CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 5 agosto 2015
498.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Agricoltura (XIII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Disposizioni in materia di agricoltura sociale.
(C. 303-760-903-1019-1020-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato).

PROPOSTE EMENDATIVE

ART. 2.

  Al comma 1, lettera a), sopprimere le parole: e 4) e, alla lettera d), sopprimere le seguenti parole:, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.
2. 1. L'Abbate, Gagnarli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, Lupo, Parentela.

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ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di agricoltura sociale.
(C. 303-760-903-1019-1020-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato).

ORDINI DEL GIORNO

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    il fenomeno emergente dell'agricoltura sociale è la risultante di almeno due movimenti sociali ed economici di grande rilevanza, a cui va dedicata, come la presente norma in effetti dedica, la massima attenzione;
    sono da annoverare in questo ambito attività svolte da una significativa rappresentanza di aziende agricole che, in virtù di significative sensibilità esistenti all'interno delle stesse ed in risposta a bisogni evidenziati dalle comunità e dai territori in cui queste sono inserite, hanno sviluppato servizi di natura sociale nei molteplici campi dell'educazione, della salute e della fragilità sociale ed in generale della tutela e della cura delle persone più deboli, con una innovativa proposta di servizi;
    sono altresì da annoverare in questo ambito attività di conduzione fondi, allevamento, trasformazione o altre attività agricole, realizzate da cooperative o altri soggetti sociali, nell'ambito delle loro attività di inserimento al lavoro o di cura di soggetti svantaggiati, ai sensi della normativa vigente;
    la legge in approvazione prevede che siano riconosciute come agricoltura sociale, pur in proporzione della sola quota di attività agricola, le sole cooperative sociali che, abbiano prodotto almeno il 30 per cento del loro fatturato con le attività agricole;
    detta scelta rischia di comportare come conseguenza che gran parte delle cooperative sociali che hanno in questi anni fatto la storia e creato l'idea stessa di agricoltura sociale nei fatti, non raggiungendo i requisiti richiesti, non siano, ai sensi della presente legge, riconosciute giuridicamente come agricoltura sociale;
    che vi sono nel settore importanti opportunità di crescita che è nell'interesse generale poter cogliere creando gli idonei strumenti normativi;
    che è interesse delle Istituzioni e dello stesso quadro normativo di interpretare compiutamente la realtà di fatto, e che, affinché ciò possa avvenire compiutamente, è necessario poter disporre in questo caso dei dati relativi alle cooperative sociali che svolgono attività agricola;

impegna il Governo

   a fornire alle competenti Commissioni agricoltura di Camera e Senato i dati relativi alle cooperative sociali che operano in agricoltura sviluppando un fatturato complessivo agricolo di almeno 7000 euro, che è la soglia di esonero per i piccoli imprenditori da alcuni adempimenti formali e sostanziali, e che per questo potrebbe rappresentare, dopo le opportune verifiche, un valido punto di riferimento.
0/303-760-903-1019-1020-B/XIII/1Taricco, Prina, Zanin, Cenni, Franco Bordo, Zaccagnini.

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  La XIII Commissione,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutata con favore la predisposizione di una normativa organica volta a disciplinare la multifunzionalità delle imprese agricole e il loro potenziale utilizzo per attività di integrazione e terapeutico-riabilitative;
    preso atto che nella programmazione 2014-2020 l'agricoltura sociale è una delle priorità inserite nell'Accordo di Partenariato nell'ottica di consentire un pieno utilizzo della multifunzionalità delle aziende agricole al fine di sperimentare modelli di welfare in grado di valorizzare il capitale sociale dei territori rurali;
    visto tuttavia che il provvedimento in parola considera attività di agricoltura sociale quelle dirette a realizzare l'inserimento socio lavorativo non soltanto di soggetti svantaggiati e disabili ma anche di lavoratori considerati svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, numero 4) del regolamento UE 651/2014, ovvero coloro che: non hanno un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; hanno un'età compresa tra i 15 e i 24 anni; non possiedono un diploma di scuola media superiore o professionale o hanno completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non hanno ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; hanno superato i 50 anni di età; vivono con una o più persone a carico; sono occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici, se appartengono al genere sottorappresentato; appartengono ad una minoranza etnica e hanno necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad una occupazione stabile;
    ritenuto che l'inclusione, tra i beneficiari, delle persone che, più che svantaggiate o disabili, si trovano semplicemente in una condizione di «ridotta contrattualità» trasforma di fatto le attività di agricoltura sociale in opportunità di inserimento lavorativo per soggetti non realmente svantaggiati, assegna all'agricoltura sociale una funzione più assistenziale che sociale in senso proprio ed espone al forte rischio di favorire utilizzi impropri delle possibilità di reclutamento agevolato di forza lavoro previste dalla legge,

impegna il Governo:

  nella emanazione del decreto di cui all'articolo 2, a predisporre stringenti modalità e requisiti minimi relativi alle attività di agricoltura sociale, al fine di consentire la fruizione delle stesse ai soggetti realmente bisognosi di attività di integrazione e terapeutico riabilitative e di escludere qualsiasi utilizzo improprio delle possibilità di reclutamento agevolato di forza lavoro previste alla legge.
0/303-760-903-1019-1020-B/XIII/2Gagnarli.

  La XIII Commissione,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutata con favore la predisposizione di una normativa organica volta a disciplinare la multifunzionalità delle imprese agricole e il loro potenziale utilizzo per attività di integrazione e terapeutico-riabilitative;
    preso atto che nella programmazione 2014-2020 l'agricoltura sociale è una delle priorità inserite nell'Accordo di Partenariato nell'ottica di consentire un pieno utilizzo della multifunzionalità delle aziende agricole al fine di sperimentare modelli di welfare in grado di valorizzare il capitale sociale dei territori rurali;
    visto tuttavia che il provvedimento in parola considera attività di agricoltura sociale quelle dirette a realizzare l'inserimento socio lavorativo non soltanto di soggetti svantaggiati e disabili ma anche di lavoratori considerati svantaggiati ai sensi Pag. 337dell'articolo 2, numero 4) del regolamento UE 651/2014, ovvero coloro che: non hanno un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; hanno un'età compresa tra i 15 e i 24 anni; non possiedono un diploma di scuola media superiore o professionale o hanno completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non hanno ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; hanno superato i 50 anni di età; vivono con una o più persone a carico; sono occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici, se appartengono al genere sottorappresentato; appartengono ad una minoranza etnica e hanno necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad una occupazione stabile;
    ritenuto che l'inclusione, tra i beneficiari, delle persone che, più che svantaggiate o disabili, si trovano semplicemente in una condizione di «ridotta contrattualità» trasforma di fatto le attività di agricoltura sociale in opportunità di inserimento lavorativo per soggetti non realmente svantaggiati, assegna all'agricoltura sociale una funzione più assistenziale che sociale in senso proprio ed espone al forte rischio di favorire utilizzi impropri delle possibilità di reclutamento agevolato di forza lavoro previste dalla legge,

impegna il Governo:

   nella emanazione del decreto di cui all'articolo 2, a predisporre stringenti modalità e requisiti minimi relativi alle attività di agricoltura sociale, al fine di consentire la fruizione delle stesse ai soggetti realmente bisognosi di attività di integrazione e terapeutico riabilitative e di escludere qualsiasi utilizzo improprio delle possibilità di reclutamento agevolato di forza lavoro previste dalla legge.
0/303-760-903-1019-1020-B/XIII/2. (Nuova formulazione)Gagnarli.

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ALLEGATO 3

Risoluzioni 7-00719 Oliverio, 7-00721 Schullian, 7-00727 Gallinella, 7-00732 Fedriga, 7-00735 Catanoso e 7-00737 Franco Bordo: Sull'etichettatura e sulla tutela delle produzioni lattiero-casearie nazionali.

NUOVA FORMULAZIONE DELLA RISOLUZIONE OLIVERIO N. 7-00719

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori stabilendo che le indicazioni relative al Paese d'origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale Paese d'origine o luogo di provenienza del prodotto. Inoltre, prevede che in etichetta si debba evidenziare il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento quando questo è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario oppure quando il Paese d'origine o il luogo di provenienza dell'ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell'alimento;
    per alcuni alimenti, l'articolo 26 del regolamento prevede l'indicazione obbligatoria dell'origine (per esempio, per le carni bovine, suine, ovine e avicole), mentre per il latte, il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari, gli alimenti non trasformati, i prodotti a base di un unico ingrediente e gli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento prevede che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio delle relazioni sulla applicabilità e sulla opportunità dell'indicazione obbligatoria;
    per tale ragione nel corso del 2014, la Commissione europea ha commissionato uno studio, che ha previsto indagini e studi di casi su consumatori, operatori del settore alimentare e autorità competenti degli Stati membri, nonché l'analisi di altre fonti disponibili nel settore e il 20 maggio 2015 ha pubblicato due distinte relazioni presentate al Consiglio dei ministri dell'agricoltura del 16 giugno 2015:
    la prima tratta l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento;
    la seconda riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine del latte, del latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili;
    le relazioni ipotizzano tre scenari in ordine all'indicazione obbligatoria dell'origine:
    mantenimento dello status quo normativo (etichettatura di origine volontaria);
    introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria con indicazione a livello di UE/NON UE o Paese terzo;
    introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria a livello di Stato membro/Paese terzo;
    a parere della Commissione europea, per entrambe le relazioni, le informazioni sull'origine dei prodotti alimentari fornite facoltativamente dagli operatori Pag. 339costituirebbero per i consumatori una «valida opzione che non impone oneri supplementari all'industria e alle autorità»;
    secondo la Commissione, l'etichettatura di origine obbligatoria comporterebbe maggiori, quanto imprecisati, oneri per la maggior parte dei prodotti esaminati e, pertanto, il problema consisterebbe nel valutare se l'equilibrio tra costi e benefici sia tale da giustificare l'indicazione obbligatoria medesima;
    più specificatamente, per il settore del latte, nonostante i consumatori abbiano mostrato interesse per l'origine del prodotto con indicazione dello Stato membro, a parere della Commissione la disponibilità a pagare un prezzo maggiore per avere tali informazioni sarebbe modesta;
    una recente consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha evidenziato, invece, che i consumatori italiani vogliono conoscere sempre l'origine delle materie prime. In particolare, su alcuni prodotti: sul latte fresco (il 95 per cento degli intervistati), sui prodotti lattiero-caseari, come yogurt e formaggi (il 90 per cento, degli intervistati). Inoltre, l'82 per cento di coloro che si sono espressi ha dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell'origine e della provenienza del prodotto;
    anche nel caso del latte da consumo, ove i costi per l'indicazione di origine obbligatoria sarebbero piuttosto modesti, il rapporto non ne propone l'attuazione perché l'impatto tra gli operatori non sarebbe uniforme; alcuni di questi sarebbero, secondo il report presentato dalla Commissione, costretti ad introdurre ulteriori sistemi di rintracciabilità, con un aumento significativo dei costi, soprattutto per le aziende ubicate nelle regioni frontaliere o nelle zone non autosufficienti nel settore del latte;
    l'etichettatura dei prodotti alimentari si dimostra un tema sempre più sensibile nel rapporto tra Italia e Unione Europea, considerato che la prima vanta un'eccellenza nella produzione dei prodotti agroalimentari che non ha pari negli altri Paesi mentre la seconda resta tuttora ancorata ad un concetto di tutela della libera concorrenza imperniato nel rendere obbligatorie solo le indicazioni necessarie per distinguere le proprietà organolettiche dello stesso prodotto, a discapito dell'importanza che il consumatore attribuisce alle indicazioni relative alla provenienza e alle caratteristiche del processo produttivo del bene posto in vendita;
    da ultimo la Commissione europea ha contestato all'Italia la legittimità delle disposizioni contenute nella legge n.138 del 1974, che impongono ai produttori italiani di formaggio, a differenza di altri Paesi, di usare esclusivamente il latte nella loro produzione, proibendo l'uso di succedanei e vietando la detenzione, la produzione e la vendita di prodotti caseari preparati utilizzando latte in polvere;
    la mobilitazione di questi giorni e l'intervento del Ministro, sostenuto dalle petizioni lanciate da Coldiretti, da Slow Food e altri, hanno indotto la Commissione europea a concedere una proroga fino al 29 settembre 2015 del termine di risposta alla lettera di «diffida» sull'infrazione n.4170 che riguarda appunto la richiesta all'Italia di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari;
    l'indicazione dell'origine della materia agricola prevalente rappresenta una condizione fondamentale per informare correttamente il consumatore; un'informazione di questo tipo è necessaria, in nome del principio della trasparenza e non si pone in conflitto con le norme che regolano il libero mercato;
    nel caso del latte destinato al consumo diretto, i vari sistemi di etichettatura volontaria utilizzati da diversi Paesi membri dell'Unione europea, per quanto non uniformi, evidenziano l'importanza attribuita dai consumatori all'indicazione dell'origine della materia prima;
    tra l'altro, rendere obbligatoria l'indicazione dell'origine del latte destinato al Pag. 340consumo non comporterebbe alcun aumento di costi, tenuto conto delle regole attualmente in vigore, peraltro frutto della fine del regime delle quote, e i problemi segnalati dalle relazioni sono facilmente superabili senza costi aggiuntivi;
    il consumatore europeo si trova, oggi, nell'assurda situazione di non poter conoscere se un formaggio è prodotto con latte fresco o con latte in polvere, in quanto nelle etichette questa informazione non è prevista; in aggiunta, l'Italia si trova in una procedura di infrazione, in quanto la normativa nazionale non consente l'utilizzo di latte in polvere per la produzione di formaggio;
    si tratta di una situazione inaccettabile, perché da una parte non si consente all'Italia di salvaguardare una tradizione casearia millenaria, e dall'altra si impedisce di informare correttamente il consumatore, il quale sarebbe molto interessato a sapere se la principale materia utilizzata nella produzione di formaggi o di yogurt sia costituita da latte fresco o da latte in polvere;
    alla luce di quanto sopra esposto le conclusioni delle relazioni della Commissione, in particolare quella sul latte sono molto deludenti e assolutamente non condivisibili. Il nostro Paese non può accettare il mantenimento dello status quo che non soddisfa le aspettative dei consumatori, desiderosi di informazioni chiare e trasparenti, non creando favorevoli condizioni di competitività alle imprese italiane, le quali sono pronte ad organizzarsi al meglio per fronteggiare le sfide di un mercato globale;
    il Governo italiano sostiene da tempo che l'indicazione obbligatoria di origine dei prodotti agricoli ed alimentari deve costituire una priorità per le politiche dell'Unione europea, poiché si tratta di una grande opportunità per le imprese europee, ma anche di un fondamentale principio di concorrenza dei mercati – dove la competitività passa necessariamente anche attraverso azioni serie ed incisive di contrasto alle frodi – e di trasparenza per i consumatori;
    da molti anni l'Italia ha come priorità politica l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima in etichetta e per tale motivo nel corso degli anni sono state emanate diverse normative in materia;
    in particolare, la legge n. 4 del 2011 prevede l'obbligatorietà dell'indicazione di origine dell'ingrediente primario per i prodotti alimentari trasformati, da realizzarsi attraverso l'emanazione di appositi decreti da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. L'attuazione di tale legge è attualmente sospesa in attesa dell'emanazione, a livello europeo, degli atti esecutivi della Commissione europea in materia di indicazione dell'origine dell'ingrediente primario, che la Commissione europea non ha ancora adottato, malgrado il termine originariamente previsto al 13 dicembre 2014 (articolo 26, paragrafo 3, regolamento (UE) n. 1169/2011);
    inoltre, già dal 2004 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha previsto l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima nel caso del latte fresco, ma i tentativi di allargare anche al latte UHT tale previsione sono falliti, poiché nel frattempo è cambiata la normativa europea e l'iter di emanazione di norme nazionali è diventato molto più complesso;
    con il decreto-legge n. 91 del 2014 il Governo ha quindi avviato per alcuni prodotti, tra cui il latte e i prodotti lattiero-caseari, il procedimento previsto dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, che consente di normare l'indicazione dell'origine nei casi di protezione del consumatore dalle frodi, previa consultazione pubblica e dimostrazione del nesso tra territorio e produzione del prodotto;
    attualmente il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha concluso con successo la consultazione pubblica alla quale affiancherà un'indagine a valenza statistica e procederà con il CRA allo studio del legame con il territorio;Pag. 341
    un'altra iniziativa messa in campo per valorizzare l'indicazione dell'origine in etichetta è il logo «Latte 100 per cento italiano». Si tratta di un marchio collettivo geografico facoltativo, di proprietà di Unioncamere;
    è quindi necessario – date le peculiarità delle produzioni agroalimentari italiane – proseguire nello sforzo di allargare la platea dei prodotti e degli alimenti sottoposti all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, pur nella valutazione attenta e puntuale delle possibili criticità che potrebbero emergere in alcuni settori, in particolare quelli degli alimenti trasformati e non trasformati;
    la storica posizione dell'Italia sul tema, come delineata nelle premesse che precedono, trova tuttavia opposizione in alcuni settori economici e istituzionali che condividono le sollecitazioni della Commissione europea a favore dell'etichettatura d'origine facoltativa;
    tra le ipotesi più in linea con la posizione della Commissione europea, condivise anche da alcune istituzioni centrali, vi è quella secondo cui sarebbe preferibile un approccio settoriale, che consenta l'estensione del regime di etichettatura d'origine obbligatoria eventualmente ai soli prodotti di cui all'articolo 26, paragrafo 5, lettera a), quali carni minori (cavallo, coniglio, selvaggina) fresche confezionate che residuano rispetto a quelle per le quali l'obbligo è già disciplinato (carni bovine, suine, ovine e di volatili) ed il latte da bere di cui alla lettera b) del regolamento (UE) n. 1169/2015;
    secondo tale orientamento, con riguardo agli alimenti non trasformati, si ritiene che vada effettuata un'analisi caso per caso, valutando l'impatto che gli eventuali nuovi obblighi avrebbero sulla produzione, e si esprime parere contrario all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima per i prodotti trasformati;
    in sostanza, tale posizione si porrebbe in contrasto con qualsiasi norma generale che imponga l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, e, in particolare, quando la norma generale riguardi alimenti trasformati, ponendosi in tal modo in contraddizione con gli impegni più volte assunti dal Governo anche in sede parlamentare;
    vanno considerate l'importanza dell'etichettatura per i produttori e i consumatori italiani e l'importanza essenziale di un maggiore coordinamento istituzionale delle iniziative e delle decisioni a tutela degli interessi italiani in campo agroalimentare,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le opportune iniziative in sede europea affinché la Commissione europea non si limiti a fare proprie le indicazioni derivanti dalle due relazioni di cui in premessa, considerando seriamente le esigenze espresse dalla maggioranza dei consumatori e dei produttori del settore agricolo, in materia di origine dei prodotti, con particolare riferimento al latte;
   a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari e sostenendo, nelle forme ritenute più efficaci, le disposizioni contenute nella legge n. 138 del 1974, volte a garantire una migliore e più elevata qualità delle produzioni lattiero-casearie italiane.
(7-00719)
(nuova formulazione) «Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».

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ALLEGATO 4

Risoluzioni 7-00719 Oliverio, 7-00721 Schullian, 7-00727 Gallinella, 7-00732 Fedriga, 7-00735 Catanoso e 7-00737 Franco Bordo: Sull'etichettatura e sulla tutela delle produzioni lattiero-casearie nazionali

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori stabilendo che le indicazioni relative al Paese d'origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale Paese d'origine o luogo di provenienza del prodotto. Inoltre, prevede che in etichetta si debba evidenziare il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento quando questo è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario oppure quando il Paese d'origine o il luogo di provenienza dell'ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell'alimento;
    per alcuni alimenti, l'articolo 26 del regolamento prevede l'indicazione obbligatoria dell'origine (per esempio, per le carni bovine, suine, ovine e avicole), mentre per il latte, il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari, gli alimenti non trasformati, i prodotti a base di un unico ingrediente e gli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento prevede che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio delle relazioni sulla applicabilità e sulla opportunità dell'indicazione obbligatoria;
    per tale ragione nel corso del 2014, la Commissione europea ha commissionato uno studio, che ha previsto indagini e studi di casi su consumatori, operatori del settore alimentare e autorità competenti degli Stati membri, nonché l'analisi di altre fonti disponibili nel settore e il 20 maggio 2015 ha pubblicato due distinte relazioni presentate al Consiglio dei ministri dell'agricoltura del 16 giugno 2015:
    la prima tratta l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento;
    la seconda riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine del latte, del latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili;
    le relazioni ipotizzano tre scenari in ordine all'indicazione obbligatoria dell'origine:
     mantenimento dello status quo normativo (etichettatura di origine volontaria);
     introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria con indicazione a livello di UE/NON UE o Paese terzo;
     introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria a livello di Stato membro/Paese terzo;
    a parere della Commissione europea, per entrambe le relazioni, le informazioni sull'origine dei prodotti alimentari fornite facoltativamente dagli operatori costituirebbero per i consumatori una «valida opzione che non impone oneri supplementari all'industria e alle autorità»;Pag. 343
    secondo la Commissione, l'etichettatura di origine obbligatoria comporterebbe maggiori, quanto imprecisati, oneri per la maggior parte dei prodotti esaminati e, pertanto, il problema consisterebbe nel valutare se l'equilibrio tra costi e benefici sia tale da giustificare l'indicazione obbligatoria medesima;
    più specificatamente, per il settore del latte, nonostante i consumatori abbiano mostrato interesse per l'origine del prodotto con indicazione dello Stato membro, a parere della Commissione la disponibilità a pagare un prezzo maggiore per avere tali informazioni sarebbe modesta;
    una recente consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha evidenziato, invece, che i consumatori italiani vogliono conoscere sempre l'origine delle materie prime. In particolare, su alcuni prodotti: sul latte fresco (il 95 per cento degli intervistati), sui prodotti lattiero-caseari, come yogurt e formaggi (il 90 per cento, degli intervistati). Inoltre, l'82 per cento di coloro che si sono espressi ha dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell'origine e della provenienza del prodotto;
    occorre impostare una politica di ricerca scientifica sul differente livello di salubrità degli alimenti in ragione delle differenti modalità produttive;
    anche nel caso del latte da consumo, ove i costi per l'indicazione di origine obbligatoria sarebbero piuttosto modesti, il rapporto non ne propone l'attuazione perché l'impatto tra gli operatori non sarebbe uniforme; alcuni di questi sarebbero, secondo il report presentato dalla Commissione, costretti ad introdurre ulteriori sistemi di rintracciabilità, con un aumento significativo dei costi, soprattutto per le aziende ubicate nelle regioni frontaliere o nelle zone non autosufficienti nel settore del latte;
    l'etichettatura dei prodotti alimentari si dimostra un tema sempre più sensibile nel rapporto tra Italia e Unione Europea, considerato che la prima vanta un'eccellenza nella produzione dei prodotti agroalimentari che non ha pari negli altri Paesi mentre la seconda resta tuttora ancorata ad un concetto di tutela della libera concorrenza imperniato nel rendere obbligatorie solo le indicazioni necessarie per distinguere le proprietà organolettiche dello stesso prodotto, a discapito dell'importanza che il consumatore attribuisce alle indicazioni relative alla provenienza e alle caratteristiche del processo produttivo del bene posto in vendita;
    il Regolamento UE n.1169/2011 prevede che tra le informazioni obbligatorie importanti non venga menzionata l'indicazione dello stabilimento di produzione e di confezionamento della merce. La nostra normativa interna, che invece ne prevedeva l'obbligo, a seguito di questo Regolamento europeo è conseguentemente non più applicabile e quindi ora l'indicazione rimarrà è solo facoltativa per il produttore;
    da ultimo la Commissione europea ha contestato all'Italia la legittimità delle disposizioni contenute nella legge n.138 del 1974, che impongono ai produttori italiani di formaggio il divieto di detenzione di latte in polvere negli stabilimenti nei quali si producono formaggi;
    la produzione dei formaggi può essere fatta con diverse materie prime, sia in Italia che in UE, infatti si può usare sia latte fresco che cagliate oppure cagliate congelate o semi-lavorati;
    mentre in Italia è vietato l'uso di latte in polvere per trasformarlo in formaggi o prodotti lattiero-caseari, nelle altre nazioni europee è possibile produrre formaggi con latte in polvere. Questi formaggi prodotti con latte in polvere possono arrivare sulla tavola dei consumatori italiani senza che essi ne siano consapevoli;
    la Commissione europea ha concesso, su richiesta del Governo, una proroga fino al 29 settembre 2015 del termine di risposta alla lettera di «diffida» sull'infrazione n.4170 che riguarda appunto la richiesta all'Italia di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari;Pag. 344
    ancorché un adeguamento del diritto nazionale a quello comunitario, come chiesto da Bruxelles, non riguarda le produzioni DOP e IGP per le quali non sarà mai possibile un utilizzo di materie prime diverse da quelle indicate nei rispettivi disciplinari, la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, concentrato o ricostituito, per la produzione di formaggi e yogurt, rappresenterebbe senza dubbio una soluzione al ribasso che rischia di compromettere la qualità di oltre 400 produzioni nazionali, in gran parte formaggi, la cui specificità ed originalità sta proprio nella qualità della materia prima utilizzata, ovvero il latte, oltre che nel valore dei saperi e dei territori;
    una simile previsione danneggerebbe irrimediabilmente il patrimonio agroalimentare italiano frutto di una attenzione particolare alla qualità delle materie prime impiegate ed appare invece sostenere gli interessi delle multinazionali dell'industria alimentare e di una concezione di cibo come merce disponibile a basso prezzo;
    l'indicazione dell'origine della materia agricola prevalente rappresenta una condizione fondamentale per informare correttamente il consumatore; un'informazione di questo tipo è necessaria, in nome del principio della trasparenza e non si pone in conflitto con le norme che regolano il libero mercato;
    nel caso del latte destinato al consumo diretto, i vari sistemi di etichettatura volontaria utilizzati da diversi Paesi membri dell'Unione europea, per quanto non uniformi, evidenziano l'importanza attribuita dai consumatori all'indicazione dell'origine della materia prima;
    tra l'altro, rendere obbligatoria l'indicazione dell'origine del latte destinato al consumo non comporterebbe alcun aumento di costi, tenuto conto delle regole attualmente in vigore, peraltro frutto della fine del regime delle quote, e i problemi segnalati dalle relazioni sono facilmente superabili senza costi aggiuntivi;
    il consumatore europeo si trova, oggi, nell'assurda situazione di non poter conoscere se un formaggio è prodotto con latte fresco o con latte in polvere, in quanto nelle etichette questa informazione non è prevista; in aggiunta, l'Italia si trova in una procedura di infrazione, in quanto la normativa nazionale non consente l'utilizzo di latte in polvere per la produzione di formaggio;
    si tratta di una situazione inaccettabile, perché da una parte non si consente all'Italia di salvaguardare una tradizione casearia millenaria, e dall'altra si impedisce di informare correttamente il consumatore, il quale sarebbe molto interessato a sapere se la principale materia utilizzata nella produzione di formaggi o di yogurt sia costituita da latte fresco o da latte in polvere;
    alla luce di quanto sopra esposto le conclusioni delle relazioni della Commissione, in particolare quella sul latte sono molto deludenti e assolutamente non condivisibili. Il nostro Paese non può accettare il mantenimento dello status quo che non soddisfa le aspettative dei consumatori, desiderosi di informazioni chiare e trasparenti, non creando favorevoli condizioni di competitività alle imprese italiane, le quali sono pronte ad organizzarsi al meglio per fronteggiare le sfide di un mercato globale;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sostiene da tempo che l'indicazione obbligatoria di origine dei prodotti agricoli ed alimentari deve costituire una priorità per le politiche dell'Unione europea, poiché si tratta di una grande opportunità per le imprese europee, ma anche di un fondamentale principio di concorrenza dei mercati – dove la competitività passa necessariamente anche attraverso azioni serie ed incisive di contrasto alle frodi – e di trasparenza per i consumatori;
    da molti anni l'Italia ha come priorità politica l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima in etichetta e per tale motivo nel corso degli anni sono state emanate diverse normative in materia;
    in particolare, la legge n. 4 del 2011 prevede l'obbligatorietà dell'indicazione di origine dell'ingrediente primario per i prodotti Pag. 345alimentari trasformati, da realizzarsi attraverso l'emanazione di appositi decreti da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. L'attuazione di tale legge è attualmente sospesa in attesa dell'emanazione, a livello europeo, degli atti esecutivi della Commissione europea in materia di indicazione dell'origine dell'ingrediente primario, che la Commissione europea non ha ancora adottato, malgrado il termine originariamente previsto al 13 dicembre 2014 (articolo 26, paragrafo 3, regolamento (UE) n. 1169/2011);
    inoltre, già dal 2004 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha previsto l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima nel caso del latte fresco, ma i tentativi di allargare anche al latte UHT tale previsione sono falliti, poiché nel frattempo è cambiata la normativa europea e l'iter di emanazione di norme nazionali è diventato molto più complesso;
    con il decreto-legge n. 91 del 2014 il Governo ha quindi avviato per alcuni prodotti, tra cui il latte e i prodotti lattiero-caseari, il procedimento previsto dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, che consente di normare l'indicazione dell'origine nei casi di protezione del consumatore dalle frodi, previa consultazione pubblica e dimostrazione del nesso tra territorio e produzione del prodotto;
    attualmente il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha concluso con successo la consultazione pubblica alla quale affiancherà un'indagine a valenza statistica e procederà con il CREA allo studio del legame con il territorio;
    un'altra iniziativa messa in campo per valorizzare l'indicazione dell'origine in etichetta è il logo «Latte 100 per cento italiano». Si tratta di un marchio collettivo geografico facoltativo, di proprietà di Unioncamere;
    è quindi necessario – date le peculiarità delle produzioni agroalimentari italiane – proseguire nello sforzo di allargare la platea dei prodotti e degli alimenti sottoposti all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, pur nella valutazione attenta e puntuale delle possibili criticità che potrebbero emergere in alcuni settori, in particolare quelli degli alimenti trasformati e non trasformati;
    la storica posizione dell'Italia sul tema, come delineata nelle premesse che precedono, trova tuttavia opposizione in alcuni settori economici e istituzionali che condividono le sollecitazioni della Commissione europea a favore dell'etichettatura d'origine facoltativa;
    tra le ipotesi più in linea con la posizione della Commissione europea, condivise anche da alcune istituzioni centrali, vi è quella secondo cui sarebbe preferibile un approccio settoriale, che consenta l'estensione del regime di etichettatura d'origine obbligatoria eventualmente ai soli prodotti di cui all'articolo 26, paragrafo 5, lettera a), quali carni minori (cavallo, coniglio, selvaggina) fresche confezionate che residuano rispetto a quelle per le quali l'obbligo è già disciplinato (carni bovine, suine, ovine e di volatili) ed il latte da bere di cui alla lettera b) del regolamento (UE) n. 1169/2011;
    secondo tale orientamento, con riguardo agli alimenti non trasformati, si ritiene che vada effettuata un'analisi caso per caso, valutando l'impatto che gli eventuali nuovi obblighi avrebbero sulla produzione, e si esprime parere contrario all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima per i prodotti trasformati;
    in sostanza, tale posizione si porrebbe in contrasto con qualsiasi norma generale che imponga l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, e, in particolare, quando la norma generale riguardi alimenti trasformati, ponendosi in tal modo in contraddizione con gli impegni più volte assunti dal Governo anche in sede parlamentare;
    vanno considerate l'importanza dell'etichettatura per i produttori e i consumatori italiani e l'importanza essenziale di un maggiore coordinamento istituzionale delle iniziative e delle decisioni a tutela degli interessi italiani in campo agroalimentare;
    la trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, Pag. 346Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è, un appuntamento determinante anche per tutelare le produzioni agro-alimentari italiane dalla contraffazione alimentare e dal cosiddetto fenomeno dell’italian sounding molto diffuso sul mercato statunitense;

impegna il Governo:

    ad adottare tutte le opportune iniziative in sede europea affinché la Commissione europea non si limiti a fare proprie le indicazioni derivanti dalle due relazioni di cui in premessa, considerando seriamente le esigenze espresse dalla maggioranza dei consumatori e dei produttori del settore agricolo, in materia di origine dei prodotti, con particolare riferimento al latte;
    a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari;
    e ad intraprendere ogni utile azione volta a tutelare le produzioni lattiero-casearie italiane non certificate DOP ed IGP in modo da mantenere in vigore le disposizioni recate dalla legge n. 138 del 1974;
    ad assumere iniziative volte alla revisione del regolamento (UE) n.1169/2011 per introdurre l'obbligo di indicazione in etichetta di quante più informazioni possibili relativamente ai prodotti lattiero-caseari, con particolare riguardo all'utilizzo di latte fresco o cagliate o cagliate congelate o semilavorati nel prodotto iniziale e all'indicazione della presenza o meno di furosina, ovvero ad individuare ogni utile misura, tenuto conto della compatibilità con il diritto comunitario, che sancisca l'obbligo, almeno a livello nazionale, di tali indicazioni;
    ad adottare le opportune iniziative, nel rispetto della normativa europea al fine di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori;
    ad adottare nel rispetto della vigente normativa europea i decreti attuativi, ad oggi non ancora adottati, della legge n. 4 del 2011 col fine di definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine, rendendo obbligatoria l'indicazione del Paese di origine delle materie prime in tutti i prodotti alimentari anche alla luce dei risultati della consultazione pubblica;
    ad assumere iniziative per introdurre per il latte fresco e quello a media e lunga conservazione l'etichettatura del luogo di origine, di provenienza e dello stabilimento di produzione e confezionamento, affinché il «latte 100 per cento italiano» e i suoi derivati, siano opportunamente valorizzati per gli elevati standard di qualità e di salubrità nel mercato europeo e mondiale;
    a promuovere uno sforzo congiunto di produttori, mondo della ricerca e parte pubblica per produrre un'adeguata documentazione scientifica quale base necessaria per una rivisitazione del quadro complessivo entro cui si colloca la politica agricola comunitaria;
    ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni DOP e IGP, in particolare dei prodotti di eccellenza italiani, continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea;
(8-00132) «Oliverio, Schullian, Gallinella, Fedriga, Catanoso, Franco Bordo, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dadone, Dal Moro, Fiorio, Gagnarli, L'Abbate, Lavagno, Lupo, Marrocu, Mongiello, Palma, Parentela, Pili, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Zaccagnini».

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ALLEGATO 5

Interrogazione 5-06221 Cenni: Sull'utilizzo della graduatoria del concorso del 29 novembre 2011 del Corpo forestale dello Stato

TESTO DELLA RISPOSTA

  Si ritiene necessario in premessa ribadire l'importanza del rafforzamento delle professionalità a servizio delle tutele ambientali e agroalimentari, obiettivo al quale rispondeva anche il concorso citato dall'interrogante.
  L'ampliamento dei posti assegnabili rientra nei programmi dell'Amministrazione, che potrà provvedere quando matureranno i relativi presupposti di legge, logistici, economico-finanziari. Questo in considerazione del limite posto dalla dotazione organica del ruolo degli ispettori prevista dalla legge, nonché del limite posto dai provvedimenti di autorizzazione annuale alle assunzioni, rilasciati dalle autorità competenti nel ristretto ambito previsto dalla normativa del «turnover». La citata normativa ha carattere generale per il Comparto delle Forze di Polizia ed esclude, quindi, la possibilità di autorizzazioni annuali alle assunzioni per unità eccedenti quelle cessate dal servizio nell'anno precedente o, addirittura, eccedenti certe quote di tali cessazioni.
  È necessario anche precisare che riguardo al concorso in parola risultano tutt'ora pendenti dinanzi al Tar Lazio due ricorsi presentati per errato calcolo dei posti e delle percentuali di riserva in favore di personale interno. Pertanto, per motivi di opportunità è necessario attendere la definizione del relativo merito prima di procedere ad un eventuale ulteriore ampliamento della graduatoria.
  Il processo andrà comunque allineato al lavoro di potenziamento e riorganizzazione previsto dalla riforma della Pubblica Amministrazione proprio ieri approvata dal Parlamento in via definitiva.
  Per quanto concerne la possibilità di utilizzare le graduatorie concorsuali approvate da altri Ministeri preciso che, in attesa dell'emanazione del Regolamento di cui all'articolo 9 della legge n. 3 del 2003, le Amministrazioni pubbliche, in linea con le limitazioni ivi previste, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre Amministrazioni, previo accordo tra le stesse.
  L'utilizzo di graduatorie di altre Amministrazioni rientra sicuramente tra le facoltà, previa verifica della coerenza, anche in termini di equivalenza, tra il profilo professionale da assumere e quello oggetto della procedura selettiva espletata da altra Amministrazione.

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ALLEGATO 6

Interrogazione 5-06218 Catanoso: Sulla crisi del settore vivaistico determinatosi a seguito dell'infezione da Xylella fastidiosa

TESTO DELLA RISPOSTA

  La complessa gestione dell'emergenza fitosanitaria legata alla diffusione del batterio da quarantena Xylella fastidiosa in Puglia ha visto il Governo, l'Unione europea e le istituzioni locali impegnate fin dal momento del ritrovamento. In questi mesi di lavoro sono state effettuate oltre 33 mila analisi, come certificato dalla «Relazione sullo stato di attuazione delle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa in Italia» che abbiamo inviato alla Commissione europea il 6 luglio, che hanno portato a dichiarare il territorio italiano indenne da Xylella, ad eccezione delle province di Lecce e Taranto.
  Nessun altro Paese europeo ha messo in campo un così ampio sistema di analisi e su questa base stiamo lavorando sotto il profilo diplomatico per superare alcuni ostacoli che stanno danneggiando, senza giustificato motivo il nostro comparto florovivaistico. Al fine di contrastare tali misure restrittive, il Ministero è in costante contatto con i Servizi della Commissione europea per affrontare la questione con i singoli Paesi coinvolti. Le limitazioni adottate dalla Francia nei confronti delle piante da piantagione nazionali sono state eliminate in applicazione della Decisione (UE) 2015/789. Si fa presente poi che, in virtù del citato lavoro diplomatico, negli ultimi giorni l'Algeria ha eliminato il blocco per le piantine di fragola, mentre l'Albania applica il blocco solo per le piante di olivo provenienti dall'intera regione Puglia. Siamo inoltre intervenuti anche per risolvere il problema rappresentato dall'inserimento nella lista delle piante «specificate» come ospiti di Xylella del materiale di moltiplicazione della vite. Abbiamo svolto le analisi previste a livello internazionale in questi casi e che hanno richiesto 12 mesi di lavoro. Il periodo di osservazione, necessario a verificare l'evoluzione del batterio nella pianta, è terminato a fine luglio ed è ora possibile effettuare le osservazioni sugli isolati batterici estratti dalle piante sottoposte a prove e concludere ufficialmente il test. Alla fine di agosto sarà, quindi, possibile completare il dossier da sottoporre alla Commissione europea per richiedere lo stralcio della vite dall'elenco delle «piante specificate».
  Per quanto riguarda le azioni che il Governo sta mettendo in campo per il contenimento della diffusione del batterio della Xylella fastidiosa, in attuazione alle misure richieste dall'Unione europea, è stato emanato il decreto ministeriale 19 giugno 2015, che rappresenta quindi la nuova base normativa per l'esecuzione degli interventi sul territorio nazionale. Il citato decreto, tra l'altro, ha incrementato le risorse umane e professionali a disposizione del Servizio fitosanitario nazionale per il contrasto della batteriosi. Il Consiglio dei ministri dello scorso 31 luglio ha poi stabilito la proroga per 180 giorni dello stato di emergenza in conseguenza della diffusione sul territorio della regione Puglia del batterio patogeno da quarantena Xylella fastidiosa.
  Vengono anche integrate le competenze del Commissario delegato nominato con l'ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile. Il Commissario potrà così proseguire nell'attuazione del Pag. 349piano, adottato anche per stralci, al fine di impedire l'ulteriore diffusione del batterio e gestire tutte le attività per raggiungere tale obiettivo.
  Faccio presente inoltre che, nelle more della definizione del nuovo piano generale, sono stati adottati i primi due stralci, che comprendono le prime azioni da effettuare sul territorio delle Provincie di Lecce e Brindisi, accentrando le attività in un unico soggetto ed incrementando così il coordinamento degli interventi.
  Il primo stralcio del piano, relativo agli abbattimenti delle piante infette nel comune di Oria, è stato già attuato e rappresenta la prima fase urgente di applicazione delle misure di eradicazione fuori dalla zona infetta.
  La decisione del Consiglio dei ministri rientra nel quadro più ampio di azioni che il Governo sta mettendo in campo nella gestione di questa emergenza fitosanitaria, a partire dall'attivazione per la prima volta in casi simili del Fondo di solidarietà nazionale con un primo stanziamento di 11 milioni per il ristoro dei danni subiti da agricoltori e vivaisti, che abbiano perso più del 30 per cento del valore della loro produzione.
  A livello nazionale si sta definendo un programma di ricerca molto ambizioso, a cui dovranno partecipare diverse istituzioni scientifiche e di ricerca, in particolare quelle pugliesi, con la creazione in Salento di un campo sperimentale dove testare le possibili soluzioni contro la fitopatia.