CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 12 maggio 2016
641.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi (Nuovo testo C. 1994, approvata dal Senato).

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
   esaminato, nelle sedute del 27 aprile, 10 e 12 maggio 2016, il nuovo testo della proposta di legge C. 1994, già approvata dal Senato (A.S. 580), recante disposizioni in materia di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi;
   considerato che la demolizione e la conseguente riduzione in pristino dei luoghi sono l'unico rimedio per il grave ed endemico fenomeno italiano dell'abusivismo edilizio. Infatti, la minaccia della demolizione come sanzione sia amministrativa, sia penale, costituisce l'unico vero deterrente per le condotte abusive;
   osservata la permanenza nel Paese del ricorso all'abusivismo edilizio, confermata dall'ultimo rapporto ISTAT del 2015, che riporta dati preoccupanti: le stime del 2015, infatti, confermano quelle del 2014 sulla tendenza all'abusivismo, che continua ad avere una diffusione senza paragoni fra le maggiori economie avanzate. Nel 2014, in un contesto fortemente recessivo per il comparto dell'edilizia residenziale, il numero delle nuove costruzioni abusive è salito, rispetto all'anno precedente, da 15,2 a 17,6 ogni 100 autorizzate. Questo aumento si deve all'impatto della crisi economica sulla componente legale e su quella illegale della produzione edilizia: a partire dal 2008 entrambe sono state costantemente in calo, ma il flusso annuo della produzione legale si è ridotto di oltre il 60 per cento, mentre quello della produzione illegale di meno del 30 per cento. L'indagine ISTAT sottolinea come una simile dinamica qualifica il fenomeno come forma di evasione fiscale, più che come necessità abitativa. La crisi dunque sostiene l'illegalità attraverso l'abusivismo che è una manifesta minaccia per l'ambiente, il paesaggio e per la società civile;
   preso atto che il rapporto ISTAT riporta dati preoccupanti anche sugli abusi edilizi in aree vincolate dal punto di vista paesaggistico ai sensi della legge Galasso del 1985. Prendendo a riferimento il decennio 2001- 2011 riferisce di una densità media di 29,8 edifici per kmq nel 2011 contro i 28,6 del 2001 ovvero la costruzione nel decennio considerato di circa 34.500 nuovi fabbricati ad uso abitativo;
   ritenuto che questo quadro negativo trova riscontro nella percezione dei cittadini circa la qualità dei luoghi di vita. L'insoddisfazione per il paesaggio del luogo di vita cresce di quasi 2 punti percentuali dal 2012 al 2014 (dal 18,3 al 20,1 per cento). Nel 2015, riferisce l'Istat, la preoccupazione per il «deterioramento del paesaggio» è considerata fra i cinque principali problemi ambientali del Paese. Ricordiamo che la preoccupazione per la qualità dei paesaggi di vita delle popolazioni è uno dei punti cardine della Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta dall'Italia nel 2000, documento posto a fondamento delle politiche europee in ambito di tutela e valorizzazione del paesaggio;
   constatato che la Convenzione Europea del Paesaggio considera «paesaggio» Pag. 161ogni luogo di vita delle popolazioni e come tale tutto il paesaggio và adeguatamente conosciuto, tutelato, valorizzato e gestito, non più dunque una concezione estetica del paesaggio ma una reale identificazione fra paesaggio e territorio. Accanto al riconoscimento della mancata decrescita del fenomeno dell'abusivismo del Paese è da valutare il ritardo di tutte le Regioni nell'approvazione dei Piani Paesaggistici. Ad oggi sono solo quattro le Regioni che lo hanno approvato: la Puglia, la Toscana, la Sardegna in via di revisione con il MIBACT e, nel mese di marzo di quest'anno, il Lazio. Il ritardo nell'approvazione dei Piani paesaggistici da parte delle Regioni contribuisce all'incertezza dell'azione dello Stato nella tutela del paesaggio e alla mancanza della certezza nella attività edilizia;
   ricordato che nella giurisprudenza costituzionale la tutela del paesaggio e il corretto uso del territorio sono valori di primario rilievo, come affermato – tra l'altro – nel seguente passaggio della sentenza n. 196 del 2004 (punto 24 del Considerato in diritto):

  Questa Corte, nella già richiamata giurisprudenza in tema di condono edilizio, ha più volte messo in evidenza che fondamento giustificativo di questa legislazione è stata la necessità di «chiudere un passato illegale» in attesa di poter infine giungere ad una repressione efficace dell'abusivismo edilizio, pur se non sono state estranee a simili legislazioni anche «ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria» (tra le altre, cfr. sentenze n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonché ordinanza n. 174 del 2002).
  Ciò a giustificazione di un provvedimento normativo senza dubbio eccezionale e straordinario, che deve trovare la propria ratio sia nella «persistenza del fenomeno dell'abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalità», sia nella imputabilità di tale fenomeno di abusivismo «almeno in parte, proprio alla scarsa incisività e tempestività dell'azione di controllo del territorio da parte degli enti locali e delle Regioni» (cfr. sentenza n. 256 del 1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996).
  Su questo piano, non può negarsi che la legislazione statale negli ultimi anni sia profondamente mutata, prevedendo ormai strumenti preventivi e repressivi adeguati, e che abbia trovato anche una sua relativa stabilizzazione nel recente testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia adottato con d.P.R. n. 380 del 2001 (non a caso, il comma 2 dello stesso articolo 32 impugnato si riferisce appunto – seppur con norma contestata dalle ricorrenti ed alla quale si farà riferimento oltre – a questo testo unico come ad una fonte idonea a creare discontinuità nella stessa legittimazione ad adottare un condono edilizio).
  Al tempo stesso, non poche realtà comunali e regionali sembrano aver assunto linee di politica amministrativa e legislativa coerenti con un'azione di contrasto dell'abusivismo edilizio, anche se certo non in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale.
  In realtà, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre considerato ogni condono edilizio, che incide – come si è ripetutamente sottolineato – sulla sanzionabilità penale e sulla stessa certezza del diritto, nonché sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio, solo come un istituto «a carattere contingente e del tutto eccezionale» (in tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo «negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale» (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole «trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza» (sentenza n. 427 del 1995).
  Pertanto questa Corte, specie dinanzi alla sostanziale reiterazione – tramite l'articolo 39 della legge n. 724 del 1994 – del condono edilizio degli anni ottanta, più volte ha ammonito che non avrebbe superato il vaglio di costituzionalità una ulteriore reiterazione sostanziale della preesistente legislazione del condono (fra le molte, cfr. sentenze n. 427 del 1995 e Pag. 162n. 416 del 1995, nonché ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 e n. 395 del 1996)».
   preso atto ancora che la proposta di legge appare ispirata a quattro obiettivi: a) offrire linee guida – meramente interne all'organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero (quale autorità incaricata dell'esecuzione penale) – per l'attività di demolizione degli abusi edilizi; b) rafforzare i poteri sostitutivi del prefetto, per quel che concerne le demolizioni sul versante amministrativo; c) prevedere il potenziamento del monitoraggio sugli abusi edilizi; d) stanziare maggiori risorse per l'esecuzione delle demolizioni;
   considerato dunque – con particolare riguardo all'articolo 1, comma 1 – che:
    i) in nessun caso la normativa in via d'introduzione può costituire motivo di pretese di terzi rispetto all'ordine temporale delle demolizioni;
    ii) l'individuazione di tali criteri è meramente indicativa e a fini interni all'ufficio requirente;
    iii) giammai essa potrà essere interpretata come fonte attributiva del diritto dei proprietari di immobili inseriti in una tipologia a pretendere l'esaurimento delle demolizioni di altre categorie;
   valutato che solo a queste ultime condizioni possono essere fugati i dubbi sulla potenziale disparità di trattamento dei cittadini dinanzi alla legge ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, che potrebbe altrimenti derivare dall'adozione dei criteri da parte dei procuratori della Repubblica nei diversi uffici giudiziari italiani;
   osservato che solo a tali condizioni si eviterà un consistente contenzioso innanzi alle autorità sia giurisdizionali amministrative, sia dell'esecuzione penale;

  esprime

PARERE FAVOREVOLE
   con le seguenti condizioni:
    1) all'articolo 1, comma 1, lett. a) capoverso lett. d), siano soppresse le parole: di priorità;
    2) all'articolo 1, comma 1, lett. a) capoverso lett. d), numero 1), siano aggiunte infine le parole: e storico-artistico;
    3) all'articolo 1, comma 1, lett. b) capoverso comma 6-bis, le parole: fascia prioritaria siano sostituite dalla seguente: tipologia;
   4) all'articolo 1-quater, comma 1, le parole: le priorità siano sostituite dalle seguenti: i criteri.

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ALLEGATO 2

5-06858 Chimienti: Sulla specializzazione per le attività didattiche di sostegno mediante l'abilitazione disciplinare.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come noto, il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in Stati membri dell'Ultime europea è regolata dalla Direttiva 2005/36/CE e dal decreto legislativo n. 206 del 2007 di attuazione della medesima Direttiva.
  Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per quanto di competenza, riconosce le formazioni professionali attenendosi rigorosamente alle disposizioni previste dagli atti citati, effettuando scrupolosamente tutti i dovuti controlli e verificando l'eventuale sussistenza di difformità sulla formazione ricevuta dai richiedenti.
  In particolare, si rappresenta che tra la documentazione necessaria da allegare all'istanza di riconoscimento viene richiesta un'apposita attestazione, da parte dell'autorità competente del Paese che ha rilasciato il titolo professionale, sul valore legale della formazione. Si ritiene opportuno, inoltre, evidenziare che tutti gli esami, nonché il tirocinio e la tesi finale, devono essere svolti nel Paese che rilascia il titolo abilitante.
  Per quanto riguarda la specifica materia delle specializzazioni per l'insegnamento sul sostegno, si comunica che alla competente Direzione generale del MIUR non risultano pervenute istanze relative al riconoscimento dei titoli conseguiti in Romania da docenti italiani e, conseguentemente, non è stato mai adottato alcun decreto di riconoscimento di siffatta formazione professionale.
  Ciò posto, si precisa che il citato decreto legislativo n. 206 del 2007 disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente. Per quanto attiene all'insegnamento del sostegno, alla luce della vigente normativa, non esiste in Italia una classe autonoma di concorso, conseguentemente tale specializzazione è sempre successiva all'abilitazione in una disciplina, e potrà quindi essere riconosciuta solo qualora il richiedente sia già abilitato.

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ALLEGATO 3

5-07636 Turco: Sulla sensibilizzazione e prevenzione del bullismo nelle scuole.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo il MIUR dedica costante attenzione e numerose sono le iniziative di prevenzione attivate per contrastarne i possibili effetti.
  Difatti, per riconoscere i segnali precursori di comportamenti a rischio e fronteggiare atteggiamenti che sfociano in forme di discriminazione e di violenza, è necessario attivare strategie di intervento volte a prevenire conseguenze gravi non solo sul piano psicologico ma anche sul piano penale.
  Ne deriva che la formazione del personale scolastico tutto costituisce la leva strategica per implementare la qualità del sistema di istruzione e formazione attraverso l'offerta di strumenti e di metodologie per creare una rete sociale di tutela e di ripristino anche dei diritti lesi.
  Per queste ragioni il MIUR da quasi un decennio ha avviato iniziative di prevenzione e di contrasto al fenomeno con l'emanazione della decreto ministeriale n. 16 del 5 febbraio 2007 recante le «Linee di indirizzo generali e azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo». Si è definita una serie di strumenti per le istituzioni scolastiche e le famiglie, tra i quali si ricordano:
   gli Osservatori regionali permanenti sul bullismo, tesi a promuovere percorsi di educazione alla legalità all'interno delle scuole, tramite attività curricolari ed extracurricolari;
   il sito internet www.smontailbullo.it, che fornisce utili strumenti e suggerimenti per fronteggiare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale;
   il numero verde (800.66.96.96) riservato a genitori e studenti per la segnalazione di offese verbali, prepotenze tisiche e problemi di esclusione e di isolamento;
   l'indirizzo mail bullismoistruzione.it che offre consulenza alle segnalazioni di casi che pervengono.

  Con le nuove «Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo», emanate il 13 aprile 2015, si è garantita continuità ai compiti precedentemente svolti dagli Osservatori regionali e ora attribuiti ai Centri Territoriali di Supporto (CTS) – istituiti nell'ambito del Progetto «Nuove Tecnologie e Disabilità» dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il MIUR e collocati a livello provinciale presso scuole Polo – e alle loro ulteriori articolazioni territoriali.
  In particolare, le Linee declinano una serie di azioni che forniscono al personale della scuola gli strumenti di tipo pedagogico e giuridico per riconoscere i segnali precursori dei comportamenti a rischio, prevenire e contrastare le nuove forme di prevaricazione e di violenza giovanile. La formazione degli insegnanti prevede un modello innovativo coerente con la normativa vigente in materia di ordinamenti e rispondente all'esigenza di adottare adeguate strategie preventive mirate a proteggere gli studenti da comportamenti devianti perpetrati attraverso il web. I percorsi formativi sono finalizzati all'acquisizione di competenze di natura psico-pedagogica per affrontare i casi di bullismo e di cyberbullismo e la gestione Pag. 165dei conflitti e di competenze connesse con le tecnologie e i mezzi informatici più utilizzati dagli studenti. Tra i diversi laboratori formativi vi è quello centrato sulle problematiche connesse con l'integrazione scolastica dei disabili e con i bisogni educativi speciali.
  Le Linee forniscono, inoltre, indicazioni riguardo all'istituzione di un «Nucleo operativo» costituito da uno/due dirigenti tecnici e due/tre docenti referenti, utilizzati presso gli Uffici scolastici regionali e gli Ambiti territoriali, formati sulle problematiche relative alle nuove forme di devianza giovanile (bullismo, cyberbullismo, stalking e cyberstalking), in possesso delle competenze necessarie per sostenere concretamente le scuole in rete e i docenti attraverso interventi di consulenza e di formazione mirata, assicurando anche la raccolta e la diffusione di buone pratiche. Il nucleo operativo per il contrasto delle nuove forme di devianza giovanile, collabora con specifiche figure professionali, già incardinate in altre strutture lavorative ed enti, quali: psicoterapeuti, rappresentanti del Tribunale dei minori, neuropsichiatri, Polizia Postale.
  Per governarne al meglio la trasformazione necessaria e supportare il nuovo assetto di processi previsti dalle «Linee di orientamento», relativo in particolare agli ulteriori nuovi compiti e finzioni attributi ai CTS, il MIUR ha previsto per l'anno scolastico in corso l'erogazione di specifiche risorse finanziarie, pari ad un totale di 560.000,00 euro, attribuite ai CTS attraverso la concessione dei fondi previsti dal decreto ministeriale n. 435 del 16 giugno 2015 (articolo 14 commi 1 e 2).
  Anche nell'ambito della Regione Friuli-Venezia Giulia, ove si è verificato l'episodio ricordato dall'Onorevole interrogante, il fenomeno è costantemente seguito. A seguito dell'episodio verificatosi a Pordenone, difatti, la competente Direzione generale del MIUR, d'intesa con l'Ufficio scolastico regionale e in collaborazione con Telefono Azzurro, con la Polizia Postale e con il Dipartimento di scienza della formazione e psicologia dell'Università di Firenze, ha predisposto un incontro formativo dedicato a tutti i docenti, studenti e genitori della scuola in questione.
  Più in generale, nell'anno 2012 un gruppo di lavoro costituito con rappresentanti degli Uffici scolastici regionali per il Friuli-Venezia Giulia e del Veneto, delle Università di Padova e di Udine e delle Consulte studentesche, ha curato la stesura delle «Raccomandazioni per la prevenzione e la gestione del bullismo nelle scuole», un manuale di orientamento e supporto alle scuole.
  Sono inoltre a disposizione delle scuole e delle famiglie gli esiti di un importante e approfondito studio regionale effettuato sul campo (Il bullismo: dalla teoria alla ricerca, Vannini, 2012), frutto di una ricerca che ha interessato circa 2500 studenti ai quali sono state sottoposte domande sull'argomento.
  È tuttora in fase di svolgimento una particolare esperienza di contrasto al bullismo omofobico, progetto promosso nel 2013 dall'Ufficio scolastico regionale e sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalle Università, rivolto sia alla formazione di docenti e di operatori, sia all'intervento presso gli alunni della scuola secondaria di primo grado.

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ALLEGATO 4

5-08276 Tino Iannuzzi: Sull'attribuzione di scuole e di borse di specializzazione in medicina presso l'Università di Salerno.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'Onorevole interrogante chiede quali iniziative il Ministro intenderà assumere affinché alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università degli Studi di Salerno sia assegnato un numero più elevato di scuole e di borse di specializzazione per l'a.a. 2015/2016.
  Com’è noto, l'Università degli Studi di Salerno, fin dall'a.a. 2012/2013, ha avanzato numerose richieste di istituzione di nuove scuole di specializzazione mediche.
  A tal proposito, giova premettere che, sul punto, l'organismo competente in materia è l'Osservatorio nazionale della formazione medica specialistica che, ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 368 del 1999, è tenuto ad esaminare gli standard e i requisiti delle proposte di istituzione di nuove scuole di specializzazione; precisamente esso ha il «... compito di determinare gli standard per l'accreditamento delle strutture universitarie e ospedaliere per le singole specialità, di determinare e di verificare i requisiti di idoneità della rete formativa e delle singole strutture che le compongono, effettuare il monitoraggio dei risultati della formazione, nonché definire i criteri e le modalità per assicurare la qualità della formazione, in conformità alle indicazioni dell'Unione europea...».
  L'accreditamento delle singole strutture delle scuole di specializzazione è, quindi, disposto su proposta dell'Osservatorio, con decreto del Ministro della Salute di concerto con il MIUR.
  Il MIUR provvede, successivamente, con suo apposito decreto, ad assegnare le borse di studio (rectius contratti di formazione medico-specialistica) alle scuole di specializzazione che risultano accreditate ai sensi del citato articolo 43, tenuto conto della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa delle scuole.
  Occorre evidenziare che l'attivazione di una scuola di specializzazione avviene mediante l'attribuzione di tali contratti ad una scuola che risulta già accreditata ai sensi della citata disposizione normativa.
  Per il prossimo anno accademico 2015/2016, il Ministero provvederà quindi ad assegnare i contratti di formazione medico-specialistica anche alle scuole dell'Ateneo salernitano che, tra le altre, risulteranno già accreditate.
  L'assegnazione di tali contratti alle scuole di specializzazione salernitane già accreditate avverrà, oltre che in attuazione di quanto previsto dall'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 368 del 1999, tenendo conto «della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa della scuola stessa», anche sulla base dei criteri che saranno definiti nel decreto col quale saranno ripartiti, per l'a.a. 2015/2016, i contratti di formazione medico-specialistica, coperti con fondi statali, tra le scuole di specializzazione universitarie di area sanitaria.
  Più precisamente, si terrà conto, a titolo esemplificativo, dei requisiti disciplinari riferiti alla docenza, in particolare nei settori scientifico-disciplinari obbligatori e irrinunciabili della tipologia di scuola, del numero di soggetti iscrivibili alla stessa nonché del numero degli Atenei che concorrono alla rete formativa complessiva delle singole aggregazioni.Pag. 167
  Si precisa, inoltre, che la citata assegnazione di contratti alle scuole salernitane già accreditate dipenderà, inoltre, dal numero globale di contratti da ripartire tra le singole scuole di specializzazione che il MIUR avrà a disposizione e che sarà definito prima dell'emanazione del prossimo bando di concorso.
  È opportuno evidenziare che questo Ministero si è adoperato per favorire l'ampliamento delle opportunità per i futuri specializzandi. È difatti recente il sostanzioso incremento di risorse rispetto agli anni passati che ha consentito l'aumento del numero dei contratti di formazione finanziati dallo Stato, che ha raggiunto il numero complessivo di 6.000 all'anno. Ciò nel tentativo di recuperare il gap fra il numero dei laureati e i posti nelle specializzazioni.
  Pertanto, le esigenze evidenziate dell'Onorevole interrogante potrebbero essere soddisfatte nell'ambito di questa significativa assegnazione.

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ALLEGATO 5

5-07966 Tripiedi: Sul ripristino della sede della soprintendenza archeologica nella città di Taranto.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Mi riferisco all'interrogazione con la quale l'Onorevole Tripiedi chiede di conoscere quali iniziative si intendano intraprendere per ricollocare a Taranto la Soprintendenza archeologica che la recente riforma del Ministero ha altrove allocato.
  Vorrei a tale proposito riferire quanto già ribadito in altra sede, anche direttamente dal Ministro Franceschini.
  Il nuovo assetto del Ministero non indebolirà minimamente l'azione di tutela.
  A cambiare sarà infatti soltanto l'organizzazione territoriale del Ministero che è stata ridisegnata, in tutta Italia, tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale, della dimensione dei territori e della presenza di altri uffici dirigenziali su una stessa area.
  Grazie a questo intervento si rafforzano, su tutto il territorio nazionale i presidi di tutela, soprattutto quelli archeologici, che passano da 17 a 39, e si semplifica il rapporto tra cittadini e amministrazione.
  Le nuove Soprintendenze che acquisiscono la denominazione di «Archeologia, Belle Arti e Paesaggio» rappresenteranno il Ministero con una sola voce e verranno strutturate in aree funzionali per garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela e assicurare la presenza di tutte le professionalità dei beni culturali. Ciascuna Soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di tutti gli aspetti di ogni singolo progetto, dalla tutela dei beni archeologici fino all'impatto paesaggistico, passando per le valutazioni di carattere artistico e architettonico.
  Un passo avanti che avrà effetti positivi anche per Taranto, su cui l'interesse del Governo permane altissimo e non viene certo ridotto dall'aver individuato la sede legale della nuova Soprintendenza unica a Lecce. Viene infatti mantenuto un presidio dirigenziale a Taranto presso il Museo Archeologico che ha una nuova Direttrice di alta professionalità sulla quale si ripone ampia e motivata fiducia per la valorizzazione del Museo e della città di Taranto.
  La città peraltro, manterrà comunque una sede operativa della soprintendenza, i cui funzionari archeologi potranno lavorare in stretto dialogo appunto con il MarTa per rilanciare con forza la vocazione culturale e turistica di Taranto.

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ALLEGATO 6

5-08118 Latronico: Sul rientro delle cosiddette tavole di Eraclea nel comune di Policoro.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'Onorevole Latronico mi chiede quali iniziative si intendano assumere per riportare a Policoro le Tavole di Eraclea, prezioso reperto archeologico rinvenuto nel febbraio del 1732 nel greto del fiume Cavone ed attualmente esposto nel Museo archeologico di Napoli, anche al fine di arricchire il patrimonio artistico di quella città e rafforzarne l'attrattività turistica.
  Al riguardo, posso far presente quanto segue. Il caso delle Tavole di Eraclea è assimilabile a tantissimi altri casi – si pensi al mosaico d'Orfeo scoperto a Cagliari nel 1762 e da allora esposto nel Museo archeologico di Torino, oggetto da ultimo di altro atto di sindacato ispettivo – che hanno visto per ragioni diverse opere d'arte venire collocate in sedi museali anche distanti dal luogo d'origine, sedi peraltro che ne hanno consentito la conoscenza e la valorizzazione.
  È questo il processo attraverso il quale si sono formate nella storia – per il confluire di filoni e percorsi diversi – le grandi collezioni museali di importanza internazionale, quale indubbiamente è il Museo archeologico di Napoli, uno dei più grandi, antichi e famosi Musei archeologici esistenti al mondo, assimilabile per la ricchezza e la varietà delle collezioni che lo hanno formato ad altri grandi musei europei quali il Louvre, British o i Vaticani.
  Voluto dalla dinastia borbonica nel ’700, esso, oltre ai materiali provenienti dagli scavi delle aree vesuviane, raccoglie sia reperti di diversa provenienza, frutto del collezionismo settecentesco – quali ad esempio la celeberrima collezione Farnese, pervenuta a Carlo di Borbone dalla madre Elisabetta Farnese e comprendente gruppi statuari colossali di provenienza romana o eccelse raccolte di glittica a loro volta formate già nel ’500 a Firenze dai Medici, o la collezione Borghi, o quella egizia – sia quelli provenienti da scavi e scoperte effettuati su tutto il territorio del Regno di Napoli e poi delle Due Sicilie, quali ad esempio la Tomba di Ruvo o, appunto, le tavole di Heraclea.
  Detto documento opistografo, ovvero scritto anche sul suo rovescio, come correttamente ricorda l'Onorevole interrogante, oltre a contenere due decreti in greco della fine del IV secolo concernenti le ripartizioni amministrative di due templi posti nel territorio di Heraclea, reca al verso la c.d. lex luna municipalis, che dà notizie precise, oltre che di regolamenti inerenti la città di Roma, dell'organizzazione da questa assegnata all'amministrazione delle città del mondo romano.
  I problemi giuridici ed esegetici posti da quest'ultimo testo hanno alimentato una vastissima letteratura scientifica, nella quale il documento è stato da sempre associato col Museo di Napoli.
  Le competenti Direzioni generali del Ministero, riflettendo un consolidato orientamento culturale e scientifico, hanno sempre ritenuto inopportuno rimettere in discussione l'integrità delle collezioni storicizzate, sia pubbliche che private, i cui processi formativi rappresentano essi stessi un valore dai tutelare, e pertanto si sono sempre espresse in difesa di una conservazione integrale delle stesse, opponendosi a richieste di sottrazione di parti o singoli oggetti appartenenti alle stesse.
  Anche nel caso delle tavole di Heraclea, dunque, la Direzione generale Archeologia Pag. 170ha espresso la raccomandazione di non sottrarre l'insigne opera alla collezione museale che lo ha sino ad ora egregiamente ospitato e di cui è vanto. Si tratta di una valutazione espressa al più altro livello tecnico scientifico, dalla quale non si può prescindere.
  Tuttavia, tale indicazione può essere integrata dalla considerazione che la crescente sensibilità delle comunità locali verso il patrimonio culturale originato nei loro territori – sensibilità cui il presente così come altri atti di sindacato ispettivo danno testimonianza – rappresenta anch'essa un valore meritevole di attenzione e di risposta. A tal fine, desidero far presente all'Onorevole interrogante che già ora il Codice dei Beni Culturali e le stesse buone prassi museali soccorrono, offrendo strumenti per conciliare le diverse istanze.
  Si possono infatti mettere allo studio ipotesi di prestito temporaneo per progetti espositivi e didattici di qualità, fondate sulla collaborazione fra il Museo di Napoli, il Museo di Policoro e le altre istituzioni interessate, che vedano le Tavole collocate per periodi determinati a Policoro, ferma restando naturalmente la prioritaria esigenza di tutela delle opere stesse.
  Le più moderne tecnologie, infine, rendono realistica e fortemente attrattiva anche l'ipotesi di una riproduzione fedele dell'opera che potrebbe fruttuosamente essere allocata – insieme a un adeguato supporto illustrativo multimediale – nel Museo di Policoro.