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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 58 di lunedì 27 febbraio 2023

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA

La seduta comincia alle 13.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 febbraio 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 61, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio delle dimissioni di un Sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 24 febbraio 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri mi ha inviato la seguente lettera: “Onorevole Presidente, La informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, di concerto con il Ministro dell'Università e della ricerca, ha accettato le dimissioni rassegnate dall'onorevole Augusta Montaruli dalla carica di Sottosegretario di Stato per l'Università e la ricerca.

  Firmato: Giorgia Meloni”.

Discussione delle mozioni Mazzetti ed altri n. 1-00040 e Santillo ed altri n. 1-00048 concernenti iniziative in materia di agevolazioni fiscali per il settore edilizio e per l'efficienza energetica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mazzetti ed altri n. 1-00040 e Santillo ed altri n. 1-00048, concernenti iniziative in materia di agevolazioni fiscali per il settore edilizio e per l'efficienza energetica (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Zanella ed altri n. 1-00075 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente.

È stata, altresì, presentata una nuova formulazione della mozione Santillo ed altri n. 1-00048 (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Erica Mazzetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00040. Ne ha facoltà.

ERICA MAZZETTI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Grazie al Governo, qui rappresentato dal Sottosegretario, e ai colleghi presenti.

Vorrei fare un ringraziamento anche a tutto il gruppo di Forza Italia, con, in prima linea, il presidente Cattaneo, insieme al quale abbiamo deciso di portare avanti questa mozione, presentata qui a gennaio, ma di attualità impressionante. Per questo credo fondamentale oggi iniziare questa discussione su un tema che, sappiamo, sta creando molte fibrillazioni e per il quale, benché non sia stato creato da noi, come Governo di centrodestra, dobbiamo trovare ora soluzioni.

Il sistema di incentivi per l'efficienza energetica, sisma bonus e fotovoltaico, di cui agli articoli 119 e successivi del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto Superbonus 110 per cento, entrato in vigore il 19 maggio 2020), è stato modificato in 19 provvedimenti diversi, nel corso degli ultimi 2 anni e mezzo. In particolare, per l'articolo 121 - quello relativo all'opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura in luogo delle detrazioni fiscali, estesa peraltro a tutte le tipologie di bonus edilizi - si contano modifiche spesso plurime, in 12 provvedimenti diversi, rispetto al testo originario, quasi tutte concentrate negli ultimi 15 mesi. La quasi totalità dei cantieri ha visto modificarsi la normativa di riferimento almeno 2 volte, dall'inizio alla conclusione dei lavori stessi.

Fino all'intervento del decreto cosiddetto Antifrodi (decreto-legge 11 novembre 2021, n. 157, trasfuso poi nella legge di bilancio 2022), i meccanismi dello sconto in fattura e della cessione dei crediti a favore del sistema bancario, assicuravano tempi certi di realizzo, che garantivano alle imprese esecutrici una congrua programmazione degli interventi e il rispetto delle tempistiche previste. Il menzionato decreto ha introdotto l'obbligo dell'asseverazione di congruità delle spese e del visto di conformità. Con l'articolo 28 del decreto-legge n. 4 del 2022, per i bonus legati a interventi edilizi sono state vietate le cessioni “a catena”, ritenendosi legittimo, oltre allo sconto in fattura sul corrispettivo, un solo trasferimento.

Oltre a queste previsioni, una serie di fattori concomitanti ha determinato il progressivo blocco del mercato delle cessioni dei crediti fiscali detenuti nei cassetti delle imprese operanti nel settore delle ristrutturazioni edilizie, come dei molti cittadini e professionisti. In particolare, si segnalano: la circolare 23/E dell'Agenzia delle entrate, dello scorso giugno, sulla responsabilità solidale; una serie di sentenze della Corte di cassazione (da ultimo, quella del 30 dicembre 2022) sul sequestro preventivo dei crediti anche presso il terzo in buona fede, in presenza di procedimenti relativi all'illegittima creazione di crediti fiscali inesistenti.

La Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario, nella sua relazione finale, comunicata alla Presidenza della Camera il 6 ottobre 2022, ha osservato che la capienza fiscale dei 12 principali istituti di credito è di 16,2 miliardi di euro l'anno, pari a 81,1 miliardi in 5 anni. Poiché tali banche hanno accettato crediti fiscali derivanti da cessioni dei bonus edilizi per 30 miliardi di euro e altri 47 miliardi di euro sono in valutazione (complessivamente il 78 per cento del mercato delle cessioni), la loro capienza fiscale sarebbe al limite.

Nel documento illustrato dal Governo a banche e imprese il 20 febbraio 2022, l'Agenzia delle entrate ha calcolato in 34/35 miliardi di euro la capacità fiscale residua delle banche per assorbire i crediti incagliati dai bonus edilizi. L'Associazione bancaria italiana, invece, ha sostenuto di essere arrivata ai limiti della propria capienza fiscale, pari a 81 miliardi di euro, in quanto nella contabilità bancaria pesano le annualità di smaltimento dei crediti fiscali.

A fronte della situazione di stallo del mercato delle cessioni e delle conseguenti sofferenze delle imprese, in particolare di quelle piccole e medie, Parlamento e Governo sono più volte intervenuti: il numero dei possibili trasferimenti è aumentato sino alla previsione di una sola cessione a terzi e 3 ulteriori cessioni effettuate in favore di istituti di credito e intermediari finanziari, con possibilità per questi ultimi di cedere a propri correntisti in possesso di partita IVA. Inoltre, l'Agenzia delle entrate ha consentito il frazionamento dei crediti per annualità.Sono state, poi, previste: l'estensione delle norme sulle cessioni plurime ai crediti antecedenti il 1° maggio 2022, la possibilità di integrare le documentazioni dei crediti antecedenti il 12 novembre 2021, nonché la riduzione del perimetro della responsabilità solidale che ora si configura solo in caso di dolo e colpa grave.

Il decreto-legge n. 11 del 2023 ha delimitato ulteriormente la responsabilità solidale del cessionario, precisando che essa è esclusa qualora egli dimostri di aver acquisito il credito d'imposta e sia in possesso di specifica documentazione. Per i cessionari di crediti acquistati dalle banche l'esclusione di responsabilità opera mediante il rilascio di un'attestazione di possesso da parte della banca di tutta la predetta documentazione. Il decreto stabilisce inoltre che l'onere della prova della sussistenza del dolo o della colpa grave del cessionario grava sull'ente impositore. Questi interventi non sono serviti a riavviare compiutamente il mercato delle cessioni che appare afflitto da una generale sfiducia tra gli operatori. Si è determinata una paradossale situazione nella quale le imprese che effettuano lavori, in particolare le piccole e medie imprese, si ritrovano con i cassetti fiscali pieni, ma senza risorse per poter proseguire i lavori, onorare gli impegni con i fornitori e pagare stipendi e contributi.

Le PMI segnalano l'introduzione di nuove condizioni per l'acquisto del credito da parte del sistema creditizio, fra le quali l'esame del merito creditizio del cedente, l'accettazione di fatture solo oltre un certo importo, la difficoltà, per le imprese che operano tramite SAL, di cedere i SAL successivi al primo ad istituti di credito diversi da quelli a cui hanno ceduto in prima istanza. In generale, si registra un maggiore onere a carico del cedente e soprattutto una minore celerità nella definizione delle pratiche, dovuta al rafforzamento dei controlli, nonostante il fatto che, una volta ottenuta asseverazione, visto di conformità e codice univoco, il credito da cedere sia certo. Sono quasi 55.000 le PMI che in questo periodo stanno accusando difficoltà nello smaltimento di questi crediti.

Nel documento illustrato dal Governo a banche e imprese il 20 febbraio 2022 l'Agenzia delle entrate quantifica in 19 miliardi di euro i crediti fiscali giacenti nei cassetti fiscali delle imprese, di cui 12 relativi al superbonus. Oltre alla sofferenza degli imprenditori, ormai da mesi si sta registrando una notevole sofferenza di professionisti e cittadini, sempre più disperati, che aspettano una risposta immediata dalla politica.

Il 10 novembre 2022, ABI e ANCE hanno insieme scritto al Governo una lettera per richiamare l'attenzione sulla gravità della situazione nella quale si trovano migliaia di cittadini e imprese, che hanno fatto affidamento su norme di utilizzo dei bonus edilizi, chiedendo una misura tempestiva e di carattere straordinario che consenta agli intermediari di ampliare la propria capacità di acquisto, utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, da compensare con i crediti ceduti dalle imprese.

Nell'audizione svoltasi il 2 febbraio 2023 presso la VI Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti d'imposta, l'Ufficio statistico dell'Unione Europea, Eurostat, dopo aver precisato che il superbonus, che era stato classificato temporaneamente nel 2021 come non pagabile, ma che attende i prossimi dati Istat circa l'ammontare dei diversi crediti fiscali che non saranno utilizzati dai contribuenti, elemento decisivo per giudicare se tali crediti siano da considerare pagabili o meno, ha chiarito che la pagabilità o non pagabilità di un credito non ha alcuna influenza né sul debito dello Stato, né sulla cifra finale totale da imputare come effetto sul deficit negli anni impattati da tale misura, ma solamente sul profilo temporale dell'impatto sul deficit nel corso degli anni.

Nell'audizione svoltasi al Senato il 2 febbraio 2023, nell'ambito sempre dell'indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale, il MEF ha chiarito che, nell'aggiornamento delle previsioni tendenziali di finanza pubblica incluse nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, la stima del superbonus e degli altri bonus edilizi è stata aumentata a circa 110 miliardi di euro, con uno scostamento complessivo di 37,75 miliardi di euro rispetto alle previsioni iniziali sull'intero orizzonte temporale. In particolare, le previsioni tendenziali di bilancio relative al superbonus 110 per cento si attestano a 61,2 miliardi e quelle del bonus facciate a 19 miliardi. Per gli anni 2023-2026 i maggiori oneri hanno determinato un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi complessivi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno.

In considerazione degli impatti sulla finanza pubblica dei maggiori oneri derivanti dalla normativa sui bonus edilizi, il decreto-legge n. 11 del 2023 ha stabilito, a partire dal 17 febbraio 2023, l'impossibilità di optare, in lungo della fruizione diretta della detrazione, lo sconto in fattura dai fornitori di beni o per la cessione del credito corrispondente, per gli interventi relativi al superbonus 110 per cento e a tutti quelli legati all'edilizia, ivi compresi quelli relativi all'installazione di impianti fotovoltaici, antisismici, di colonnine di ricarica e per l'abbattimento delle barriere architettoniche.

Il decreto-legge n. 11 salvaguarda gli incentivi per i quali, alla data del provvedimento, risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILAS) o altri titoli abitativi, o sia stato registrato il contratto preliminare. Restano esclusi dal beneficio diverse tipologie di interventi che prevedevano lo sconto in fattura: gli acquirenti di immobili nuovi che non hanno registrato un preliminare d'acquisto; i piccoli lavori di edilizia libera, ivi comprese le sostituzioni di caldaie o infissi, non ancora iniziati, per i quali sono stati firmati preventivi e versati anticipi; i condomini che hanno svolto la parte preliminare della pianificazione dei lavori di superbonus, ma non sono arrivati alla CILAS e le imprese che stanno realizzando edifici, frutto di demolizione con ricostruzione o di una ristrutturazione, ancora privi di rogiti firmati e preliminari già registrati.

Rispetto agli scostamenti sopra segnalati, sussiste una significativa disparità di cifre tra quanto iscritto nei documenti pubblici e quanto riportato nei calcoli di autorevoli istituti che giungono a sostenere che il reale impatto dei bonus edilizi sui conti pubblici sia limitato ad una quota molto inferiore di quanto dichiarato.

Negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi redatti da associazioni di categoria del mondo dell'edilizia e delle costruzioni o da istituti di ricerca. In particolare, si segnalano: lo studio (luglio 2022) del Consiglio nazionale ingegneri, aggiornato a fine giugno, basato sulle tavole intersettoriali dell'economia italiana, elaborate dall'Istat, nel quale si individua un moltiplicatore del reddito pari a 2,1 per stimare gli effetti diretti e indiretti sull'economia di ogni euro speso per bonus edilizi; lo studio (luglio 2022) condotto da Nomisma, anch'esso basato sulle tavole intersettoriali, che utilizza un moltiplicatore del reddito pari a 3,2 per stimare gli effetti del reddito diretto, indiretto e indotto delle spese del superbonus; lo studio ANCE (dell'11 luglio 2022) in cui, per superare le criticità del modello delle tavole intersettoriali, si utilizza una metodologia basata su quanto avviene realmente in un cantiere edile, senza tener conto degli effetti indiretti e di quelli indotti. Lo studio stima un'aliquota media del 47 per cento del ritorno per lo Stato in termini di gettito fiscale complessivo, a partire da un capitolato tecnico-economico standard. L'aliquota è calcolata sul conto lordo statale e include le entrate contributive. Poi c'è il rapporto Censis (del novembre 2022), nel quale, elaborando i dati Enea e Istat, si calcola che, tra l'agosto del 2020 e l'ottobre del 2022, per una spesa di 55 miliardi di euro in superbonus, che si converte in 60,5 miliardi di detrazioni a carico dello Stato, c'è un incasso fiscale diretto in termini di IVA, Irpef e Ires di 42,8 miliardi. La spesa effettiva è valutata quindi in 17,6 miliardi. Per il Censis, i 55 miliardi ammessi a detrazione attivano un valore della produzione della filiera edilizia e dei servizi tecnici connessi pari a 79,7 miliardi di euro. Il Cresme, nel XXXIII rapporto congiunturale sul mercato edilizio, nel giudicare positivamente gli effetti dei bonus edilizi dal lato dell'impatto sull'economia, chiarisce che, tra il 2020 e il 2022, essi hanno avuto un peso sul PIL pari al 13,9 per cento e che la maxi detrazione ha contribuito con un più 22 per cento alla crescita totale del PIL. Questo si è tradotto in 460.000 occupati in più nel 2022 rispetto al 2019.

Di particolare rilevanza la ricerca pubblicata, a fine ottobre 2022, dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, nella quale si afferma che un euro speso per i bonus edilizi ha avuto un ritorno per le casse pubbliche di 43,3 centesimi, a cui vanno aggiunti gli effetti positivi sull'occupazione e sul reddito di famiglie e imprese.

L'elemento significativo della ricerca è dato dal fatto che essa analizza in dettaglio la metodologia utilizzata dalla Ragioneria generale dello Stato nel redigere le relazioni tecniche dei provvedimenti che hanno disposto l'introduzione o la proroga di bonus edilizi, rilevando che esse appaiono caratterizzate sia da una significativa sottostima iniziale del costo lordo per lo stato del superbonus 110 per cento, sia dall'adozione di un modello di calcolo che limita al solo 8,6 per cento le maggiori entrate indotte dalla spesa aggiuntiva che ha amplificato gli allarmi sulla tenuta dei conti pubblici che - condividiamo - vanno tenuti sotto controllo, assicurando la stabilità.

Con il pacchetto Fit for 55, presentato nel luglio 2021 e in corso di approvazione, nel 2030 dovremmo ridurre del 55 per cento le emissioni clima-alteranti, per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Per quel che riguarda gli immobili, residenziali o produttivi, il pacchetto muove dalla constatazione che, nell'Unione europea, gli edifici rappresentano il 40 per cento del consumo finale di energia e il 36 per cento delle emissioni di gas serra legate all'energia e che sussiste un potenziale enorme in termini di riduzione delle emissioni. Nell'ambito del pacchetto, la proposta di direttiva sulla prestazione energetica degli edifici, approvata il 9 febbraio 2023 dalla Commissione energia del Parlamento europeo, per poi essere approvata nella sessione plenaria del Parlamento del 13-16 marzo e, poi, andare al trilogo interistituzionale, prevede che gli immobili residenziali debbano tutti raggiungere la classe energetica E entro il 2030. Dopo altri 3 anni, nel 2033, sarà necessario arrivare alla classe energetica D europea. Non sottovalutiamo il fatto che la classe energetica D europea è diversa dalla nostra e che, a livello del nostro Stato, ogni regione ha i propri parametri. Sono previste talune eccezioni, quali gli immobili vincolati nei centri storici e le seconde case, tutte cose ottenute grazie a un lavoro di Forza Italia all'interno del Partito popolare europeo; oggi, dobbiamo continuare questa battaglia.

Dai dati ANCE-Nomisma presentati a luglio 2022, risulta che circa 483.000 beneficiari con reddito medio basso, grazie al superbonus hanno potuto effettuare lavori di riqualificazione energetica e adeguamento antisismico per la propria abitazione. Si tratta del 32,6 per cento degli interventi sino ad allora effettuati. Il nostro Paese è tuttora privo di una politica strutturale dell'efficienza energetica degli edifici, nonché, a causa delle nostre particolari caratteristiche geografiche, di adeguamento antisismico, in quanto quella sul superbonus è sempre stata una norma congiunturale, potentissima e discutibile, soprattutto in tempi e modi, peraltro inserita in un sistema agevolatorio che si è stratificato a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con gli obiettivi più disparati. Si è proceduto con aggiustamenti, proroghe e con modalità stop and go, mentre altri Paesi come la Francia e la Germania hanno avviato politiche coordinate, investendo risorse importanti.

È necessario che la transizione energetica in ambito edilizio sia accompagnata da programmi, fondi e risorse di sostegno per l'efficientamento degli edifici, mediante l'adozione di uno specifico piano a livello europeo e nazionale, che abbia come missione principale quella di finanziare la ristrutturazione edilizia profonda, strutturale e adeguata alla stabilità del settore, come anche, e soprattutto, dei conti pubblici.

Proprio per questo abbiamo presentato questa mozione, che, lo ripeto, è stata fatta a gennaio, ma è attualissima, con la quale si impegna il Governo ad adottare iniziative volte al complessivo riordino del sistema di incentivazione per la ristrutturazione edilizia in termini di razionalizzazione e semplificazione, anche tenendo conto delle esperienze maturate in altri Paesi dell'Unione europea, trasformando le misure prevalentemente congiunturali oggi esistenti in una rigorosa e strutturale spinta all'efficientamento del patrimonio edilizio residenziale, sotto il profilo energetico e sismico, e realizzando un modello nel quale l'incentivo sia: direttamente proporzionale ai livelli di efficientamento (sismico e energetico) raggiunti dagli immobili rispetto a quelli di partenza ante intervento, mantenendo in proporzione una parte di cessione del credito con sconto in fattura in termini di premialità al fine stesso; inversamente proporzionale al reddito del beneficiario, con particolare attenzione ai cittadini incapienti e alle prime case, valutando il mantenimento dello sconto in fattura e della cessione del credito per i soggetti tributari incapienti o in regime forfettario, prevedendo, ove occorra, la creazione di un fondo di natura rotativa presso Cassa depositi e prestiti, destinato all'erogazione di anticipazioni di durata decennale, a tasso agevolato, per la ristrutturazione antisismica e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio detenuto dai soggetti incapienti o in regime forfettario.

Inoltre, la mozione impegna il Governo ad adottare iniziative volte a dotare il sistema di incentivazione di cui al precedente impegno delle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del Fit for 55 per l'edilizia residenziale, inseriti nella direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, intervenendo in sede di Unione europea affinché queste siano incrementate e coordinando l'utilizzo delle risorse europee disponibili con ulteriori risorse nazionali, anche al fine di consentire al comparto edilizio di mantenere gli attuali livelli di apporto al PIL e di generare le maggiori entrate necessarie a sostenere il processo di efficientamento. Ancora, ad adottare iniziative volte a prevedere un modello incentivante accessibile anche a soggetti incapienti o in regime forfettario per le ristrutturazioni e gli interventi edilizi privi di caratteristiche di efficientamento e adeguamento sismico, al fine di evitare la creazione di una economia non osservata in ambito edilizio; ad adottare misure per consentire ai soggetti che abbiano avviato procedimenti di acquisto, demolizione e ricostruzione di immobili, nonché di ristrutturazione di immobili in edilizia libera non ancora contrattualmente definiti, di poter usufruire dello sconto in fattura o della cessione del credito in presenza di preliminari già redatti o anticipi già versati; ad individuare uno specifico sistema di incentivazione per l'efficientamento energetico e sismico degli immobili produttivi, destinato a soggetti esercenti attività di impresa, arti e professioni, con l'obiettivo di rilanciare l'economia nazionale, incrementando le attività nel comparto trainante del recupero energetico e antisismico del patrimonio edilizio, con ricadute positive sul comparto produttivo e sull'intera collettività; a rivedere il modello con cui sono state redatte le relazioni tecniche relative alla copertura dei bonus edilizi introdotti a partire dal 2020 e a presentare al Parlamento una valutazione dell'impatto sui conti pubblici dei flussi di cassa fiscali e contributivi, diretti e indiretti, provenienti dal settore edile e dall'indotto, tenuto conto delle analisi presentate dalle associazioni di categoria del mondo dell'edilizia e delle costruzioni o da istituti di ricerca, individuate in premessa.

La mozione, inoltre, impegna il Governo ad adottare iniziative di competenza volte a sbloccare il mercato delle cessioni, in particolare: valutando la possibilità di un'espressa deroga all'articolo 321 del codice penale in materia di sequestro preventivo, in cui si preveda l'esclusiva responsabilità in capo al soggetto originariamente beneficiario del credito d'imposta, senza coinvolgimento del terzo, di modo che i cessionari in buona fede, estranei a ogni reato, in particolare tributario, commesso dai cedenti, non possano essere destinatari di provvedimenti di sequestro; consentendo la possibilità agli intermediari finanziari di frazionare per importi oltre che annualità i crediti da cedere ai propri correntisti non consumatori, in considerazione dell'alta affidabilità nella gestione documentale delle cessioni; consentendo agli intermediari finanziari di ampliare la propria capacità di acquisto, mediante utilizzo di una parte dei versamenti delle imposte da loro incassati con gli F24, a compensazione dei crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese, secondo criteri di proporzionalità diretta con la massa di crediti detenuti da ciascun intermediario e in misura non inferiore al 3 per cento del totale dei versamenti effettuati con gli F24; promuovendo la stipula di uno specifico accordo tra Governo, Associazione bancaria italiana, Cassa depositi e prestiti, Poste Italiane e le organizzazioni imprenditoriali, volto ad accelerare la circolazione dei crediti di imposta, garantendo la sostenibilità del mercato delle cessioni per il sistema creditizio, definendo regole uniformi per valutare l'affidabilità dei cedenti, individuando procedure telematiche unificate e checklist documentali univoche, nonché adottando tassi di sconto massimi secondo il modello utilizzato da altre operazioni finanziarie come anticipo fatture, al fine di evitare attività speculative; valutando la possibilità di coinvolgere nel processo di smaltimento dei crediti fiscali incagliati anche le società partecipate dallo Stato, con particolare riferimento a ENEL, ENI, Ferrovie dello Stato e ANAS.

Ancora, la mozione impegna il Governo a promuovere il coinvolgimento degli ordini professionali competenti per materia nella stesura delle regole tecniche attuative in ambito sismico ed energetico e a fornire ogni utile elemento al Parlamento sull'entità dei crediti fiscali in scadenza nel 2022 che non sono stati utilizzati per incapienza dei soggetti titolari. Infine, impegniamo il Governo affinché si preveda un riordino di tutti i bonus edilizi presenti in un unico provvedimento con tempi e modalità strutturali che stabilizzi il settore, senza gravare gli imprenditori, i professionisti e i cittadini, ma anche con grande attenzione ai conti pubblici.

Ecco, noi da sempre siamo convinti che inizialmente questa fosse una forma eccellente per far ripartire un settore in crisi ormai da oltre 10 anni, ma, come sempre abbiamo detto e sostenuto, fatta in modo scellerato nei tempi e nei modi. Noi oggi governiamo questo Paese e siamo tutti consapevoli, insieme alle categorie economiche, ai cittadini e ai professionisti, che il problema vada risolto, ma non certo sulle spalle dei conti pubblici.

PRESIDENTE. Salutiamo i ragazzi dell'Istituto comprensivo Piazza Filattiera, di Torricella, Roma (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Enrica Alifano, che illustrerà la mozione Santillo ed altri n. 1-00048 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

ENRICA ALIFANO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, si è già ampiamente discusso in quest'Aula, già dall'inizio della legislatura in corso, sugli effetti positivi che il superbonus ha avuto sull'economia del Paese; ne ha elencati tanti la collega di Forza Italia, che, prima di me, ha illustrato l'impatto positivo che il superbonus ha avuto sull'economia del Paese. Che lo stesso abbia costituito un volano della crescita economica, grazie soprattutto al meccanismo della cessione dei crediti, è stato tra l'altro ultimamente sottolineato, in un'audizione tenuta al Senato, dal direttore generale dell'ABI, dottor Giovanni Sabatini.

Il decreto Aiuti-quater, all'articolo 9, ha già ridotto, tuttavia, la percentuale della detrazione dal 110 per cento al 90 per cento, assestando un primo colpo alla disciplina così come era stata originariamente concepita dal legislatore.

Con il decreto-legge n. 11 del 2023, si cerca di depotenziare ancora più uno strumento che - si è già ripetuto più volte in quest'Aula - ha determinato una crescita record del PIL, ha aumentato il tasso di occupazione e ha consentito a un comparto importantissimo dell'economia italiana, quello dell'edilizia, di uscire da una crisi pluriennale. Al contempo, il drecreto-legge n. 11 del 2023 ha avviato un processo di ammodernamento ed efficientamento energetico delle abitazioni esistenti sul suolo del nostro Paese.

Si torna a rammentare alcuni dati. Il 65 per cento del parco edilizio italiano ha più di 45 anni, cioè è stato costruito in epoca anteriore alla legge n. 373 del 1976. Inoltre, più della metà degli immobili appartiene alle classi energetiche peggiori. Un altro dato ancora: gli edifici sono responsabili del 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas ad effetto serra. Non di meno, attualmente, in Europa si discute sulla possibilità di prevedere che gli edifici residenziali con le peggiori prestazioni raggiungano almeno la classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033.

Mi preme ancora sottolineare che l'Italia è un Paese importatore di gas e di altri combustibili fossili. Quindi, visto, tra l'altro, il conflitto che, ahimè, è ancora in corso, dovremmo comprendere la necessità di ridurre il consumo energetico. Una politica, questa, che, oltre ad avere un impatto positivo sull'ambiente, gioverebbe non poco alla bilancia dei pagamenti, e quindi, in definitiva, ai conti pubblici.

Inoltre, non bisogna dimenticare, e mi preme rilevare anche quest'altra circostanza, che l'Italia è un Paese con un elevato rischio sismico. Pertanto, la ristrutturazione delle abitazioni rappresenta un'esigenza particolarmente sentita nel nostro Paese rispetto ad altre Nazioni europee, che, fortuna loro, non patiscono questo problema. Ne va in molti casi, purtroppo, della vita delle persone che vivono in abitazioni non adeguate e che non prevengono il rischio sismico.

Con tali premesse, si può ben comprendere come snaturare il sistema degli ecobonus avrà conseguenze pesantissime sul nostro tessuto economico e sociale, sul benessere dei cittadini e sulla stessa crescita economica del Paese. Verrà in primo luogo frenato il processo di riduzione dei consumi di energia e di emissioni. Si bloccheranno, altresì, gli interventi di messa in sicurezza delle abitazioni esistenti, e dunque gli effetti economici di questa brusca frenata saranno incalcolabili e, soprattutto, imprevedibili. Del resto, le continue modifiche normative, già delineate dall'intervento che mi ha preceduto, hanno ampliato il clima di sfiducia dei cittadini e degli operatori del settore, come già rilevato da Enea, che, nelle ultime rilevazioni del mese di dicembre del 2022, ha segnalato il brusco calo del numero di asseverazioni in questo settore e degli investimenti rispetto ai mesi precedenti. Proprio l'incertezza applicativa, ha comportato il progressivo blocco del mercato dei crediti, che risultano ancora incagliati nei cassetti fiscali delle imprese. Alcune stime parlano di 50.000 imprese sull'orlo del fallimento, stime probabilmente volte al rialzo, però anche una stima più prudente, quella riportata sempre dal dottor Sabatini in sede di audizione al Senato, parla di circa 25.000 imprese che hanno crediti incagliati, e che, dunque, soffrono di enormi difficoltà, che di necessità si stanno riverberando anche sul sistema bancario.

Non può essere di freno al meccanismo dello sconto in fattura e della cessione del credito quanto riferito in audizione al Senato dal dottor Ascoli, che è il direttore delle statistiche sulle finanze pubbliche presso Eurostat, che ha precisato alcuni argomenti su tale tematica e ha chiarito che la qualificazione dei crediti di imposta derivanti dal superbonus come pagabili o non pagabili non incide in fin dei conti sul debito pubblico, ma può successivamente incidere sul deficit, quindi sulle minori entrate future.

Per quanto riguarda i crediti fiscali derivanti al superbonus che sono stati classificati temporaneamente da Istat nel 2021 come non pagabili, la questione di fondo per riportare questi crediti nell'una o nell'altra classificazione – ciò è stato precisato dal dottor Ascoli – è di stabilire se siano trasferibili, differibili e compensabili con qualsiasi tipo di imposta. Al momento si attendono le stime dell'Istat per comprendere bene se classificare i crediti di imposta derivanti dal superbonus come pagabili o non pagabili, ma, nel frattempo occorre affrontare un'emergenza per evitare che l'attuale blocco dei crediti determini conseguenze negative ulteriori.

La nostra mozione vuole, al primo punto, impegnare il Governo a intraprendere qualsiasi iniziativa volta a uscire da questa situazione drammatica e a determinare lo sblocco delle procedure di cessione dei crediti fiscali che sono incagliati nei cassetti fiscali. Una via di uscita, che, peraltro, è stata suggerita anche dal rappresentante dell'ABI, potrebbe essere quella di compensare i crediti derivanti dai bonus edilizi con i modelli F24 delle stesse banche o dei clienti che si presentano agli sportelli bancari. Sempre nella nostra mozione, si pensa di coinvolgere anche gli enti territoriali. Con la presente mozione si vuole impegnare il Governo a stimolare l'istituzione di fondi regionali, al fine di agevolare lo smaltimento dei crediti fiscali.

Va da sé che, in questa circostanza, è necessaria la massima partecipazione delle associazioni rappresentative delle imprese e del mondo finanziario e bancario. Inoltre, si vuole impegnare il Governo perché, nel futuro, adotti iniziative volte a introdurre strumenti che amplino la leva finanziaria, prevedendo, quali cessionari dei crediti, altri soggetti oltre le banche, unitamente all'introduzione di strumenti di certificazione del credito e al monitoraggio dei bonus edilizi. Inoltre, si insiste - e credo che questo sia il punto nodale -, perché vengano adottate iniziative finalizzate a stabilizzare i bonus edilizi con una programmazione strutturale degli incentivi, in modo da perseguire gli obiettivi già delineati in sede europea. Tale programmazione dovrebbe essere seguita da una altrettanto efficiente programmazione finanziaria attraverso un'ottimizzazione delle risorse.

Si chiede, di conseguenza, di proseguire le interlocuzioni con Eurostat, sottolineando la peculiarità dello strumento fiscale del superbonus, e di assumere iniziative normative volte ad assicurare la continuità del meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura, unici strumenti che possono assicurare la praticabilità di tali misure da parte dei soggetti fiscalmente incapienti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Merola. Ne ha facoltà.

VIRGINIO MEROLA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Noi riteniamo che sia necessario, per discutere davvero la mozione presentata, in particolare dalla collega Mazzetti, un chiarimento all'interno della maggioranza stessa, perché, se da un lato, con la mozione in corso si chiede un complessivo riordino del sistema di incentivazione, che trasformi le misure prevalentemente congiunturali in misure a carattere strutturale al fine di dare una spinta all'efficientamento del patrimonio edilizio residenziale sotto il profilo energetico e sismico, dall'altro lato, con il decreto varato si vietano il cosiddetto sconto in fattura e la cessione del credito d'imposta e, quindi, vengono penalizzati proprio gli interventi virtuosi di risparmio energetico e di riduzione del rischio sismico, che richiedono un maggiore impegno finanziario e, pertanto, necessitano maggiormente dello sconto in fattura e della cessione del credito rispetto alle altre ristrutturazioni edilizie.

Pensiamo che l'esclusione dall'applicazione dello sconto in fattura per interventi edilizi lasci sottintendere che per le altre fattispecie l'opzione rimanga inalterata, mentre il decreto, a differenza della mozione, interviene drasticamente, vietando la possibilità, senza alcuna distinzione e andando a colpire anche gli interventi nelle aree sismiche e quelli relativi al superamento delle barriere architettoniche, danneggiando comunque le fasce sociali più deboli, dal momento che la cessione del credito consentiva di usufruire delle agevolazioni fiscali in materia di edilizia indipendentemente dalla capacità finanziaria.

Dopo tante modifiche in corso d'opera e in relazione alla discussione sull'applicazione della direttiva europea sulle case green, una revisione dei bonus edilizi volta a razionalizzare e armonizzare il complesso degli incentivi vigenti è sicuramente opportuna, ma, anziché scegliere questa via, con il decreto, il Governo ha deciso di bloccare, definitivamente e con effetto immediato, misure che hanno contribuito in modo significativo alla crescita del PIL negli ultimi anni, mettendo a rischio, per giunta, decine di migliaia di cantieri, imprese e posti di lavoro.

È necessario, dunque, reintrodurre la possibilità di cedere parte dei futuri crediti fiscali secondo criteri di selettività, basati sulle condizioni economiche dei beneficiari, prima di tutto, sugli interventi da agevolare, sul tipo di immobile e classificazione energetica, aprendo un confronto con le parti interessate.

Impegnare il Governo ad adottare iniziative volte al complessivo riordino del sistema di incentivazione è un impegno che necessita di ingenti risorse pubbliche e ci si chiede, pertanto, se abbia senso destinarne di ulteriori a questi scopi o, piuttosto, sia utile rendere più efficiente l'impiego di risorse già previste a legislazione vigente, mirando a sostenere i redditi più bassi e a selezionare gli immobili di classe energetica più bassa e dando priorità all'edilizia residenziale pubblica.

Quando parliamo del riordino del sistema di incentivazione con un modello inversamente proporzionale al reddito del beneficiario, si fa riferimento alla salvaguardia di particolari categorie, tra cui i cittadini incapienti. Questa definizione, tuttavia, non distingue tra coloro che sono incapienti perché hanno un reddito imponibile particolarmente basso da non permetterne le detrazioni spettanti dalla normativa rispetto a coloro che, invece, conseguono altre tipologie di reddito che sono sottratte alla tassazione Irpef. Tali categorie di soggetti non sono, pertanto, da confondere con i soggetti a basso reddito, più propriamente meritevoli, a nostro avviso, di tutela.

Infine, quando il gruppo di Forza Italia impegna il Governo ad adottare iniziative volte a prevenire un modello incentivante anche per le ristrutturazioni al fine di evitare la creazione di una “economia non osservata” - sarebbe necessario un chiarimento su questo eufemismo - e si chiede in tale ambito di escludere l'applicazione dello sconto in fattura, non si tiene conto, con questa osservazione, dell'attuale sistema dei bonus edilizi, perché, allo stato attuale, è previsto, a regime, il bonus ristrutturazioni.

L'agevolazione fiscale sugli interventi di ristrutturazione edilizia è disciplinata, come sappiamo, dall'articolo 16-bis del testo unico e consiste in una detrazione dall'Irpef del 36 per cento delle spese sostenute, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare, tuttavia, per le spese sostenute dal 2012 fino alla fine del 2024, la detrazione è elevata al 50 per cento e il limite massimo di spesa è di 96.000 euro. La fruizione del bonus è prevista a fronte del pagamento con mezzi tracciabili, che evita, pertanto, a nostro avviso, anche la creazione dell'eufemismo di una “economia non osservata” ed è prevista anche una ritenuta effettuata da banche e poste sui bonifici per ristrutturazioni edilizie e interventi di risparmio energetico pari all'8 per cento. Tale ritenuta è, dunque, un pagamento anticipato dell'imposta sul reddito dovuta dall'impresa che ha effettuato i lavori sull'immobile, tesa ad evitare la sottrazione di materiale imponibile da parte di coloro che rendono prestazioni per le quali i committenti beneficiano di vantaggi fiscali.

Ritengo, tuttavia, che un punto meritevole di approfondimento della mozione Mazzetti, tra gli impegni che vengono richiesti, sia il punto volto a sbloccare il mercato della cessione dei crediti incagliati: il principale problema, oltre quello degli oltre 15 miliardi di euro di crediti fiscali incagliati, che da mesi opprime costruttori e artigiani e che il Governo, però, non affronta con il decreto in corso di esame, ma, anzi, prevede l'esclusione del coinvolgimento delle regioni e degli enti territoriali.

Ci tengo anche a sottolineare che, al punto 8, dove si ribadisce l'impegno “a fornire ogni utile elemento al Parlamento sull'entità dei crediti fiscali in scadenza nel 2022, che non sono stati utilizzati per incapienza dei soggetti titolari” - così come recita la mozione -, non si esplicita che andrebbe fatta un'opportuna distinzione tra i soggetti a basso reddito e i soggetti con redditi non sottoposti a Irpef, perché ritengo che le parole siano importanti. Noi riteniamo che sia importante razionalizzare il sistema degli incentivi nel comparto edilizio e, quindi, non si tratta di un semplice riordino, ma di scegliere per chi e come rendere strutturale il sistema delle detrazioni in relazione alla recente discussione europea sulle case green.

Di certo, occorre un arco temporale di incentivi più lungo per raggiungere gli obiettivi di risparmio, di efficientamento e produzione energetica e anche per evitare distorsioni e bolle nell'offerta del mercato. Pensiamo, quindi, che vadano indicati tetti di reddito per usufruire dei crediti di imposta e che le soglie di detrazione e le percentuali di detrazione debbano essere ridotte e uniformate tra i diversi tipi di bonus. Ad esempio, i condomini con immobili antecedenti agli anni Settanta, a scarso rendimento energetico e senza misure antisismiche devono essere privilegiati, bisogna dare ad essi una priorità, così come l'edilizia residenziale pubblica e il tema del superamento delle barriere architettoniche. Si tratta, perciò, a nostro avviso, di concentrare le risorse sull'efficienza energetica e antisismica, lasciando cadere bonus, come quello sui mobili, e di contenere la percentuale di incentivo previsto. È giusto, infatti, che lo Stato paghi una parte dei lavori, perché ci sono vantaggi per la collettività, con la riduzione delle emissioni e le misure antisismiche, ma è anche giusto che una parte equilibrata sia a carico dei proprietari, venendo incontro ai redditi, ovviamente, più bassi, perché i proprietari pagheranno bollette meno care e avranno rivalutato il valore dei propri immobili.

Il decreto del Governo, che ha bloccato lo scontro in fattura e il credito d'imposta, ha semplicemente messo in difficoltà imprese, cittadini e lavoratori, che hanno agito nella previsione delle norme previgenti. Dunque, la questione di come recuperare e salvaguardare il pregresso è urgente e seria. Il fatto compiuto, tentato dal Governo, non funziona sia in relazione alla data fissata - che, a nostro avviso, va spostata in avanti - che per le modalità di permettere comunque lo sconto e il credito per queste situazioni di pre-decreto.

Voglio aggiungere che noi riteniamo che l'emergenza denunciata dal Ministro Giorgetti per motivare il decreto dovesse essere già nota anche al varo della legge di bilancio. Constatiamo che si è preferito attendere il dopo elezioni regionali per intervenire.

Noi ricordiamo che tutte le forze politiche al Governo e all'opposizione nei precedenti Governi hanno condiviso il superbonus, lo sconto in fattura e il credito d'imposta, anche perché le critiche di chi era all'opposizione erano sempre a fare di più, a rilanciare e non a tagliare.

Vedete, se questo fosse riconosciuto in quest'Aula con chiarezza e verità, prima di tutto dal Governo, ci sarebbero forse le condizioni migliori per discutere in modo fattivo di sostenibilità economica, oltre che ambientale e sociale, nel senso di una ristrutturazione permanente di lungo periodo del sistema di incentivi legato all'edilizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rossi. Ne ha facoltà.

FABRIZIO ROSSI (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le mozioni dei colleghi Mazzetti e Santillo hanno certamente posto all'attenzione del Parlamento la vicenda, tra luci e ombre, del sistema dei cosiddetti bonus, provvedimenti che hanno inizialmente generato un virtuoso circuito di entusiasmo in alcuni settori strategici del Paese, quale, appunto, il settore edilizio - come anche la collega Mazzetti ha ricordato nelle sue premesse - ma che poi hanno finito per attorcigliarsi intorno a sé stessi, con il rischio di andare a strozzare tante aziende di piccole e medie dimensioni. Che qualcosa non stava funzionando se ne era accorto anche il legislatore del Governo precedente a quello attuale.

Il più eclatante è certamente il superbonus 110. Venne introdotto con il decreto Rilancio, per poi essere affinato con una serie di decreti, FAQ Enea, circolari e risposte dell'Agenzia delle entrate. È facile rimanere intrappolati tra le maglie delle agevolazioni per tecnici, giuristi economisti e contribuenti. Il Sottosegretario al Ministero dell'Economia e delle finanze, Alessio Villarosa, aveva diffuso addirittura un prontuario normativo per il superbonus 110, che dettagliava passo per passo la normativa e la prassi.

Anche l'attuale Governo è intervenuto in più occasioni, sin dall'inizio, ravvisando una straordinaria necessità e urgenza di introdurre ulteriori e più incisive misure per la tutela della finanza pubblica nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche in materia edilizia e di definire il perimetro della responsabilità derivante dal meccanismo della cessione dei crediti a essa connessi.

Intelligentemente, con l'articolo 9 del DL Aiuti-quater, il Governo Meloni ha apportato una serie di modifiche alle regole in materia di incentivi per l'efficientamento energetico, cercando di ridurne i costi. Ad esempio, il superbonus è rimasto tale al 110 per cento soltanto per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022, mentre sarebbe passato al 90 per cento per le spese sostenute nel 2023 per quanto riguarda gli interventi effettuati dai condomini e dalle persone fisiche al di fuori dell'esercizio delle attività di impresa, arti o professioni, su edifici composti al massimo da 2 a 4 unità immobiliari, anche posseduti da un unico proprietario o da più persone fisiche. Ma era a tutti noto che nella precedente legge di bilancio, quella del Governo Draghi, erano già stati programmati ulteriori ridimensionamenti delle agevolazioni, pari al 70 per cento per l'anno 2024 e al 65 per cento per l'anno 2025.

Per quanto riguarda, invece, gli interventi su edifici unifamiliari e unità immobiliari indipendenti e autonome site, quindi, in edifici plurifamiliari, l'incentivo sarebbe rimasto al 110 per cento per le spese sostenute fino al 31 marzo 2023, a condizione che alla data del 30 settembre 2022 fosse stato effettuato almeno il 30 per cento dell'intervento complessivo.

Il decreto stabiliva, altresì, per gli interventi avviati dalle persone fisiche a partire dal 1° gennaio 2023 su unità immobiliari la detrazione nella misura del 90 per cento anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a patto che il contribuente fosse stato titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull'unità immobiliare. Inoltre, venivano confermati al 110 gli interventi per i quali risultava effettuata la comunicazione di inizio lavori asseverata, la CILA, entro il termine del 25 novembre 2022, con il caso specifico dei condomini.

Infine, il DL Aiuti-quater, per sbloccare il mercato dei crediti, introduceva anche la possibilità di fruire in 10 rate annuali, di pari importo, dei crediti di imposta derivanti dalle comunicazioni di cessione o di sconti in fattura inviati all'Agenzia delle entrate entro il 31 ottobre 2022 e non ancora utilizzati. La novità, quindi, consentiva di frazionare le somme, alleggerendo il carico delle banche e delle poste.

Altra questione non secondaria era rappresentata dal monitoraggio sulle operazioni e sull'andamento delle compensazioni, monitoraggio costante e continuo che ha consentito di conoscere la reale situazione e i risvolti negativi - per certi aspetti perversi - del meccanismo del superbonus.

Il monitoraggio ha portato, come ha dichiarato in audizione il comandante generale della Guardia di finanza Zafarana, ad accertare, in soli due anni, il sequestro di 3,7 miliardi per frodi sui bonus edilizi. Quindi, non ci sono solo i 90 miliardi di mancato gettito per evasione fiscale. Zafarana ha fornito alcune indicazioni sulle tipologie di bonus edilizi che hanno determinato frodi. Premesso che sono situazioni in continuo divenire, ha spiegato che le frodi maggiori hanno riguardato il bonus facciate e l'ecobonus, mentre la parte relativa alle due tipologie di superbonus si aggira intorno al 4-5 per cento - sostiene - degli illeciti in questo ambito. Ma siamo soltanto all'inizio degli accertamenti, che stanno continuando giorno per giorno.

Dopo queste necessarie premesse e non solo per queste ragioni, il Governo è di nuovo intervenuto con il decreto-legge n. 11 del 2023, nel Consiglio dei ministri n. 21 del 16 febbraio 2023, per introdurre misure urgenti in materia di cessione dei crediti d'imposta relativi agli incentivi fiscali. L'oggetto del decreto-legge non è il bonus edilizio, ma la cessione del relativo credito, il credito d'imposta, il quale ha il potenziale di gravare sul debito pubblico.

Sono quattro i provvedimenti previsti nell'ambito del decreto, anche se erroneamente si parla soltanto del primo. Intanto, va sgombrato il campo per quanto concerne il primo provvedimento: chi ha iniziato i lavori prima dell'entrata in vigore del decreto potrà continuare a cedere i crediti d'imposta alle banche e a fare lo sconto in fattura. In particolare, se il decreto sarà così convertito in legge, non sarà più possibile per i soggetti che effettuano tali spese avvalersi del cosiddetto sconto in fattura né della cessione del credito di imposta dopo l'entrata in vigore del decreto.

Inoltre, non sarà più consentita la prima cessione dei crediti d'imposta relativi a specifiche categorie di spese. Resta, invece, inalterata la possibilità della detrazione degli importi corrispondenti. La misura prevede specifiche deroghe, infatti, per le operazioni già in corso.

Vengono, quindi, abrogate le norme che prevedono la possibilità di cedere i crediti relativi a spese per interventi di riqualificazione energetica e interventi di ristrutturazione importante di primo livello, la cosiddetta prestazione energetica, per le parti comuni degli edifici condominiali con un importo dei lavori pari o superiore a 200.000 euro e poi le spese per interventi di riduzione del rischio sismico realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali o realizzati nei comuni ricadenti nelle zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3, mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, che provvedono alla successiva alienazione dell'immobile.

Il secondo provvedimento del decreto-legge, al fine di non gravare ulteriormente sul debito pubblico, introduce il divieto per le pubbliche amministrazioni di essere cessionarie di crediti d'imposta relativi agli incentivi fiscali maturati con tale tipo di intervento.

Il terzo provvedimento chiarisce il regime della responsabilità solidale nei casi di accertata mancata sussistenza dei requisiti che danno diritto ai benefici fiscali, vale a dire la responsabilità del cessionario - per lo più le banche - nel caso in cui i documenti siano tutti presenti, e se non vi sono tutti i documenti - questo è il quarto punto del provvedimento - sarà onere dell'Agenzia delle entrate dimostrare che vi erano delle lacune.

Questi ultimi due punti sono fondamentali per sbloccare i crediti incagliati, cioè quel meccanismo perverso per il quale le ditte effettuano dei lavori, accumulano i crediti nelle loro aziende ma non hanno liquidità e nessuno poi li compra. Con tale decreto, il Governo Meloni interviene sul tema dei crediti fiscali che derivano dai bonus edilizi, al fine di arginare una crescita dei crediti senza controllo.

Inoltre, la misura impedisce a regioni e comuni di acquistare i crediti per sbloccare lo stock incagliato nei bilanci delle imprese, in quanto c'era il rischio concreto che Eurostat considerasse questi acquisti come nuovo deficit, con impatto diretto sul debito pubblico. Secondo, infatti, il Ministro dell'Economia e delle finanze Giorgetti, si tratta di una misura di impatto ma necessaria per sbloccare gli effetti della politica scellerata utilizzata anche in campagna elettorale. L'ammontare dei crediti fiscali, infatti, è arrivato a circa 110 miliardi di euro. Si tratta di una politica che ha prodotto un beneficio per alcuni cittadini, ma ha posto a carico di ciascun italiano un onere ulteriore.

In ogni caso, il decreto-legge interviene sulla cessione dei crediti d'imposta ma non sul superbonus edilizio, che resta nella forma di detrazione per più anni.

Il decreto chiarisce anche la responsabilità solidale dei cessionari, al fine di eliminare i dubbi e le incertezze che hanno fatto sì che tanti intermediari finanziari evitassero di scontare i crediti. Grazie a questa misura, il Governo Meloni auspica che le banche riprenderanno ad acquistare i crediti (anche l'ABI ritiene ottimo questo tipo di intervento del Governo).

Grazie, quindi, al decreto-legge approvato dal Governo si dà finalmente possibilità di disincagliare i crediti fiscali rimasti in pancia a migliaia di imprese, perché le banche potranno riprenderne l'acquisto non essendo più esposte a rispondere in solido in caso di eventuali truffe.

Con la decisione di porre fine per le nuove pratiche alla cessione del credito, si mette un punto fermo alla proliferazione del mercato selvaggio dei crediti di imposta, nato con l'introduzione dei bonus edilizi, evitando per il futuro di generare situazioni esplosive come quella attuale.

Occorre, quindi, prendere coscienza che non è possibile ristrutturare gratuitamente l'intero patrimonio edilizio italiano, come qualcuno ha demagogicamente raccontato in campagna elettorale. Tutti i lavori hanno un costo e questo costo, alla fine, è sostenuto dallo Stato italiano, ovvero da tutti i contribuenti. Sostenere che grazie ai bonus si è generato maggior gettito non è corretto o, meglio, è parzialmente corretto. Secondo questo principio, potremmo fare investimenti limitati realizzando opere pubbliche e infrastrutture a costo zero; purtroppo, però, il mondo reale non funziona così e la questione dei crediti incagliati del superbonus oggi finalmente è stata affrontata dal Governo. Inoltre, il mercato selvaggio dei bonus edilizi non ha soltanto contribuito a elevare il costo delle materie prime, grazie alle enormi speculazioni e truffe fatte soprattutto attraverso il bonus facciate al 90 per cento, per il quale non erano stati previsti i controlli, ma le continue modifiche al meccanismo di cessione del credito introdotte dai Governi precedenti, nei quali il MoVimento 5 Stelle era il partito di maggioranza relativa, hanno consentito una bolla dei crediti che, alla fine, è esplosa. L'attuale Governo, quindi, ha ereditato questa situazione ed è intervenuto per mettere ordine nella confusione normativa, così come promesso in campagna elettorale, e ha aperto, il giorno dopo l'approvazione del decreto-legge n. 11, del 16 febbraio 2023, un confronto con le associazioni di categoria, al fine di ricevere contributi propositivi su interventi che avevano ragione di necessità e di urgenza, aprendosi a soluzioni definitive affinché il sistema non salti. Lo stesso ex Presidente del Consiglio Conte, in una recente trasmissione, ha dichiarato che tale sistema dei bonus non può e non poteva continuare all'infinito, così come era stato. In breve, quindi, non è vero che il Governo ha chiuso, da un giorno all'altro, gli sconti in fattura e la cessione dei crediti. Per tutti gli interventi in corso, e anche per quelli non ancora in corso, ma per i quali è stato semplicemente presentato il titolo abilitativo, la disciplina degli sconti e delle cessioni continuerà fino alla sua naturale scadenza, ovvero al 31 dicembre 2024 e, per il superbonus, al 31 dicembre 2025. Continueremo ad avere sconti e cessioni per miliardi di euro, nel 2023 e nel 2024, sia relativi a crediti già nei cassetti fiscali sia relativi a crediti che si formeranno in futuro. Va, quindi, rilevato che si tratta, però, di uno sforzo notevole per mantenere in ordine i conti pubblici.

Se vi è un merito dell'attuale Esecutivo è quello di avere messo in campo un'operazione verità, che era presente nell'animo delle imprese e delle associazioni. Il conto è arrivato ed è salatissimo, oltre 105 miliardi a carico delle casse dello Stato e altri 300 milioni solo nel mese di gennaio. Di questi, 105 miliardi più di 57 sono stati spesi per il superbonus 110 e, peraltro, per efficientare una minima parte del patrimonio immobiliare italiano. L'ipotesi, quindi, di trasformare quel credito fiscale in un credito che può essere ceduto senza limite tra imprese, banche, intermediari finanziari e quant'altro, passando di mano in mano, ha generato un meccanismo che prestava il fianco, da un lato, alle truffe, ormai già enormi (oltre 9 miliardi già accertati), dall'altro, ad enormi speculazioni con intermediari finanziari che hanno fatto una fortuna gestendo questi crediti fiscali.

Adesso deve essere ben chiara una questione: noi, oggi, ci troviamo a gestire un disastro, che nulla a che fare con i provvedimenti attuali del Governo in carica. Questa enorme massa di crediti fiscali, oltre 105 miliardi, ha praticamente saturato la possibilità ordinaria delle imprese di utilizzare questi crediti fiscali a compensazione di imposte e contributi da versare. Allora, imprese e famiglie hanno fatto ricorso alla cessione dei crediti che non potevano utilizzare direttamente nei confronti dei terzi. Spesso si è trattato di banche, intermediari, assicurazioni, ma altre volte si è assistito anche al sorgere di veri e propri intermediari del credito fiscale, che hanno fatto incetta di questi crediti, parcellizzandoli, accorpandoli, per poi riversarli nel mercato finanziario, il tutto comprando il credito a un valore molto più basso del suo valore nominale: compro da famiglie e imprese a 80, 70 e anche 60 quello che vale 100, tanto poi ci sarà lo Stato, ossia tutti i contribuenti, a ridarmi 100; una situazione incredibile e paradossale, una situazione incontrollata sui bonus e su questi incentivi, quella lasciata dal Governo Conte, che quindi ha generato una massa così elevata di crediti, che ormai difficilmente può essere assorbita attraverso la cessione a banche, intermediari finanziari, assicurazioni e quant'altro, perché ha finito per trasformarsi in una vera e propria moneta parallela, senza controllo, in assenza di regole, con l'effetto che questa situazione impedisce non solo di smobilizzare i crediti accumulati, ma anche di accettare nuovi crediti, danneggiando le famiglie e le imprese. Così questa situazione scellerata ha messo in enormi difficoltà chi aveva maturato quei crediti legittimamente e che ora non può utilizzarli, se non in minima parte, ovviamente. Grazie alla prima riduzione, prevista dal decreto-legge Aiuti-quater, la percentuale del superbonus è scesa dal 110 al 90 e con la possibilità di smaltire i crediti su un periodo più lungo, da 5 e 10 anni, e ciò ha agevolato, ovviamente, l'utilizzo dei medesimi.

Il Governo, poi, nell'ultimo Consiglio dei ministri, è dovuto intervenire per chiarire che, quando non c'è alcuna responsabilità che possa addebitarsi a chi acquista correttamente un credito fiscale, non c'è nulla da temere, ma qualora vi fossero problemi, in questi casi, chi acquista il credito non potrà reclamare un rimborso dallo Stato, perché quel credito evidentemente era frutto di una strumentalizzazione o di una truffa, nella peggiore delle ipotesi. Pertanto, il Governo, intervenendo per vietare a comuni, regioni ed enti locali di acquistare questi crediti fiscali, ne ha fermato il vortice di circolazione, che serve solo ad alimentare aspettative, a carico dei bilanci pubblici, ben oltre l'effettiva capacità di assorbimento. Non è pensabile far atterrare immediatamente tutta questa enorme montagna di crediti nei confronti del bilancio pubblico, se non devastando ulteriormente i conti dello Stato e questo proprio mentre Eurostat sta rivedendo la classificazione dei crediti fiscali derivanti dal superbonus 110 e dalle altre misure.

Quindi, per il futuro - e vado a concludere - occorre dare regole certe e trasparenti per la corretta gestione e liquidazione dei crediti fiscali, come il Governo ha fatto con questo intervento del 16 febbraio. È già in corso un serrato dialogo con ANCE, per capire insieme come risolvere la grave situazione che si è creata, un dialogo costruttivo, che è segno evidente che questo Governo è interlocutore credibile e infonde sicurezza, oltre che fiducia, al sistema Italia. La forte crescita della Borsa italiana e una notevole riduzione dello spread ne sono prova tangibile.

Quindi, sulla mozione della collega Mazzetti, in particolare, pur considerando la premessa della stessa attendibile e, a tratti, veritiera, siamo fermamente convinti, come Fratelli d'Italia, che è necessario riordinare complessivamente il sistema di incentivazione per la ristrutturazione edilizia in generale, con norme di razionalizzazione e semplificazione, ma in coerenza con la situazione attuale, in modo da sostenere le nostre imprese e il nostro tessuto produttivo, nel rispetto della tenuta dei conti dello Stato, perché se è vero, come è vero - e concludo - che vi sono importanti obiettivi, come la decarbonizzazione del Fit for 55 per l'edilizia residenziale, inseriti nella direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, è altrettanto vero che non possiamo più permetterci ulteriori aggravi sul lato del debito pubblico, che, in questi anni, ha subito un notevole aumento (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santillo. Ne ha facoltà.

AGOSTINO SANTILLO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, che dire? Abbiamo appena assistito a una plastica differenza nella maggioranza. Abbiamo assistito alla collega di Forza Italia, che chiede un impegno al Governo per sbloccare i crediti d'imposta generati da bonus edilizi. Poi, abbiamo assistito all'intervento del collega di Fratelli d'Italia - che forse si è confuso con domani, quando si illustrerà la pregiudiziale al decreto-legge sulla cessione dei crediti – che, in realtà, ha difeso il blocco dei crediti. L'esatto opposto: uno ha chiesto di sbloccarli, invece l'altro collega di maggioranza ha detto che va benissimo il decreto-legge Cessione dei crediti, che blocca i crediti, o meglio, li ha bloccati, li ha fermati. Speriamo che questa maggioranza sia così democratica da portare avanti questa mozione della collega di Forza Italia, che, a dire il vero, riepiloga tutta una serie di proposte fatte da noi, ormai da un anno. Domani vi diremo anche come sbloccare i crediti, considerato che ancora ci state ragionando: prima li avete bloccati e poi sentite ANCE. Non si poteva fare il contrario? Sentivate prima le imprese e poi li sbloccavate, direttamente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Molto semplice, basta andare a vedere tutta una serie di nostre proposte.

Va bene, domani toccheremo l'argomento, tornando ad oggi e alla mozione, io vorrei ricordare il momento storico in cui è nata questa misura. Questa misura è nata per consentire al Paese il rilancio economico in un periodo di difficoltà dal punto di vista sanitario e sociale. C'era bisogno di generare qualcosa che ci desse una mano per uscire dal pantano. Se ci pensiamo, gran parte, una buona parte del PIL, come è stato poi dimostrato successivamente, negli anni a venire, è comunque determinato dal settore delle costruzioni. Per questo motivo ci è sembrato logico intervenire in un settore che potesse subito fungere da volano di rilancio economico. Allo stesso tempo, il COVID ci ha insegnato, tra l'altro, che bisogna avere rispetto dell'ambiente. Per tutelare l'ambiente, è fondamentale intervenire in quei posti in cui si crea molto inquinamento. Anche la collega Alifano in precedenza ha ricordato che i nostri sono edifici colabrodo, che arrivano a disperdere il 60 per cento dell'energia che gli forniamo per riscaldarci d'inverno o per rinfrescarci d'estate. Questo comporta tutta un'emissione di CO2. E poi ci lamentiamo dell'effetto serra e delle catastrofi e delle alluvioni. Allora, dove bisogna intervenire? Bisogna intervenire dove vive la maggior parte delle persone.

La maggior parte delle persone abita in grandi case e in grandi edifici; ecco il secondo motivo per cui abbiamo ritenuto fondamentale intervenire nell'edilizia residenziale. Ma c'è una differenza (inizio oggi e impiegherò tutta la settimana per cercare di spiegarla bene) tra un costo, quindi un contributo, e un bonus edilizio, perché ai più è sfuggita questa differenza.

Contributo: si verifica un terremoto, do alcuni miliardi alla popolazione per poter sistemare la casa. Lo Stato deve avere soldi e dà i soldi; presentando la fattura, si hanno i soldi. Bonus: non ti do i soldi, ma ti riconosco la detrazione fiscale; quello che devi pagare come tasse allo Stato, te lo compenso con i soldi che tu hai anticipato. Bene, ma se faccio questo e non consento il meccanismo della cessione del credito, sto dicendo che del bonus edilizio si può avvalere soltanto chi ha la capienza fiscale. È chiaro, lo stanno capendo tutti, sempre di più, perciò lo spieghiamo sempre. Per questo motivo, affinché lo shock economico potesse essere il più forte possibile, abbiamo pensato di dare un'equa giustizia e una possibilità a tutti i cittadini italiani. Quindi, anche alla persona che non si poteva permettere di fare i lavori abbiamo detto: basta che trovi un'impresa che eserciti lo sconto in fattura oppure trovi un soggetto che acquisti il credito di imposta che si genera a seguito dei lavori fatti a casa tua e anche tu potrai accedere all'efficientamento energetico o al miglioramento antisismico del tuo fabbricato. Da lì è nato un volano enorme e devo dire che, forse, la cosa più importante è che resterà, anche se questa maggioranza, scelleratamente, ha devastato e distrutto il meccanismo lodatoci da mezza Europa, e resterà quel messaggio di cultura che abbiamo lasciato all'Italia, la cultura della prevenzione, perché siamo tornati a far parlare di rischio sismico, di efficientamento energetico e di danno all'ambiente. Purtroppo, ahimè, non eravamo soli, noi, in maggioranza, eravamo in una maggioranza, la precedente, in cui, proprio sul sistema del superbonus e dei crediti fiscali, abbiamo dovuto subire un attacco senza precedenti dal Governo Draghi, manifestatosi con il DL Antifrodi. Con quel decreto-legge, siamo passati da un numero illimitato di volte in cui si può cedere il credito d'imposta ad una volta sola. È come dire a una persona che compra la macchina: le vendo la macchina, però lei non la può vendere più a nessuno. È evidente che quel soggetto dirà: va be', allora varrà un po' di meno, se non la posso vendere a qualcun altro. Abbiamo iniziato a combattere contro questa avversione contro il superbonus e abbiamo ripristinato - come è stato fino ad oggi - quattro passaggi. Oggi, però, che cosa succede? Succede che queste variazioni normative continue - se ne contano circa 21 - hanno generato circa 15 miliardi di crediti incagliati. Attenzione, perché su questo dato non esiste ancora una comunicazione ufficiale, come non è vero quello che ho sentito dire prima, cioè che sono stati sequestrati 9 miliardi di euro di frodi relative ai bonus. No, la settimana scorsa, il Comandante generale della Guardia di finanza ci ha detto che sono stati sequestrati, da bonus edilizi, 3,7 miliardi, di cui il 4 o 5 per cento attengono al superbonus. Parliamo, cari signori, di meno di 200 milioni di euro, di questo parliamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), vale a dire, a fronte di tutta la somma riconosciuta come lavori e credito d'imposta su superbonus, parliamo dello 0,3 per cento; di questo parliamo.

Per rimanere in argomento, elenco gli impegni che chiediamo con questa mozione. Chiediamo al Governo di assumere ogni iniziativa utile allo sblocco dei crediti fiscali incagliati ai danni di cittadini, imprese e istituti di credito, valutando, anche in considerazione del carattere emergenziale della carenza di liquidità creatasi, l'introduzione di misure straordinarie finalizzate all'ampliamento della capienza fiscale dei soggetti coinvolti o delle possibilità di compensazione. Come si fa questo? È possibile farlo, ad esempio, valutando la possibilità di compensare crediti fiscali acquisiti dagli istituti di credito con i debiti risultanti dalle deleghe di versamento F24; o, ancora, ampliando la possibilità di frazionamento del credito fiscale maturato, anche in capo al primo beneficiario e nell'ambito di singole rate annuali; o, ancora, consentendo al beneficiario della detrazione di utilizzare il corrispondente credito anche in compensazione di F24; o, ancora, introducendo strumenti di controllo e certificazione idonei a garantire la genuinità del credito spettante nell'ambito delle cessioni; o, ancora, valorizzando le competenze e la conoscenza del territorio da parte delle camere di commercio, delle associazioni rappresentative delle imprese e della rete territoriale dei confidi e degli intermediari finanziari, al fine di garantire la massima circolazione dei crediti fiscali maturati.

Bisogna anche dire che nessuno ha pensato mai che il superbonus potesse essere eterno. Abbiamo sempre detto: ci sarà un tempo, e non si tocca, poi ci sarà una stabilizzazione dei bonus edilizi. Noi chiediamo che vi sia un piano industriale di stabilizzazione delle agevolazioni. Abbiamo presentato una proposta di legge nella scorsa legislatura e anche in quella attuale e abbiamo detto, presentando un emendamento in legge di bilancio, che devono essere premiati i meno abbienti e chi è più efficiente energeticamente nel proprio fabbricato. Vogliamo poi che il Governo accompagni la programmazione strutturale di cui ai precedenti impegni con un'adeguata programmazione finanziaria degli stanziamenti e che introduca misure finalizzate a potenziare la leva finanziaria, anche attraverso l'introduzione di nuovi strumenti di finanza alternativa, e che promuova la partecipazione di ogni livello istituzionale, dalle regioni agli enti locali, anche stimolando l'istituzione di fondi dedicati a strumenti di incentivo locali, compatibilmente con il quadro finanziario locale e nazionale. Chiediamo, infine, un impegno a favorire la massima partecipazione delle associazioni rappresentative delle imprese e del mondo finanziario e bancario, al fine di monitorare la gestione degli strumenti, analizzare l'impatto della regolamentazione e rilevarne le criticità, promuovere le migliori pratiche e proporre iniziative normative, nonché a prevedere l'introduzione di adeguati sistemi di monitoraggio dell'andamento dei bonus edilizi e dei decreti di fiscali (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fede. Ne ha facoltà.

GIORGIO FEDE (M5S). Grazie, Presidente. Anch'io intervengo sulla mozione, perché non dobbiamo far mai mancare l'apporto propositivo del Parlamento, sede istituzionale di confronto fra il Governo e le forze che rappresentano i cittadini.

Questo è un atto che dobbiamo compiere, perché abbiamo visto come il Presidente Meloni, ahimè, non in un confronto parlamentare, non al tavolo richiesto da tutte le forze associative, non con modelli normali di confronto e di dialettica politica e civica, abbia fatto alcune uscite sui social (quindi, quasi il presidente degli influencer piuttosto che il Presidente del Consiglio, ma senza mancare di rispetto, ci mancherebbe), dicendo alcune cose che hanno travisato, come sempre, nell'opinione pubblica la considerazione dell'effetto reale, forte, esplosivo, lo potrei definire, dei bonus e, in particolare, del superbonus 110 per cento, che è una manovra che - mi fa piacere ricordarlo - abbiamo inserito nel decreto Rilancio per l'anno 2020. Di questa manovra, hanno parlato tutti gli organi, non solo quelli politici. È normale che ciascuno di noi, rappresentando una parte, possa dare un messaggio anche distorto; non sarebbe onesto nei confronti degli ascoltatori e degli elettori, ma questo, indubbiamente, avviene. Però, non lo diciamo noi per avversare le scelte del Governo, in quanto forze dell'opposizione; lo dicono figure, forze, agenzie e associazioni altamente rappresentative, ma anche istituzionali. Della falsità di questa cronaca, da cui discende anche questa nostra mozione, hanno parlato l'Enea, l'Eurostat, l'organismo europeo, il Censis, l'Agenzia delle entrate, per quanto riguarda la ricaduta sulle entrate pubbliche, la Guardia di finanza - qualcuno sembra che abbia capito una parte, peraltro anche capendola male -, l'ANCE, Nomisma, CNA, Confindustria. Bonomi ha detto che doveva essere fatto un confronto preventivo. Quindi, non sono forze politiche. Allora, usciamo da questo racconto in cui l'unica azione di una forza che deve governare e non fare opposizione fa solamente critiche e non fa proposte. Il generale Zafarana, in audizione in Parlamento, ha dato numeri chiari ed espliciti. Quando si parla delle frodi, che, ahimè, esistono in qualsiasi provvedimento nella nostra Nazione - non chiudiamo la sanità, perché sicuramente qualcuno avrà fatto frodi nella sanità, non chiudiamo la scuola perché alcuni professori sono inadempienti -, vediamo di cosa si tratta. Credo che questo sforzo debba essere fatto ed è in questa direzione che va la nostra mozione. Quando si dice che, delle frodi, al massimo il 3 o 4 per cento riguardano il superbonus, che sulle frodi nazionali rappresentano una percentuale irrisoria e non significativa, e quando si dice che, invece, gran parte delle frodi sono sul bonus facciate ed ecobonus, un Governo, che ha capacità propositiva, deve agire per modificare le norme che non funzionano, visto che qualcuno glielo ha detto e che magari non se ne sono accorti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Allora, usciamo da questa cronaca solamente propagandistica! Qui parliamo di effetti che, comunque la si veda o la si racconti, sono tutti quanti positivi.

Quando siamo usciti dalla pandemia - ed è per questo che abbiamo pensato questa misura non in maniera permanente, ma con termini, disposizioni perfette, peraltro indicate molto bene (ho usato male il termine “perfette”, sicuramente perfettibili, modificabili e migliorabili nel tempo) - i dati testimoniavano un incremento del PIL (del 10 per cento in 2 anni e del 6-7 per cento nel 2021), nonostante fossimo stati colpiti per primi in Europa dal COVID. La Nazione italiana: locomotore in Europa; così hanno detto le cronache indipendenti, lo ha detto la von der Leyen, abbiamo avuto apprezzamenti.

Allora, se la nostra economia è ripartita in maniera esplosiva, con numeri che non si vedevano dagli anni dell'austerity, è veramente grazie a questa misura - e lo dico con orgoglio - pensata e studiata da noi; e pensata bene, lo dicono i dati e le differenze con le altre misure.

Allora, non blocchiamo questo tipo di azioni, usiamo il buonsenso, che è dovuto per chi sta al Governo. Cerchiamo di fare lavori corretti. Basta con questa cronaca fatta da social, da TikTok, e non da confronti politici. Si dichiara - falsamente - che costa 2.000 euro ad ogni italiano, addirittura computando anche i neonati, una cosa quasi al limite del ridicolo. I numeri reali, quelli provenienti dalle fonti che ho citato - autorevoli, attendibili ed indipendenti, non partitiche; queste fonti non guadagnano, se una cosa va bene o male, in consenso elettorale, sono lì per fare un lavoro al servizio della politica e noi non possiamo trascurarle - ci testimoniano che, se vi sono stati costi, premesso che forse qualcuno non ha capito neanche bene la differenza fra debito pubblico e deficit – e, soprattutto, fra deficit ed investimento, peraltro spalmato in 5-10 anni – questi hanno ammontato al massimo a 88 euro pro capite. E si decide di chiudere una forma che è stata espansiva. Però, se vogliamo ragionare con questa logica di basso livello - noi non vi scendiamo, ma lo diciamo come confronto -, sono 433 euro gli euro costati agli italiani per l'invio delle armi. E io sfido qualsiasi italiano a capire se l'invio delle armi porti un beneficio al nostro territorio e alla nostra vita quotidiana, o se, invece, l'investimento nella sicurezza, nell'ecologia e nei valori ambientali che il superbonus ha dato, migliori la vita degli italiani. Presidente, se ci interroghiamo solamente - è una domanda che faccio sempre qui, all'Aula, e ce lo dobbiamo domandare come italiani - su quanto ha portato, come risparmio, con riferimento ai costi della bolletta dell'energia, questa manovra – computati i dati alla mano, reali, quelli veri -, troveremmo che essa ha comportato un risparmio pari a 464 euro per ogni italiano. E, allora, in un momento in cui viviamo le conseguenze della crisi dei carburanti, dovuta alla crisi Russia-Ucraina, che in parte viene alimentata con la mancata attivazione di un dialogo di pace, che dovrebbe sviluppare forse l'Italia - e che spero che questo Governo e il nostro Presidente abbiano la capacità di fare – e, invece, si va avanti in altra direzione, ciò conduce a fare valutazioni tutte positive dell'operato del Governo Conte e a un racconto inverso a quello che è stato fatto sinora, in maniera strumentale.

Noi ci auguriamo che il Presidente Meloni e il Ministro Giorgetti si ravvedano. Abbiamo dato il nostro contributo, perché, se queste idee sono poche e ben confuse, lo abbiamo constatato nel dibattito precedente, in cui forze della maggioranza dicono cose discordanti e diverse tra loro. Noi veniamo in aiuto della maggioranza, capiamo che ci sono difficoltà, siamo qui per contribuire, facciamo proposte concrete. Come ha detto qualcuno, anche indipendente, l'ho citato in precedenza, i tavoli andavano convocati prima. Non è che prima si fanno le azioni e poi si invocano i tavoli per cambiare e modificare gli errori di questo Governo. È stato fatto con i balneari, è stato fatto con i distributori di carburante. Io penso veramente che questa azione debba essere un po' più concreta e un po' più puntuale.

Vado a concludere, Presidente. Non faccio l'elenco dei numeri, perché sono disponibili, per chi li vuole capire, li hanno detti tutti e sono in tutte le fonti, basta che il Governo le legga, basta che le studi. Gli italiani questo l'hanno ben chiaro e chiaramente ciò non fa bene alla nostra Nazione. Quindi, io mi auguro che questa mozione venga presa in considerazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

La rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 14,25 è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 61, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 455 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale (Approvato dal Senato) (A.C. 908​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 908: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 908​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Ilaria Cavo.

ILARIA CAVO, Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 gennaio 2023. Il disegno di legge è stato approvato, con modificazioni, in prima lettura al Senato, il 22 febbraio scorso. La X Commissione ne ha avviato l'esame giovedì 23 febbraio e nella giornata odierna ha deliberato di riferire in Assemblea, senza approvare modifiche al testo trasmesso dal Senato, riconoscendo valore all'approfondimento fatto al Senato con audizioni e modifiche emendative e condividendo anche nella tempistica l'impianto del decreto proposto dal Governo per dare una risposta chiara e immediata a uno degli asset strategici della nostra economia, quale il comparto siderurgico.

Il Governo ha ritenuto urgente intervenire per salvaguardare una realtà industriale come quella dell'Ilva che, anche a causa dell'aumento dei costi energetici - il presidente Bernabè, lo ricordiamo, ha dichiarato che il costo del gas per l'impianto siderurgico di Taranto è aumentato di 6 volte e la bolletta annuale elettrica è passata da 200 milioni a oltre 1 miliardo -, si trova in una oggettiva carenza di liquidità.

Quella dell'Ilva è una storia complessa - lo sappiamo - dal 2012, determinata anche dal sequestro degli impianti dell'area a caldo di Taranto e da un susseguirsi di provvedimenti per cercare la sintesi tra le esigenze di tutelare la produzione, l'occupazione, la salute e l'ambiente. Un obiettivo che questo decreto, che esaminiamo oggi in quest'Aula, dove non a caso viene più volte utilizzato il termine “bilanciamento”, si pone.

Vediamo nel dettaglio l'articolato, nel testo risultante dalle modifiche approvate al Senato, ricordando che sul provvedimento, così come viene presentato all'Aula oggi, si sono espresse in senso favorevole le Commissioni I, II, IV, VI, VIII, XI e XII, nonché il Comitato per la legislazione. Il decreto-legge consta di 12 articoli.

L'articolo 1, al comma 1, nel testo modificato al Senato, interviene sulle misure di rafforzamento patrimoniale previste dall'articolo 1 del decreto-legge n. 142 del 2019, volte ad assicurare la continuità del funzionamento dell'impianto siderurgico di Taranto della società Ilva Spa. In particolare, fermo il limite massimo di 1 miliardo, le operazioni che Invitalia è autorizzata ad effettuare sono la sottoscrizione di aumenti di capitale sociale e l'erogazione di finanziamenti in conto soci, convertibili in aumenti di capitale sociale su richiesta di Invitalia. Viene specificato che queste operazioni sono autorizzate nella misura in cui sono effettuate secondo logiche, criteri e condizioni di mercato anche dopo il 2022 e in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti dello stabilimento siderurgico.

L'articolo 1, comma 1-bis, introdotto al Senato, posticipa i termini per il versamento all'erario dei diritti di regia da parte delle imprese alle quali nel 2022 è stata erogata l'ultima quota di finanziamento concesso ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 808 del 1985 per la partecipazione a progetti internazionali nel settore aeronautico. La norma stabilisce, cioè, che i versamenti di tali diritti siano effettuati in quattro quote uguali, a decorrere dall'anno 2026, invece che dall'anno 2023.

L'articolo 1-bis, introdotto al Senato, proroga al 31 dicembre 2023 la concessione dell'indennità riconosciuta dalla normativa vigente in favore dei lavoratori delle aree di crisi industriale complessa della Sicilia, pari al trattamento di mobilità in deroga, qualora tali lavoratori abbiano presentato la relativa richiesta nel 2020. Agli oneri conseguenti, valutati in 993.000 euro per il 2023, si provvede a valere sul Fondo per interventi strutturali di politica economica.

L'articolo 2 interviene, invece, sulla procedura speciale di ammissione immediata all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del decreto-legge n. 343 del 2003, prevedendo che, per le imprese che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale non quotate, l'ammissione immediata alla procedura possa avvenire su istanza del socio pubblico detentore di almeno il 30 per cento delle quote societarie, qualora questi abbia segnalato all'organo amministrativo la ricorrenza dei requisiti per l'accesso e l'organo amministrativo abbia omesso di presentare l'istanza nei quindici giorni successivi. L'obiettivo è quello di consentire l'applicazione della norma anche in caso di strutture societarie complesse, in presenza di holding che detengano quote della società destinataria della dichiarazione di interesse strategico.

L'articolo 3, modificato dal Senato, incide sui criteri per la liquidazione del compenso spettante ai commissari straordinari delle grandi imprese in stato di insolvenza; prevede, in particolare, che la quota del compenso remunerativa dell'attività gestionale sia riconosciuta non più se non siano prodotte ulteriori perdite, ma se la gestione commissariale sia caratterizzata almeno dal pareggio tra ricavi e costi, al netto dei costi riferiti agli adempimenti del decreto legislativo n. 270 del 1999 e alle spese legali. Inoltre, condiziona il riconoscimento del 25 per cento del compenso spettante ai commissari alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità. Una modifica approvata al Senato prevede poi un aumento del 10 per cento del compenso per i commissari straordinari nel caso di ritorno in bonis dell'imprenditore, in ragione dell'avvenuta soddisfazione integrale dello stato passivo e la sua riduzione invece del 10 per cento in caso di chiusura dell'esercizio d'impresa dopo tre anni (quattro in caso di grandi imprese a cui si applica il decreto-legge n. 347 del 2003) dall'apertura dell'amministrazione straordinaria.

L'articolo 4 prevede che, per la liquidazione dei compensi spettanti ai commissari giudiziari, nei casi riguardanti le grandi imprese, per le quali trova applicazione il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, sull'amministrazione straordinaria, il giudice debba osservare un tetto massimo di 500.000 euro anche in caso di incarico collegiale.

L'articolo 4-bis, introdotto al Senato, modifica la disciplina del Comitato di sorveglianza nominato nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. In particolare, viene introdotto un termine di tre anni alla durata del mandato dei membri del Comitato (rinnovabile sino all'estinzione della procedura) e, per i membri nominati in qualità di esperti, il limite al cumulo degli incarichi, per cui possono essere nominati solo coloro che non risultino già membri di un comitato. I soggetti già nominati senza fissazione della durata della carica decadono, salvo rinnovo, decorsi 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. Viene inoltre previsto che, entro 90 giorni da tale data, con decreto del Ministro delle Imprese e del made in Italy, siano disciplinate le modalità di funzionamento del Comitato.

L'articolo 5 reca modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni. La norma, modificata al Senato, circoscrive i casi e gli effetti dell'applicazione delle sanzioni interdittive, delle misure cautelari interdittive e del sequestro preventivo per consentire comunque la prosecuzione dell'attività delle imprese di interesse strategico nazionale.

L'articolo 6 integra l'articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, specificando che, in caso di sequestro di stabilimenti industriali, o di parti di essi, dichiarati di interesse strategico nazionale, il giudice disponga la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario o affidandola, se l'impresa è ammessa all'amministrazione straordinaria, al commissario già nominato.

Precisa poi che, qualora sia necessario, al fine di un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e della tutela della sicurezza sul luogo del lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le relative prescrizioni, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi, a tal fine adottati dalle competenti autorità.

Inoltre, da un lato, si esclude la possibilità di prosecuzione quando da essa possa derivare un concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica, ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna prescrizione, e, dall'altro, si prevede che il giudice autorizzi la prosecuzione dell'attività qualora, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, siano state adottate misure con le quali si sia ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le varie esigenze.

L'articolo 7 prevede che chiunque agisca al fine di dare esecuzione a un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o parte di esso, dichiarato di interesse strategico nazionale, non sia punibile per i fatti che derivino dal rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento, dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici, se ha agito in conformità con le medesime prescrizioni.

L'articolo 8 dispone che continuino ad applicarsi per tutto il periodo di vigenza del Piano ambientale approvato - e quindi fino al 23 agosto 2023, con il DPCM del 14 marzo 2014 - le norme di cui all'articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2015, secondo le quali l'osservanza del predetto piano equivale all'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione ai fini dell'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale e le condotte poste in essere in base al medesimo Piano non possano dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi delegati.

L'articolo 9 reca la clausola di neutralità finanziaria del provvedimento, prevedendo che le disposizioni del decreto-legge non debbano comportare costi aggiuntivi a carico della finanza pubblica.

L'articolo 10 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 5 gennaio 2023.

Questo è l'articolato del decreto-legge, che ha una valutazione positiva per le precisazioni fatte in premessa e durante questa illustrazione, un decreto da contestualizzare con il Piano di decarbonizzazione annunciato dal presidente di Acciaierie d'Italia, Franco Bernabe', in un piano di investimenti anche da parte del socio privato, un decreto che garantisce produttività allo stabilimento di Taranto, ma anche a tutti gli altri stabilimenti collegati in Italia, da Novi Ligure a Genova e chiaramente a tutti gli altri, un decreto che ci auguriamo possa diventare presupposto di ripartenza per dare prospettive a tutte le altre e oltre 200 aziende dell'indotto del nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo.

FAUSTA BERGAMOTTO, Sottosegretaria di Stato per le Imprese e il made in Italy. Grazie Presidente. Non ho nulla da aggiungere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vinicio Giuseppe Guido Peluffo. Ne ha facoltà.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO (PD-IDP). Grazie Presidente. Rappresentante del Governo e colleghi deputati, ho chiesto di intervenire in discussione generale, innanzitutto, per proporre, rispetto a questo provvedimento, una considerazione di carattere più ampio e approfitto anche della sua presenza in Aula. La considerazione che voglio svolgere in termini preliminari attiene alla gestione del Governo nella fase di conversione parlamentare dei decreti-legge.

Presidente, per quanto riguarda l'attività della Commissione di cui faccio parte, la X Commissione (Attività produttive), siamo al terzo decreto assegnato: prima il cosiddetto decreto Lukoil, poi il decreto Carburanti ed infine il presente decreto. Vi è stato un crescendo preoccupante di limitazioni della discussione e del confronto parlamentare, a fronte di un atteggiamento del Governo che, di fatto, sta azzerando la possibilità di intervenire sul testo in fase di conversione parlamentare. Con questo decreto, siamo arrivati al paradosso: il decreto in oggetto non era ancora stato votato al Senato (quindi, l'atto non era ancora stato trasferito a questo ramo del Parlamento) e, in Commissione, già erano fissate le date di scadenza dei termini per la presentazione degli emendamenti su un testo che non era ancora stato assegnato. Lo definisco un paradosso. Presidente, credo che questo sia un problema che riguarda non soltanto l'opposizione, ma anche i colleghi della maggioranza, e attiene alla possibilità di esercitare la funzione parlamentare. Lo ripeto: sono stati fissati i tempi di discussione di un provvedimento che ancora non era stato trasmesso a questo ramo del Parlamento.

A ciò, si aggiunga che la discussione di questa mattina - perché, alla fine, gli emendamenti li abbiamo discussi e votati questa mattina in Commissione, quindi, a ridosso della discussione in Aula - si è svolta con il consueto (mi viene da definirlo così) rincorrersi di voci rispetto a una possibile posizione della questione di fiducia da parte del Governo anche su questo provvedimento.

Ho letto, peraltro, una dichiarazione del Ministro Urso dello scorso 23 febbraio, che diceva che questo decreto, una volta approvato al Senato, alla Camera non avrebbe subito ulteriori modifiche. Da questo punto di vista, potremmo dire che il Governo sta imponendo una sorta di monocameralismo di fatto, non è ancora previsto in Costituzione. Vorrei, altresì, sottolineare che l'approccio sistematico della maggioranza ai decreti-legge e alla loro gestione in fase di conversione in legge impedisce al Parlamento di fare il proprio lavoro. È un tema che, come dicevo prima, dovrebbero porsi non solo i componenti dell'opposizione, ma, a mio giudizio, anche i colleghi della maggioranza.

Presidente, se si trattasse solo di questo, la questione potrebbe rimanere confinata alla discussione nelle Aule parlamentari, ma c'è di più. Anche in quest'occasione, da parte del Governo si è riproposta una totale chiusura alle istanze provenienti dalla società, dalle rappresentanze territoriali, dalle parti sociali. Ciò è stato clamoroso con il decreto Carburanti, quando, a fronte di audizioni nelle quali, pressoché tutti gli auditi, avevano indicato le contraddizioni e i rischi del prezzo medio regionale, il Governo ha comunque tirato dritto, prendendo in giro un intero settore. La stessa cosa è accaduta anche questa volta, con una chiusura totale alle voci discordanti emerse nelle audizioni in Commissione al Senato. Faccio riferimento all'altro ramo del Parlamento perché, Presidente, non è stato possibile neanche immaginare alcune audizioni, per ascoltare alcune voci e predisporre il lavoro di questo ramo del Parlamento sul provvedimento.

Venendo al testo, la prima constatazione che intendo svolgere riguarda la disarmante inadeguatezza di questo provvedimento rispetto alla situazione che intende affrontare. La vicenda dell'ex Ilva si trascina, di fatto, da ormai undici anni e riguarda la gravissima situazione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, tale da mettere in discussione la stessa continuità produttiva di quello che continua a essere il più grande polo siderurgico d'Europa.

Di fronte a questa prospettiva ci troviamo a discutere di un provvedimento che non si preoccupa di dare respiro, in termini di politica industriale, all'intero settore, visto che ogni volta che parliamo dello stabilimento dell'ex Ilva di Taranto stiamo parlando, di fatto, della larga parte del settore siderurgico del nostro Paese. Si tratta di una prospettiva che deve essere compatibile socialmente ed ambientalmente, ma questo provvedimento, di fatto, interviene limitandosi ad un'iniezione di denaro pubblico senza peraltro - e questo credo che costituisca uno dei problemi principali - destinarlo ad obiettivi chiaramente individuati.

Si tratta di una cifra considerevole, parliamo di 680 milioni di euro, che permetterà però, a malapena, di pagare i debiti più importanti accumulati in questo periodo da Acciaierie d'Italia, a partire dalla bolletta Snam di 208 milioni di euro, che è necessario pagare per evitare il distacco della fornitura e l'interruzione della produzione, a cui si aggiunge l'altra bolletta, quella che ormai è intorno ai 300 milioni di arretrati, con ENI. Certo, nel 2022, il gruppo ha dovuto fare i conti con una bolletta energetica pari a 1,5 miliardi, scesa poi con il meccanismo del tax credit a 1,1 miliardi di euro, ma in ogni caso straordinariamente più alta rispetto ai 200 milioni pagati dal gruppo nel 2019 e nel 2020.

A questa cifra stanziata dal Governo si aggiungono poi i fondi destinati dal privato, dal gruppo ArcelorMittal che portano ad un totale di 750 milioni di euro, cifra che dovrebbe avere l'obiettivo di far tornare l'ex Ilva a una produzione annuale di 4 milioni di tonnellate, che è il livello di produzione dell'acciaio annuo del 2021. In realtà, questo intervento non ha la forza di attivare questo piano di rilancio; per quello serve un investimento di respiro maggiore, almeno il miliardo di euro che il Governo Meloni ha ereditato dal Governo Draghi, il cui utilizzo, però, è subordinato all'aumento del capitale pubblico in Acciaierie d'Italia.

Siamo nella situazione per la quale se lo Stato non sale nella sua quota di maggioranza il rilancio non parte; questo è uno dei nodi che pone questo provvedimento, che non risolve; continua ad essere una delle questioni aperte.

I 680 milioni di euro di fondi pubblici serviranno, quindi, a rimettere almeno in parte in carreggiata un'azienda che senza soldi in cassa stava letteralmente deragliando, tanto da non poter pagare le materie prime per la produzione, l'approvvigionamento del gas per gli impianti e i fornitori. Ricordiamo che quando parliamo dell'indotto dello stabilimento di Taranto, dei suoi fornitori, parliamo in larga parte di aziende che si trovano in una situazione di mono committenza con l'azienda, quindi, in una situazione particolarmente delicata, precaria e complicata.

Peraltro, sulla situazione drammatica di immobilismo nella quale si trova l'azienda ho visto che il presidente di Acciaierie d'Italia, Franco Bernabè, un manager di lunga esperienza, in audizione al Senato ha parlato di una situazione più complessa di tutte quelle vissute in precedenza e temo che ci sia da credergli, anche in ragione della sua esperienza decennale di manager, visto che la produzione dello stabilimento di Taranto è crollata a 3 milioni di tonnellate su base annua, mentre - è giusto sottolinearlo, Presidente -, da altre parti, in Europa e non solo, la produzione negli stabilimenti dello stesso gruppo ArcelorMittal non ha avuto queste contrazioni, anzi. Tutto questo ha un effetto immediato e continuo rispetto ai livelli occupazionali, con la cassa integrazione che attualmente riguarda più di 3.000 addetti.

Tuttavia, vorrei, Presidente, soffermarmi su un aspetto molto delicato, che non è adeguatamente affrontato dal provvedimento e che riguarda la questione ambientale. Certo, la situazione non è paragonabile, e per fortuna, a dieci anni fa, questo non può e non deve bastare, ma è sconcertante la totale assenza di attenzione da parte del Governo rispetto ai temi dell'ambiente e della salute dei cittadini. Da parte nostra, abbiamo chiesto - e abbiamo presentato in tal senso emendamenti sia al Senato che qui alla Camera - che si effettui la valutazione di impatto sanitario prevedendo che, in caso di rischi per l'ambiente, vi sia il riesame degli atti autorizzativi per la prosecuzione dell'attività produttiva. E, siccome quello che si è fatto e quello che è previsto non è sufficiente, bisogna considerare che la sfida ambientale è troppo grande e troppo cruciale per essere messa in secondo piano.

Così come è necessario, in termini anche complessivi di prospettiva industriale, guardare con attenzione il fatto che l'indispensabile piano di decarbonizzazione è da portare avanti con un preciso obiettivo di arrivare alla completa eliminazione delle emissioni climalteranti, perché la produzione green di acciaio, oltre a essere a portata di mano per lo stabilimento di Taranto, è la carta su cui questo stabilimento deve puntare per tornare ad essere competitivo. Quindi, come vede, Presidente, avere maggiore attenzione e cura per l'ambiente è l'unico modo per dare una possibilità di capacità competitiva, di sviluppo, di mantenimento della capacità di produzione e dei livelli di occupazione.

C'è un altro aspetto fortemente controverso del provvedimento che voglio richiamare perché è stato oggetto di discussione di numerosi emendamenti presentati da tutti i gruppi di opposizione in Commissione, ed è lo scudo penale, un vero e proprio insulto a Taranto e ai suoi cittadini. Noi abbiamo proposto con i nostri emendamenti, sia al Senato che qui alla Camera, di sopprimerlo per come è stato definito all'interno del provvedimento o, quantomeno, di limitarne significativamente l'ampiezza, perché è davvero troppo esteso, in maniera incomprensibile, e quindi limitarlo, escludendo la sua applicabilità per fatti riguardanti la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un altro aspetto delicato della situazione che stiamo affrontando - lo accennavo prima, Presidente - riguarda la condizione delle aziende dell'indotto. Non si può non tenere costantemente presente che l'ex Ilva è anche l'indotto, fatto di quelle aziende, consapevoli, nell'affrontarlo, che il livello di sofferenza del contesto industriale che gravita attorno ad Acciaierie d'Italia è arrivato ormai al punto limite. Per questo è indispensabile ripartire con gli ordini, ripartire con le attività delle imprese appaltatrici dell'indotto. Per questo è necessario, però, un intervento che consenta una scelta di questo tipo, perché, visto che i fondi pubblici previsti non sono destinati in tal senso, il rischio è che da questo punto di vista non ci sia la possibilità di un passo in avanti. Quello che noi abbiamo proposto è di stanziare 50 milioni di euro per le fatture non saldate e garantire l'accesso al credito per i fornitori e i creditori di Acciaierie d'Italia.

È evidente, Presidente, in conclusione, che con questo provvedimento ci sono diverse cose che non funzionano, che non tornano, ed è soprattutto necessario indicare come queste nuove risorse pubbliche, così significative per il loro importo, debbano avere una chiara definizione e debbano avere soprattutto una chiara finalizzazione rispetto al conseguimento degli obiettivi.

Per questo abbiamo proposto di modificare l'attuale assetto azionario per favorire il passaggio della quota maggioritaria al socio pubblico, anticipandolo al 31 dicembre 2023, perché pensare di protrarre questa situazione, questa governance, che non è stata in grado di risolvere i nodi, fino al dicembre del 2024 vuole dire abbandonare l'azienda in questa situazione di immobilismo.

Senza un assetto diverso, senza una nuova governance e una guida capace e sicura, non si riuscirà ad affrontare il tornante decisivo che abbiamo di fronte.

Infine, Presidente, definivo questo provvedimento “inadeguato” innanzitutto in riferimento alla mancanza di una visione, una strategia dal punto di vista delle politiche industriali. Per cercare di rimettere al centro questo tema, provando anche a trovare una direzione di marcia con il concorso di tutti i soggetti coinvolti, con i nostri emendamenti abbiamo proposto un programma pluriennale per vincolare le misure di rafforzamento patrimoniale, partendo da un tavolo istituzionale composto dalle amministrazioni centrali e locali, aperto al territorio, alle organizzazioni sindacali e ai rappresentanti degli operatori economici e delle imprese.

È questo il modo per dare un riconoscimento pubblico e legislativo a Taranto - una realtà che ha già pagato un tributo altissimo - e arrivare finalmente ad una vera e propria svolta per realizzare gli obiettivi fondamentali che si devono tenere insieme: bonifica e risanamento ambientale, transizione ecologica, tutela della salute, salvaguardia dei livelli occupazionali e formazione dei lavoratori per prepararli ai nuovi processi produttivi. È necessario tenere insieme la complessità di questi obiettivi ed è necessario avere uno strumento, come quello che abbiamo proposto, del tavolo e poi dell'accordo di programma, che indichi gli obiettivi.

Questo è quello che ho in parte illustrato, Presidente, il complesso degli emendamenti che abbiamo proposto in Commissione e che ora ripresentiamo per l'Aula, sfidando il Governo a non porre la questione di fiducia, per consentire al Parlamento di svolgere il proprio compito in fase di conversione, migliorando un provvedimento altrimenti inutile e, per certi versi, dannoso rispetto alla complessità delle sfide che intende affrontare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Mattina. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARCELLO DI MATTINA (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, ancora una volta questo Governo ha dato prova e dimostrazione della capacità di intervenire prontamente nelle situazioni urgenti e importanti per gli interessi nazionali. E lo ha fatto, ancora una volta, con una norma che è riuscita a coniugare un perfetto bilanciamento delle diverse priorità coinvolte nella faccenda, nulla sacrificando, ma, anzi, tutelando non solo gli interessi aziendali di un asset strategico per lo Stato italiano, ma anche gli interessi, altrettanto prioritari e meritevoli di tutela, del diritto al lavoro e del diritto alla salute, nel pieno rispetto della salvaguardia delle norme a tutela dell'ambiente.

Un testo normativo, quello del decreto-legge n. 2 del 5 gennaio 2023, che ha visto ulteriori migliorie in sede di procedimento di conversione, che abbiamo il dovere di approvare, innanzitutto perché è una legge giusta, una legge equilibrata nei suoi principi, che mira a tutelare ciò che più ci sta a cuore: la stabilità occupazionale di migliaia di lavoratori, la salute pubblica, la tutela dell'ambiente e, in ultimo, ma non da ultimo, la dignità dello Stato. Sì, questa legge ha anche il pregio di tutelare la nostra dignità, mantenendo e sostenendo un'industria leader nella produzione siderurgica a livello internazionale, che l'Italia non può perdere non solo perché rappresenta uno degli asset strategici della nostra economia, ma anche perché rappresenta uno dei gioielli di famiglia, ovvero la più grande azienda europea del comparto siderurgico, oggi Acciaierie d'Italia.

Nel mese di novembre del 2022, il presidente di Acciaierie d'Italia holding, ex Ilva, ha rappresentato agli azionisti pubblici e privati la situazione di crisi patrimoniale e di liquidità dell'azienda, soprattutto per effetto dell'aumento dei costi energetici scaturiti dalla guerra Russia-Ucraina, a causa dei quali risultava sostanzialmente a rischio la continuità aziendale. Si tratta di un onere che ha generato debiti di pagamento nei confronti dei principali fornitori di energia elettrica e di gas.

L'aggravio della liquidità ha avuto ripercussioni importanti anche sui rapporti di fornitura. Sono attesi i pagamenti a favore delle aziende dell'indotto per oltre 100 milioni di euro. Nell'incontro al tavolo di crisi svoltosi lo scorso 17 novembre, il Ministero delle Imprese e del made in Italy ha ricordato la decisione improvvisa di Acciaierie d'Italia di fermare 145 aziende appaltatrici, con gravi ricadute per l'indotto e per l'intero territorio. Per tali ragioni, è risultato prioritario per questo Governo garantire la continuità produttiva dell'azienda, considerato che, nella denegata e mai auspicata ipotesi di default di Acciaierie d'Italia, a pagarne le conseguenze sarebbero state anche le centinaia di piccole e medie imprese che fanno parte dell'indotto del colosso dell'acciaieria e che garantiscono livelli occupazionali che concorrono alla salute economica e sociale del territorio. A ciò si aggiungano anche le migliaia di lavoratori che prestano l'attività presso l'industria siderurgica in questione.

Per tutte queste ragioni, il Governo italiano ha sentito il dovere di intervenire prontamente attraverso l'emanazione di un decreto-legge, che ha introdotto misure urgenti sia per sostenere economicamente il settore siderurgico attraverso misure di rafforzamento patrimoniale, sia introducendo disposizioni in materia penale sostanzialmente finalizzate ad impedire che eventuali responsabilità possano compromettere la produzione industriale.

L'erogazione delle somme da parte di Invitalia, grazie all'autorizzazione del MEF, consentirà di far ripartire la produzione e saldare alcune importanti partite debitorie aperte, come i costi dell'energia e le forniture delle imprese dell'indotto. Queste ultime non sono state pagate da diversi mesi e, non avendo avuto ordini di lavoro, hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione. Senza il necessario intervento di questo Governo e di questa maggioranza, la produzione si sarebbe fermata, in quanto Acciaierie d'Italia non sarebbe stata in grado di pagare le materie prime, gli approvvigionamenti energetici e le aziende dell'indotto.

Non posso non evidenziare come la questione pregiudiziale di incostituzionalità del decreto-legge, che si fonda su una presunta prevalenza dell'interesse economico contenuto nel testo normativo rispetto a quello che è l'interesse ambientale e di salute pubblica, è pretestuosa, frutto di un occhio sicuramente poco attento e, soprattutto, poco obiettivo.

Il testo della norma oggi in discussione contiene espressamente un richiamo al necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dei livelli occupazionali, di tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, di tutela della salute e di tutela dell'ambiente e degli altri beni giuridici lesi dagli eventuali illeciti commessi.

Nelle disposizioni dettate in materia di sequestro, il testo normativo, anche per come emendato, prescrive che, ove necessario, per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, di tutela della salute e dell'ambiente, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità.

Ma come se ciò non bastasse, questo Governo ha anche sancito nel testo normativo che queste disposizioni non si applicano quando dalla prosecuzione dell'attività industriale possa derivare un reale e concreto pericolo per la salute e l'incolumità pubblica ovvero per la salute e la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna prescrizione.

La norma prosegue sostenendo che il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, di salute pubblica, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.

È, pertanto, alquanto agevole evidenziare come le motivazioni poste a sostegno della pregiudiziale di costituzionalità non solo non sono fondate, ma sono anche del tutto lontane dalla realtà del testo normativo, che non prevede alcuna prevalenza dell'interesse economico rispetto all'interesse ambientale e della salute pubblica, se non esattamente il contrario. L'intervento normativo oggi in discussione si inserisce nel solco di un percorso che comporterà la possibilità di trasformare il finanziamento soci in aumento di capitale, a semplice richiesta del socio pubblico di Acciaierie d'Italia. Nel dicembre 2022, è stato deliberato un finanziamento soci in conto futuro aumento di capitale sociale di 750 milioni di euro: 680 milioni da sottoscrivere Invitalia e 70 milioni ArcelorMittal. Solo Invitalia potrà convocare l'assemblea per deliberare l'aumento di capitale funzionale alla conversione del finanziamento. Il decreto-legge n. 2 del 2023 dà seguito all'accordo di dicembre, permettendo ad Invitalia di utilizzare i fondi necessari per garantire stabilità funzionale.

L'impianto normativo ha anche preso nella giusta considerazione aspetti che premiano il raggiungimento dei giusti risultati nella gestione dell'azienda e la messa in bonis della stessa. È prevista la subordinazione del 25 per cento del compenso complessivamente spettante agli amministratori straordinari alla verifica da parte dell'autorità vigilante del conseguimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità, avendo, altresì, riguardo a parametri virtuosi, come l'adempimento sotto il profilo della tempestività e completezza, della trasmissione delle relazioni e comunicazioni obbligatorie, nonché all'adozione di iniziative volte al mantenimento dei livelli occupazionali. È previsto un bonus finalizzato al raggiungimento della messa in bonis dell'azienda ed è previsto, ancora, un limite massimo al compenso spettante agli amministratori giudiziari. Pertanto, da una semplice lettura del testo della legge oggi in discussione, possiamo renderci conto come lo stesso rappresenti un caso di perfetto equilibrio tra multipli interessi prioritari, tutti coinvolti nella questione e tutti tutelati e garantiti nel miglior modo possibile. Desidero sottolineare come sia stato fondamentale il lavoro svolto fino a questo momento dalla maggioranza, proficuo il convincimento in Commissione industria al Senato del mondo istituzionale, del mondo sindacale e del comparto sanitario, che hanno permesso di farci avere un quadro ulteriore sugli interventi necessari da portare avanti. Un ottimo lavoro, lasciatemelo dire, è stato svolto dal gruppo della Lega che, attraverso le proposte emendative, ha contribuito a migliorare il testo. La norma che andiamo a votare tutela una delle più importanti realtà industriali del nostro Paese attraverso un intervento di sostegno economico importante, ma, soprattutto, necessario. In tal modo, non solo sosteniamo un polo industriale che attraversa un momentaneo periodo di crisi, dovuto a fattori esterni come il caro energia, ma riusciamo anche a tutelare e garantire una continuità di impresa alle centinaia di aziende che ruotano intorno all'indotto dell'ex Ilva, tutelando e garantendo, al contempo, la sopravvivenza di centinaia di famiglie. Parallelamente, la norma consente e tutela la stabilità e la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro attraverso un intervento di sostegno economico che ha come indubbia conseguenza quella di permettere una continuità aziendale del polo siderurgico.

Non è sfuggito nemmeno l'aspetto della responsabilità penale e delle norme in materia di misure cautelari, ma, anche in questo caso, il Governo è stato attento a non travalicare i necessari equilibri tra i vari interessi in gioco, mantenendo una linea normativa rigida nei confronti di chi sbaglia ma, al contempo, non permettendo che eventuali comportamenti contro legge possano ripercuotersi sulla produzione e, quindi, sull'economia e, quindi, sui lavoratori e sui livelli occupazionali. Tale aspetto, ovvero la continuità della produzione, non è incondizionato, ma incontra saggiamente il limite del rispetto e della tutela della salute pubblica e della salvaguardia dell'ambiente, principi di fronte ai quali qualsiasi situazione compromettente non viene considerata meritevole di maggiore tutela. Insomma, una legge che riesce a mettere d'accordo economia, produzione industriale, diritto al lavoro, diritto alla salute e tutela dell'ambiente, senza alcun sbilanciamento e senza alcuna prevaricazione di un principio rispetto a un valore. Sostanzialmente, questa norma è lo specchio di questo Governo e di questa maggioranza, che non sono legati ad aprioristiche prese di posizioni o a dogmi concettuali inviolabili, ma sono proiettati verso una visione programmatica efficiente che mira al raggiungimento di obiettivi concreti, bilanciati e importanti per il nostro Paese, senza sacrificare i primari principi costituzionali, che sono e saranno sempre il giusto argine dell'agire politico e normativo e che oggi più che mai ci insegnano che economia, ambiente, lavoro e dignità nazionale possono camminare insieme, perché non più antagonisti ma alleati verso l'unico obiettivo della crescita sana del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gruppioni. Ne ha facoltà.

NAIKE GRUPPIONI (A-IV-RE). Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi siamo qui per valutare e votare un tema importantissimo per un Paese intero e, in particolare, per migliaia di nostri concittadini, un argomento che tocca il benessere pubblico spaziando dalla politica industriale alla salute pubblica. Oggi siamo qui per astenerci con il nostro voto sul provvedimento. È la serietà del Terzo Polo che guida la nostra scelta. È necessario garantire la continuità produttiva di un impianto siderurgico come quello di Taranto della società Ilva e dobbiamo rafforzare, al contempo, la resilienza economica, garantendo, con provvedimenti chiari, tale compito. Dovremmo fare ciò per tutti i siti produttivi che rivestono un interesse strategico primario per la Nazione. Ad oggi, però, il provvedimento promosso dal Governo non fuga molte delle perplessità che abbiamo in merito. Tuttavia - e vorrei che questo punto fosse chiaro a tutti i colleghi in Aula - i nostri dubbi non vogliono essere l'ennesimo freno per un Paese che troppo spesso trova giustificazioni per non agire. All'immobilismo preferiamo l'agire e il tentare di trovare soluzioni. Proprio questo tipo di mentalità ci spinge oggi a non votare contro, bensì ad astenerci, sospendendo il giudizio nella speranza che i nostri dubbi possano trovare una risposta soddisfacente nell'azione del Governo, una speranza che riposa nella mole spropositata di attività legislativa che ha riguardato questa tematica negli anni. È il desolante risultato frutto del fallimento, da parte della nostra classe dirigente, di apparecchiare un'efficace strategia industriale ordinaria.

I nostri interessi nazionali, invece, sono stati dati in pasto a pregiudizi pseudo morali-ideologici, governati da decreti su decreti in perenne e continuo stato di emergenza. Prendiamo atto che il Governo attuale prosegue nel solco tracciato dal precedente Esecutivo Draghi, ponendo in agenda ambiti come quello metallurgico e siderurgico di importanza vitale per un Paese leader nella manifattura europea. Tuttavia, temiamo che il Governo non abbia fornito rassicurazioni adeguate nel definire concretamente un piano industriale all'altezza delle grandi sfide che si prospettano all'orizzonte, che sono molte e complesse, dalla decarbonizzazione, in particolare per il mondo dell'acciaio come quello del sito tarantino, all'efficacia e alla sostanza delle risorse autorizzate dallo Stato in aumenti di capitale per far fronte agli abnormi costi energetici patiti nel corso dello scorso anno e che si faranno certamente sentire anche nell'esercizio dell'anno corrente.

Per quanto riguarda il piano giudiziario e penale, non vorrei dilungarmi troppo. Tante parole sono state spese, sia in questa Camera, che in altre tribune. Permettetemi, tuttavia, di ricordarvi che le problematiche legate alla gestione dell'Ilva non sono nate con la gestione privata del polo, bensì con la gestione pubblica. Quindi, difendendo senza se e senza ma il nostro ambiente e vigilando con zelo affinché attività inquinanti illecite siano perseguite e proibite, da sempre siamo a difesa della salute pubblica e del benessere dei cittadini tarantini, costretti per anni a respirare un'aria venefica.

Inoltre, ribadiamo il nostro pieno appoggio allo scudo penale. Non siamo noi in quest'Aula i fautori di processi alle streghe, di roghi e di inquisizioni. La nostra impronta garantista ci fa capire che l'industria è il settore produttivo. Quello che dà il pane alle famiglie italiane non è sempre colpevole di nefandezze e di illeciti. Non intraprendiamo funambolici tafazzismi che impongono alle nostre coscienze di puntare sempre e comunque il dito contro il secondario, perché industria non è sinonimo di inquinamento e di nemico dell'ambiente. Paradigmi come quello appena citato, colpevolmente portato avanti da frange estremiste anche dentro queste Aule, bloccano il futuro del nostro Paese.

Siamo, quindi, contrari a logiche che vedono o bianco o nero. La difesa dell'ambiente non equivale a bloccare la macchina produttiva. Sono le stesse industrie che, con l'adeguato sostegno del Governo, ricercano e sviluppano nuove tecnologie, compatibili con gli obiettivi di sostenibilità che lo Stato ha assunto ad impegno.

Ad oggi, non abbiamo chiaro come il Governo abbia intenzione di svolgere questo compito e restiamo in attesa, fiduciosi di avere buone nuove al più presto. Questo sarebbe importante anche per spezzare il binomio acciaio e inquinamento, che oramai è ben radicato nell'opinione pubblica. In compenso, però, tutto ciò che alimenta il circolo vizioso costringe l'Italia a rifornirsi di acciaio all'estero, anche da mercati emergenti che, per ovvi motivi, non hanno politiche ambientali adeguate, vuoi per tecnologie disponibili, vuoi per scarsa sensibilità alle tematiche ambientali.

Tornando all'analisi del decreto, quest'ultimo ci pare poco incisivo. Se non produce danni, pochi ne risolve. I fondi stanziati per l'Ilva sono gli stessi che erano già stati previsti dal precedente Esecutivo e, quindi, in parte, adeguati al caro energia. Prendiamo atto che questa impostazione sia rimasta, essendo essenziale alla vita stessa dell'impianto. Purtroppo, non vediamo segnali né sull'approntamento di piani di decarbonizzazione, né sul sostegno necessario allo sviluppo di modalità produttive basate su fonti a basso impatto ambientale.

Concludo. Ribadiamo la nostra astensione, perché, con una bocciatura, non regoleremmo gli errori del passato e lanceremmo un segnale favorevole a quell'immobilismo che, invece, vogliamo combattere con tutte le nostre forze.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Salandra. Ne ha facoltà.

GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Presidente e colleghi, in questa discussione generale, intervengo sul tema degli impianti di interesse strategico nazionale, in modo assoluto e netto, lontano dai pregiudizi ideologici, che hanno alimentato tale tema negli ultimi decenni. È doveroso un ringraziamento non solo ai colleghi parlamentari, ma anche al Governo Meloni, che, dopo anni di tentennamenti e di equilibrismi, è intervenuto con coraggio, guardando prioritariamente a quell'interesse nazionale che, nel tempo, si è affievolito e che lentamente ha portato alcune imprese strategiche a una perenne stagione di svendita o di saldi. Vedete, il coraggio è la capacità di affrontare il reale con la maturità di chi allontana se stesso dalla paura di fallire, avendo una prospettiva futura nell'interesse della collettività.

Da avvocato, non ho mai amato le letture giornalistiche dei testi normativi e, ancor di più, non ho mai amato attribuire nomi alle leggi, ma è inevitabile che, in questo decreto, si parli della mia Puglia, dell'impianto di Taranto, ed è evidente come, in questo decreto, si riconosca alla mia regione una centralità assoluta e si riconosca questa centralità, non soltanto sul piano nazionale, ma anche a livello europeo.

In questo decreto, l'Italia restituisce al mercato europeo la centralità di specifiche realtà produttive in modo chiaro e lineare. Ciò è evidente sin dall'articolo 1, quando si interviene, con il comma 1, sulle modifiche di rafforzamento patrimoniale, originariamente previste nel decreto-legge n. 142 del 2019, volte ad assicurare la continuità del funzionamento produttivo dell'impianto siderurgico di Taranto, della società Ilva Spa, prevedendo proprio che queste misure siano autorizzate anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti. Non si tratta di uno scudo penale. Questa non è una battaglia ideologica, questo è un Governo che passa ai fatti, con un approccio pragmatico nella politica industriale della Nazione, dopo anni di immobilismo sul tema.

E' inoltre, modificata la definizione degli strumenti di intervento, specificando che Invitalia è autorizzata a sottoscrivere aumenti di capitale sociale e a erogare finanziamenti in conto soci, secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, che si convertono in aumenti di capitale sociale su richiesta della medesima. È riconosciuta la possibilità, per l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di realizzare interventi di politica industriale nella forma, tra l'altro, di misure di rafforzamento patrimoniale volte ad assicurare la continuità della produzione dell'impianto siderurgico di Taranto, qualificato espressamente come stabilimento di interesse strategico nazionale.

L'articolo 1, in sintesi, attribuisce, in modo chiaro ed incontroverso, all'Ilva di Taranto la natura di realtà nazionale su cui l'Italia investe, una realtà che non è più, come fino ad oggi qualcuno ha ritenuto, un problema, ma un impianto su cui investire nell'interesse del Paese. Dico ciò, perché già nel tavolo del 17 novembre 2022 fu avvertita, da parte del Ministero, dinanzi all'improvvisa decisione dell'azienda di fermare 145 aziende appaltatrici - con un inevitabile blocco dello stesso indotto - di operare un ripensamento, considerando prioritaria la continuità produttiva strettamente connessa allo sviluppo del territorio.

Sempre l'articolo 1, comma 1-bis del decreto, così come riformulato dal Senato, reca disposizioni relative al settore aeronautico, con l'obiettivo di garantire la continuità del funzionamento produttivo degli stabilimenti industriali nell'area di Taranto, integrando il capo 1 e prevedendo specifiche disposizioni anche per il settore aeronautico. Pertanto, come è stato ben illustrato, è stato differito il pagamento delle quote di diritti di regia dovuti dalle imprese, alle quali, nel 2022, è stata erogata l'ultima quota di finanziamento senza sanzioni e senza interessi. Questo non è soltanto il decreto Ilva; questo è un decreto che francamente riguarda l'intero Mezzogiorno, attribuendo al Mezzogiorno una particolare importanza, come si legge al comma 1-bis, introdotto dal Senato, che proroga al 31 dicembre 2023 la concessione delle indennità riconosciute dalla normativa vigente fino al 31 dicembre, in favore dei lavoratori delle aree di crisi industriale complessa della Sicilia, al fine di sostenere la competitività del sistema produttivo nazionale e la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di crisi industriali complesse, con un impatto significativo sulla politica industriale nazionale e con particolare riferimento alla regione Sicilia.

I giornali lo hanno descritto come il decreto Ilva, ma non sbaglio se ritengo che questo provvedimento porti anche alcuni vantaggi alla Sanac, l'azienda nata al servizio della filiera dell'acciaio in Italia, che, da sempre, ha avuto, come maggiore utilizzatore dei propri materiali, le acciaierie dell'Ilva, soddisfacendo, con i suoi quattro stabilimenti, oltre il 35 per cento del fabbisogno nazionale, vantando clienti in Europa e nel mondo.

Presidente, colleghi, mi sono laureato in una piccola università del Mezzogiorno, ormai quasi vent'anni fa, discutendo una tesi sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, l'allora legge Marzano.

La vita e la sua ciclicità mi portano oggi a discutere un decreto che interviene proprio su quella normativa, attribuendo particolare importanza al valore nazionale. A distanza di vent'anni, intervengo per evidenziare come l'articolo 2 riguardi proprio la procedura speciale di ammissione immediata, il cosiddetto accesso diretto all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. L'articolo 2 integra il comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 347 del 2003 di un ulteriore periodo, prevedendo che, nei casi di società partecipate dallo Stato, ad eccezione di quelle quotate, l'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria di imprese che gestiscono uno o più stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012, possa avvenire su istanza del socio pubblico e questo anche oltre specifici termini.

In sintesi, in questo provvedimento, per mutuare le parole di una collega senatrice, lo Stato fa lo Stato quando si parla di interesse strategico nazionale. Ed è giusto che sia così, perché l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è quella procedura concorsuale che ha in sé specifiche finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, la riattivazione e la riconversione delle attività imprenditoriali, giacché questa era proprio la finalità di quella che fu la legge Prodi, del successivo decreto Bersani e dell'ultima legge Bersani. Lo Stato fa lo Stato, quando si tratta di interesse nazionale.

Abbiamo ottenuto la fiducia degli italiani e la fiducia di questo Parlamento, parlando di ambiente e parlandone con l'uomo al centro. È facile lasciarsi andare a talune teorie giornalistiche, ma la regola di questo decreto è sempre la stessa: lo Stato fa lo Stato. E lo Stato fa lo Stato intervenendo sui compensi degli amministratori dei commissari, perché si è previsto che il compenso remunerativo dell'attività gestionale sia parametrato al fatturato dell'impresa e sia riconosciuto solo ove la gestione commissariale nell'esercizio dell'impresa sia caratterizzata almeno dal pareggio tra ricavi e costi. In sintesi, questa disposizione afferma che nessuno può lucrare sull'interesse nazionale. L'intervento è volto a provocare una riduzione della durata delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nonché una maggiore efficacia delle stesse. L'interesse nazionale - dobbiamo dirlo - non può essere la stanza di compensazione di una certa politica.

Un'ultima lettura - e mi avvio alle conclusioni, Presidente - attiene all'articolo 7. Come ho detto, non c'è uno scudo penale, a differenza di quanto qualcuno ritiene di affermare. Il nostro ordinamento, il nostro codice penale, prevede espressamente cause di non punibilità e in questo decreto vengono chiaramente evidenziate. In questa normativa non c'è uno scudo penale perché in essa è specificato che non si è punibili se si rispettano le regole dell'interesse nazionale. La norma, spogliandoci dei pregiudizi, prevede espressamente la non punibilità della condotta dei soggetti che agiscono al fine di dare esecuzione a provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell'attività produttiva di uno stabilimento industriale dichiarato di interesse nazionale. La non punibilità è per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento, dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici, qualora si sia agito in conformità di queste prescrizioni.

Ecco, questo è il decreto che siamo chiamati a convertire, di cui oggi discutiamo. Siamo chiamati a riconoscere il diritto dello Stato a fare lo Stato, siamo chiamati a legiferare sull'interesse dello Stato a ritenere l'interesse nazionale come prevalente in assoluto.

Quando discussi la mia tesi, sulle mie critiche rispetto alla legge Marzano, la professoressa mi chiese se avessi cambiato il mio orientamento politico. Risposi che era quella legge ad essere timida dinanzi al diritto dello Stato di intervenire, quando si parla di interesse nazionale. Ritengo, con buona pace anche delle opposizioni, che quella timidezza e quella insicurezza oggi siano state nettamente superate (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Evi. Ne ha facoltà.

ELEONORA EVI (AVS). Grazie, Presidente. Inizio con alcune parole pronunciate, qualche giorno fa, da una mamma tarantina, Celeste Fortunato, una mamma affetta da una grave forma di leucemia: “Nel mio reparto, così come nel reparto oncologico, i malati aumentano ogni giorno di più, i trapiantati di midollo osseo sono tantissimi, il reparto è gestito da personale eccellente, ma lavora a fatica perché siamo veramente tanti. È straziante sentire una mamma che dice: se io potessi tornare indietro, non metterei al mondo mio figlio in queste condizioni, per paura che si ammali; o sentire amiche che dicono: non voglio fare figli, rinuncio perché ho paura. Se noi siamo arrivati al punto che una donna dica questo, vuol dire che, come umanità, abbiamo fallito”. Queste sono le parole che Celeste Fortunato ha detto, qualche giorno fa, davanti al prefetto di Taranto.

Diciamolo in modo chiaro e finiamola con l'ipocrisia: quante sono le morti accettabili per far funzionare un impianto mortale come quello dell'ex Ilva? In sintesi, è questa la domanda a cui pretendiamo una risposta. Quante morti, quanti bambini ammalati, quante patologie, quale percentuale di incidenza di malattie su quel territorio, quanti morti sul lavoro siete disposti a tollerare? L'ONU l'ha definita zona di sacrificio; sì, l'ONU l'ha definita in questo modo, perché i numeri parlano molto chiaro. La mortalità in questa città, soprattutto nelle aree più vicine allo stabilimento siderurgico, è nettamente superiore a quella di ogni altro capoluogo di provincia della regione. A Taranto si registra un'incidenza aumentata di tumori infantili, come denunciato dallo studio SENTIERI dell'Istituto superiore di sanità in cui si parla di un incremento di oltre il 30 per cento dei tumori infantili. Dai dati epidemiologici di questo studio, recentemente aggiornati, pubblicati il 23 febbraio, risulta che non vi è stato alcun miglioramento della salute in questi anni e che è continuato, anche dopo il 2013, l'eccesso di mortalità e di ospedalizzazioni a Taranto, colpendo, in modo intollerabile, anche i bambini. Recentemente, si sono registrati a Taranto picchi di benzene mai visti prima e l'ARPA li ha attribuiti agli impianti Ilva. La magistratura ha quindi aperto un'indagine sui lavori di messa a norma e sulla procedura di autorizzazione integrata ambientale.

Siamo di fronte, quindi, all'ennesimo provvedimento che trova qualunque escamotage per eludere la nostra Costituzione, eludere le sentenze della Corte costituzionale, le sentenze della Corte europea, le sentenze della CEDU, le procedure d'infrazione europee, pur di far proseguire l'attività produttiva di uno stabilimento messo sotto sequestro dalla magistratura perché è pericoloso e illegale, nel nome del famigerato interesse strategico nazionale. Questo Governo, così come fatto da Governi precedenti, insiste nel solco di garantire il cosiddetto scudo penale ad impianti come l'ex Ilva e la totale impunità per chi amministra questi impianti mortiferi. In nessuna parte d'Europa succede una cosa simile, in nessuna parte d'Europa assistiamo ad obbrobri giuridici come quelli riproposti in questo decreto, che ha l'obiettivo di creare una vera e propria zona franca, dove tutto è concesso pur di continuare a produrre, dove ci si può fare beffe di ogni legge a protezione della salute e dell'ambiente, dove, se uno stabilimento è sotto sequestro perché ha creato danni all'ambiente e alla salute, è sufficiente nominare un commissario per risolvere magicamente ogni problema, dove la responsabilità penale viene eliminata per decreto, il ruolo della magistratura calpestato e confinato, per decisione politica. Potremmo dire, un tentativo plateale di minare alle fondamenta lo Stato di diritto. Perché in Italia deve sempre andare così? Perché, invece, come succede in altri Paesi, non si può immaginare uno sviluppo produttivo pulito e sostenibile, che coniughi le attività produttive, i diritti fondamentali dei cittadini che abitano i territori che ospitano gli stabilimenti e i diritti dei lavoratori, che possano contare su sicurezza sul lavoro e protezione della loro salute? Anche impianti altamente inquinanti, come quelli del settore siderurgico, hanno avviato da tempo trasformazioni tecnologiche grazie a investimenti e scelte innovative e lungimiranti, tali da puntare ad ottenere tutto ciò.

In diverse parti d'Europa sono infatti già partiti i progetti di produzione di acciaio verde. Assistiamo all'avanzamento di nuove tecnologie, come la direct reduced iron o la electric arc furnace ma soprattutto alla spinta verso l'impiego dell'idrogeno verde. Qui, invece, sembra di parlare di fantascienza. Aggiungo una considerazione sul termine “strategico”. In questo decreto, dietro al termine “strategico” c'è un vuoto sconsolante, ci sono zero proposte innovative e zero progetti lungimiranti volti ad un serio cambio di passo che coinvolga tutto il territorio tarantino e coinvolga anche le imprese, che stanno a cuore anche a noi. Questo è un peccato per tutto il nostro Paese, perché dietro al termine “strategico” si cela invece la volontà sconsiderata di questo Governo di eliminare con un colpo di spugna tutto ciò che la maggioranza considera un ostacolo al funzionamento di impianti estremamente inquinanti e dannosi per l'ambiente, la salute e la sicurezza. Ecco quindi un via libera a continuare a inquinare, ad ignorare i disastri ambientali e sanitari, al tracollo del comparto siderurgico e un via libera allo scudo penale per chi commette reati contro la salute e l'ambiente, perché di questo si tratta.

Per noi di Alleanza Verdi e Sinistra, quindi, questo provvedimento è irricevibile e incostituzionale. Abbiamo presentato una questione pregiudiziale che verrà discussa domani. Un passaggio sul tema è doveroso. La legge costituzionale del 22 febbraio 2022 ha inserito, nel novellato articolo 9 della Costituzione, un esplicito riferimento alla tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, la cui protezione rientra ora tra i principi fondamentali del nostro ordinamento. Tale tutela viene assicurata anche nell'interesse delle future generazioni. Le scelte pubbliche, politiche ed economiche, devono dunque essere ispirate a un principio di solidarietà e responsabilità intergenerazionale applicabile anche in mancanza di normative specifiche, un diritto fondamentale che non può essere oggetto di interventi arbitrari da parte delle istituzioni. La modifica costituzionale è intervenuta anche per inserire un vincolo aggiuntivo alla libera iniziativa economica privata che, attualmente, non soltanto non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale ma neanche in modo da recare danno alla salute e all'ambiente. È del tutto evidente che questo decreto sia in totale incompatibilità con i principi costituzionali ed europei in tema di tutela della salute e dell'ambiente.

Questo provvedimento è arrivato blindato dal Senato. È l'ennesimo decreto ritenuto di straordinaria necessità e urgenza. I lavori sono stati svolti alla Camera alla velocità della luce e non c'è stato, di fatto, alcun modo di intervenire sul testo. Tutti gli emendamenti presentati, con cui abbiamo cercato di intervenire per fermare questo decreto, questo scempio di decreto, o quantomeno di limitarne i danni, sono stati bocciati stamattina in Commissione. Abbiamo tentato di stralciare dal testo la vergogna dello scudo penale e l'impunità dei commissari. L'articolo 5 esclude l'applicazione delle sanzioni interdittive nel caso di stabilimenti di interesse strategico nazionale sulla base di una vera e propria condizione presuntiva, come se bastasse, cioè, la scelta di un modello organizzativo astrattamente idoneo per prevenire la possibile violazione delle norme sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Come ben si comprende, la norma crea una precondizione di base alla quale il modello organizzativo scelto risulta essere idoneo per definizione e, quindi, adottato il modello, decadranno tutte le forme di responsabilità per la lesione della salute e per la sicurezza dei lavoratori.

Il decreto in esame, ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di adottare misure per fronteggiare le problematiche relative alla gestione dell'ex Ilva nonché di prevedere misure, anche di carattere processuale e procedimentale, finalizzate ad assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, viene emanato con effetto immediato dal Governo il 5 gennaio 2023 e dispone, al capo secondo, che, qualora per la salvaguardia di salute e ambiente fosse necessario interdire l'attività o sequestrare in tutto o in parte un impianto inquinante dichiarato di interesse strategico nazionale dal Presidente del Consiglio dei ministri, si procede invece alla prosecuzione dell'attività sotto il controllo di un commissario, precisando subito dopo che, in ogni caso, le sanzioni interdittive non possono essere applicate quando pregiudicano la continuità dell'attività svolta in questi impianti, se l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e aggiungendo che il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi quando, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l'adozione di modelli organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo del lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. Il decreto stabilisce, poi, che, se vi è stato un sequestro dello stabilimento di interesse nazionale, o di parti di esso, il giudice dispone comunque la prosecuzione dell'attività tramite amministratore giudiziario se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e la salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro. Ma, di tutto questo, quale evidenza, quale verifica, quale meccanismo di controllo che certifichi i miglioramenti effettivi o concreti? Ovviamente, di questo non è dato sapere, non è nemmeno ipotizzato. Appare del tutto evidente che l'intento del legislatore è garantire sempre e comunque la continuità della produzione e cioè l'interesse economico e commerciale dell'impresa, che viene addirittura equiparato, anzi, deve bilanciarsi in modo totalmente generico ed indeterminato con i diritti costituzionalmente garantiti alla salute e all'ambiente. Il testo del decreto sul quale la Camera è chiamata ad esprimersi appare senza alcun dubbio in contrasto con tutti i dettami della Costituzione, ad iniziare dall'articolo 41, il quale non parla in alcun modo di bilanciamento ed afferma senza ombra di dubbio che le esigenze economiche e produttive non possono mai prevalere sul diritto alla salute. Il successivo articolo 6 conferma che l'unico intento del Governo è la prosecuzione dell'attività dell'impresa oggetto del sequestro, anteponendola a tutto, alla sicurezza, alla salute dei lavoratori e alla salvaguardia ambientale e dei cittadini, mentre i successivi articoli 7 e 8 reintroducono lo scudo penale, sancendo per decreto una sorta di presunzione assoluta di diligenza e, quindi, di non punibilità delle condotte che autorizzano l'attività produttiva, eludendo in questo modo le pronunce della Corte costituzionale. Invece, proprio la Corte, sappiamo, ha ritenuto più volte che non possono essere oggetto di bilanciamento l'attività industriale, da una parte, e la sicurezza ambientale e la salute dei lavoratori, dall'altra.

Infine, riporto le parole di Alessandro Marescotti, che è tra i fondatori di PeaceLink, pronunciate solo 2 giorni fa a Taranto, in occasione di una manifestazione per lanciare un appello al Presidente della Repubblica, Mattarella. Appello che noi facciamo nostro, unendoci nella richiesta di non apporre la firma sulla nuova legge di immunità penale per i gestori dell'Ilva e di rinviare alle Camere la legge, sollevando la questione di costituzionalità, considerato che prima o poi questo provvedimento verrà certamente vagliato dalla Corte costituzionale. Marescotti dice: “Oggi abbiamo manifestato a Taranto per far sentire la nostra voce. Perché a Taranto, signor Presidente, ogni mattina dalle 2 alle 3 persone si preparano per fare gli esami medici e poi scoprono di avere un tumore. Non passa giorno, è un dato statistico. Ogni giorno, dalle 2 alle 3 persone tornano a casa per annunciare ai propri cari che dovranno affrontare una terribile prova per la sopravvivenza. Ci ascolti, signor Presidente, ascolti la nostra voce, ascolti le voci flebili di chi è in chemioterapia, di chi si è appena ammalato, di chi ha paura di non farcela, di chi vuole un futuro migliore, libero dalla paura, libero dall'angoscia, libero dai ricatti occupazionali. Vogliamo un futuro libero dall'assedio dei veleni. Vogliamo un futuro libero per i nostri bambini”.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicchielli. Ne ha facoltà.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signori del Governo, consentitemi di iniziare col dire che oggi, in quest'Aula, non stiamo soltanto salvando un'azienda con una storia complicata e a tratti anche controversa, stiamo facendo politica industriale. Questo vuol dire avere un'idea precisa degli obiettivi che si intende raggiungere e del sistema produttivo che si vuole integrare e, infine, mettere in campo gli strumenti necessari al perseguimento di queste finalità. Stiamo facendo - chiedo venia per una breve incursione nell'attualità - quella politica industriale di cui gli eventi politici delle ultime ore suggeriscono che dovremmo farci carico per parecchio, per tantissimo tempo. Infatti, nel fare gli auguri di buon lavoro alla nuova segretaria del Partito Democratico - purtroppo non vedo in Aula alcuno dei colleghi del PD - non posso non rilevare come la sinistra abbia compiuto un passo ulteriore e, forse, definitivo nel suo percorso di allontanamento dalle tematiche socioeconomiche, dal lavoro, dalla produttività e dalla concretezza della vita quotidiana che si espande al di fuori delle zone a traffico limitato delle nostre città.

Auguri, onorevole Schlein, ma intanto delle acciaierie di Taranto ce ne occupiamo noi, se ne occuperà il Governo Meloni. Ce ne occupiamo in un momento particolarmente complesso, che vede la situazione geopolitica determinare grandi difficoltà nell'approvvigionamento delle materie prime e l'emergenza energetica moltiplicare i costi per un'industria energivora, qual è quella siderurgica. Si stima, infatti, che il costo del gas per l'impianto pugliese sia cresciuto di 6 volte, dai 200 milioni di euro del 2020 a 1 miliardo e 550 milioni di euro del 2022, al netto del credito di imposta, un salto da 200 milioni a 1 miliardo e 120 milioni.

Su questo quadro si innesta anche una situazione aziendale non semplice, che ha visto il Governo italiano confrontarsi con la decisione improvvisa, da parte dell'impresa, di fermare 145 aziende appaltatrici, con pesanti, pesantissime implicazioni per l'indotto e per il territorio, e con la rappresentazione di un clima non disteso da parte delle organizzazioni sindacali nei confronti dell'azienda.

A fronte di tutto ciò, con una eredità pesante sulle spalle e un quadro che le circostanze hanno reso critico, il Governo italiano, nel solco di quanto già è stato fatto con il decreto Lukoil, ancora una volta è intervenuto con tempestività. È intervenuto per mettere mano a una situazione che vede in gioco non solo l'Ilva, ma tutto il suo enorme indotto e l'intera filiera italiana dell'acciaio. È intervenuto per mettere ordine in una vicenda che, accanto alle esigenze socioeconomiche, richiede anche di portare avanti un processo di conversione degli impianti, fondamentale non solo in un'ottica di transizione ecologica, ma anche, e più concretamente, per agevolare l'integrazione fra l'azienda e l'ambiente circostante, anche e soprattutto a salvaguardia della salute e della popolazione.

Signor Presidente, noi rivendichiamo con orgoglio che questo è un provvedimento fatto in invarianza finanziaria, che servirà sia ad arginare una pesante situazione debitoria che a garantire il proseguimento dell'attività dell'indotto di Taranto, che, dallo scorso mese di novembre, dobbiamo ricordarlo, è schiacciato tra mancati incassi, fermo di ordini già in esecuzione e blocco delle nuove commesse. È una situazione drammatica, che ha costretto l'ex Ilva a ricorrere in misura massiccia alla Cassa integrazione.

Si tratta, signor Presidente, di un intervento necessario per un ambito economico e occupazionale enorme per il nostro Paese. Senza produzione, si sarebbe fermato anche l'indotto, in quanto l'azienda non avrebbe avuto la liquidità necessaria per pagare le materie prime e gli approvvigionamenti energetici. E, invece, bisogna ricordare che, quando parliamo di made in Italy, non facciamo riferimento solo alle nostre tipicità, alle nostre eccellenze e all'innovazione, ma facciamo riferimento anche alla grande industria, al manifatturiero e a intere filiere tradizionali, che dobbiamo accompagnare nelle nuove transizioni in atto, ma, al tempo stesso, preservare. Infatti, in caso contrario, signor Presidente, ciò vorrebbe dire cedere know-how, occupazione, fette di mercato. Insomma, vorrebbe dire impoverire il nostro tessuto industriale ed economico, con durissime ripercussioni sociali. C'è, dunque, bisogno di un intervento, che sia al tempo stesso chirurgico, per non alterare il mercato, ma anche tempestivo ed efficace. Ed è ciò che questo decreto mette in pratica, in nome di una visione del bene comune, dell'interesse nazionale e dei lavoratori italiani, dei quali il centrodestra sarà chiamato, ancora a lungo, a farsi carico (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC, Italia al Centro)-MAIE).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Todde. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA TODDE (M5S). Grazie, Presidente e onorevoli colleghi. Potrei definire questo provvedimento con molti aggettivi. Uno, però, mi sembra più adatto di tutti: è un provvedimento pericoloso. È pericoloso perché antepone gli interessi economici all'esigenza di tutelare i valori fondamentali dell'ambiente, della salute e della sicurezza del lavoro; è un provvedimento pericoloso perché, con il ripristino dello scudo penale, reintroduce l'autorizzazione a mettere a rischio la salute dei cittadini con la grottesca giustificazione che è necessario ripristinarlo per mantenere gli investitori stranieri; è pericoloso perché si pone in palese contrasto con la Costituzione, in particolare con l'articolo 9: “La Repubblica tutela l'ambiente (…)” e con l'articolo 41, secondo cui l'attività economica non può svolgersi in modo da creare danni alla salute e all'ambiente - e potrei proseguire -; è pericoloso perché, con questo provvedimento, state perpetuando un modello economico vecchio e inefficace, contrario agli obiettivi europei della transizione ecologica e concentrando l'intervento sul piano finanziario, senza condizioni, sull'inquinamento e sull'impunità, ma non proponendo politiche industriali e un piano di rilancio realmente competitivo per un settore che è sì strategico per il nostro Paese. Cosa ancora più grave: state sollevando gli amministratori di queste aziende da ogni tipo di responsabilità. Per scongiurare la chiusura di impianti strategici come l'ex Ilva di Taranto avete persino stabilito che gli stessi non possano essere oggetto di sequestro o di misure interdittive, perché basterà impegnarsi ad adottare un'organizzazione e un modello che bilancino gli interessi economici e ambientali, senza il vincolo di ripristinare i danni provocati, ignorando le sentenze di condanna della corte di assise e del tribunale di Taranto, e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Ma, a fronte del disastro ambientale ancora in corso, che abbiamo sotto gli occhi a Taranto, come si fa a parlare di bilanciamento di interessi? Dal punto di vista squisitamente economico, invece, posto che l'entrata dello Stato nella quota azionaria è necessaria, l'ingresso senza strategie, obiettivi e tempi chiari, trasparenti e vincolanti per la trasformazione del modello industriale e la riconversione non è solo non lungimirante, ma dannoso. Infatti, le aziende siderurgiche, soprattutto in mercati quale quello dell'acciaio, essendo capital intensive, necessitano sì di un capitale sociale adeguato, soprattutto alla luce dei maggiori costi affrontati con la crisi energetica, ma è altrettanto vero che un apporto di capitale pari a 1 miliardo e 705 milioni, senza alcuna strategia di lungo periodo, è più vicino a un regalo nei confronti di ArcelorMittal piuttosto che a una scelta razionale e lungimirante di politica industriale. In aggiunta, va ricordato che nessuna nazionalizzazione e nessun apporto di capitale possono garantire la sana e continua prosecuzione delle attività produttive, senza politiche industriali adeguate e un piano chiaro che garantisca un rilancio sensato, in coerenza con la transizione ecologica ed energetica necessaria e la difesa della salute e dell'ambiente; motivo per cui - questo va detto in modo forte e chiaro - questo decreto Salva Ilva ha chiare finalità politico-elettorali e pochi elementi coerenti con la natura economica dell'impianto.

In aggiunta, benché l'apporto di capitale disposto dall'articolo 1 del presente decreto potrebbe essere giustificato in nome della possibilità, da parte dello Stato, di intervenire nelle scelte economiche e progettuali dell'impianto ex Ilva di Taranto, voglio ricordare che Invitalia già possiede un diritto di voto, con l'attuale partecipazione del 38 per cento, pari al 50 per cento, motivo per cui qualsivoglia giustificazione, in nome di un maggior peso dello Stato nelle scelte economiche dell'impianto, è illogica, in mancanza di politiche industriali vincolanti a un rilancio e a una transizione ecologica reale, essendo questo possibile con l'attuale assetto societario, senza imbarcarsi ulteriormente in dispendio di fondi pubblici.

Se realmente si voleva salvare lo stabilimento ex Ilva, la strada non era quella di prevedere una serie di toppe per far fronte ai problemi strutturali che, per loro natura, sfuggono alle maglie della regolazione legislativa e non possono essere affrontati mediante la posizione di un decreto. Infatti, se l'obiettivo fosse dare nuova vita all'impianto produttivo di Taranto, questo decreto dovrebbe prevedere l'obbligo reale di una riconversione degli impianti in ottica sostenibile, sia da un punto di vista economico che ambientale. Infatti, ci tengo a ricordare che l'impianto in questione è praticamente l'unico, in Italia, a non aver fatto alcuna transizione verso la produzione dell'acciaio mediante forni elettrici, che avrebbero l'effetto di ridurre i costi energetici, da un lato, e, dall'altro, garantire un ambiente sano e non - come definito dall'Organizzazione mondiale della sanità - una zona di sacrificio in favore della produzione fine a se stessa. Per quanto riguarda l'indotto, la situazione è paradossale: Acciaierie d'Italia, una società partecipata dallo Stato, la cui quota azionaria è destinata ad aumentare considerevolmente, non ha previsto un piano di rientro nei confronti di Sanac, azienda produttrice di refrattari, soggetta ad amministrazione straordinaria e, quindi, a tutela dello Stato, la quale non ha ricevuto alcuna garanzia circa la risoluzione della situazione creditoria nei confronti di Acciaierie d'Italia; un'azienda in cui lo Stato ha la maggioranza di voto decreta la fine di un'altra azienda gestita dallo Stato.

Infatti i debiti sono stati parzialmente saldati (9 milioni su 20) solo grazie all'emanazione di 29 decreti ingiuntivi, il che lascia comprendere come Acciaierie d'Italia non abbia alcuna intenzione di saldare la sua situazione debitoria, condannando Sanac alla chiusura e, con essa, alla cassa integrazione di oltre 350 dipendenti, senza considerare l'indotto. In aggiunta, Acciaierie d'Italia ha bloccato anche le commesse nei confronti di Sanac; infatti Acciaierie l'Italia continua ad effettuare ordini di materiale refrattario da soggetti operanti sui mercati internazionali, i quali, a loro volta, preferiscono acquistare materiali refrattari nel mercato internazionale da fornitori internazionali, che poi subappaltano tali forniture a Sanac. Ripeto: follia. In aggiunta, la condizione di Sanac è determinata principalmente dal comportamento opportunistico e non chiaro da parte di Acciaierie d'Italia. Ricordo che, proprio la settimana scorsa, le agenzie di stampa richiamavano l'attenzione sul fatto che parte dello stabilimento produttivo era bloccato a causa della mancanza di materiale refrattario, materiale che potrebbe essere fornito da Sanac medesima ma che, a causa delle scelte economiche dell'attuale amministrazione di Acciaierie d'Italia, non viene acquistato per paura di dover ripagare i debiti nei confronti di Sanac stessa. La situazione sarebbe comica se non fosse che in ballo vi sono i territori che rischiano di vedersi depredati di impianti produttivi di alto valore economico e occupazione. A proposito, sarebbe opportuno che i colleghi deputati eletti in Sardegna, Piemonte, Liguria e Toscana andassero a spiegare la loro idea di politica industriale di fronte a quei cittadini che dovranno affrontare la mannaia della cassa integrazione.

Come MoVimento 5 Stelle, abbiamo richiesto che venisse riconosciuta l'indissolubilità della filiera dell'acciaio e quindi venisse ricompresa anche Sanac in questo decreto, se non altro garantendo che l'immissione di fondi pubblici venisse subordinata al pagamento prioritario dei debiti da parte di Acciaierie d'Italia, richiesta di assoluto buonsenso, onde evitare che l'attuale amministrazione di Acciaierie d'Italia prediligesse il pagamento nei confronti di debitori che non risultano essere in una situazione economica di difficoltà. Mi riferisco a Snam che, benché vanti un credito di oltre 200 milioni nei confronti di Acciaierie d'Italia, vanta un aumento di fatturato nell'ultimo anno di circa il 6 per cento. Questo semplice dato dovrebbe mettere l'attuale Governo dinanzi a una scelta semplice e di buonsenso: dare precedenza al pagamento dei debiti nei confronti di quelle imprese che, a causa dei ritardi di Acciaierie d'Italia, rischiano di chiudere. Un'altra proposta emendativa del MoVimento 5 Stelle che non è stata accettata è stata quella di ricomprendere Sanac tra le imprese di interesse strategico nazionale, in quanto, se si dichiara la filiera dell'acciaio asset strategico per il nostro Paese, bisognerebbe fare altrettanto per i prodotti di materiali refrattari, che garantiscono la produzione di acciaio. In questo senso, Sanac è la principale produttrice italiana di materiale refrattario, con una produzione del 34 per cento del totale del mercato interno, da cui anche imprese estere si riforniscono e non capisco perché non si dovrebbe riconoscerne la strategicità.

Inoltre, il decreto prevede una completa distruzione dello Stato di diritto: non solo si è riproposto lo scudo penale, la cui semplice presenza dovrebbe far rabbrividire chiunque, ma, in sede di audizione presso la Commissione IX del Senato, si è fatto anche il tentativo di giustificare questa previsione come se fosse un meccanismo di incentivazione degli investimenti esteri in Italia. Se si vogliono attrarre investimenti nel nostro Paese sarebbe opportuno parlare di rivisitazione del sistema di tassazione per le imprese, intervenire e riformare l'apparato burocratico al fine di alleggerirlo, di alleggerire i costi nei confronti delle imprese, si dovrebbe parlare di come aumentare la velocità con cui l'apparato giudiziario prende le sue decisioni, ma parlare dello scudo penale come metodo per convincere gli investitori a rimanere in Italia è grottesco e terrificante. A quanto detto sopra si aggiunge un atteggiamento del Governo Meloni e di Acciaierie d'Italia quantomeno deplorevole; infatti, il Governo non solo prevede lo scudo penale, ma inserisce anche la previsione per cui il foro competente per le controversie penali divenga il foro di Roma e non più quello di Taranto. Richiesta analoga è stata presentata da Acciaierie d'Italia in materia di controversie amministrative. Insomma la legge, anziché essere uguale per tutti, viene rimodulata per far sì che sia il foro più conveniente a statuire in materia di Ilva di Taranto. Ma se la legge è davvero uguale per tutti, quali sono le motivazioni per lo spostamento del foro competente? In aggiunta, Acciaierie d'Italia ha presentato delle proposte di modifica del decreto che prevedono che il sindaco di Taranto non possa più emanare ordinanze contingibili e urgenti per motivi sanitari, insomma Acciaierie d'Italia, in preda ad un delirio di onnipotenza, non vuole che il primo cittadino di Taranto intervenga nuovamente sull'attività dell'Ilva. Pazienza se Taranto è diventata una zona di sacrificio, l'importante è il mantenimento finanziario di Acciaierie d'Italia.

In questo decreto, voi sancite che basta adottare un indefinito modello organizzativo idoneo a garantire un non meglio specificato bilanciamento tra continuità produttiva e tutela della salute, come se il diritto fondamentale alla salute possa essere quantificato e bilanciato per garantire l'attività produttiva. Com'è possibile che, di fronte a questo disastro ambientale ancora in corso, possiamo parlare di bilanciamento di interessi? Uno studio dell'Istituto superiore di sanità ha documentato riduzione del quoziente intellettivo e disturbi del neurosviluppo nei bambini, peraltro sani, che vivono a ridosso dell'area industriale di Taranto e vi è ampia documentazione dell'immissione in ambiente di una miscela di sostanze neurotossiche da parte dell'impianto siderurgico di Taranto. Queste evidenze suggeriscono l'immediata sospensione dell'immissione di queste sostanze sulla popolazione in ossequio al principio di precauzione, ma prima ancora in ossequio al buon senso e alla considerazione del gravissimo danno per un'intera comunità e per la Nazione, determinato dal danneggiare neurologicamente e cognitivamente la popolazione infantile e, quindi, i suoi stessi cittadini.

Vorremmo sapere, insieme ai cittadini di Taranto, il numero dei decessi per malattie gravi. Avete fatto questo calcolo? E in questo calcolo sono inclusi tutti quei cittadini, tutti quei bambini che hanno già pagato questo bilanciamento? Nella vostra bilancia, questo quanto pesa? Non può esistere un interesse superiore a quello del diritto alla vita. A Taranto non c'è un rischio di inquinamento, c'è la certezza di inquinamento e questo, nella vostra bilancia, quanto pesa? Avete dimenticato la sentenza storica della Corte costituzionale del 1990 e, ancor prima, quella della Cassazione a sezioni unite, con la sentenza Corasaniti, dove si afferma che il bene della salute è assicurato all'uomo come primo dei diritti fondamentali. Si afferma anche che nessun organo di collettività possa disporre per qualsiasi motivo di interesse pubblico della salute e della vita di un uomo. Voi sancite, invece, con questo decreto, che il diritto alla salute vale per quasi tutti i cittadini italiani, quelli di Taranto esclusi.

La posizione del MoVimento 5 Stelle è chiara e coerente: vogliamo la chiusura delle fonti inquinanti, vogliamo una riconversione economica, sociale e culturale nella prospettiva della transizione ecologica e vogliamo politiche industriali serie per il nostro Paese, nessun bilanciamento, nessun compromesso al ribasso e nessuna merce di scambio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI-PPE). Grazie, Presidente. L'ex Ilva, oggi Acciaierie d'Italia, una delle aziende strategiche dell'Italia, versa in una grave situazione patrimoniale e di liquidità, anche per effetto dell'aumento dei costi energetici e degli eventi bellici. È una situazione complessa, che non riguarda solo l'Ilva, ma anche altre imprese strategiche e, di conseguenza, il relativo indotto di clienti e fornitori, che richiede un intervento deciso e immediato da parte del Governo.

Il decreto è volto alla salvaguardia dei contesti industriali di interesse strategico e a sostenere le imprese che, a causa dei costi esorbitanti dell'energia, in assenza di liquidità, sono ricorse a massicce richieste di cassa integrazione. In questo modo possiamo tutelare i posti di lavoro e, al contempo, la filiera dell'acciaio italiano. Quello di Taranto è stato un simbolo positivo e vanto dell'industrializzazione del Mezzogiorno d'Italia, ma dal 2012, cioè dal sequestro degli altiforni giudicati altamente inquinanti da parte della procura di Taranto, la sua capacità produttiva si è progressivamente ridotta. Nel 2018, l'intero impianto è stato acquistato con bando pubblico dal colosso mondiale ArcelorMittal, che aveva il compito di rimettere in piedi l'azienda, tentando di risanarla, ma il Governo Conte ha stracciato gli accordi contrattuali precedentemente sottoscritti. Lo Stato italiano ha deciso, quindi, di diventare direttamente proprietario della società. Per mezzo di Invitalia, oggi, lo Stato possiede il 32 per cento del capitale in attesa che la quota superi la maggioranza a maggio del 2024. Con questo decreto-legge, Invitalia viene autorizzata, con l'articolo 1, a effettuare ulteriori rafforzamenti patrimoniali. Tali operazioni sono autorizzate secondo criteri e condizioni di mercato, anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti dello stabilimento siderurgico. Un ulteriore finanziamento in conto soci, nel limite massimo di 705 milioni di euro, servirà a risollevare l'azienda, oggi a corto di liquidità, principalmente per via dell'aumento dei prezzi del gas.

Le risorse previste dal decreto andranno in via prioritaria alla copertura dei debiti energetici, soprattutto dell'ex Ilva. L'erogazione di 680 milioni è già possibile, in quanto il MEF ha già dato nei giorni scorsi il via libera. Senza questo intervento la produzione si sarebbe fermata, in quanto l'azienda non sarebbe stata in grado di pagare le materie prime e gli approvvigionamenti energetici.

La questione più spinosa del provvedimento in esame riguarda sicuramente le disposizioni normative relative al cosiddetto scudo penale.

L'articolo 5 ha l'obiettivo di garantire la continuità aziendale tramite il commissario, anche in caso di sanzioni, prevedendo che le sanzioni interdittive non possano essere applicate quando pregiudichino la continuità dell'attività svolta in stabilimenti industriali, o in parti di essi, dichiarati di interesse strategico nazionale, ma a condizione che l'impresa elimini le carenze che hanno determinato il reato. Si vuole preservare l'attività industriale, coniugandola però con la prevenzione delle fattispecie di reato.

La medesima impostazione si rinviene nell'articolo 6 che detta una specifica disciplina in materia di sequestro di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale. Si prevede che il giudice disponga la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario o affidandola, se l'impresa è ammessa all'amministrazione straordinaria, al commissario già nominato. Se necessario per realizzare un bilanciamento tra esigenze di continuità dell'attività produttiva e altri interessi rilevanti, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo conto dei provvedimenti amministrativi adottati dalle autorità competenti.

È opportuno ricordare che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018, ha definito imprescindibile un intervento diretto del legislatore per coordinare l'interesse nazionale alla prosecuzione dell'attività e l'applicazione di alcuni istituti processuali, quali, nella fattispecie, il sequestro. Quindi, il contemperamento delle esigenze si attua tramite ampi poteri di prescrizione concessi al giudice. Qui, si stabilisce che chiunque agisca al fine di dare esecuzione a un provvedimento che autorizzi la prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o di parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale non è punibile per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni di tutela dei beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici se ha agito in conformità alle medesime prescrizioni. Quindi, vi è un doppio limite: rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento diretto a tutelare i beni giuridici protetti e adozione di azioni conformi alle prescrizioni.

L'articolo 8 prevede che continuino ad applicarsi per tutto il periodo di vigenza del piano ambientale approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 e, quindi, fino al 23 agosto 2023, le norme secondo le quali l'osservanza del predetto piano equivale all'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione ai fini dell'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale.

Quanto alle altre norme del decreto in esame, di rilievo è anche l'articolo 2 che interviene sulla procedura speciale di ammissione immediata all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003, prevedendo che l'ammissione immediata alla procedura possa avvenire su istanza del socio pubblico detentore di almeno il 30 per cento delle quote societarie, in caso di inerzia dell'organo amministrativo nel presentare la domanda di ammissione.

Il provvedimento contiene, infine, altre disposizioni che sono state ricordate anche nel corso del dibattito, come l'articolo 3 e l'articolo 4, che prevede un tetto massimo di 500.000 euro anche in caso di incarico collegiale per la liquidazione da parte del giudice dei compensi spettanti ai commissari giudiziari, nei casi riguardanti le grandi imprese in amministrazione straordinaria.

Il conflitto russo-ucraino ha cambiato completamente i paradigmi e le priorità delle catene di fornitura, ridisegnando le ragioni di scambio del commercio internazionale. Vanno rafforzate e difese le produzioni nazionali di beni strategici. A Taranto i lavori di ammodernamento tecnologico e gli interventi di riduzione dell'impatto ambientale sono in ritardo, e ne soffre l'occupazione diretta, circa 3.000 persone rispetto alle 5.000 che l'anno scorso erano state previste, ma ne soffre anche l'indotto. Parliamo di aziende del settore metalmeccanico, di trasporto e di servizi che occupano oltre 4.000 lavoratori nella provincia di Taranto e nella regione Puglia.

Il decreto in esame recepisce le urgenze attuali e le traduce in misure concrete. Non si tratta, come qualcuno ha affermato, di una misura per prendere tempo: si tratta di norme che andranno, invece, a sostenere un recupero dell'impianto dal punto di vista della riconversione ambientale, che vedrà l'ex Ilva alimentata solo da idrogeno verde.

Nel frattempo è necessario avviare una seria discussione - e concludo, Presidente – per trovare una soluzione a uno dei dossier più importanti e delicati del nostro Paese. L'obiettivo è quello di dare non solo l'acciaio italiano all'Europa, ma anche un'occupazione stabile ai lavoratori dell'ex Ilva e dell'indotto, e il diritto di non ammalarsi più che in ogni altro luogo d'Italia a coloro che vivono nella splendida città di Taranto.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 908​)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e la rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.

Ricordo che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, sono state presentate le questioni pregiudiziali Zanella ed altri n. 1 e Cappelletti ed altri n. 2, che saranno esaminate e poste in votazione nella seduta di domani, martedì 28 febbraio, prima del seguito dell'esame del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Serracchiani. Ne ha facoltà.

DEBORA SERRACCHIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Vorrei approfittare di questi ultimi minuti prima della chiusura dell'Aula per formulare, suo tramite, Presidente, una richiesta, anche alla luce della grave tragedia che è accaduta nella notte tra sabato e domenica di fronte alle spiagge di Cutro, in provincia di Crotone.

Vorremmo chiedere, Presidente, suo tramite, un'informativa urgente del Ministro Piantedosi su questa vicenda. Veramente, lo dico senza alcun tono polemico: credo che fare chiarezza sia utile e importante non soltanto per le persone che sono morte, le tante persone che sono morte, ma perché lo dobbiamo alla nostra comunità, alla comunità internazionale.

Credo sia importante che venga fatta chiarezza anche perché tutti insieme abbiamo chiesto che vi sia un maggiore impegno da parte dell'Europa. Noi su questo abbiamo, lo sappiamo, posizioni politicamente diverse. Abbiamo contestato, contesteremo e continueremo a farlo il provvedimento approvato la scorsa settimana, il cosiddetto decreto ONG sui flussi migratori.

Ciò posto, però, siamo di fronte ad una tragedia immensa e crediamo che su questo debba essere fatta la massima chiarezza e debba essere fatto il massimo per capire dove le cose non hanno funzionato e cosa è successo, affinché non accadano più queste tragedie sulle nostre coste.

Peraltro le ricordo - e concludo, Presidente - che avevamo già chiesto un'informativa urgente del Ministro Piantedosi sulla questione dell'allarme terroristico e del cosiddetto attacco allo Stato. Le chiederemmo di estendere questa informativa, qualora vi siano le condizioni per poterla fare insieme, e quindi, quando verrà il Ministro Piantedosi, di poter trattare questi due temi che riteniamo assolutamente importanti e urgenti.

PRESIDENTE. Onorevole Serracchiani, mi farò sicuramente interprete e chiederemo al Ministro la possibilità di intervenire in Aula.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 28 febbraio 2023 - Ore 14:

1. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 16 febbraio 2023, n. 11, recante misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77. (C. 889​)

2. Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate):

S. 455 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale (Approvato dal Senato). (C. 908​)

Relatrice: CAVO.

3. Seguito della discussione delle mozioni Molinari, Foti, Cattaneo, Lupi ed altri n. 1-00038, Bonelli ed altri n. 1-00054, Pavanelli ed altri n. 1-00043, Simiani ed altri n. 1-00057, Manes ed altri n. 1-00058 e Ruffino ed altri n. 1-00062 concernenti iniziative in relazione alla proposta di direttiva europea sulla prestazione energetica nell'edilizia .

4. Seguito della discussione delle mozioni Sportiello ed altri n. 1-00051, Bonetti ed altri n. 1-00061, Ciocchetti, Panizzut, Benigni, Semenzato ed altri n. 1-00066, Furfaro ed altri n. 1-00067 e Zanella ed altri 1-00069 concernenti iniziative volte al potenziamento del Servizio sanitario nazionale .

5. Discussione delle mozioni Zucconi ed altri n. 1-00041, Serracchiani ed altri n. 1-00046, Nevi ed altri n. 1-00065 e Molinari ed altri n. 1-00072 concernenti iniziative a livello europeo e internazionale in materia di etichettatura delle bevande alcoliche, nell'ottica della salvaguardia delle produzioni italiane del relativo comparto .

6. Seguito della discussione delle mozioni Mazzetti ed altri n. 1-00040, Santillo ed altri n. 1-00048, Zanella ed altri n. 1-00075 e Manes e Schullian n. 1-00076 concernenti iniziative in materia di agevolazioni fiscali per il settore edilizio e per l'efficienza energetica .

La seduta termina alle 16,55.