito della legge delega, di considerare la tutela dello status del volontario e la specificità delle organizzazioni di volontariato – ex articolo 5, comma 1, lettera a), della legge n. 106 del 2016 – in quanto, nella prima parte, si concentra più sugli enti che sui volontari, non distingue tra enti del Terzo settore e la specificità delle organizzazioni di volontariato (ODV), e non riconosce quanto di volontario ci sia nell'impegno per la vita associativa;
   pur ritenendosi apprezzabile l'intento, dello stesso articolo 17, commi 3 e 4, di risolvere l'annosa questione dei rimborsi inserendo un tetto e ponendo in capo al singolo la responsabilità di rendicontare, si osserva tuttavia come, estendendo la possibilità del rimborso al volontario dalle sole ODV a tutti gli enti del Terzo settore, comprese quindi le imprese sociali e le cooperative, il rischio di abusi sia molto alto pur alla presenza del comma 5;
   il comma 6 dell'articolo 17 andrebbe soppresso in quanto non riconosce la connessione esistente tra le attività di volontariato e l'impegno nella vita associativa;
   fra le eccezioni di cui comma 7 dell'articolo 17, andrebbe aggiunto il riferimento alla legge n. 74 del 2001, che riconosce il Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico;
   la distinzione tra volontari occasionali e altri volontari dovrebbe essere tenuta presente nell'articolo 18 al fine di non gravare con oneri amministrativi, prevedendo forme collettive di assicurazione;
   nonostante il Titolo IV rechi: «Delle associazioni e delle fondazioni del Terzo settore», alle fondazioni non è dedicato specificamente alcun articolo; sono, infatti, considerate solo quelle le fondazioni filantropiche, Pag. 152che costituiscono tuttavia solo una parte delle fondazioni, che rimangono, pertanto, sostanzialmente regolate – salvo che per l'acquisizione della personalità giuridica – dal codice civile, e tale scelta potrebbe causare in futuro notevole problemi interpretativi;
   gli articoli 21 e seguenti, che regolano in maniera eccessivamente puntuale l'organizzazione e la vita democratica degli enti del Terzo settore e non prevedono sostanziali distinzioni tra associazioni riconosciute e non riconosciute, parrebbero in contrasto con l'articolo 2 della legge delega, diretto a riconoscere l'autonomia statutaria degli enti e a semplificare la normativa vigente;
   all'articolo 30, dovrebbero essere richiamati i parametri di cui all'articolo 31 per quanto riguarda i limiti al di sopra dei quali deve essere nominato un organo di controllo, al fine di non penalizzare gli enti del Terzo settore rispetto alle società profit quali ad esempio le società a responsabilità limitata;
   l'articolo 32, dedicato alle organizzazioni di volontariato, suscita perplessità sotto diversi profili, in primis con riferimento alla conformità rispetto all'articolo 5 della legge n. 106 del 2016, per cui si ritiene preferibile riprendere la definizione delle organizzazioni di volontariato recata dall'articolo 3 della legge n. 266 del 1991, considerata più chiara e più «valoriale» di quella meramente matematica proposta dal testo in esame;
   l'articolo 32, inoltre, sembra non tenere presente che, a differenza dalle APS, le ODV sono costituite prevalentemente da soci volontari; pertanto, la natura stessa dell'ODV determina che il controllo dell'organizzazione sia nelle mani dei soci volontari. Diversi soggetti auditi hanno chiesto la soppressione del comma 2 o, almeno, che possano essere soci enti no profit, potendosi così considerare anche gli enti religiosi;
   condivisibile all'articolo 32 il riconoscimento della specificità dell'organizzazione della protezione civile, altrettanta attenzione andrebbe data alle regole regionali quando impongano criteri di accreditamento delle ODV;
   con riferimento all'articolo 33, in tema di risorse con cui gli enti del Terzo settore svolgono la propria attività, si evidenzia una distonia tra la previsione del comma 2, che prevede la possibilità di ricevere contributi, anche pubblici, e quella del comma 3, ai sensi della quale essi possono ricevere dai beneficiari e dai terzi, compresi gli enti pubblici, solo il rimborso spese. Si ritiene che tale distonia vada risolta, che tale previsione vada meglio coordinata con quelle degli articoli 56, in tema di convenzioni, e 84, in tema di attività commerciale, e che vada mantenuto il precedente divieto di accettare soldi dai beneficiari;
   l'articolo 33 suscita, inoltre, perplessità nella parte in cui dispone che il numero dei lavoratori impiegati nell'attività delle ODV non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari, laddove la legge n. 266 del 1991 assumeva come parametro quello dei «limiti necessari al loro funzionamento oppure occorrenti a specializzare e qualificare l'attività svolta»;
   in generale per il volontariato sarebbe opportuno il ripristino dell'articolo 17 della legge 266 che consentiva di riconoscere la possibilità all'interno dei contratti di lavoro di flessibilità per favorire la partecipazione alle attività;
   l'articolo 35, nel definire le associazioni di promozione sociale (APS), le assimila sostanzialmente alle ODV, non evidenziandone la caratteristica principale – ovvero la dimensione mutualistica piuttosto che solidaristica, a differenza delle ODV, oltre ad escludere ingiustificatamente, tra le attività, il commercio equo e solidale, mentre include in maniera altrettanto ingiustificata gli ambiti della formazione universitaria e della ricerca e, al comma 3, pone un limite che risulta problematico, soprattutto per le associazioni sportive;Pag. 153
   l'articolo 36 la cui rubrica è «risorse» concentra esclusivamente sul tema del personale e ci si chiede con quali risorse le APS potranno attivarsi, nulla viene poi previsto per contrastare il fenomeno delle associazioni in ambito ricreativo nelle quali a volte la dimensione di socio è limitata a una serata;
   l'articolo 41, concernente le reti associative sembra trascurare la rappresentanza settoriale, che si riferisce agli enti aventi interessi comuni, negli stessi ambiti di attività, soprattutto per quanto riguarda l'interlocuzione con i ministeri competenti;
   gli articoli compresi tra il 46 e il 54, concernenti il registro unico nazionale del Terzo settore, presuppongono la massima condivisione con le regioni, alle quali spetta la gestione operativa del registro, al fine di evitare il moltiplicarsi di regole non omogenee. Si rileva, inoltre, che tali articoli prevedono un numero eccessivo di comunicazioni al registro, che rischiano di tradursi in oneri particolarmente gravosi per gli enti del Terzo settore, mentre si ritiene che, a seguito dell'iscrizione, tutte le informazioni richieste dovrebbero essere contenute nel bilancio o nel rendiconto, se di natura economica, ovvero nel bilancio sociale o nella relazione prevista dall'articolo 13 se di altra natura, in modo che gli obblighi si riducano a un solo invio annuale;
   le disposizioni recate dalle disposizioni comprese nel Titolo VII, che regolano i rapporti tra enti del Terzo settore ed enti pubblici (articoli da 55 a 57), sembrano complessivamente condivisibili, considerato che tali disposizioni non possono che muoversi entro i limiti posti dalla normativa europea e dal recente Codice degli appalti. Si ritiene necessario, tuttavia, prevedere, almeno per le materie richiamate dall'articolo 117 della Costituzione, il rispetto della normativa regionale, in particolare quando questa preveda forme di accreditamento degli enti del Terzo settore;
   appaiono problematiche, in termini generali, le disposizioni recate dal capo II del Titolo VIII (articoli da 58 a 76), dedicato ai Centri di servizio del volontariato, alla luce dei principi posti dall'articolo 5 della legge n. 106 del 2016 quali: la democraticità delle associazioni a cui fanno capo i centri e, di conseguenza, della loro federazione, il controllo sui centri affidati agli organismi regionali tra di loro coordinati sul piano nazionale, l'efficientamento del sistema, al fine di far fronte alla riduzione delle risorse. Lo schema di decreto in esame, invece, prevede: la costituzione di una fondazione nazionale per la gestione a livello nazionale delle risorse e del controllo, spostando così sul livello nazionale funzioni esplicitamente assegnate a livello regionale; accorpamenti tra regioni; il ruolo subordinato ed esecutivo dei Centri, che sono pur sempre associazioni di associazioni;
   in particolare, all'articolo 61 si confondono i limiti posti dalla legge all'attività dei Centri di servizio per il volontariato con il contenuto dello statuto, rispetto al quale ad ogni associazione dovrebbe essere riconosciuto un certo margine di libertà;
   in base al comma 2 dell'articolo 61, sono assegnate all'organismo nazionale (ONC) funzioni che l'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge 106, assegna agli organismi regionali (OTC);
   all'articolo 71, non si comprende la ragione dell'utilizzo dell'espressione: «purché non di tipo produttivo»;
   considerato, inoltre, il parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza speciale del 31 maggio 2017;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   provveda il Governo a:
    1) all'articolo 5, apportare le seguenti modifiche:
     I. alla lettera a), sia inserito un riferimento anche alle leggi n. 104 del 1992 («Integrazione sociale e diritti delle Pag. 154persone handicappate»), n. 112 del 2016 (cosiddetto «Dopo di noi»), n. 33 del 2017 («Contrasto della povertà»), nonché alla legislazione regionale prodotta in materia;
     II. alla lettera b), sia sostituita la parola: «prestazioni» con la seguente: «interventi» e siano soppresse le parole: «riconducibili ai Livelli Essenziali di Assistenza»;
     III. alla lettera c), aggiungere, in fine, le seguenti parole: «e la normativa regionale di riferimento»;
     IV. alla lettera e), alla parola: «servizi» siano premesse le seguenti: «attività e» e, alla fine della lettera, siano aggiunte le parole: «nonché alla lotta allo spreco alimentare e alla promozione della donazione e alla distribuzione a fini di solidarietà sociale ai sensi della legge 19 agosto 2016, n. 166»;
     V. alla lettera i), dopo le parole: «ricreative di interesse sociale» siano aggiunte le seguenti: «per finalità, utenza e contesto sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato, del dono, dell'associazionismo, dell'imprenditorialità sociale, del consumo responsabile e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo»;
     VI. sia sostituita la lettera l) con la seguente: «l) formazione extra scolastica di carattere formale e informale, finalizzata alla lotta alla dispersione scolastica, alla prevenzione del bullismo e del cyberbullismo e al contrasto della povertà educativa, nonché formazione professionale realizzata da enti accreditati dalle regioni, finalizzata al rilascio di qualificazioni professionali»;
     VII. sia sostituita la lettera o) con la seguente: «attività commerciali, produttive, di educazione e di informazione, di promozione, di rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell'ambito o a favore delle filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un'area economica svantaggiata situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a consentire, accompagnare e migliorare l'accesso del produttore al mercato, attraverso il dialogo, la trasparenza, il rispetto e la solidarietà, e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l'obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere loro di condurre un'esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile»;
     VIII. alla lettera w), siano aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, promozione delle politiche di genere e tutela dei consumatori»;
     IX. alla lettera z), siano premesse le seguenti parole: «promozione della cultura della legalità e»;
     X. dopo la lettera z), sia aggiunta la seguente: «aa) sostegno e promozione di scambio e di aiuto reciproco anche attraverso le associazioni denominate «banche dei tempi», ai sensi dell'articolo 27 della legge 8 marzo 2000, n. 53»;
    2) all'articolo 6, sostituire la parole: «e strumentali» con le seguenti: «o strumentali» e aggiungere, in fine, le parole: «, comprensive dell'impegno gratuito e volontario»;
    3) all'articolo 8 apportare le seguenti modifiche:
     I. al comma 3, lettera a), siano sostituite le parole: «che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni, ed in ogni caso superiori a euro ottantamila annui» con le seguenti: «che operano nei medesimi settori o di analoga dimensione economica»;
     II. al medesimo comma 3, sia soppressa d), in quanto concretamente inapplicabile;
    4) all'articolo 16, omogenizzare i parametri con quelli dell'impresa sociale e, Pag. 155quindi, modificare il rapporto della differenza retributiva tra lavoratori dipendenti e dirigenti da uno a sei a uno a otto;
    5) all'articolo 17, sostituire i commi 1 e 2 con i seguenti: «1. Il volontario è colui che per sua libera scelta svolge attività a favore della comunità e del bene comune per fini di solidarietà anche per il tramite di un ente del Terzo settore mettendo a disposizione, in modo gratuito e senza fini di lucro, anche indiretto, il proprio tempo, le proprie capacità relazionali e professionali. 2. Gli enti del terzo settore possono avvalersi, salvo quanto previsto per le organizzazioni di volontariato dagli articoli 32 e 33, di volontari nello svolgimento delle proprie attività, e anche ai fini di quanto previsto all'articolo 18 tengono apposito elenco dei volontari che prestano la propria opera con continuità».;
    6) all'articolo 17, sopprimere il comma 6;
    7) al comma 7 dell'articolo 17, aggiungere il riferimento alla legge n. 74 del 2001, che riconosce il Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico;
    8) sopprimere, all'articolo 21, comma 1, le parole: «sedi secondarie»;
    9) prevedere, all'articolo 22, un termine massimo entro il quale il registro deve pronunciarsi, scaduto il quale deve valere il principio generale del silenzio assenso;
    10) all'articolo 25, sostituire il comma 2 con il seguente: «2. Le disposizioni di cui agli articoli 24 commi 1, 2 e 3, e 25, non si applicano alle reti associative di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 41; in ogni caso gli atti costitutivi o gli statuti devono rispettare il principio di democraticità, di elettività delle cariche sociali, e devono prevedere gli obblighi degli associati»;
    11) all'articolo 32, sostituire il comma 1 con il seguente: «Le organizzazioni di volontariato sono enti del Terzo settore liberamente costituiti per il raggiungimento di scopi solidaristici, avvalendosi in modo prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. Sono costituiti in forma di associazione riconosciuta o non riconosciuta con almeno sette associati volontari o tre organizzazioni di volontariato, e svolgono una o più delle attività di cui all'articolo 5. Conseguentemente, al medesimo articolo 32, sopprimere il comma 3»;
    12) al medesimo articolo 32, comma 2, prevedere la possibilità che ci siano anche soci non volontari;
    13) all'articolo 33, comma 2, dopo le parole: «raccolta fondi» aggiungere le seguenti: «e attività commerciali marginali di cui agli articoli 6 e 84»; al medesimo comma, sopprimere il riferimento al comma 4 dello stesso articolo, in quanto l'articolo 33 contiene solo 3 commi;
    14) all'articolo 35, comma 3, sostituire le parole: «enti del Terzo settore» con le seguenti: «enti non profit»;
    15) all'articolo 39, concernente il bilancio sociale degli enti filantropici, dopo la parola: «importi» aggiungere le seguenti: «, nonché i beneficiari diversi dalle persone fisiche»;
    16) sostituire il comma 1 dell'articolo 41 nei seguenti termini: «Le reti associative sono enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, che svolgono, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informativi idonei a garantire conoscibilità e trasparenza in favore del pubblico e dei propri associati, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Sono reti associative: a) le reti settoriali che associano almeno 20 enti del Terzo settore che esercitano la stessa attività di interesse generale in almeno cinque regioni; b) le reti associative nazionali che associano, anche indirettamente, attraverso gli enti Pag. 156ad esse aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore o, in alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno dieci regioni o province autonome; c) le associazioni singole o aggregate con oltre centomila associati persone fisiche e con proprie sedi operative in almeno dieci regioni o province autonome»;
    17) all'articolo 50, comma 3, sopprimere l'obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di modifica della sezione di appartenenza al Registro;
    18) all'articolo 53, sopprimere il rinvio a leggi regionali, che sembrerebbe tradursi in un inutile appesantimento, anche perché in ogni caso spetta alle regioni decidere lo strumento;
    19) all'articolo 56, prevedere che le regole imposte dai commi 2 e seguenti si applicano alle convenzioni firmate dopo la pubblicazione del presente decreto;
    20) all'articolo 57, dopo le parole: «rete associativa di cui all'articolo 41» aggiungere le seguenti: «o accreditati sulla base delle normative regionali»;
    21) all'articolo 60, lettere a) e b), sopprimere le parole. «ove richiesto» con riferimento agli atti da sottoporre al parere, peraltro non vincolante, del Consiglio nazionale»;
    22) trasferire in una disposizione ad hoc il contenuto dell'articolo 61, comma 1, lettere b), c), k), l), in quanto attengono a limiti posti dalla legge e non si riferiscono, quindi alla statuto;
    23) riportare la decisione sul numero dei CSV e la loro collocazione agli OTC, come previsto dall'articolo 5 della legge n. 106 del 2016, sulla base dei criteri indicati dall'ONC, e coordinare tale disposizione con l'articolo 64, comma 5, lettera c), e, sempre per un'esigenza di coordinamento, sopprimere il comma 2 dell'articolo 61;
    24) disciplinare le competenze dell'associazione dei CSV più rappresentativa, di cui al comma 7 dell'articolo 62, in modo analogo a quanto previsto per i CSV, in particolare in tema di democrazia interna, incompatibilità e limiti dei mandati;
    25) sostituire il comma 2 dell'articolo 65 con il seguente: «Gli OTC sono costituiti in ciascuna regione e provincia autonoma, fatta salva la possibilità di accorpamenti in ragione della dimensione dell'area territoriale di riferimento». Conseguentemente, al medesimo articolo, comma 3, sostituire la lettera d) con la seguente: «un membro per ogni regioni per ciascuna OTC, designato dalle regioni e/o dalle province autonome del territorio di riferimento;
    26) prevedere il pieno utilizzo dei 170 milioni di stanziamento, ripartendo le risorse tra il Servizio civile, il Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel Terzo settore di cui all'articolo 72 e la copertura delle disposizioni di cui all'articolo 73 del provvedimento in oggetto, evitando così l'ulteriore riduzione del Fondo per le politiche sociali, nonché il sostegno alle attività di registrazione, vigilanza e controllo;
    27) all'articolo 99, indicare con il numero «2.» il comma attualmente indicato con il numero «4.»;
    28) dopo l'articolo 103, aggiungere il seguente: «Articolo 103-bis(Clausola di salvaguardia). 1. Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

  e con le seguenti osservazioni:
   valuti il Governo l'opportunità di:
    a) all'articolo 1, comma 1, sopprimere le parole: «secondo comma», con riferimento al richiamo all'articolo 3 della Costituzione, per un maggiore coordinamento con la legge n. 106 del 2016;Pag. 157
    b) all'articolo 8, comma 3, sia soppressa la lettera b);
    c) agli articoli 11 e 12 prevedere, in luogo del cambio di denominazione sociale, l'inserimento dell'indicazione «ETS iscritto nel registro unico nazionale del Terzo settore» nelle comunicazioni che spettano all'ente;
    d) all'articolo 11, comma 2, introdurre la possibilità dell'iscrizione al registro delle imprese degli enti che svolgano attività commerciale secondaria se esercitano la propria attività in regime di partita IVA;
    e) all'articolo 11, comma 3, predisporre misure volte a garantire l'effettiva corrispondenza dell'impresa sociale ai requisiti del Terzo settore in merito alle loro finalità e operatività nonché a garantire che le imprese sociali non si sottraggano alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
    f) all'articolo 12, prevedere un periodo di dodici mesi al fine di dare agli enti del Terzo settore la possibilità di adeguarsi alle norme sulla denominazione sociale;
    g) all'articolo 15, prevedere il ricorso a strumenti informatici;
    h) all'articolo 16, coordinare il rapporto previsto in merito alla differenza retributiva con quanto previsto nello schema di decreto legislativo in materia di riordino dell'impresa sociale (Atto n. 418);
    i) all'articolo 16, inserire, dopo il comma 2, il seguente: «Negli statuti degli enti del Terzo settore sono previste forme di coinvolgimento dei lavoratori, dei volontari non soci e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività adeguata al tipo di attività di interesse generale e alla grandezza dell'ente», considerato che negli enti del Terzo settore il coinvolgimento degli stakeholders e dei lavoratori non può essere considerato marginale;
    j) all'articolo 17, verificare la possibilità di non applicare il divieto di cui al comma 5 ai volontari che svolgano la propria attività in modo occasionale;
    k) all'articolo 18, prevedere espressamente la possibilità di stipulare una polizza collettiva per le manifestazioni o iniziative pubbliche a copertura per i volontari occasionali, intendendosi quelli che partecipano solo alla manifestazione o iniziativa o il cui impegno è stato di un solo giorno in un semestre;
    l) all'articolo 19, valutare se riconoscere e regolamentare l'utilizzo da parte dei comuni e delle scuole di volontari civici individuali e occasionali, prevedendo che ci sia un apposito regolamento e il rispetto l'obbligo previsto all'articolo 18;
    m) all'interno del Titolo IV, introdurre un nuovo articolo che riguardi solo le fondazioni, estrapolando le disposizioni riferite alle fondazioni dagli articoli che le riguardano, al fine di rendere più agevole la lettura del testo e di facilitarne l'interpretazione;
    n) all'articolo 22, comma 2, dopo le parole «iscrive l'ente nel registro stesso», aggiungere le seguenti: «Se nel termine di trenta giorni dal deposito dell'atto l'ufficio non comunica ai richiedenti il motivato diniego ovvero non chiede di integrare la documentazione, l'ente si considera iscritto» e al comma 3 sostituire la parola «negata» con le parole «accolta e l'ente si considera iscritto al registro;
    o) all'articolo 24, distinguere, almeno al comma 3, le regole per enti composti solo da persone fisiche da quelli composti anche da altri enti;
    p) all'articolo 30, innalzare le soglie in conformità a quelle individuare nel successivo articolo 31, onde non penalizzare gli enti del Terzo settore rispetto alle società profit;
    q) all'articolo 33, comma 1, verificare la congruità del limite del 20 per cento di dipendenti rispetto alla normativa precedente;Pag. 158
    r) all'articolo 33, chiarire la differenza tra ricevere contributi da enti pubblici, prevista al comma 2 dell'articolo 33, e il mero rimborso, previsto dal successivo comma 3;
    s) all'articolo 36, verificare la congruità del limite del 20 per cento di dipendenti rispetto alla normativa precedente, tenuto conto della diversa natura delle APS rispetto alle ODV, nonché l'opportunità di indicare quali siano le fonti di finanziamento delle APS;
    t) all'articolo 47, comma 1, dopo le parole «dall'articolo 22» aggiungere le seguenti «per gli enti con personalità giuridica»;
    u) all'articolo 48, comma 1, aggiungere le parole: «laddove le suddette informazioni non siano già in possesso dell'amministrazione finanziaria», nonché prevedere, al comma 3, che, per esigenze di semplificazione, i dati relativi ai contribuiti pubblici percepiti e i rendiconti della raccolta fondi siano inserite nei bilanci di cui all'articolo 13 e 14;
    v) all'articolo 48, comma 4, collegare la cancellazione dal Registro a ripetute violazioni dell'obbligo di deposito degli atti e dei loro aggiornamenti;
    w) all'articolo 49, considerare il caso in cui la cancellazione dal Registro derivi da una libera scelta, non motivata, e non solo, quindi, dal verificarsi di una delle cause di estinzione o scioglimento dell'ente;
    x) all'articolo 59, rivedere la composizione del Consiglio nazionale del Terzo settore, che si compone di soli 18 rappresentanti, laddove tale organo sarebbe rappresentativo di 300.000 soggetti circa;
    y) all'articolo 64, valutare se mantenere la scelta della fondazione con riferimento all'Organismo nazionale di controllo ovvero se – come si ritiene preferibile – optare per una soluzione diversa (ad esempio un'associazione con personalità giuridica), attribuendo all'ONC compiti di coordinamento anziché di controllo e prevedendo, per quanto riguarda la composizione, una maggiore presenza della rappresentanza «pubblica», anche tenuto conto del finanziamento previsto tramite credito di imposta, accogliendo la richiesta delle regioni di avere un loro rappresentante;
    z) sempre con riferimento all'articolo 64, riconsiderare la presenza, nell'ambito della composizione dell'organo, di due rappresentanti dei CSV, dal momento che l'ONC è chiamato a valutare i CSV, ritenendosi preferibile la previsione di due rappresentanti da parte del Consiglio nazionale del terzo settore, di cui uno espressione del volontariato;
    aa) rivedere l'impianto stesso dell'articolo 65, che sembrerebbe non conforme al dettato dell'articolo 5, lettera f), della legge n. 106 del 2016, che parla chiaramente di «organismi», mentre tale non può essere considerato un ufficio territoriale periferico, né si comprende come possa in tale veste dotarsi di un proprio regolamento, sia pure soggetto a verifica;
    bb) all'articolo 71, comma 1, sopprimere le parole: «purché non di tipo produttivo»;
    cc) all'articolo 95, comma 4, chiarire chi sia l'oggetto della verifica e quale interlocuzione ci sia con gli uffici regionali;
    dd) all'articolo 99, completare il percorso delineato dal decreto n. 178 del 2012 e posto in capo al Ministero della salute, anche prevedendo l'effettivo subentro dell'Associazione della Croce rossa italiana nei rapporti attivi e passivi, nonché nella piena disponibilità e proprietà del patrimonio mobiliare ed immobiliare posto in capo all'ente strumentale alla Croce rossa italiana, del quale, pertanto, è necessario si concluda in modo sollecito, anche a tutela della certezza dei rapporti giuridici in essere con i terzi, il processo liquidatorio avviato dal decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, e tuttora non Pag. 159concluso a causa della complessità di un quadro normativo di difficile interpretazione e applicazione;
    ee) aggiungere la previsione per cui i decreti di cui agli articoli 6, comma 1, 7, comma 2, 13, comma 3, 14, comma 1, 18, comma 2, 19, comma 2, 46, comma 3, 47, comma 5, 53, comma 1, 59, comma 3, 62, comma 6, 54, comma 1, 64, comma 3, 65, comma 4, 76, comma 4, 77, comma 15, 81, comma 7, 83, comma 2, 92, comma 5, e 96, comma 1 del presente decreto, ove non diversamente disposto, sono emanati entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto.

Pag. 160

ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore. Atto n. 417.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI NESCI, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, BARONI

  La XII Commissione,
   premesso che:
   lo schema di decreto legislativo all'esame è attuativo dell'articolo 1, comma 2, lettera b) della legge delega che ha previsto il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti sul Terzo settore, ivi inclusa la disciplina tributaria, mediante la redazione di un apposito Codice del terzo settore;
   il provvedimento all'esame è estremamente complesso con notevoli implicazioni di natura fiscale, tributaria, civilistica e bancaria; è un provvedimento che interessa uno dei settori più dinamici dell'economia nazionale, più di 300 mila organizzazioni, circa 1 milione di addetti/lavoratori e oltre 5mila lavoratori temporanei e che, considerato l'indotto, coinvolge circa 10 milioni di persone, con un volume di entrate che supera i 60 miliardi di euro l'anno. A fronte di tale complessità, sia la platea degli enti e delle associazioni interessate, sia il M5S, hanno chiesto, purtroppo senza successo, una proroga del termine per l'espressione dei pareri. A tale comprensibile richiesta, il Governo ha opposto, senza valide motivazioni, una tempistica stringente ed improrogabile che appare a tutti gli effetti uno sgarbo istituzionale: ciò anche in quanto – pur prevedendo la legge delega che i decreti delegati siano presentati alle Camere entro il quarantacinquesimo giorno antecedente il termine previsto per l'esercizio della delega, che scade il 3 luglio prossimo – il Governo ha presentato il decreto all'esame di questa camera esattamente 45 giorni prima;
   il provvedimento all'esame non si limita a riordinare gli enti del terzo settore ma di fatto si presta ad una progressiva ed inesorabile modifica del codice genetico del nostro welfare, traghettando, nel nostro paese, un modello di finanziarizzazione e privatizzazione dei servizi sociali, assistenziali, sanitari e socio sanitari, nonché dei servizi culturali e formativi, che deriva da esperienze anglosassoni (Regno Unito e Stati Uniti), quale risposta alla imponente crisi finanziaria e bancaria e alla esiguità delle risorse pubbliche, sempre più insufficienti a rispondere alle esigenze sociali e sanitarie dei cittadini. Sul punto sopra accennato, si ribadisce con forza la contrarietà del M5S ad un modello di welfare che non garantisca pienamente l'uniformità delle prestazioni e l'uguaglianza di trattamento di tutte le persone, collettività e territori;
   l'apertura al contributo dei privati non può in nessun caso, nemmeno per assuefazione, sostituirsi all'impegno dello stato e degli enti territoriali nella tutela di bisogni fondamentali quali la salute, l'istruzione, la sicurezza, solo per citarne alcuni. Il ruolo del terzo settore in comparti delicati come questi deve conservare, invece, la logica della sussidiarietà: l'azione dei privati deve, dunque, accompagnare, fortificare ad amplificare quella del pubblico ma non sostituirsi ad essa; in tale Pag. 161contesto all'articolo 2 dove s'introducono i principi della valorizzazione degli enti del terzo settore, dell'associazionismo, della volontariato, appare strumentale il richiamo alla valorizzazione della «cultura e pratica del dono» che, contestualizzato nel provvedimento all'esame, non richiama alla mente un principio di per sé nobile ed altruistico, quanto piuttosto il crowndfoundig applicato alla finanza sociale;
   considerato che:
    all'articolo 3, dove si indicano i soggetti cui si applicano le norme del Codice, se ne esclude (giustamente) l'applicabilità alle fondazioni bancarie «fatta eccezione per la parte in cui si disciplinano i centri di servizio per il volontariato»; al riguardo appare opportuno verificare se tale eccezione sia compatibile con quanto previsto nella legge delega nella misura in cui dal complesso del provvedimento si evince che proprio le Fondazioni bancarie avranno un ruolo di dominus nell'ambito dell'associazionismo e del volontariato;
    in tema di qualifica di ente del terzo settore, sarebbe stato opportuno stabilire, con chiarezza, che essa non dipende solo dalle finalità e dalle attività enunciate negli atti costitutivi e negli statuti e dall'iscrizione al Registro unico (articolo 4), ma anche – come previsto dalla legge di delega – dalle attività effettivamente svolte, intese – quest'ultime – come elemento genuinamente qualificante degli enti, da esercitarsi in coerenza con le disposizioni e i principi dei rispettivi statuti o atti costitutivi;
    in riferimento all'esclusione, dal terzo settore, di quegli enti che discendono da amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati, appare fortemente critico che si faccia riferimento solo «agli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati da tali enti», tenuto conto che tale precisazione non è sufficiente ad evitare comportamenti elusivi finalizzati ad esercitare forme di controllo «indiretto». In tale prospettiva, sarebbe stato salutare escludere del terzo settore anche tutti quegli enti che siano stati creati o istituiti o che abbiano qualsiasi forma di collegamento, diretto o indiretto, con amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati;
    reca non poche perplessità l'elenco delle attività d'interesse generale (articolo 5) per la massiva presenza, in esso, di attività di precipuo interesse pubblico e costituzionalmente garantite, quali, ad esempio, le prestazioni sanitarie inserite nei LEA e le prestazioni socio-sanitarie essenziali, l'ambiente, il patrimonio culturale, l'educazione, l'istruzione e la formazione, la formazione universitaria, la ricerca scientifica, le attività culturali, la riqualificazione dei beni pubblici o dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Non appare condivisibile che l'attribuzione di tali attività avvenga senza far riferimento al principio informatore della sussidiarietà, soprattutto alla luce delle disposizioni successive del provvedimento all'esame, che rivelano un progetto complessivo di finanziarizzazione del sistema di welfare; appare dunque opportuno chiarire in riferimento all'elencazione delle attività d'interesse generale che tali attività siano svolte compatibilmente con gli enunciati della Costituzione;
    parimenti, altrettanti dubbi desta l'inclusione – tra le attività d'interesse generale – di talune che, ad onor del vero, si pongono al limite con quelle tipiche dell'iniziativa economica di mercato, come ad esempio attività di carattere residenziale temporanee o di erogazione di denaro, beni e servizi a sostegno di attività di interesse generale. Ad ogni buon conto sarebbe stato necessario correlare tutte le attività di interesse generale al simmetrico soddisfacimento di finalità di solidarietà sociale. Ciò in quanto lo svolgimento in sé di attività di interesse generale non è criterio sufficiente per qualificare un ente del terzo settore se tale erogazione non è supportata da un autentico e genuino sforzo altruistico, ferma restando, in ogni caso lo spirito di collaborazione sussidiaria con la Pubblica Amministrazione;Pag. 162
    si consente agli enti del Terzo settore di svolgere attività diverse da quelle di interesse generale (articolo 6) senza che siano indicati criteri e principi direttivi che circostanzino, già nel provvedimento all'esame, gli elementi qualitativi o quantitativi per svolgere tali ulteriori attività, indicando ad esempio percentuali ammissibili in rapporto all'attività principale. Il rinvio a norme di grado inferiore, per la disciplina dei suddetti criteri e limiti risulta inaccettabile;
    parimenti, il rinvio a successive linee guida per definire le modalità dell'attività di raccolta fondi (articolo 7) sembra configurarsi come un'ulteriore delega surrettizia, al di fuori del perimetro definito dalla legge delega, che, laddove mantenuto, dovrebbe essere meglio accompagnato da criteri e principi direttivi che circostanzino, già nel provvedimento, gli elementi qualitativi o quantitativi che consentano di svolgere tale attività di raccolta fondi, indicando ad esempio che esse debbano risultare strumentali all'attività principale, nonché soggette a sistemi di pubblicazione e rendicontazione «on line» ispirate a principi di trasparenza e rispetto dello spirito e delle finalità dei soggetti donanti;
    in relazione all'assenza di scopo di lucro, dove si indicano alcune casistiche da considerarsi in ogni caso distribuzione indiretta, la corresponsione di emolumenti ad amministratori, sindaci, viene proditoriamente innalzata fino ad 80 mila euro, ossia in misura pressoché doppia rispetto al limite vigente di circa 42 mila euro (corrispondente al compenso massimo previsto per il presidente del collegio sindacale delle SpA) e ugualmente sono consentiti, anche oltre il limite del 20 per cento – rispetto ai minimi sindacali prescritti dalla contrattazione collettiva – le retribuzioni riservate ai lavoratori con specifiche competenze per lo svolgimento delle prestazioni sanitarie, per la formazione universitaria e post-universitaria e per la ricerca scientifica. Con riferimento a tale ultimo punto v’è da osservare che la norma è scritta in maniera così controversa da risultare, allo stesso tempo, inefficace nel sanzionare taluni casi eclatanti di distribuzione indiretta degli utili e burocraticamente oppressiva nei confronti degli enti che necessitano realmente di acquisire professionalità di alto profilo: in sintesi, un caso paradigmatico di inefficienza allocativa. La disposizione avrebbe dovuto prevedere, in linea con i precedenti già sperimentati (cfr. Legge 383 del 2000 in materia di associazionismo di promozione sociale) il divieto di procedere ad assunzioni per lavoro dipendente, parasubordinato e autonomo, se non per reali e comprovate necessità dell'ente stesso, da misurarsi in rapporto al conseguimento delle finalità istituzionali e dell'attività principale di interesse generale, secondo un principio sostanziale che vale per tutti gli enti del terzo settore e per tutti lavoratori da essi impiegati, a prescindere dalla natura formale dell'inquadramento, delle mansioni, del livello e della qualifica di assunzione. Fermo restando che costituisce distribuzione indiretta di utili anche l'artificiosa collocazione dei lavoratori a qualifiche o livelli superiori alle mansioni effettivamente svolte, sarebbe stato opportuno conservare la possibilità – seppure in casi eccezionali e adeguatamente comprovati – di corrispondere stipendi superiori anche del venti per cento ai minimi sindacali a tutti gli enti che necessitano realmente di professionalità più elevate e non solo a quelli menzionati dalla norma, che sul punto sconfina in profili di dubbia costituzionalità;
    sempre in tema di fattispecie identificative della distribuzione indiretta di utili sorprende che il provvedimento non consideri tali anche le donazioni o erogazioni in denaro che un ente del terzo settore fa ad un altro ente del terzo settore soprattutto se di importi significativi (rispetto al patrimonio netto dell'ente) e se sistematiche o ricorrenti;
    si consente agli enti del Terzo settore di assicurare prestazioni sanitarie o formative o di ricerca a condizioni di mercato sicuramente alterate talché, ad esempio, come si verifica già usualmente, Pag. 163nelle diverse strutture sanitarie ci saranno medesimi professionisti che svolgono lo stesso lavoro ma pagati differentemente a seconda se siano dipendenti della struttura o dipendenti di una associazione di volontariato convenzionata; infine appare critica, per l'implicita e possibile alterazione del mercato, in riferimento al divieto di cessione di beni e servizi, la precisazione che fa salva (quindi consente) la cessione o prestazione, anche a condizioni inferiori al loro valore normale di beni o servizi, laddove riguardi l'attiva d'interesse generale;
    la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento degli enti del terzo settore, ai sensi dell'articolo 9, è effettuata, in mancanza di diversa disposizione, alla Fondazione Italia Sociale; a riguardo si esprime netta contrarietà su tale disposizione poiché sembra di fatto «forzare» la devoluzione verso la Fondazione Italia sociale, istituita dalla medesima legge delega e il cui statuto, di recente approvazione, la definisce una fondazione di natura giuridica privata. È chiaro che tale disposizione presenta profili di dubbia legittimità sia perché non contemplata dalla legge delega e sia perché sembra configurarsi come un indebito aiuto di Stato verso una specifica Fondazione (che tra l'altro ha già ricevuto una dotazione iniziale di 1 milione di euro); il silenzio che legittima l'atto di devoluzione comporterà che tanti e numerosi enti (soprattutto quelli che non avranno i requisiti per essere iscritti nel registro unico nazionale) vedranno trasferire il loro patrimonio alla Fondazione Italia sociale; inoltre tale disposizione deve essere coordinata con quanto previsto ai successivi articoli 49 e 50 laddove si disciplina l'estinzione o lo scioglimento (anche d'ufficio) dell'ente nonché la cancellazione dal Registro unico ove si prevede che l'ente cancellato per mancanza dei requisiti e che vuole continuare ad operare ai sensi del codice civile deve devolvere il patrimonio proprio in base alla disposizione che per l'appunto prevede anche la devoluzione del patrimonio, in mancanza di altre disposizioni, alla Fondazione Italia Sociale; la disposizione, si ribadisce, presenta forti profili di legittimità ed esula dalla legge delega;
    si esprimono perplessità anche in relazione all'articolo 10 che consente agli enti del Terzo settore dotati di costituire patrimoni con destinazione specifica (separati quindi dalla parte restante del patrimonio), possibilità oggi consentita solo alle società per azioni. Profili di criticità, in particolare, si manifestano circa il rischio che una simile disposizione consenta la sottrazione di quote di patrimonio (alla cui costituzione contribuiscono spesso le provvidenze fiscali) alla destinazione istituzionale stabilita negli statuti o atti costitutivi;
    l'articolo 11, relativo all'iscrizione degli enti del Terzo settore nel Registro unico nazionale, andrebbe meglio chiarito laddove sembra più delineare una prescrizione atta a definire il requisito di ente del terzo settore e non appare condivisibile l'eccezione che esenta le imprese sociali dall'iscrizione al Registro unico nazionale tenuto conto che proprio le imprese sociali, più di altri enti del terzo settore, richiedono la massima trasparenza; in buona sostanza se da un lato non si condivide che il Registro unico sostituisca il registro delle imprese, viceversa si ritiene opportuna invece l'iscrizione al medesimo da parte di tutti gli enti, nell'ottica che questo debba essere concepito più come strumento idoneo a garantire pubblicità e trasparenza piuttosto che come un albo produttivo di meri effetti civilistici;
    in riferimento all'articolo 13 che disciplina le scritture contabili e il bilancio degli enti del terzo appare necessario verificare se la soglia di 220.000,00 dei proventi sia da ritenersi congrua rispetto alla necessita di redigere lo stato patrimoniale, il rendiconto gestionale e la relazione di missione; inoltre non appare condivisibile la previsione che i bilanci debbano essere depositati nel registro unico solo dagli enti del terzo settore che non siano iscritti nel registro delle imprese tenuto conto che la pubblicità e l'accesso Pag. 164al registro delle imprese dovrebbe avere una diversa finalità;
    l'articolo 14 prevede che solo gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori ad 1 milione di euro dovranno depositare presso il Registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale mentre gli enti con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori a cinquantamila euro devono pubblicare sul loro sito internet o su quello delle reti associative solo gli emolumenti, compensi o corrispettivi dati a qualsiasi titolo agli amministratori, ai dirigenti o agli associati; a riguardo si esprimono perplessità poiché si consente ad enti del terzo settore, anche di notevoli dimensioni (con ricavi fino a 1 milione di euro), di non essere sufficientemente trasparenti come invece si converrebbe; inoltre laddove si prevede che il Ministro definisca le linee guida sulla redazione del bilancio non si pone alcuna scadenza; in buona sostanza nell'istituendo Registro unico dovranno pubblicare i bilanci solo le imprese con ricavi superiori a 1 milione sempre che siano emanate le linee guida e sempre che non siano iscritte al registro delle imprese: praticamente un numero ridotto di enti del Terzo settore;
    in riferimento all'articolo 15 dove si indicano quali siano i libri sociali che gli enti del terzo settore devono tenere, nell'evidenziare che la tenuta dei libri sociali non significa pubblicità dei medesimi, sarebbe stato opportuno inserire alcune norme di pubblicità e trasparenza (nel rispetto della tutela dei dati personali) quanto meno per alcune parti dei libri sociali (ad esempio deliberazioni di rilevanza generale) o forme agevolate di accesso da parte degli associati; inoltre non appare condivisibile la disposizione che non consente tale accesso agli associati di enti di ecclesiastici e delle confessioni religiose;
    la bontà della disposizione (articolo 16) atta a circoscrivere il dumping contrattuale ovvero lo sfruttamento sistematico di manodopera del mondo del terzo settore sconta i rilevanti limiti posti agli articoli 13 e 14 che da un lato prevedono l'obbligo di redazione del bilancio che si compone anche della relazione di missione solo per gli enti con ricavi superiori ai 220.000,00 e dall'altro prevedono che solo gli enti con ricavi superiori ad un milione devono pubblicare il bilancio sociale sul sito internet e depositarlo presso il Registro unico mentre per gli enti con ricavi superiori ai 50 mila euro è fatto obbligo di pubblicare sul sito internet solo la corresponsione di emolumenti/compensi e corrispettivi; in buona sostanza questa norma rischia di essere elusa attraverso un sistema carente di pubblicità e trasparenza dei bilanci per tutti gli enti del Terzo settore;
    in riferimento alla figura e all'attività del volontario (articolo 17), oltre alla necessità di verificare l'ammissibilità/opportunità dell'autocertificazione (anche ai fini fiscali) dei rimborsi sostenuti, crea qualche perplessità l'eccezione riferita all'associato che, non è considerato volontario, laddove occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni, tenuto conto che «l'occasionalità» potrebbe caratterizzarsi da discrezionalità o diversità interpretativa tale da eludere, in taluni casi, i divieti imposti dalla presente disposizione e agevolare quindi forme di «lavoro in nero»; inoltre, andrebbe precisato che l'attività di volontario è incompatibile anche con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte (com’è nella legislazione vigente);
    riguardo alla promozione della cultura del volontariato da parte delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 19, si prevede che con successivo decreto siano definiti i criteri per il riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite nello svolgimento di attività o percorsi di volontariato; a riguardo sarebbe stato opportuno porre dei limiti o requisiti precisi onde evitare casi di sfruttamento sistematico di mano d'opera nella speranza, per giovani disoccupati, di acquisire Pag. 165migliori possibilità di lavoro o di studio;
    l'articolo 22 disciplina l'acquisto della personalità giuridica per le associazioni e fondazioni del Terzo settore ed in deroga alla disciplina vigente prevede che la personalità giuridica possa essere acquisita mediante l'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. La previsione di un Registro nazionale unico, quale requisito per poter avere la personalità giuridica, in alternativa al sistema di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1990, lascia alquanto perplessi. Tale registro non ha poteri di conferire quel «riconoscimento» degli enti ad oggi disciplinati dal libro I del codice civile. Sembra, piuttosto, che svolga una funzione meramente burocratica di controllo dei documenti richiesti (documenti che devono comunque essere valutati a monte dal notaio rogante, (come attualmente avviene per le società di cui al libro V del codice civile e alla stregua della vecchia «omologa» del tribunale). Ci si chiede se tale valutazione sia sufficiente per poter accedere a tutti quei benefici, soprattutto di natura fiscale, di cui godono gli enti, quali ad esempio le fondazioni. Inoltre, il fatto stesso che sia richiesta tale iscrizione con tutta la necessaria documentazione rischia di essere un'inutile e costosa burocratizzazione dell'iter procedurale. Altra perplessità è nel fatto che tali enti, per come disciplinati sembrano più simili a società (per azioni per giunta !) che a enti del I libro del Codice civile. Si pensi ad esempio alla necessità di un capitale minimo e alla conseguente necessità di intervenire con operazioni su capitale ogni qual volta dovesse verificarsi una perdita parziale o totale dello stesso. Oppure, ancora alla possibilità di ricorrere a patrimoni destinati (articolo 10) ad uno specifico affare e, dunque, alla possibilità di creare un patrimonio separato all'interno dello stesso ente. Nasce inevitabilmente il dubbio che si stia intervenendo sulla natura giuridica degli enti in oggetto. Si sottolinea altresì quanto disposto dall'articolo 22 del testo laddove viene previsto l'obbligo per il notaio di depositare l'atto costitutivo non lasciando di fatto alcuna possibilità di scelta alle associazioni non riconosciute di non essere nel registro;
    in riferimento al funzionamento dell'assemblea nelle associazioni (articolo 24), seppure appare positiva la possibilità di partecipare alle assemblee ed esprimere il voto con modalità elettroniche e/o per corrispondenza (è un segno di adeguamento ai tempi ma anche uno strumento per ridurre i non pochi costi) si evidenzia una notevole confusione laddove si fa riferimento alle assemblee separate senza riferirsi chiaramente alle assemblee dei delegati né eventualmente ad un sistema di elezione dei delegati, mentre invece al successivo articolo 25 si parla di «delegati eletti dalle assemblee»; altresì si rileva qualche perplessità in merito alla deroga delle competenze assembleari nelle reti associative che rischia di fatto di condizionare la vita delle singole associazioni aderenti laddove ad esempio i componenti siano soggetti ad azioni di responsabilità da parte della rete associativa fanno parte;
    in relazione alle disposizioni che disciplinano le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale si rileva l'assenza di un chiaro riferimento allo scopo solidaristico e all'assenza di scopo di lucro che dovrebbero caratterizzare l'organizzazione di volontariato, prevedendolo espressamente nell'atto costitutivo o nello statuto; inoltre si esprimo alcune perplessità sui limiti introdotti relativamente al numero minimo di 9 associati o di 5 associazioni aderenti, limiti introdotti con il presumibile fine di incentivare le reti associative o comunque di limitarne la libera costituzione; parimenti si esprimono talune perplessità sulla disposizione che attraverso la locuzione «in ogni caso» sembra di fatto consentire il lavoro dipendente, seppur nel limite del 20 per cento del numero dei volontari o del 5 per cento degli associati, non già per il funzionamento dell'organizzazione ma per lo svolgimento delle attività d'interesse generale; a riguardo sarebbe forse utile valutare se la percentuale entro la quale è Pag. 166consentito il lavoro dipendente sia diversamente stabilita, eventualmente intorno al 12 per cento degli associati, per quelle associazioni di volontariato, che svolgono interventi fondamentali in caso di calamità naturali;
    in riferimento agli enti filantropici (articoli 37-39) si rileva, come già evidenziato in occasione dell'esame dello Statuto relativo alla Fondazione Italia sociale (che sembra ricalcare in qualche misura la natura di ente filantropico), che questa nuova tipologia di ente del terzo settore è di derivazione anglosassone e si colloca nell'ambito di nuovo sistema di finanza sociale; come si evince dalla disposizione all'esame gli enti filantropici possono erogare servizi di investimento (chiaramente finanziario) a sostegno delle attività di interesse generale (quindi anche, ad esempio, in relazione alle attività sanitarie inserita nei LEA) e laddove si usa il termine eufemistico di «investimento di solidarietà» si fa riferimento a strumenti meramente finanziari rispetto ai quali è comunque sempre previsto un ritorno finanziario per l'investitore che, in tal maniera, può influenzare l'offerta di servizi sociali e mistificare i reali bisogni sottesi dei cittadini e che uno Stato civile avrebbe invece il dovere di garantire al di fuori e a prescindere da ogni logica di profitto;
    questi investimenti finanziari sono remunerati sulla base dell'impatto sociale conseguito, dopo essere opportunamente e necessariamente misurato; l'impatto sociale non va inteso come forma di valutazione della efficacia ed efficienza dei servizi resi ma come strumento di misurazione per il ritorno dell'investimento finanziario e, tenuto conto che i bisogni dei cittadini, soprattutto sanitari e sociali, sono caratterizzati da una complessità tale che ne rende difficile la misurazione, questo sistema di finanza «creativa» e di misurazione e/o valutazione finanziarizzata, rischia di penalizzare proprio i bisogni più complessi che generalmente riguardano i soggetti più vulnerabili; è facile presumere che la complessità sarà meno appetibile per gli investitori e allora si escluderanno i servizi sociali meno remunerativi e di difficile soluzione. Sconcerta l'idea che i bisogni dei cittadini siano «contrattualizzati» con investitori, tenuto conto che «le politiche di inclusione sociale non sono leve meccaniche ma processi molto più complessi, che comportano la riconfigurazione di interazioni sociali articolate con conseguenze spesso non prevedibili» (Sanderson, 2000);
    non appare condivisibile che si demandi agli atti costitutivi degli enti filantropici la possibilità di determinare i principi ai quali attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione di denaro, beni o servizi e alle attività di investimento a sostegno degli enti di terzo settore; lasciare piena autonomia e piena autodeterminazione equivale derogare ai principi cui invece devono attenersi gli enti del terzo settore previsti in altre parti del provvedimento; riguardo alla pubblicità delle erogazioni deliberate ed effettuate si esprimono perplessità per il fatto che non sia previsto un limite in riferimento alla singola erogazione o indicazioni di trasparenza anche in riferimento ai soggetti beneficiari delle erogazioni oppure indicazioni riguardo criteri di imparzialità, pubblicità e concorrenzialità nelle erogazioni;
    in relazione alle reti associative, disciplinate all'articolo 41, non se ne comprende esattamente la necessità/finalità e sembrano piuttosto introdotte per scoraggiare la costituzione di piccole associazioni o fondazioni e per privilegiare invece le grandi reti associative; si evidenzia che dal combinato disposto dell'articolo 41 e del successivo articolo 72, si evince che l'accesso alle risorse per il finanziamento dei progetti e delle attività d'interesse generale nel terzo settore, sembra avvenire in maniera privilegiata, proprio tramite tali reti associative; inoltre si evidenzia la necessità di comprendere meglio la compatibilità della forma associativa di tale ente del terzo settore laddove sia costituito anche da Fondazioni aderenti e/o associate;Pag. 167
    sulla pubblicità e accessibilità del Registro unico nazionale appare opportuno specificare che lo stesso sia reso pubblico sul sito del Ministero del lavoro e in relazione all'accesso è necessario specificare chi debbano intendersi per «interessati» che hanno diritto all'accesso; in mancanza di ulteriori specificazioni infatti potrebbe ritenersi che in realtà tale accesso non sia esteso a chiunque e la pubblicità non necessariamente coincida con la pubblicazione sul sito internet;
    si esprimono perplessità sulla possibilità per le reti associative di essere iscritte in più sezioni del Registro tenuto conto che le stesse dovrebbero in realtà svolgere una funzione di raccordo, supporto, monitoraggio. Si pone dunque la questione se sia opportuno prevedere, all'articolo 41, che le reti associative siano da costituirsi tra enti omogenei quanto meno in relazione alla forma giuridica adottata; non è condivisibile e comunque appare un eccesso rispetto alla delega conferita la possibilità per il Ministro del lavoro di modificare, con decreto di natura non regolamentare, le sezioni del registro;
    si esprimono perplessità sul fatto che in relazione ai bilanci e rendiconti ed in relazione ai fondi e contributi raccolti o percepiti si preveda un mero deposito nel Registro unico e non anche la pubblicità né si prevede la pubblicità degli atti costitutivi e dello statuto; non appare condivisibile che l'informativa antimafia sia prevista solo per enti di enorme dimensione e peraltro sembra coinvolgere solo le associazioni e le fondazioni escludendo ad esempio, così sembra, quegli enti che abbiano costituito patrimoni separati per i quali invece si prevede la revisione legale. È importante altresì chiarire se tale misura si applica anche alle imprese sociali e alle cooperative sociali;
    dinanzi ad un accertamento, anche d'ufficio, sulla carenza dei requisiti che comporta anche la cancellazione dell'ente dal Registro o il suo trasferimento in altra sezione c’è un meccanismo di devoluzione che, salvo diversa indicazione, andrà a beneficiare una fondazione specifica di natura giuridica privata (Fondazione Italia sociale); tale disposizione a vantaggio di tale fondazione rischia di configurarsi come un indebito aiuto di Stato posto che peraltro tale Fondazione opera in concorrenza con altre analoghe Fondazioni anche su attività finanziarie;
    si ritiene che il procedimento per rendere operativo il registro sia eccessivo laddove ad esempio si prevede che le procedure per l'iscrizione siano definite dal decreto del Ministero mentre con leggi regionali siano disciplinate le procedure per l'emanazione dei provvedimenti d'iscrizione e cancellazione; sarebbe invece opportuno che sia il medesimo decreto a disciplinare anche le procedure che le regioni poi dovranno recepire con atti regolamentari; inoltre il termine di 6 mesi dalla predisposizione della struttura informatica entro il quale le Regioni devono rendere operativo il registro appare aleatorio tenuto conto che non è individuato il soggetto che dovrà realizzare tale struttura informatica e né indicato il termine entro il quale dovrà essere realizzata;
    le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi nelle attività di interesse generale, assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione e possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale; a riguardo si evidenzia l'opportunità di richiamare anche i principi della concorrenzialità, dell'economicità, dell'efficacia, dell'evidenza pubblica e di richiamare la disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) laddove applicabile ed in ogni caso il rispetto dei principi in essa riportati; appare inoltre necessario richiamare l'applicabilità della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 13 agosto 2010 n. 136 si esprimono rilevanti perplessità in Pag. 168ordine al fatto che si amplia la possibilità di fare convenzioni a tutte le attività di interesse generale indicate all'articolo 5 (es. prestazioni sanitarie inserite nei LEA) rispetto alla situazione vigente che invece limita tale possibilità solo per gli interventi e servizi sociali. La convenzione è uno strumento che consente di derogare alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e, quindi, consente di affidare alle associazioni iscritte nel Registro l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento/concorsuali; si esprimono dunque rilevanti dubbi di legittimità e di compatibilità con le direttive europee che regolano il mercato e la concorrenza;
    in relazione ai servizi di trasporto sanitario e di emergenza urgenza rispetto alla situazione vigente, l'affidamento diretto e quindi la deroga alla disciplina generale dei contratti della Pubblica amministrazione e, quindi, di affidare il servizio senza dover passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento/concorsuali. Si precisa che in taluni casi tali servizi sono oggi affidati, in alternativa, a società in house providing che, come noto, devono però svolgere la loro attività prevalentemente solo nei confronti delle amministrazioni pubbliche partecipanti; con il provvedimento all'esame si consentirebbe quindi l'affidamento diretto anche in deroga o al di fuori dell'house providing; con rilevanti dubbi di legittimità e di compatibilità con le direttive europee che regolano il mercato e la concorrenza;
    la disciplina del Consiglio nazionale del Terzo settore (articoli 58-60) prevede che designazione dei 6 rappresentanti delle associazioni del terzo settore sia fatta da parte dell'associazione più rappresentativa, senza che sia contemplato alcun meccanismo elettivo o di candidatura né si comprende in che maniera sono designati i 12 rappresentanti delle reti associative; infine stupisce il riferimento al CNEL che pure il Governo (e la sua maggioranza) volevano abolire con la nota riforma della Costituzione;
    in relazione ai centri di servizio per il volontariato (CSV), disciplinati dall'articolo 61, si prevede l'istituzione di un Organismo nazionale di controllo (ONC) che stabilisce il numero di enti accreditabili come CSV e a riguardo sarebbe stato opportuno richiamare l'applicabilità del decreto n. 33 del 2013 (trasparenza) e del decreto n. 39 del 2013 (inconferibilità e incompatibilità d'incarichi) tenuto conto che tali CSV percepiscono contributi in forza di un potere «impositivo» comunque derivato da legge dello Stato e per il tramite delle Regioni; si ricorda infatti che l'articolo 15 della legge n. 266 del 1991 prevede che per il tramite delle Regioni e degli enti locali siano destinati ai CSV fondi speciali, costituiti con una quota non inferiore ad 1/15 dei proventi delle fondazioni bancarie;
    si esprimono forti perplessità sulla nuova disciplina dei CSV che sembra eccedere dalla delega conferita laddove non era in alcun modo contemplata l'istituzione di un'altra fondazione giuridica privata né che la programmazione e il controllo dei CSV fosse affidato, di fatto, alle fondazioni bancarie che deterranno la maggioranza in tali Organismo nazionale di controllo e in quelli territoriali;
    appare sconcertate che tale Organismo nazionale, controllato dalle fondazioni bancarie, debba accreditare i CSV e debba definire gli indirizzi strategici generali da perseguire a valere sulle risorse del Fondo unico nazionale. Questa disposizione, unitamente ad altre che seguono (sulle obbligazioni sociali), rappresenta l'emblema della finanziarizzazione non già e non solo dei servizi sociali ma di tutte quelle attività d'interesse generale che, come descritti all'articolo 5 del provvedimento all'esame, riguardano precipuamente attività d'interesse pubblico che lo Stato dovrebbe garantire in via principale, coadiuvato, solo in via sussidiaria, dagli enti del terzo settore; il finanziamento dei Pag. 169Centri di servizio per il volontariato avviene tramite il Fondo unico nazionale (FUN) alimentato da contributi annuali (obbligatori) delle fondazioni di origine bancaria (FOB) ed amministrato dall'Organismo nazionale di controllo (ONC) ossia la succitata Fondazione giuridica privata, controllata dalle fondazioni bancarie e le risorse saranno destinate anche per il funzionamento dell'Organismo nazionale di controllo e degli Organismi territoriali di controllo; di fatto si duplica un sistema di coordinamento nell'ambito del volontariato prevedendone diversi livelli che certamente non semplificano il sistema ma lo rendono estremamente farraginoso (reti associative, CVS, ONC, OTC) con una diffusa duplicazione di ruoli e competenze ed un ulteriore impiego di risorse;
    appare critica la previsione che il credito d'imposta riconosciuto alle fondazioni bancaria sia da queste cedibile anche alle banche, agli intermediari finanziari e assicurativi, ravvisandosi in tal senso un aiuto indiretto alle banche;
    non è assolutamente condivisibile il riconoscimento di emolumenti a componenti e dirigenti dell'Organismo nazionale di controllo e degli Organismi territoriali di controllo, emolumenti che saranno finanzianti dalle Fondazioni bancaria nella misura che riterranno opportuna; è evidente che in tal maniera organismi deputati all'accreditamento dei CSV e al controllo (che quindi dovrebbero essere indipendenti) saranno invece essi stessi controllati dalle Fondazioni bancarie che assumono, nel provvedimento all'esame, un ruolo di dominus del nuovo sistema di welfare; si esprimono perplessità nella parte in cui si prevede che l'ONC (che ricordiamo è una fondazione giuridica privata) dia indicazioni «non ben identificate» riguardo il trasferimento dei beni mobili o immobili di un CSV sciolto o non più accreditato e al riguardo sarebbe stato opportuno indicare quale debba essere la destinazione dei beni mobili e immobili onde evitare il rischio di arbitrarietà;
    le specifiche misure agevolative per gli enti del terzo settore previste agli articoli 67-71 sembrano delineare un sistema di agevolazioni eccessivo laddove rivolto indistintamente a tutti gli enti del terzo settore, senza adeguati requisiti e presupposti e peraltro alcune agevolazioni, come le provvidenze fideiussorie e creditizie (per agevolare il ricorso al credito), l'accesso al fondo sociale europeo, la possibilità di utilizzare immobili con qualunque destinazione urbanistica, i fondi per i progetti sociali seppur apprezzabili sono rimasti, nel passato, spesso, «lettera morta» a causa della mancanza di regolamentazione amministrativa da parte degli enti pubblici competenti, difficoltà di interpretazione, complicazione amministrativa, carenza di fondi;
    è sconcertante la disciplina dei «titoli di solidarietà» che, al di là del termine eufemistico utilizzato, riguarda mere obbligazioni finanziarie e tende a realizzare la cosiddetta «finanza sociale». In buona sostanza si permette alle banche di emettere strumenti finanziari con rilevanti agevolazioni in cambio di «liberalità» agli enti del terzo settore iscritti nel Registro e per le attività di interesse generale (tra i quali ricordiamo ci sono anche attività di precipuo interesse pubblico come le attività sanitarie inserite nei LEA). Peraltro tali liberalità come suindicate e descritte implicano un'aleatorietà e/o discrezionalità sconcertate laddove si prevede ad esempio che le banche «possono erogare, a titolo di liberalità, una somma non inferiore allo 0,60 per cento» per il sostegno delle attività degli enti, «ritenute meritevoli sulla base di un progetto predisposto dagli enti richiedenti»; in buona sostanza sono le banche che valutano se le attività di un ente è meritevole o meno ! Oppure in riferimento alla destinazione di una somma pari all'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli in realtà si precisa «compatibilmente con le esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria». È forte il sospetto che queste misure agevolative nei confronti degli istituiti finanziari rischiano di rappresentare un indebito aiuto di Stato; Pag. 170
    anche la disciplina relativa al regime fiscale del c.d. social lending reca rilevanti perplessità in ordine alla compatibilità con la legge delega tenuto conto che introduce una mera misura fiscale su uno strumento finanziario, peraltro usato anche dalle banche, senza che sia chiaro se e in che misura l'agevolazione sia correlata al terzo settore o alle attività d'interesse generale;
    ultime, ma non certo in ordine di importanza, le considerazioni in ordine alle cosiddette «misure di sostegno» che lo schema di decreto prevede per gli enti del terzo settore. Ad un esame approfondito del testo, risulta evidente che il Legislatore – nello sforzo di razionalizzare la materia e di armonizzarla, anche con le disposizioni comunitarie – ha trascurato di portare a compimento gli altri obiettivi immanenti nella Legge di delega: la semplificazione e la certezza applicativa. Nel disegnare i contorni generali della fiscalità non profit, l'articolo 79 dispone che le attività di interesse generale svolte dagli enti del Terzo settore si considerano di natura non commerciale quando sono esercitate a titolo gratuito ovvero «dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale». È intuitivo che l'applicazione della citata disposizione, diverrà foriera di un elevato numero di contenziosi ove non verranno forniti adeguati strumenti di compliance finalizzati a spiegare cosa si intenda con una simile espressione e come se ne possa ragionevolmente determinare una quantificazione numerica, nelle diverse ipotesi merceologiche e territoriali;
    per gli enti di natura associativa, lo schema di decreto stabilisce, in via generale, un trattamento fiscale peggiorativo rispetto a quello già previsto dal decreto legislativo n. 460 del 1997: continueranno a fruire della detassazione, ai fini delle imposte sul reddito, solo le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi. Al contrario, diverranno fiscalmente imponibili le attività su pagamento specifico da parte dei soci, anche se rese in conformità con gli scopi statutari, senza scopo di lucro e nel rispetto dei principi di democraticità della governance associativa;
    non è chiaro, peraltro, se le disposizioni agevolative previste ai fini delle imposte sui redditi si estendano anche all'imposta sul valore aggiunto ed è questo un punto di grave incertezza normativa. Elementi di semplificazione sono introdotti con il nuovo regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore (articolo 80), basato sull'applicazione di coefficienti di redditività proporzionali al volume dei ricavi e dunque sostitutivi della deduzione analitica dei costi. Tuttavia tale disposizione non sembra estendersi all'IVA, per la quale, dunque, non sembra prospettarsi un sistema di liquidazione forfettaria alla stregua di quello previsto dalla legge n. 398 del 1991, norma – quest'ultima – la cui fruizione sarà inibita alla maggior parte degli enti a carattere associativo. Fatto sta che la liquidazione analitica dell'imposta del valore aggiunto, comporta, inevitabilmente, la soggezione a un complesso sistema adempimentale (registrazioni, liquidazioni telematiche, spesometro, dichiarazione iva) rispetto al quale è ragionevole assumere che la vasta platea degli enti interessati sia largamente impreparata;
    unico regime realmente semplificato è quello recato dall'articolo 86 dello schema di decreto sulla falsariga del regime forfetario agevolato per i lavoratori autonomi di ridotte dimensioni (ex minimi) con il vantaggio, pertanto, dell'esclusione da iva e da relativi adempimenti: peccato che esso si applichi esclusivamente alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale il cui volume di ricavi commerciali non supera il plafond annuale di 130.000 euro. L'estensione del beneficio anche ad altre categorie di enti non commerciali, sarebbe risultata provvidenziale nell'ottica di salvaguardare le piccole Pag. 171realtà del terzo settore dall'incremento dei costi di conformità;
    nel complesso il provvedimento inocula nel sistema del terzo settore una quantità impressionante di complicazioni amministrative e burocratiche, delle quali è lecito diffidare che possano realmente contribuire a migliorarne le performance di trasparenza ed affidabilità mentre è pressoché certo che ne determineranno la lievitazione dei costi amministrativi, con connessa sottrazione di preziose risorse al conseguimento delle attività di interesse generale. Tale critica non investe solo il profilo tributario in precedenza descritto, ma anche quello della governance, in ragione dei rilevanti adempimenti introdotti come l'obbligo di redazione del bilancio in sostituzione di quello del rendiconto, l'applicazione del principio di competenza al posto di quello di cassa, l'adozione obbligatoria dell'organo di controllo. Non è in discussione l'esigenza che il settore si doti di adeguati presidi per fronteggiare i fenomeni di elusione ed eterovestizione, ma il fatto che tale obiettivo sia perseguito trasponendo, sic et simpliciter norme e modelli dedotti aprioristicamente dal comparto del privato commerciale, ove già risultano in parte superati e disfunzionanti. D'altro canto, il provvedimento fallisce nel tentativo di colmare le molte lacune che la precedente normativa presentava, generando la mefitica attesa che esse verranno affrontate e risolte attraverso la prassi degli enti impositori e il dibattito nelle aule giudiziarie;
  considerato infine che:
   il Consiglio di Stato in data 14 giugno 2017 ha reso il proprio parere sul provvedimento all'esame e la maggior parte dei rilevi espressi dal consesso trovano riscontro nelle diverse considerazione riportate nel presente parere,
  esprime

PARERE CONTRARIO

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ALLEGATO 4

Legge annuale per il mercato e la concorrenza. C. 3012-B Governo, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XII Commissione,
   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge C. 3012-B Governo, approvato dalla Camera e modificato dal Senato, recante «Legge annuale per il mercato e la concorrenza»;
   apprezzato che nel testo in esame sono state recepite le osservazioni incluse nel parere espresso dalla XII Commissione nel corso dell'esame in prima lettura del provvedimento in oggetto, volte ad assicurare un'equa distribuzione sul territorio delle farmacie e a richiamare le procedure di espletamento del concorso per l'apertura di nuove farmacie, previsto dalla legge n. 27 del 2012, di conversione del decreto-legge n. 1 del 2012;
   rilevato che nel corso dell'esame al Senato sono state introdotte le disposizioni di cui ai commi da 154 a 157, che consentono l'esercizio dell'attività odontoiatrica in forma societaria a condizione che il direttore sanitario sia iscritto all'albo degli odontoiatri ovvero, nel caso di strutture sanitarie polispecialistiche presso le quali sia presente un ambulatorio odontoiatrico, sia nominato un direttore responsabile per i servizi odontoiatrici iscritto al medesimo albo;
   segnalato che la formulazione adottata non garantisce che all'interno delle strutture afferenti a dette società tutte le prestazioni odontoiatriche siano erogate esclusivamente dai soggetti abilitati ai sensi della legge n. 409 del 1985,
  esprime:

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente condizione:
   al comma 154 sia esplicitato che nell'esercizio dell'attività odontoiatrica in forma societaria sia garantito che tutte le prestazioni odontoiatriche siano erogate esclusivamente dai soggetti abilitati ai sensi della legge n. 409 del 1985.