CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 23 aprile 2015
430.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-05349 Gebhard: Applicazione alle società di leasing del regime di esenzione dall'IVA delle cessioni di fabbricati su cui le stesse società abbiano realizzato interventi di costruzione o ristrutturazione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'onorevole interrogante chiede chiarimenti interpretativi in merito alla possibilità per le imprese di leasing che acquistano terreni edificabili o immobili in fase di costruzione di essere assoggettate al regime IVA di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 con riguardo alle operazioni di costruzione e ultimazione degli immobili anche ad uso abitativo, e, conseguentemente, di detrarre l'Iva sugli acquisti sostenuti per i menzionati lavori alla stregua delle imprese di costruzione e ristrutturazione.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  In deroga all'articolo 19 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 che prevede, come regola di carattere generale, il diritto alla detrazione dell'IVA per i beni e/o i servizi impiegati per realizzare operazioni imponibili, l'articolo 19-bis1, lettera i), del medesimo decreto stabilisce che «non è ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto di fabbricati, o di porzioni di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui al n. 8) dell'articolo 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell'articolo 19, comma 5, e dell'articolo 19-bis».
  La ratio di tale fattispecie di indetraibilità oggettiva – introdotta per ragioni di cautela fiscale – va ravvisata, in linea generale, nell'esigenza di evitare indebite detrazioni di imposta nei casi in cui i beni e/o i servizi acquistati siano suscettibili di essere utilizzati sia nell'attività d'impresa, sia per finalità estranee a tale attività.
  Coerentemente con la citata ratio, la limitazione del diritto alla detrazione dell'IVA assolta in relazione all'acquisto/locazione dei fabbricati medesimi, ovvero in relazione a beni e servizi acquistati per la manutenzione, recupero e gestione degli stessi, non si applica alle imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione di fabbricati abitativi in quanto, in tal caso, si presume che l'utilizzo dei beni e servizi acquistati rientri nell'attività d'impresa.
  Al fine di verificare se la fattispecie di indetraibilità oggettiva di cui all'articolo 19-bis1, lettera i), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, trovi o meno applicazione in relazione all'imposta assolta da una società di leasing (intestataria del provvedimento di concessione edilizia) sugli acquisti relativi alla costruzione e/o ultimazione di immobili ad uso abitativo, tramite appalto a terzi, è necessario accertare se la società di leasing possa essere assimilata alle «imprese costruttrici» nell'accezione utilizzata dal citato articolo 19-bis1, lettera i), del decreto n. 633 del 1972.Pag. 59
  È il caso di evidenziare, in proposito, che la nozione di «impresa costruttrice» di cui al citato articolo 19-bis1, lettera i) del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 non coincide con quella di cui all'articolo 10, comma 1, n. 8), 8-bis) e 8-ter), del medesimo decreto n. 633 del 1972.
  Infatti, per quanto riguarda la nozione di «impresa costruttrice» utilizzata da quest'ultima disposizione, si fa presente che la prassi amministrativa, elaborata con specifico riferimento al regime IVA di tassazione degli immobili (esenzione o imponibilità), ha adottato un'interpretazione più ampia rispetto a quella di cui all'articolo 19-bis1, lettera i) del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, tale da comprendere oltre ai soggetti ai quali risulta intestato il provvedimento amministrativo in forza del quale ha luogo la costruzione o la ristrutturazione del fabbricato, anche le imprese che realizzano i fabbricati avvalendosi di imprese terze per l'esecuzione dei lavori, ovvero quelle che svolgono tale attività occasionalmente.
  Diversamente, come innanzi precisato, le imprese costruttrici di cui all'articolo 19-bis1, lettera i) del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, coerentemente con la ratio di tale disposizione, sono solo quelle che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di costruzione di fabbricati abitativi.
  Ciò posto, tale peculiarità, connessa all'oggetto principale dell'attività esercitata, non è ravvisabile in capo ad una società di leasing la cui attività principale consiste nell'acquisto di fabbricati finalizzato alla successiva rivendita.
  Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la società di leasing non può essere assimilata alle «imprese costruttrici» di cui all'articolo 19-bis1, lettera i) del decreto della Repubblica n. 633 del 1972. La società di leasing non può, pertanto, recuperare l'IVA assolta in relazione alle spese di costruzione/rispristino di fabbricati abitativi per espressa indetraibilità oggettiva posta dall'articolo 19-bis1, lettera i) del 1972.
  Per completezza, si fa presente che per le società di leasing che concedono in locazione immobili abitativi in regime di esenzione ai sensi dell'articolo 10, n. 8, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e sono tenute ad operare una riduzione della percentuale di detrazione applicando il pro-rata di cui all'articolo 19-bis, non trova applicazione l'indetraibilità oggettiva di cui all'articolo 19-bis1, lettera i) per espressa previsione contenuta nella medesima norma.
  Ciò posto, è opportuno rilevare che sono in corso gli approfondimenti tecnici opportuni tesi a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina concernente l'ipotesi di indetraibilità oggettiva in argomento in modo tale da renderla maggiormente conforme al principio della neutralità dell'imposta sul valore aggiunto imposto dalla normativa comunitaria.

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ALLEGATO 2

5-05352 Sberna: Ripristino della detrazione fiscale per le spese di acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante rileva che l'articolo 1, comma 309, della legge 24 dicembre 1997, n. 244 (legge finanziaria 2008) aveva introdotto una detrazione fiscale dall'IRPEF, fino a concorrenza del suo ammontare, pari al 19 per cento delle spese sostenute per l'acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale ed interregionale, nel limite massimo di euro 250 e che, a causa della mancata riproposizione dell'agevolazione in commento con la legge 23 dicembre 2009, n. 191, (legge finanziaria 2010), a partire dall'anno 2010, le medesime spese non possono più essere detratte dall'imposta lorda ai fini IRPEF.
  La predetta detrazione, che era stata prorogata, per il 2009, dall'articolo 2 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (legge finanziaria 2009), spettava anche per le spese sostenute in favore dei familiari fiscalmente a carico e il limite massimo di detrazione di 250 euro doveva intendersi riferito cumulativamente alle spese sostenute dal contribuente per il proprio abbonamento e per quello dei familiari a carico.
  Ciò premesso, l'interrogante chiede di sapere se il Ministro dell'economia e delle Finanze non ritenga opportuno ripristinare tale regime agevolativo inserendolo tra le misure interessate dal «bonus» a disposizione del Governo per la realizzazione di interventi di carattere sociale.
  Al riguardo, gli Uffici competenti dell'Amministrazione finanziaria hanno indicato, nella tabella che di seguito si riporta, gli effetti finanziari derivanti dalla proposta auspicata dall'Onorevole interrogante, nell'ipotesi di decorrenza della stessa a partire dall'anno 2015:
   IRPEF (importi in milioni di euro):
    2015: 0;
    2016: -90,1;
    2017: -51,5.

  Ciò posto, si fa presente che qualsivoglia iniziativa normativa dovrà necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica suindicati per i quali è opportuno reperire idonei mezzi di copertura finanziaria.

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ALLEGATO 3

5-05398 Bernardo: Misure di contrasto dell'evasione fiscale con particolare riferimento ai soggetti extracomunitari o neocomunitari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in oggetto, l'onorevole interrogante lamenta che le recenti misure di contrasto all'evasione adottate non sembrano essere sufficientemente efficaci con riferimento al settore delle prestazioni di servizi alla persona e con riguardo agli operatori extracomunitari o neo-comunitari, laddove il fenomeno evasivo sembra assumere caratteri di generalità e sistematicità.
  Pertanto, l'onorevole interrogante chiede quali dati possono essere forniti sul fenomeno in argomento nonché di adottare iniziative e strumenti più mirati al fine di evitare di vantaggi competitivi degli operatori stranieri rispetto alle imprese italiane.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne la richiesta delle informazioni relative all'entità dell'evasione fiscale segnalata dall'onorevole interrogante, si evidenzia che nel Rapporto sull'evasione fiscale presentato dal Governo ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, la stima del tax gap riconducibile al settore imprese-lavoro autonomo per le imposte IVA, IRES, IRPEF ammonta a 91 miliardi di euro.
  Tuttavia, il Dipartimento delle finanze riferisce di non disporre di dati disaggregati in base alla cittadinanza al fine di ripartire la sottrazione delle risorse per la finanza pubblica connesso al menzionato tax gap.
  In merito alle iniziative finalizzate all'individuazione ed alla repressione dell'evasione fiscale e contributiva legata allo svolgimento in «nero» delle attività, l'Agenzia delle Entrate, riferisce che nell'ambito delle sue ordinarie attività di controllo istituzionali, è impegnata sul fronte dell'individuazione dei fenomeni evasivi ed elusivi attraverso una attenta attività di analisi del rischio e selezione basata sul patrimonio informativo a sua disposizione.
  Tale attività di analisi e selezione, pertanto, si fonda su elementi relativi alla pericolosità fiscale dei soggetti che operano nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla loro nazionalità.
  Inoltre, tutti i controlli hanno come obiettivo quello di verificare, ove possibile, tra l'altro, il corretto adempimento delle prescrizioni stabilite dalla normativa in materia di lavoro ed il corretto adempimento degli obblighi fiscali di cui agli articoli 13 commi 3, 21 e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché riscontri in relazione agli obblighi di corretta certificazione dei corrispettivi, sia da parte di operatori italiani, sia comunitari che extracomunitari.
  In via generale il contrasto all'evasione si svolge a livello centrale, regionale e locale e persegue la duplice finalità di:
   focalizzare distintamente l'azione di controllo sulle diverse macro-tipologie di contribuenti;
   adottare metodologie di intervento differenziate per ciascuna macro-tipologia, Pag. 62tenendo anche conto delle peculiarità che connotano ciascuna realtà territoriale ed economica.

  L'approccio basato sulla valutazione del rischio di evasione tarata anche sulle peculiarità locali, comporta l'ottima allocazione delle risorse (sia in termini quantitativi che qualitativi) e la altrettanto ottimale selezione delle posizioni e dei fenomeni da sottoporre a controllo. Pertanto, la concentrazione territoriale dell'attività di controllo condotta dagli organi ispettivi dell'Agenzia delle entrate tiene in debita considerazione tanto il numero delle partite IVA presenti su un determinato territorio, quanto i fenomeni evasivi correlati ad uno specifico settore produttivo e/o territoriale.
  Infine, circa l'osservazione formulata dall'onorevole interrogante secondo cui la disposizione che impedisce ai cittadini italiani di effettuare pagamenti in contanti superiori a 1000 euro «...determina un vantaggio competitivo in favore degli stranieri, che invece possono operare per contanti senza limiti», si osserva che l'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, ha introdotto una riforma restrittiva sull'uso dei contanti per il prelievo e i pagamenti, fissata in 1000 euro: tale disposizione si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla loro nazionalità.
  Con il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16. convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, è stato stabilito che, in deroga alle norme sulla limitazione all'uso del contante, è possibile per gli operatori del settore del commercio al minuto e agenzie di viaggio e turismo vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro.
  Per fruire della deroga, occorre inviare una comunicazione preventiva all'Agenzia delle Entrate nella quale occorre indicare il conto che il cedente del bene o il prestatore del servizio intende utilizzare.
  È necessario pertanto, che l'acquirente sia una persona tisica, che non abbia cittadinanza italiana né quella di uno dei paesi dell'Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo (Liechtenstein, Islanda, e Norvegia) e risieda al di fuori del territorio dello Stato.
  L'operatore, all'atto dell'acquisto, deve acquisire fotocopia del passaporto del cliente ed ottenere una «autocertificazione» dal cliente in cui si attesta che non possiede la cittadinanza italiana né di uno dei paesi della Ue o dello Spazio Economico Europeo e che non è residente in Italia.
  Le operazioni in contanti legate al turismo di importo pari o superiore a mille euro, effettuate da chi esercita commercio al minuto e attività assimilate, o da agenzie di viaggi e turismo (i soggetti indicati agli articoli 22 e 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633), nei confronti delle persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana e comunque diversa da quella di uno dei paesi dell'Unione europea ovvero dello Spazio economico europeo, che abbiano residenza fuori dal territorio dello Stato, vanno comunque comunicate all'Agenzia delle Entrate.
  Tanto premesso, a parere dell'Agenzia delle entrate non si l'avvisano in dette disposizioni disparità di trattamento tra operatori di diversa nazionalità, al contrario deve sottolinearsi la loro doppia finalità: da un lato l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita e dall'altro proprio l'obiettivo dell'Amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale.

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ALLEGATO 4

5-05399 Causi: Equiparazione all'abitazione principale delle unità immobiliari possedute in Italia da cittadini italiani residenti all'estero non pensionati.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'onorevole interrogante, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, chiede al Governo se non si ritenga utile ristabilire, nell'ambito della potestà legislativa degli enti locali, la possibilità per i Comuni di introdurre regolamenti che prevedano l'assimilazione ad abitazione principale delle unità immobiliari possedute in Italia da cittadini italiani residenti all'estero anche non pensionati.
  Inoltre, l'interrogante chiede se il Governo non ritenga necessario un chiarimento, al fine di una corretta interpretazione della norma testé richiamata, volto a specificare se la qualifica di pensionato si riferisca alla titolarità di pensione italiana, ancorché in convenzione internazionale, di pensione estera, di entrambe, o alla titolarità di qualunque tipo di pensione – anche di invalidità – a prescindere dalla nazionalità dell'ente erogatore.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre rappresentare quanto disposto dal predetto articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, che ha modificato il comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. In virtù di detta disposizione «a partire dall'anno 2015 è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso».
  La disposizione in esame, quindi, comporta che, per espressa volontà del Legislatore, le unità immobiliari che presentano tutti i requisiti richiesti dalla norma in commento vengono direttamente considerate abitazioni principale e, quindi, esenti per effetto dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011.
  A tale proposito, si deve, altresì, precisare che gli effetti finanziari di tale disposizione di esenzione sono posti a carico del bilancio dello Stato, come si evince dal successivo comma 3 del medesimo articolo 9-bis del decreto-legge n. 47 del 2014.
  Dalle osservazioni sin qui svolte, pertanto, emerge che se si volesse, come richiesto dagli interroganti, ristabilire nell'ambito della potestà regolamentare degli enti locali il potere di assimilare ad abitazione principale le unità immobiliari possedute anche da cittadini italiani residenti all'estero ma non ancora pensionati, allora sarebbe necessario un apposito intervento normativo che tenga conto dei conseguenti effetti finanziari a carico del bilancio dello Stato. Ciò in considerazione della circostanza che, in mancanza di una norma ad hoc, i comuni non possono, attraverso l'esercizio della mera potestà Pag. 64regolamentare, arrivare a stabilire esenzioni, in quanto si violerebbero i limiti imposti dall'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, vale a dire la «individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi».
  Alla luce dell'inquadramento normativo appena delineato, occorre anche considerare che il Dipartimento delle Finanze, nell'ambito delle competenze allo stesso attribuite dal comma 4 dell'articolo 52 appena citato «può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa», e che, in virtù del rapporto di leale collaborazione con gli enti locali, prima di procedere all'esercizio di detta facoltà, invia ai comuni le proprie osservazioni, invitando gli stessi ad adeguare i propri regolamenti alle disposizioni di legge.
  In particolare, nelle note in questione, viene precisato che «a seguito delle modifiche recate all'articolo 13, comma 2, nono periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, ad opera dell'articolo 9-bis del decreto-legge n. 47 del 2014, convertito dalla legge n. 80 del 2014, non è più prevista la facoltà per il Comune di assimilare all'abitazione principale l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato. L'assimilazione in discorso, invece, a decorrere dall'anno 2015, è stabilita direttamente dal citato articolo 13, comma 2, nono periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, ma limitatamente all'ipotesi in cui si tratti di «una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso». Si precisa, peraltro, che, per le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani residenti all'estero per le quali non risultino soddisfatte le condizioni stabilite da tale norma, l'ente locale può stabilire, nell'esercizio della propria autonomia regolamentare, un'aliquota agevolata, purché non inferiore allo 0,46 per cento, atteso che il comma 6 del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 consente al comune di modificare l'aliquota di base, in aumento o in diminuzione, entro il limite di 0,3 punti percentuali».
  Per quanto concerne, invece, la richiesta di fornire un chiarimento delle disposizioni descritte in premessa, al fine di una corretta interpretazione della norma, volto a specificare se la qualifica di pensionato si riferisca alla titolarità di pensione italiana, ancorché in convenzione internazionale, di pensione estera, di entrambe, o alla titolarità di qualunque tipo di pensione, anche di invalidità, a prescindere dalla nazionalità dell'ente erogatore, si precisa che, ferma restando la disponibilità ad emanare un apposito documento di prassi amministrativa, l'articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge n. 47 del 2014 delimita chiaramente l'ambito di operatività della norma di favore limitandone gli effetti ai soggetti «già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza», escludendo così coloro che percepiscono un trattamento pensionistico erogato dallo Stato italiano.
  A tale proposito, occorre altresì chiarire che, nell'ambito di tale vincolo, si possa ricomprendere qualunque tipo di pensione anche di invalidità.

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ALLEGATO 5

5-05400 Sottanelli: Erogazione di rimborsi IVA anche nel caso di omessa presentazione del modello VR.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante, in relazione alle controversie pendenti concernenti l'impugnazione dei dinieghi di rimborso dell'IVA, a seguito della cessazione dell'attività, laddove il contribuente abbia omesso la presentazione del Modello VR, chiede al Ministro dell'economia e delle finanze se l'Agenzia delle entrate «intenda finalmente abbandonare la prosecuzione dei suddetti contenziosi, accogliendo ed erogando i dovuti rimborsi, fino ad oggi bloccati da eccezioni tanto formali quanto, come visto, giuridicamente errate».
  A parere dell'interrogante, la situazione evidenziata è dannosa per i contribuenti, che non riescono ad ottenere i dovuti rimborsi IVA, ma anche contraria alle indicazioni comunitarie.
  Per meglio comprendere la problematica segnalata, che origina un notevole contenzioso, è opportuno far presente che trattasi della situazione in cui il contribuente, pur avendo indicato il credito nella dichiarazione annuale prodotta, ha omesso la presentazione del relativo Modello VR al concessionario della riscossione e, successivamente, presenta all'Ufficio istanza di rimborso oltre il termine previsto dall'articolo 21, comma 2, ultimo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
  Le contrapposte posizioni sostenute in contenzioso dall'Amministrazione finanziaria e dai contribuenti possono essere così brevemente schematizzate:
   a parere dell'Amministrazione finanziaria, quando la richiesta di rimborso non viene effettuata utilizzando l'apposito Modello VR, la fattispecie disciplinata dall'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 non si realizza, con la conseguenza che all'istanza «atipica» presentata al di fuori della procedura prevista – e quindi «in mancanza di disposizioni specifiche» – non può che applicarsi la norma residuale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, che ammette l'istanza di rimborso entro il termine di decadenza biennale;
   per i contribuenti, al contrario, l'indicazione del credito nella dichiarazione mediante la compilazione del rigo relativo al rimborso richiesto sarebbe sufficiente a far venir meno l'operatività del predetto articolo 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992, con la conseguenza di assoggettare la fattispecie al regime della prescrizione ordinaria. Più specificamente, la domanda di rimborso sarebbe da considerarsi già presentata con la compilazione nella dichiarazione annuale del quadro «RX» del Modello UNICO o «VX» della dichiarazione IVA, considerata quale formale esercizio del diritto, che resterebbe poi soggetto al solo termine di prescrizione decennale.

  Al riguardo, sentiti gli Uffici competenti dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'orientamento della giurisprudenza di legittimità, dopo diverse pronunce di tenore contrastante, si è andato consolidando solo recentemente nel senso di ritenere applicabile il termine decennale di prescrizione.Pag. 66
  L'andamento contrastante della giurisprudenza di legittimità, che, come evidenziato, si è andata consolidando solo in tempi recenti, ha indotto l'Amministrazione finanziaria ad adottare una posizione di cautela nella gestione del contenzioso pendente.
  Preso atto, peraltro, dell'evoluzione giurisprudenziale richiamata l'Agenzia delle Entrate ritiene di dover adeguare la gestione delle controversie in argomento all'orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione e, conseguentemente, riconoscere il diritto al rimborso richiesto entro il termine di prescrizione ordinaria, subordinandone il diritto alla dimostrazione da parte del contribuente della sussistenza dei relativi presupposti.

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ALLEGATO 6

5-05401 Paglia: Chiarimenti in merito all'imponibilità IMU dei macchinari imbullonati.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante chiede al Governo chiarimenti in merito alla definizione di impianti immobili e impianti mobili e alle caratteristiche che differenziano le due tipologie, con particolare riguardo alle componenti strutturali dell'unità immobiliare ovvero ai cosiddetti beni «imbullonati» ai fini della corretta applicazione della tassazione ai fini di IMU e TASI.
  In proposito, gli Onorevoli interroganti evidenziano che la recente norma di interpretazione autentica introdotta dai commi 244 e 245 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità per il 2015) ha chiarito che sono escluse dalla rendita catastale le componenti di beni che siano prive dei requisiti di «immobiliarità», anche laddove caratterizzino la destinazione economica dell'immobile produttivo.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Il tema della valutazione catastale degli impianti negli immobili industriali è senza dubbio complesso, considerando che le norme e la prassi di settore prevedono che, per questa tipologia di immobili, la rendita catastale – come noto utilizzata per il calcolo della base imponibile della tassazione immobiliare – sia determinata attraverso un procedimento di stima diretta, specifico per ciascun immobile a destinazione produttiva, che, come tale, è soggetta ad una puntuale valutazione tecnica, caso per caso, delle componenti edilizie ed impiantistiche da prendere in considerazione nella stima catastale.
  Infatti, ai sensi dell'articolo 10 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, concernente «Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 maggio 1939, n. 108 e convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249: «La rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici ed in genere dai fabbricati di cui all'articolo 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni, è determinata con stima diretta per ogni singola unità».
  La valutazione tecnica è operata dai professionisti incaricati dalla proprietà, al momento della presentazione dei documenti di aggiornamento catastale (tramite la procedura «Docfa»), ed è verificata dai tecnici dell'Agenzia delle entrate al momento dell'accertamento sugli aggiornamenti e sulle rendite proposte dalla parte.
  I documenti di prassi catastale delineano il perimetro concettuale degli impianti da considerare nella stima.
  In particolare, la Circolare n. 6/T del 30 novembre 2012 emanata dall'Agenzia sul tema ha chiarito che «... al fine di valutare quale impianto debba essere incluso o meno nella stima catastale, deve farsi riferimento non solo al criterio dell'essenzialità dello stesso per la destinazione economica dell'unità immobiliare, ma anche alla circostanza che lo stesso sia Pag. 68“fisso”, ovvero stabile (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell'unità immobiliare...».
  In sostanza, come precisato nella circolare stessa, sono da considerare nella determinazione della rendita catastale gli impianti che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare ad una unità immobiliare una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo, a prescindere dal mezzo di unione di tali impianti agli elementi strutturali dell'unità immobiliare.
  Ne consegue che, nella determinazione della suddetta rendita catastale, si deve tenere conto di tutti gli impianti che caratterizzano la destinazione dell'unità immobiliare – senza i quali la struttura perderebbe le caratteristiche che contribuiscono a definirne la specifica destinazione d'uso – e che, al tempo stesso, siano caratterizzati da specifici requisiti di «immobiliarità», a prescindere dal sistema di connessione utilizzato per il collegamento alla struttura.
  L'articolo 1, comma 244, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha, da ultimo, indicato la Circolare n. 6/T del 30 novembre 2012 quale strumento di interpretazione autentica per la corretta applicazione del procedimento di stima diretta degli immobili a destinazione produttiva, finalizzato all'attribuzione della rendita catastale agli stessi.
  I principi e i criteri generali utilizzati dall'Agenzia delle Entrate per la valutazione degli impianti risultano dunque coerenti con il quadro normativo di riferimento, nonché con il consolidato orientamento della giurisprudenza, che – con particolare riferimento agli impianti di produzione di energia – si è più volte occupata della tematica.
  Nell'ambito del contenzioso sul tema in argomento, la giurisprudenza di legittimità ha più volte confermato l'operato dell'Amministrazione, ribadendo i principi sopra richiamati, tesi a valorizzare l'apporto del valore degli impianti fissi nella determinazione del reddito degli immobili (cfr. C. Cass. n. 12832 del 26 maggio 2010, n. 7372 del 31 marzo 2011, nn. 4028, 4029 e 4030 del 14 marzo 2012, n. 8952 del 12 aprile 2013 e, da ultimo, n. 3166 del 21 gennaio 2015).
  Giova anche ricordare che la sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 20 maggio 2008, cui si ispira la sopra richiamata Circolare n. 6/T del 2012, dopo aver affermato che la normativa in materia di catasto edilizio urbano definisce in modo esaustivo le nozioni, i principi ed i metodi che sono alla base dell'estimo catastale, ha chiarito come, nella definizione di unità immobiliare presa in considerazione dalla normativa sopracitata, non si faccia alcun riferimento ai materiali utilizzati, né ai sistemi di assemblaggio degli stessi. Secondo la stessa Corte costituzionale, tutte quelle componenti che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo sono da considerarsi elementi idonei a descrivere l'unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale.
  Occorre, tuttavia, precisare che la Circolare n. 6/T del 2012 ha fissato dei criteri generali da seguire per la corretta applicazione della prassi estimativa agli immobili a destinazione produttiva, fornendo anche alcuni esempi di tipologie impiantistiche da considerare, o meno, nella stima.
  Tali esempi non possono, tuttavia, essere considerati esaustivi, stante l'ampia differenziazione dei processi produttivi e la potenziale evoluzione degli stessi, che richiedono necessariamente una valutazione specifica per ciascuna fattispecie oggetto di accertamento catastale.
  Quanto sopra premesso, considerando la particolare delicatezza dell'argomento sia per gli aspetti tecnici sinteticamente descritti che per i significativi riflessi sul gettito erariale e locale, è in corso da parte dell'Agenzia delle entrate, in seguito alle più recenti segnalazioni concernenti l'argomento in esame, una nuova approfondita analisi finalizzata a riscontrare:
   le tipologie impiantistiche ordinariamente presenti negli immobili a destinazione produttiva, per verificarne specificatamente Pag. 69le caratteristiche di «immobiliarità» e quindi di rilevanza per la stima catastale;
   l'uniformità dell'operato di tutti gli Uffici Provinciali-Territorio e la presenza di adeguate motivazioni all'interno degli avvisi di accertamento, in particolare riferite all'inclusione nella stima catastale di componenti impiantistiche.

  In esito a tale istruttoria e ai successivi confronti con gli stakeholder, potranno essere fornite ulteriori precisazioni agli uffici operativi dell'Agenzia.

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ALLEGATO 7

5-05402 Alberti: Conflitto tra il contenuto di convenzioni per evitare le doppie imposizioni e le disposizioni nazionali in materia di elusione ed evasione fiscale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono di conoscere il motivo per il quale la grande maggioranza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia, come la Convenzione con la Repubblica di San Marino, non prevedano una deroga utile all'applicazione delle norme dello Stato italiano nell'ipotesi in cui sia necessario contrastare l'evasione o l'elusione fiscale.
  In particolare, in tale ipotesi si chiede quali siano gli strumenti giuridici per evitare che una disposizione convenzionale quale, ad esempio, la clausola di non discriminazione di cui all'articolo 24 del Modello OCSE (contenuta nell'articolo 24, paragrafo 4, della Convenzione tra l'Italia e San Marino) possa prevalere sulla normativa anti-elusiva interna come quella prevista dall'articolo 110, comma 10 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986. n. 917 (TUIR).
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia non impediscono in alcun modo l'applicazione di norme interne non soltanto di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, ma più in generale di quelle norme ascrivibili all'intero impianto normativo antiabuso nazionale, quale ad esempio, anche l'articolo 110, comma 10, del TUIR, e ciò indipendentemente dalla circostanza che vi sia o meno nel testo della Convenzione un esplicito riferimento all'assenza di ogni limitazione all'applicazione delle disposizioni interne per prevenire l'evasione e l'elusione fiscali.
  L'ordinamento italiano prevede solo presunzioni relative superabili dal contribuente mediante la dimostrazione della specifica esimente (ad esempio, il citato articolo 110, comma 10, del TUIR che prevede la indeducibilità dei costi derivanti da operazioni con soggetti residenti in Stati black list può essere disapplicato mediante il comma 11 dello stesso articolo di legge).
  Tali istituti non risultano in contrasto con la norma speciale anti discriminazione contenuta nell'articolo 24, paragrafo 5, del Modello OCSE di Convenzione, cui si è conformato l'articolo 24, paragrafo 4, della Convenzione Italia-San Marino per evitare le doppie imposizioni. Peraltro, si fa presente che il protocollo aggiuntivo alla citata convenzione, prevede che «Le disposizioni della presente Convenzione non pregiudicano il diritto degli Stati contraenti di applicare la propria legislazione fiscale interna per prevenire l'evasione, l'elusione e le frodi fiscali».
  Si precisa, inoltre, che le disposizioni antiabuso aventi la finalità di esercitare la potestà impositiva di uno Stato limitatamente ai propri residenti non sono in contrasto con le disposizioni convenzionali. Ciò è espressamente chiarito nel paragrafo 23 del Commentario all'articolo 1 del Modello OCSE, con riferimento alla disciplina in materia di controlled foreign companies. In tale sede, in particolare, si precisa che la previsione, nell'ordinamento Pag. 71interno, di norme connotate dalla caratteristica di limitare la potestà impositiva di uno Stato contraente ai soli residenti di quest'ultimo, non deve essere espressamente indicata nelle Convenzioni concluse da tale Stato, risultando, pertanto, compatibile con il principio di non discriminazione previsto dall'articolo 24, paragrafo 5, dello stesso Modello di Convenzione (riportato all'articolo 24, paragrafo 4, della Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni).
  Il Commentario, quindi, riconosce la legittimità della pretesa impositiva derivante dall'applicazione delle norme antiabuso rispetto alle disposizioni convenzionali, ivi incluso il principio di non discriminazione, fintantoché tale potestà non si estenda a residenti dell'altro Stato contraente.
  La disciplina antielusiva prevista dalla vigente normativa resta, quindi, in vigore a prescindere dall'indicazione o meno nelle singole Convenzioni per evitare le doppie imposizioni.

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ALLEGATO 8

5-05403 Busin: Introduzione di un sistema di tracciabilità con riferimento ai liquidi utilizzati per le sigarette elettroniche.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante chiede al Governo se «non ritenga opportuno adottare gli adeguati provvedimenti al fine di introdurre, in materia di produzione e commercio dei liquidi per le sigarette elettroniche, la medesima disciplina di tracciabilità e legittimazione della circolazione prevista per i prodotti del tabacco dall'articolo 1, comma 5, del decreto legislativo, 15 dicembre 2014, n. 188».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'Agenzia delle dogane e dei monopoli e la Guardia di finanza hanno da tempo programmato e stanno effettuando specifici controlli per la corretta applicazione dell'imposta di consumo e al fine di contrastare comportamenti elusivi da parte degli operatori.
  Ciò premesso, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli manifesta il proprio assenso all'adozione di misure di tracciabilità e legittimazione dei prodotti liquidi da inalazione, come auspicato dall'Onorevole interrogante.
  Ovviamente deve rilevarsi che i conseguenti obblighi per gli operatori non potranno che essere previsti da provvedimenti aventi forza di legge, previa approfondita analisi dei processi tecnici necessari espletata coinvolgendo gli operatori economici interessati.
  L'Agenzia precisa, infatti, che dette modalità tecniche non possono essere disciplinate con il regolamento di cui al comma 5, all'articolo 1, del citato decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, che attiene i soli prodotti del tabacco, bensì attraverso la predisposizione di apposita disposizione che estenda il regime della tracciabilità anche per i prodotti liquidi da inalazione.

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ALLEGATO 9

Delega al Governo per la riforma del codice della nautica da diporto.
(C. 2722 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

    La VI Commissione,
   esaminato il disegno di legge C. 2722, approvato dal Senato, recante delega al Governo per la riforma del codice della nautica da diporto;
   condivisa l'opportunità di razionalizzare la disciplina della nautica da diporto, perseguendo gli obiettivi di miglioramento dei livelli di sicurezza e tutela ambientale, semplificazione degli adempimenti e delle procedure, rafforzamento dell'efficacia dei controlli ed aggiornamento del livello professionale degli operatori del settore;
   sottolineata l'esigenza di porre in essere tutte le misure utili a sostenere un settore, quello della nautica da diporto, che costituisce una delle eccellenze dell'economia italiana, sia sotto il profilo turistico sia sotto il profilo produttivo, aiutandolo a superare la grave fase di crisi che lo ha penalizzato negli ultimi anni,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   a) con riferimento alla lettera h) del comma 2, dell'articolo unico, la quale prevede la destinazione d'uso per la nautica minore delle strutture demaniali, nonché dei pontili, arenili e piazzali che presentino caratteristiche idonee per essere utilizzate come ricovero a secco di piccole imbarcazioni, garantendo comunque la fruizione pubblica delle aree, valuti la Commissione di merito l'opportunità di verificare se tale previsione contrasti con le competenze urbanistico-pianificatorie degli enti locali;
   b) con riferimento alla lettera o) del comma 2, la quale, nel quadro della razionalizzazione delle risorse istituzionali destinate alle attività di controllo in materia di sicurezza della navigazione, individua il Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera come autorità competente in via esclusiva per la pianificazione e il coordinamento dei controlli, tenuto conto delle vigenti attribuzioni istituzionali in tale settore, valuti la Commissione di merito se tale previsione possa incidere sulle competenze e funzioni del Corpo della Guardia di finanza, che svolge, analogamente ad altri corpi dello Stato, compiti di tutela della sicurezza della navigazione;
   c) con riferimento alla lettera r) del comma 2, la quale dispone l'equiparazione, a tutti gli effetti, alle strutture ricettive all'aria aperta, delle strutture organizzate per la sosta ed il pernottamento di turisti all'interno delle proprie imbarcazioni ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, secondo i requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, valuti la Commissione di merito l'opportunità di fissare i termini temporali per l'individuazione di tali requisiti, nonché di prevedere il coinvolgimento in materia delle Regioni.