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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 351 di martedì 13 luglio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 9,05.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'8 luglio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Di Biagio, Donadi, Fassino, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lo Monte, Mantovano, Maran, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Ruben, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della relazione della XIV Commissione sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese (Doc. XVIII, n. 24) (ore 9,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione della XIV Commissione sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, presidente della XIV Commissione, onorevole Pescante.

MARIO PESCANTE, Relatore. Signor Presidente, la XIV Commissione ha operato un esame approfondito ed articolato del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e del Programma di diciotto mesi, presentati dalla Presidenza spagnola, belga e ungherese. In particolare, abbiamo svolto audizioni informali Pag. 2dei rappresentanti dei sindacati, della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative regionali, dell'UPI, dell'ANCI e dell'ambasciatore italiano a Madrid Pasquale Terracciano. Per quanto riguarda la procedura di esame del documento, abbiamo ritenuto che esso costituisca un passaggio di estrema importanza per il Parlamento (ho adoperato il plurale perché questa relazione è stata approvata all'unanimità dalla Commissione); si tratta, infatti, dell'unica procedura parlamentare che consente a tutti gli organi parlamentari di esprimersi in modo organico sulle priorità politiche generali e le proposte di azioni specifiche dell'Unione europea in tutti i suoi settori di attività. L'intervento precoce dei Parlamenti nazionali è, peraltro, non soltanto una condizione imprescindibile per la tutela degli interessi del Paese, ma può contribuire all'avanzamento del processo di integrazione europea, riavvicinando l'Unione europea ai cittadini e accentuando il grado di legittimazione democratica dell'azione europea.
Per quanto riguarda l'intervento della Camera dei deputati nella formazione delle politiche dell'Unione europea, la Commissione - e questo è doveroso segnalarlo e ringrazio, a questo riguardo, tutti i commissari - ha operato, con grande sintonia tra tutti i gruppi, in un clima di sereno confronto e di grande collaborazione ed unità di intenti. Così si è riuscito ad ottenere, in questa legislatura, rispetto alla precedente, che i documenti e progetti di atti dell'Unione europea sono passati da 8 a 60; le sedute della Commissione da 200 a 445. Ad oggi, sono stati approvati dalle Commissioni competenti 21 documenti finali a fronte dei cinque della XV legislatura. In sostanza, tutte le iniziative più significative dell'Unione europea sono state oggetto di esame da parte della Camera dei deputati. È stata, poi, avviata l'attuazione delle nuove prerogative previste dal Trattato di Lisbona e, segnatamente, del controllo di sussidiarietà. Ad oggi, sono stati approvati quattro documenti in merito alla compatibilità di progetti legislativi europei, tutti favorevoli. A fronte di questi dati molto positivi, non si possono, tuttavia, ignorare alcuni elementi di criticità. In primo luogo, come messo in evidenza dagli stessi dati soprarichiamati, in un numero significativo di casi, all'avvio dell'esame di progetti e di atti da parte della XIV Commissione, e all'espressione del suo parere, sovente le Commissioni di merito non concludono l'esame o vi provvedono in tempi non compatibili con il sempre più rapido sviluppo dei processi decisionali europei. Occorre, quindi, una maggiore consapevolezza di tutti gli organi parlamentari circa l'importanza dell'intervento legislativo se si intende incidere realmente sulle scelte politiche europee.
In secondo luogo il raccordo con il Governo, nonostante i significativi progressi, va rafforzato e reso più sistematico. L'impostazione dei programmi è la seguente. I documenti in esame sono i primi strumenti di programmazione politica e legislativa presentati dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il programma legislativo e di lavoro per il 2010 è il primo strumento generale di programmazione e di strategia presentato dalla nuova Commissione Barroso. Il documento, tuttavia, pur indicando alcuni obiettivi a lungo termine riconducibili alla strategia Unione europea 2020 per la crescita e l'occupazione, non reca orientamenti e priorità riferiti all'intero mandato quinquennale della Commissione europea. Il programma sembra pertanto privo di un quadro strategico di riferimento a medio e lungo termine che il rilancio del processo di integrazione europea e l'attuazione dell'innovazione introdotta dal Trattato di Lisbona avrebbero richiesto. Non si può non rilevare come dal programma di lavoro non emerga l'idea di un'Europa che la Commissione intenda perseguire in questa fase delicata. Analoghe considerazioni valgono per il programma di 18 mesi del periodo di presidenze che sconta la sua natura negoziata e l'inevitabile obsolescenza rispetto alla sua adozione nel gennaio scorso.
Per quanto riguarda la risposta alla crisi e il rilancio dell'integrazione economica Pag. 3in coerenza con le relazioni delle Commissioni di settore e i risultati delle audizioni svolte, la XIV Commissione ha deciso di concentrare la propria attenzione sulle questioni relative al rilancio della crescita, dello sviluppo e dell'occupazione a fronte della crisi economica. La crisi ha fatto emergere infatti con drammaticità ed urgenza lacune strutturali dell'attuale modello di integrazione che erano già da tempo denunciate nel dibattito istituzionale.
Il mancato rispetto dei criteri del patto di stabilità e crescita da parte della quasi totalità degli Stati membri, la lentezza nel rispondere agli attacchi speculativi contro alcuni Paesi della zona euro, la difficoltà di elaborare una strategia efficace per rilanciare crescita e occupazione a fronte dei risultati degli altri partner mondiali sono soltanto i sintomi più recenti ed evidenti non soltanto dell'inadeguatezza degli strumenti giuridici e finanziari ma anche della ritrosia degli Stati membri e delle stesse istituzioni europee di avanzare verso un'integrazione più avanzata. La crisi impone dunque scelte nette in merito al modello di Europa che si intende perseguire. In altri termini occorre che l'integrazione economica che era stata forse sottovalutata negli ultimi anni in relazione al processo costituzionale assuma nuovamente il ruolo di motore della costruzione europea creando le condizioni e i presupposti per un eventuale ulteriore avanzamento verso l'unità politica.
Per quanto riguarda l'attuazione della strategia 2020 il Consiglio europeo il 17 giugno ha lanciato la strategia 2020 per la crescita e l'occupazione ribadendo i cinque obiettivi prioritari e le iniziative faro già concordate al Consiglio europeo di marzo in coerenza con le proposte della Commissione europea. Il Consiglio europeo ha correttamente legato all'attuazione della nuova strategia la predisposizione del nuovo sistema di governance europea che costituisce oggetto di specifico esame da parte delle Commissioni bilancio e Politiche dell'unione europea. In questa sede si possono tuttavia identificare sulla scorta delle audizioni svolte alcuni aspetti di cui tenere conto sia nella predisposizione del programma nazionale di riforma per l'attuazione in Italia della strategia sia ai fini della costruzione di un nuovo modello di governance.
Con riferimento in particolare all'obiettivo di portare il tasso di occupazione calcolato su popolazioni di età compresa tra i 20 e i 64 anni dal 64,5 per cento attuale al 75 per cento, l'Italia, come riferito dal Ministro Sacconi nel corso di un'audizione, ha fissato il proprio obiettivo nazionale al 67 per certo rispetto al 57,5 attuale.
Per conseguire tale obiettivo occorre promuovere anche a livello nazionale le misure previste dall'agenda per le nuove competenze e nuovi posti del lavoro con particolare attenzione a quelle dirette a garantire maggiore equilibrio tra offerta e domanda di lavoro, a rafforzare la capacità delle parti sociali per la risoluzione dei problemi del dialogo sociale a tutti i livelli.
A ciò deve accompagnarsi per non ripetere i fallimenti della strategia di Lisbona anche lo sviluppo nel suo sistema di governance di meccanismi per la sorveglianza sull'attuazione delle linee direttrici integrate per la crescita e l'occupazione che prevedono l'applicazione di meccanismi sanzionatori e premiali non soltanto in relazione agli obiettivi in materia di contabilità e bilancio ma anche di occupazione, lavoro e politiche sociali.
Con riguardo all'obiettivo di portare al 3 per cento del PIL i livelli di investimento pubblico e privato combinanti nel settore della ricerca e sviluppo, rispetto all'attuale 1,9, va considerato che l'Italia investe attualmente l'1,2 per cento del PIL, peraltro con una netta prevalenza della ricerca pubblica rispetto a quella privata. È dunque necessario promuovere investimenti privati nel settore, anche attraverso l'utilizzo più mirato di fondi strutturali, nonché avvalendosi, soprattutto per le piccole e medie imprese, degli strumenti finanziari previsti dalla BEI.
Per quanto attiene all'obiettivo di migliorare i livelli d'istruzione, in particolare riducendo i tassi di dispersione scolastica Pag. 4dall'attuale 15 per cento al di sotto del 10 per cento e aumentando la percentuale di persone dai 30 ai 34 anni che hanno completato l'istruzione terziaria o equivalente almeno al 40 per cento, occorre considerare che l'Italia ha un tasso di dispersione scolastica del 19,7 per cento e una percentuale di laureati nella fascia d'età considerata pari a circa il 19 per cento e quindi è ben lontana dagli obiettivi europei. A ciò si aggiungono due fattori di fragilità ulteriori emersi nel corso delle audizioni: le mediocri performance degli studenti e degli adulti in termini di competenze, misurate in base agli appositi indici OCSE, la sottoccupazione dei laureati e la fuga dei cervelli.
Con riferimento infine all'obiettivo di promuovere l'inclusione sociale, in particolare mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione, si rileva che in Italia la percentuale di popolazione a rischio di povertà risulta pari al 16 per cento rispetto al 17 per cento della media europea.
Governance economica: la creazione di una governance economica europea è il passaggio decisivo per il successo della strategia Unione europea 2020. Pur costituendo un indubbio avanzamento, le proposte della Commissione richiedono correzioni e integrazioni su numerosi e non secondari aspetti. In primo luogo, se è condivisibile la costruzione di una nuova governance economica estesa a 27 Stati membri, con alcuni meccanismi applicabili ai membri dell'eurozona, va esplorata l'attuazione di un coordinamento più stringente tra i soli Stati membri dell'area euro, sfruttando non soltanto le specifiche previsioni ad essi relative, ma anche il ricorso a cooperazioni rafforzate.
In secondo luogo, appaiono - come già rilevato in precedenza - deboli i meccanismi per il coordinamento delle politiche dell'occupazione e delle politiche sociali.
In terzo luogo, nelle proposte della Commissione mancano specifici riferimenti ad indicatori statistici, che dovrebbero essere utilizzati per la vigilanza macroeconomica e in particolare per verificare rigorosamente l'attuazione della strategia 2020.
Per ultimo, l'introduzione di regole di condizionalità per l'uso delle risorse europee da parte degli Stati membri sottoposti a procedura per disavanzo eccessivo, se appare condivisibile in linea di principio, va applicata, al fine di non determinare discriminazioni fra gli Stati membri, a tutti i fondi e programmi finanziati dal bilancio europeo e non ai soli fondi strutturali ed agricoli.
Infine, è singolare la mancata previsione di maggiori sinergie tra il bilancio dell'Unione europea e i bilanci nazionali. La riforma del bilancio dell'Unione europea: se la governance economica costituisce lo strumento essenziale per definire, attuare e monitorare obiettivi e politica comune, è imprescindibile che l'Unione europea si doti anche di risorse adeguate per far fronte alle proprie competenze interne ed esterne, accresciute sia per qualità, sia per quantità dal Trattato di Lisbona. Ferma restando la necessità di una specifica valutazione della questione da parte delle Commissioni competenti, si possono sin d'ora porre in rilievo alcune questioni prioritarie che l'Italia dovrà avanzare in sede di revisione, indicate nella relazione della Commissione bilancio.
La riforma della politica di coesione: la politica di coesione costituisce uno strumento essenziale per la crescita e lo sviluppo economico e sociale equilibrato dell'Unione. L'Unione non può infatti aspirare a diventare, come previsto dalla strategia 2020, l'economia più competitiva a livello globale, se non accresce innanzitutto la sua coesione interna. La crisi ha reso anzi i fondi strutturali uno strumento irrinunciabile per incrementare il volume delle risorse complessivamente disponibili, ai fini del rilancio di crescita ed occupazione nelle regioni con tessuto produttivo e sociale precario. L'Italia deve in questo contesto beneficiare di risorse proporzionate al suo contributo. Al tempo stesso, alla luce dei numerosi elementi di criticità Pag. 5registrati, si impone un drastico ridisegno di regole, obiettivi e metodi della politica regionale.
Le attività conoscitive svolte dalla Camera, da ultimo con l'audizione lo scorso 1o luglio del commissario europeo alla politica regionale Hahn, nonché gli studi e le analisi qualificate, convergono nell'identificare diversi elementi di forte criticità nell'attuazione della politica di coesione in Italia che sono, in alcuni casi, comuni anche ad altri Stati membri.
Va anzitutto rilevato come, in base ai dati forniti dalla Ragioneria generale, l'importo degli interventi attuati al 30 aprile 2010 corrisponde al 17,21 per cento delle risorse complessive, europee e nazionali, previste dal Quadro strategico nazionale 2007-2010, e al 7,55 per cento in pagamenti.
Queste percentuali scendono, rispettivamente, al 14,76 per cento e al 7,17 per cento in relazione all'Obiettivo convergenza (che riguarda Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), e salgono al 24,07 per cento e al 12,65 per cento per l'Obiettivo competitività (che riguarda le restanti regioni).
Allo scarso impiego delle risorse si aggiunge l'eccessiva frammentazione delle stesse tra una molteplicità di progetti ed obiettivi eterogenei (sessantasei programmi operativi nel caso dell'Italia), l'eccessiva complessità - come fatto rilevare dal commissario Hahn - delle procedure di programmazione e gestione per gli enti gestori e per gli stessi beneficiari.
Inoltre, il controllo sulla gestione dei fondi è limitato essenzialmente alla regolarità amministrativa e contabile, mentre mancano strumenti adeguati per verificare, ex ante ed ex post, la qualità e l'efficacia dei programmi e della spesa.
Con riferimento al rilancio del mercato interno e al cosiddetto rapporto Monti, il completamento del mercato interno costituisce una precondizione per il rilancio dell'economia europea dopo la crisi.
La crescita e lo sviluppo dell'economia europea richiedono, infatti, l'estensione delle regole del mercato unico ai nuovi settori produttivi cruciali e un suo migliore funzionamento e aggiornamento regolamentare in settori in esso già ricompresi.
In quest'ottica, il rapporto «Una nuova strategia per il mercato unico», presentato il 10 maggio 2010 dal professor Mario Monti su incarico del Presidente della Commissione europea, è uno strumento cruciale.
Il merito primario del professor Monti sta, anzitutto, nel metodo seguito, inteso a conciliare aspettative e timori economici, sociali ed ambientali dei consumatori, dei cittadini, delle imprese e degli Stati membri.
In ragione della sua complessità, anche il cosiddetto rapporto Monti richiederà un'analisi specifica ed approfondita da parte dei competenti organi parlamentari.
Alcune Commissioni di settore hanno, tuttavia, formulato alcune importanti osservazioni.
La Commissione finanze ha giustamente posto l'accento sul rilievo che il rapporto pone sulla questione del coordinamento delle politiche fiscali e della lotta alla concorrenza fiscale dannosa. La Commissione attività produttive ha, invece, rilevato l'esigenza che, nell'ambito delle politiche finalizzate alla promozione della concorrenza e alla tutela dei consumatori, venga data particolare attenzione alla definizione di una normativa che garantisca trasparenza e tracciabilità dei prodotti.
Con riferimento al multilinguismo e al rispetto del regime linguistico dell'Unione europea, la tardiva trasmissione in italiano degli allegati al Programma legislativo della Commissione - a cui si fa riferimento nella mia relazione - costituisce, purtroppo, l'indice di una scarsa attenzione delle istituzioni europee per la tutela del multilinguismo e per il regime linguistico dell'Unione previsto, in attuazione dei Trattati, dalla normativa vigente.
A questo scopo, è stato nella prassi accettato il ricorso al francese e, dopo l'adesione del Regno Unito, all'inglese, quali lingue veicolari, per la loro tradizionale diffusione e per l'uso nelle relazioni internazionali. Pag. 6
A partire dagli anni Novanta si sono, tuttavia, verificate numerose e crescenti violazioni di questo regime, attraverso l'introduzione di francese, inglese e tedesco quali «lingue di lavoro» di istituzioni ed organi dell'Unione europea.
Il trilinguismo si è imposto ufficialmente nel 1993 nella Commissione europea: lo stesso collegio dei commissari lavora nelle tre lingue.
Tentativi di imporre un analogo regime presso le altre istituzioni ed organi sono in corso e, in parte, hanno avuto parziale successo. È sufficiente richiamare il tentativo, per il momento bloccato, di imporre le tre lingue di lavoro presso il Servizio per l'azione esterna.
Persino il Parlamento europeo, che più dovrebbe essere sensibile al multilinguismo, ha individuato inglese, francese e tedesco quali principali lingue per numerose riunioni interne a livello amministrativo, nonché quali lingue di navigazione per il proprio sito intranet.
Ultima e grave espressione di questo orientamento sono le proposte avanzate dalla Commissione con riferimento al regime linguistico per la registrazione dei brevetti.
Il Parlamento e il Governo italiano hanno assunto da alcuni anni una posizione di rigorosa difesa del regime linguistico ufficiale e della lingua italiana, cui non sempre ha fatto riscontro un analogo atteggiamento dei rappresentanti italiani nelle istituzioni e organi dell'Unione europea. Questa strategia ha registrato successi significativi nel 2008.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIO PESCANTE, Relatore. Ho finito, signor Presidente. È necessario che il Governo continui a contrastare con intransigenza ogni ulteriore tentativo di violazione e, in questa chiave, il trilinguismo appare del tutto ingiustificato e anzi, oltre che illegittimo e discriminatorio, fonte di costi di traduzione non necessari. È il risultato di una forte pressione politica della Germania che si fonda non sulla natura veicolare della sua lingua ma sul peso demografico ed economico del Paese. In sostanza, l'aggiunta del tedesco non risponde affatto all'esigenza di facilitare il funzionamento delle istituzioni europee; a questo riguardo la Commissione intende ringraziare il Ministro Ronchi per la sua azione di difesa in questa direzione che ha ottenuto già positivi risultati.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Baretta. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevole relatore e cari colleghi, è davvero un peccato che l'attenzione dell'opinione pubblica, della stampa ed, ahimè, anche di parte della politica sia concentrata su altre vicende, non meno importanti, sia chiaro, ma che finiscono per egemonizzare il dibattito. In tal modo, la discussione su un tema come l'Europa e i suoi destini, perché di questo stiamo parlando ora, rischia di passare nell'Aula della Camera dei deputati nel disinteresse o nella ignoranza dei più. È un peccato davvero perché si tratta di una pagina di buona politica; dobbiamo infatti riconoscere che per merito di una agguerrita e competente pattuglia di addetti ai lavori, la Camera ha dedicato, e lo sta facendo tutt'ora in maniera bipartisan, alle politiche europee e alla loro costruzione uno spazio più ampio e fruttuoso che in passato.
Questa attenzione più generale, signor Presidente, va recuperata, e la prego di prendere in considerazione anche iniziative specifiche, che la Presidenza della Camera potrà adottare, perché stiamo affrontando un argomento la cui valenza non ci sfugge per il valore strategico che riveste.
La definizione delle forme e dei contenuti con i quali l'Europa rilancia se stessa, rappresenta la discriminante forse più importante, in questo particolare frangente della storia, tra un futuro di declino e uno di crescita. Un'opzione non certa Pag. 7per le grandi difficoltà che il nostro Continente sta attraversando in questa drammatica crisi strutturale della propria economia. Il grave deficit dei bilanci pubblici degli Stati membri, il pesante tasso di disoccupazione, l'impressionante povertà, sono i sintomi più preoccupanti. Il fallimento della strategia di Lisbona pesa sulle nostre spalle come un macigno. Un'opzione non sicura a causa dei grandi cambiamenti che attraversano il territorio europeo a partire da quelli politici, che nel processo di allargamento fanno coesistere la necessità ed al tempo stesso la temerarietà di questa avventura che dovrà però continuare sino ad aggiungere patrimoni di cultura e tradizioni come quello croato e turco che non possono essere lasciati da soli nelle sabbie mobili dell'integralismo e del rigurgito del passato.
Insicurezza che deriva anche dai cambiamenti sociali che, privi di una prospettiva politica forte, fanno emergere le paure, le insicurezze e le divisioni tra condizioni di vita e tra generazioni. La vicenda stessa della direttiva Bolkestein ci dà la misura del problema e i fattori demografici, nell'evidente positività dell'allungamento della vita media, pongono, anche a causa della caduta del tasso di fertilità, il tema dell'invecchiamento delle aree più storiche mentre l'immigrazione diventa, anche per queste ragioni, un fenomeno forse regolabile, ma inarrestabile.
Un'opzione infine non scontata per le volontà contraddittorie con le quali l'Europa unita è percepita in molte sue componenti: le vicende del futuro dei trattati nei referendum di alcuni Paesi sono lì a testimoniarlo. Tutto ciò comporta dirette conseguenze per la vita delle istituzioni e dei popoli. L'Italia amplifica questi problemi e ha dunque maggiori difficoltà. Ma proprio la coscienza di queste difficoltà ci conferma nell'opinione che alternative non ci sono. Dalla crisi europea si esce con più Europa, ma oggi più Europa significa più Europa politica.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, è giunto il momento di rilanciare il sogno dell'Europa unita come antidoto alla crisi e al declino, come ricetta politica e morale al permanere - e purtroppo al diffondersi - di corporativismi, localismi e separatismi che nulla hanno a che fare con la doverosa e fertile tutela delle identità specifiche e delle grandi tradizioni nazionali e popolari europee, ma che si limitano a coltivare le divisioni di conflitti senza assicurare alle genti nulla che non sia un'illusoria autarchia.
So bene che alcuni considerano questo modo di pensare ingenuo, se non addirittura sconsiderato, vedo che chi sostiene ciò lo fa coprendosi dietro le preoccupazioni delle moltitudini, ma è proprio questo l'errore. Noi non siamo ciechi e comprendiamo bene quanto ardua sia la prospettiva di un rilancio dell'Unione, ma davvero si pensa che sia la difesa dell'esistente la strada del futuro?
Questo chiediamo, signor Ministro, al nostro Esecutivo: mettersi in prima fila a far respirare a pieni polmoni l'aria dell'Europa unita. Non si tratta di una possibilità, ma di una necessità, come abbiamo potuto vedere in queste drammatiche settimane di fronte alla vicenda greca e alle conseguenti aggressioni all'euro, portata dai mercati finanziari che hanno costretto, finalmente, i Governi a scuotersi dalle priorità delle vicende interne di ciascuno e a definire una risposta.
Tuttavia, abbiamo pagato l'incertezza e la lentezza nel decidere di reagire (come ha opportunamente rilevato, poco fa, il relatore); incertezza che è stato il segnale chiaro dello stato di salute dell'Europa, ovvero, della sua malattia, e lentezza che è stata la prova della farraginosità dei meccanismi comunitari di fronte alla dimensione globale.
Il ruolo della Commissione non può essere solo quello di notaio e di moderatore fra i Governi, ma quello di forzare la possibilità che prenda corpo una politica non intergovernativa ma ultragovernativa. Ciò è necessario perché il solo coordinamento delle politiche dei singoli Stati si è dimostrato del tutto inadeguato ed insufficiente. In tal senso le scelte del piano di coordinamento 2020 - con la decisione di Pag. 8un semestre europeo di definizione delle politiche - compie un passo avanti, ma non basta.
È in questo scenario che si colloca la nostra discussione sul programma di lavoro della Commissione per il 2010 e sul programma del Consiglio dell'Unione; discussione importante perché si tratta del primo programma della nuova Commissione che, di fatto, si è insediata nel febbraio di quest'anno. Il programma presentato dalla nuova Commissione ci appare però generico e dispersivo: ben 34 iniziative, ma prive di una visione strategica, soprattutto nel raccordo con le decisioni anticrisi e con la necessaria ricerca di un equilibrio tra rigore di bilancio e stimolo della crescita (richiamo, anche su questo punto, la relazione dell'onorevole Pescante).
A proposito di bilancio, e della sua gestione, voglio ricordare che si sono tenute due importanti riunioni: la prima, l'11 marzo, delle Commissioni bilancio dell'Unione; la seconda, il primo giugno, del coordinamento delle Commissioni bilancio dei singoli Stati. In particolare, in quest'ultima, si è discusso di come realizzare un maggior coordinamento delle logiche e dei criteri di bilancio a cominciare da una dotazione di risorse proprie che consenta una maggiore flessibilità e coerenza verso gli obiettivi stabiliti come prioritari: si pensi solo alla formazione, alla salute, alla solidarietà, alla digitalizzazione e - perché no ? - alle infrastrutture.
Infine - non si tratta di una proposta meramente tecnica, ma di rilevante impatto politico - la previsione di una rapida omogeneizzazione dei tempi di discussione dei bilanci nazionali che sono oggi troppo differenziati. Questo approccio implica, però, la definizione di un Governo economico europeo e la creazione di un Fondo monetario europeo.
Lo scopo di queste proposte - chiedendo al Governo italiano di sostenerle in sede europea - è duplice: da un lato accelerare il raggiungimento del risanamento finanziario, dall'altro avviare una politica per la crescita e lo sviluppo. Non è detto che i due problemi debbano essere risolti con programmi separati e distinti, o che non sia meglio con un unico programma integrato. Ecco, allora, che assume un significato la strada della revisione del Patto di stabilità, anche attraverso l'introduzione di premi e sanzioni, ma anche quella di considerare l'avvio di una politica fiscale europea: dalla graduale introduzione - finché si vuole, ma bisognerà ben cominciare - delle ecotasse, nonché quelle sulle transazioni finanziarie, fino all'emissione di titoli europei, strumenti che frenano il debito ma rilanciano l'economia attraverso un sostegno direttamente europeo dell'economia reale; dalla produttività e competitività, dalla ricerca e innovazione, dal lavoro e dall'occupazione.
Nella stessa direzione si muove la necessità di definire organismi europei di vigilanza dei mercati finanziari attraverso la costituzione di Autorità sovranazionali, questione che va di pari passo col mantenimento del modello sociale europeo; sta infatti calando l'attenzione su questo aspetto, ma, non dimentichiamolo, esso è una delle grandi originalità dell'Europa di questi anni.
Come salvaguardare, anche riformandolo e operando sul principio di sussidiarietà, il modello di welfare dell'Europa è uno dei compiti più rilevanti che spetta alle nuove classi dirigenti europee.
Voglio ricordare, infine, l'emergenza ambientale e la prospettiva di uno sviluppo diffuso dell'Europa verde che può davvero costituire un'opportunità per partire, tutti insieme, verso un nuovo sviluppo.
Signor Presidente, in conclusione, queste sono alcune - ma molte altre possono essere aggiunte - delle ragioni che ci portano a guardare a questa discussione con grande partecipazione e senso di responsabilità. Si tratta di ragioni che ci portano ad essere critici ma costruttivi, preoccupati ma decisi, delusi ma anche entusiasti, non isolando questa discussione nel suo specifico ma inserendola Pag. 9come un tassello del più grande progetto europeo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Formichella. Ne ha facoltà.

NICOLA FORMICHELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, l'esame degli strumenti di programmazione politica e legislativa delle istituzioni europee svolto in Commissione, ed oggi in Aula, conferma la forte attenzione della Camera per rafforzare l'efficacia e la consapevolezza stessa della partecipazione italiana all'Unione europea. In questa ottica sono particolarmente grato al presidente Pescante per il taglio e i contenuti della relazione predisposta dalla XIV Commissione per l'Assemblea, che è il frutto di un esame articolato e approfondito.
La relazione, infatti, pone all'attenzione dell'Aula, in modo diretto e chiaro, i problemi, numerosi e non secondari, non solo dell'impostazione dei programmi al nostro esame ma della fase attuale del processo di integrazione europea. In particolare, condivido il nocciolo della relazione del presidente Pescante, ossia l'assenza da parte della Commissione europea e del Consiglio di un modello ambizioso di Europa, al di là degli obiettivi dichiarati. A ciò aggiungo un secondo grave effetto, ossia l'inadeguatezza di molte delle misure prospettate rispetto alla situazione economica e sociale del Continente, alle aspettative dei cittadini e persino agli obiettivi stessi indicati nel programma.
Ho avuto modo, nell'ultima riunione della COSAC svoltasi a Madrid, di segnalare questi problemi al vicepresidente della Commissione Sefcovic, responsabile per le relazioni istituzionali e per i rapporti con i Parlamenti nazionali, senza però ricevere una replica soddisfacente. È sicuramente comprensibile un certo realismo da parte della Commissione in una fase difficile come questa. Infatti, lanciare programmi ambiziosi senza avere la capacità di perseguirli effettivamente è, come il passato ci insegna, pericoloso per la credibilità del processo di integrazione. Tuttavia, è singolare e per certi aspetti inaccettabile che la Commissione, che ha il sostanziale monopolio dell'iniziativa legislativa, rinunci in partenza a sfruttare pienamente le potenzialità del Trattato di Lisbona in molti settori di particolare importanza. Si ha quasi l'impressione che la Commissione si stia rassegnando, con un approccio meramente burocratico, al ruolo di esecutivo e di guardiano del Trattato che gli storici avversari del modello comunitario volevano attribuirle, rinunciando all'iniziativa non solo politica ma anche legislativa. Si tratta di un segnale molto preoccupante soprattutto alla luce del nuovo contesto istituzionale disegnato dal Trattato di Lisbona che crea nuove figure ed equilibri istituzionali, quali il Presidente del Consiglio europeo e l'Alto rappresentante per la politica estera.
Voglio poi attirare l'attenzione su alcuni degli aspetti più problematici di questo approccio minimalista della Commissione. Il primo punto attiene all'immigrazione che per ragioni che è inutile ribadire costituisce, dopo la risposta alla crisi, la priorità per eccellenza dell'Unione. Al di là delle generiche dichiarazioni di principio, colpisce l'assenza di proposte volte a rendere obbligatoria ed irrevocabile, ai sensi dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la solidarietà tra i diversi Stati membri in modo da non costringere quelli più esposti per ragioni geografiche, quali l'Italia, la Spagna e altri Paesi del Mediterraneo, alle pressioni migratorie, a farvi fronte da soli, in particolare garantendo una più equa ripartizione degli oneri anche sul piano finanziario tra tutti i Paesi dell'Unione europea.
La seconda questione concerne le piccole e medie imprese che restano ancora una volta nell'ombra. Occorre non soltanto dare attuazione, a livello europeo e nazionale, allo Small business act su cui la Camera si è già specificamente pronunciata, ma vanno anche ripensate alcune politiche europee, a cominciare dalla disciplina degli appalti e dalla semplificazione degli oneri regolamentari ed amministrativi. Pag. 10
Infine, signor Presidente, voglio soffermarmi su un aspetto che giustamente è stato posto in rilievo nella relazione della XIV Commissione ma che, a mio avviso, dovrà trovare adeguato spazio nella risoluzione che approveremo domani. Si tratta della questione del rispetto del regime linguistico dell'Unione e della tutela della lingua italiana.
Sono ormai troppe e ricorrenti le violazioni. Esiste oramai una strategia spregiudicata per affermare il trilinguismo inglese, francese e tedesco come lingua di lavoro delle amministrazioni europee. Ciò non soltanto in seno alla Commissione europea, ma persino al Parlamento europeo e al Comitato delle regioni, che constano di assemblee rappresentative in cui è assicurata, almeno per le riunioni formali, l'interpretazione in tutte le lingue ufficiali.
È ormai a tutti noto come rappresentanti politici e alti burocrati tedeschi perseguano giorno per giorno, riunione per riunione, l'obiettivo di imporre il tedesco come terza lingua anche con atti che sfiorano la prevaricazione. Clamoroso è, a mio avviso, il fatto che il sito intranet del Parlamento europeo abbia tre principali lingue di navigazione.
Voglio dare pertanto atto al Presidente Berlusconi e ai Ministri Frattini e Ronchi di aver finalmente posto la questione al centro dell'agenda europea dell'Italia, affermando una linea forte e intransigente di fronte a tentativi di violazione ad ogni livello.
La situazione attuale - è bene precisarlo - non è solo frutto dell'arroganza di altri Paesi membri, ma è in buona misura imputabile anche alla passata acquiescenza del nostro Paese. Ciò è stato in parte determinato dalla negligenza che, in passato, i rappresentanti a livello amministrativo e politico del Governo e gli stessi membri italiani delle istituzioni europee hanno avuto verso le questioni linguistiche, ma è anche e soprattutto dovuto alla mancanza di una precisa politica e strategia nazionale in materia, analoga a quella di Francia e Germania.
Il tedesco non è assurto per caso o meccanicamente, per il mero peso demografico ed economico della Germania, a terza lingua di lavoro della Commissione, ma - come ho accennato - per una precisa strategia e per investimenti anche finanziari del sistema Paese: Governo, membri tedeschi e persino funzionari delle istituzioni hanno concorso all'obiettivo.
Il nostro Governo ha finalmente messo in campo con determinazione una strategia analoga. La difesa delle lingue, lungi dall'essere espressione di arretratezza culturale e provincialismo, è un elemento essenziale per assicurare la pari dignità del nostro Paese con gli altri partner europei. Il Parlamento deve sostenere senza distinzione di parte, con convinzione, la linea del Governo.
Voglio sottolineare che la Camera dei deputati è già all'avanguardia a questo riguardo. Ho potuto constatare, partecipando a riunioni interparlamentari, nell'ambito dell'Unione europea e anche del Partito Popolare Europeo, come la presenza della lingua italiana sia sempre assicurata e la questione della parità linguistica sia sempre affermata con forza dai nostri rappresentanti in ogni caso di potenziale violazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, signor Ministro, signor presidente della XIV Commissione, onorevoli colleghi, ancora una volta un importante documento dell'Unione europea giunge alla discussione della nostra Aula con un significativo ritardo.
Questa volta non lancerò i miei strali contro il Governo e contro le forze politiche italiane perché la ragione di questo ritardo è la ritardata trasmissione del documento stesso da parte della Commissione europea, legata probabilmente ai problemi della traduzione.
Veniamo al tema, sollevato poco fa anche dal collega Formichella, della difesa del ruolo della lingua italiana nell'Unione Pag. 11europea. Diciamoci la verità: gli italiani non vogliono imparare le lingue ma, d'altro canto, se ne vergognano moltissimo. Il compromesso tra questa vergogna e questa riluttanza ad impararle è la non difesa dell'italiano che trova molte volte fra di noi, fra gli italiani, le sue radici.
Quante volte ho visto deputati e autorità italiane al Parlamento europeo che, avendo la possibilità di dire un paio di parole in francese, affermano che non hanno bisogno della traduzione. Tuttavia pochissime persone sono in grado di dare all'avversario il vantaggio della lingua madre in una discussione tecnica in cui si discute di questioni importanti, a volte decisive per il futuro del Paese. Ricordo che andavo sempre in giro pretendendo l'interprete, magari non lo usavo, ma lo volevo per affermare un principio, un diritto e una utilità per il mio eventuale successore.
Non è possibile sottovalutare la questione linguistica come l'Italia ha fatto così a lungo per colpa di Governi passati, ma anche di molti rappresentati parlamentari.
Ciò detto, non sono convinto della difesa a oltranza del regime linguistico attuale.
È difficile, non è possibile: 23 lingue comportano costi di traduzione insostenibili. Credo che dobbiamo cercare una nuova strategia. Credo che la linea di una nuova strategia debba essere segnata da una considerazione fondamentale. Esistono Paesi talmente piccoli da non avere la possibilità di tradurre nella loro lingua la letteratura scientifica internazionale. Prendiamo ad esempio Malta, Paese che ammiro moltissimo: i maltesi per fare l'università debbono imparare l'inglese, perché i testi universitari sono in inglese. Quindi, per lo meno tutta la parte del Paese che ha un diploma universitario deve conoscere la lingua inglese.
Questi Paesi hanno naturalmente un più forte accesso alle lingue straniere a livello di lavoro. Esistono Paesi nei quali esiste un mercato librario così ampio che c'è l'uso della traduzione. In italiano più o meno tutta la letteratura mondiale di rilievo si trova tradotta. I Paesi che appartengono a quest'ultima categoria sono la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, l'Italia, la Spagna e la Polonia. C'è uno stacco, poi, tra questi Paesi e quelli più piccoli. Credo che bisognerebbe cominciare a pensare ad un regime linguistico che adotti le lingue di lavoro corrispondenti a questi Paesi più grandi.
I costi di traduzione verrebbero drammaticamente abbassati, i Paesi più piccoli non soffrirebbero di un pregiudizio grave e su questo credo che bisognerebbe avviare una linea di intervento, convincimento e azione perché, se è vero che non dobbiamo rinunciare al ruolo della lingua italiana, è anche vero che il regime linguistico a 23 è inaccettabile.
Occorrerebbe un regime linguistico a 6, i principali Paesi, quelli che hanno una tradizione di traduzione e nei quali, quindi, la gente non ha una pressione così forte ad imparare la lingua straniera come nei Paesi piccoli dove, se non impari l'inglese, non puoi frequentare l'università perché non vi è una lettura scientifica nel tuo linguaggio. È difficile perché ci sono ovviamente molti motivi di orgoglio nazionale, ma credo che dovremmo cominciare a percorrere questo cammino, perché a 23 è difficile reggere.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Lo stiamo facendo!

ROCCO BUTTIGLIONE. Colgo l'occasione per dire una parola sul brevetto. Anche a questo proposito proporre il monolinguismo è una minaccia efficace, ma non può essere una posizione definitiva.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Non lo è!

ROCCO BUTTIGLIONE. Infatti, è vero che i costi di traduzione aumentano con le lingue, però è vera anche un'altra cosa: il piccolo imprenditore italiano - diciamocelo francamente - non produce molti brevetti. Spesso imita, talvolta copia. Ha il diritto di sapere quali sono i limiti di ciò che può copiare e di ciò che non può copiare. Quindi, ha diritto di conoscere il Pag. 12brevetto nella sua lingua perché il piccolo imprenditore italiano mediamente non conosce l'inglese, e ha diritto di saperlo.
Una via di mediazione possibile potrebbe essere la pubblicazione del riassunto e delle specifiche. Questo potrebbe consentire al piccolo imprenditore di sapere quali brevetti mirati deve farsi tradurre per capire se può fare o meno, e ciò gli darebbe la possibilità di ridurre i costi di traduzione, che ci sono: se non li sopporta l'Unione li sopporterà il piccolo imprenditore il quale è incerto sul fatto se può adottare o meno quel procedimento produttivo perché potrebbe essere in violazione dei brevetti. Ho finito con la questione linguistica, cui ho dato purtroppo più tempo di quello che sarebbe stato giusto nell'economia del mio intervento.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo documento della Commissione porta nel suo titolo il riferimento alla stabilità, all'occupazione e allo sviluppo. Debbo dire che di stabilità ne trovo, di occupazione e sviluppo non ne trovo affatto. Viene in mente l'idea del de Saussure per cui le parole hanno un significato arbitrario che viene loro attribuito dal parlante o dalla comunità dei parlanti.
Qui abbiamo deciso di chiamare «occupazione e sviluppo» cose che non sono occupazione e sviluppo; questo in un momento in cui l'esigenza di un governo economico dell'Unione è diventata sempre più forte e riconosciuta da tutti, come credo che divenga sempre più forte la necessità di definire una politica economica dell'Unione.
Noi abbiamo fatto, senza che nessuno l'abbia notato, un grande cambiamento nelle politiche economiche: l'Unione europea, che si è retta per molto tempo sui principi di un monetarismo rigido, si è convertita alle politiche keynesiane per sostenere le banche che minacciavano di fallire; abbiamo fatto una spesa in deficit enorme per salvare il sistema bancario.
Mi domando se non sarebbe il momento di riflettere sull'opportunità di adottare un keynesismo moderato non solo a favore dei banchieri, ma anche a favore dei lavoratori, anche per creare e mantenere i posti di lavoro.
Questo è un tema che si impone necessariamente all'attenzione e che è irrealizzabile sulla base delle normative esistenti che sono fortemente monetariste per una ragione specifica. Le normative non monetariste richiederebbero, infatti, un livello più forte di governo economico: decidiamo insieme qual è il livello del deficit opportuno per incrementare, sostenere l'economia europea e poi lo ripartiamo tra i diversi Stati oppure ne affidiamo la gestione alla Commissione o comunque ad un'istanza centrale.
Credo che questa sia la soluzione preferibile, credo che sia necessario un nuovo Trattato, un Trattato per i Paesi dell'Eurozona, perché, come con una certa brutalità, ma non senza un poco di ragione, hanno fatto notare i nostri amici britannici: perché dovremmo intervenire noi e fare sacrifici noi per difendere la vostra moneta? La moneta è vostra, occupatevene voi. Ma per occuparcene noi ad oggi ci manca lo strumento adeguato che è un Trattato dell'Eurogruppo: si stanno intensificando misure di consultazione e raccordo tra i Paesi dell'Eurogruppo, tuttavia, un Trattato dell'Eurogruppo sarebbe desiderabile.
Sarebbe desiderabile anche la costruzione di risorse proprie dell'Unione europea per consentire quelle politiche effettive di sostegno allo sviluppo delle quali oggi parliamo, ma per le quali non esistono mezzi adeguati. C'è una proposta che ho avanzato a suo tempo in una mia relazione alla Pontificia accademia delle scienze che ha avuto un certo successo in Germania, è stata ripresa da Angela Merkel: tassiamo gli speculatori. Una tassa dello 0,01 per cento su tutte le transazioni finanziarie non danneggia l'utente medio (immagino, infatti, che nessuno dei presenti in quest'Aula faccia più di qualche centinaio di transazioni finanziarie nell'anno), ma chi opera con un enorme leverage come gli speculatori; chi mobilita Pag. 13milioni di transazioni finanziarie nell'anno da una tassa così piccola verrebbe ridotto nelle sue possibilità di azione.
La capacità della speculazione di aggredire, per esempio, i debiti pubblici nazionali verrebbe drammaticamente ridotta ed è stato calcolato che questo potrebbe portare ad introiti per 38 miliardi di euro su base europea. Con 38 miliardi di euro è possibile finanziare un debito pubblico europeo: 500, 600, forse 700 miliardi di euro da usare per l'occupazione e lo sviluppo, per migliorare la situazione competitiva dell'Europa, con un keynesismo intelligente, non quello che scava le buche per poi riempirle, non quello che fa spesa corrente in debito, ma quello che investe in strade, autostrade, infostrade, porti, aeroporti, interporti, università di eccellenza, formazione professionale di qualità, ricerca scientifica e così via. Sono tutti interventi che consentono di migliorare la competitività del sistema e che consentono ai nostri giovani di svolgere dei lavori che i cinesi non sanno fare e che sono fuori dalla competizione con i Paesi emergenti.
Questa idea, la prima parte di essa perlomeno, è stato portata da Angela Merkel al Consiglio europeo e, non so se con l'approvazione, ma certo anche con la firma del Governo italiano, è stata sottoposta al Consiglio europeo, e poi è stata portata al G20, perché evidentemente una tassa del genere può essere posta solo su base internazionale, altrimenti lo speculatore va a speculare in un altro Paese ed aggira la normativa nazionale. Il Presidente Barroso ha detto che va rilanciata su base europea, visto che al G20 non si è riusciti a costruire il consenso.
Credo che questa iniziativa vada approvata. Se si muove l'Europa, probabilmente si muovono gli Stati Uniti e alla fine verranno dietro anche gli altri: sarebbe un modo per far pagare la crisi a chi l'ha causata, di ridurre la forza della speculazione e di dare all'Europa un debito pubblico comune, finanziato con risorse che non vanno a danno dei singoli Paesi.
Questo è tanto più importante in quanto gli elementi di governance comune che si annunciano dovrebbero preoccuparci, perché si rafforza la tendenza ad un'interpretazione dura del Trattato di Maastricht.
Il deficit del 3 per cento è un livello massimo, che si può raggiungere solo in casi di shock asimmetrici e di crisi: la regola non è il deficit del 3 per cento, ma il pareggio di bilancio. Ciò vuol dire che, se dovessimo attenerci a questa regola - che, peraltro, in Germania è stata costituzionalizzata -, alla fine di questa manovra dovremmo cominciare a pensare ad una nuova, perché, con i 24,9 miliardi di euro previsti per questa manovra, certamente non arriveremo al pareggio di bilancio. Probabilmente arriveremo all'obiettivo che mi sembra sia stato fissato, quello del 2,7 per cento di deficit, ma non al pareggio di bilancio.
Per di più, i Paesi che hanno un debito pubblico molto elevato sono oggetto di una sorveglianza particolare. È riuscito al nostro Governo di allentare un poco questo cappio, perché si è riusciti ad includere, a certe condizioni, anche il debito privato tra gli elementi sottoposti a sorveglianza e valutazione.
Tuttavia, è indubbio che i Paesi con debito pubblico particolarmente elevato, come l'Italia, saranno tenuti a misure consistenti e rapide di riduzione del debito. Ciò vuol dire, naturalmente, che le possibilità di un autonomo progetto italiano per finanziare occupazione e sviluppo si riducono. Dobbiamo chiedere che questa funzione di finanziamento dell'occupazione e dello sviluppo venga assunta con forza dall'Unione come tale, con le necessarie modifiche alla governance e anche ricercando fonti proprie di finanziamento dell'Unione che mettano a disposizione le risorse a ciò necessarie.
È intuitivo che questo tema si lega con la situazione drammatica della gestione dei fondi strutturali in Italia. Il Ministro Tremonti ha aggredito i presidenti delle regioni. Non mi sento di dargli del tutto torto...

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Ha proprio ragione.

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ROCCO BUTTIGLIONE. ...ma neanche di dargli ragione, perché i soldi europei si mobilitano insieme al cofinanziamento italiano. Se il Patto di stabilità impedisce alle regioni di spendere i soldi del cofinanziamento, non posso spendere neanche i soldi europei.
Quindi, il Ministro Tremonti è corresponsabile della situazione attuale, tanto più che le risorse del Fondo sociale europeo, in buona misura, sono state prese e usate per altre finalità. Non sono convinto che i presidenti delle regioni spenderebbero fondi europei nemmeno se ci fossero le condizioni per poterli spendere, tuttavia hanno una buona risposta alle obiezioni del Ministro Tremonti.
Signor Ministro, perché non istituite un'unità di missione? Perché, davanti alla polverizzazione dei progetti e all'incapacità delle regioni di spendere, non istituite, preferibilmente presso il suo Ministero - o presso il Ministero dell'economia e delle finanze, se il Ministro Tremonti vuole tenere il controllo della questione -, ovviamente in coordinamento con la Conferenza Stato-regioni, trattandosi di competenze regionali, un'unità di missione incaricata di accelerare le procedure e di selezionare e costruire i progetti?
Perché i soldi in Spagna hanno reso e in Italia no? Perché in Spagna vi è stato un coordinamento nazionale e le risorse sono state usate a favore delle regioni più povere, ma dentro una visione nazionale. Essere collegati alle grandi reti nazionali conta più del fatto di avere la propria piccola opera qui o là.
Il motivo del disastro italiano è il fatto che ogni autorità che può spendere questi fondi si domanda: la resa elettorale del fondo qual è? Dove cade? Se il fondo non porterà voti nella mia area di influenza politica le cose non si fanno.
Invece, le cose che servono davvero al Paese sono cose grandi, che non portano un ritorno elettorale facilmente localizzabile, anche se immagino che poi l'elettorato premi le forze politiche che fanno cose vere, buone e giuste per lo sviluppo.
Faccia un'unità di misura. Potete istituirla presso il Ministero per i rapporti con le regioni o dove preferite voi, scegliete voi il posto - la soluzione migliore, secondo me, sarebbe collocarla presso il Ministero per le politiche comunitarie - con l'incarico di coordinare, accelerare, convincere, costringere le regioni e controllare quello che fanno, perché noi, altrimenti, rischiamo di perdere un mare di soldi. Rischiamo di perdere quasi una ventina dei ventinove miliardi di euro, entro il 2013. Sarebbe veramente una cosa drammatica.
Bisogna rispondere ad una situazione di difficoltà straordinaria con misure straordinarie e questo pesa non solo per questi denari, ma anche per un altro motivo. Credo che sia già iniziata la discussione sul bilancio europeo 2013-2020. Avremo una partita negoziale molto difficile perché sarà difficile difendere la presenza delle regioni meridionali italiane all'interno delle aree di massimo sostegno comunitario. Nuovi Paesi poveri sono entrati nell'Unione europea, il reddito medio è diminuito, sostenere che le nostre regioni sono sotto il 60 per cento del reddito medio comunitario, che è la misura prevista in questo momento, è difficile.
Per questo dobbiamo condurre una partita negoziale complicata. Dobbiamo condurla cercando di allentare i parametri, dicendo che il reddito pro capite non è un indicatore sufficiente perché con il medesimo reddito pro capite ci si può trovare in una condizione di grave disagio o meno, a seconda del contesto complessivo nel quale ci si trova. È evidente che con lo stesso reddito in Calabria si è poveri, ma forse in Lettonia si è ricchi, o quantomeno si riesce ad andare avanti.
Dobbiamo condurre questa partita sostenendo la necessità di un tempo di transizione: anche le regioni che devono uscire hanno, infatti, bisogno di un tempo di consolidamento, per non precipitare a livelli più bassi di quelli precedenti. Tuttavia, se ci presentiamo a questa trattativa prestando il fianco all'obiezione che non siamo stati capaci di spendere i soldi che ci hanno dato prima, è evidente che la condurremo in condizioni di drammatico svantaggio. Pag. 15
Un tema che non ho trovato citato ma che credo andrebbe posto all'attenzione di questa Aula è quello concernente le politiche agricole, perché esiste una forte spinta politica...

PRESIDENTE. Onorevole Buttiglione la prego di concludere.

ROCCO BUTTIGLIONE. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente: esiste una forte spinta politica a comprimere le politiche agricole comunitarie. Si dice: possiamo spendere il 50 per cento del bilancio dell'Unione per le politiche agricole? La mia risposta è che è troppo spendere lo 0,5 per cento del PIL europeo per le politiche agricole, perché non dimenticate che, mentre negli altri casi, l'investimento dell'Unione europea è aggiuntivo rispetto a quello dei Governi, nell'ambito delle politiche agricole l'investimento dell'Unione europea è l'unico investimento esistente; i Governi nazionali non spendono nulla per le politiche agricole.
Noi abbiamo una visione delle politiche agricole segnata da una fase della storia, nella quale le risorse agricole erano sovrabbondanti sul mercato e i prezzi calanti. Non vorrei che svalutassimo l'agricoltura europea in una fase nella quale le risorse agricole si vanno rarefacendo ed i prezzi sono in aumento, in una fase nella quale il tema dell'autonomia del rifornimento alimentare in Europa potrebbe tornare a diventare un tema importante (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, innanzitutto vorrei ringraziare il presidente Pescante per come ha svolto i lavori in Commissione, per la sua relazione, che - non a caso - abbiamo adottato all'unanimità (Applausi) e per il modo in cui sta gestendo e presiedendo la nostra Commissione.
Tra le questioni che sono state sollevate nel dibattito di oggi ve ne è una immediata, specifica, legata alla questione linguistica, che non è certo una questione marginale perché è relativa alle identità, al modo di essere e di stare in Europa. Per quanto concerne questo profilo, vorrei sottolineare che anche il nostro gruppo sostiene gli interventi e l'azione che il Governo sta svolgendo a tutela della lingua italiana.
È evidente - come diceva il Vicepresidente Buttiglione - che, forse, nell'Europa a ventisette e, in una prospettiva piuttosto immediata, a ventotto Paesi, sarà difficile mantenere esattamente il regime linguistico con il quale l'Unione europea è nata e cresciuta.
Però, è anche vero che si può ragionare attorno a lingue molto parlate e a lingue meno parlate, cioè a cinque o anche sei lingue fondamentali dell'Unione europea in base al peso demografico, che potrebbero essere l'inglese, il francese, il tedesco, l'italiano, lo spagnolo e il polacco, in ordine di demografia, limitando l'utilizzo di tutte le lingue ufficiali solo ad alcuni atti fondanti dell'Unione europea.
Su questo - lo ripeto - mi sembra che il Governo trovi il sostegno di tutte le parti politiche. È evidente anche - è emerso dagli interventi fatti - che oggi, dopo la crisi, ci troviamo di nuovo di fronte ad un'Europa che dimostra la propria inconcretezza e inadeguatezza. È un'Europa che - lo voglio sottolineare - è dominata da destre che in vari Paesi sono antieuropeiste, populiste e nazionaliste. In un'Europa in cui sono ventuno i Paesi di destra, ma sono pochi quelli di centrodestra a dominare in Consiglio dei ministri, in cui il Partito Popolare Europeo, che ormai poco di popolare ha rispetto alla tradizione federalista del Partito Popolare, è maggioranza in Parlamento, è evidente quindi che c'è anche una responsabilità delle forze politiche maggioritarie se oggi l'Europa si dimostra incapace di reagire con forza di fronte alla crisi. Credo che dall'Italia debba arrivare un messaggio forte, possibilmente condiviso, perché è evidente che il nostro Paese deve riprendere in mano Pag. 16quel ruolo di traino, europeista e federalista, che ha sempre svolto, non certo per un atteggiamento nostalgico o retorico, ma proprio per passare - è tempo di farlo - dall'Europa della poesia e della retorica all'Europa della prosa e della pratica, che dà risposte concrete ai problemi che la crisi ha sollevato.
Quando si dice Europa inconcreta e inadeguata bisogna quindi vedere che cosa manca ed è mancato all'Europa, soprattutto in questi mesi, per svolgere il suo ruolo. Credo che innanzitutto sia mancato quello spirito di solidarietà di fatto tra Governi e popoli senza il quale l'Europa è semplicemente impossibile. Se di fronte alle crisi ognuno va per la sua strada, i risultati non si raggiungono ed i rischi monetari, economici e politici aumentano per noi tutti. Inoltre, è mancata la tempestività. Ho già avuto modo di dirlo in quest'Aula poco tempo fa sul decreto-legge «salva Grecia»: le esitazioni delle Cancellerie nazionali e la divergenza tra Parigi e Berlino in questi mesi ci hanno letteralmente portato sull'orlo del baratro, esitazioni dovute alla debolezza delle politiche nazionali, dei Governi in carica, troppo dipendenti dal breve periodo, troppo legate all'ultimo sondaggio e all'imminente elezione locale o regionale.
Credo che sia mancata - su questo credo che l'Italia dovrebbe svolgere da oggi in poi un ruolo ancora più forte e, se possibile, determinante - la spinta a sfruttare pienamente le possibilità che i Trattati e il Trattato di Lisbona in particolare offrono per cominciare veramente a porre le basi e le fondamenta di quel governo economico della zona euro che tutti invocano ma che è possibile realizzare cominciando a sfruttare pienamente le potenzialità dei Trattati.
Su questo ritengo che sia certamente suggestiva e nel medio periodo percorribile l'ipotesi di un nuovo Trattato della zona euro. Tuttavia, credo che nell'immediato vi sia il pericolo che - non sono certo le intenzioni del presidente Buttiglione - soprattutto tra Parigi e Berlino, quando oggi si invoca un nuovo Trattato, lo si faccia per evitare che ci sia un vero governo economico della zona euro, come se si volesse rimandare ad un dopodomani quello che possiamo fare oggi. Ritengo che, sfruttando pienamente il Trattato di Lisbona, l'articolo 136, i poteri di raccomandazione della Commissione, la possibilità di fare delle cooperazioni rafforzate attorno alla zona euro in base al Trattato di Lisbona, già oggi si possano porre le fondamenta di un governo economico della zona euro. In sostanza, l'Europa deve tornare ai suoi tre fondamentali, che le hanno sempre permesso di rilanciarsi e di rilanciare il progetto europeo in ogni momento di crisi.
Questi tre fondamentali sono: la concorrenza, che stimola (e su ciò ricordo certamente l'ottimo rapporto del professor Monti, che ci indica la via su come completare il mercato unico); la cooperazione tra Governi, che rafforza tutti; e la solidarietà, che unisce Stati e popoli. L'Europa deve ritornare ad essere l'Europa della concorrenza, l'Europa della cooperazione e l'Europa della solidarietà.
Vi è anche una seconda questione di dimensione europea, connessa alla prima: un problema di natura politica, che forse è anche più difficile da risolvere del primo. Si tratta delle resistenze, delle indecisioni manifestate durante questa crisi dal Governo tedesco. Per me è uno scenario molto preoccupante, perché se la Germania rinuncia alla sua leadership politica, se rinuncia a vedere nell'Europa la miglior tutela del proprio interesse nazionale, lo spazio naturale della sua affermazione politico-economica, certamente per l'Europa si prospetteranno tempi ancora più bui di quelli che stiamo vivendo ora.
Ho registrato due frenate, rispetto alla Germania: una frenata giurisdizionale, con la sentenza della Corte di Karlsruhe, che ha fissato i limiti oltre i quali il processo di integrazione non potrà andare senza una nuova fase costituente; e poi una frenata politica, perché nelle ultime elezioni regionali mi sembra che vi siano state delle esitazioni, all'interno del Governo Pag. 17tedesco, che in altre epoche - penso all'epoca di Helmut Kohl - non credo avremmo registrato.
Ecco allora l'importanza di tale punto; e su ciò credo che anche la risoluzione che adotteremo dovrà concentrarsi: l'importanza che l'Italia riprenda il suo ruolo di spinta. L'Italia in passaggi decisivi - penso ad esempio alla Dichiarazione di Stoccarda del 1983 - ha trovato nel rapporto tra Roma e Berlino quell'elemento, quel fattore per permettere all'Europa di fare degli importanti passi in avanti. Credo quindi che questo sia il ruolo dell'Italia: evitare divisioni, evitare soprattutto la creazione di direttòri nell'Unione europea, che tra l'altro ci vedrebbero inevitabilmente esclusi. Anche la vicenda linguistica insegna infatti che, nel momento in cui noi abbandoniamo la logica comunitaria a favore dei rapporti di forza, questi ultimi sono giocati in particolare tra Germania, Francia e Regno Unito; mentre l'Italia deve svolgere un ruolo di raccordo, innanzitutto con la Germania, e di raccordo tra Paesi piccoli e Paesi grandi, come ha sempre svolto, nell'interesse dell'approfondimento dell'integrazione europea, a partire oggi proprio dalla questione economica.
Passo appunto a parlare della situazione economica, e del costo della «non-Europa» economica che oggi gli europei stanno pagando molto caro. È evidente che noi tutti stiamo pagando il costo della disunione economica. Vorrei fornire solo alcune cifre, per capirci. Se noi oggi avessimo una vera politica economica integrata, se noi oggi avessimo cioè dei conti pubblici che, rispetto ai mercati internazionali, potessero essere mostrati in maniera integrata, scopriremmo che oggi il deficit medio della zona euro è pari al 6,5 per cento, mentre quelli americano e giapponese sono oltre il 10 per cento. Scopriremmo, inoltre, che il debito integrato europeo - parlo sempre dei 16 Paesi della zona euro - è oggi di un terzo inferiore a quello giapponese, ed è inferiore del 10 per cento a quello americano, con la differenza che nella zona euro vi sono 25 milioni di europei in più rispetto agli americani. Sono solo due cifre simboliche, che dimostrano quale sia il costo - se pensate alle manovre che stiamo compiendo in tutti gli Stati europei - della disunione economica che noi tutti stiamo pagando.
Ecco perché noi del Partito Democratico auspichiamo vivamente, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, che si compia un passo decisivo verso l'integrazione delle politiche economiche. Su ciò certamente vi sono delle proposte interessanti, delle proposte di cui discutiamo nel Programma legislativo che la Commissione europea ha concretizzato poco tempo fa: penso alle comunicazioni della Commissione Barroso per quanto riguarda la sorveglianza multilaterale ed il coordinamento più forte delle politiche economiche e delle decisioni finanziarie nazionali, che sono certamente un passo in avanti.
Dobbiamo sottolineare però che vi è il rischio che la Commissione Barroso compia di nuovo l'errore che ha compiuto in passato: vanno benissimo le proposte di rafforzamento della sorveglianza multilaterale, va benissimo rafforzare gli strumenti di controllo preventivo, va benissimo il semestre europeo per quanto riguarda le leggi finanziarie, quindi va benissimo rafforzare gli strumenti di stabilità.
Se però il coordinamento delle politiche economiche viene inteso unicamente come coordinamento della stabilità e non diventa anche coordinamento di politiche economiche attive, a favore della crescita e a favore dell'occupazione, questo coordinamento sarà destinato a fallire. Infatti, è evidente che non possiamo unicamente agire sul lato della stabilità, non possiamo intendere la governance economica solamente come un maggior rigore; dunque occorre che la governance economica sia intesa, da una parte, come maggior rigore, dall'altra, come insieme di politiche comuni integrate per la crescita e per l'occupazione, altrimenti rischiamo di commettere gli stessi sbagli del passato. Vorrei ricordare che a livello europeo la crisi ci è già costata mille miliardi di euro. Vuol dire che ogni europeo oggi ha pagato già Pag. 182 mila euro di tasca propria per la crisi (la quale ha già distrutto sette milioni di posti di lavoro), e vuol dire che alla fine del 2010 in Europa ci saranno 23 milioni di disoccupati. È evidente quindi che la risposta europea è incompleta, e di nuovo sarebbe l'Europa incompleta se tale risposta consistesse nel solo rigore. Occorre un coordinamento macroeconomico per la crescita, che non vuol dire che tutti i Governi devono fare allo stesso tempo, nello stesso momento, le stesse cose, ma vuol dire che bisogna coordinarsi e concertarsi a livello europeo per vedere quali sono le migliori scelte economiche nazionali nell'interesse comune. Infatti oggi, dal punto di vista di alcune politiche economiche, le esigenze economiche della Germania non sono esattamente le stesse della Francia, dell'Italia o della Spagna.
Coordinarsi a livello di politiche economiche vuol dire aumentare le sinergie e le complementarietà, quindi non compiere tutti le stesse azioni nello stesso momento. Occorre un patto europeo per il lavoro che sia basato, a livello nazionale, su sgravi fiscali sul lavoro e impresa, sulla formazione professionale da aumentare a livello europeo, sulla lotta contro la precarietà, su accordi tra parti sociali a livello europeo per le aziende in crisi o per quelle aziende europee che intendono reinvestire in Europa. Occorre una trasformazione delle nostre strutture di produzione, consumi e trasporto per «decarbonizzare» la nostra economia e per una società più sostenibile.

PRESIDENTE. Deve concludere.

SANDRO GOZI. Queste sono alcune delle proposte. È preoccupante - concludo - che i Governi di destra in Europa parlino già di exit strategy (di strategia d'uscita), un tema inutile in Italia perché noi nella strategia a favore della crescita non ci siamo mai entrati (in Italia non ci sono stati stimoli all'economia), ma è evidente che a livello europeo ogni riduzione dello stimolo fiscale oggi rischia di peggiorare la situazione per la crescita e per il lavoro. Certamente occorre agire sul lato del bilancio (è già stato detto), rivedere la struttura del bilancio oggi, aumentare le risorse comuni del bilancio a partire dal 2013, introdurre - in vari l'hanno proposto: a destra, a sinistra, e si trova anche nel Rapporto Monti - quello strumento, che sarebbe molto importante, degli eurobond per trovare le risorse per investimenti nelle infrastrutture reali e virtuali. Tutto questo deve andare di pari passo - nell'anno che seguirà - nell'attuazione del programma legislativo del Presidente dell'Unione europea con la rapida attuazione di quel capitolo, «Vita democratica dell'Unione europea», senza il quale sarà inutile agire sul lato della governance, perché più governo economico dell'Europa deve andare di pari passo con la piena vita democratica. Oggi siamo ancora lontani. Credo, Presidente, che l'Italia dovrebbe avere questi obiettivi come prioritari, e se questi obiettivi fossero prioritari per l'Italia sarebbero certamente condivisi anche dal nostro gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consiglio. Ne ha facoltà.

NUNZIANTE CONSIGLIO. Signor Presidente, signor Ministro, gli strumenti di programmazione politica europei sono, mai come in questo anno, l'occasione sia per svolgere una riflessione approfondita sugli aspetti generali del processo di integrazione europea, sia per identificare gli aspetti generali del processo di integrazione insieme alle questioni specifiche alle quali dedicare un apposito esame nelle Commissioni competenti. Anch'io sono particolarmente contento del lavoro svolto dal presidente Pescante e dagli altri colleghi della Commissione, e per il fatto che hanno esaminato i due documenti senza alcuna retorica pro-europeista, e senza fare sconti rispetto alla posizione dell'Italia nei confronti dell'Europa.
Nelle passate legislature, la discussione degli affari europei si è troppo spesso ridotta ad un passaggio formale, privo di un confronto effettivo tra posizioni diverse e, soprattutto, di una considerazione critica Pag. 19dell'attività dell'Unione europea. Ciò è avvenuto persino in occasione della ratifica del Trattato costituzionale e anche nel Trattato di Lisbona e nei precedenti Trattati che pur trasferivano quote importanti di sovranità all'Unione europea. In sostanza, il Parlamento ha creduto, per molti decenni, che il suo contributo al progetto europeo consistesse essenzialmente nel promuovere la corsa verso livelli più avanzati di integrazione politica senza interrogarsi sulle modalità e sugli effetti di questo processo per il Paese. Abbiamo così assunto la fama di europeisti, magari non proprio convintissimi, ma europeisti ad ogni costo e siamo stati, per la nostra inerzia e arrendevolezza, emarginati dal negoziato su progetti legislativi specifici di grande importanza economica e sociale.
La Lega Nord Padania ha sempre contrastato e denunciato questo atteggiamento partendo dalla convinzione che un'Europa dei popoli non si costruisca con dichiarazioni retoriche, ma con l'impegno e il negoziato, a volte anche aspro, sui singoli provvedimenti europei a difesa dell'interesse nazionale. La nostra non è - questa è una cosa che voglio sottolineare - una visione pregiudizialmente antieuropeista, ma, al contrario, un diverso e più pragmatico modo di intervenire sulle questioni europee per far sì che ciò sia veramente un passo importante per cui l'Italia si possa integrare in un'Europa sempre più complessa e allargata. I documenti si prestano, pertanto, a nostro avviso, a diverse profonde critiche, in buona parte analizzate nella relazione della XIV Commissione per l'Assemblea. In primo luogo, manca, nei due Programmi, una chiara visione del ruolo dell'Europa a fronte delle dinamiche economiche globali, nonostante la crisi imponga un'azione decisa e rigorosa. C'è da dire, infatti, che, mentre si continua, giustamente, a porre l'accento sulle sostenibilità delle finanze pubbliche e sulle stabilità dei mercati finanziari, passano in secondo piano le misure sulla crescita. Del resto, le proposte sulla governance economica, all'esame delle Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea, sono un chiaro risultato di questa impostazione. Singolare, poi, il fatto che, a parte un generico richiamo alla prossima adesione alla strategia commerciale comune, nulla si dica su come rilanciare il sistema produttivo europeo nella competizione con altri Paesi, soprattutto quelli emergenti. In particolare, è assente ogni richiamo a strategie di difesa commerciale delle nostre produzioni rispetto alla concorrenza sleale dei prodotti stranieri. Su questo, la Lega Nord Padania credo si sia ampiamente stracciata le vesti per addivenire poi ad alcune risoluzioni che potessero portare ad un atteggiamento positivo nei confronti dei nostri prodotti. Anche la lotta alla contraffazione e alla tutela dei consumatori riceve uno spazio ridotto e considerazioni troppo generiche, mentre dovrebbero costituire priorità assolute.
Un secondo aspetto sorprendente è la genericità dei riferimenti all'immigrazione. Anche in questo caso la Commissione europea non sembra intenzionata ad avvalersi di nuovi strumenti previsti dal Trattato, come la clausola di solidarietà obbligatoria tra gli Stati membri, prevista espressamente dall'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
In terzo luogo, ci saremmo aspettati una valorizzazione, nell'impostazione stessa del Programma della Commissione europea, di alcune importanti innovazioni del trattato di Lisbona: l'inclusione, tra i principi e i valori stessi dell'Unione europea, dell'impegno a rispettare l'identità nazionale dei suoi Stati membri legati alla loro struttura fondamentale, compreso il sistema delle autonomie regionali, locali e le funzioni essenziali dello Stato; l'affermazione, tra i valori su cui si fonda l'Unione europea, del rispetto della diversità culturale e linguistica e la salvaguardia del patrimonio culturale europeo; l'introduzione della dimensione territoriale della coesione, accanto a quella economica e sociale, tra gli obiettivi e le competenze dell'Unione europea; la precisazione, strettamente correlata, per cui la politica di coesione deve riservare un'attenzione particolare alle zone rurali, alle zone interessate da transazioni industriali e alle regioni Pag. 20che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali e demografici, quali, tra le altre, le regioni di montagna.
Si tratta di novità che valorizzano la dimensione regionale e locale dell'Unione europea e che, se adeguatamente attuate, contribuirebbero, finalmente, ad avvicinare l'Europa ai cittadini. Cittadini che, non sempre, si sono sentiti parte di questa Europa, tanto è vero che una nostra critica è sempre stata quella che l'Europa forse è molto presente dove non dovrebbe e poco dove, invece, sarebbe più necessario.
Credo che soprattutto per il nostro Paese proprio la riforma della politica di coesione sia un dato essenziale per rilanciare la crescita e lo sviluppo dell'UE e rispondere alle aspettative dei cittadini. I dati sull'utilizzo dei fondi strutturali sono preoccupanti e la cronaca di questi giorni letta sui giornali svela in modo veramente impressionante quale sia l'incapacità che abbiamo di sfruttare risorse economiche che vengono dall'Europa e rileva non soltanto l'esigenza di migliorare la capacità di spesa di alcune regioni ma quella di riformare profondamente la stessa politica regionale europea.
A questo scopo va anzitutto superata la concezione della coesione come politica redistributiva di risorse tra regioni recuperandone invece la vera finalità assegnata dai Trattati che è la promozione dello sviluppo di territori e la riduzione di divari di sviluppo tra i territori. In questa chiave le risorse disponibili vanno concentrate su pochi obiettivi - qui mi riallaccio a quanto diceva prima l'onorevole Buttiglione - in modo che tali obiettivi concentrati come capacità di spesa siano di altissimo livello aggiunto, in grado di promuovere effettivamente la crescita e l'occupazione in coerenza con la strategia 2020. Penso tra gli altri alle infrastrutture, all'innovazione, alla ricerca e al sostegno alle piccole e medie imprese che hanno costituito anche in questo periodo di grave crisi la spina dorsale di questa nostra economia. Alla luce del Trattato va inoltre ripensata, come evidenziato anche dal commissario Hahn nel corso della sua audizione alla Camera del 1o luglio scorso, l'attuale distinzione e ripartizione di risorse tra obiettivo convergenza e obiettivo competitività. Occorre poi semplificare le procedure e i metodi di programmazione e gestione introducendo nel contempo meccanismi più rigorosi e di controllo sia sulla regolarità contabile ma anche sull'efficacia ex ante ed ex post degli interventi.
In conclusione condivido anch'io l'impressione di una debolezza della Commissione europea, di una sua crescente lontananza dalle aspettative dei cittadini. Si tratta di una deriva pericolosa, a nostro avviso, per le sorti dell'Europa almeno nel senso dell'atteggiamento che la Lega ha sempre avuto in questi anni nei confronti del sistema Europa: la visione di un'Europa come soggetto capace di affrontare adeguatamente le problematiche di portata globale di fronte alle quali l'azione dei singoli Stati è insufficiente astenendosi invece dall'intervenire su questioni di dettaglio. Noi come Lega abbiamo sempre sostenuto un atteggiamento che è piuttosto critico nei confronti dell'Europa. Anche se il Trattato di Lisbona ha apportato miglioramenti, ha tenuto alcuni aspetti «sott'olio». Auspico, quindi, che le risoluzioni che approveremo ci diano indicazioni chiare e coraggiose dirette non soltanto al Governo ma anche alla stessa Commissione europea (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, l'esame del programma di lavoro della Commissione e del Consiglio dell'Unione europea offre al Parlamento un'opportunità fondamentale di riflessione. Molto è accaduto a livello economico ed istituzionale nell'ultimo anno e mezzo. Da un lato è montata una crisi economica e finanziaria paragonata a quella del 1929 che manifestò tutti i suoi terribili effetti solo alcuni anni dopo. Dall'altro lato è entrato in vigore il nuovo Trattato di Lisbona che, tra le altre cose, Pag. 21ha reso giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell'Unione. Si tratta di due questioni parimenti importanti che finiscono per intersecarsi. L'Unione europea svolge un ruolo fondamentale per superare la crisi economica. Servono regole più ferree per disciplinare i settori finanziari e governare il sistema bancario dove la crisi si è generalizzata. Basta con la finanza creativa e le speculazioni.
La vecchia cantilena del «meno regole, più mercato» si è rivelata un paradosso populistico. Oggi bisogna affermare l'idea che al mercato servono migliore trasparenza, rafforzamento della governance e maggiore etica. L'Unione europea, che ha regole nuove di funzionamento che ne hanno accresciuto il livello di democraticità, può e deve rafforzare le sue istituzioni di controllo e produrre regole di governance efficaci, in un contesto globalizzato nel quale i singoli Paesi della vecchia Europa, se agissero da soli, nulla o poco potrebbero. Il Parlamento è e dovrà diventare protagonista primario dello sviluppo e della crescita dell'Unione europea, incidendo sempre più nella fase di programmazione legislativa, così come nella formazione della politica e della strategia dell'Unione. Gli interventi dovranno tuttavia essere tempestivi, i progetti e i programmi europei dovranno essere costantemente al centro dell'agenda dei lavori del Parlamento e non solo del Governo. Per realizzare ciò serve una modifica dei Regolamenti parlamentari, come già la Giunta per il Regolamento della Camera si sta predisponendo a fare. Occorre un salto di qualità che consacri la consapevolezza dell'istituzione parlamentare, massimo e fondamentale organo di rappresentanza, dell'assoluto impatto della legislazioni europea, al pari e più di quella italiana, in molti e rilevanti ambiti.
La non assunzione piena e totale della responsabilità del ruolo che il trattato di Lisbona affida ai Parlamenti nazionali significherebbe abdicare alla funzione prima e principale che la Costituzione italiana affida al Parlamento. Nella situazione attuale, nella quale troppo spesso l'opinione pubblica ha scarsa considerazione dei parlamentari e il Parlamento è considerato luogo di casta e poco lavoro, abbiamo la necessità di lavorare di più e di fare meglio per ristabilire la dignità dell'istituzione a cui ci onoriamo di appartenere.
Dicevo che le recenti riforme delle istituzioni europee si incrociano con la crisi economica mondiale: queste riforme sono peraltro coincise con la fine di un ciclo della strategia europea, mentre un altro se ne sta aprendo. Solo poche settimane fa è stata adottata la nuova strategia di Lisbona 2020, nella quale è stato tracciato un percorso, sono stati indicati strumenti e posti obiettivi per il prossimo decennio. La verità dei risultati della strategia precedente, la consapevolezza dei limiti e delle loro cause consentono all'Unione di proiettarsi con slancio nelle azioni dell'immediato futuro. Guai a pensare che l'Unione possa essere un cilindro da cui tirare fuori magicamente la soluzione alle difficoltà di ogni sorta che sopportiamo. Guai, allo stesso tempo, ad attribuirle più responsabilità di quelle che ha, perché noi non siano in grado di assumerci le nostre. Ogni Paese deve affrontare il proprio debito pubblico eccessivo e gli interessi del debito e non chiedere deroghe alle regole che a livello europeo ci siamo dati. Il debito pubblico e il peso dei traffici finanziari non regolati dall'economia sono un grosso macigno, che ipoteca lo sviluppo e le future generazioni. Sappiamo bene che il default può essere dietro l'angolo e il caso della Grecia deve insegnarci molto. Allo stesso tempo non chiudiamoci nella bieca visione di un'Unione solo economica, proponendo che torni ad occuparsi principalmente di economia: il mercato comune è ancora un obiettivo importante, ma l'unione dei diritti è senz'altro il traguardo e la strategia più importante e sicura da raggiungere. I veri punti qualificanti del programma che ci è stato presentato sono quelli del lavoro, dell'istruzione, della mobilità studentesca, della ricerca e dell'inclusione sociale. Dobbiamo prendere estremamente sul serio le politiche comunitarie a favore della riduzione Pag. 22dell'inquinamento e dell'investimento sulle energie rinnovabili. Dobbiamo contribuire a far sì che l'Unione, cominciando dall'Italia, punti decisamente ad un sistema produttivo rispettoso dell'ambiente, delle materie prime e delle risorse disponibili, che scarseggiano sempre più.
È un atto di responsabilità: ciò che consumiamo e distruggiamo oggi sarà perso per sempre e non verrà lasciato in eredità ai nostri figli.
Nel contributo dato dall'Italia dei Valori nell'elaborare le osservazioni del Parlamento italiano alla bozza della Strategia di Lisbona per il 2020, avevamo suggerito all'Unione europea di puntare su un maggior grado di integrazione a livello di armonizzazione fiscale, che rappresenta un elemento fondamentale per la crescita del mercato comune e per la sua efficienza. Oggi ribadiamo questa richiesta, essendo già stata inserita nella relazione presentata dalla XIV Commissione.
Signor Presidente, concludo, ricordando che il programma della Commissione Barroso, limitato al periodo aprile-dicembre 2010, il primo presentato da questa Commissione, ci trova favorevoli, perché sembra andare nella direzione che ho prima indicato. Altro si può e si deve fare, ma è necessario guardare con fiducia a questo nuovo percorso che si è appena aperto (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Farinone. Ne ha facoltà.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, signor Ministro, signor presidente della Commissione, l'esame degli strumenti di programmazione politica e legislativa delle istituzioni europee dovrebbe costituire un momento cruciale, non solo per l'intervento del Parlamento nella formazione delle politiche, prima ancora che della normativa dell'Unione europea, ma anche per avvicinare l'Europa ai cittadini.
Lo scorso anno, in occasione delle elezioni del Parlamento di Strasburgo, abbiamo verificato quanta poca partecipazione popolare quell'evento sia stato capace di mobilitare, segno certo della perplessità - per non dire altro - dei popoli europei nei confronti della costruzione comunitaria.
Le istituzioni europee sono, infatti, accusate, con frequenza sempre maggiore, di essere lontane dai cittadini, di non riuscire a soddisfare le loro aspettative, di mancare di una visione politica propria, di essere troppo poco indipendenti dai maggiori Stati membri, talvolta, addirittura, di essere prone ai voleri di determinati interessi lobbistici, e ancora, di predisporre progetti legislativi non rispondenti alla realtà economica, sociale e culturale del continente. Si tratta certo di accuse eccessive, ma in parte, fondate.
Al tempo stesso, non si può non ammettere che una responsabilità consistente dello scollamento tra Europa e cittadini risiede anche nell'atteggiamento dei Governi e dei Parlamenti nazionali. I primi non vogliono cedere quote di potere, i secondi rimangono confinati dalla politique politicienne interna, spesso senza comprendere che, in un mondo globalizzato, non è più la dimensione nazionale ed essere vincente.
I Parlamenti dovrebbero, al contrario, promuovere un vero dibattito pubblico europeo, stimolando, nei rispettivi Paesi, la discussione sulle grandi scelte politiche europee e sulla visione stessa della costruzione europea. Si tratta di un esercizio che favorirebbe la formazione di una opinione pubblica europea e che ridurrebbe - ne sono convinto - quello che è solito chiamarsi il «deficit democratico» dell'Unione europea.
Discutere nell'Aula della Camera il programma di lavoro della Commissione europea e quello presentato dalle tre Presidenze del Consiglio europeo (il cosiddetto trio) rappresenta, quindi, un'occasione importante, che non va perduta. Mi auguro che il Governo colga in pieno il senso profondo di questa opportunità. Per parte nostra, come opposizione, in particolare come Partito Democratico, lo stiamo dimostrando - credo - con una partecipazione assidua a tutti i momenti di confronto e di approfondimento. Pag. 23
Pertanto, il programma di lavoro della Commissione e quello presentato dal «trio» di Presidenze del Consiglio deve costituire per la Camera un'occasione per coinvolgere tutte le istanze rappresentative e le forze produttive e sociali del Paese nell'identificazione della posizione nazionale sui grandi temi europei. Si tratta di un lavoro di ascolto che le Commissioni V e XIV hanno positivamente avviato, così facendo, ponendosi in grado - credo - di portare all'attenzione dell'Assemblea priorità, lacune e problemi dell'azione europea, che sono realmente avvertiti dal Paese e che, poco fa, abbiamo avuto modo di ascoltare anche nella relazione del relatore, onorevole Pescante.
Nel contesto attuale, naturalmente, è ovvio concentrare l'attenzione sui documenti, valutandone l'adeguatezza rispetto alla risposta che l'Unione europea dovrebbe fornire alla crisi economico-finanziaria, nonché al rilancio di un'ipotesi di crescita. I documenti in esame, da questo punto di vista, deludono almeno un po'.
Nella loro ricchezza e positività di approccio, pur contenendo - mi riferisco, soprattutto, al programma della Commissione - obiettivi ed iniziative in parte già presentati, essi confermano una tradizione, per così dire, enciclopedica, nel senso che ci si occupa di quasi tutto e si immaginano risultati certi e garantiti, salvo, poi, verificare - come si è visto per gli obiettivi di Lisbona per il 2010 - l'irrealizzabilità delle loro pratiche.
Pare di rilevare, in questi documenti, la mancanza di una strategia di intervento chiara e ambiziosa a lungo termine che denuncia a sua volta una visione confusa del modello di Europa che si vuole perseguire. Così come denuncia l'assenza di coraggio in merito alle soluzioni: le proposte relative alle strategie per la crescita e l'occupazione, per la governance economica, sono palesemente insufficienti. Si parla di crescita e di stabilità insieme ma le misure proposte si concentrano sulla sola stabilità - è stato detto - ma, senza idee, per tornare a crescere il solo rigore finanziario non ci aiuterà a farci fuoriuscire dalla crisi. Non dimentichiamo che la crisi ha prodotto effetti gravi nella fiducia dei cittadini nell'integrazione economica e quindi nel mercato interno che è al centro della costruzione europea. La crisi ha ridato forza e fiato a tentazioni e illusioni protezionistiche che negano l'idea stessa di Europa e già solo questo è un pericolo che merita ogni sforzo, anche di inventiva, per essere superato. Rilanciare il mercato interno e la politica industriale europea è dunque necessario, non solo per la crescita dell'occupazione ma anche per salvaguardare, lo voglio dire qui con forza, quel modello di economia sociale di mercato che costituisce ancora oggi il frutto più maturo delle democrazie europee così come definitesi nella seconda metà del secolo scorso.
Credo che un importante contributo in questo senso sia assicurato dal rapporto Monti che ha il merito di dimostrare e riaffermare due idee chiave: che il mercato unico non è in contrasto con la realizzazione di un'Europa sociale, con il rispetto dell'ambiente e non va contro l'interesse dell'industria europea, e che occorre a questo scopo, pur garantendo la concorrenza, circoscrivere il fenomeno della competizione tra ordinamenti che rimane forte e pericoloso nei settori fiscali e sociali. In particolare, ritengo sia improcrastinabile la lotta alla concorrenza fiscale così dannosa ai fini del raggiungimento dell'equità del carico fiscale. In assenza di un coordinamento a livello continentale delle imposizioni sulle imprese, meglio ancora sarebbe una vera armonizzazione, e sul risparmio, il carico fiscale tende purtroppo a concentrarsi sui fattori meno mobili della produzione e quindi sul lavoro dipendente.
Occorre tornare a progettare e realizzare una politica industriale europea, per troppi anni accantonata e ritenuta superata, in grado di esaltare la capacità produttiva del sistema industriale continentale, riconvertendo le vecchie produzioni, introducendo innovazione tecnologica anche nei settori manifatturieri più tradizionali, puntando al sostegno in favore di settori avanzati del comparto high tech o di altre produzioni specializzate. Pag. 24Andrebbero messi a punto strumenti adeguati piuttosto che piani generali, strumenti di tipo finanziario, come ad esempio la possibilità di reperire capitali e come sostenere i flussi di investimento anche attraverso la Banca europea per gli investimenti o appositi meccanismi finanziari. Strumenti di sostegno tecnologico e strumenti di pianificazione congiunta raccordando le politiche europee con le politiche regionali; e naturalmente risulta, ora più che mai, indispensabile il coordinamento delle politiche industriali dei 27 perché la sfida competitiva va affrontata di più sul piano globale che non all'interno del mercato dell'Unione.
Infine, non certo per importanza, le politiche industriali dovranno, così delineate, essere assolutamente collegate alle politiche di sostenibilità ambientale; non solo per evidenti motivazioni ecologiche ma anche per rendere l'Europa più competitiva in tutto il campo delle nuove tecnologie ambientali applicate ai processi industriali. Questo delle politiche industriali è solo uno dei temi rilevanti, come sostiene la Commissione, per andare avanti, altri, dalla diffusione delle tecnologie digitali allo sviluppo dei piani di ricerca e di innovazione, dalle iniziative per aumentare le possibilità di lavoro per i giovani a quelli utili per contrastare la disoccupazione, dalla piattaforma contro la povertà all'ambizioso programma di azione esterna, tutti sono decisivi per il futuro dell'Unione ma potranno realizzarsi in tutta la loro potenzialità solo se la politica dei Ventisette sarà inequivocabilmente orientata a costruire una Europa dei cittadini come pure è scritto nel programma, segno questo che di tale fatto vi è reale consapevolezza. La sfida, per tutti, è dimostrare una effettiva volontà di realizzazione in tal senso e qui gli ostacoli sono tuttora numerosi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ENRICO FARINONE. Tuttavia - e concludo signor Presidente - è proprio un'occasione come questa che deve fissare gli obiettivi in prospettiva più ambiziosi; e con il nuovo ruolo che si trovano a dover ricoprire, sono proprio i Parlamenti, rappresentanti dei popoli, a dovere indicare questi obiettivi.
Spero che questo nostro dibattito aiuti a muovere un passo nella direzione giusta, e che pure il Governo intraprenda questa strada, che conduce, alla fine, all'unione politica: vero obiettivo finale di ogni convinto federalista (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Repliche del relatore e del Governo - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Pescante, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, intervengo, innanzi tutto, per una considerazione ed un ringraziamento; una considerazione per l'alta qualità degli interventi su questo importante tema, ed un ringraziamento al presidente e amico Mario Pescante, e a tutti i componenti della XIV Commissione, per un lavoro svolto alto, profondo, e di grande qualità, su un tema, caro presidente Pescante, che ci vede, spesso e volentieri, lavorare in una sintonia assolutamente profonda.
Anche il dibattito di stamane - a parte le ovvie e naturali sfumature di diversità - dimostra, ancora una volta, quanto l'Italia abbia nel cuore, nella tradizione politica e nella profonda storia, di credere nel concetto e nella stessa tradizione della battaglia della cultura dell'Europa.
Gli interventi di questa mattina hanno seguito un filo logico, caro presidente Buttiglione, che è quello del rincrescimento - come, giustamente, l'onorevole Gozi ha più volte rimarcato nel suo intervento - di quanto l'Europa poteva fare ma non ha Pag. 25fatto, soprattutto, per esempio, nel dibattito sulla crisi economica e nei ritardi. Ci sono stati, infatti, dei ritardi, e dobbiamo dare atto - prendendo lo spunto dall'intervento dell'onorevole Gozi, che ringrazio per il lavoro svolto che, al di là degli schieramenti, è di qualità, di sinergia, di prospetto e di progetto su quella che è la costruzione della radice comune del futuro dell'Europa - che è giusto rimarcare la differenza e i ritardi dell'asse Parigi-Berlino, ma se non vi fosse stata l'azione propulsiva del Governo italiano quella diversità, certamente, avrebbe creato e portato ulteriori profondi rallentamenti.
È grazie all'azione del Governo, che credeva e che crede - soprattutto in situazioni di grande difficoltà, come una crisi economica derivata dalla tragedia economica della Grecia - nella sintesi fattiva e concreta - voluta dal nostro Governo - che ha portato a superare le divisioni egoistiche delle due capitali.
Si è perso tempo, settimane, la crisi andava avanti ma, per fortuna, si sono trovati gli strumenti ed il modo di aggredirla per evitare che la tragedia dell'economia greca potesse fare incendiare l'Europa. Altre nazioni, infatti, erano in bilico con le loro economie in crisi, le quali potevano gettare un profondo discredito - non soltanto politico, ma certamente ulteriore, grande, e dai risvolti assolutamente imprevedibili - sulla crisi economico-finanziaria.
Certamente, abbiamo di fronte «tre semestri» che sono fondamentali per la costruzione, caro presidente Pescante, della stessa operatività politica del concetto dell'Europa. Il Trattato di Lisbona - più volte evocato stamane negli interventi - è certamente, come io ritengo e dico in tutte le assise, anche internazionali, uno degli ultimi treni per costruire l'Europa.
Il fatto, poi, che i Parlamenti nazionali abbiano questo ruolo così importante opera una cinghia di trasmissione Governo-istituzione nazionale e Europa che certamente è in grado di poter realizzare, se lo si vuole, se si ha una radice comune, e se si ha un progetto reale e profondo, un sistema che possa affrontare quello che, anche nella recente campagna elettorale europea, cari colleghi, era un trend normale: la distanza cittadini-Europa, la distanza tra un certo tipo di Europa, spesso burocratica, fredda, distante, lontana, e le esigenze manifestate dai cittadini normali come l'immigrazione, la povertà, la crisi e il concetto di sussidiarietà.
Oggi abbiamo gli strumenti: i «semestri» che abbiamo di fronte, l'azione continua e il nuovo assetto che certamente è stato dato. Abbiamo, inoltre, una politica estera dell'Europa che balbetta, e che ancora manca di iniziativa per poter essere, in questo nuovo scacchiere del mondo, un grande player.
Devo dire che grazie anche all'azione della politica estera dell'Italia spesso certe mancanze e lacune possono essere colmate. Certamente questo non basta ed è necessario credere ancora di più negli strumenti e in queste azioni per realizzare fatti concreti.
Si è parlato della politica di coesione e della politica della sussidiarietà, si è parlato spesso e volentieri anche di una mancanza di identità e di politica comune per poter gestire le grandi questioni. Questo è vero. Per tale ragione oggi dal Parlamento italiano viene un segnale di grande unità su questi temi. Sono state presentate due risoluzioni. Si tratta di due risoluzioni di altissima qualità e che rappresentano un passo politico importante, un pilastro sul quale nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dobbiamo convintamente costruire il progetto di questa Europa.
Inoltre, vi sono delle battaglie in cui l'Italia oggi è impegnata. Dunque, ringrazio l'onorevole Gozi, l'onorevole Formichella e il presidente Pescante per aver parlato la stessa lingua. La discriminazione di cui è oggetto l'Italia è inaccettabile. Grazie onorevole Gozi, grazie onorevole Formichella, per avere dato sostegno a una battaglia che stiamo combattendo tutti i giorni contro il trilinguismo, che colpisce la piccola e media impresa, il cittadino italiano e anche il funzionario italiano. È una battaglia contro il brevetto e contro una discriminazione che non è soltanto politica, ma culturale. Non è possibile Pag. 26negare l'esistenza e la dignità della lingua italiana, uno degli elementi fondatori della cultura di questa Europa. Penso che non vi debbano essere schieramenti, né di destra né di sinistra, ma che vi debba essere un sistema Italia culturale che deve dire «no», che deve dire «non ci stiamo» e che deve sostenere il Governo che, in questo momento, opporrà in Europa tutti i veti possibili e immaginabili per difendere la nostra tradizione, la nostra civiltà, la nostra cultura e i diritti delle nostre imprese nonché quelli dei nostri cittadini. Questo è parlare d'Europa, perché non vi è un'altra alternativa.
Oggi abbiamo certamente un'occasione di incontro, di analisi e di dibattito. Abbiamo la crisi, il pacchetto clima, i cambiamenti climatici e le sfide sulla solidarietà e sulla sussidiarietà. In conclusione, signor Presidente, sono convinto - e ringrazio ancora - che oggi scriviamo, con le nostre risoluzioni e con il nostro dibattito, una pagina importante della storia del Parlamento italiano. Sono convinto e siamo tutti convinti che un'unità di intenti forte di questo Parlamento è un segnale forte all'Europa che in un momento di crisi ha bisogno di certezze e di una politica chiara per i cittadini e le istituzioni per il futuro della nostra nazione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Unione di Centro).

(Annunzio di risoluzioni - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Pescante, Pini ed altri n. 6-00041 e Gozi ed altri n. 6-00042 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).
Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.

Discussione della mozione Franceschini e altri n. 1-00407 recante misure rivolte al sostegno e al rilancio del settore del trasporto ferroviario (ore 10,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Franceschini e altri n. 1-00407 recante misure rivolte al sostegno e al rilancio del settore del trasporto ferroviario (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 luglio 2010 (vedi resoconto stenografico).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Monai ed altri n. 1-00409, Misiti ed altri n. 1-00410, Vietti ed altri n. 1-00411 e Valducci, Montagnoli, Iannaccone ed altri n. 1-00412 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Meta, che illustrerà la mozione Franceschini ed altri n. 1-00407, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, onorevoli colleghi, saluto anche l'onorevole Giachino che è arrivato in Aula. Penso che oggi abbiamo di fronte un'importante occasione, soprattutto per milioni di cittadini, e questa occasione riguarda il fatto che in quest'Aula finalmente si possa discutere di trasporti e di mobilità. È un fatto raro anche se non dovrebbe esserlo.
Ciò che è accaduto in questo Paese negli ultimi anni e la progressiva distanza che si è venuta a creare fra gli interessi primari dei cittadini e le decisioni assunte in quest'Aula ha compromesso scelte che più di altre bisognava mettere in campo per sostenere il trasporto pubblico e delle merci su ferro.
Forse sarà inopportuno ricordarlo, ma è di straordinaria coincidenza che mentre Pag. 27avviamo la discussione su queste mozioni parlamentari sta per essere licenziato, in sede legislativa, un importante provvedimento che incide in maniera organica sulla sicurezza stradale. Un insieme di norme necessarie a contenere i 6 mila morti sulle strade italiane e i costi sociali ed economici che per il nostro Paese riguardano più di un punto del PIL.
Una piaga che è stretta a doppio filo con lo sbilanciamento eccessivo verso il mezzo privato e, in particolare, quello dell'automobile. Questo caratterizza la mobilità nel nostro Paese. Stiamo parlando di 45 milioni di automobili circolanti lungo la Penisola, che contribuiscono ad aumentare le emissioni atmosferiche e a compromettere la qualità dell'ambiente soprattutto nelle aree metropolitane.
Queste sono tutte variabili che fanno pesare la congestione stradale sulla nostre strade per 25 miliardi di euro all'anno. A tale calcolo si arriva se si considera che, secondo quanto indicato nel Libro bianco dell'Unione europea del 2001, nei costi di infrastrutturazione dobbiamo comprendere anche i costi esterni, cioè quelli relativi agli incidenti, all'inquinamento e alla stessa congestione.
Quindi, cari colleghi, perché non considerare, alla luce dei rinnovati impegni internazionali in materia di sostenibilità ambientale, il trasporto ferroviario come più compatibile rispetto all'aereo e alla gomma, considerato che produce anche il 77 per cento in meno di anidride carbonica e gas serra? Ebbene, se partiamo da queste prime considerazioni possiamo capire come sia fondamentale e strategico investire risorse e riequilibrare trasporti e mobilità in favore del ferro.
In altri Paesi lo sanno benissimo o lo hanno capito in questi mesi nonostante le ristrettezze della stessa crisi economica. Mi riferisco all'amministrazione Obama che ha presentato un ambizioso piano per lo sviluppo del trasporto su ferro negli Stati Uniti che non ha precedenti. Così come indicato nel vademecum anticrisi elaborato dall'ONU, che nei mesi scorsi ha visto il settore dei trasporti sostenibili come un settore strategico per rilanciare una rivoluzione verde a livello mondiale.
Tale rivoluzione, come sappiamo, oltre ai benefici ambientali, può avere anche effetti immediati sull'occupazione, favorendo la nascita di quattro posti di lavoro indiretti ogni assunto in maniera diretta nel settore e, inoltre, sostenendo la competitività dell'economia italiana con benefici diretti sui prodotti di consumo che soffrono dei numerosi colli di bottiglia presenti nel comparto logistico.
Si tratta, dunque, di avviare con coraggio una nuova stagione di rilancio della cosiddetta cura del ferro che prima di tutto deve essere culturale con il sostegno anche degli enti locali, delle forze sociali e del mondo imprenditoriale.
La discussione e il voto su questa mozione - che speriamo sia più largo possibile perché sul pendolarismo e sul trasporto pubblico locale si dovrebbe andare oltre le partigianerie - deve essere, a nostro avviso, molto franca. Stiamo vivendo ore delicate e movimentate.
Vi è una vibrata protesta dei governatori per i consistenti tagli alle regioni che rischiano di compromettere innanzitutto il trasporto pubblico locale. È prevista, come sappiamo, una nuova seduta della Conferenza Stato-regioni ed un incontro con il Ministro dell'economia e delle finanze che molti auspicano serva a ridurre la presa sul comparto dei trasporti locali prevista dalla manovra.
Abbiamo ascoltato in questi giorni le parole del presidente Formigoni rivolte a Tremonti: «lo dica lui - diceva il presidente della Lombardia - ai pendolari che taglieremo due treni su tre». E ancora, il sindaco Alemanno, minaccioso, ha affermato che, se mettono i caselli sul GRA, «li sfondo con la mia macchina».
Altra misura, stessa manovra. È questa l'ultima trovata del Governo per fare cassa sulle spalle dei pendolari, aumentando i pedaggi in ventisette caselli, di cui nove solo a Roma, e introducendo la tariffazione su altri raccordi come la Roma-Fiumicino o l'ipotesi del grande raccordo anulare. Pag. 28
Cari colleghi, cito questi due episodi e due autorevoli amministratori di importanti regioni come il Lazio e la Lombardia. Lo faccio per ricordarci come spesso le strategie in materia di trasporti e mobilità siano confinate nella marginalità e sono considerate utili solamente per fare cassa.
Tutti noi conosciamo dinamiche, costi e problematiche relative ai trasporti nelle singole realtà che qui rappresentiamo. Conosciamo bene i problemi del trasporto locale per i pendolari del Piemonte o della Lombardia. Alziamo spesso la voce contro un'Italia ad alta velocità ed un'altra con uno scarsissimo servizio universale, ma anche a bassa infrastrutturazione se pensiamo alla Sardegna senza autostrade e ferrovie moderne piuttosto che alle condizioni della Napoli-Bari o di altre regioni del Mezzogiorno. Non più di due anni fa in occasione della finanziaria per l'anno 2008 vennero definite le modalità per disciplinare il trasporto passeggeri a media e lunga percorrenza con la relativa perimetrazione del servizio universale da affidare a contratti di servizio pubblico sulla base di un'indagine conoscitiva affidata, ma ancora non conclusa, al Ministero dei trasporti.
Se poi consideriamo il trasporto pendolare sono 13 i milioni di italiani che la mattina scelgono - o per necessità o per convinzione - di non utilizzare l'automobile privata per andare al lavoro o per accompagnare i figli a scuola. Si tratta di un pezzo di quell'Italia che da nord a sud decide di condividere un mezzo di trasporto con altre persone di estrazione sociale, lingua, lavori e ambizioni diverse tra di loro. Proprio tra i pendolari del servizio pubblico c'è una evidente presenza di cittadini che più vengono colpiti dagli effetti della crisi economica che ha investito le principali economie e, in particolar modo, il nostro Paese.
Nelle grandi aree metropolitane, nel Lazio, nella Lombardia e nell'Emilia, in altre regioni si è verificata in questi anni una tendenza ad una dispersione incontrollata degli insediamenti sul territorio chiamata anche urban sprawl. Ciò ha significato, come sappiamo, un rilevante incremento della mobilità soddisfatta in prevalenza dal ricorso, ancora una volta, al mezzo privato che rende continuamente inadeguate le infrastrutture generando disservizi, congestione e anche insicurezza.
Per coloro che, per scelta o per necessità, rinunciano al mezzo privato si somma alle difficoltà quotidiane, al costo della vita cresciuto notevolmente, a situazioni di lavoro precario, anche la quotidiana corsa ad ostacoli tra disagi e disservizi per muoversi ovvero la difficoltà di vedersi riconosciuto un diritto garantito dalla Costituzione all'articolo 16. Si tratta di uno di quei diritti indisponibili: perché, quindi, complicare la vita a milioni di pendolari? Vorrei che tutti tenessimo bene in mente questo importante interrogativo.
La manovra economica di 24 miliardi di euro varata per i prossimi anni dal Governo, che sarà approvata dal Parlamento a colpi di fiducia, complica e si accanisce contro quei 13 milioni di cittadini e, come sappiamo, li penalizza due volte. Dovranno fare dei sacrifici doppi rispetto a coloro che usano la propria automobile a causa delle pesanti conseguenze sul trasporto pubblico locale. Perché dunque non si corregge una manovra che incide sui pendolari così come denunciato dai governatori e dagli amministratori locali? Domanda semplice, però il Governo fino ad ora non ha risposto e credo non voglia rispondere. Non lo fa perché forse è condizionato dall'obiettivo di ottimizzare il servizio di trasporto pubblico come ha richiamato in quest'Aula il Ministro dei trasporti qualche settimana fa.
Noi però crediamo che a quei 13 milioni di italiani il trasporto pubblico debba essere garantito a prezzi ragionevoli e secondo criteri di universalità. Si tratta di due obiettivi difficili da realizzare se non cominciamo a mettere una prima pietra. Ci abbiamo provato, lo ricorderete, in quest'Aula in occasione della discussione della nostra proposta di legge per l'acquisto dei mille treni per i pendolari attraverso un'addizionale sulla Robin tax per finanziare un fondo da 300 milioni di euro all'anno per 15 anni. Pag. 29
Dopo un iniziale accordo con la maggioranza e il Governo abbiamo assistito ad un fuoco di sbarramento che ha bocciato l'approvazione della proposta di legge che, forse a causa delle pressioni di alcune lobby, ha fatto sciupare un'occasione per il Paese.
Si trattava, come ricorderete, di una misura che introduceva semplicemente una tassa di scopo o equa tassa, a carico non dei cittadini, ma dei petrolieri, e che avrebbe consentito una maggiore equità nelle misure previste dal Governo, rispondendo alle esigenze dei 13 milioni di pendolari e onorando gli impegni del «pacchetto clima» dell'Unione europea, oltre che l'introduzione di una misura di sviluppo e di investimento che poteva dare ossigeno all'industria ferroviaria del nostro Paese.
Sappiamo bene che si tratta di scelte, come quella che ricordo, perché emblematica, prevista dalla scorsa legge finanziaria che stanziava 470 milioni di euro per il ponte sullo Stretto di Messina e solo 400 milioni per le università italiane: un paradosso che poi determina conseguenze difficili da rimediare. Fu uno sbaglio.
Non è possibile ancora oggi pensare che l'80 per cento delle merci viaggi su gomma con costi rilevanti per l'ambiente e per la sicurezza; assecondare queste tendenze concentrandosi sulla costruzione di ponti, strade e autostrade significa avere paura dei cambiamenti e del futuro, che inevitabilmente passa per un riequilibrio modale nel trasporto su ferro perché è più sicuro e meno inquinante.
È certamente importante nel nostro Paese che, dopo molti anni e in ritardo rispetto alle altre realtà europee, si siano inaugurati i primi tratti di Alta velocità che permettono agli italiani di accelerare i propri spostamenti rinunciando all'automobile, ma non è sufficiente, perché dove non arrivano gli interessi di mercato deve essere lo Stato ad assumere l'iniziativa.
Un sistema di mobilità pubblica moderno ed efficiente rappresenta un diritto fondamentale di cittadinanza e un obiettivo strategico per la costruzione di politiche tese a promuovere uno sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e progresso sociale, nonché migliori condizioni di tutela della salute dei cittadini nell'ottica e nel rispetto degli accordi del Protocollo di Kyoto e del Programma di riduzione dei gas dannosi varato dall'Unione europea.
Nel nostro Paese, però, esistono ritardi e distorsioni infrastrutturali che agiscono in maniera pressoché rilevante sul trasporto dei pendolari e delle merci da nord a sud. È ormai dimostrato che la domanda di trasporto pubblico di mobilità cresce in maniera inversamente proporzionale al PIL, così come è ormai dimostrato che l'ultima settimana di ogni mese ci sono meno veicoli sulle strade perché ci stiamo impoverendo a tal punto da non avere i soldi per la benzina.
Dal 2000 al 2007 abbiamo assistito ad un incremento di passeggeri su ferrovia intorno al 4 per cento annuo, dal 2008 in poi tale percentuale è raddoppiata assestandosi oggi all'8 per cento. Basta essere cittadini del Lazio, piuttosto che della Lombardia o di qualsiasi grande area metropolitana, per accorgersi che i servizi ferroviari sono scarsi, scadenti e saturi: nel Lazio siamo ormai a quota 400 mila spostamenti al giorno su ferrovia. Nel settore del trasporto merci ferroviario, inoltre, in questi ultimi anni sono intervenuti importanti processi di innovazione normativa con la liberalizzazione del servizio che ha registrato un aumento dei volumi di trasporto e di investimenti privati, ma, come sostenuto da Federmobilità, il rilancio e l'incentivazione del trasporto ferroviario delle merci costituisce uno dei presupposti per dare maggiore competitività al sistema economico nazionale anche in vista della prossima ripresa economica.
La situazione della mobilità, già da oggi molto difficile, rischierà di diventare ingovernabile in assenza di azioni concrete quando l'economia ricomincerà a marciare ai livelli precedenti alla crisi economica. I più recenti dati indicano per l'Italia volumi trasportati su rotaia in calo con una percentuale solo del 9,9 per cento rispetto al totale annuo, contro il 17,7 per cento della media europea, mentre la Pag. 30gomma la fa da padrone con il 90,1 per cento contro il 76,7 per cento dell'Europa.
Per queste ragioni e per la necessità di venire incontro alle esigenze dei cittadini chiediamo al Governo di definire, d'intesa con le regioni e le amministrazioni locali e con il coinvolgimento dei principali attori del settore, una strategia di sostegno e sviluppo del sistema dei trasporti ferroviari di persone e di merci prevedendo, in particolare, innanzitutto, per quanto riguarda il trasporto passeggeri a media e a lunga percorrenza, la sollecita conclusione dell'indagine conoscitiva al fine di consentire una precisa e puntuale perimetrazione dei servizi universali e la trasparente individuazione delle responsabilità di servizio.
In secondo luogo, chiediamo al Governo di prevedere la certezza di una congrua stabilità e del finanziamento del servizio universale - che consenta la programmabilità degli impegni relativi ai servizi e agli investimenti necessari - e l'individuazione delle risorse necessarie per l'avvio dei progetti relativi al sistema di alta capacità sulla linea Napoli-Bari.
In conclusione, per quanto concerne il trasporto ferroviario pendolare, chiediamo che il Governo si impegni a prevedere, in primo luogo, la riconsiderazione delle scelte che possano compromettere il mantenimento degli attuali livelli di servizio, consentendo agli enti locali di aumentare l'offerta e la qualità del trasporto pendolare su ferro; in secondo luogo, l'individuazione di risorse adeguate per promuovere un programma di rinnovo del materiale rotabile e, infine, iniziative per il ripristino delle disposizioni di agevolazione fiscale per gli acquisti di abbonamenti annuali, come avveniva qualche tempo fa.
Infine, per quanto riguarda le merci, chiediamo che il Governo si impegni a prevedere l'adozione, in linea con gli indirizzi comunitari e con le migliori pratiche degli altri Paesi dell'Unione europea, di una graduale revisione del sistema fiscale e dei pedaggi; la definizione di un quadro nazionale della logistica; l'individuazione di un programma di selezione e valorizzazione di un'efficiente rete nazionale di trasporti; la revisione della disciplina di recepimento delle direttive europee in materia ferroviaria, superando l'attuale quadro normativo; l'adozione di indirizzi affinché Trenitalia delinei la sua strategia aziendale in coerenza con gli strumenti negoziali sottoscritti, ma anche con riferimento all'interesse nazionale del riequilibrio tra le diverse modalità di trasporto. Infine, chiediamo l'istituzione di un'apposita autorità indipendente, a tal fine favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge di iniziativa parlamentare che vertono su tale problematica, una delle quali è stata da noi presentata l'anno scorso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00409. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, è un po' deludente dover intervenire in quest'Aula deserta su un tema così importante e con una finalità, ahimè, assai modesta, forse anche un po' evanescente, quale quella di proporre all'Aula e, quindi, al Governo - ammesso che queste mozioni trovino fortuna e consensi -, un atto di indirizzo politico teso a sensibilizzare un Governo appisolato su ben altre sponde e su altri interessi, che non sono quelli dei cittadini che ogni giorno, a milioni, utilizzano i treni pendolari e, magari, imprecano per i disservizi che spesso funestano le loro giornate.
Lo affermo perché l'Aula e, prima ancora, la IX Commissione, della quale faccio parte, avevano avuto ben altro profilo di impegno, se è vero che un mese e mezzo fa, il 26 maggio 2010, si stava per discutere e approvare, con il beneplacito unanime della Commissione trasporti, la proposta di legge - che il collega Meta, che mi ha preceduto, ha ricordato, e di cui lo stesso era primo firmatario -, con la quale si chiedeva un'azione importante del Governo e dello Stato italiano, tesa a finanziare, con quattro miliardi e mezzo di Pag. 31euro, un intervento volto al rinnovamento del materiale rotabile, destinato proprio al settore del pendolarismo dei treni regionali e locali.
Anch'io penso che il Parlamento abbia perso un'occasione e abbia visto svilire la propria autorevolezza e la propria autonomia di ruolo: quel provvedimento aveva una sua semplice formulazione, perché in un articolo ben calibrato indirizzava la costituzione di un fondo a tal fine, individuando in maniera unanime - a seguito della presentazione di un emendamento della stessa maggioranza, che aveva ricevuto il parere favorevole del Governo -, quei quattro miliardi e mezzo di euro attraverso un inasprimento dell'aliquota della cosiddetta Robin tax, disposta dal decreto-legge n. 112 del 2008, con il quale il Ministro Tremonti aveva vestito i panni di Robin Hood per togliere ai ricchi e distribuire tra i poveri quello che ancora oggi aspettiamo di vedere.
Ebbene, in quel contesto, abbiamo assistito ad un capovolgimento di fronte perché, in tre ore, dall'approvazione unanime, da parte della Commissione, dell'emendamento che individuava quella specifica copertura, siamo arrivati in Aula alla richiesta di ritiro del medesimo emendamento e alla sua bocciatura, a fronte della mancata disponibilità al ritiro espressa dalle opposizioni.
Se dobbiamo prendere coscienza della situazione delle politiche ferroviarie di questo Governo e di fronte a questi atteggiamenti, ben poca consolazione ci viene dal discutere oggi di mozioni che rischiano di diventare una nuncupazione, un auspicio e quasi un'utopia, rispetto ad azioni già realizzate e concretamente perseguite dal Governo, che vanno in una direzione antagonistica ed esattamente opposta.
Al di là di questo episodio significativo, sintomatico - a mio giudizio - della debolezza di questa maggioranza, rispetto ad un Governo che mantiene atteggiamenti sempre più dispotici e direi anche confusi - se è vero che il parere del Governo sull'emendamento che citavo era stato inizialmente favorevole per poi assistere ad un revirement inaspettato - è vero anche che il Governo e la sua maggioranza hanno già dato dimostrazione eclatante di quale considerazione abbiano delle opere infrastrutturali che riguardano le ferrovie, soprattutto per quanto riguarda le tratte a breve percorrenza, ossia le tratte regionali e locali che interessano grandi flussi di pendolari.
Infatti - ci tengo a ricordarlo - c'è stato un cambiamento di rotta molto deciso rispetto alle linee di politica economica per questo settore che il precedente Governo, il tanto biasimato Governo Prodi, aveva in realtà adottato anche attraverso l'illuminata azione del Ministro Di Pietro che, non a caso, in quel breve periodo, è riuscito ad attivare molti cantieri e ad ultimare molte opere, nella logica del suo fervido attivismo.
Oggi, viceversa, abbiamo già avuto - come dicevo - dimostrazioni eclatanti della disattenzione, della disaffezione, del disinteresse del Governo verso temi così importanti, che potrebbero assumere non solo una valenza di servizio sociale per le comunità più deboli, più disagiate - che magari non hanno la possibilità di utilizzare in maniera quotidiana l'automobile e si rivolgono al trasporto pubblico locale per necessità - ma anche una sorta di finalità anticiclica, di intervento finalizzato a dare un po' di ossigeno a questa economia asfittica, a rilanciare l'occupazione, a riattivare un circuito virtuoso di cantierizzazione degli appalti e delle infrastrutture, che hanno una valenza competitiva molto spiccata anche nel sistema Paese.
Noi, viceversa, assistiamo ad una neghittosa attesa che, di tanto in tanto, si traduce anche in attacchi e falcidie vistose ai finanziamenti che il precedente Governo aveva previsto. Queste mozioni - o perlomeno la nostra - mettono in evidenza queste contraddizioni, forse in maniera più cruda di quanto non faccia il collega Franceschini nella mozione a sua firma, ma guardando in faccia la realtà, senza mistificazioni o edulcorazioni, guardando ai tagli eccessivi e scriteriati che il Pag. 32Governo ha fatto a molti fondi destinati al servizio pubblico dei viaggiatori, alle ferrovie dello Stato e alla mobilità.
La mobilità - vorrei ricordarlo - è un tema centrale nello sviluppo dell'Unione europea. È un tema citato anche dalla Costituzione repubblicana, che all'articolo 16 enuncia il diritto alla mobilità come un diritto del cittadino che non può che tradursi in un impegno da parte dello Stato a renderlo reale, efficace ed effettivo.
Il Trattato che adotta la Costituzione europea riconosce a sua volta questa libertà di circolazione e l'Unione europea diverse volte, anche alla luce degli accordi sul Protocollo di Kyoto, ha individuato programmi di riduzione dei gas dannosi, favorendo e incentivando l'infrastrutturazione ferroviaria e questo tipo di mobilità, che certamente è meno impattante e più salubre di quanto sia quella su gomma, che - lo ricordo - ha un tasso di incidenza sull'inquinamento otto volte maggiore di quella delle ferrovie.
Altrettanto dicasi per il trasporto aereo.
Pertanto, su questo terreno ci aspetteremmo un'attenzione privilegiata da parte del Governo, mentre assistiamo a tutta una serie di tagli. Per esempio, con la legge di bilancio del 2010, e segnatamente nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, missione n. 13, è stato possibile rilevare: la soppressione del capitolo 1351, cioè del fondo per il finanziamento dei servizi pubblici di viaggiatori e merci sulla media e lunga percorrenza, già privo di stanziamenti per il 2009, nonostante che la legge finanziaria 2008 avesse stanziato per quell'anno 104 milioni di euro; la soppressione del capitolo 7120 (fondo per gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato), che recava, nelle previsioni assestate per il 2009, uno stanziamento di 960 milioni di euro, in attuazione dell'articolo 25 del decreto-legge n. 185 del 2008, che il collega Toto, nella discussione in Aula su quel provvedimento Meta di cui parlavo prima, il 26 maggio del 2010, aveva enunciato come un sintomo di quanto il Governo fosse sensibile su questi temi. Ebbene, quei 960 milioni sono stati azzerati con la legge finanziaria del 2010.
Vi sono ancora riduzioni che incidono sul capitolo 1325 (sovvenzioni per l'esercizio di ferrovie), in cui lo stanziamento è stato ridotto di 1,2 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2009.
Inoltre, al capitolo 7141 (contributi per capitale e interessi per l'ammortamento dei mutui garantiti dallo Stato che le ferrovie in regime di concessione e in gestione commissariale governativa possono contrarre per la realizzazione degli investimenti), con uno stanziamento iniziale di 356,3 milioni di euro, vi è stata una riduzione di 11,4 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2009.
Vi sono state anche riduzioni finanziarie che incidono sul capitolo 7254 (fondo per promuovere lo sviluppo del trasporto pubblico locale), in cui uno stanziamento di 110 milioni di euro è stato ridotto di 20 milioni di euro rispetto all'assestamento 2009. Ricordo che il precedente Governo Prodi aveva istituito il fondo dotandolo di 113 milioni di euro per il 2008, 130 per il 2009 e 100 per il 2010 e rinviando, per gli anni successivi, alla legge finanziaria annuale.
Inoltre, questo Governo al capitolo 7403 ha tagliato uno stanziamento dedicato al concorso dello Stato alla spesa per la realizzazione di sistemi di trasporto rapido di massa a guida vincolata e di tramvie veloci nelle aree urbane: sostanzialmente vi è stata una riduzione di 56,6 milioni di euro rispetto ad uno stanziamento di 202,9 milioni di euro.
L'elenco potrebbe continuare: ho cartelle dense di questi dati, che forse possono anche tediare il pubblico autorevole dell'Aula, e quello più numeroso che all'esterno ci ascolta.
Resta però un fatto importante (passo ad un dato politico più recente, anche se parliamo di questi due anni di Governo Berlusconi), che è quello di cui anche le cronache di questi giorni offrono un report allarmante, ed anche molto preoccupante rispetto alla storia istituzionale di questo Paese: soprattutto oggi - fatemi dire queste Pag. 33cose - che abbiamo una maggioranza dominata da una Lega Nord che fa del federalismo la propria bandiera e la agita in tutti i comizi, da Pontida in giù, è paradossale che vi sia un conflitto istituzionale tra le regioni e lo Stato! Non si è mai registrato un conflitto istituzionale così acceso, così aspro, al punto da vedere i presidenti, appena eletti, del centrodestra rimettere le deleghe, con il grido di dolore di non poter assolvere alle fondamentali funzioni loro devolute da parte dello Stato.
Si tratta di un'eclatante contraddizione, che non ha uguali nella storia repubblicana, e che è paradossale avvenga proprio nel momento in cui la Lega Nord è l'ago della bilancia di questo Governo. È veramente sconcertante che di ciò non si discuta e non si traggano le conseguenze a livello politico, e direi anche elettorale.
Ma tant'è: in questo momento, con il decreto-legge n. 78 del 2010, che è in corso di approvazione a colpi di fiducia, ecco che ben 3,5 miliardi di euro per il trasporto pubblico locale in Italia vengono cancellati, ed è stata annunciata da parte dei «governatori», anche del centrodestra, una riduzione drastica di tali trasporti ferroviari. Di fronte a ciò, cosa facciamo? Discutiamo in Aula, tra il serio ed il faceto, di mozioni che invitano il Governo a cambiare rotta. Quando mai cambierà rotta questo Governo? Quando mai deciderà di non buttare 6 miliardi e mezzo di euro per costruire un'opera faraonica, che probabilmente tramanderà nella storia il nome di Berlusconi per lo Stretto di Messina, quando invece subiamo questi tagli, questi disastri nei nostri territori? Penso soprattutto al Mezzogiorno, che di ferrovie è una terra ancor più carente!
Di fronte a tutto ciò, accontentiamoci allora, sornioni, delle mozioni in esame. Aspetteremo l'esito delle loro votazioni, e poi ci metteremo sul margine del fiume ad aspettare che qualcosa passi, in questo fiume di dolore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00410. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, l'iniziativa di discutere sul trasporto ferroviario nell'Aula di Montecitorio ci sembra comunque positiva. Il sistema di trasporto su ferro - è bene ricordarlo al Paese - è quello che più difende i cittadini in quanto a conservazione e tutela ambientale, difende i cittadini in quanto a spese, a salute, e quindi si prefigge obiettivi molto, molto importanti per la comunità.
È ovvio che tutti i Governi, che si sono succeduti negli ultimi 20 o 30 anni, hanno sempre affermato che il passaggio del trasporto di persone e di merci dalla strada alla ferrovia sarebbe stato un loro primo obiettivo. Dobbiamo però constatare purtroppo che nonostante questi impegni, magari programmatici, durante le campagne elettorali, poi allo stato dei fatti è stato sempre il contrario: si è pensato prima alle strade, alle autostrade (cosa utile, evidentemente), e solo dopo si è pensato alle ferrovie.
Ricordo che il sistema autostradale italiano è nato e si è sviluppato soprattutto negli anni del boom economico (tra gli anni Sessanta e Settanta), mentre si è iniziato ad adeguare il sistema ferroviario negli ultimi 10-15 anni, quando sappiamo benissimo che l'Italia aveva per prima preso l'impegno per l'Alta velocità, con la Firenze-Roma, ma poi per lungo tempo questo impegno è stato disatteso dai Governi, e quindi siamo arrivati buoni ultimi rispetto a Francia, Spagna e anche Germania - anche se in quest'ultimo caso con minor differenza, perché in quel Paese c'erano già delle ferrovie più efficienti - per quanto riguarda il sistema dell'Alta velocità, che si è fermato purtroppo a Napoli e dintorni (intorno a Salerno, ed ancora non è completato). Guardate, l'investimento per l'Alta velocità ferroviaria è stato elevato - di oltre 50 miliardi già spesi - e si tratta di soldi che provengono dalle tasse di tutto il Paese. Mi fa specie che alcuni - anche il Ministero competente - continuino a sostenere - è un pensiero più dell'ente ferroviario che del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - che per la tratta da Napoli a Pag. 34Palermo occorra soltanto un adeguamento. È chiaro che se l'idea è quella di avere una Ferrovie dello Stato Spa che pensa di potere gestire e dare le priorità ai Governi che si succedono, è evidente che passa questa linea. Tenete presente che l'autostrada Salerno-Reggio Calabria è già in avanzato stato - almeno al 50 per cento - di realizzazione, mentre le ferrovie sono a zero. Questo dimostra che poi nei fatti gli impegni dei Governi sono messi in seconda linea. Ma fondamentalmente io ritengo che è l'assetto societario delle ferrovie a non andar bene, un assetto societario delle ferrovie con una holding che viene finanziata (è citata anche in altre mozioni oggi in discussione). Ad esempio, nella mozione presentata dal Popolo della Libertà si ricordano i finanziamenti dello Stato al gruppo Ferrovie dello Stato, a seguito dei quali il gruppo decide tra le sue aziende quale portare avanti e quale no. Ebbene, penso che sia arrivato il momento - proprio perché si è posto l'accento sia sul fatto che nel Mezzogiorno l'Alta velocità ferroviaria non si vuole portare avanti (ma si vuole soltanto realizzare un piccolo adeguamento delle ferrovie attuali) sia sulla liberalizzazione in atto in Europa (e io sono per la reciprocità ad esempio tra Italia, Francia, Spagna, non c'è dubbio, e comunque questa liberalizzazione deve rappresentare una novità, ed è una novità) - che Trenitalia non dipenda più dalla holding ferroviaria, direttamente dipendente dal Tesoro, ma sia libera e senza lacci per poter affrontare la competizione, la concorrenza con organizzazioni private e anche con organizzazioni pubbliche europee ed internazionali. Quindi, rispetto al fatto che si debbano o meno realizzare opere infrastrutturali e armamenti in zone non ritenute competitive da una società per azioni (nel senso che, a parere di una holding società per azioni, potrebbe esserci uno sbilancio tra entrate ed uscite) deve essere il Governo direttamente a gestire le infrastrutture, quindi RFI deve dipendere direttamente dal Governo, e non dalla holding, che potrebbe gestire a modo suo.
Ma il Governo, il Ministero dell'economia e delle finanze, con la partecipazione diretta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, deve decidere che anche nei territori come la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Campania, la Sicilia, occorre investire per la costruzione delle nuove infrastrutture, perché, se non si rinnovano adesso, si rimarrà ancora indietro di centinaia di anni, in questo caso, rispetto al resto del Paese. Pensate che ci sono tre doppi binari tra Roma e Napoli e tra Roma e Firenze, mentre vi è un solo doppio binario, vicino al mare, che è quello concepito all'epoca dei Borboni, per quanto riguarda la Salerno-Reggio Calabria e in Sicilia. E allora, dato che il finanziamento per la realizzazione e la manutenzione delle reti ferroviarie non costituisce aiuto di Stato, dato che è necessario certamente bilanciare, aumentare il traffico ferroviario rispetto al traffico stradale - con il primo che è andato, sempre, purtroppo, diminuendo come percentuale rispetto al traffico totale - e dato che, nei centri abitati, nelle grandi concentrazioni urbane, si verifica la maggiore produzione di prodotto interno lordo (circa il 75 per cento, si calcola, in Europa), è necessario che il volume di traffico non sia su gomma al 75 per cento, ma sia il contrario, ovvero vi siano le metropolitane, i sistemi urbani di ferro, come potrebbe essere a Roma, a Milano, a Torino e nelle altre grandi città italiane. Anche a Palermo e a Catania bisogna investire sulle ferrovie e non ridurre - certamente la coperta sarà stretta - gli investimenti sulle autostrade.
Signor Presidente, chiediamo che il Governo esamini la possibilità di assumere queste iniziative rispetto alla rete ferroviaria italiana, che unifichi i sistemi - ci sono 10-15 consigli di amministrazione - e faccia una società unica di servizi; attui, quindi, una perimetrazione precisa dei servizi universali e predisponga un piano pluriennale per infrastrutturare il Mezzogiorno, da Napoli a Bari e da Napoli a Palermo. Se ciò, quindi, sarà fatto è ovvio che questo incentiverà un maggiore uso della rete ferroviaria, sia per le merci, a Pag. 35cui bisognerebbe affidare un unico doppio binario, sia per i passeggeri del nostro Mezzogiorno d'Italia, affinché quest'ultimo possa essere considerato parte integrante del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Compagnon, che illustrerà la mozione Vietti ed altri n. 1-00411, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, voglio iniziare il mio intervento dalle varie prese di posizione, in Commissione e anche in Aula, rispetto a questo settore, quello del trasporto ferroviario, che, evidentemente, è molto delicato, strategico, nel nostro Paese, ma che, purtroppo, troppe volte, probabilmente da più parti, non solo viene visto con molta distrazione, ma diventa occasione di grandi promesse, di grandi slogan di campagna elettorale, salvo poi, se non lasciare le cose come stanno, cambiare veramente poco. Ricordo che, qualche settimana fa, in Assemblea, abbiamo discusso un provvedimento, arrivato forse in maniera molto genuina, dal punto di vista degli intenti trasversali, ma, sicuramente, non sufficientemente approfondito dalla maggioranza per quanto attiene l'impegno economico; esso prevedeva degli stanziamenti per un reale intervento nei confronti del materiale rotabile e, comunque, era finalizzato ad una risposta che, da più parti, viene richiesta e che è quella, soprattutto, del pendolarismo il quale ha sempre più bisogno di un servizio all'altezza, puntuale, capace di mitigare un po' quelle che sono le difficoltà dei trasporti delle centinaia di migliaia, per non dire milioni, di persone che si muovono per lavoro.
Di per sé la linea ferroviaria e il mondo del trasporto ferroviario sono da tempo un po' nell'occhio del ciclone, nel senso che si sono fatte tante trasformazioni in termini societari, di gestione e di conduzione e credo che, forse, con una certa liberalizzazione invece di migliorare si sia un po' peggiorata la situazione. È chiaro che a monte di tutto questo c'è la necessità di avere finanziamenti che possano veramente essere impiegati e finalizzati a fare il salto di qualità.
Pertanto a fronte di un'iniziativa legislativa che è morta in quest'Aula, dopo che aveva trovato ampia convergenza in Commissione, a fronte di situazioni quotidiane di difficoltà evidentemente a quelli come noi è rimasta la possibilità di presentare questa mozione insieme ad altri per cercare di dare una spinta e stimolare, se possibile, questo Governo e questa maggioranza, ma non tanto la maggioranza quanto il Governo e non tanto solo il Governo quanto il Ministro che, come si suol dire, ha mano tutti i cordoni della borsa, a operare scelte diverse.
È da inizio legislatura che noi del gruppo UdC sosteniamo che è terribilmente sbagliato impostare i tagli, ancorché necessari, senza entrare nel merito in maniera così orizzontale, senza entrare nel merito delle vere priorità di questo Paese. È certo che scegliere prioritariamente significa aver coraggio, significa forse anche inimicarsi qualcuno, significa forse non tutelare interessi verso i quali c'erano state promesse, ma credo che prima di tutto e sopra tutto ciò che interessa alla politica è fare quanto veramente serve al Paese, curare veramente gli interessi del Paese e soprattutto dei settori più deboli, dei settori più in difficoltà, dei settori meno coperti. Questa è un'occasione, ancorché per adesso teorica, di poter prendere decisioni diverse da prima.
In questo intento ci viene incontro anche la posizione dell'Unione europea. Noi ormai viviamo nel contesto europeo, siamo soggetti alle leggi che anche noi con i nostri rappresentanti continuiamo ad approvare in Europa, potremmo essere d'accordo o non d'accordo, potremmo essere convinti o meno convinti, ma la realtà è che a fronte di una legislazione europea è ovvio, vale per tutti, che anche il nostro Governo dovrebbe, qualunque esso sia e di qualunque colore, rispettarle.
Il 24 giugno 2010 l'Italia, assieme peraltro anche ad altri Paesi, ma noi dobbiamo guardare il nostro, è stata deferita alla Corte di giustizia europea per non aver pienamente adeguato la normativa Pag. 36nazionale a quanto previsto dal primo pacchetto sulla liberalizzazione dei servizi ferroviari. In una nota della Commissione si legge che l'applicazione incompleta delle misure destinate ad aprire il mercato ferroviario ha causato la mancanza di opportunità per gli operatori di offrire servizi in altri Paesi dell'Unione così come ha privato la clientela di una maggiore scelta dei servizi di competizione. È chiaro che anche secondo l'Autorità garante della concorrenza si è notata un'impressionante progressione di norme volte a frenare il mercato. Se pensiamo come le percentuali di uso della strada, della ferrovia e dell'aereo siano sempre così distanti e se andiamo soltanto a vederle per il trasporto delle merci - fino a poco tempo fa avevamo il 50 per cento sulla strada, l'8 per cento sulla ferrovia, il 4 per cento sulle vie navigabili - siamo distanti mille miglia dal tentare di risalire questa china. Se poi pensiamo addirittura al trasporto passeggeri - siamo dal 75 all'80 per cento su strada, contro un 11 per cento complessivo tra ferroviario e aereo - siamo veramente distanti. In più c'è la questione ambientale che non possiamo sottovalutare per la sua importanza globale. La stessa Commissione europea ha richiamato l'Italia a ridurre le emissioni entro il 2020 del 13 per cento rispetto al 2005 nei settori non rientranti nel sistema di scambio delle quote di emissione, tra cui i trasporti.
Nonostante questo, da dati ben precisi si evidenzia che, continuando questa situazione così o non facendo nulla affinché essa cambi, le emissioni dei trasporti su strada cresceranno invece nel nostro Paese del 14 per cento nel medesimo periodo, con uno sforamento rispetto all'obiettivo di oltre 31 milioni di tonnellate di CO2. Soltanto questi pochi punti ci fanno capire, senza entrare nel merito adesso della questione economica, come dicevo prima, come il nostro Paese sia in ritardo e come questo Paese e quindi questo Governo, questa maggioranza o quelli che la seguiranno devono per forza di cose riprendere in mano tale settore in maniera totalmente diversa.
Dunque con la nostra mozione noi dell'Unione di Centro abbiamo tentato di chiedere e speriamo che alla fine il Governo non la tratti come le altre, come pezzi di carta magari da riunire, con l'intento buono di farne una, per dimostrare che vi è volontà, per poi metterla nel cassetto, ma che diventi veramente stimolo. Potrebbe anche essere fatto in questi giorni, prima della doppia fiducia annunciata già dal Presidente del Consiglio sulla manovra economica. Pertanto noi, con i nostri punti di impegno chiesto in questa mozione, invitiamo a rilanciare il sistema ferroviario italiano, programmando la creazione di uno spazio ferroviario integrato, efficiente, competitivo e sicuro, mettendo a punto una rete apposita per il trasporto merci.
Caro Presidente, so che anche lei ha un problema di tempo, quindi mi stavo avviando verso la conclusione e volevo anticipare il suo scampanellio per dimostrare che mantengo gli impegni presi. Non le faccio l'elenco e mi riservo in sede di dichiarazione di voto di specificare bene, augurandomi magari di non doverlo fare se il Governo lo accetterà. Mi auguro che non rimangano intenti, che il Governo semplifichi questa situazione dal punto di vista gestionale e si impegni in termini economici a dare delle risposte. Sud e nord, est ed ovest, tra aerei e ferrovie vi è una mancanza atavica: credo che si possa cominciare a dare qualche risposta più concreta (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Toto, che illustrerà anche la mozione Valducci, Montagnoli, Iannaccone ed altri n.1-00412, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

DANIELE TOTO. Signor Presidente e onorevoli colleghi, la mozione presentata dal gruppo del Partito Democratico è certamente orientata da due premesse ben definite. La prima è relativa al ruolo determinante delle infrastrutture di trasporto per la crescita del Paese e quindi Pag. 37per la sua capacità di svilupparsi e di creare benessere. La seconda è inerente alla priorità che, nell'ambito della politica dei trasporti, dovrebbe essere riservata al trasporto ferroviario, sia per il minor impatto ambientale, sia per ovviare alle notevoli implicazioni negative derivanti dalla congestione del traffico stradale. Ebbene le premesse, entrambe indiscutibilmente vere, consentono una valutazione dell'operato all'attivo per il periodo di legislatura trascorso, scevra da pregiudizi.
Oggettivamente si deve in primo luogo riconoscere che, nonostante la crisi internazionale generatasi nella seconda metà dell'anno 2008 e le pesanti ripercussioni anche sui conti pubblici, vi è stato un indubbio impegno finanziario, peraltro riconosciuto nella premessa della mozione stessa, ancorché solo parzialmente. È bene in proposito ricordare che già il decreto-legge n. 112 del 2008 prevedeva un finanziamento in favore del gruppo Ferrovie dello Stato di ben 300 milioni di euro. Successivamente, con il decreto-legge n. 185 del 2008, è stato istituito un fondo di 960 milioni di euro, destinato all'acquisto di nuovo materiale rotabile per il trasporto pubblico regionale e locale.
Con un ennesimo decreto-legge, sono stati stanziati 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 per assicurare la stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia. Si prevedeva che l'utilizzo di tali risorse dovesse rispondere a criteri di razionalizzazione e miglioramento di efficienza, in modo da rendere sufficienti i finanziamenti individuati e, al tempo stesso, evitare incrementi tariffari. In effetti, esattamente in virtù delle risorse messe a disposizione con il decreto-legge n. 185, è stato possibile pervenire, nella maggior parte delle regioni, alla stipula dei nuovi contratti di servizio e introdurre, nella definizione dei contratti stessi, una metodologia innovativa, che comporta l'individuazione da parte di Trenitalia di un catalogo di servizi con i prezzi proposti dalle regioni per l'acquisto e adottati sulla base di criteri oggettivi e trasparenti.
In questo modo, si è mirato ad una razionalizzazione dei costi che non pregiudicasse il livello dei servizi.
In connessione con gli interventi richiamati, Trenitalia ha avviato un consistente piano di investimenti nel settore del materiale rotabile, con oltre 2 miliardi di euro destinati all'acquisto di 840 nuovi locomotori, carrozze e convogli, e alla ristrutturazione di oltre 2.500 carrozze.
È incontrovertibile il verificarsi di situazioni di criticità nel trasporto dei pendolari ed è pur vero che queste situazioni hanno radici anche in una condizione generale del territorio del Paese, caratterizzato da rilevanti barriere geografiche e connotato da un'ampia diffusione di insediamenti urbani.
In ogni caso, proprio le ragioni di lavoro e di studio che motivano il traffico pendolare e l'entità della popolazione coinvolta richiedono uno specifico impegno per assicurare servizi adeguati, sia in ordine ai collegamenti effettuati, sia in ordine alla qualità dei servizi, alla puntualità e alla condizione dei treni. Già nella seduta del 4 febbraio scorso, l'Assemblea della Camera ha approvato quattro mozioni, presentate da diversi gruppi parlamentari, volte a sollecitare una particolare attenzione del Governo sul tema.
Le misure, anche di carattere finanziario, che ho richiamato, dimostrano, tuttavia, che l'attenzione non è mai mancata. Oltre che sul piano delle risorse, si è operato anche su quello dell'individuazione precisa e trasparente dei servizi e dei relativi costi. Ho già menzionato le nuove modalità per la definizione dei contratti di servizio regionali.
Nella mozione in oggetto si sottolinea, giustamente, l'importanza dell'indagine conoscitiva, finalizzata alla perimetrazione dei servizi ferroviari universali da mantenere in esercizio tramite contratti di servizio pubblico. Tuttavia, al riguardo, occorre evidenziare che, con delibera CIPE del 17 dicembre 2009, sulla base dell'indagine conoscitiva predisposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 2, comma 253, della legge finanziaria per il 2008, citato dalla Pag. 38mozione di cui il primo firmatario è l'onorevole Franceschini, è stato individuato il perimetro dei servizi di utilità sociale relativi al trasporto passeggeri sulla media e lunga percorrenza, per i quali non è possibile raggiungere l'equilibrio economico e che dovranno, pertanto, essere mantenuti in esercizio tramite l'affidamento di contratti di servizio pubblico.
D'altra parte, ritengo assolutamente sbagliato creare una contrapposizione tra la realizzazione e l'attivazione della rete ad alta velocità/alta capacità ed il traffico pendolare o servizio pubblico. La realizzazione della rete ad alta velocità e, nell'arco di un periodo limitato di tempo, la sua attivazione dal nord al sud d'Italia, rappresentano veramente un salto di qualità nella dotazione infrastrutturale del Paese. È un risultato per il quale non è dato altro che esprimere apprezzamento. Ritengo che al raggiungimento di questo risultato abbia contribuito in modo significativo la costante volontà dei Governi di centrodestra, a partire dal 1994, di assicurare la realizzazione delle opere pubbliche strategiche per il Paese, concentrando su questo obiettivo tutte le risorse che era possibile reperire e superando le innumerevoli difficoltà di ordine procedurale ed amministrativo.
È, senza dubbio, condivisibile esprimere nei confronti del Governo indirizzi volti ad ampliare ulteriormente la rete già realizzata, sia in relazione ai collegamenti compresi all'interno dei grandi assi transeuropei, sia in relazione alle linee che assumono una particolare rilevanza per ampie aree del territorio nazionale. Tra queste ultime, deve essere sicuramente inclusa la linea ad alta velocità Bari-Napoli, che è stata, più volte, oggetto di atti di indirizzo all'esame della Commissione trasporti della Camera, sui quali - voglio dirlo - si è registrato un consenso pressoché unanime.
Occorre ricordare in proposito, che il potenziamento della linea è inserito tra le opere della legge obiettivo e che è in approvazione il progetto preliminare delle tratte prioritarie. Occorre, d'altra parte, avere consapevolezza delle dimensioni dell'opera. Trattasi di un'opera per cui sono stati previsti investimenti complessivi per 5,3 miliardi di euro, di cui già due disponibili per la prima fase di realizzazione.
Come non si deve contrapporre l'alta velocità con il servizio pubblico, così non si dovrebbe citare l'obiettivo del risanamento aziendale di Ferrovie dello Stato in correlazione con un presunto ridimensionamento del servizio. Il risanamento del bilancio di Ferrovie dello Stato è una condizione essenziale per il proseguimento della loro attività e, in definitiva, per il funzionamento del trasporto ferroviario in Italia.
Nella mozione presentata dall'onorevole Franceschini si riporta un dato ripreso dal materiale fornito alla Commissione trasporti in una audizione dei vertici delle Ferrovie dello Stato della fine del 2008 in cui si evidenzia come il ricavo per passeggeri al chilometro in Italia sia significativamente inferiore rispetto alla Francia o alla Germania, tanto per la quota di ricavo derivante dai contributi delle amministrazioni pubbliche, tanto per quella derivante dal traffico; è un dato molto indicativo. Al tempo stesso, bisogna riconoscere come sia estremamente difficile incrementare l'una e l'altra voce da cui il ricavo è costituito. L'incremento dei contributi pubblici si scontra con l'entità del debito e del deficit dei conti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche. L'incremento dei ricavi da traffico, ossia l'aumento del costo dei biglietti del trasporto ferroviario comporta, nella grande maggioranza dei casi, e in particolare per il traffico pendolare, un costo sociale assai pesante. Proprio partendo da questa realistica considerazione delle condizioni di base non si può non riconoscere il valore di una gestione che in un periodo relativamente breve è riuscita a recuperare perdite ingenti e ricondurre i conti delle ferrovie, di fatto, in pareggio. Si deve altresì considerare, che per quanto riguarda la situazione finanziaria e le prospettive di sviluppo delle Ferrovie dello Stato, non meno importante dell'entità dei contributi pubblici è la certezza di un arco Pag. 39temporale sufficientemente ampio in cui gli impegni dello Stato saranno mantenuti.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DANIELE TOTO. Nella mozione presentata dal gruppo del Partito Democratico, si cita la parte relativa alla relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria in cui si sottolinea l'esigenza di certezza, per un periodo sufficientemente lungo, delle risorse pubbliche destinate ai servizi e agli investimenti. In assenza di queste condizioni non è definibile alcuna programmazione. Ebbene, in una prospettiva generale, è in questo contesto che deve essere considerato tutto il problema delle mozioni sulle Ferrovie ed occorre impegnarsi in questa direzione: rispetto allo specifico riferimento alla direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2009, oggetto anche di contenzioso, bisogna peraltro segnalare che l'elenco degli impianti attualmente a disposizione delle imprese ferroviarie interessante allo scalo merci, che è fondamentale per quanto riguarda il mercato ferroviario, è stato ampliato rispetto ai 71 impianti indicati in precedenza, garantendo alle imprese ferroviarie la disponibilità di ulteriori 61 impianti merci.
In conclusione, il trasporto ferroviario di passeggeri e merci è un elemento essenziale per lo sviluppo del Paese ed è sicuramente positivo che questo tema sia oggetto di discussione da parte dell'Assemblea della Camera. Rispetto alle questioni sollevate nella mozione che è stata presentata, ho ritenuto opportuno segnalare i fatti positivi e i risultati raggiunti da questo Governo. Per questo inoltre preannuncio senza dubbio la presentazione, anche da parte del gruppo del Popolo della Libertà di una mozione che, nel rendere conto degli interventi finora effettuati, sia dal punto di vista finanziario, sia di quello normativo, impegni il Governo a proseguire in una politica di liberalizzazione dei servizi del trasporto ferroviario merci e passeggeri in condizione di parità con gli altri Stati europei (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Montagnoli. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, oggi stiamo intervenendo in sede di discussione generale su una mozione sicuramente importante che riguarda il trasporto ferroviario. Ho letto le mozioni presentate da tutti i partiti politici, ho ascoltato gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Innanzitutto mi preme sottolineare che forse questa mozione è stata anche l'occasione per parlare di altre cose, è giusto anche chiarirlo, perché ogni volta che interviene l'Italia dei Valori si dice che qui non c'è nessuno, effettivamente siamo in tre oggi presenti in questa discussione generale, ma è anche giusto dare atto delle presenze, l'Italia dei Valori, con l'Unione di Centro, è il partito meno presente alle votazioni in questo Parlamento, il partito più presente è proprio la Lega Nord Padania con il 92,87 per cento: sono polemiche sterili che sentiamo ogni volta.
Sappiamo quanti sono gli italiani, quei 13 milioni che usano tutti i giorni le nostre ferrovie, su cui l'Assemblea, ma anche la Commissione in più momenti sono intervenute a discutere per il miglioramento dei servizi. Su questo ci sono state varie discussioni anche con l'attuale direzione della società e penso che sicuramente ci siano da migliorare determinati sistemi. Il Governo, in questa fase economica non facile, ha però, fin dalla finanziaria 2008, impegnato delle risorse importanti, ma lo ha messo nel programma di Governo che ha proposto agli italiani e su questo sta lavorando: non solo direttamente sul problema ferroviario, ma su tutto quello che è il comparto che si lega alla ferrovia, come la logistica: qui c'è il sottosegretario Giachino che in questo settore sta lavorando tantissimo e a cui vanno gli apprezzamenti. Pag. 40
Sono state stanziate delle risorse, già accennate dal collega Toto, di 300 milioni di euro per il gruppo Ferrovie e di 480 milioni di euro per il triennio; inoltre, si è portata in discussione una proposta, inizialmente del PD, e la maggioranza non si è sottratta dalla scelta. È evidente, infatti, che in un momento in cui ci sono poche risorse pubbliche - in cui le opere stradali vengono eseguite con il sistema della finanza di progetto a pedaggio, e anche in questo settore, tra l'altro, il nostro Paese presenta dei ritardi - per il gruppo della Lega si tratta di scelte motivate da proposte portate in Parlamento qualche mese fa; trovare le risorse per il materiale rotabile era, infatti, legato all'aumento della benzina.
Ritengo che gli italiani stiano già pagando troppo la benzina e, per questo, si è proposto di accantonare quella proposta e di trovare altre scelte di copertura. La maggioranza non ha detto «no», siano ancora disponibili a discutere ma bisogna trovare le coperture adeguate perché, sicuramente, sono risorse che vanno a beneficio dei nostri cittadini. Su questo siamo aperti a ridiscutere, e anche velocemente, troviamo però le risorse corrette e non mettiamo ancora le mani nelle tasche dei nostri cittadini. Anzi, si potrebbe aprire un capitolo apposito sugli aumenti dei costi delle benzine.
Sicuramente sono state messe in rilievo delle problematiche ma non sono stati messi in rilievo i risultati: l'alta velocità/alta capacità, infatti, sta vivendo oggi un momento importante e dà dei risultati importanti ai nostri cittadini. Bisognerebbe, invece, porsi delle domande sul perché abbiamo un sistema che ha perso tanti anni, e mi riferisco ai famosi «no TAV». Tuttavia, i cittadini lo hanno capito perché alle ultime elezioni hanno cambiato governatore ed hanno eletto Cota. Il precedente presidente, infatti, era succube dei «no TAV» i quali hanno danneggiato non solo il Piemonte ma tutto il sistema Paese. Questo è un dato oggettivo; e questo Governo, con il suo Ministro, sin dall'inizio lo ha detto, la TAV è un'opera che dobbiamo assolutamente realizzare.

RENATO CAMBURSANO. Vedremo quando si pronuncerà il TAR.

ROBERTO GIACHETTI. Staremo qui fino a domani.

RENATO CAMBURSANO. Io sono sempre stato a favore.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. So che voi dell'Italia dei Valori siete abituati... avete perso le elezioni anche per la questione dei «no TAV», dite quello che volete ai cittadini, il voto è sempre previsto.

PRESIDENTE. Onorevole Montagnoli, si rivolga al Presidente.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Ho sentito degli accenni - legati a questa mozione - alla finanziaria attualmente in discussione al Senato, nella quale, sicuramente, vi saranno delle riduzioni di spesa e ho sentito citare alcuni neo governatori, ma non mi risulta che Cota o Zaia, per esempio, facciano discussioni.
Certo, dei tagli di spesa ci saranno, ma ritengo che il margine per le regioni ci sia, e non è detto che i tagli saranno sul trasporto pubblico locale; questa sarà una scelta che farà ciascun governatore, ed è fondamentale che il Governo continui nella scelta fatta sin dall'inizio, e sviluppi tutti i corridoi. Infatti, ho sentito tanto, e troppo, parlare della Napoli-Bari, ma abbiamo il programma dell'alta capacità che deve andare in Lombardia, in Veneto e a Trieste; cosa, quest'ultima, su cui stiamo lavorando al Senato nella logica di trovare le risorse per far sì che le progettazioni possano continuare.
Sicuramente sono scelte che oggi paghiamo per la carenza di risorse, e c'è un capitolo importante: penso che tanti abbiano responsabilità riguardo, ad esempio, al contributo per la copertura dei disavanzi del Fondo pensioni per il personale FF.SS. pari a tre miliardi e 900 milioni di euro. Scelte del passato le stiamo pagando oggi. Tuttavia, questo Governo ha le idee chiare e la mozione presentata dalla maggioranza - Pag. 41a firma del PdL e del PD - mette nero su bianco quelle che devono essere le scelte nel proseguimento della politica attuale e nel dare le risposte ai pendolari come la scelta - criticata da più parti, da nord a sud del Paese - di un miglioramento dei contratti di servizio e degli orari. Sicuramente, dobbiamo continuare nelle operazioni in questo settore fondamentale, anche per la tutela del nostro ambiente e un miglioramento della qualità ambientale, e su questo ci crediamo fermamente.
Esprimeremo sicuramente il nostro voto favorevole su questa mozione, chiedendo il rispetto dei pendolari e degli accordi internazionali sui corridoi, soprattutto collegandosi anche a quella che è la realtà produttiva del Paese.
Chiediamo anche che siano rispettati i tempi perché è fondamentale al giorno d'oggi, per essere al livello degli altri Paesi europei, che le opere siano realizzate in tempi rapidi. Questo è l'impegno che abbiamo come amministratori locali e invitiamo anche il Governo a prenderne atto, auspicando che possa essere uno stimolo in più per il sottosegretario Giachino, presente in Aula, e per il Ministro per far sì che queste opere siano realizzate reperendo le risorse per questo settore fondamentale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Secondo quando previsto dall'ordine del giorno, il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 12,10).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo a norma dell'articolo 16, comma 2, del Regolamento, non prima di aver evidenziato un piccolo dato di stile.
Atteso che questo Parlamento e questa Camera hanno un Regolamento che deve essere rispettato e atteso che chiaramente l'onorevole Montagnoli non si era iscritto nei tempi previsti, per intervenire nella discussione sulle linee generali, chiedo che almeno lo stesso abbia la cortesia non certo di non fare le proprie critiche politiche, che sicuramente può e deve continuare a svolgere, ma di non alterarsi se qualcuno interrompe un intervento che non era dato e che, non a caso, è stato collocato al termine della discussione sulle linee generali in modo improprio e quasi a replica, per così dire, da parte del gruppo della Lega del dibattito che si è svolto. Tale intervento non si sarebbe potuto tenere e solo la cortesia e il bon ton che impronta i nostri rapporti hanno comportato l'assenso a situazioni non previste dal Regolamento; ma, santo Dio, che abbia almeno la cortesia, nel momento in cui interviene, di tenere conto almeno di questo fatto.
Chiarito questo punto, signor Presidente, poiché il Regolamento è uno strumento serio e va rispettato, telegraficamente le rivolgo una richiesta.
Mi rivolgo a lei, in modo improprio, affinché lei, anche per la sua carica istituzionale, possa consegnare al Presidente della Camera, che è colui che deve decidere nel merito, questa mia breve riflessione. Signor Presidente, mi riferisco ad una vicenda di cui lei, in qualche modo, è stato anche il «gestore» e che era iniziata prima del suo turno di Presidenza. Mi riferisco all'intervento del Ministro Calderoli dopo il voto sul provvedimento relativo alla Carta delle autonomie.
Non ho alcuna intenzione di rendere pubblica una corrispondenza tra il presidente del gruppo del Partito Democratico il quale ha scritto al Presidente della Camera per stigmatizzare quel tipo di comportamento tenuto dal Ministro Calderoli che, a nostro avviso e a norma di Regolamento, non doveva essere consentito. Pag. 42
Vi è stata una risposta da parte del Presidente Fini e - lo ripeto - sono interessato solo alla parte relativa alla richiesta che le sto rivolgendo, in base al Regolamento. Il Presidente Fini scrive al presidente Franceschini, che chiedeva che non si ripetesse più una cosa del genere, affermando che in relazione a quanto previsto dall'articolo 64 della Costituzione, ripreso poi in due articoli del Regolamento, alla luce - dunque - del contenuto di tali disposizioni il Presidente di turno non avrebbe potuto negare al Ministro la parola che aveva richiesto. Vi è poi anche un'altra piccola inesattezza che rimarcherò.
Signor Presidente, se veramente questa fosse la conclusione - e per questo mi richiamo all'articolo 16, comma 2, del Regolamento - chiedo che della questione, sempre che il Presidente la riterrà degna di valutazione, sia investita la Giunta per il Regolamento. Credo che quella che può apparire una questione capziosa sia, invece, molto seria. Infatti, essa sta ad indicare anche quale sia, dal punto di vista della discussione, il rapporto tra il Parlamento e il Governo.
Sostanzialmente, interpretando, anzi traslando nella risposta del Presidente quella che è stata la soluzione che le era stata suggerita in occasione dell'intervento del Ministro Calderoli, si sostiene che quanto previsto dall'articolo 64 della Costituzione e richiamato, si dice nella lettera, nell'articolo 37 (esattamente e testualmente come previsto dalla Costituzione), sia un elemento che impedisce di non concedere la parola al Ministro ogni qual volta egli la chieda. Ciò vuol dire che se mentre discutiamo dei trasporti arriva il Ministro Ronchi che ci vuole parlare, per esempio, della straordinaria performance della Spagna ai mondiali di calcio, egli può prendere la parola e parlare; ovvero, se viene il sottosegretario Cosentino e ci vuole spiegare le ragioni, magari mentre stiamo discutendo il disegno di legge finanziaria, del problema che lo riguarda dal punto di vista giudiziario, può prendere la parola e parlare.
Signor Presidente, lei si rende conto che la conclusione cui si arriva è, a mio avviso, una conclusione troppo leggera anche dal punto di vista formale, fragilissima, logicamente - me lo consenta, signor Presidente - aberrante, politicamente assai modesta e sostanzialmente assai perniciosa.
Peraltro, i richiami che si fanno da parte del Presidente della Camera sono all'articolo 37, comma 1, del Regolamento che esattamente riprende testualmente quanto previsto dalla nostra Costituzione.
Tuttavia, mi permetto, signor Presidente, sempre affinché di ciò possa essere investita la Giunta per il Regolamento: non a caso la testualità di quanto previsto dalla Costituzione è prevista nel Capo del Regolamento che si riferisce alle sedute, alla discussione generale; non è un caso che ci sia un secondo richiamo di quanto previsto dalla Costituzione, che limita però i diritti del Governo...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO GIACHETTI. ...si tratta del richiamo all'articolo 50, comma 2, del Regolamento, dove si dice che i Ministri, dopo tali dichiarazioni di voto, possono intervenire, e questo riaprirebbe, di fatto, la discussione. Non a caso quest'ultima norma è collocata nel Capo relativo alle votazioni; momento esattamente simmetrico a quello che stavamo vivendo quando lei presiedeva. Non a caso addirittura si era conclusa la votazione finale e il Ministro ha chiesto di parlare subito dopo, cioè quando il provvedimento non era più in esame; ciò esattamente nella logica per cui un Ministro si alza e apre un dibattito «sulla qualunque», perché il dibattito comunque lo aprirebbe.
Signor Presidente, penso che l'esigenza di regolare quanto previsto dal Regolamento sulla possibilità del Governo di prendere la parola quando vuole, deve essere rivista dalla Giunta per il Regolamento perché c'è un'interpretazione che si può dare delle norme e soprattutto bisogna vedere dove esse sono collocate.
Mi limito - e chiudo, signor Presidente - a segnalare che c'è una inesattezza - e Pag. 43lei è testimone di questo - su quanto ci risponde il Presidente della Camera, e cioè che nessuno aveva chiesto di intervenire nel merito. Signor Presidente, lei sa perfettamente che nessuno poteva intervenire nel merito per la semplice ragione che il Ministro Calderoli appena finito di parlare, ha alzato i tacchi e se ne è andato. Quindi, l'unica cosa su cui potevamo intervenire era sull'ordine dei lavori, e così abbiamo fatto. Si sarebbe dovuta almeno riaprire la discussione sulle dichiarazioni del Ministro.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, riferirò certamente il contenuto del suo intervento al Presidente Fini e anche la sua richiesta circa l'eventuale convocazione della Giunta per il Regolamento, nell'ambito della quale riportare i contenuti delle sue osservazioni.
Sospendiamo a questo punto la seduta che riprenderà, anche per consentire lo svolgimento della riunione dell'Ufficio di Presidenza, alle 15,30, con votazioni a partire dalle 16.

La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 15,35.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno, Caparini, Jannone e Mazzocchi sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,37).

LUCIA CODURELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, intervengo per chiedere al Governo, nella persona del Ministro delle infrastrutture, che venga a riferire urgentemente sulla situazione della paralisi della strada statale n. 36. Si tratta di un'arteria di fondamentale importanza per la Valtellina e non solo.
L'intervento è stato da me già richiesto e sollecitato a fine gennaio, alla luce dell'interruzione a causa di una frana nei pressi del comune di Varenna. In merito, il Governo si impegnò, auspicò un coordinamento stretto e ammise che occorrevano risorse economiche ingenti sia per il ripristino, sia, soprattutto, per la prevenzione. Non ci voleva certamente la sfera di cristallo per capire che, con l'estate e i lavori ancora da fare, il tutto sarebbe esploso.
Siamo in presenza di una valle in ginocchio con una perdita di 600 mila euro alla settimana di costi aggiuntivi (una stima fatta dalla Confindustria di Sondrio, non certamente da chi vi parla). Solo la settimana scorsa, inoltre, è stato annunziato un piano anti-code che poi, durante il fine settimana, si è rivelato veramente inefficace e ha creato assolutamente più problemi.
Credo che, a fronte di un fallimento di questo tipo, di una gestione non oculata e non capace (le province non si sono parlate e l'ANAS ha sottovalutato enormemente questo problema), a fronte di un vertice tenutosi ieri all'ANAS di Milano senza la provincia di Sondrio, tutto ciò sia assolutamente inconcepibile.
Ecco perché chiedo che il Governo venga a riferire in merito, al fine di superare una situazione di una gravità incredibile per la Valtellina e per tutto il lago per i prossimi mesi, perché pare che i lavori termineranno solo a fine settembre e questa è una situazione assolutamente intollerabile.
Un bravo giornalista questa mattina così scriveva: «Questo è l'esempio chiaro di una cattiva gestione della politica e dell'ANAS che assolutamente non è stato in grado di valutare l'enormità della situazione». Pag. 44
Ecco perché chiedo che il Governo venga a riferire urgentemente rispetto a questo tema (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Codurelli, ovviamente sarà cura della Presidenza andare nella direzione di quanto lei ora richiamava.

Discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Reguzzoni ed altri; Lulli ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale (Doc. XXII, nn. 12-16-A) (ore 15,42).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati Reguzzoni ed altri; Lulli ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Vignali, ha facoltà di svolgere la relazione.

RAFFAELLO VIGNALI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento che siamo chiamati a votare oggi è importante. Il tema della contraffazione è, infatti, assai grave.
La settimana scorsa nella prima giornata nazionale anti-contraffazione organizzata da Confindustria con il supporto dei Ministeri dello sviluppo economico, delle politiche comunitarie e degli affari esteri si è stimato che questo fenomeno incide sul nostro sistema per circa 18 miliardi di euro all'anno, sottrae al fisco circa 5 miliardi di euro e pregiudica posti di lavoro per circa 130 mila unità. Secondo Coldiretti questo fenomeno solo nell'ambito dell'agroalimentare comporterebbe un giro di affari di circa 60 miliardi di euro. Ciò fa capire bene l'importanza di questo fenomeno.
Venendo al contenuto, questo provvedimento è frutto di un testo unificato adottato dalla X Commissione (Attività produttive) e propone di istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta monocamerale sulla contraffazione e la pirateria commerciale.
Il provvedimento nasce appunto dall'esigenza di costituire un quadro conoscitivo certo e univoco sul fenomeno della contraffazione, poiché per contrastare la contraffazione è necessaria, anzitutto, una profonda conoscenza di detto fenomeno.
Pertanto, l'istituzione della Commissione di inchiesta si pone l'obiettivo di raccogliere dati fondamentali per combattere il fenomeno e di studiare le prassi già sperimentate a livello europeo e la legislazione applicata nei singoli Paesi membri dell'Unione europea, allo scopo di creare una base di conoscenze utili per l'ammodernamento della legislazione, per il rafforzamento delle istituzioni impegnate nella lotta alla contraffazione, nonché per rispondere alle richieste dell'Unione europea in questo campo.
Il testo unificato si compone di cinque articoli. L'articolo 1 prevede l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della diffusione delle merci contraffatte (cioè le merci che recano illecitamente un marchio identico ad Pag. 45un marchio registrato) e delle merci usurpative (cioè le merci che costituiscono riproduzioni illecite di prodotti tutelati da diritti di proprietà intellettuale) in campo commerciale, al fine di approfondire la loro conoscenza per poterli contrastare efficacemente e di studiare le buone prassi già sperimentate a livello europeo, compresa la legislazione degli altri Stati membri dell'Unione europea.
In particolare, la Commissione ha il compito di accertare i risultati raggiunti e i limiti istituzionali, tecnologici, normativi, organizzativi e finanziari a livello nazionale che hanno reso inadeguate le azioni delle istituzioni nel contrastare i fenomeni in questione anche per il loro mutevole cambiamento. A tali fini, la Commissione provvede a raccogliere dati e informazioni relativi alle diverse realtà territoriali e produttive, con particolare riferimento ai distretti produttivi italiani, per accertare la dimensione e le caratteristiche del fenomeno.
L'articolo 2 detta le disposizioni concernenti la composizione e durata della Commissione, stabilendo che essa è costituita da ventuno deputati nominati dal Presidente della Camera in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi parlamentari, assicurando in ogni caso la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo. La durata della Commissione coincide con quella della XVI legislatura.
L'articolo 3 definisce, in conformità alla Costituzione ed alle previsioni regolamentari, i poteri della Commissione e i relativi limiti. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, e non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione nonché alla libertà personale, ad eccezione dell'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
La Commissione può richiedere agli organi e agli uffici della pubblica amministrazione copia di atti e documenti da essi detenuti in materia attinente alle finalità di cui al provvedimento in esame. La Commissione può richiedere copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché relativi a indagini e inchieste parlamentari; l'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e documenti anche di propria iniziativa.
La Commissione mantiene il segreto funzionale fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia sono coperti da segreto.
La Commissione individua gli atti e i documenti da non divulgare, anche in relazione a esigenze riguardanti altre istruttorie o inchieste; devono comunque essere coperti dal segreto gli atti, le assunzioni testimoniali e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle stesse indagini.
Per il segreto d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti in materia ed è sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Per il segreto di Stato si dispone l'applicazione della disciplina prevista dalla legge n. 124 del 2007, di riforma dei servizi di informazione e sicurezza e di disciplina del segreto di Stato.
Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, alle audizioni a testimonianza rese davanti alla Commissione d'inchiesta si applicano gli articoli da 366 a 384-bis del codice penale, che sanzionano una serie di delitti contro l'attività giudiziaria.
L'articolo 4 disciplina l'obbligo del segreto, prevedendo che i componenti della Commissione, il personale addetto e ogni altra persona che collabora con la medesima o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3 che la Commissione abbia sottoposto al segreto funzionale.
L'articolo 5 detta, infine, specifiche norme in ordine all'organizzazione interna, prevedendo l'adozione di un regolamento Pag. 46interno e individuando le risorse di cui la Commissione può avvalersi nell'espletamento della sua attività.
Questo, nel dettaglio, è l'articolato del provvedimento.
Nel corso dell'esame in sede referente si è verificata un'ampia convergenza - in merito alla quale rendo merito a tutti i gruppi parlamentari anche per la fattiva collaborazione - e vi è stato uno spirito di condivisione, volto a giungere a un testo comune, proprio per la gravità di questo importante fenomeno che si vuole affrontare, in modo da costituire un adeguato quadro conoscitivo sul fenomeno della contraffazione, per contrastarlo più efficacemente.
Il testo unificato, elaborato da chi vi parla e adottato quale testo base, è nato dalla sintesi, con alcuni correttivi, delle due proposte iniziali ed è stato ampiamente condiviso dai componenti della Commissione, sia di maggioranza sia di minoranza.
Anche l'esame delle proposte emendative si è svolto in un clima di grande collaborazione, poiché la maggior parte degli emendamenti approvati, con il parere favorevole del relatore, porta la firma di deputati di minoranza.
In conclusione, permettetemi solo una breve considerazione. Credo che con questo provvedimento raggiungiamo due obiettivi, che spesso vengono disgiunti o contrapposti, ma che, in realtà, sono due aspetti indisgiungibili: da una parte, la tutela delle nostre produzioni, che sono fatte con criteri di responsabilità sociale e ambientale e di tutela dei diritti rispetto ad altre produzioni che, invece, non rispettano tali diritti; dall'altra parte, il provvedimento rappresenta anche uno strumento per la vera difesa dei consumatori.
Le merci contraffatte sono spesso dannose per la salute: non parlo soltanto dei farmaci o dei profumi, ma penso anche al settore tessile e a quello dell'abbigliamento. Quest'Assemblea e la nostra Commissione hanno esaminato la cosiddetta legge Reguzzoni-Versace, approvata a grande maggioranza, proprio per la tutela di queste produzioni, che è anche tutela dei consumatori.
Quindi, tutela dei consumatori e tutela delle nostre produzioni vanno necessariamente di pari passo: pensare di difendere i consumatori se non difendiamo le nostre produzioni è un'illusione. Pertanto, questa Commissione d'inchiesta vuole indagare su un fenomeno, ossia su una piaga che dietro si porta tanti effetti negativi: dietro i prodotti contraffatti, infatti, molto spesso vi è la criminalità organizzata, che utilizza vari metodi, compresa la vera e propria schiavitù.
Si tratta, quindi, di una questione di dignità della persona, da difendere ovunque, e anche delle vittime di questi organismi che poi operano la contraffazione: nello stesso tempo, si tratta della difesa dei nostri prodotti. Credo, fra l'altro, che questo sia un importante segnale che il Parlamento intende dare al nostro sistema produttivo.
Vi sono molti provvedimenti il cui esame è in corso, sia in Parlamento sia in Europa, proprio per la difesa di questo settore: si tratta di una battaglia comune, credo, di tutto il Parlamento italiano.
Mi auguro - ma non ho motivo di dubitarne - che, così come abbiamo registrato in Commissione, anche l'esame che oggi svolgiamo in quest'Aula segua la stessa modalità, che ha visto la partecipazione di tutti i colleghi della Commissione in modo unanime, come non di rado accade nella X Commissione (Applausi).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, la costituzione della Commissione di inchiesta è sicuramente un risultato importante: il fatto che la X Commissione solitamente riesce a trasmettere all'Assemblea provvedimenti (ciò accade anche per la fase legislativa) sui quali vi è un consenso unanime, significa che la Commissione Pag. 47stessa, rappresentata da tutti i partiti, ha un senso di responsabilità e profonde il suo impegno rispetto alla crisi e all'economia del nostro Paese.
Credo che sia un risultato importantissimo. Speriamo che questo provvedimento dia finalmente una certezza ai produttori piccoli e grandi che sono diffusi su tutto il nostro territorio, soprattutto al nord del Paese, che dia loro la possibilità di lavorare nella legalità, rispettando delle regole che vengano fatte osservare da tutti.
Questo provvedimento è importante anche perché segue - come accennato prima dal relatore - il più significativo provvedimento concernente il made in Italy, e credo che costituisca un importantissimo supporto, cioè che vada a sostegno e serva in assoluto a portare avanti tutto quello che è significativo per il nostro Paese e per il quale il nostro Paese si distingue nel mondo: il modello, la proposta, il made in Italy, il design, l'italianità, il concetto dello stile e della bellezza che è insito nei nostri prodotti e che fa bandiera e breccia in tutti i mercati del mondo.
Noi, del gruppo dell'Italia dei Valori, siamo particolarmente soddisfatti di questo provvedimento perché sono stati approvati i nostri emendamenti; non si trattava di emendamenti di poco significato, ma importantissimi, che hanno di fatto dato il segno, l'imprimatur, per così dire, a questa Commissione.
Innanzitutto, l'Italia è caratterizzata da due realtà massicce: quella delle merci contraffatte - e questo è il significato di uno dei nostri emendamenti - e quella delle merci usurpative. Il fatto che sia stato approvato il nostro emendamento, che sia stato accolto il concetto di merci usurpative, cioè di merci che costituiscono riproduzioni illecite dei diritti di proprietà intellettuale costituisce un fatto importantissimo.
Il secondo fatto importantissimo è la considerazione dell'ulteriore realtà dei fenomeni illeciti o al limite del lecito, che costituiscono un habitat favorevole alla contraffazione, alla pirateria e ad ogni altra attività criminale ad essa connessa. Tra questi si annoverano le sovrapproduzioni legittime approntate da licenziatari di produzioni infedeli e da questi smerciate, con o senza il marchio originale, ma comunque in violazione del contratto di licenza e le produzioni destinate contrattualmente a specifiche aree del Paese, ma dirottate da licenziatari commerciali infedeli, fuori dalle zone di loro pertinenza e, infine, i prodotti che, senza violare direttamente i marchi o i modelli, ne imitano, in maniera tendenziosa e confusiva, l'aspetto.
Credo che questo sia importantissimo per la lotta alla contraffazione. Il mercato è sicuramente avvelenato da questi dati.
Ritengo che il mercato ed il consumatore in particolare verranno tutelati. Infatti, non è vero - anche se così appare - che l'acquirente, l'utente finale, quello che va a comprare al mercato nero o - come si dice in genere - sulle spiagge, dal vu' cumprà, ottiene un risultato economico perché, alla fine, c'è comunque il rischio del prodotto contraffatto o, in particolare, di giocattoli che siano dannosi alla salute e quant'altro.
Credo che questo provvedimento vada a porre fine ad un'ampia serie di fenomeni illeciti, anche se è chiaro che poi ci saranno dei regolamenti, delle attività messe in atto per sconfiggere la criminalità ed una particolare attenzione al riguardo.
Un terzo emendamento che abbiamo presentato concerne le attività criminali nelle quali agli alti guadagni corrispondono bassi rischi, cioè lo stesso prodotto (sembrerebbe lo stesso prodotto) senza spese, senza ricerche, senza mercato, viene messo sul mercato solo perché viene copiato.
In secondo luogo, lo sviluppo della tecnologia informatica e digitale ha reso estremamente facile questo commercio, poco costosa la riproduzione abusiva di marchi e forme e, nel caso di audiovisivi e multimediali, degli stessi contenuti.
In terzo luogo, la tendenza alla globalizzazione del commercio ha spalancato ai contraffattori nuovi mercati. Infine, vi è stato l'avvento del commercio elettronico: non c'è più il rapporto fisico tra il compratore e l'acquirente. Si può vendere con Pag. 48la televisione e non si sa da chi si compra. Di fatto, non c'è più un rapporto diretto. Si tratta di uno degli emendamenti cui tenevamo moltissimo ed è stato sicuramente accolto e inserito nel provvedimento. Allo scopo di estendere i compiti della Commissione anche ad un'analisi dei dati relativi all'impegno e all'azione relativi alla sensibilizzazione del consumatore sul fenomeno della contraffazione, noi o meglio le istituzioni dovrebbero fare molto di più: mettere al corrente o in guardia il consumatore affinché, se va a comprare un prodotto, se crede di risparmiare e di fare un buon affare, sappia che quell'azione commerciale mette in moto un meccanismo che dà vita e ossigeno alla criminalità e alle organizzazioni, che non dà posti di lavoro, imposta e reddito.
Credo che questa Commissione, se svolgerà il suo lavoro e il suo compito come dovrebbe fare, darà dei risultati importantissimi. Dovrà render conto in questa Aula ogni dodici mesi. Mi pare che il termine del mandato di questa Commissione coincida con la fine della legislatura. Non vi sto a leggere tutti i numeri relativi ai problemi che potremmo risolvere, del nero, dell'evasione e così via, perché mi pare che siano già stati accennati dal relatore, ma credo che noi convintamente, con la Commissione, daremo a questo provvedimento un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, intervengo intanto per esprimere una grande soddisfazione per il provvedimento che arriva oggi in Aula e voglio anche sottolineare quello che ha detto il relatore nel suo intervento, ossia che l'istituzione di questa Commissione non è la prima volta che arriva in Aula con un provvedimento votato in sede di Commissione all'unanimità. Credo che questo dimostri appieno che, quando si lavora per un interesse superiore, a tutela di qualcosa che va al di sopra delle sigle dei partiti, il compito di ognuno di noi, nel momento in cui diventiamo legislatori, sia quello di tutelare soprattutto gli interessi del nostro Paese e dei nostri cittadini. Giustamente, come Commissione, non potevamo non sostenere una proposta che fosse consequenziale a quella relativa al made in Italy, voluta fortemente dalla stessa Commissione e approvata all'unanimità non solo dalla Commissione, ma dal Parlamento. L'istituzione di questa Commissione parlamentare di inchiesta va letta soprattutto in due direzioni. Non ripeterò le considerazioni che hanno svolto i miei colleghi, che ovviamente condivido, ma vorrei evidenziarne altre, altrettanto importanti. Il made in Italy e il danno che viene arrecato al nostro Paese credo che non abbiano uguali in Europa. Infatti, se c'è una cosa nella quale l'Italia non ha concorrenti è il marchio del made in Italy, il che ovviamente rende appetibili tutti i tipi di contraffazione.
Sulla contraffazione il Paese più danneggiato in assoluto è il nostro. Quindi, è giusto tutelare il made in Italy attraverso una Commissione di inchiesta, che evidenzierà in maniera corretta quali siano i danni che vengono arrecati al nostro Paese. Vedete, non pensiamo al made in Italy come marchio delle grandi aziende.
Pensiamo invece al made in Italy anche e soprattutto come marchio di tantissime piccole e medie imprese, che magari hanno iniziato come artigiani, per poi approdare alla piccola industria e per poi diventare, ancora una volta, il fiore all'occhiello della nostra attività produttiva.
Credo che sia un segnale importante, che viene dal nostro Parlamento e dalla nostra Commissione, preposta a curare le problematiche riguardanti le attività produttive, quello di tutelare i nostri prodotti, soprattutto - ripeto - quando si tratta di piccole e medie imprese.
Voglio evidenziare un altro aspetto, che forse non viene messo in rilievo abbastanza o non è stato messo sufficientemente in evidenza: con l'istituzione di questa Commissione di inchiesta puntiamo anche a tutelare tanti posti di lavoro che Pag. 49si perdono, dando fiato ad un mercato parallelo falso e di contraffazione. Infatti, se questo mercato parallelo di falsi e di contraffazioni viene alimentato, è chiaro che a esserne penalizzate sono le aziende produttrici di prodotti veramente made in Italy - con un marchio importante quale è lo stesso made in Italy - con la perdita di posti chiaramente consequenziale.
Voglio anche ringraziare il relatore, il collega Vignali, per avere accolto un emendamento che porta la mia firma. Questo a dimostrazione, come ha detto lo stesso relatore, che non abbiamo visto se l'emendamento fosse stato presentato dalla maggioranza o dall'opposizione, ma piuttosto la valenza dello stesso. Voglio ringraziare quindi il relatore per aver accolto il mio emendamento, nel quale si fa riferimento alla composizione di questa Commissione, che prevede componenti esperti nei vari settori, in accordo con le associazioni di categoria.
È un altro segnale importante e credo vada dato, perché qui nessuno ha la ricetta di una soluzione definitiva e nessuno vuole essere da solo ad affrontare questo problema, ma tutti vogliamo contribuire, con la nostra azione quotidiana, a tutelare una realtà della quale - ripeto - siamo tutti orgogliosi.
Signor Presidente, credo che questa Commissione di inchiesta non debba essere il punto di arrivo, ma un punto di partenza importante per far sì che nel nostro Paese l'orgoglio del made in Italy sia anche sostenuto da un'azione capillare realizzata dalle istituzioni, a cominciare da questo Parlamento, per proseguire poi nelle regioni, nelle province e nei comuni, per fare capire al cittadino utente che oltre al danno che egli stesso può ricevere da un «incauto», se vogliamo usare questo termine, acquisto di merce contraffatta, viene il danno per l'intero Paese.
Concludo allora, signor Presidente, formulando l'augurio che, da questa Commissione di inchiesta sulla contraffazione, possa partire un'azione capillare di sensibilizzazione di tutti nel nostro Paese (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cosenza. Ne ha facoltà.

GIULIA COSENZA. Signor Presidente, con l'esame e con l'approvazione, che mi auguro più condivisa possibile, di questa proposta di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, la Camera si appresta a realizzare un'azione veramente importante, come hanno sottolineato anche i miei colleghi.
La contraffazione sappiamo che è una autentica piaga per il made in Italy, che è sinonimo di qualità e di eccellenza in tutto il mondo, grazie alle sue straordinarie produzioni in tutti i settori, dal tessile all'abbigliamento, dal calzaturiero all'agroalimentare.
Le stime sulle dimensioni del fenomeno della contraffazione parlano di un giro di affari annuo pari a circa 7 miliardi di euro, che, soltanto a confronto della manovra attualmente all'esame del Parlamento, pari a poco meno di 25 miliardi di euro, ci rendiamo conto di che giro di affari si tratti.
Però, a conferma della pericolosità di questo fenomeno, vorrei sottolineare altri sei fattori: innanzitutto il pericolo per la salute e per la stessa vita del consumatore finale, specie in alcuni settori come quello farmaceutico - pensiamo che alcuni preparati contraffatti hanno cagionato la morte dei pazienti - ed alimentare; il danno sociale connesso allo sfruttamento di soggetti deboli - disoccupati o prevalentemente cittadini extracomunitari - assoldati attraverso un vero e proprio racket del lavoro nero, con evasioni contributive e senza coperture assicurative, possiamo ricordare con tristezza la raccapricciante morte sul finire del 2009 della povera Anni, una bambina cinese di appena undici anni morta appunto in un laboratorio tessile clandestino; un evidente danno all'erario pubblico attraverso un'evasione fiscale stimata in 5 miliardi di euro annui; la mancanza di 130 mila posti di lavoro legali che sono invece coperti dai lavoratori dell'industria della contraffazione; il Pag. 50reinvestimento dei profitti in proficue attività delittuose.
Ma soprattutto vorrei anche sottolineare la formazione, in aree del nostro Paese in cui vi sono le maggiori eccellenze produttive, di vere e proprie succursali della contraffazione che si affiancano agli insediamenti produttivi italiani (penso a Prato per il tessile, al nordest per il manifatturiero e a vaste aree del Mezzogiorno per l'agroalimentare di qualità), il che comporta non solo gli evidenti e noti danni economici di cui ho detto, ma soprattutto il crescere intorno all'industria della contraffazione di veri e propri microcosmi etnici - cinesi, indiani, romeni, albanesi e magrebini - che - vivendo in una situazione di totale illegalità - hanno creato fenomeni di tensione sociale e alimentato la criminalità. A dimostrarcelo è stata, poche settimane fa, una maxioperazione effettuata dalla guardia di finanza contro la mafia cinese di stanza nelle province di Firenze e di Prato che usa come base dei propri laboratori e come fonte dei propri giri economici i prodotti contraffatti.
Ho voluto citare questi elementi per dire che la Commissione di inchiesta di cui si propone l'istituzione si occuperà di fatti concreti che riguardano la nostra vita quotidiana: spesso quando si tratta della costituzione di questi organismi si pensa infatti a questioni di natura più aleatoria, nel caso specifico invece la necessità appare evidente ed è infatti da noi tutti condivisa.
Vi è poi un ulteriore compito affidato alla Commissione sul quale mi vorrei soffermare. Mi riferisco alla lettera o) dell'articolo 1, comma 4, del documento, la quale parla soprattutto di analisi e studio delle buone prassi e della normativa applicata in Stati membri dell'Unione europea. È proprio sul terreno comunitario che si gioca la grande partita della lotta al cancro della contraffazione commerciale e a tale riguardo vorrei evidenziare che vi sono oramai delle gravi lacune che attendono di essere colmate.
Infatti la normativa europea non contempla alcuno specifico obbligo di imporre l'indicazione dell'origine geografica sull'etichettatura: è questa assenza ad impedire nel concreto agli Stati membri dell'Unione europea più danneggiati dalla contraffazione di attuare concretamente norme positive, pur formalmente varate, ma poi inevitabilmente destinate a scontrarsi con il principio comunitario di non discriminazione dei prodotti in base alla loro origine geografica.
In effetti proprio l'Italia è un Paese vittima di questa situazione ed appare giustamente incomprensibile - sia ai produttori italiani sia agli stessi consumatori che sempre di più reclamano il diritto ad avere piena consapevolezza sulla reale origine dei prodotti - si tratti di un vestito, di un alimento, di un giocattolo o di un farmaco - che ciò accada.
Vorrei sottolineare anche che in Italia è formalmente in vigore l'obbligo di indicazione delle origini geografiche in etichetta, quanto meno per i prodotti importati da Paesi non membri dell'Unione europea. Mi riferisco alla previsione dell'articolo 6 del codice del consumo, che appunto richiede tale adempimento ma questa norma, in effetti così essenziale per l'economia del nostro Paese, è rimasta sulla carta proprio perché i principi prevalenti nell'interpretazione dei Trattati europei in materia di libera circolazione delle merci e di non ostacolo al libero mercato non hanno consentito di attuarla.
Ritengo che questa situazione sia veramente inaccettabile e deve spingere l'Italia a collaborare con gli altri Stati membri più sensibili al tema per intervenire sulla mancanza di leggi che obblighino quanto meno l'indicazione di origine in etichettatura per i prodotti extra UE nonché a promuovere - come auspicato dal Viceministro Urso - l'istituzione di un commissario europeo ad hoc che vigili sulla materia.
Si tratta certamente di un compito difficile, ma grazie a quelli che saranno i risultati del lavoro di raccolta dei dati e di analisi sulle prassi e sulle normative degli Stati membri dell'Unione europea da parte dell'istituenda Commissione parlamentare di inchiesta, penso che possano esservi Pag. 51finalmente per l'Italia le giuste condizioni per lavorare, in ambito comunitario, in favore di un cambio di strategia. Senza dimenticare che, a livello politico, grazie al ruolo propulsore da parte della componente italiana, il Parlamento europeo sta di nuovo premendo sulla Commissione con vari atti, affinché ciò venga realizzato.
In effetti, se fino ad ora mi sono soffermata ad evidenziare la gravità della situazione a livello comunitario, vorrei anche sottolineare come in Italia negli ultimi tempi siano giunti invece segnali significativi ed incoraggianti sia da parte del Parlamento, con la legge n. 55 del 2010, che da parte del Governo, grazie al varo del decreto-legge n. 135 del 2009.
Tale complesso normativo è sicuramente incoraggiante, perché afferma che i prodotti e le merci possono essere qualificati come made in Italy solo se il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento siano tutte operazioni compiute solo sul territorio italiano; punisce penalmente ogni abuso del marchio di italianità del prodotto; attua un giro di vite sulle diffuse pratiche commerciali ingannevoli, sanzionando con multe fino a 250 mila euro i produttori e i licenziatari che operino fraudolentemente. Mi auguro dunque che in breve tempo, anche grazie all'input che potrà dare la Commissione, si definisca anche il tema dell'indicazione obbligatoria di origine ed etichettatura dei prodotti agroalimentari.
Mi vorrei avviare a concludere, sottolineando comunque da un lato il ruolo sempre più incisivo delle forze dell'ordine nel contrasto al sistema criminoso della contraffazione, i cui successi sono motivo di apprezzamento e gratitudine, e dall'altro, anche, l'azione politica di Parlamento e Governo contro di essa, che cerca sempre più radicare nel nostro Paese una cultura che faccia comprendere a tutti come anche la apparentemente banale azione di acquistare per pochissimi euro un prodotto contraffatto, se replicata all'infinito, come avviene oggi, contribuisca in realtà a creare un danno incalcolabile all'economia di un'intera nazione e ad offrire sostegno economico alla criminalità organizzata.
Il mio augurio è che la Commissione parlamentare d'inchiesta possa essere uno strumento utile per contribuire in modo concreto a far sì che il nostro Paese e l'Unione europea siano sempre più efficaci nella lotta alla contraffazione, facendo prevalere la capacità politica di contrastare il fenomeno; ma anche che possa essere un supporto concreto al Parlamento, ed in generale al mondo della politica, per raggiungere l'obiettivo altrettanto essenziale di diffondere una nuova cultura, che renda tutto il Paese, troppe volte distratto su questo tema, davvero consapevole del fatto che la contraffazione è in tutto e per tutto un nemico dell'Italia, da sconfiggere (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, coglierò l'occasione, nel corso di questa discussione sulle linee generali, per aggiungere al nostro esame dell'importante provvedimento una riflessione intorno agli altri fenomeni che accompagnano in maniera preoccupante la contraffazione: la sottofatturazione e la sovrafatturazione.
Comincerò allora col dire, onorevoli colleghi, che vi sono tanti vettori dominanti a livello mondiale, che controllano gran parte del traffico della merci, quelle «containerizzate» sul pianeta. Essi quindi riescono a far transitare qualsiasi tipologia di merce, anche illegale; e rivelano come la loro versatilità sia messa a disposizione di chiunque ne chieda l'utilizzo. Osserverei, nell'ambito di tale riflessione, che è indifferente il luogo in cui le merci arrivano per essere sdoganate: può trattarsi di un porto italiano o di un porto d'Europa.
La loro destinazione - parlo sempre di quei vettori dominanti - è in maniera indubbia la location dove ha sede l'organizzazione illegale, perché da lì le merci vengono smistate verso qualsiasi destinazione in tutta Europa. Il cosiddetto traffico Pag. 52merci garantito non è solo quello in import ma anche quello in export e per i più disparati motivi è un traffico quasi integralmente illegale. È proprio in Europa il profilo basso di contrasto a queste attività, fin qui realizzato in modo disorganico, poco incisivo e con strumenti inefficaci, a favorire a questi vettori dominanti luoghi assolutamente impensabili per gestire le loro attività. Insomma, di cosa sto parlando? Sto parlando del contrabbando per sottofatturazione, per aggiramento delle quote comunitarie, di contraffazione ovviamente, di traffico illecito di rifiuti, di traffico internazionale di stupefacenti, di traffico di armi, di traffico di valuta, di riciclaggio. Chi delinque è infatti il soggetto, non la merce che viene trasportata. Dove vi è un profitto, l'organizzazione di fatto illegale e prevalentemente criminale interviene.
Questo è il quadro da cui vorrei partire per quelle riflessioni cui accennavo. Infatti, onorevoli colleghi, signor Presidente, dalle indagini fatte dalle dogane su un campione di mille spedizioni si hanno le prove della sottofatturazione: penso che sia noto a tutti noi che in genere un container stivato di 15 tonnellate di jeans costi all'incirca 150 mila euro, altrettanto un container di scarpe, mentre allo stesso peso un container di t-shirt costa solo 100 mila euro.
Dal 2003 al 2006 all'import i container cinesi sono stati dichiarati tutti (ma proprio tutti) tra 7 mila e 10 mila euro. Da qualche anno vengono dichiarati a non più di 14 mila - 16 mila euro e non si può dire certo che questa crescita sia una vittoria, anzi è da considerare una riflessione terribile, visti gli elementi ormai in possesso degli inquirenti.
Ci si chiede allora come mai ai controlli doganali non si faccia corrispondere un controllo sul territorio delle forze di polizia tributaria preposte a controllare l'emissione delle fatture e degli scontrini di coloro i quali sono i falsi destinatari delle merci in importazione. Direi che il danno al made in Italy, per fare un esempio, e il vantaggio per quelli che importano, come aspetto contrario, si realizza proprio grazie alla sottofatturazione e alle informazioni - stimo non autentiche - che il Governo cinese fornisce in fase di cooperazione amministrativa. Insomma, risparmiare il 30 per cento sui costi, evadendo il dazio e l'IVA all'importazione, mette di fatto fuori mercato i nostri prodotti. Tutti quei prodotti, sottofatturati di dieci, venti o trenta volte, non solo determinano l'evasione delle imposte nello stesso ordine di percentuale, ma spariscono nel momento della distribuzione sul mercato nazionale e comunitario, determinando una marea anzi uno tsunami elusivo di portata gigantesca. Dalle prime stime effettuate il danno si può considerare in 30 miliardi all'anno e - ascoltate - al momento di passaggio al confine.
Ho l'impressione che la Comunità europea non si sia ancora resa conto che è l'ora e il momento di porre un argine a questo problema, per colpa del quale ognuno di noi Stati membri, anche se non ce ne stiamo rendendo conto, mette in moto il meccanismo di una crisi ulteriore senza precedenti.
Introduciamo alcuni appunti sulla sottofatturazione. Onorevoli colleghi, la sottofatturazione ha bisogno di due essenziali requisiti per svolgersi. Il primo è che la merce deve essere venduta integralmente in nero, altrimenti il beneficio diventerebbe un danno per l'importatore in quanto quest'ultimo pagherebbe le imposte dirette sulla differenza tra l'effettivo prezzo di vendita e il dichiarato prezzo di importazione. Il secondo requisito è che le aziende che importano o i soggetti siano fittizi o, perlomeno, sacrificabili, in quanto non devono rimanere intrappolati nelle maglie dell'accertamento, ovvero devono poter sparire.
Con il fenomeno della sottofatturazione, sia i Governi europei che quello statunitense, hanno perso di vista quanto effettivo danaro fosse realmente in uscita, calcolando erroneamente il disavanzo import-export sul dato falso riportato dai documenti presentati in dogana e, poi, trasmessi alle autorità economiche nazionali. Come spiegarlo? Se dichiaro un dollaro di merce esportata dalla Cina agli Pag. 53USA o all'Europa, invece del costo vero di 10 dollari, perdo traccia di 9 dollari che vanno in Cina, ma di cui non sono a conoscenza. In questi ultimi dieci anni è successo proprio questo, ossia che almeno 3 mila miliardi di dollari ed equivalenti euro sono andati in Cina dagli USA e dall'Europa senza che i Governi europei e degli Stati Uniti se ne accorgessero e valutando il saldo tra import ed export con una sottostima di almeno il 70 per cento.
Ben più preoccupante, ma meno noto, è, invece, l'altro fenomeno cui accennavo, quello della sovrafatturazione. Signor Presidente, vorrei gentilmente invitarla a ripristinare il silenzio in Aula...

PRESIDENTE. Onorevole Vico, la ascoltiamo tutti con molta attenzione.

LUDOVICO VICO. Esistono due tipi di sovrafatturazione: una all'export, per costituire illecitamente i plafond IVA, che è una risorsa economica illecita interna non più apprezzabile in termini di convenienza; l'altra all'import, che è proprio quella che ritengo ora la più pericolosa per tre ordini di motivi, su cui mi soffermerò, e, per fortuna, attualmente è oggetto di indagine presso diverse procure.
Primo motivo: l'illecita costituzione di fondi all'estero con chiara esportazione illecita di capitali. Secondo motivo: la possibilità di aumentare a dismisura e fittiziamente i costi industriali diminuendo, perciò, gli utili tassabili. Ciò consente addirittura alle aziende di dichiarare perdite e andare in credito di imposta. Terzo motivo: giustificare i licenziamenti o i ricorsi agli ammortizzatori sociali, sacrificando le risorse dello Stato.
A questo vorrei aggiungere che, per un meccanismo ingegnoso, previsto dall'articolo 89 del TUIR, le aziende italiane e comunitarie costituiscono finanziarie o fiduciari in Italia, che controllano altre finanziarie, particolarmente in Olanda e in Austria, che, a loro volta, controlleranno le aziende costituite in quei Paesi che hanno il requisito di aver stipulato trattati commerciali con l'Europa o l'Italia e prevedono, dal punto di vista della tassazione, l'assenza di imposizione sugli utili delle aziende, a patto che le stesse portino lavoro nelle località bisognose di sviluppo.
Questo secondo fenomeno, insieme alla sottofatturazione, impone di fatto la rinuncia da parte dello Stato e delle comunità a incamerare le tasse dovute da parte delle imprese, a restituire alle imprese le già scarse imposte indirette versate, a versare a queste stesse aziende contributi nazionali e comunitari a fondo perduto previsti per le aziende in crisi, a tutelare e a promuovere il made in Italy.
Se così è - e purtroppo così è - è importante impedire (lo dirò paradossalmente) che l'amministrazione finanziaria italiana, l'amministrazione finanziaria europea e le dogane italiane in questo caso diventino i certificatori di questi fenomeni che si muovono terribilmente, che si presentano come colossali danni per la comunità e l'economia e che sono in atto da almeno cinque anni.
Direi quindi che, attraverso la sottofatturazione all'esportazione e la sovrafatturazione all'import, oltre ai fenomeni come la contraffazione che impediscono ai brand di veicolare regolarmente si va determinando uno scompenso geografico reale dell'economia mondiale e dei danni che in premessa e nelle proposte di inchiesta parlamentare sono state illustrate dal relatore nella giornata di oggi.
Dunque, anche questo potrà diventare un contributo alla Commissione di inchiesta. Il pregio della Commissione d'inchiesta in questo momento è quello di riaprire il tema su un terreno vasto, ampio e direi anche culturale, oltre che quello di offrire misure e proposte di coordinamento che guardino non solo all'interesse del nostro Paese, come dichiarato nella proposta stessa della Commissione d'inchiesta, ma anche al made in Italy e al made in europeo come una delle condizioni e un contributo importante che il Parlamento italiano e la Camera dei deputati possono dare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Allasia. Ne ha facoltà.

Pag. 54

STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, la proposta in esame, che istituisce una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e pirateria in campo commerciale nasce dall'esigenza di costituire un quadro di contrasto normativo certo ed univoco ai fenomeni della contraffazione, fornendo gli elementi necessari per rendere del tutto operativa l'azione intrapresa dalle istituzioni italiane sulla tutela dei prodotti denominati made in Italy.
In questa legislatura si è registrata una ricca produzione normativa in materia sia sul fronte della tutela dei prodotti italiani, sia su quello del rafforzamento dell'azione di contrasto ai fenomeni di contraffazione. Un traguardo importante è stato ottenuto con la promulgazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, d'iniziativa dei deputati del gruppo parlamentare della Lega Nord, a prima firma dell'onorevole Reguzzoni - della cui amicizia mi onoro -, al fine di assicurare la tracciabilità dei prodotti del comparto tessile, pellettierio e calzaturiero, attraverso l'introduzione di un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione dei prodotti stessi.
La legge permette così alle imprese che producono in Italia di difendersi dalla concorrenza di chi, senza scrupoli, immette sul mercato prodotti di qualità estremamente bassa e quindi spesso dannosi per la salute umana, facendoli passare come made in Italy anche se prodotti interamente all'estero.
Parallelamente con la legge 23 luglio 2009, n. 99, sono stati rafforzati gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale. In questo contesto è stato istituito il Consiglio nazionale anticontraffazione, con funzione di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni intraprese in materia di lotta alla contraffazione da parte delle amministrazioni coinvolte.
L'Italia - non bisogna dimenticarlo - è uno dei Paesi maggiormente danneggiati dalla contraffazione, dal momento che presenta una struttura produttiva prevalentemente composta da piccole e medie imprese, che faticano a contrastare la concorrenza proveniente dal mercato del falso, con un'inevitabile perdita di competitività.
Stando ai dati, il mercato del falso nel nostro Paese ha realizzato nel corso del 2008 un fatturato di 7 miliardi e 107 milioni di euro. Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono state calcolate in 5 miliardi e 281 milioni di euro e sono stati 130.000 i posti di lavoro sottratti all'economia regolare.
Secondo il Censis, se si riportasse il fatturato complessivo della contraffazione sul mercato legale, si genererebbe una produzione aggiuntiva diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa 6 miliardi, che fornirebbero nuovi stimoli al mercato, attivando anche nuova occupazione regolare.
Bisogna tuttavia rilevare che i sequestri di prodotti contraffatti hanno registrato in totale un notevole aumento nel 2009 rispetto all'anno precedente, in particolare nel settore della moda, con oltre 32 milioni di sequestri nel 2009, dei beni di consumo e dei giocattoli con oltre 22 milioni di sequestri. Si ritiene che un contributo importante in termini di lotta alla contraffazione possa essere fornito dalle attività della Commissione di inchiesta parlamentare, a cui spetta in primo luogo il compito di accertare i risultati raggiunti e i limiti che hanno reso, fino ad oggi, inadeguate le azioni delle istituzioni nel contrastare i suddetti fenomeni.
Alla Commissione, in particolare, spetta il compito di studiare il fenomeno della contraffazione, attraverso la raccolta di dati sulle diverse realtà territoriali e sui distretti produttivi italiani, ai fini dell'accertamento della dimensione e delle caratteristiche del fenomeno.
La Commissione è composta da 21 deputati nominati dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, in modo che venga assicurata la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare, ed è istituita per la Pag. 55durata della XVI legislatura. Essa procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione mantiene il segreto funzionale sugli atti e sui documenti trasmessi agli organi degli uffici competenti. La Commissione può infine avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritiene utili, nonché di esperti designati dalle organizzazioni di categoria più rappresentative dei settori interessati.
Le spese di funzionamento, stimate in 50.000 euro l'anno, sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati e possono essere incrementate, su richiesta del presidente della Commissione, in misura non superiore al 30 per cento per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta.
Infine, rilevo che l'esame del provvedimento in Commissione si è svolto in un clima di grande collaborazione, facendo ritenere che anche in Aula lo stesso possa ricevere un generalizzato consenso per una sua rapida approvazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Vignali e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.

(Esame degli articoli - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del testo unificato della Commissione.
Avverto che la Commissione ha presentato gli emendamenti 1.1 e 5.1, che sono in distribuzione, in relazione ai quali risulta alla Presidenza che tutti i gruppi abbiano rinunciato ai termini per la presentazione dei subemendamenti.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - Doc. XXII, nn. 12-16-A).

(Esame dell'articolo 1 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e dell'unica proposta emendativa ad esso presentata (Vedi l'allegato A - Doc. XXII, nn. 12-16-A).
Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

RAFFAELLO VIGNALI, Relatore. Signor Presidente, si tratta (come poi anche per il successivo) di due emendamenti che introducono solo correzioni formali al testo. La Commissione dunque raccomanda l'approvazione del suo emendamento 1.1.

PRESIDENTE. Il Governo?

ADOLFO URSO, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, il Governo lo accetta.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 16,40).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 17.

La seduta, sospesa alle 16,40, è ripresa alle 17.

Pag. 56

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Irrogazione di sanzioni ai sensi dell'articolo 60 del Regolamento.

PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di Presidenza nella odierna seduta ha preso in esame gli episodi avvenuti nel corso della seduta dell'Assemblea del 7 luglio, in occasione dell'esame del disegno di legge recante norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili, nonché durante la sospensione della seduta medesima.
L'Ufficio di Presidenza, visti gli articoli 12 e 60 del Regolamento della Camera, ha deliberato di irrogare ai deputati di seguito indicati, per essere passati a vie di fatto tenendo comportamenti ritenuti di particolare gravità, le seguenti sanzioni, con decorrenza immediata dalla giornata di oggi: all'onorevole Carlo Nola la sanzione della censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo di quindici giorni; all'onorevole Giovanni Dima la sanzione della censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo di dieci giorni; all'onorevole Fabio Rampelli la sanzione della censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo di otto giorni.
L'Ufficio di Presidenza ha altresì deliberato di irrogare all'onorevole Francesco Barbato la sanzione della censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo di due giorni, con decorrenza immediata dalla giornata di oggi, in ragione delle espressioni ingiuriose da lui pronunciate al di fuori dell'intervento durante la sospensione della seduta.
L'Ufficio di Presidenza ha inteso altresì richiamare l'onorevole Barbara Saltamartini per il comportamento tenuto nella ricordata seduta.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del Regolamento, le decisioni in tema di sanzioni adottate dall'Ufficio di Presidenza sono comunicate all'Assemblea e in nessun caso possono essere oggetto di discussione.
Invito gli onorevoli Nola, Dima, Rampelli e Barbato, ove siano presenti, a lasciare l'Aula in ottemperanza alla decisione adottata dall'Ufficio di Presidenza.
L'onorevole Rampelli è assente, l'onorevole Dima sta uscendo, onorevole Barbato la pregherei di ottemperare a quanto deciso dall'Ufficio di Presidenza. L'onorevole Nola non è presente in aula (Applausi polemici dell'onorevole Barbato). Prego, onorevole Barbato, se si vuole accomodare, la ringrazio.

Si riprende la discussione (ore 17,05).

(Ripresa esame dell'articolo 1 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Ricordo che prima della sospensione della seduta il relatore ed il rappresentante del Governo hanno espresso il prescritto parere sull'emendamento 1.1 della Commissione.
Passiamo alla votazione.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale, mediante procedimento elettronico.
Gli uffici mi comunicano che occorre qualche minuto per disattivare i sistemi di voto, oltre che per cancellare dall'elenco degli aventi diritto i deputati colpiti dalla sanzione.
Passiamo ai voti.
Indico la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.1 della Commissione.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 482
Votanti 481
Astenuti 1
Maggioranza 241
Hanno votato
481).

Pag. 57

Prendo atto che il deputato Mazzarella ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che i deputati Berruti, Romano e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1, nel testo emendato.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Castellani... onorevole Lo Monte ha votato? Onorevole De Luca... onorevole Piccolo.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 487
Votanti 486
Astenuti 1
Maggioranza 244
Hanno votato
486).

(Esame dell'articolo 2 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - Doc. XXII, nn. 12-16-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,07)

PRESIDENTE. Onorevole Centemero... onorevole Fogliardi... l'onorevole Pionati ha votato? Onorevole Zazzera... l'onorevole Pionati ha votato?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 491
Votanti 490
Astenuti 1
Maggioranza 246
Hanno votato
490).

Prendo atto che i deputati Alessandri e Mazzarella hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che i deputati Romano e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.

(Esame dell'articolo 3 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - Doc. XXII, nn. 12-16-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Laboccetta... onorevole Dionisi ha votato? Onorevole Galletti... onorevole Giammanco... onorevole Miglioli... hanno votato tutti?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 494
Votanti 493
Astenuti 1
Maggioranza 247
Hanno votato
493).

Prendo atto che il deputato Mazzarella ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che i deputati Romano e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.

(Esame dell'articolo 4 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A - Doc. XXII, nn. 12-16-A), al quale non sono state presentate proposte emendative. Pag. 58
Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Scandroglio... onorevole Di Virgilio... onorevole Mazzuca... onorevole Gava... onorevole Minasso... onorevole Mura... onorevole Miglioli... onorevole Agostini... onorevole Calgaro... onorevole Di Virgilio... onorevole Minasso... onorevole De Biasi, la aspettiamo, ha la tessera?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 494
Votanti 493
Astenuti 1
Maggioranza 247
Hanno votato
493).

Prendo atto che il deputato Mazzarella ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che i deputati Romano e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.

(Esame dell'articolo 5 - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 5 e dell'unica proposta emendativa ad esso presentata (Doc. XXII, nn. 12-16-A).
Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

RAFFAELLO VIGNALI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione raccomanda l'approvazione del suo emendamento 5.1.

PRESIDENTE. Il Governo?

ADOLFO URSO, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, il parere del Governo è favorevole.

PRESIDENTE. Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 5.1 della Commissione, accettato dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Allasia... onorevole Rossi... onorevole Pagano.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 494
Votanti 493
Astenuti 1
Maggioranza 247
Hanno votato
493).

Prendo atto che i deputati Romano e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5, nel testo emendato.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Bossa, onorevole Mazzuca, onorevole Centemero, onorevole Pizzolante, onorevole Dionisi, onorevole Calgaro.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 496
Votanti 494
Astenuti 2
Maggioranza 248
Hanno votato
494).

Prendo atto che il deputato Milo ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che i deputati Barbareschi e e Tassone hanno segnalato che non sono riusciti a votare.

Pag. 59

(Dichiarazioni di voto finale - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà (Commenti).

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, è ancora presto per consegnare, siamo in Aula da poco e direi che due parole su una Commissione e un provvedimento così importanti vadano spese, e spese giustamente, naturalmente per ringraziare la Commissione, il relatore, la disponibilità del Governo e la possibilità che avrà questa Commissione di porre fine ad una situazione abbastanza anomala, ma che è purtroppo molto italiana. Il fenomeno della contraffazione, infatti, ha due livelli: quello nazionale, che ha come riferimento principale una regione in particolare, che è la Campania, e credo che in questa situazione la Commissione possa dare un aiuto importante a definire, o a trarre, dei perimetri e delle regole più ferree. Credo, anche, che le istituzioni competenti debbano impegnarsi, oltre a quanto già dato, per qualcosa di più e fornire al nostro mercato quella lucidità e quella trasparenza di cui avrebbe bisogno per recuperare un patrimonio di tasse pari - come sembra dai risultati delle indagini - ad almeno 18 miliardi di euro.
Vi è poi un fenomeno molto più importante che è quello della contraffazione e del mercato internazionale. Ci sono, infatti, dei Paesi cosiddetti a rischio, da dove arrivano la maggior parte di questi prodotti come la Cina, Taiwan, la Corea, Paesi che hanno - e stanno ormai contrassegnando - il mercato nero e dell'illegalità sul nostro territorio.
Sicuramente i nostri porti nazionali sono interessati, e ci giochiamo una partita importante: ci sono contraffazioni che sono «più» contraffazioni rispetto ad altre e che hanno un'incisività e un pericolo più forte rispetto ad altre. Mi riferisco, in particolare, ai prodotti farmaceutici, a quelli alimentari, ai giocattoli e ai veicoli, che rappresentano, per i consumatori, un rischio eccessivo che non vale il risparmio del costo finale perché non si ha la garanzia del prodotto e le conseguenze sono sicuramente più drammatiche e più tragiche.
Credo che questa sarà una Commissione importantissima che darà dei risultati. La Commissione si è impegnata per arrivare fino in fondo a questo provvedimento e segue un altro provvedimento riguardante il made in Italy, e ritengo che non sia finita: vi è, infatti, un altro provvedimento che noi dell'Italia dei Valori vorremmo arrivasse in Aula ed è quello del marchio e del prodotto di tipicità italiana.
Dovremmo fare una grande battaglia per preservare il design, la moda, il modello, l'esempio, il classico e l'eleganza italiana. In questo ambito e in queste regole la Commissione dovrà muoversi e produrre i risultati che tutti ci aspettiamo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, intervengo per esprimere, a nome dell'UdC, una soddisfazione particolare per l'approvazione all'unanimità di questo provvedimento.
Questo è un provvedimento che riteniamo essere consequenziale a quello sul made in Italy voluto fortemente dalla X Commissione (Attività produttive) e approvato all'unanimità. Infatti, come abbiamo più volte sottolineato, se c'è un Paese che, in realtà, soffre un danno enorme dalle contraffazioni, questo è sicuramente il nostro.
Quindi, signor Presidente, abbiamo voluto dare un segnale forte di attenzione: la costituzione di una Commissione di inchiesta, che ha l'obiettivo di raccogliere i dati fondamentali per combattere il fenomeno della contraffazione e di studiare prassi già sperimentate a livello europeo Pag. 60con le legislazioni già attuate e in vigore nei Paesi europei. Credo che ciò sia un segnale importante.
Voglio anche evidenziare un altro aspetto altrettanto importante: questa Commissione di inchiesta va a sostegno di due direzioni. La prima è quella dell'utente finale, che si deve sentire garantito. Parliamo di articoli e di merci che, molte volte, danneggiano la salute dei cittadini italiani. Pensiamo ai farmaci contraffatti, ai giocattoli pericolosi per i bambini. Da una parte, quindi, occorre tutelare il consumatore e, dall'altra, i posti di lavoro delle tante piccole e medie imprese che nel nostro Paese hanno fatto del marchio made in Italy il loro punto di forza. Credo che questi due aspetti debbano essere con forza evidenziati.
Sono anche convinta che questa Commissione di inchiesta, così come è stata pensata e strutturata, darà i suoi frutti perché coinvolgerà tutti gli attori principali di questo fenomeno, così come anche darà i suoi frutti per evitare un danno enorme alla nostra economia con materiale contraffatto che gira nei nostri mercati. Voglio dare solo un dato per far capire di che cosa parliamo ai colleghi dell'Assemblea: secondo le rilevazioni del CENSIS, il fenomeno della contraffazione risulta in aumento nel nostro Paese e i dati ufficiali parlano di 61 mila operazioni di contrasto effettuate nel 2007, 39 mila sequestri e 70 milioni di euro di prodotti sequestrati alle dogane.
Solo queste cifre ci fanno capire di che cosa parliamo, dell'enormità del problema che abbiamo affrontato e voglio anche dire un'altra cosa: siamo orgogliosi, come cittadini italiani, del nostro made in Italy, che è il marchio più contraffatto in assoluto nel mondo. Quindi, è giusto che dal nostro Paese e da quest'Aula debba partire un segnale chiaro.
Voglio ringraziare il presidente della Commissione, il relatore e il Governo per avere accolto anche i nostri emendamenti, ma d'altronde questo provvedimento che arriva in Assemblea all'unanimità fa capire il lavoro svolto in Commissione. Voglio concludere con l'augurio che questo provvedimento non sia un punto di arrivo, ma di partenza per fare veicolare con forza nelle istituzioni del nostro Paese un messaggio chiaro: la contraffazione non è un danno soltanto per chi acquista o per chi vende, ma anche per l'intera comunità italiana (Applausi).

PRESIDENTE. Sta assistendo ai lavori della nostra Assemblea una delegazione di parlamentari della Repubblica del Paraguay guidata dal Presidente Cesar Ariel Oviedo. L'Assemblea saluta i colleghi del Paraguay, che sono andati anche più avanti di noi ai mondiali e, quindi, il saluto è ancora più caloroso (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Reguzzoni. Ne ha facoltà.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Signor Presidente, questo provvedimento rappresenta il seguito del lavoro svolto dalla X Commissione in relazione alla legge sull'etichettatura dei prodotti tessili, della calzatura e della pelletteria, provvedimento che ho avuto l'onore di firmare insieme a 135 colleghi che ringrazio ancora adesso, ma spero sia la prosecuzione di un lavoro che, ad esempio, vede un provvedimento importante giacere oggi presso la Commissione agricoltura e che auspico possa tornare velocemente in Aula, ossia quello che riguarda i prodotti agricoli ed alimentari.
Assistiamo un po' ad un risveglio della politica intorno al tema della produzione, dell'industria e dei nostri lavoratori, un valore che riteniamo fondamentale per il nostro Paese non solo dal punto di vista etico e culturale, ma anche economico. Si tratta di un pilastro della nostra economia ed è molto importante che lo capiscano anche tutti coloro che hanno sempre detto che l'Italia è finita come Paese industriale, che bisogna andare verso il terziario avanzato; ebbene, noi crediamo che questo non sia vero, che vi sia spazio, e che anzi sia importantissimo tutelarlo, e pertanto non vi rinunceremo mai, per la nostra produzione, le nostre aziende e il nostro artigianato. Pag. 61
Questa Commissione avrà il compito di investigare, di difendere diversi settori industriali e artigianali: dal tessile all'abbigliamento, alla calzatura, alla pelletteria, per citare quelli che appaiono di più, ma anche l'occhialeria, per esempio, come pure gli accessori, i prodotti alimentari che vengono contraffatti, la produzione elettronica, per arrivare fino ai giocattoli che magari vengono importati da Paesi in cui si utilizza la manodopera minorile.
Ebbene, tutto questo alimenta la malavita, la criminalità organizzata, flussi di denaro irregolare che portano le organizzazioni criminali ad essere più forti; pertanto, questa battaglia non è solo economica, ma è anche una battaglia di sicurezza per migliorare la qualità della vita delle nostre città. La Commissione d'inchiesta che abbiamo pensato, in accordo con i colleghi della X Commissione, è molto snella, poco costosa, agile, monocamerale; deve essere incisiva, intervenire sui marchi, sul made in, ma anche sulla salute dei consumatori per stroncare l'illegalità e per eliminare quell'economia occulta che rappresenta davvero una piaga importante.
Voglio ringraziare il collega Lulli del Partito Democratico perché le proposte di inchiesta parlamentare che abbiamo presentato erano assolutamente analoghe; voglio ringraziare il relatore, Raffaello Vignali, che si è speso molto, si è impegnato moltissimo su questo provvedimento, nonché il presidente della X Commissione e ovviamente tutti i commissari (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).
Credo che il lavoro che abbiamo svolto in questi mesi sia finalizzato a recuperare l'orgoglio delle nostre produzioni e dell'abilità dei nostri lavoratori, ma che sia anche un lavoro di trasparenza nei confronti del consumatore e, permettetemi, anche un lavoro un po' culturale, nel senso che oggi chi compra magari una borsa o un paio di occhiali da 20 euro, invece di spenderne 200 per il prodotto analogo di marca, non si rende conto che sta alimentando un sistema di criminalità dietro al quale c'è l'immigrazione clandestina, c'è una filiale di denaro in nero che alimenta la criminalità organizzata. Invece che spendere 20 euro per un prodotto contraffatto, costoro per 20 euro potrebbero comprare un prodotto realizzato dai nostri artigiani che è bello ed è migliore di quelli che vengono fatti copiando le idee altrui (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Quasi ogni giorno abbiamo notizie di laboratori clandestini che vengono scoperti e chiusi, il lavoro del Governo in questa direzione è importante. Noi ringraziamo il Governo, in particolare il Ministro Maroni, ma anche gli altri Ministri e le forze dell'ordine perché è un lavoro che colpisce alla fonte la criminalità organizzata e per toccare questa filiera non possiamo che fare un po' di cultura anche nei confronti delle autorità che sono preposte a vigilare e che non sempre vigilano. Credo, pertanto, che il contributo che questa Commissione potrà dare sarà importante.
Infine, permettetemi un piccolo cenno sull'Unione europea, anche perché poi sarà esaminato un provvedimento che la interessa (anche i giornali in queste ore riportano molte dichiarazioni sui temi che riguardano l'Unione); ebbene, su questo argomento l'Unione europea, lasciatemelo dire, ci ha lasciati un po' soli, perché, nonostante nel Trattato di Lisbona si preveda tra i principi fondamentali la tutela dei brevetti, dei marchi, della trasparenza nei confronti del consumatore, l'Unione europea latita molto e ci lascia spesso un po' da soli (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Ebbene, la Lega non si fermerà, né in questo campo né in altri, nei confronti del lassismo dell'Unione europea.
Noi difendiamo i nostri lavoratori e le nostre imprese e difenderemo sempre la nostra produzione artigianale (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania).
Per questo motivo, la Lega Nord Padania vota a favore, in maniera convinta, dell'istituzione di questa Commissione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

Pag. 62

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sanga. Ne ha facoltà.

GIOVANNI SANGA. Signor Presidente, quello che oggi la Camera dei deputati si appresta a votare è il frutto di un lavoro e di un confronto molto articolato, che dura dall'inizio di questa legislatura: il tema del made in Italy, della valorizzazione dei marchi e dei prodotti, della promozione delle eccellenze e delle specificità italiane e, quindi, inevitabilmente anche della lotta alla contraffazione, alla pirateria commerciale, sino all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, che ha visto un lavoro condiviso dei diversi gruppi parlamentari.
L'OCSE, si diceva, stima che vengano contraffatti prodotti per circa 200 miliardi di dollari a livello mondiale, pari al 7 per cento circa del commercio internazionale.
Vi è un'economia parallela che, secondo altre fonti, sottrae al fisco italiano 5 miliardi di euro, fa perdere 130 mila posti di lavoro e vanta un fatturato, come si diceva, di circa 7 miliardi di euro.
Sul piano economico, quindi, vi è un danno forte e pesante, ma occorre sottolineare anche altri aspetti gravi, con ripercussioni a volte letali. Mi riferisco ai rischi per la salute dei consumatori, che non sanno nulla della tipologia, della qualità, della provenienza e, spesso, della pericolosità dei prodotti utilizzati.
Non voglio e non possiamo sottacere l'aspetto dell'illegalità del mercato nero, dell'alterazione profonda delle regole del mercato, soprattutto in tempi difficili, come quelli che stiamo vivendo per l'economia e per le imprese ma, consentitemi, anche per i tanti imprenditori onesti che resistono faticosamente alla crisi.
L'abbigliamento è sempre il primo dei settori, quello più esposto, ma oggi, in forte crescita, è la pirateria nel settore della musica, del cinema e del software, delle industrie creative europee, che si stima abbiano registrato dieci miliardi di euro di perdite.
In ordine, poi, alle medicine illegali via web, sono state condotte ricerche a livello europeo che ci riportano dati allarmanti e preoccupanti: su un campione di oltre cento siti web destinati alla vendita dei prodotti farmaceutici, si constata come il 62 per cento dei farmaci messi in vendita risulta tecnicamente contraffatto o inadatto.
Inoltre, nel 90 per cento dei siti analizzati, è emerso che la vendita di questi prodotti avviene senza presentazione di ricetta medica.
Per capire il fenomeno di cui stiamo trattando, nel settore agroalimentare, secondo dati riportati da Coldiretti, il falso made in Italy nel mondo e in Italia vale circa 60 miliardi, con un sistema articolato, a volte raffinato, che utilizza immagini, parole, denominazioni e ricette che si richiamano impropriamente ai prodotti italiani.
Il Parlamento europeo, nello scorso gennaio, ha chiesto alla Commissione una politica più ambiziosa nella lotta alla contraffazione e alla pirateria commerciale: è stato istituito un osservatorio europeo per garantire un maggior rispetto dei diritti della proprietà intellettuale, con l'obiettivo di promuovere il dialogo e lo scambio di informazioni e di buone prassi tra gli Stati membri.
Occorre armonizzare la normativa, sanzioni penali incluse, migliorare la cooperazione doganale e aiutare le piccole e medie imprese e metterle in grado di difendersi. Del resto, l'economia dell'Unione europea è specializzata in produzioni di altissima qualità ad alto valore aggiunto, protette da marchi, brevetti ed indicazioni geografiche. Per contro, nelle varie economie emergenti, la produzione di beni contraffatti ha raggiunto dimensioni allarmanti, sollecitando nuovi ed ulteriori misure.
Nella proposta di legge Lulli ed altri, che ha concorso a definire il testo unificato del provvedimento in esame, abbiamo sottolineato diversi aspetti: anzitutto, le norme minime introdotte negli ordinamenti nazionali devono essere accompagnate da effettive misure di attuazione e di repressione delle violazioni. Pag. 63
Riteniamo che occorra rafforzare la lotta alla contraffazione, attraverso un ricorso più frequente e mirato all'organo di risoluzione delle controversie dell'Organizzazione mondiale del commercio: ciò per consolidare anche una giurisprudenza in materia.
Occorre favorire una più diffusa educazione dei consumatori, sia in Europa che nei Paesi in via di sviluppo, anche per evitare i rischi che sono connessi ai prodotti contraffatti e pericolosi. Occorre sostenere programmi di assistenza tecnica che contribuiscano al rafforzamento dei diritti della proprietà intellettuale nei Paesi emergenti. Occorre realizzare un'attività di monitoraggio rispetto alle possibili violazioni dei diritti di proprietà intellettuale tutelati nei diversi accordi, ma soprattutto - noi diciamo - occorre compiere uno sforzo significativo e impegnativo per concordare delle sanzioni minime comuni, nel diritto penale europeo, contro le violazioni gravi del diritto della proprietà intellettuale.
Il nostro Parlamento si è occupato più volte della crisi dei distretti industriali, delle reti di impresa, dei temi della contraffazione, ma, oggi più che mai, per contrastare la pirateria in campo commerciale e la contraffazione, occorre conoscerle a fondo.
Riteniamo per questo che la Commissione parlamentare di inchiesta possa raccogliere i dati fondamentali per combattere il fenomeno, per confrontarsi con la legislazione europea, ma anche per ammodernare e innovare la stessa legislazione.
Anche per questo, abbiamo proposto l'istituzione di una Commissione di inchiesta e, quindi, esprimiamo il voto favorevole al testo in esame (Applausi).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,30)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, la ringrazio anche per la corretta pronuncia del mio cognome. Oggi ci troviamo di fronte ad un momento importante. Innanzitutto, intendo esprimere un riconoscimento alla Commissione attività produttive che, ancora una volta, ha svolto un lavoro bipartisan, pur nel rispetto dei ruoli dei distinti gruppi, che ha portato, in tempi brevi, alla predisposizione di questo provvedimento, che tiene alta l'attenzione delle istituzioni sui fenomeni gravissimi della contraffazione, dei prodotti contraffatti, della pirateria commerciale.
Si tratta di un tema che vede l'Italia in un ruolo da protagonista in senso attivo e passivo.
Noi, infatti, siamo, purtroppo, vittime della contraffazione mondiale nei confronti della nostra proprietà intellettuale, che dà forza al marchio made in Italy, ma - non dimentichiamolo - siamo anche, purtroppo, un Paese che produce molta contraffazione. In questo ambito è protagonista la malavita, le organizzazioni criminali, vi è una grande evasione fiscale e si tratta, quindi, di un problema che deve avere la massima attenzione da parte di tutte le istituzioni.
Quindi, ben venga questa Commissione di inchiesta, che tiene alta l'attenzione su questo tema, ma che, soprattutto, cerca di individuare la soluzione giusta al pericolo, in cui tutti i giorni incorrono i nostri imprenditori, nel momento in cui vengono attaccati da prodotti contraffatti, al pericolo nei confronti del nostro sistema fiscale e, più generale, anche del nostro sistema economico produttivo.
Credo che in questi anni il Parlamento abbia fatto il suo dovere su questo tema; sono, invece, piuttosto deluso da altre istituzioni che, alle volte, non sono state altrettanto attente sull'argomento della contraffazione.
Sono stato protagonista, come relatore, nel mandato 2001-2006, di un provvedimento molto importante, che riguardava un aumento considerevole delle pene verso i contraffattori. Siamo l'unico Paese in Europa, insieme alla Francia, che punisce, non solamente chi produce prodotti contraffatti o chi li commercia, ma anche chi li acquista. Pag. 64
L'Italia insieme alla Francia è l'unico Paese che ha avuto la forza di mandare avanti questa legge. Devo dire che spesso vediamo che in alcuni livelli istituzionali questa legge viene poco applicata. Dunque, ben venga questa Commissione di inchiesta, che faccia luce su tutto il settore della contraffazione, ma che faccia anche piena luce sul comportamento delle istituzioni di fronte a questo grave pericolo, che può essere molto nocivo per il nostro sistema produttivo. Pertanto, il Popolo della Libertà voterà convintamente a favore di questo provvedimento. Colgo l'occasione ancora una volta per ringraziare tutta la Commissione, a cominciare dal relatore Vignali, per l'ottimo lavoro svolto in questa fase (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

RAFFAELLO VIGNALI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELLO VIGNALI, Relatore. Signor Presidente, intervengo brevemente per ringraziare tutti i colleghi della X Commissione, tutte le forze politiche e anche evidentemente tutta l'Aula. Ringrazio, in particolare, i funzionari della X Commissione e del Servizio studi ed i funzionari che si occupano delle Commissioni di inchiesta, che hanno veramente supportato con dedizione, intelligenza e anche con puntualità i nostri lavori (Applausi).

(Coordinamento formale - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

(Votazione finale ed approvazione - Doc. XXII, nn. 12-16-A)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul testo unificato Doc. XXII, nn. 12-16-A, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Cristaldi, Granata, Aprea, Grassi, Di Pietro, Mussolini, Pisicchio e Donadi...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale) (Doc. XXII, nn. 12-16-A):

(Presenti 502
Votanti 501
Astenuti 1
Maggioranza 251
Hanno votato
501).

Prendo atto che il deputato Barbareschi ha segnalato che non è riuscito a votare.

Trasferimento a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 1257.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione di proposta di legge a Commissione in sede legislativa.
Propongo alla Camera l'assegnazione in sede legislativa della seguente proposta di legge, della quale la VII Commissione (Cultura) ha chiesto il trasferimento in Pag. 65sede legislativa, ai sensi dell'articolo 92, comma 6, del Regolamento:
alla VII Commissione (Cultura):
LEVI ed altri: «Nuova disciplina del prezzo dei libri» (1257).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

RICARDO FRANCO LEVI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Presidente, a seguito dell'assegnazione di questa proposta di legge in sede legislativa, vorrei cogliere l'occasione per ringraziare tutti i membri della Commissione cultura, i rappresentanti di gruppo della stessa Commissione e, in modo particolare, il presidente della Commissione, onorevole Aprea, che ci hanno consentito di mandare in porto questo lavoro, che è durato quattro anni, che si sviluppa su due legislature. Ringrazio anche i componenti delle altre Commissioni, a partire dalla X Commissione, più direttamente interessata, che hanno esaminato con attenzione il testo.
Con questa proposta di legge andiamo ad offrire un assetto ordinato al mondo del libro, offrendo un punto di equilibrio tra i diversi interessi che esistono in questo contesto, che è alla base dell'informazione e della cultura dei nostri cittadini.
Con tale proposta di legge consideriamo di avere messo il primo mattone di un edificio più grande che speriamo di potere arrivare nel tempo a costruire e che è quello di un'organica legge del libro, che ponga l'Italia in una situazione di parità rispetto ai grandi Paesi.
Rinnovando i miei ringraziamenti e augurandomi che anche al Senato il provvedimento possa a questo punto avere un iter rapido, ringrazio tutti e concludo questo intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

BENEDETTO FABIO GRANATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo soltanto per confermare il pieno e convinto sostegno da parte del Popolo della Libertà a questo provvedimento molto importante, al quale abbiamo ritenuto di dare in Commissione all'unanimità questo percorso preferenziale, anche perché interviene nella consapevolezza della insostituibilità del libro, pur in una fase di grande modernizzazione, come strumento di diffusione culturale, ma aperto a una questione legata all'equa possibilità di diffondere sapere e cultura.
È dunque un provvedimento che la Commissione rende in questa direzione - e ringraziamo il presidente Aprea - orgogliosa del piccolo, ma importante lavoro portato a compimento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, mi unisco ai colleghi per esprimere la soddisfazione dell'UdC per questo provvedimento e per sottolineare il fatto che in Commissione si riesce a lavorare seriamente e serenamente, ad ottenere dei risultati positivi - anche io approfitto per ringraziare il presidente Aprea - e si riesce a lavorare in tal modo quando i provvedimenti e le proposte sono serie, condivisibili, avanzate in maniera serena e propositiva.
Da qui deriva il fatto che arrivi in sede legislativa un provvedimento del genere, proprio sui libri, un tema quanto mai cruciale che, anche se non guadagna le Pag. 66prime pagine dei giornali e non è sulle cronache dei quotidiani, è però un argomento decisivo per i nostri ragazzi, per le scuole e per la cultura in generale.
Esprimo dunque sinceramente un ringraziamento ai colleghi della Commissione e al presidente Aprea, nella speranza - anche io mi associo a questo auspicio - che il Senato decida di proseguire con velocità per rendere definitivo questo provvedimento.

Seguito della discussione della relazione della XIV Commissione sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese (Doc. XVIII, n. 24) (ore 17,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione della XIV Commissione sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentata dalle Presidenza spagnola, belga e ungherese.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione di tale documeallegato_a.mozioni.01.nto e che sono state presentate le risoluzioni Pescante, Pini ed altri n. 6-00041, Gozi ed altri n. 6-00042.
Avverto che tali risoluzioni sono state ritirate dai presentatori e che contestualmente è stata presentata la risoluzione Pescante, Stucchi, Gozi, Buttiglione, Razzi ed altri n. 6-00043. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).
Avverto altresì che è stata presentata la risoluzione Maurizio Turco, finalizzata ad impegnare il Governo a farsi promotore presso l'Unione europea di una soluzione volta all'adozione del cosiddetto Piano Annan e a riconoscere la Repubblica Turca di Cipro Nord. Tale risoluzione è da considerarsi inammissibile, in quanto affatto estranea rispetto all'oggetto della discussione e come tale non sarà pubblicata.

(Parere del Governo - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulla risoluzione Pescante, Stucchi, Gozi, Buttiglione, Razzi ed altri n. 6-00043.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole.

(Dichiarazioni di voto - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 e il Programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese sono i primi strumenti di programmazione politica e legislativa presentati dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. L'articolazione delle iniziative strategiche contenute nel Programma della Commissione, legislative e non legislative, è notevole, così come lo sono il quadro strategico ed il programma operativo delle Presidenze spagnola, belga e ungherese in questo periodo.
Gli interventi in larga parte sono rivolti a contrastare gli effetti della crisi economica e finanziaria. Il Programma del Consiglio tocca fondamentali e prioritarie questioni: il rafforzamento delle politiche relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale ed alla gestione delle frontiere esterne, con particolare attenzione alle politiche di immigrazione e di asilo, alle politiche di coesione, competitività e innovazione.
Il Parlamento italiano è chiamato a svolgere un ruolo incisivo nel processo decisionale e strategico europeo e l'esame dei documenti costituisce un passaggio Pag. 67democratico importante che valorizza gli organi parlamentari, come ha già messo in risalto l'intervento in sede di discussione sulle linee generali del nostro collega Rocco Buttiglione.
Lo testimoniano gli articolati ed approfonditi pareri resi dalle Commissioni di merito ed allegati alla relazione della XIV Commissione, che sottolineano criticità e potenzialità dell'azione delle istituzioni europee nei prossimi mesi. Mai come oggi appare urgente che si sviluppi il processo già avviato ed in implementazione delle procedure di raccordo tra Governo, Parlamento e istituzioni dell'Unione europea - anche eventualmente con una organica rivisitazione del Regolamento della Camera - per creare le condizioni che consentano al Parlamento tutto di esercitare quel ruolo che il Trattato di Lisbona gli assegna in maniera più incisiva rispetto al passato verso il sistema istituzionale, sia attraverso il Governo sia direttamente.
Il Regolamento della Camera non appare in linea con l'evoluzione del sistema anche perché le ultime modifiche relative alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea risalgono alla fine degli anni Novanta e quindi, tenuto conto delle dinamiche del processo di unificazione europea, richiedono un aggiustamento che accompagni i recenti ed incisivi interventi effettuati in occasione dell'approvazione delle leggi comunitarie annuali negli ultimi cinque anni dopo l'approvazione della legge n. 11 del 2005 (prima revisione organica delle procedure per la partecipazione dell'Italia all'Unione europea introdotte grazie all'impegno di Antonio La Pergola).
Si sta tuttavia lavorando molto celermente ed alacremente all'interno della Giunta per il Regolamento della Camera e con i colleghi della Giunta per il Regolamento del Senato per potenziare gli strumenti nelle mani del Parlamento nazionale nei confronti dei poteri assegnatigli dal Trattato di Lisbona.
Sono diversi gli aspetti che richiedono attenzione nell'attuale fase e riteniamo di dover sottolineare innanzitutto il problema linguistico segnalato nella relazione della XIV Commissione e in diversi pareri delle Commissioni di merito. I due mesi di ritardo nella presentazione del Programma della Commissione sono dovuti all'indisponibilità degli allegati in lingua italiana. Tale situazione ripropone un tema - quello dell'integrazione multiculturale e multilinguistica - che rischia di essere compromesso: la difesa della lingua italiana infatti, e delle altre non elette, non è una forma di provincialismo, ma la difesa del valore aggiunto della cultura nazionale che da sempre il regime linguistico ufficiale della UE ha inteso valorizzare e proteggere.
Un altro elemento da segnalare riguarda l'importanza di certi temi inseriti in agenda per il nostro Paese. Le politiche di coesione economica inserite nella difficile fase congiunturale di crisi economica sono una priorità strategica su cui il Governo e il Parlamento devono poter incidere a livello europeo.
Nel merito, se da una parte - come fa notare la Commissione bilancio della Camera nel suo parere - il Programma della Commissione appare piuttosto carente nella prospettiva di lungo periodo in quanto non reca orientamenti riferiti all'intero mandato, dall'altro occorre sottolineare l'esigenza di concorrere nella dialettica Parlamento-Governo a livello nazionale in maniera più incisiva nella definizione dell'agenda europea, in cui il Parlamento dovrebbe poter rilevare il risultato di un'azione a monte del Governo italiano.
Certamente, come emerge nella relazione della Commissione politiche dell'Unione europea, negli ultimi anni si registra un aumento nelle sedi parlamentari delle procedure di raccordo con il sistema comunitario, tanto nella cosiddetta fase ascendente - formazione delle decisioni - quanto nella fase discendente, di attuazione. Ci sentiamo però di condividere in particolare l'affermazione che, al di là delle regole, delle procedure di miglioramento per un'incisiva partecipazione democratica all'Unione europea, tutto ciò presuppone un cambiamento culturale, che attribuisca al processo di integrazione Pag. 68europea un rilievo primario, non occasionale e non ancillare, rispetto alle vicende della politica interna.
Su questo cambiamento culturale riteniamo di esserci impegnati, e siamo disponibili come forze di opposizione ad impegnarci ulteriormente. Il ruolo dei Parlamenti crescerà, e dobbiamo essere pronti nel far rispettare i poteri attribuiti ai Parlamenti nazionali, secondo i principi di sussidiarietà e di solidarietà.
All'azione parlamentare deve però unirsi un più organico e strutturato rapporto con il Governo a livello di indirizzo politico. Sosterremo perciò la risoluzione unitaria, che sottolinea molti aspetti della nostra dichiarazione di voto e dell'intervento tenuto nel corso della discussione sulle linee generali dal collega Buttiglione e che mette in evidenza soprattutto tre questioni che ci sembrano fondamentali: il tema delle lingue, considerate oggi di non lavoro, e che per noi hanno, come ho detto prima, un rilievo culturale ed istituzionale molto importante; il tema del tasso di dispersione scolastica (la percentuale, soprattutto in Italia, di laureati nella fascia di età considerata pari al 19 per cento ancora senza impiego); l'attuazione della politica di coesione, dove in Italia si rilevano delle criticità.
Innalzare l'attuale tasso di occupazione, promuovere la costruzione di una governance economica estesa ai 27 Stati membri, per coordinare più efficacemente il ruolo degli Stati dell'area euro: davanti a crisi che sono internazionali, l'Europa si rende sempre più conto di non avere uno strumento di coordinamento internazionale per affrontarle. Il tema dell'occupazione e delle politiche sociali; l'introduzione di maggiori condizioni per l'uso di risorse europee da parte degli Stati membri sottoposti a procedura di disavanzo; l'attuazione di una politica di coesione, e l'adozione di meccanismi più rigorosi di controllo sia della regolarità contabile, che dell'efficacia ex ante ed ex post degli interventi.
Una posizione rigorosa a difesa del regime linguistico ufficiale dell'italiano, come ho detto all'inizio, in tutto questo non è una condizione secondaria, ma a noi, insieme alle altre che abbiamo rilevato - dalle politiche per la libera circolazione della conoscenza, alla programmazione nazionale delle priorità d'iniziativa presenti nel programma della Commissione -, sembrano tutte priorità ricomprese nella risoluzione unitaria.
Pare a noi importante mettere in rilievo, nel Programma di lavoro della Commissione europea per il 2010 presentato dalle Presidenze spagnola, belga ed ungherese, una fase particolarmente delicata non solo sul piano politico, ma anche sul piano strettamente di prospettiva del futuro dell'Unione europea, e quindi anche del nostro futuro (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo per rilevare come il contenuto della risoluzione comune in esame è in sé accettabile per quanto contiene, e quindi preannuncio un voto favorevole su di essa da parte mia.
Aggiungo però che manca completamente in questo testo uno dei grandi temi che fanno parte del programma dell'Unione europea, e di cui peraltro la Commissione esteri aveva discusso nel suo esame di tale materia: quello dell'allargamento dell'Unione europea, che è un tema difficile, ma che non può essere espunto dalle nostre considerazioni. Il Parlamento italiano deve avere un'opinione su questo, che è uno dei grandi dossier aperti dell'Unione europea.
In particolare vi è il tema dei negoziati con i Paesi che hanno chiesto di aderire: cito da ultimo la Croazia, per la quale l'Italia si è spesa favorevolmente e, a mio avviso, a buona ragione; vi è inoltre il tema molto delicato, e per certi aspetti controverso, ma su cui il Governo italiano ha una posizione netta e chiara (penso che il Ministro per le politiche europee lo possa confermare), del negoziato con la Turchia. Mi rendo conto che questo è un tema Pag. 69molto delicato e complesso, tuttavia se, nell'esaminare un documento nel quale il Parlamento italiano dà un giudizio sul Programma di lavoro della Commissione europea e delle tre Presidenze semestrali, noi ignoriamo completamente un tema che è al centro dei programmi dell'Unione europea, quello dell'allargamento, commettiamo un errore. Quindi desidero che rimanga agli atti che un Parlamento, che è largamente favorevole all'allargamento dell'Unione europea alla Croazia e alla Turchia, rinunzia - non so per quale motivo - a parlare di questo problema (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori considera di grande rilevanza l'analisi del Programma di lavoro della Commissione e del Consiglio dell'Unione europea. L'attenzione posta dalla Camera va nella direzione di rendere più tempestivo ed efficace il suo lavoro sui temi europei.
Altrettanto rilevante è la capacità, dimostrata da tutti i gruppi parlamentari, di lavorare insieme sulle questioni poste dal Programma dell'Unione europea attraverso un contributo importante di riflessione e la loro traduzione in sintesi contenutistica su temi e questioni rilevanti.
Nel merito della risoluzione ripetiamo che è di assoluta importanza aver rilevato che la crisi in corso deve essere un'occasione irripetibile per un salto di qualità nel processo d'integrazione, sottolineando però che il rilancio dell'economia non può che passare anche attraverso interventi in materia di lavoro, istruzione, inclusione sociale e l'aumento dei livelli di investimento pubblico e privato nel settore della ricerca (ciò partendo dal rispetto degli obiettivi che l'Unione si è già data).
Non si insisterà mai abbastanza, d'altro lato, sul fatto che servono regole più ferree per disciplinare i settori finanziari e governare il sistema bancario, settori dai quali la crisi si è generata. La finanza creativa e la speculazione hanno fatto il loro tempo e dobbiamo opporci ad esse strenuamente; i mercati e l'economia hanno la necessità di essere regolati in modo migliore attraverso la supertrasparenza, il rafforzamento della governance e l'affermazione di una maggiore etica.
Nell'elaborazione delle osservazioni del Parlamento italiano alla bozza della strategia di Lisbona 2020 l'Italia dei Valori ha contribuito suggerendo che nell'Unione venisse chiesto di puntare su un maggior grado di armonizzazione fiscale, fondamentale per la crescita del mercato comune e per la sua efficienza. Abbiamo ribadito questa richiesta e siamo soddisfatti del fatto che abbia trovato accoglimento nella risoluzione sul programma di discussione presentato dalla XIV Commissione.
Il tema della tutela delle lingue nazionali in ambito comunitario, emerso nel corso dell'esame del Programma, rappresenta un punto importante. L'Italia potrebbe essere ispiratrice di una modifica della sensibilità europea su questo tema. La lingua di lavoro nelle Istituzioni comunitarie è l'inglese grazie alla sua diffusione all'interno dei confini dell'Unione e fuori, tuttavia va aumentata la capacità di traduzione degli Stati membri degli atti legislativi e di ogni altro documento in tutte le altre lingue dell'Unione. Serve una razionalizzazione dei servizi di traduzione e forse un aumento delle spese per tali servizi.
A questo proposito mi sembra opportuno far rilevare l'importanza del fatto che la lingua italiana venga maggiormente diffusa in tutti i Paesi dell'Unione. Ciò potrebbe realizzarsi facilmente se in tutti gli Stati dell'Unione fosse possibile vedere gratuitamente almeno un canale della televisione pubblica italiana.
Inoltre, non va dimenticato che, all'interno dei Paesi dell'Unione europea, vivono oltre 2 milioni di cittadini italiani regolarmente iscritti all'AIRE (l'anagrafe degli italiani residenti all'estero). Attraverso la televisione italiana si aumenterebbe, Pag. 70tra i nostri connazionali, la conoscenza delle istituzioni e della politica comunitaria, contribuendo così ad uno sviluppo più incisivo della cittadinanza europea, dando una maggiore visibilità all'estero del contributo italiano e del processo di integrazione comunitaria.
Il Governo italiano dovrebbe impegnarsi su questo punto, che facilita anche la diffusione nell'Unione europea della cultura italiana.
Con queste premesse, annuncio il voto favorevole dell'Italia dei Valori sulla risoluzione presentata (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Consiglio. Ne ha facoltà.

NUNZIANTE CONSIGLIO. Signor Presidente, la risoluzione a firma del presidente Pescante e cofirmata da me e dal collega Stucchi, segna un netto salto di qualità nell'intervento della Camera dei deputati in materia europea.
Coerentemente con l'esame svolto in Commissione e con il dibattito di questa mattina in Aula - tra l'altro ci sono stati interventi ottimi e di spessore -, la risoluzione affronta le priorità, gli obiettivi e le lacune dell'Unione europea senza alcuna retorica pro-europeista. Il Parlamento, per molti decenni, ha creduto che il suo contributo al progetto europeo consistesse essenzialmente nel promuovere la corsa verso livelli più avanzati di integrazione politica, senza interrogarsi sulle modalità e sugli effetti di questo processo per il Paese. Abbiamo così assunto, nonostante tutto, la fama di europeisti ad ogni costo e siamo stati, per la nostra inerzia e arrendevolezza, emarginati dal negoziato su progetti legislativi di grande importanza economica e sociale.
La Lega Nord Padania ha sempre contrastato e denunciato questo modo di sentirsi in Europa e ha avuto degli atteggiamenti che, tante volte, sono stati considerati un po' antieuropeisti. Siamo sempre partiti dalla convinzione, invece, che l'Europa dei popoli non si costruisca con dichiarazioni retoriche, ma con l'impegno e il negoziato - anche aspro, se si vuole -, con grandi discorsi e attenzione sui singoli provvedimenti europei a difesa dell'interesse nazionale. Ecco perché, forse, per la prima volta, da molti anni a questa parte, la risoluzione, pur confermando il sostegno dell'Italia alla costruzione europea, pone, con grande franchezza e senza nessun timore, dei paletti precisi dettati da due considerazioni.
La prima considerazione attiene al modello di Europa che intendiamo perseguire: la Camera dei deputati si pronuncia chiaramente per un'Europa dei popoli, democratica, trasparente e rispettosa delle identità nazionali, regionali e locali, ma, soprattutto, chiede un'Europa in grado di soddisfare le aspettative dei cittadini e del sistema produttivo, rispondendo, in modo tempestivo ed adeguato, ai principali problemi di natura globale.
In questo senso, sosteniamo pienamente l'impianto della risoluzione che, anziché contenere una lista dispersiva ed eterogenea di obiettivi e di desideri, si concentra sulle realizzazioni concrete del processo di integrazione economica: la strategia UE 2020, il mercato interno, la coesione economica, sociale e, soprattutto, territoriale, la revisione del bilancio e la politica agricola.
La risoluzione chiede, su questi temi, che l'Europa faccia di più, soprattutto in direzione della crescita, dell'occupazione, del sostegno alle piccole e medie imprese, alle aree del Nord in transizione industriale e alle zone di montagna.
Il secondo importante paletto è l'interesse nazionale: finalmente, la risoluzione non aderisce acriticamente agli obiettivi e ai progetti preannunciati dalle istituzioni europee, ma parte dalla premessa che l'Italia deve, anzitutto, considerare l'impatto delle iniziative europee sul nostro sistema produttivo, sull'apparato amministrativo e sulle finanze pubbliche.
In conclusione, con particolare soddisfazione, come rappresentante della Lega Nord Padania, noto che il tempo ci ha dato ragione, in quanto il nostro approccio pragmatico alla costruzione europea e la Pag. 71nostra aspirazione di renderla rispondente alle aspettative dei cittadini e delle imprese è, ormai, condiviso da gran parte delle forze politiche.
Non è il primo caso in cui le priorità della Lega, un tempo considerate eretiche, diventano patrimonio comune della politica e della società italiana: basta un richiamo molto semplice al federalismo.
Per le ragioni che vi ho esposto e andando un po' controcorrente rispetto a ciò che ha detto l'onorevole La Malfa - non siamo molto convinti che la Turchia in Europa sia un'ottima cosa, tuttavia sarà un aspetto che valuteremo chiaramente in altra sede, non oggi - esprimo a nome del gruppo Lega Nord Padania un convinto voto favorevole alla risoluzione Pescante (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, l'Europa è la più grande storia di successo del nostro tempo. Molti tuttavia anche in Italia si sforzano di farla apparire come un'idea perdente. È un atteggiamento nichilista ed irresponsabile che noi abbiamo sempre combattuto e continueremo a combattere. È un atteggiamento che non si ritrova, per la prima volta dall'inizio della legislatura, in questa risoluzione unitaria ed è una delle ragioni per le quali abbiamo deciso di sostenerla.
Oggi l'Europa, infatti, appare quanto mai necessaria, non perché le decisioni dell'Unione europea siano sempre le migliori, ma perché la stessa crisi ha dimostrato che alcune decisioni sono possibili solo a livello europeo. Dobbiamo dunque scuoterci e dobbiamo scuotere l'Europa: oggi gli Stati e i popoli europei hanno paura, sono ripiegati su se stessi, hanno perso fiducia nelle loro forze e nel mondo esterno. Oggi l'Europa è incompleta e non è pronta per il mondo di oggi, non è pronta per il mondo di domani. Non lo è perché non ha attuato i suoi obiettivi né di mercato né di unione economica né di unione tout court, cioè di unione politica.
La risoluzione unitaria riafferma la necessità di rilanciare l'integrazione politica in modo netto ed è la seconda ragione per la quale abbiamo deciso di sostenerla. In tale rilancio l'Italia deve tornare a svolgere il suo tradizionale ruolo europeista, un ruolo che non ha svolto in questi due anni di Governo, un ruolo che viene qui riaffermato nella risoluzione.
Molte nostre priorità, che avevamo inserito anche nella nostra risoluzione come gruppo del Partito Democratico, si ritrovano nella risoluzione unitaria. Rileviamo con soddisfazione che ora anche la maggioranza e il Governo danno un giudizio negativo sulla debolezza politica della Commissione Barroso. Vediamo che anche voi ritenete necessario superare le tentazioni protezionistiche che si aggirano in Europa e anche in Italia. Ritenete anche voi necessario rafforzare la politica dell'Unione europea in materia di immigrazione e di diritto d'asilo. Soprattutto ritenete che un Governo economico europeo, usando la nostra formulazione, non debba limitarsi alla stabilità e al rigore, ma debba sostenere l'economia reale, la crescita, l'occupazione e debba tutelare i soggetti più deboli, giovani, donne, disabili, disoccupati e disoccupati ultracinquantenni, scommettendo sull'economia verde.
Siete d'accordo con noi sull'aumento delle risorse dei bilanci dell'Unione europea, perché è evidente che un euro speso in base ad una strategia comune europea è di gran lunga più efficace che 4 centesimi spesi da 27 Paesi in base a 27 strategie diverse e siete d'accordo anche nel rilancio degli eurobond. Concordate inoltre sulla soluzione da noi proposta per i fondi a favore dello sviluppo rurale: un modo concreto per risolvere un problema reale. Sono soltanto alcuni dei punti su cui certamente a parole c'è piena convergenza.
Ora però il Governo deve passare dalle parole ai fatti e noi vigileremo attentamente sulla piena attuazione degli impegni che la maggioranza e il Governo assumono con questa risoluzione e non mancheremo di denunciare carenze, reticenze e anche errori. Pag. 72
Continueremo poi a batterci sui punti su cui, invece, non c'è convergenza. Vogliamo veramente lottare contro un sistema finanziario globale che ha disumanizzato il lavoro ed esaltato una logica disumana? Allora accordiamoci per tassare determinate transazioni finanziarie. Una tassa dello 0,05 per cento su ogni singola operazione finanziaria - lo ricordava anche nella discussione il presidente Buttiglione - porterebbe al bilancio europeo 200 miliardi di euro all'anno.
Ciò significherebbe risorse di gran lunga superiori a quelle che abbiamo a disposizione con il bilancio europeo annuale; ciò potrebbe significare un aumento del PIL europeo dell'1,3 per cento e la creazione di due milioni di posti di lavoro. Su questo continuiamo a ritenere profondamente sbagliata la posizione del Presidente del Consiglio Berlusconi, che si è opposto a questa soluzione nell'ultimo Consiglio Europeo.
Voglio ricordare che occorre assolutamente intensificare gli strumenti per la crescita e la lotta contro la disoccupazione. L'Europa ha già pagato cara la crisi in termini di posti di lavoro: abbiamo già perso 7 milioni di posti di lavoro e alla fine di quest'anno vi saranno in Europa 23 milioni di disoccupati. Quindi, dobbiamo fare tutto il possibile e trovare le risorse là dove si potrebbero trovare per rafforzare gli strumenti dell'Europa per la lotta in funzione della crescita e contro la disoccupazione. Tutto questo però non è possibile - e sarebbe di nuovo squilibrato, come oggi è squilibrata un'unione monetaria che non è accompagnata da un'unione economica - se non ci impegniamo in una rapida attuazione delle disposizioni del trattato di Lisbona sulla vita democratica. Questo vuol dire attivare subito la possibilità di iniziative popolari di legge a livello europeo, attuare e dare all'Europa gli strumenti per il dialogo con la società civile e per il dialogo con le comunità religiose, sempre più importanti in un'Europa delle diversità, che sono anche diversità culturali; ciò vuol dire anche un'assunzione di maggiori responsabilità da parte delle forze politiche e da parte dei Parlamenti nazionali, che devono veramente impossessarsi del potenziale politico e democratico del nuovo trattato.
La crisi è seria. I Governi europei sono preoccupati, ma non hanno finora preso seriamente nessuna delle strategie europee. Il tempo è scaduto, occorre una decisa inversione di rotta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà. Prendo atto che vi rinuncia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Formichella. Ne ha facoltà.

NICOLA FORMICHELLA. Signor Presidente, la risoluzione comune a tutti i gruppi che ci apprestiamo ad approvare è il frutto importante di un metodo di lavoro innovativo, che si è affermato in materia europea in questa legislatura. La risoluzione definisce con chiarezza la posizione nazionale su tutte le questioni prioritarie, incluse o non incluse nel programma; afferma una visione coraggiosa e ambiziosa dell'Europa, che manca nei documenti programmatici delle stesse istituzioni europee; sostiene senza divisioni di parte la linea del Governo su temi fondamentali come la difesa della lingua italiana, problema di cui abbiamo stamani ampiamente dibattuto. Ribadisco pertanto il ringraziamento al presidente Pescante e agli altri colleghi della XIV Commissione per il lavoro svolto e soprattutto per lo spirito costruttivo dimostrato nel corso dell'esame. Ringrazio ancora il Ministro Ronchi per l'impegno e l'attenzione verso il Parlamento dimostrati anche in questa occasione.
Sono certo che la risoluzione costituirà un banco di prova per verificare il meccanismo innovativo previsto dalla legge n. 11 del 2005, come modificata nell'ultima legge comunitaria, cioè l'obbligo del Governo di tenere conto degli indirizzi delle Camere e di motivare l'eventuale disallineamento richiesto dall'andamento del negoziato. Per questi motivi, a nome del gruppo del Popolo della Libertà Pag. 73esprimo un convinto voto favorevole alla risoluzione Pescante ed altri (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, ho chiesto la parola mentre il testo della risoluzione congiunta era in distribuzione; ascoltato il presidente, che mi diceva che un certo argomento non era compreso, ho espresso un giudizio su quel documento.
Ora vedo che il documento in questione contiene una materia sulla quale non posso essere d'accordo e, pertanto, non posso confermare il voto favorevole. Onorevoli colleghi, con la risoluzione in oggetto si compie una scelta politica diversa da quella che il Parlamento ha fatto fino a ieri.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, in realtà, avrei dovuto toglierle la parola, perché questa è stata una seconda dichiarazione di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo per annunciare il voto di astensione della delegazione radicale sulla risoluzione in oggetto. Quest'ultima, infatti, affronta i temi dell'integrazione europea e dell'allargamento dell'Unione europea - nonostante non si sia avuta una possibilità di dibattito vero in quest'Aula, neanche con i documenti presentati - che vanno al di fuori di alcune linee generali che i Governi italiani hanno sostenuto in sede europea. In particolare, non vi è alcun riferimento a sostegno della proposta di adesione della Turchia all'Unione europea: si tratta di un processo che è in corso e che ha visto la recente apertura di un nuovo capitolo di negoziato.
Questa è una scelta politica che non possiamo condividere e, per questo motivo, sulla risoluzione in oggetto esprimeremo un voto di astensione (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

SANDRO GOZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Gozi, lei ha già parlato per dichiarazione di voto. Non riaprirò una discussione che è già stata svolta.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, intervengo per fare chiarezza, poiché alcuni colleghi hanno appreso alcune notizie in ordine ai contenuti della risoluzione, in particolare, con riferimento alla questione della Turchia.
Signor Presidente, vorrei che almeno la parte del testo della risoluzione che riguarda questo argomento fosse fatta conoscere, perché non possiamo dare per scontato che tutti l'abbiano letta. Pertanto, le chiedo se, pazientemente, volesse spendere un minuto per leggere almeno quel passaggio, affinché tutti possano sapere cosa stiamo votando.

PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, i testi sono in distribuzione da tempo, come accade negli altri dibattiti parlamentari; pertanto, per tutti coloro che erano interessati vi è stata la possibilità di leggere il testo della risoluzione in oggetto. Se vuole, posso rileggere la parte della risoluzione riferita all'allargamento dell'Unione europea, ma non riapriremo una discussione generale, né permetteremo che vi siano altre dichiarazioni di voto dopo quelle che sono state svolte.
La parte interessata è la seguente. La risoluzione impegna il Governo: «a sostenere la conclusione rapida del processo di adesione della Croazia, la ratifica dell'Accordo di stabilizzazione ed associazione con la Serbia al fine di consentire la presentazione della domanda di adesione da parte di Belgrado e l'avvio entro l'inizio Pag. 74del prossimo anno dei negoziati per l'adesione dell'Albania, dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia e del Montenegro».

(Votazione - Doc. XVIII, n. 24)

PRESIDENTE. Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Pescante, Stucchi, Gozi, Buttiglione, Razzi ed altri n. 6-00043, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Golfo... onorevole Traversa... onorevole Abrignani... ci siamo tutti?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 494
Votanti 485
Astenuti 9
Maggioranza 243
Hanno votato
485).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ho chiesto la parola solo per un chiarimento, perché nella confusione, non abbiamo capito. La risoluzione di cui abbiamo parlato - cioè, quella concernente la Turchia - è stata dichiarata inammissibile, come a me è sembrato di capire all'inizio della seduta? Infatti, all'inizio della seduta, ho sentito che una risoluzione a prima firma dell'onorevole Maurizio Turco - che, casualmente, ha a che fare con la Turchia - è stata dichiarata inammissibile.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, è stata presentata una risoluzione Maurizio Turco la quale si occupava della soluzione Annan e del riconoscimento di Cipro nord, cioè della parte di Cipro in cui è insediata una Repubblica non riconosciuta dall'Unione europea abitata prevalentemente da turchi, in parte turchi ciprioti e in parte turchi non ciprioti immigrati, qualche volta anche forzosamente, per precostituire una particolare condizione demografica.
Questa risoluzione non era rilevante, non era attinente ai nostri lavori e quindi non è stata ammessa. Non vi era nessuna risoluzione che toccasse il tema della Turchia come tale.
Secondo le intese intercorse fra i gruppi, il seguito della discussione delle mozioni recanti misure volte al sostegno e al rilancio del settore del trasporto ferroviario avrà luogo nella seduta di domani.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 18,20).

DANIELA SBROLLINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DANIELA SBROLLINI. Signor Presidente, volevo informare quest'Aula che proprio questa notte, nella mia provincia, Vicenza, il sindaco di un comune importante, la città di Schio, ha subito un attentato con due bombe molotov davanti alla sua abitazione. Ovviamente adesso le forze dell'ordine, i carabinieri stanno indagando, non escludendo in questo momento nessuna pista. Ritengo però che gli episodi che ci sono stati in questi giorni nella mia provincia siano molto gravi, legati anche a forme di razzismo. Mi riferisco agli attacchi verso una famiglia di nomadi, che hanno ricevuto però la cittadinanza italiana, e ad un altro episodio storico, importante per questo nostro comune che riguarda l'eccidio di Schio, e la città in questi anni ha compiuto un grande cammino di riconciliazione con i familiari delle vittime. Vi è stata una contro-manifestazione di ex repubblichini che, come ogni anno, si svolge nella città con un Pag. 75corteo autorizzato e blindato dalle forze dell'ordine. Questi due episodi però sono stati connotati da tafferugli e da insulti che sono avvenuti anche in un gruppo su Facebook, che per fortuna è stato oscurato proprio in questi giorni.
Volevo condannare questi atti di grave violenza, sia per il primo che per il secondo caso, ed esprimere, spero anche a nome di tutta l'Aula, la solidarietà e la vicinanza ad una città molto solidale, molto ben integrata, dove tanti stranieri convivono e lavorano da anni. Esprimo, inoltre, la mia solidarietà al sindaco e all'amministrazione comunale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ANDREA SARUBBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, questa mattina purtroppo è morto all'improvviso un giornalista italiano tra i più competenti nel suo campo, una persona giovane che però aveva una grandissima esperienza e che nessuno davvero pensava potesse morire così presto. È morto Giuseppe De Carli che era tra i vaticanisti di punta della RAI, aveva avuto una carriera piuttosto lunga ed importante al TG1 e poi negli ultimi anni, dopo una collaborazione con la Santa Sede durante il Giubileo, con la creazione della struttura Rai Giubileo, era rimasto a lavorare in quel campo passando quindi dall'informazione quotidiana a programmi più di approfondimento, volendo fortemente e riuscendo a creare in RAI una struttura che si chiamava e si chiama ancora Rai Vaticano.
Giuseppe De Carli è stato, e mi fa male parlarne al passato, un giornalista che ha saputo fare bene il suo lavoro, che non ha mai ceduto al vizio di «straapparire» che pure è comune in questo mondo.
È stata, soprattutto, una persona molto competente, credo cara a tutta l'Italia, soprattutto a quelli che seguivano gli eventi in Vaticano, dalle messe del Papa alle grandi celebrazioni, anche all'estero. Personalmente ho lavorato con lui a lungo, anche durante le varie giornate mondiali della gioventù, per cui credo di parlare, oggi, a nome di tanti telespettatori che ne sentiranno la mancanza, a nome di un pezzo di Italia, ma anche a titolo personale, perché nella sua storia professionale c'era anche un po' della mia. Giuseppe è un buon esempio di cristiano impegnato in un mestiere pubblico, in un lavoro pubblico e così mi piace ricordarlo. Spero che l'Aula si associ a questo ricordo e che tutto il Paese nelle prossime ore possa dedicargli un pensiero (Applausi).

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, intervengo in merito alla notizia data lo scorso 10 luglio, relativa al fatto che il Consiglio dei ministri avrebbe approvato - su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo - un disegno di legge che interviene significativamente sui valori di inquinamento dell'aria, in considerazione dei picchi registrati in almeno cinquanta zone del territorio nazionale. La situazione dell'innalzamento delle temperature e dell'elevato inquinamento in molte città italiane si sta ulteriormente aggravando.
Del disegno di legge - credo, soltanto annunciato - non trovo traccia in alcun sito, né è possibile recuperarne il testo. Ritengo che esso debba essere immediatamente reso conoscibile e per questo motivo intervengo per chiedere alla Presidenza di recuperare e rendere conoscibile questo intervento del Governo e soprattutto di operare affinché venga immediatamente calendarizzato, discusso e, mi auguro, approvato.
Devo, altresì, segnalare una certa singolarità nello strumento individuato - un disegno di legge - quando, a mio avviso, la situazione ha tutti i connotati della necessità e dell'urgenza che avrebbero dovuto portare all'adozione di un decreto-legge (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

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JOLE SANTELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, intervengo solo per ricordare che oggi si è compiuta una delle pagine più importanti nella storia della lotta alla criminalità organizzata, in particolare della lotta alla 'ndrangheta. L'operazione - che è stata portata avanti tra Milano e Reggio Calabria e che ha portato allo svelamento di una rete di interessi particolarmente estesi - dimostra che la criminalità organizzata non è solo un problema del Meridione d'Italia, ma è un problema italiano e, soprattutto, europeo. Credo che il successo di oggi sia dovuto soprattutto alla capacità di lavoro delle due procure di Milano e Reggio Calabria, nonché alla collaborazione tra la Polizia di Stato e l'Arma dei carabinieri.
Mi spiace concludere con una punta di sarcasmo, ma certo è particolarmente strano poter dire oggi che lo Stato ha vinto perché alcuni carabinieri hanno eseguito, insieme alla polizia, 300 arresti in tutta Italia: si tratta degli stessi carabinieri, dello stesso raggruppamento di carabinieri del ROS comandato da un generale a cui, ieri, una sezione del tribunale di Milano ha addirittura dato quattordici anni di carcere. Si tratta della stessa persona (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Santelli. Comunque la nostra solidarietà e la nostra ammirazione vanno ai carabinieri che hanno compiuto questa straordinaria operazione contro la malavita organizzata.

MAURIZIO TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, vorrei sollecitare il Governo - dopo averlo già fatto giovedì scorso - a rispondere ad una interrogazione che ritengo particolarmente importante e la cui risposta è particolarmente urgente.
Alcuni giorni fa il Governo ha nominato presidente del Consiglio di Stato il dottor Pasquale De Lise che ricopre un altro incarico: egli è infatti consultore presso un Dicastero di uno Stato estero.
Noi vorremmo sapere dal Governo se il dottor De Lise abbia chiesto l'autorizzazione a ricoprire anche questo incarico, e se gli sia stata concessa o meno. Riteniamo, infatti, che, vista l'alta funzione e l'alta responsabilità del dottor De Lise, in quanto, oggi, presidente del Consiglio di Stato e, ieri, presidente del TAR del Lazio, questo incarico, presso questo Stato estero, sia di particolare gravità per una persona che dovrebbe essere un alto servitore dello Stato, intendendosi per Stato la Repubblica italiana (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, volevo unirmi alle parole del collega Sarubbi per quanto riguarda la scomparsa di Giuseppe De Carli. Lo dico anch'io con commozione e con rimpianto, perché anch'io ho avuto modo di conoscerlo quando ero al forum delle famiglie quando vi fu la beatificazione dei coniugi Beltrame e Quattrocchi. Da piazza San Pietro in Vaticano mi invitò a commentare questa celebrazione così originale, diversa e così nuova, e vi fu modo di chiacchierare a lungo. Tuttavia, l'ho frequentato anche in altre occasioni, come tutti i viaggi del Papa in occasione degli incontri mondiali delle famiglie.
Giuseppe De Carli era una persona per bene, un uomo di grandi valori che aveva dei riferimenti forti e a questi è stato fedele fino alla fine. Forse la RAI non lo ha riconosciuto come avrebbe meritato, e forse non gli è stato tributato quello che si era guadagnato sul campo: molti, infatti, Pag. 77fecero carriera più di lui e molti ebbero spazi più ampi in adempimento del proprio compito di giornalisti.
Tuttavia, questa non vuole essere una polemica ma solo il ricordo di un amico e di una persona degna della massima stima, che lavorava seriamente e che, seriamente, sino alla fine, si è comportato.
Mi associo al rammarico per la sua morte, rivolgo le mie condoglianze a tutta la famiglia e mi associo davvero ad un ricordo che, spero, non si vanifichi in poche ore ma rimanga nel tempo in tutti noi che lo abbiamo conosciuto e anche in quelli che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo (Applausi).

RENATO FARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, anch'io prendo la parola per ricordare Giuseppe De Carli. Ho condiviso con lui il lavoro (ho avuto questo privilegio) sin dai primi anni della sua attività giornalistica quando stava in Lombardia (era infatti di Lodi). Abbiamo cominciato insieme e ci siamo trovati, insieme, a viaggiare con Giovanni Paolo II. Aveva una competenza profonda in teologia ed era soprattutto capace di mettersi in sintonia con quanto accadeva, al di là dei chiacchiericci che circondavano i viaggi del Papa e le cose che sempre riguardano la Chiesa; andava nel profondo delle cose. Negli ultimi anni è stato anche emarginato e ha avuto occasione di combattere e di lamentarsi, proprio perché non prestava fede a un certo tipo di informazione religiosa ma ad un altro.
Era un uomo che, anche quando andava nel piccolo paese a presentare libri o a parlare dei Pontefici, si preparava con uno scrupolo e una umiltà eccezionali.
Anche a nome della collega Erica Rivolta, che era sua grande amica e adesso non è qui presente per ragioni di salute, voglio ricordare questa figura. Propongo di trovare il modo di fare qualche cosa a suo nome anche in questa sede (Applausi).

ALESSANDRO BRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, le chiedo un interessamento presso il Ministro dell'interno Maroni perché vorrei sollecitare una risposta ad una interrogazione presentata circa sei mesi fa e relativa ad un caso molto inquietante riguardo alla morte di un calciatore del Cosenza, nato a Boccaleone in provincia di Ferrara, Denis Bergamini, accaduta nel 1989 su cui sono state fatte diverse trasmissioni televisive perché nessuno mai ha creduto al suo suicidio. Si tratta di una morte avvolta da molti misteri.
Vi è un episodio in questa avventura tragica che riguarda il trasferimento di due poliziotti dalla procura che seguivano il caso. Su tale vicenda in questa interpellanza è stata richiesta una spiegazione precisa al Ministro competente. Senza entrare nel merito, dato che vi sono concrete possibilità di riaprire questo caso così doloroso per la comunità ferrarese, ma anche per i suoi familiari, le chiedo, quindi, un interessamento circa l'opportunità da parte del Ministro di rispondere in maniera celere a questa interrogazione.

FILIPPO ASCIERTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, so che non si può entrare nel merito delle sentenze, né talvolta criticare la giustizia quando delle sentenze lasciano l'amaro in bocca. Tuttavia, dato che conosco personalmente tanti uomini delle forze dell'ordine che ogni giorno danno con sacrificio tutto quello che possono all'Italia e agli italiani, oggi sono preoccupato perché, a seguito della sentenza, sebbene in primo grado, che riguarda il generale Ganzer, tanti investigatori non saranno più tranquilli e sicuri nel loro agire.
Mi riferisco a quegli investigatori che agiscono sotto copertura dal momento che debbono svolgere attività di particolare Pag. 78rilievo. Signor Presidente, quando negli Stati Uniti, per fare un esempio, un investigatore sotto copertura è infiltrato nei cartelli dei trafficanti di droga viene protetto e tutelato, perché serve e aiuta lo Stato. Sono preoccupato davvero in modo elevato perché in Italia quei servitori dello Stato, che agivano sotto copertura nei tribunali, sono stati dati in pasto a coloro che oggi possono sicuramente effettuare azioni di ritorsione.
Quindi, ritengo che da questa sera a Medellin e a Bogotà, laddove il crimine dello spaccio internazionale della droga agisce talvolta anche indisturbato, si festeggia perché gli investigatori italiani potranno essere facilmente individuati. Infatti, prima di svolgere qualsiasi azione sembra che dovranno chiamare Roma o il luogo da dove dipende quell'indagine per avere istruzioni. Questo è il modo migliore per mandare al massacro gli investigatori. Sento il dovere di essere solidale con il generale Ganzer e con quegli operatori che ogni giorno fanno il proprio dovere.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 14 luglio 2010, alle 11:

1. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00407, Monai ed altri n. 1-00409, Misiti ed altri n. 1-00410, Vietti ed altri n. 1-00411, Valducci, Montagnoli, Iannaccone ed altri n. 1-00412 e Cesario ed altri n. 1-00413 recanti misure volte al sostegno e al rilancio del settore del trasporto ferroviario.

(ore 15)

2. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 18,40.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DANIELE TOTO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI SULLE MISURE VOLTE AL SOSTEGNO ED AL RILANCIO DEL SETTORE DEL TRASPORTO FERROVIARIO

DANIELE TOTO. La mozione presentata dal gruppo del Partito democratico è orientata da due premesse ben definite. La prima, relativa al ruolo determinante delle infrastrutture di trasporto per la crescita del Paese e, quindi, per la sua capacità di svilupparsi e di creare benessere. La seconda, inerente alla priorità che, nell'ambito della politica dei trasporti, dovrebbe essere riservata al trasporto ferroviario, sia per il minor impatto ambientale sia per ovviare alle notevoli implicazioni negative derivanti dalla congestione del traffico stradale.
Le premesse, entrambe indiscutibilmente vere, consentono una valutazione dell'operato all'attivo per il periodo di legislatura trascorso, scevra da pregiudizi.
Oggettivamente, si deve, in primo luogo, riconoscere che, nonostante la crisi internazionale generatasi nella seconda metà dell'anno 2008 e le pesanti ripercussioni anche sui conti pubblici, vi è stato un indubbio impegno finanziario, peraltro riconosciuto nella premessa della mozione stessa, ancorché solo parzialmente.
È bene, in proposito ricordare che già il decreto-legge n. 112 del 2008 prevedeva un finanziamento in favore del gruppo Ferrovie dello Stato di 300 milioni di euro.
Successivamente, con il decreto-legge n. 185 del 2008, è stato istituito un fondo di 960 milioni di euro destinato all'acquisto di nuovo materiale rotabile per il trasporto pubblico regionale e locale.
Con il medesimo decreto-legge sono stati stanziati 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 per assicurare la stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia. Si prevedeva che l'utilizzo di tali risorse dovesse rispondere a criteri di razionalizzazione e Pag. 79miglioramento dell'efficienza, in modo da rendere sufficienti i finanziamenti individuati e, al tempo stesso, evitare incrementi tariffari.
In effetti, esattamente in virtù delle risorse messe a disposizione con il decreto-legge n. 185 è stato possibile pervenire, nella maggior parte delle regioni, alla stipula dei nuovi contratti di servizio e introdurre, nella definizione dei contratti stessi, una metodologia innovativa, che comporta l'individuazione da parte di Trenitalia di un catalogo di servizi con i prezzi proposti alle regioni per l'acquisto e adottati sulla base di criteri oggettivi e trasparenti. In questo modo si è mirato a una razionalizzazione dei costi che non pregiudicasse il livello dei servizi.
In connessione con gli interventi richiamati, Trenitalia ha avviato un consistente piano di investimenti nel settore del materiale rotabile, con oltre due miliardi di euro destinati all'acquisto di 840 nuovi locomotori, carrozze e convogli, e la ristrutturazione di oltre 2.500 carrozze.
È incontrovertibile il verificarsi di situazioni di criticità nel trasporto dei pendolari ed è pur vero che queste situazioni hanno radice anche in una condizione generale del territorio del Paese, caratterizzato da rilevanti barriere geografiche e connotato da un'ampia diffusione di insediamenti urbani. In ogni caso, proprio le ragioni di lavoro e di studio che motivano il traffico pendolare e l'entità della popolazione coinvolta richiedono uno specifico impegno per assicurare servizi adeguati, sia in ordine ai collegamenti effettuati, sia in ordine alla qualità dei servizi, alla puntualità, alle condizioni dei treni.
Già nella seduta del 4 febbraio scorso, l'Assemblea della Camera ha approvato quattro mozioni, presentate dai diversi gruppi parlamentari, che sollecitavano una particolare attenzione del Governo sul tema.
Le misure, anche di carattere finanziario, che ho richiamato dimostrano, tuttavia, che tale attenzione non è mancata. Oltre che sul piano delle risorse, si è operato su quello della individuazione precisa e trasparente dei servizi e dei relativi costi. Ho già menzionato le nuove modalità per la definizione dei contratti di servizio regionali. Nella mozione si sottolinea, giustamente, l'importanza dell'indagine conoscitiva finalizzata alla perimetrazione dei servizi ferroviari universali, da mantenere in esercizio tramite contratti di servizio pubblico. Occorre al riguardo evidenziare che con delibera CIPE del 17 dicembre 2009, sulla base dell'indagine conoscitiva predisposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi dell'articolo 2, comma 253, della legge finanziaria 2008, citato nella mozione di cui è primo firmatario l'onorevole Franceschini, è stato individuato il perimetro dei servizi di utilità sociale relativi al trasporto passeggeri sulla media e lunga percorrenza, per i quali non è possibile raggiungere l'equilibrio economico e che dovranno pertanto essere mantenuti in esercizio tramite l'affidamento di contratti di servizio pubblico.
D'altra parte ritengo assolutamente sbagliato creare una contrapposizione tra la realizzazione e l'attivazione della rete ad alta velocità/alta capacità e il traffico pendolare o il servizio pubblico. La realizzazione della rete ad alta velocità e, nell'arco di un periodo limitato di tempo, la sua attivazione dal Nord al Sud dell'Italia rappresentano veramente un salto di qualità nella dotazione infrastrutturale del Paese. È un risultato per il quale non è dato altro che esprimere apprezzamento. Ritengo che al raggiungimento di questo risultato abbia contribuito in modo significativo la costante volontà dei governi di centro-destra, a partire dal 1994, di assicurare la realizzazione delle opere pubbliche strategiche per il Paese, concentrando su questo obiettivo tutte le risorse che era possibile reperire e superando le innumerevoli difficoltà di ordine procedurale e amministrativo.
È senza dubbio condivisibile esprimere nei confronti del Governo indirizzi volti ad ampliare ulteriormente la rete già realizzata, sia in relazione ai collegamenti compresi all'interno dei grandi assi transeuropei, sia in relazione alle linee che assumono una particolare rilevanza per ampie Pag. 80aree del territorio nazionale. Tra queste ultime deve essere sicuramente inclusa la linea ad alta capacità Bari-Napoli, che è stata più volte oggetto di atti di indirizzo all'esame della Commissione Trasporti della Camera, sui quali si è registrato un consenso pressoché unanime.
Occorre ricordare in proposito che il potenziamento della linea è inserito tra le opere della legge obiettivo e che è in approvazione il progetto preliminare delle tratte prioritarie. Occorre d'altra parte avere consapevolezza delle dimensioni dell'opera. Si tratta di un'opera per cui sono stati previsti investimenti complessivi per 5,3 miliardi di euro, di cui 2 già disponibili per la prima fase di realizzazione.
Come non si deve contrapporre l'alta velocità al servizio pubblico, così non si dovrebbe citare l'obiettivo del risanamento aziendale delle Ferrovie in correlazione con un presunto ridimensionamento del servizio. Il risanamento del bilancio delle Ferrovie è una condizione essenziale per il proseguimento della loro attività e, in definitiva, per il funzionamento del trasporto ferroviario in Italia. Nella mozione presentata dall'onorevole Franceschini si riporta un dato, ripreso dal materiale fornito alla Commissione Trasporti in un'audizione dei vertici di Ferrovie dello Stato della fine del 2008, con cui si evidenzia come il ricavo per passeggeri al chilometro in Italia sia significativamente inferiore, rispetto alla Francia o alla Germania, tanto per la quota di ricavo derivante da contributi delle amministrazioni pubbliche tanto per quella derivante dal traffico. È un dato molto indicativo. Al tempo stesso, bisogna riconoscere come sia estremamente difficile incrementare e l'una e l'altra voce da cui il ricavo è costituito. L'incremento dei contributi pubblici si scontra con l'entità del debito e del deficit dei conti dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche e con il rischio che, qualunque allentamento rispetto ad una linea di rigorosa difesa della stabilità, provochi sui mercati finanziari crisi analoghe a quella esplosa in Grecia e che ha minacciato altri Paesi europei. L'incremento dei ricavi da traffico, ossia l'aumento del costo dei biglietti del trasporto ferroviario, comporta, nella grande maggioranza dei casi e, in particolare, proprio per il traffico pendolare, un costo sociale assai pesante. Proprio se si parte da questa realistica considerazione delle condizioni di base, non si può non riconoscere il valore di una gestione che, in un periodo di tempo relativamente breve, è riuscita a recuperare perdite ingenti e ricondurre i conti delle Ferrovie di fatto in pareggio.
Si deve altresì considerare che, per quanto riguarda la situazione finanziaria e le prospettive di sviluppo delle Ferrovie dello Stato, non meno importante dell'entità dei contributi pubblici è la certezza di un arco temporale sufficientemente ampio in cui gli impegni dello Stato saranno mantenuti. Nella mozione presentata dal gruppo del Partito democratico si cita la parte della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria di Ferrovie dello Stato in cui è sottolineata l'esigenza di certezza, per un periodo sufficientemente lungo, delle risorse pubbliche destinate ai servizi e agli investimenti. In assenza di queste condizioni non è possibile definire alcuna programmazione affidabile degli investimenti e del miglioramento del livello dei servizi. La questione era già stata evidenziata con molta chiarezza dall'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato nell'audizione dell'ottobre 2008 sopra ricordata. Si trattò di uno dei momenti più rilevanti di quell'audizione. Per questo, occorre riconoscere l'importanza di una decisione, come quella assunta nel decreto-legge n. 5 del 2009, con cui si è stabilito che, al fine di garantire l'efficace pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale, i contratti di servizio relativi all'esercizio dei servizi di trasporto pubblico ferroviario comunque affidati hanno durata minima non inferiore a sei anni, rinnovabili di altri sei, mentre la legislazione previgente prevedeva contratti di durata massima non superiore a nove anni.
In una prospettiva generale, è essenziale che il gruppo Ferrovie dello Stato si trovi in condizioni di solidità finanziaria Pag. 81nel momento in cui si trova ad affrontare la liberalizzazione del mercato di trasporto dei passeggeri. A tutti è ben presente come i processi di liberalizzazione di settori vitali per l'economia del Paese, disciplinati dalla normativa comunitaria, si siano più volte tradotti, a partire dagli anni novanta, in un grave indebolimento dei principali operatori nazionali.
Se si considerano soltanto le materie di competenza della Commissione alla quale appartengo - la Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni - è possibile riscontrare più di un caso in cui questa situazione si è verificata, con grave danno per il Paese. Ciò è accaduto anche per il fatto che il recepimento della normativa comunitaria in Italia è avvenuto senza quella gradualità, quelle limitazioni e quei condizionamenti che sono stati invece posti in essere in altri Stati europei.
Considerazioni di questo genere sono sicuramente condivise dai presentatori della mozione, che affermano che l'apertura del nostro mercato ferroviario non trova riscontro nelle condizioni che si registrano altrove in Europa, con l'effetto di determinare un diverso grado di permeabilità dei mercati, e lamentano che le modalità di recepimento del quadro normativo europeo hanno determinato una situazione di squilibrio a danno dell'operatore ferroviario nazionale.
Per far fronte alla situazione creatasi, nella legge n. 99 del 2009 è stato inserito un complesso di misure relative alla disciplina del trasporto ferroviario di passeggeri che definiscono requisiti, con specifico riferimento ai titoli autorizzatori, e impongono limitazioni allo svolgimento dei servizi passeggeri in ambito nazionale. Con la medesima legge sono stati rivisti il decreto legislativo n. 422 del 1997, relativo all'attribuzione a regioni e enti locali del servizio di trasporto locale, e il decreto legislativo n. 188 del 2003, con cui sono state recepite le direttive comunitarie in materia di trasporto ferroviario, nonché le norme di attuazione del regolamento (CE) n. 1370/2007 sul trasporto pubblico di passeggeri, in modo da intervenire sulle condizioni e modalità di partecipazione alle gare e di affidamento dei servizi, sull'accesso all'infrastruttura ferroviaria e sui relativi canoni di utilizzo. Si tratta di profili senza dubbio assai complessi. Non c'è in alcun modo la volontà di ostacolare la liberalizzazione, ma si mira ad evitare che l'operatore nazionale si trovi in condizioni ingiustificate di svantaggio rispetto ai principali operatori degli altri paesi europei, in particolare di quelli di maggiori dimensioni.
In questo contesto dovrà essere considerato pure il problema dell'organismo di regolazione. È significativo, anche rispetto a quanto detto prima, che la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea riguardi, oltre l'Italia, altri dodici Paesi europei, tra cui Francia e Germania. Si deve altresì ricordare che le previsioni contenute nel decreto-legge n. 135 del 2009 hanno rafforzato l'autonomia dell'organismo di regolazione istituito nell'ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia sul versante delle competenze, con la previsione del potere di irrogare sanzioni pecuniarie anche di rilevante entità, sia sul versante delle risorse umane, strumentali e finanziarie ad esso assegnate per lo svolgimento dei propri compiti.
In ogni caso, il tema di una autorità di regolazione del trasporto ferroviario o del settore dei trasporti difficilmente potrà essere affrontato con la costituzione di nuove strutture e nuovi organismi. Si dovrà pensare piuttosto ad una organica e coerente redistribuzione delle competenze tra le strutture esistenti.
Nell'ambito generale del tema della liberalizzazione del settore ricade una specifica riflessione sul trasporto ferroviario di merci, sul quale opportunamente si sofferma la mozione presentata dal gruppo del Partito democratico. Per un verso, si tratta, infatti di un settore in condizioni di grave sofferenza; per altro verso è un settore che potrebbe offrire un apporto fondamentale alla crescita del Paese e allo sviluppo, su base nazionale, di un sistema di logistica equilibrato ed efficiente, oltre che ben più sostenibile sotto il profilo ambientale. Per perseguire questi Pag. 82obiettivi è necessaria una effettiva apertura del mercato, che garantisca condizioni di parità per tutti i soggetti in esso operanti, congiuntamente con una politica di riequilibrio dei contributi e delle agevolazioni rispetto al trasporto delle merci su gomma. Occorre impegnarsi in questa direzione. Rispetto allo specifico riferimento alla direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2009, oggetto anche di contenzioso, bisogna peraltro segnalare che l'elenco degli impianti attualmente a disposizione delle imprese ferroviarie interessate al trasporto merci, definito nel Prospetto informativo della rete per il 2009 successivamente alla direttiva, ha ampliato l'elenco degli impianti disponibili, rispetto ai 71 impianti elencati dall'allegato 1 della direttiva, garantendo alle imprese ferroviarie la disponibilità di ulteriori 61 impianti merci, per cui l'offerta si è mantenuta pari a quella dell'esercizio precedente.
In conclusione, il trasporto ferroviario di passeggeri e merci è un elemento essenziale per lo sviluppo del Paese ed è sicuramente positivo che questo tema sia oggetto di discussione da parte dell'Assemblea della Camera. Rispetto alle questioni sollevate nella mozione che è stata presentata, ho ritenuto opportuno segnalare, insieme ai problemi aperti, anche quanto è stato fatto e i risultati positivi raggiunti. Per questo preannuncio la presentazione anche da parte del gruppo del Popolo della Libertà di una mozione, che, nel dare conto degli interventi finora effettuati sia dal punto di vista finanziario sia da quello normativo, impegni il Governo a proseguire in una politica di promozione della realizzazione delle infrastrutture e di miglioramento del livello dei servizi, di liberalizzazione del trasporto ferroviario di passeggeri in condizioni di parità con gli altri Stati europei e di sostegno allo sviluppo del trasporto ferroviario di merci.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 9)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Doc. XXII, nn. 12-16-A - em. 1.1 482 481 1 241 481 61 Appr.
2 Nom. articolo 1 487 486 1 244 486 60 Appr.
3 Nom. articolo 2 491 490 1 246 490 59 Appr.
4 Nom. articolo 3 494 493 1 247 493 59 Appr.
5 Nom. articolo 4 494 493 1 247 493 59 Appr.
6 Nom. em. 5.1 494 493 1 247 493 59 Appr.
7 Nom. articolo 5 496 494 2 248 494 59 Appr.
8 Nom. Doc. XXII, nn. 12-16-A - v. finale 502 501 1 251 501 57 Appr.
9 Nom. Risol. Pescante ed a. 6-43 494 485 9 243 485 54 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.