CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 24 settembre 2013
88.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Difesa (IV)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio 2012 (C. 1572 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA DI RELAZIONE PRESENTATA DAL RELATORE

  La IV Commissione Difesa,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 119, comma 8, del Regolamento, il disegno di legge recante «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'anno finanziario 2012», relativamente alla parte di propria competenza,
  richiamato che:
   il conto consuntivo del Ministero della difesa per il 2012 reca stanziamenti definitivi di competenza per complessivi 22.328,6 milioni di euro, con un incremento di circa 2.366,5 milioni di euro rispetto alle previsioni iniziali e di 1.483,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate;
   l'importo relativo alle autorizzazioni definitive di cassa è di 23.196,4 milioni di euro, mentre nel bilancio di previsione risultava pari a 20.324,7 milioni di euro;
   l'incidenza percentuale delle risorse per la difesa sul bilancio dello Stato, è stata pari al 4,2 per cento, con un decremento pari allo 0,2 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario;
   il raffronto relativo all'accumulo dei residui passivi evidenzia per il 2012 valori percentuali di performance tendenzialmente positivi, tenuto conto che la massa spendibile corrisponde a 25.759, 4 milioni di euro e il coefficiente di realizzazione passa dall'84,06 per cento all'82,3 per cento;
  e premesso, inoltre, che:
   l'urgenza di riqualificare la spesa nel settore della Difesa, come invocato dalla Corte dei conti, è obiettivo che va di pari passo all'impegno per la realizzazione di un modello integrato di difesa europea, capace di consentire il duplice risultato della riduzione dei costi e il conseguimento di un dispositivo integrato pienamente funzionale alle esigenze di difesa e sicurezza, da affrontare e risolvere attraverso un multilateralismo efficace, pur nel pieno rispetto della specificità dello strumento militare;
   conseguentemente, negli impegni di spesa per i programmi d'armamento, caratterizzati secondo la Corte dei conti da un elevato grado di irrigidimento negli anni 2013-2015 su valori finanziari molto elevati, si deve contemperarne la compatibilità con le esigenze di bilancio e valutare la sostenibilità di interventi integrati in sede di organizzazioni internazionali della difesa, anche alla luce di quanto potrà emergere dall'indagine conoscitiva in corso di svolgimento sui sistemi d'arma in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, per realizzare un contenimento della spesa anche grazie ad un più deciso impegno nella promozione di convergenze produttive nel settore degli armamenti al livello europeo;
   sempre nell'urgenza di razionalizzare la spesa nel settore della Difesa, è divenuta improcrastinabile una valutazione in ordine alla alienazione dei beni della difesa da tempo non utilizzati per finalità istituzionali e, data la riassegnazione alla Difesa ad oggi di un importo pari a soli 3,6 Pag. 44milioni di euro circa derivanti dalla vendita di un numero assai esiguo di alloggi di servizio rispetto al patrimonio alienabile, è altresì indifferibile l'adozione da parte dell'Amministrazione di nuovi criteri per la definizione del prezzo di vendita, delle condizioni per i conduttori e dell'entità del canone di mercato, anche al fine di superare il contenzioso amministrativo sulla base di accordi stragiudiziali;
   è necessario un impegno concreto e mirato sul tema degli Enti vigilati dal Ministero della difesa, per dare seguito alle linee tracciate dalla Corte dei conti con riferimento all'Agenzie Industrie Difesa e alla Difesa Servizi S.p.A;
   richiamata infine, la valenza che assume il provvedimento in vista della revisione dello strumento militare, in attuazione della legge n. 244 del 2012, che, come evidenziato nella Relazione della Corte dei conti, dovrà avvenire secondo modi e tempi compatibili con l'urgente esigenza di riduzione della spesa,

DELIBERA DI RIFERIRE FAVOREVOLMENTE

con la seguente osservazione:

   nell'urgenza di razionalizzare la spesa nel settore della Difesa, secondo quanto segnalato anche dalla Corte dei conti, valuti la Commissione di merito l'opportunità che da parte dell'Amministrazione della difesa si proceda senza ritardo ad una valutazione sull'alienazione dei beni della difesa da tempo non utilizzati per finalità istituzionali e, dati gli insoddisfacenti risultati ad ogni conseguiti in termini finanziari dalla vendita di alloggi di servizio rispetto al patrimonio alienabile, all'adozione di nuovi criteri per la definizione del prezzo di vendita, delle condizioni per i conduttori e dell'entità del canone di mercato, anche al fine di superare il contenzioso amministrativo sulla base di accordi stragiudiziali.

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ALLEGATO 2

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2013 (C. 1573 Governo, approvato dal Senato).

  RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La IV Commissione Difesa,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 119, comma 8, del regolamento, il disegno di legge recante: «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012», relativamente alla Tabella n.11 recante lo stato di previsione del Ministero della difesa,
  richiamato che:
   per effetto delle variazioni intervenute in dipendenza di atti amministrativi e di quelle proposte con il disegno di legge in esame, le previsioni assestate di competenza risultano pari a 21.677,9 milioni di euro e le autorizzazioni di cassa ammontano a 22.152,3 milioni di euro, determinando dunque un incremento di 975,6 milioni di euro per le previsioni di competenza e di 950,3 milioni di euro per le autorizzazioni di cassa;
   le variazioni, già introdotte in bilancio, derivate da provvedimenti legislativi hanno riguardato principalmente il fondo per le missioni internazionali (+832 milioni di euro);
   il complesso delle variazioni apportate dal disegno di legge di assestamento incrementa il volume dei residui di 129,23 milioni di euro rispetto alla valutazione iniziale, con un ammontare, al 1o gennaio 2013, di 4.081 milioni, ripartiti tra parte corrente e conto capitale in ragione, rispettivamente, di +254,92 e –125,68 milioni di euro;
   sottolineato che devono trovare adeguata considerazione anche le problematiche relative ai finanziamenti da destinare alle associazioni combattentistiche, stante il meritorio operato sociale da esse svolto,

DELIBERA DI RIFERIRE FAVOREVOLMENTE

con la seguente osservazione:

   valuti la Commissione di merito l'opportunità che si prevedano opportuni finanziamenti alle associazioni combattentistiche, come già previsto per le associazioni d'arma.

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ALLEGATO 3

Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio 2012 (C. 1572 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA DI RELAZIONE ALTERNATIVA PRESENTATA DAL DEPUTATO PIRAS

  La IV Commissione:
   esaminato, ai sensi dell'articolo 119, comma 8, del Regolamento, il disegno di legge recante «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'anno finanziario 2012», relativamente alla parte di propria competenza,
  premesso che:
   il Rendiconto per l'anno 2012 riflette sostanzialmente i risultati dell'azione del Governo Monti;
   l'indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni è sceso nel 2012 al 3 per cento del Pil, registrando un calo di otto decimi di punto e di 12 miliardi nei valori assoluti. Rispetto al valore toccato nel 2009 (5,4 per cento) l'indebitamento si è quasi dimezzato; è rimasto però più che doppio rispetto al livello pre-crisi del 2007 (1,7 per cento);
   la flessione dell'indebitamento è stata conseguita, lo scorso anno, in virtù di un miglioramento dell'avanzo primario di circa 21 miliardi, in parte assorbito dalla maggiore spesa per interessi, che è aumentata di 8,4 miliardi e ha raggiunto il 5,5 per cento del Pil;
   rispetto al picco di indebitamento del 2009, l'avanzo primario registra, in termini cumulati, un aumento di quasi 51 miliardi che, a fronte di un aumento di 15 miliardi della spesa per interessi, si traduce in una riduzione del disavanzo complessivo di circa 35 miliardi. Le componenti corrente e in conto capitale contribuiscono a tale miglioramento per, rispettivamente, 25 e 10 miliardi. Il confronto con il 2007, anno di massimo ciclico prima dell'avvio della crisi e di minimo storico dei livelli di indebitamento, evidenzia tuttavia il permanere di un maggiore disavanzo di oltre 22 miliardi (1,3 punti in quota di Pil);
   spicca il miglioramento di oltre 16 miliardi (0,7 punti di Pil) registrato in questo arco di tempo dal saldo in conto capitale, che incorpora l'accentuato ridimensionamento degli investimenti pubblici;
   la presenza di ampi scostamenti dai livelli di minimo indebitamento del 2007 dà misura della mancata realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica inizialmente assunti per il 2012. Le manovre attuate con i decreti-legge 98, 138 e 201 del 2011 si sono aggiunte alle misure di contenimento già varate col DL 78/2010, portando a quasi 60 miliardi la correzione del bilancio pubblico per l'anno 2012;
   nel conto programmatico della pubblica Amministrazione del 2012 venivano in particolare iscritte maggiori entrate discrezionali per quasi 43 miliardi, circa la metà delle quali attribuibili al solo DL 201/2011. Nelle valutazioni espresse nel DEF 2012, tali interventi avrebbero dovuto portare l'avanzo primario a 57 miliardi di euro, riconducendo così l'indebitamento all'1,7 per cento del Pil, appunto il valore pre-crisi del 2007;
    tali obiettivi venivano rivisti in corso d'anno, in considerazione di una caduta Pag. 47del prodotto di dimensioni ben superiori a quelle attese. La Nota di aggiornamento del settembre scorso, portava al 2,6 per cento il dato programmatico di indebitamento, con un avanzo primario ridimensionato a circa 45 miliardi;
   anche queste valutazioni si sono rivelate troppo ottimistiche: il dato di consuntivo fissa il disavanzo 6,4 miliardi al di sopra dell'obiettivo rivisto, con un avanzo primario più basso di circa 6 miliardi; la differenza rispetto al DEF 2012 è di 20,5 miliardi per l'indebitamento e di 18 miliardi per il saldo primario. La correzione apportata agli andamenti della finanza pubblica è stata dunque pari alla metà degli effetti attesi;
   non meno fallimentare è stato il bilancio economico-sociale del Governo Monti;
   lo stock del debito pubblico italiano è cresciuto nel corso del 2012 dal 120 per cento al 127 per cento del Pil. La recessione prosegue malgrado – sarebbe meglio dire «a causa di» – tutti i sacrifici che hanno gravato su lavoratori e lavoratrici, famiglie e pensionati. Lo spread si è abbassato solo grazie all'intervento della BCE;
   dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'Iva (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;
   né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le così dette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;
   dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati;
   a dicembre del 2011 il Governo Monti prevedeva per il 2012 una diminuzione del Pil dello 0,4 per cento. Ma il Pil italiano nel 2012 è diminuito del 2,4 per cento (il Governo ha dunque commesso un errore grossolano nelle previsioni, e meno male che si trattava di «tecnici»), i consumi durevoli e gli investimenti del 10 per cento. La recessione ha affondato l'economia ma anche i conti pubblici;
   il Governo Monti non solo non ha previsto la dimensione della recessione, ma in gran parte l'ha causata. Le manovre di tasse e tagli, infatti, hanno prodotto una riduzione del Pil di un punto percentuale. Lo certifica nel suo bollettino (luglio 2012) la Banca d'Italia (e lo ha ammesso persino Monti). La cura ha dunque fatto molto più male della malattia;
   dopo i 145 miliardi recuperati con le due manovre d'emergenze estive di Tremonti, datate 2011, i «tecnici» hanno tagliato la spesa e tassato gli italiani per 63,2 miliardi (tra manovra «Salva Italia» e «Spending review»). Le manovre hanno complessivamente causato una riduzione del reddito del Paese di circa 16 miliardi. Rendendo così più difficili da raggiungere gli obiettivi per i quali tagli e tasse erano stati escogitati;
   la pressione fiscale ha raggiunto, dopo i provvedimenti dei governi Berlusconi e Monti, la ragguardevole percentuale vicina al 45 per cento, una delle più alte al mondo. Nel corso del 2012 – secondo l'Istat – si è osservato un progressivo aggravarsi delle condizioni del mercato del lavoro che ha risentito della persistente flessione dell'attività economica. Contemporaneamente, il tasso di disoccupazione è fortemente aumentato (dall'8,4 per cento nel 2011 al 10,7 per cento nel 2012) fino a toccare l'11,2 per cento nel quarto trimestre del 2012 e l'11,5 per cento nel mese di marzo 2013. Tasso che andrebbe corretto al rialzo tenendo conto anche del consistente ricorso alla Cassa integrazione guadagni;Pag. 48
   nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'Istat in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;
   una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore su i più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;
   il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;
   i consumi delle famiglia si sono notevolmente ridotti;
   una delle principali determinanti dell'attuale recessione, iniziata nella seconda metà del 2011, è la caduta del reddito disponibile, che ha determinato una profonda contrazione dei consumi delle famiglie. Nel 2012, infatti, in presenza di una flessione del prodotto interno lordo reale del 2,4 per cento, il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 4,8 per cento. Si tratta di una caduta di intensità eccezionale e che giunge dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino (nel 2011 il reddito reale era inferiore di circa il 5 per cento rispetto a quello del 2007, ultimo anno in cui aveva presentato una dinamica positiva);
   i redditi da lavoro sono rimasti pressoché stabili in termini nominali, subendo comunque la perdita di potere d'acquisto dovuta all'inflazione. I redditi da lavoro dipendente hanno segnato nel 2012 una crescita nulla, mentre erano aumentati dell'1,8 per cento nel 2011 e dello 0,7 per cento nella media del periodo 2009-2011;
   l'incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1 per cento, un punto percentuale in più rispetto all'anno precedente e al livello più alto dal 1990. Se al prelievo fiscale corrente si aggiungono le altre imposte sulla produzione, l'incidenza del prelievo sul reddito disponibile sale al 16,5 per cento, con un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto all'anno prima. Considerando i contributi sociali effettivi e figurativi, l'incidenza del carico fiscale e contributivo corrente sul reddito disponibile tocca il 30,3 per cento, a fronte del 29,4 per cento del 2011. Non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del Pil maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/Pil;
   come ha affermato persino il Centro studi di Confindustria (Nota del C.S.C. del 25 Giugno 2012): «Le condizioni economiche dell'Area euro si stanno rivelando molto peggiori di quel che era stato previsto pochi mesi fa. Le misure finora adottate dalla BCE e dai governi, alla luce dell'andamento delle variabili reali e della reazione dei mercati finanziari (con una stretta interrelazione in entrambe le direzioni tra le prime e i secondi), si sono dimostrate del tutto inadeguate. In particolare, le politiche di bilancio improntate al solo rigore, invece di stabilizzare il ciclo, stanno facendo avvitare su se stessa l'intera economia europea»;Pag. 49
   una politica diversa era possibile. Si sarebbe potuto avviare riforme strutturali come un maggior ruolo del pubblico nella gestione delle banche ed una tassazione stabile e reale sulle transazioni finanziarie; si sarebbe potuto fissare una quota adeguata del Pil da destinare alla formazione e alla ricerca; adottare una tassazione sui grandi patrimoni; varare una legge urbanistica per proteggere il nostro territorio dall'indiscriminata e pericolosa cementificazione; si potevano separare le banche commerciali da quelle d'affari; limitare l'utilizzo dei prodotti finanziari rischiosi; regolamentare i movimenti di capitali; creare un agenzia pubblica di rating; intervenire con più efficacia nel contrasto all'evasione fiscale; impostare una politica industriale volta alla conversione ecologica del nostro sistema produttivo e dei servizi ed infine adottare una reale politica contro la corruzione e gli sprechi di denaro pubblico;
   niente di tutto ciò è stato fatto con le conseguenze economiche e sociali che sono sotto agli occhi di tutti;
   nell'ultimo decennio la spesa pubblica è aumentata in valori assoluti di quasi 200 miliardi (dati Istat) e per la Corte dei Conti la spesa pubblica primaria è aumentata di circa il 5 per cento in media all'anno, accrescendo l'incidenza sul PIL di quasi 8 punti;
   tenendo ferma la spesa reale, bastava impiegare quel dividendo per azzerare il deficit pubblico, e sarebbero rimaste ulteriori risorse sia per investire sia per ridurre le imposte. Invece, si è fatto il contrario: si è alzata la spesa, alzato le tasse a livelli record e ulteriormente alzato il debito pubblico. Il paese è rimasto così schiacciato da una gravissima recessione, ben più grave di quelle registrate da altri paesi UE;
   si è, invece, instaurata nel nostro paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;
   il pericolo rappresentato da politiche di austerità a senso unico era stato ben delineato dal Presidente della Corte dei Conti che nell'ambito dell'audizione sul DEF 2012, svolta presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, aveva rilevato che: «il pericolo di un corto circuito rigore/crescita non è dissipato nell'impianto del DEF 2012-2015, impegnato a definire il profilo di avvicinamento al pareggio di bilancio in un arco di tempo molto breve. L'urgenza del riequilibrio dei conti si è tradotta, pertanto, inevitabilmente nel ricorso al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi indotti dalle stesse restrizioni di bilancio. Con un consistente depauperamento dei benefici attesi e con il rischio di ricorrenti ma non risolutivi adeguamenti dell'intensità delle manovre correttive.»;
   nell'ambito dell'attuale crisi economica ed occupazionale non è pensabile il proseguimento delle politiche di austerità, o misure quali quelle che si sono rivelate pesantemente recessive, al contrario serve un insieme di misure organiche di politica economica che superino le politiche di austerity a favore di interventi ed investimenti di sostegno alla domanda, al lavoro, ai redditi, alla lotta alla povertà;
  valutato altresì che:
   negli anni a partire dal 2006 la spesa per la Difesa è stata incrementata costantemente negli stati di previsione iniziali passando da 17, 7 miliardi di euro a 20 miliardi per l'anno 2012 ed a 21 miliardi per l'anno 2013;
   ogni anno sono state registrate variazioni di stanziamento in aumento di oltre 2 miliardi l'anno;
   per l'anno 2012 si registra una variazione di 2.366 milioni, mentre una Pag. 50parte consistente delle spese per la Difesa afferiscono allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;
   la stessa Corte dei Conti ha osservato come: «la Relazione rileva che nel programma «approvvigionamenti armamenti», il capitolo di spesa 7120, concernente le spese per costruzione e acquisizione di impianti e sistemi, rappresenta nell'ambito degli impegni pluriennali di parte capitale, il capitolo più significativo. A questo proposito, ad avviso della Corte, appare necessaria un'attenta valutazione dei programmi di spesa relativi agli esercizi successivi al fine di mantenere livelli di impegno compatibili, da una parte, con le esigenze di bilancio, dall'altra, con la sostenibilità degli interventi integrati in sede di organizzazioni internazionali della difesa. Peraltro, la eterogeneità delle finalizzazioni dei singoli piani gestionali, sembra consentire possibili rimodulazioni in termini di contenimento della spesa»;
   dalle misure contenute nel disegno di legge di Rendiconto dello stato di previsione della Difesa per l'anno 2012 non emerge nessun recepimento di queste indicazioni della Corte dei conti, mentre sarebbe stato altamente opportuno stante le emergenze economiche e sociali vissute dal nostro Paese che si fosse ridotta la spesa per programmi d'armamento;
   la missione in Afghanistan ha rappresentato in termini di costi la parte più cospicua del nostro impegno «fuori area»;
   se i governi che si sono succeduti negli ultimi anni avessero ritirato già nel corso del 2012 – come chiesto da parti significative della nostra società civile – le nostre truppe dall'Afghanistan e reimpiegate parte delle risorse così risparmiate a favore delle popolazioni afgane, ne sarebbe risultato comunque una disponibilità di risorse da impiegare per scopi pacifici e civili nel nostro Paese,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

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ALLEGATO 4

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2013 (C. 1573 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA DI RELAZIONE ALTERNATIVA PRESENTATA DAL DEPUTATO DURANTI

  La IV Commissione,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 119, comma 8, del regolamento, il disegno di legge recante: «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012», relativamente alla Tabella n.11 recante lo stato di previsione del Ministero della difesa,
  considerato che:
   l'Assestamento per l'anno 2013, è sostanzialmente determinato dalle politiche messe in atto dal Governo Letta;
   il disegno di legge di assestamento per il 2013 evidenzia un peggioramento dei saldi di bilancio in termini di competenza rispetto alle previsioni iniziali della legge di bilancio per il 2013;
   il saldo netto da finanziare passa infatti da – 6.185 milioni a – 31.065 milioni, con un peggioramento di 24.881 milioni, pari a circa il 400 per cento rispetto all'entità del medesimo aggregato indicata dalla legge di bilancio; detto importo deriva dalla somma di un peggioramento di 15.029 milioni, dovuto a variazioni per atto amministrativo, imputabili prevalentemente all'incremento delle spese per 16.586 milioni;
   in particolare, vanno ricordati l'avvenuta istituzione, disposta dal decreto-legge n. 35 del 2013, del fondo finalizzato ad assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, ed un peggioramento per 9.851 milioni derivante dalle proposte dell'assestamento stesso, riconducibili alle minori entrate finali, per un importo pari a 12.356 milioni, risultante da una forte diminuzione delle entrate tributarie (per 14.521 milioni) solo in parte compensata dall'aumento delle entrate extratributarie (per 2.088 milioni) e dalla vendita ed ammortamento di beni patrimoniali, pari a 77 milioni;
   per quanto concerne le spese finali, le variazioni tra previsioni assestate e previsioni iniziali fanno registrare un incremento pari a 14.082 milioni (in conto competenza), ascrivibili per la gran parte alla spesa in conto capitale. La spesa corrente cresce, invece, in misura lieve (0,24 per cento, pari a 954 milioni) al netto degli interessi. A fine anno la spesa per interessi sul debito dello Stato sarà pari a 89.162 milioni (500 milioni in meno rispetto alle previsioni);
   i dati contabili dell'assestamento evidenziano, dunque, numerose criticità di gestione del bilancio. Si tratta, in primo luogo, del netto peggioramento dei saldi di bilancio in termini di competenza, con il saldo netto da finanziare che peggiora di circa il 400 per cento, anche a causa della contrazione del gettito IVA per oltre 10 miliardi di euro;
   le manovre di correzione dei conti pubblici per il 2012 hanno sì consentito il miglioramento di alcuni saldi (peraltro Pag. 52solo di alcuni e in misura minore di quanto ci si sarebbe potuto attendere), ma hanno generato anche effetti depressivi sull'economia, come dimostra il calo delle entrate tributarie già in difficoltà e in forte recessione;
   le cifre dei dati di bilancio fanno intravedere una situazione socioeconomica molto preoccupante: la disoccupazione in aumento, l'impoverimento di sempre più estesi strati di popolazione, la chiusura di piccole e medie imprese, la mancanza di sviluppo. Né le prospettive future appaiono migliori ove si consideri che, secondo le previsioni più aggiornate, riportate nelle considerazioni finali del Governatore della Banca d'Italia all'assemblea dei soci del 31 maggio 2013, anche quest'anno si chiuderà con un forte calo dell'attività produttiva e dell'occupazione;
   a questi andamenti si aggiunge quello ancora più preoccupante costituito dall'andamento del debito pubblico, che ha ampiamente superato la soglia di 2.050 miliardi di euro e si avvicina ai 2.100 miliardi di euro: altro che pareggio di bilancio previsto in Costituzione;
   sin dal suo insediamento il Governo aveva promesso l'avvio di un'incisiva azione di spending review ma, ad oggi, a parte la norma che prevede di nominare un commissario ad hoc, ancora non si sono riscontrati effetti pratici;
   nel frattempo, si sono susseguiti provvedimenti di maggiore spesa coperti da ipotetiche maggiori entrate: come il decreto-legge n. 91, il cosiddetto decreto valore-cultura, che all'articolo 14 incrementa la misura delle accise sugli oli e sull'alcol. Ulteriori spese si preannunciano nel decreto-legge in tema di pubblica istruzione approvato ieri dal Governo e ulteriori spese sono contenute nel decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione sulle pubbliche amministrazioni, con sanatorie di 100.000-150.000 precari. Molto dubbie anche le coperture del DL n. 102/2013;
   intanto la previsione per il Pil 2013 passa da un meno 1,3 ad un meno 1,7-1,8 per cento del Pil;
   l'obiettivo del Governo italiano di un disavanzo pubblico sotto il 3 per cento nel 2013 è a «rischio crescente», secondo la Banca centrale europea. Il bollettino mensile della BCE pubblicato il 12 settembre scorso passa in rassegna i recenti provvedimenti in materia di finanza pubblica e attribuisce il peggioramento dei conti al sostegno al settore finanziario e al primo rimborso di arretrati della pubblica amministrazione;
   nel suo bollettino di settembre, la Bce nota che le informazioni preliminari sul fabbisogno di cassa a fine luglio 2013 indicano un deficit di 51 miliardi di euro, pari al 3,3 per cento del prodotto interno lordo, contro i 28 miliardi (1,8 per cento del Pil) dello stesso periodo dell'anno scorso. «Il peggioramento – dice il documento – mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento dell'obiettivo di disavanzo delle pubbliche amministrazioni nel 2013 (2,9 per cento del Pil)». Il bollettino ricorda anche che l'abolizione della prima rata dell'Imu sulla prima casa comporterà un mancato gettito di 2,4 miliardi di euro circa, pari allo 0,1 per cento del Pil, che, nei piani del Governo, sarà compensato da un contenimento della spesa e maggiori entrate. Anche le minori entrate dovute al rinvio di tre mesi dell'aumento di un 1 per cento dell'Iva saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate;
   il Governo ha ribadito anche in questi giorni, per bocca del ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, l'intenzione di rispettare l'impegno preso in sede europea;
   il vero problema verrà dopo con l'applicazione del cd. «fiscal compact», il quale prevede una riduzione del debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil di un ventesimo l'anno, per vent'anni. Una mannaia pesantissima, che per l'Italia potrebbe significare un obbligo a tagli netti Pag. 53del debito per 40-50 miliardi l'anno che difficilmente potranno essere sostituiti dal ricavato di dismissioni di proprietà pubbliche;
   l'attuale Governo ha più volte ribadito la sua continuità con l'operato dei Governi precedenti, operato che, unitamente agli effetti della crisi, ha ridotto il nostro Pil dal 2008 ad oggi di 230 miliardi (stima della Corte dei Conti), che ha portato lo stock del nostro debito dal 103 per cento del Pil, risultato raggiunto nel 2007 dal Governo Prodi, all'attuale 134 per cento, livello mai raggiunto, e che ha penalizzato i ceti popolari, riducendo i consumi, aumentando la disoccupazione, la povertà, nonché il divario tra una minoranza dei più abbienti e la maggior parte della popolazione, mentre la ripresa economica è al di là da venire;
   infatti, anche se si sostiene che «la situazione dell'economia comincia a migliorare, anche in conseguenza delle iniziative governative intraprese nei mesi scorsi», tutto ciò appare notevolmente distante dalla realtà;
   d'altronde, lo ammette la stessa Relazione del Governo sulle modifiche agli obiettivi programmatici di finanza pubblica (Doc. LVII-bis, n. 2), dove afferma che «la previsione di crescita annua contenuta del DEF (pari a –1,3 per cento) dovrà essere rivista verso il basso». Ancora una volta le previsioni governative, viziate dall'illusione che le politiche di austerità possano risultare espansive, sono erronee. La congiuntura favorevole significa solo un minore ritmo di contrazione dell'economia;
   nel novero delle economie europee, quella italiana presenta segni di maggiore affanno, con il Pil ancora contrassegnato dal segno meno dopo 8 trimestri consecutivi. Secondo l'ultima stima di Eurostat, nel secondo trimestre 2013 il Pil è cresciuto dello 0,3 per cento sia nell'Eurozona sia nella Ue-27, mentre in Italia si è avuto un –0,2 per cento. Beninteso, il dato complessivo dell'Eurozona e della Ue non dice che l'Europa è uscita dalla crisi in cui è piombata da più di un lustro ormai: ben altri ritmi dovrebbe avere la crescita per recuperare il terreno perduto e compensare i danni che stanno provocando le politiche di austerità. Nondimeno in un contesto che fa registrare qualche segnale di ripresa, l'Italia rimane al palo;
   ancora meno rassicuranti sono le stime che ha fornito recentemente l'Ocse: per il 2013 si prevede ulteriore contrazione della ricchezza nazionale (-1,8 per cento) in rapporto al 2012, che, come si sa, si chiuse con un vistoso calo del 2,4 per cento su base annua;
   sono preoccupanti anche i dati sull'occupazione, se è vero, come l'Istat rileva, che il tasso di disoccupazione è tornato al 12 per cento (un punto percentuale in più sulla media europea) e quello giovanile vicino al 40 per cento, in aumento del 4,3 per cento rispetto al 2012. Solo nell'ultimo anno i disoccupati sono aumentati di 325.000 unità. E in queste stime non si dà conto, in maniera disaggregata, della situazione drammatica, specifica, in cui versano tanti disoccupati con oltre 40 o 50 anni d'età, quelli che hanno perso il lavoro in età avanzata e sono ancora molto lontani dalla pensione, anche per effetto delle recenti «riforme» della previdenza che hanno sensibilmente aumentato l'età pensionabile;
   tale situazione critica del nostro apparato produttivo viene confermata anche dalla crescita del numero delle vertenze gestite dalla task force del Ministero dello sviluppo economico con circa 700 casi affrontati dall'inizio della crisi ad oggi e con altre 150 aziende in amministrazione controllata, casi che coinvolgono tutti i settori;
   colpisce anche la vera e propria epidemia che ha colpito la piccola e media impresa: le aziende che hanno chiuso battenti tra gennaio e marzo 2013 sono state ben 31.000. Un dato, come ha fatto rilevare recentemente Il Sole 24 Ore, peggiore addirittura rispetto al 2009, l'anno più buio della crisi, quando il saldo negativo si fermò intorno alle 30.000 unità;Pag. 54
   anche i consumi soffrono della crisi. L'ultima indagine Istat sul commercio al dettaglio mostra una diminuzione del 3 per cento a giugno rispetto all'anno precedente, la dodicesima consecutiva (si prevede un –2,2 per cento su base annua rispetto all'anno precedente). Un calo continuo, che non risparmia nemmeno i beni di primissima necessità, come gli alimenti ed i farmaci;
   una situazione così delicata che quantunque l'Italia agganciasse la flebile ripresa europea (per il 2014 è impensabile prevedere una ripresa superiore al punto di Pil), ciò sarebbe assolutamente insufficiente a mettere benzina nella sua economia. Per uscire da questa recessione prolungata, riparando pure i danni procurati dal combinato disposto di crisi e austerità, il nostro Paese dovrebbe crescere nei prossimi anni ad un tasso del 3-4 per cento almeno;
   per l'anno 2014 è del tutto illusorio ipotizzare una ripresa perfino superiore ad un punto di Pil;
   del tutto ingiustificato, dunque, l'ottimismo dimostrato dagli esponenti governativi, a seguito della chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo, gravante sull'Italia dal 2009;
   i provvedimenti previsti dal decreto-legge n. 102 del 2013, si legge nella Relazione citata, «avranno un impatto favorevole sull'economia». In realtà, confermando la cancellazione della prima rata dell'Imu 2013, rinviando alla legge di stabilità la decisione sulla seconda rata e spostando sulla «service tax» il compito di sostituire l'Imu nel 2014, il Governo non ha solo ribadito la sua abilità nella tattica del rinvio, ma ha operato una ridistribuzione del carico fiscale che penalizza i giovani, i più poveri, i territori più in difficoltà;
   viene cancellata la prima rata dell'Imu 2013 per le abitazioni principali (e le pertinenze). Lo stesso accade per terreni agricoli e fabbricati rurali strumentali. Dall'intervento scaturisce una sforbiciata al gettito Imu del 2013 pari a 2.396,2 milioni;
   dal 2014 si introduce la «service tax»: si tratta non solo dell'ennesimo cambio di nome della stessa imposta, ma anche di uno spostamento del carico fiscale: da imposta pagata dai proprietari (cioè patrimoniale) come Ici e Imu, a imposta pagata da chi vive in una casa, cioè anche dagli inquilini;
   per finanziare l'abolizione dell'Imu prima casa anche per i proprietari che non avevano bisogno di questa agevolazione, si fa pagare agli inquilini una parte della futura service tax;
   inoltre, si rinuncia ad affrontare adeguatamente il disagio abitativo di chi è colpito da sfratto per morosità, in assenza di un mercato dell'affitto a prezzi sostenibili. Anzi si riducono le risorse destinate a questo scopo: le risorse per il Fondo sociale per l'affitto e per il Fondo per la morosità incolpevole, partiranno solo dal 2014 e si rivelano più esigue del previsto: 60 milioni per il primo e 40 milioni per il secondo, sono da ripartire tra il 2014 e il 2015. Forse a quella data, gli inquilini interessati avranno già perso la casa; il Fondo sociale per l'affitto quando fu istituito 15 anni fa, aveva una dotazione statale di 300 milioni di euro ed erogava un contributo medio annuo alle famiglie modenesi che copriva 6 mensilità di affitto; con lo stanziamento di soli 30 milioni di euro nel 2014 (e altri 30 milioni nel 2015) unitamente all'aumento esponenziale delle famiglie in disagio economico ed abitativo, il contributo annuo alle famiglie in difficoltà non potrà che essere insignificante;
   nel frattempo si abolisce l'unica imposta patrimoniale esistente in Italia. In linea generale, i motivi per la sopravvivenza di un'imposta patrimoniale sugli immobili c'erano e ci sono tutti. Peraltro lo chiederebbe anche la Costituzione che chiede di commisurare le tasse alla capacità contributiva. E non c’è dubbio sul fatto che chi possiede una casa ha maggiore Pag. 55capacità contributiva di chi non ce l'ha. Semmai è necessario discutere di come esentare una fascia di proprietari poveri, con scarso reddito: ma solo di questi, non di altri. Invece, l'Imu sulla prima casa è abolita per tutti (quest'anno la pagheranno solo i proprietari di ville e castelli);
   se si guarda alle generazioni le cose sono chiare: i giovani sono tutti inquilini o potenziali tali, salvo i figli delle famiglie con più di una casa. Tra gli under 30, la maggioranza è danneggiata dal decreto. Un'ulteriore conferma del fatto che la retorica giovanilista dispensata all'insediamento dal governo Letta era, appunto, retorica. E non basta certo, per riequilibrare i pesi, riavviare la macchina dei mutui a vita, con gli incentivi a indebitarsi per comprare casa: non tutti potranno farlo. Certo aiuterà i più grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito alle periferie delle nostre città;
   nel decreto 102/2013 è contenuto un altro regalo ai costruttori: sulle case nuove, costruite e invendute, non si pagherà l'Imu. Cioè i costruttori risparmieranno qualcosa come 35 milioni (nel complesso), a fronte di un patrimonio invenduto che si aggira sugli 1,5 miliardi (stime riportate dal Sole 24 ore, 29/8/2013);
   in sintesi: meno tasse sul patrimonio; più tasse sull'abitare; meno certezze sulle entrate dei Comuni; qualche incerto taglio di spese per coprire il mancato incasso della prima rata dell'Imu; rinvio per le coperture della seconda rata;
   il decreto 102/2013 conferma poi lo stanziamento di altri 500 milioni di euro per la cassa integrazione in deroga. Confermata inoltre la tutela per altri 6.500 esodati per una spesa complessiva di 151 milioni nel 2014; 164 nel 2015; 124 nel 2016; 85 nel 2017; 47 nel 2018 e infine 12 nel 2019: ai cassaintegrati ed agli esodati sono andate le briciole che restano dopo avere trovate le coperture per l'Imu;
   con questo decreto il Governo ha praticamente azzerato il fondo per l'occupazione, che finanziava per 650 milioni l'anno la decontribuzione degli aumenti salariali previsti da accordi di secondo livello. Il fondo era già stato falcidiato dalla legge di stabilità 2013 che sottraeva 150 milioni. Altri 250 milioni sono stati tolti dal fondo dai provvedimenti del Governo sulla sospensione della prima rata Imu e sul primo rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Gli ultimi 250 milioni sono stati stornati ora con questo decreto e le nuove norme sulla Cig e sull'eliminazione della prima rata Imu;
   i tagli per le coperture sono al fondo per l'occupazione (meno 250 milioni), alla manutenzione della rete ferroviaria, alla lotta all'evasione fiscale, alle energie rinnovabili ed alla sicurezza;
   anche le altre coperture, alcune delle quali del tutto incerte, sono inique: vengono ridotti di 20 milioni i finanziamenti per assumere nuovi ispettori da impegnare nel contrasto all'evasione fiscale, riduzione che si porta dietro altri 10 milioni che erano stati stanziati per incentivare la mobilità e le trasferte del personale impiegato nel contrasto all'evasione e alle frodi fiscali, al lavoro nero, al gioco clandestino; altri 300 milioni vengono prelevati dai 40 conti Mps dove erano state versate le risorse della Cassa conguaglio settore elettrico per finanziare l'efficienza energetica e le rinnovabili; ancora: 300 milioni vengono sottratti agli investimenti e alla manutenzione straordinaria della rete ferroviaria; vengono tagliati diversi capitoli di spesa per le assunzioni tra polizia, vigili del fuoco (erano state promesse 1.000 assunzioni per i pompieri) e forze armate. In tutto, 35 voci ministeriali ridotte per quasi un miliardo; è prevista una stretta sulla detraibilità delle Polizze Vita, con un aggravio per i contribuenti pari a 458,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016; viceversa è prevista una sanatoria per le società che gestiscono le slot machine che dovevano pagare 98 miliardi di euro di Pag. 56multe e sanzioni per non avere collegate le slot al cervellone dei Monopoli di Stato, cifra che prima è stata ridotta drasticamente dalla Corte dei Conti a circa 2,5 miliardi ed ora con l'attuale ulteriore mega sconto, dovranno pagare solo 600 milioni. Tra di loro anche società gestite da personaggi in odore di mafia;
   un elemento positivo è comunque la previsione di un ulteriore tranche di pagamento dei debiti degli enti locali nel corso del 2013 per ulteriori 7,2 miliardi;
   ma data l'incertezza, in particolare di questi pagamenti e dell'adesione delle società concessionarie dei giochi alla sanatoria prevista, si è dovuti ricorrere ad una clausola di salvaguardia che autorizza il Governo ad aumentare l'importo degli acconti Ires e Irap e delle accise per complessivi 1,5 miliardi di euro. A novembre, dunque, saranno possibili aumenti degli acconti Ires ed Irap e delle accise;
   il decreto ha fatto, dunque, un grosso favore ai ricchi ed alla rendita, distribuito un po’ di risorse del tutto insufficienti ai cassintegrati in deroga ed a poche migliaia di «esodati», mentre ha aumentato la pressione fiscale a carico dei ceti popolari;
   se la politica del Governo dovesse continuare su questa impostazione con la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati la situazione economico-sociale non potrebbe che peggiorare;
   nell'ambito dell'attuale crisi economica ed occupazionale non è pensabile una nuova manovra economica pesantemente recessiva, al contrario servono scelte coraggiose che permettano al nostro paese, in tempi brevi, di ridare slancio alla crescita, di alleggerire la pressione fiscale sul lavoro; serve un insieme di misure organiche di politica economica che superino le politiche di austerity a favore di interventi ed investimenti di sostegno alla domanda, al lavoro, ai redditi, alla lotta alla povertà, quali: un vero e proprio Piano per il Lavoro per il prossimo triennio fondato su una politica di investimenti pubblici, di sostegno alle imprese, la riconversione ecologica dell'economia, la promozione di un piano straordinario di «piccole opere», di sostegno al welfare; una diversa politica fiscale che alleggerisca la pressione sul lavoro e le imprese e colpisca maggiormente le rendite finanziarie e i grandi patrimoni e la speculazione finanziaria sulla base di una più incisiva imposta sulle transazioni finanziarie; una politica di contenimento della spesa pubblica, riducendo i finanziamenti per le «infrastrutture strategiche» (grandi opere), gli investimenti nei sistemi d'arma (in particolare gli F35), i sussidi alle scuole private; una rinnovata politica industriale fondata sugli investimenti in innovazione e ricerca, nella green economy, nelle produzioni e consumi sostenibili nella direzione di un nuovo modello di sviluppo; una politica di investimenti nella formazione, conoscenza e nella ricerca, aumentando le risorse per la scuola e l'università, combattendo la dispersione e l'abbandono scolastico; la previsione di obiettivi più stringenti e adeguati a quello che ci viene chiesto a livello comunitario nell'ambito della realizzazione della strategia «Europa 2020», obiettivi che nel DEF 2013 sono indicati al ribasso e che devono essere rivisti verso l'alto; prevedere un organico piano di investimenti nel welfare che preveda l'introduzione del reddito di cittadinanza, l'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LIVEAS) previsti dalla legge n. 328/2000, un piano straordinario per gli asili nido pubblici su tutto il territorio;
  valutato altresì che:
   negli anni a partire dal 2006 la spesa per la Difesa è stata incrementata costantemente negli stati di previsione iniziali passando da 17, 7 miliardi di euro a 20 miliardi per l'anno 2012 ed a 21 miliardi per l'anno 2013;
   ogni anno sono state registrate variazioni di stanziamento in aumento di oltre 2 miliardi l'anno;
   per l'anno 2013 si registra una variazione di quasi un miliardo di euro, mentre una parte consistente delle spese Pag. 57per la Difesa afferiscono allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;
   la stessa Corte dei Conti ha osservato come: «la Relazione rileva che nel programma «approvvigionamenti armamenti», il capitolo di spesa 7120, concernente le spese per costruzione e acquisizione di impianti e sistemi, rappresenta nell'ambito degli impegni pluriennali di parte capitale, il capitolo più significativo. A questo proposito, ad avviso della Corte, appare necessaria un'attenta valutazione dei programmi di spesa relativi agli esercizi successivi al fine di mantenere livelli di impegno compatibili, da una parte, con le esigenze di bilancio, dall'altra, con la sostenibilità degli interventi integrati in sede di organizzazioni internazionali della difesa. Peraltro, la eterogeneità delle finalizzazioni dei singoli piani gestionali, sembra consentire possibili rimodulazioni in termini di contenimento della spesa»;
   dalle misure contenute nel disegno di legge di assestamento dello stato di previsione della Difesa non emerge nessun recepimento di queste indicazioni della Corte dei conti, mentre sarebbe altamente opportuno stante le emergenze economiche e sociali vissute dal nostro Paese che si riducesse la spesa per programmi d'armamento;
   la missione in Afghanistan rappresenta in termini di costi la parte più cospicua del nostro impegno «fuori area»;
   se i governi che si sono succeduti negli ultimi anni avessero ritirato – come chiesto da parti significative della nostra società civile – le nostre truppe dall'Afghanistan e reimpiegate parte delle risorse così risparmiate a favore delle popolazioni afgane, ne sarebbe risultato comunque una disponibilità di risorse da impiegare per scopi pacifici e civili nel nostro Paese,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

Pag. 58

ALLEGATO 5

Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio 2012 (C. 1572 Governo, approvato dal Senato).

  RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La IV Commissione Difesa,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 119, comma 8, del Regolamento, il disegno di legge recante «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'anno finanziario 2012», relativamente alla parte di propria competenza,
  richiamato che:
   il conto consuntivo del Ministero della difesa per il 2012 reca stanziamenti definitivi di competenza per complessivi 22.328,6 milioni di euro, con un incremento di circa 2.366,5 milioni di euro rispetto alle previsioni iniziali e di 1.483,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate;
   l'importo relativo alle autorizzazioni definitive di cassa è di 23.196,4 milioni di euro, mentre nel bilancio di previsione risultava pari a 20.324,7 milioni di euro;
   l'incidenza percentuale delle risorse per la difesa sul bilancio dello Stato è stata pari al 4,2 per cento, con un decremento pari allo 0,2 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario;
   il raffronto relativo all'accumulo dei residui passivi evidenzia per il 2012 valori percentuali di performance tendenzialmente positivi, tenuto conto che la massa spendibile corrisponde a 25.759, 4 milioni di euro e il coefficiente di realizzazione passa dall'84,06 per cento all'82,3 per cento;
  e premesso, inoltre, che:
   l'urgenza di riqualificare la spesa nel settore della Difesa, come invocato dalla Corte dei conti, è obiettivo che va di pari passo all'impegno per la realizzazione di un modello integrato di difesa europea, capace di consentire il duplice risultato della riduzione dei costi e il conseguimento di un dispositivo integrato pienamente funzionale alle esigenze di difesa e sicurezza, da affrontare e risolvere attraverso un multilateralismo efficace, pur nel pieno rispetto della specificità dello strumento militare;
   conseguentemente, negli impegni di spesa per i programmi d'armamento, caratterizzati secondo la Corte dei conti da un elevato grado di irrigidimento negli anni 2013-2015 su valori finanziari molto elevati, si deve contemperarne la compatibilità con le esigenze di bilancio e valutare la sostenibilità di interventi integrati in sede di organizzazioni internazionali della difesa, anche alla luce di quanto potrà emergere dall'indagine conoscitiva in corso di svolgimento sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, per realizzare un contenimento della spesa anche grazie ad un più deciso impegno nella promozione di convergenze produttive nel settore degli armamenti al livello europeo;
   sempre nell'urgenza di razionalizzare la spesa nel settore della Difesa, è divenuta improcrastinabile una valutazione in ordine alla alienazione dei beni della difesa da tempo non utilizzati per finalità istituzionali e, data la riassegnazione alla Difesa ad oggi di un importo pari a soli 3,6 milioni di euro circa derivanti dalla vendita di un numero assai esiguo di alloggi di servizio rispetto al patrimonio alienabile, Pag. 59è altresì indifferibile l'adozione da parte dell'Amministrazione di nuovi criteri per la definizione del prezzo di vendita, delle condizioni per i conduttori e dell'entità del canone di mercato, anche al fine di superare il contenzioso amministrativo sulla base di accordi stragiudiziali;
   in tema di socialità interna a favore degli appartenenti alle Forze Armate, si auspicano impegni a favore degli organi di protezione sociale, delle iniziative connesse e degli asili nido in ragione della specificità dell'impiego, delle esigenze di mobilità e dei provvedimenti in materia di blocco stipendiale e di armonizzazione previdenziale;
   è necessario un impegno concreto e mirato sul tema degli Enti vigilati dal Ministero della difesa, per dare seguito alle linee tracciate dalla Corte dei conti con riferimento, in particolare, all'Agenzie Industrie Difesa e alla Difesa Servizi S.p.A, e da conseguire mediante uno specifico approfondimento;
   richiamata, infine, la valenza che assume il provvedimento in vista della revisione dello strumento militare, in attuazione della legge n. 244 del 2012, che, come evidenziato nella Relazione della Corte dei conti, dovrà avvenire secondo modi e tempi compatibili con l'urgente esigenza di riduzione della spesa,

DELIBERA DI RIFERIRE FAVOREVOLMENTE

con la seguente osservazione:

   nell'urgenza di razionalizzare la spesa nel settore della Difesa, secondo quanto segnalato anche dalla Corte dei conti, valuti la Commissione di merito l'opportunità che da parte dell'Amministrazione della difesa si proceda senza ritardo ad una valutazione sull'alienazione dei beni della difesa da tempo non utilizzati per finalità istituzionali, provvedendo ad un'opportuna rimodulazione dei vincoli urbanistici da parte degli enti locali, incrementando e salvaguardando gli alloggi di servizio e, dati gli insoddisfacenti risultati ad ogni conseguiti in termini finanziari dalla vendita di alloggi di servizio rispetto al patrimonio alienabile, adottando nuovi criteri per la definizione del prezzo di vendita, delle condizioni per i conduttori e dell'entità del canone di mercato, anche al fine di superare il contenzioso amministrativo sulla base di accordi stragiudiziali.