TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 275 di Lunedì 8 aprile 2024

 
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MOZIONI IN MATERIA DI REVISIONE DEI MECCANISMI DI TASSAZIONE DELLE EMISSIONI DI CARBONIO (CBAM) PER LE IMPORTAZIONI A TUTELA DELLA COMPETITIVITÀ DELLE AZIENDE EUROPEE

   La Camera,

   premesso che:

    1) il percorso europeo di de-carbonizzazione, cosiddetto «Green Deal», mira alla neutralità climatica entro il 2050 attraverso una serie di regolamenti tra cui, con riferimento alle produzioni ad alte emissioni (hard to habate), il sistema ETS (Emission Trading System) del 2005 ed il recente Regolamento (UE) 2023/956 Cbam (Carbon Border Adjust Mechanism);

    2) la ratio delle due regolamentazioni europee è guidare questi settori a ridurre progressivamente (fino a zero nel 2035) le emissioni di CO2 e, parallelamente, difendere questo percorso tassando, dal 1° gennaio 2026, le importazioni di alcune materie prime strategiche (acciaio e altri e prodotti siderurgici alluminio, fertilizzanti, cemento idrogeno ed energia elettrica) provenienti da Paesi extra europei, attraverso il Cbam. Questo è progettato per integrare l'ETS imponendo un prezzo del carbonio sulle citate materie prime, importate nell'UE da Paesi terzi che non tassano le emissioni di CO2 a livelli paragonabili a quelli applicati nella UE, con l'intento di costringere anche i produttori di quei Paesi a ridurre le loro emissioni per poter accedere al mercato europeo;

    3) nei confronti del Cbam le associazioni cui fanno capo i soggetti obbligati hanno rilevato diverse criticità. In breve:

     a) i prodotti finiti extra UE potranno liberamente essere importati senza tassazione Cbam, anche se prodotti con le medesime materie prime ad alta intensità emissiva, così conquistando quote di mercato dei nostri trasformatori;

     b) nel Cbam proposto manca meccanismo per favorire le esportazioni, idoneo mantenere competitivi i beni prodotti in Europa con le materie prime tassate, da destinare ai mercati al di fuori dell'UE. Di conseguenza la misura impatta sulla competitività delle imprese continentali che esportano extra-UE (cosiddetto export rebate);

     c) la mole di informazioni da raccogliere per la quantificazione delle emissioni è significativa. Per ogni merce importata, le imprese devono fornire dati sul sito in cui la merce è stata prodotta, il tipo di processo produttivo impiegato, le fonti emissive e le emissioni dirette e indirette di ciascun processo produttivo. Effetto diretto di questa complessità è stato il blocco della piattaforma cui inviare i dati, con lo slittamento di 30 giorni della prima relazione trimestrale, cui gli importatori sono obbligati;

     d) non è stato specificato un metodo di calcolo univocamente valido per gestire la contabilità delle emissioni. La quasi totalità di questi dati deve essere fornita dai produttori delle merci importate dislocati nei Paesi terzi di importazione che si rivelano spesso poco edotti sul meccanismo e poco inclini a collaborare. Le imprese europee importatrici sono così esposte a costi di transazione e a potenziali rischi di sanzioni;

     e) in un contesto di frammentazione economica e tensioni geopolitiche internazionali l'applicazione dello strumento rischia di sortire un effetto opposto a quello cercato. Dal 2020 al 2023 le importazioni UE di alluminio dalla Russia sono passate da 840 mila tonnellate a 567 mila tonnellate. Il gap è stato colmato dall'India. Ma l'alluminio russo è prodotto in prevalenza con energia da idroelettrico, quello indiano da fonti fossili. Al prezzo fissato dai mercati internazionali si aggiungerebbe quello del carbonio incorporato;

     f) la nostra produzione siderurgica è fondamentale per sostenere le filiere metalmeccaniche delle industrie del nostro Made in Italy; la produzione a ciclo integrato ad alto forno (vedasi l'ex Ilva) subirà un notevole aumento di costo proprio mentre si cerca di rilanciarne e sostenere la produzione e per la quale servono importanti investimenti tecnologici. Già nell'ultimo decennio il calo della produzione (da circa 8 milioni di tonnellate a 2.5 milioni) ha comportato un aumento dei costi e della dipendenza dalle importazioni;

    4) per quanto riguarda il regolamento ETS, relativo alla circolazione dei certificati di emissione per i settori ad alta intensità emissiva, nell'aprile 2023 ne è stata approvata la riforma, destinata a generare, secondo le previsioni UE, maggiori entrate per 700 miliardi di euro nei prossimi anni e conseguentemente maggiori oneri a carico delle imprese nei settori hard to abate. Si prevede la progressiva eliminazione dei certificati di emissione distribuiti gratuitamente alle imprese e la progressiva inclusione di settori precedentemente esclusi. La sola estensione dell'ETS al settore, marittimo ha già prodotto l'incremento dei relativi costi del 4 per cento quest'anno;

    5) il prezzo dei permessi di emissione si è mosso attorno agli 80 euro nel 2023 (a fronte dei 15 dollari la tonnellata dei permessi di emissione americani) e si prevede un trend crescente: 93 euro nel 2024, 150 euro nel 2030 (Bloomberg NEF). La riforma degli ETS è giudicata dalla generalità delle imprese troppo pesante;

    6) così come concepiti il meccanismo ETS e la tassazione Cbam incideranno sulla competitività dei produttori e delle aziende manifatturiere trasformatrici a valle delle materie prime tassate, cioè su un obiettivo che dovrebbe essere tra le priorità dell'Unione. Secondo un recente studio di Goldman Sachs il Cbam comporterà un aumento del costo dell'acciaio del 15-30 per cento e dell'alluminio del 7-20 per cento, provenienti dalla zona Asia/Pacifico;

    7) questa impostazione potrebbe influenzare il modo in cui i produttori europei pensano agli investimenti. Senza metodologie che bilancino vantaggi e svantaggi, le aziende potrebbero decidere che l'incertezza è eccessiva e spostare la produzione ad alta intensità di carbonio fuori dall'Unione europea, in Paesi senza Carbon tax o in Paesi con sussidi più vantaggiosi. Ciò è ancora più rilevante per l'Italia che è un Paese di trasformazione in quanto importa materie prime grezze ed esporta prodotti finiti;

    8) il meccanismo Cbam, in particolare, nato con obiettivo di tutelare l'industria e l'occupazione europee, lo sviluppo, la produzione e la sovranità economica del nostro sistema, oltre a non raggiungere i suoi target ambientali, rischia di aggiungere un onere regolatorio e una destrutturazione di catene del valore delle aziende Ue che da anni si muovono tra incertezze macro economiche;

    9) il 9 maggio 2023 è stata approvata dalla Camera la mozione 1-00135 che ha impegnato il Governo «a sostenere nella transizione energetica ed ecologica un modello di sviluppo che sia in grado di garantire la salvaguardia dell'ambiente, dell'individuo e dell'economia, di perseguire la neutralità climatica assicurando il principio della neutralità tecnologica nei settori elettrico, termico e dei trasporti.»,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurounitarie al fine di:

  a) mitigare gli effetti distorsivi dei regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023, «Carbon Border Adjustment Mechanism» (Cbam), anche attraverso opportune modifiche, secondo modalità che:

   1) estendano la sua applicazione anche all'impronta carbonica dei prodotti finiti, realizzati con le materie prime grezze oggetto di imposta ambientale, importati nell'Unione;

   2) semplifichino le future procedure di autorizzazione e diano certezza agli operatori sia in termini di regole tecniche per le comunicazioni, sia mediante introduzione di metodi di calcolo inequivocabili per gestire la contabilità delle emissioni;

   3) tengano conto delle distorsioni del mercato derivanti dall'instabilità del contesto geopolitico internazionale e dal mutamento del sistema delle alleanze e degli accordi internazionali;

   4) coordinino le misure del Cbam con la riforma del mercato europeo di scambio delle quote di emissione CO2 (ETS) secondo un modello che tenga conto della necessità di non impattare sulla competitività delle imprese europee, in particolare nei settori hard to abate e più in generale su tutto il manifatturiero, e di non attivare fenomeni di delocalizzazione;

  b) garantire, nel recepimento della direttiva (UE) 2023/959 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, recante modifica della direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell'Unione (ETS), la sterilizzazione di impatti negativi sui settori inclusi, al fine di non alterare la competitività delle imprese dell'Unione europea a livello globale;

  c) prevedere appositi meccanismi di supporto, finanziati a livello UE, funzionali a dotare rapidamente i settori cosiddetti hard to abate di soluzioni di decarbonizzazione, preservandone la competitività.
(1-00253) «Casasco, Caramanna, Andreuzza, Cortelazzo, Mantovani, Gusmeroli, Squeri, Ambrosi, Barabotti, Rossello, Antoniozzi, Di Mattina, Mazzetti, Caiata, Toccalini, Polidori, Barelli, Molinari, Angelucci, Bagnai, Battilocchio, Bellomo, Benvenuto, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Bruzzone, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattaneo, Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Coin, Colombo, Comaroli, Comba, Crippa, Dara, Davide Bergamini, Di Maggio, Donzelli, Formentini, Frassini, Furgiuele, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Giordano, Giovine, Iezzi, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Maerna, Marchetti, Matone, Miele, Minardo, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Paolo Emilio Russo, Pierro, Pietrella, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Rotondi, Sasso, Schiano di Visconti, Stefani, Sudano, Ziello, Zinzi, Zoffili, Zucconi».

(27 febbraio 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il percorso europeo di decarbonizzazione, cosiddetto «Green Deal», mira alla neutralità climatica entro il 2050 attraverso una serie di regolamenti tra cui, con riferimento alle produzioni ad alte emissioni (hard to abate), il sistema Ets (Emission trading system) del 2005 ed il recente Regolamento (UE) 2023/956 Cbam (Carbon border adjust mechanism);

    2) l'Eu Ets e il Cbam si prefiggono l'obiettivo comune di stabilire un prezzo per le emissioni di gas a effetto serra incorporate negli stessi settori e nelle stesse merci mediante l'uso di quote o certificati specifici. Entrambi i sistemi hanno natura normativa e sono giustificati dalla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, in linea con l'obiettivo ambientale vincolante, stabilito dal diritto dell'Unione nel regolamento (UE) 2021/1119, di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra dell'Unione di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica in tutti i settori dell'economia entro il 2050;

    3) mentre l'Eu Ets fissa il numero totale di quote rilasciate (cap «massimale») per le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalle attività che rientrano nel suo campo di applicazione e consente la negoziazione delle quote (sistema cap-and-trade, «sistema di limitazione e scambio»), il Cbam non dovrebbe stabilire limiti quantitativi alle importazioni in modo che i flussi commerciali non siano limitati. Inoltre, mentre l'Eu Ets si applica agli impianti situati nell'Unione, il Cbam dovrebbe applicarsi a determinate merci importate nel territorio doganale dell'Unione;

    4) in quanto strumento per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, il Cbam dovrebbe garantire che i prodotti importati siano soggetti a un sistema normativo che applica costi del carbonio equivalenti a quelli sostenuti nell'ambito dell'Eu Ets, con il risultato di pervenire a un prezzo del carbonio equivalente per i prodotti importati e quelli nazionali, garantendo nel contempo la compatibilità con la legislazione dell'organizzazione mondiale del commercio;

    5) tuttavia, la concreta applicazione del meccanismo presenta alcune criticità che potrebbero vanificare il raggiungimento dell'obiettivo generale. I problemi legati all'applicazione del Cbam si presentano in modo differente per i diversi settori obbligati. In particolare, nei settori dell'acciaio e dell'alluminio, l'applicazione del Cbam comporta un rischio di riduzione della produzione interna, a causa dell'incremento del prezzo delle importazioni di materie prime, e di uno spostamento nei Paesi extra europei della produzione di manufatti intermedi sui quali non si applica il Cbam. Questo problema, invece, non riguarda il settore dei fertilizzanti, dell'energia elettrica, dell'idrogeno e del cemento;

    6) relativamente ai settori dell'acciaio e dell'alluminio, sarebbe opportuno introdurre alcune modifiche al meccanismo Cbam per scongiurare il rischio di delocalizzazione della produzione di prodotti finali o intermedi. Delocalizzazione che non solo produrrebbe un danno economico e strategico al sistema industriale italiano e europeo ma comporterebbe, allo stesso tempo, un aumento dell'intensità di emissioni per unità di prodotto;

    7) secondo l'attuale versione del regolamento, infatti, i prodotti finiti extra Unione europea potranno liberamente essere importati senza tassazione Cbam anche se prodotti con materie prime ad alta intensità emissiva. Appare evidente che tale circostanza produrrebbe un effetto diametralmente opposto allo scopo immaginato dal meccanismo Cbam;

    8) a norma del regolamento, il Cbam dovrebbe essere attuato anche attraverso la creazione di incentivi per la riduzione delle emissioni da parte degli operatori nei Paesi terzi. Tuttavia, molti partner commerciali, in particolar modo quelli più fragili economicamente ed esposti alle esportazioni verso l'Unione europea, come taluni Paesi africani, rilevano che la politica commerciale verde dell'Unione europea non è sufficientemente attenta alla dimensione della cooperazione allo sviluppo;

    9) in sostanza, viene espressa una forte preoccupazione per le implicazioni economiche degli strumenti commerciali verdi dell'Unione europea, che alcuni Paesi considerano una forma di protezionismo verde. Questi strumenti condizionano l'accesso al mercato dell'Unione europea al rispetto di rigorosi requisiti ambientali, creando barriere all'accesso per i partner commerciali dell'Unione europea, in particolare i Paesi in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati che potrebbero non essere in grado di soddisfare tali requisiti. L'impatto delle regolamentazioni dell'Unione europea non sarà uniforme su tutti i Paesi, con alcune nazioni che subiranno conseguenze economiche più severe;

    10) in un contesto di progressiva crescita della domanda di beni con una impronta emissiva minore rispetto agli standard del passato, la difesa strategica della nostra produzione siderurgica dipende dagli investimenti per la decarbonizzazione della produzione,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurounitarie al fine di:

  a) privilegiare un approccio diplomatico con i Paesi con i quali l'Europa ha i più significativi rapporti commerciali sui prodotti oggetto del Cbam, al fine di promuovere nei Paesi extra europei una ambizione climatica paragonabile a quella europea, anche mobilitando le leve della finanza internazionale e degli accordi commerciali bilaterali basati su standard legati all'impronta carbonica dei prodotti intermedi e/o finali;

  b) adottare un approccio diplomatico diversificato (bilaterale, multilaterale e plurilaterale) rispetto alle caratteristiche specifiche del Paese partner terzo, in grado di distinguere tra Paesi vulnerabili e Paesi avanzati, competitor, rispondendo alle preoccupazioni economiche dei primi, anche attraverso:

   1) l'istituzione di «partnership commerciali verdi» per supportare i Paesi più vulnerabili nello sviluppo di capacità istituzionale e produttiva per soddisfare gli standard ambientali dell'Unione europea;

   2) l'utilizzo di parte dei ricavi del Cbam per sostenere la transizione verde nei Paesi più vulnerabili, anche all'interno della cornice del «Piano Mattei per l'Africa»;

  c) mitigare gli effetti distorsivi del regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023, «Carbon Border Adjustment Mechanism» (Cbam), anche attraverso opportune modifiche, secondo modalità che:

   1) estendano la sua applicazione anche all'impronta carbonica dei prodotti intermedi e finiti, almeno per una lista di prodotti significativi per l'industria, o strategici per la sicurezza, contenenti acciaio e allumino (come ad esempio automobili, elettrodomestici, macchine industriali), realizzati con le materie prime grezze oggetto di imposta ambientale importati nell'Unione;

   2) promuovano l'introduzione di meccanismi di incentivazione selettiva alla domanda – come incentivi per il settore automotive, per gli elettrodomestici, per i prodotti da costruzione – basati su una certificazione di impronta emissiva in grado di soddisfare determinati standard fissati a livello europeo;

   3) promuovano, conseguentemente, l'introduzione di standard per la determinazione di quote minime di prodotto «green» per manufatto finito nel mercato europeo, tali da sostenere la domanda interna di prodotti con bassa intensità emissiva, indipendentemente dal Paese di provenienza, in tal modo riducendo significativamente il rischio di delocalizzazione;

   4) semplifichino le future procedure di autorizzazione e diano certezza agli operatori sia in termini di regole tecniche per le comunicazioni, sia mediante introduzione di metodi di calcolo inequivocabili per gestire la contabilità delle emissioni;

   5) coordinino le misure del Cbam con la riforma dell'Eu Ets e con la direttiva CSDDD sugli obblighi di sostenibilità delle imprese (corporate sustainability due diligence directive);

  d) prevedere appositi meccanismi di supporto, come l'istituzione di un fondo sovrano europeo per la transizione climatica, in grado di superare le differenze di esposizione al debito pubblico dei diversi Paesi europei rispetto alla possibilità di finanziare la transizione, tali meccanismi, finanziati dall'emissione di debito comune sul modello del Next Generation EU, dovrebbero dotare rapidamente i settori hard to abate di soluzioni di decarbonizzazione, preservandone in tal modo la competitività e aumentando l'integrazione e la sicurezza strategica europea.
(1-00266) «Sergio Costa, Pavanelli, Ilaria Fontana, Cappelletti, L'Abbate, Morfino, Santillo».

(3 aprile 2024)

MOZIONE IN MATERIA DI POLITICHE DEL LAVORO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE INIZIATIVE VOLTE ALLA LOTTA AL PRECARIATO

   La Camera,

   premesso che:

    1) in questi anni le crisi hanno acuito le diseguaglianze a livelli inaccettabili, con una fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani, con la polarizzazione tra le diverse categorie di lavoratori, tra le retribuzioni, tra i generi e le diverse generazioni;

    2) per una ripresa equa e stabile nel nostro Paese è necessario un vero e proprio «nuovo contratto sociale», che sul fronte del lavoro veda al centro una serrata lotta alla precarietà e allo sfruttamento, limitando il ricorso a tutte quelle formule contrattuali che minano il concetto di buona e stabile occupazione e che colpiscono le fasce più fragili della popolazione, a cominciare dai giovani e dalle donne;

    3) la sfida dei mercati internazionali, così come quella della rivoluzione tecnologica e della transizione ecologica, non può più essere affrontata puntando sulle basse retribuzioni, sulla compressione dei diritti dei lavoratori e su bassi livelli di produttività, pena il rischio della marginalità e di squilibri sociali drammatici. Non ultimo, è di tutta evidenza il nesso tra la precarietà del lavoro e l'acuirsi dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, con il tragico corollario dei tanti morti e infortuni che ancora affliggono il nostro mercato del lavoro;

    4) tali sfide non possono essere affrontate con soluzioni anacronistiche e decontestualizzate dal livello globale. La stessa dimensione nazionale rischia di non essere più adeguata per assicurare una reale capacità competitiva per il nostro sistema produttivo e per il mantenimento di adeguati livelli occupazionali in grado di assicurare una vita dignitosa e di sostenere un sistema di welfare al passo con le sempre nuove esigenze della popolazione;

    5) secondo il benchmarking working Europe 2024, predisposto dal centro di ricerca della Confederazione europea dei sindacati, la retribuzione reale media, al netto dell'inflazione, è scesa nel 2023 dello 0,7 per cento. Per i lavoratori italiani questo valore si è attestato a un meno 2,6 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo l'Ungheria e la Repubblica Ceca;

    6) dalla stessa analisi, e non solo, emerge che i profitti delle imprese negli ultimi due anni sono cresciuti in termini reali. Un dato che, secondo, la Banca centrale europea, è alla base dell'impennata inflazionistica registratasi negli ultimi anni. Secondo gli economisti della Banca centrale europea, non si è innescata alcuna pericolosa spirale salari-prezzi, tanto più nel caso italiano, ma ad alimentare la corsa dei prezzi innescata da ripresa post-Covid e dalla guerra in Ucraina il fattore più incisivo sono i profitti nell'Eurozona;

    7) in base ai dati di Eurostat, l'Italia è l'unico Paese tra i 27 Stati Ue con un indice del costo del lavoro in recessione dello 0,1 per cento nell'ultimo trimestre 2023, rispetto all'analogo periodo del 2022. Un valore che si scontra con il dato medio del 3,8 per cento per i Paesi Ue e del 3,1 per cento per i Paesi dell'Eurozona;

    8) come già tristemente noto, l'Italia è l'unico Paese dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9 per cento), mentre in Germania è cresciuto del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento. Si tratta di un andamento composto, infatti nella decade 1990-2000 e in quella 2000-2010 i salari in Italia sono cresciuti, seppure con una dinamica piatta, rispettivamente dello 0,7 per cento e del 5,2 per cento. L'ultima decade 2010-2020 è stata quella maggiormente negativa con una caduta del –8,3 per cento. In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia progressivamente dal –14,6 per cento (1990-2000), al –15,1 per cento (2000-2010) e, infine, al –19,6 per cento (2010-2020). Allo stesso tempo, questi valori si sono accompagnati ad un andamento della produttività del lavoro che, sebbene meno significativa rispetto a quella degli altri Paesi dell'area, è comunque cresciuta più dei salari, quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro;

    9) tra le principali cause dei bassi livelli salariali in Italia si segnalano la discontinuità lavorativa, il part-time e la precarietà contrattuale, a cui bisogna aggiungere la maggior presenza di basse qualifiche e i mancati rinnovi contrattuali;

    10) i dati Eurostat mostrano come, nel 2022, all'interno dell'occupazione dipendente l'Italia abbia registrato, da un lato, una percentuale di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche nettamente più bassa rispetto alle altre principali economie europee e, dall'altro, una quota delle professioni non qualificate marcatamente più alta di quella osservata in Germania e Francia e di poco inferiore a quella della Spagna. Parimenti si segnalano due fattori quali l'alta incidenza del lavoro a termine (16,9 per cento, inferiore solo alla Spagna dove, però, e in diminuzione) e del part-time involontario (57,9 per cento, la più alta di tutta l'Eurozona);

    11) valori che si accompagnano ad un'altra anomalia del nostro mercato del lavoro. Nel 2022, secondo i dati OCSE, le ore medie lavorate annualmente dai lavoratori dipendenti in Italia sono state 1.563, un numero pari a quello della Spagna ma decisamente più alto di quello osservato in Germania (1.295 ore) e in Francia (1.427 ore). Dalla lettura congiunta, da un lato, delle ore lavorate e, dall'altro, della quota salari sul PIL desunta dalla banca dati macroeconomica della Commissione europea (Ameco), emerge come in Italia, benché si lavori comparativamente di più, la quota di reddito destinata a remunerare il lavoro dipendente tramite i salari sia notevolmente più bassa, perfino della Spagna;

    12) per l'Italia, al quadro appena tracciato, bisogna aggiungere come i lunghi, ed ingiustificati, ritardi nel rinnovare i contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) (durata media pari a 30,8 mesi nel 2022) determinino un'elevata quota percentuale di lavoratori dipendenti con un contratto scaduto (53,2 per cento nell'intera economia nel 2022) (Istat, 2024). Questo si traduce in un ingente massa salariale non in linea con l'aumento dei prezzi che, in una fase di alta inflazione cumulata, determina una forte diminuzione del potere d'acquisto dei lavoratori. La caduta dei salari reali diventa ancora più drammatica dal momento che la crescita dei prezzi ha effetti differenziati sulla popolazione per via della differente composizione del paniere e dei redditi familiari: nel solo 2022, a fronte di un'inflazione generale del +8,7 per cento l'impatto è stato molto più ampio sulle famiglie con minor capacità di spesa (+12,1 per cento) rispetto a quelle con maggior capacità di spesa (+7,2 per cento). In tale contesto, va salutato positivamente il recente rinnovo del contratto nazionale del commercio;

    13) un'analisi confermata nel documento «Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia» approvato dal Cnel, il 12 ottobre 2023, per il quale uno dei fattori che maggiormente ha penalizzato il potere di acquisto delle retribuzioni è rappresentato dal ritardo nei rinnovi contrattuali, che si protrae anche per anni;

    14) i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati nell'archivio nazionale del Cnel, aggiornato al 30 giugno 2023, sono 1.037 (Ccnl lavoratori privati, Ccnl lavoratori pubblici, Ccnl lavoratori parasubordinati e accordi economici collettivi per alcune categorie di lavoratori autonomi). Dei 976 Ccnl relativi al settore privato, 553 risultano scaduti (57 per cento). I lavoratori privati con un contratto che risultava scaduto al 30 giugno 2023 erano 7.732.902, il 56 per cento su un totale di 13.839.335;

    15) corollario fondamentale per delineare un quadro certo di regole in materia di individuazione di adeguati livelli retributivi, in coerenza con i princìpi costituzionali e comunitari, è quello legato alla definizione e alla disciplina della misurazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali, scongiurando il dumping salariale generato dai cosiddetti «contratti pirata»;

    16) tra i fattori che maggiormente incidono sulla condizione reddituale ed esistenziale di milioni di lavoratori, come evidenziato dal citato documento Cnel dell'ottobre scorso, vi è il tema della precarietà tanto diffusa soprattutto per alcune categorie di lavoratori, come i giovani e le donne. In questo poco lusinghiera classifica dei rapporti a tempo determinato, anche con termini brevi e brevissimi, l'Italia è al sesto peggior posto, con una media nazionale al 16,8 per cento che balza al 23 per cento nel Mezzogiorno;

    17) i recenti dati, testimoniati dall'Istat e da Eurostat mostrano un aumento dell'occupazione complessiva pari a 23,7 milioni di occupati, per una percentuale del tasso di occupazione pari al 66,3 per cento della fascia di età 20-64 anni, tuttavia ancora distante 10 punti rispetto alla media europea, così come della percentuale degli occupati a tempo indeterminato. Tuttavia, un'analisi più approfondita ci segnala come l'incremento dell'occupazione stabile non sia la conseguenza di misure volte a limitare la precarietà, ma il risultato del blocco dell'uscita pensionistica determinato dalla riforma Fornero e dalle ulteriori restrizioni introdotte con le due ultime due leggi di bilancio e dalle difficoltà che le imprese incontrano sempre più spesso a trovare figure con particolari specializzazioni;

    18) a rendere ancora più fragile ed ingiusto il nostro mercato del lavoro va evidenziato il tema dell'occupazione femminile, che in Italia risulta essere – secondo dati relativi al IV trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Un divario che si conferma anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. A ciò si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Una condizione che risulta ancora più aggravata dall'accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    19) altrettanto rilevante è il capitolo relativo all'occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni, che se nel 2023 è migliorato raggiungendo il 43,7 per cento, un valore che non si registrava dall'inizio del 2011, tuttavia, non ha però invertito la tendenza di lungo periodo: negli ultimi 18 anni – dal 2004 al 2022 – l'occupazione di giovani tra i 15 e i 34 anni è infatti diminuita di 8,6 punti percentuali (dal 52,3 al 43,7 per cento) mentre per la fascia 50-64 anni è aumentata di 19,2 punti (dal 42,3 al 61,5 per cento);

    20) l'occupazione dei nostri giovani è caratterizzata da un'alta vulnerabilità: difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro, forme contrattuali che non garantiscono rapporti di lavoro di lungo periodo e avanzamenti di carriera più lenti e meno appaganti di quelli delle generazioni precedenti. I dati evidenziano che la quota di dipendenti con contratto a termine è infatti molto più alta tra la popolazione giovane (30,2 per cento) rispetto alla restante (13,2 per cento) maggiore è anche la percentuale di giovani che lavorano a tempo parziale per mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, 13,8 per cento contro valori inferiori al 10 per cento nel caso delle altre fasce di età;

    21) allo stesso tempo, non si può non ricordare come, secondo il report redatto da Fondazione Nord-Est e dell'associazione Talented Italians in the UK che ha elaborato i dati Eurostat, l'Italia ha perso 1,3 milioni di persone andate a lavorare e vivere all'estero negli ultimi 10 anni. Un fenomeno paragonabile a quanto succedeva negli anni '50 del secolo scorso, quando però chi se ne andava dal nostro Paese aveva un basso livello di scolarizzazione, mentre oggi si stima che un emigrante su tre sia laureato;

    22) i tanti lavoratori in Italia che non hanno un contratto collettivo di lavoro di riferimento o che si vedono negare una retribuzione corrispondente a quella prevista dai contratti nazionali, i cosiddetti «working poors», attendono ancora che anche nel nostro Paese sia prevista una apposita disciplina volta ad assicurare condizioni retributive minime, in linea con le previsioni del primo comma dell'articolo 36 della Costituzione, che dispone «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;

    23) con la direttiva (UE) 2022/2041 sono stati fissati quattro obiettivi principali: il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso; le norme dell'Unione europea rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari; il rafforzamento della contrattazione collettiva nei paesi in cui è coinvolto meno dell'80 per cento dei lavoratori; il diritto di ricorso per i lavoratori, i loro rappresentanti e i sindacalisti in caso di violazione delle norme;

    24) nell'Unione europea il salario minimo legale è in vigore in grandi Paesi come Francia e Germania e sono soltanto cinque gli Stati, oltre all'Italia, dove ancora non è previsto;

    25) la recente sentenza della Corte di cassazione – Sezione Lavoro – n. 27713 ha statuito che: «Nell'attuazione dell'articolo 36 della Costituzione il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'articolo 36 della Costituzione, anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata. Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe, può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022»;

    26) alla luce di tali evidenze, appare necessaria una radicale revisione della impostazione della politica del lavoro nel nostro Paese, che veda al centro la valorizzazione del fattore lavoro, quale elemento di emancipazione e di partecipazione sociale e democratica di tutti i cittadini,

impegna il Governo:

1) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione, il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso verso una vera e propria «bonifica» normativa, l'incremento della partecipazione al lavoro, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, così come al Mezzogiorno e alle aree interne;

2) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di Cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento ai lavoratori e alle lavoratrici di ciascun settore economico di un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, assicurando in ogni caso livelli retributivi in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, anche attraverso l'introduzione del salario minimo legale, corrispondente a un trattamento economico minimo orario non inferiore a 9 euro, aggiornato annualmente per tenere conto, in particolare, dell'aumento della produttività e dell'inflazione;

3) ad adottare le opportune iniziative per sancire che l'applicazione dei contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale sia condizione per poter intrattenere rapporti economici con le pubbliche amministrazioni e per accedere ai benefici di legge previsti dal nostro ordinamento;

4) a predisporre, per quanto di competenza, specifiche misure volte a prevedere una indispensabile differenziazione tra contratti ancora in vigore e contratti già scaduti, prevedendo opportune disposizioni di premialità, qualora il rinnovo intervenga entro la scadenza o entro termini strettamente fisiologici e giustificati e di penalizzazione nel caso il rinnovo si protragga oltre i suddetti termini;

5) a favorire, per quanto di competenza e con il pieno coinvolgimento delle parti sociali, una disciplina normativa di sostegno per la regolamentazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che restituisca certezza nelle relazioni industriali e superi la proliferazione di sigle di comodo, così come la moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da organizzazioni che non hanno alcuna rappresentatività reale;

6) per quanto attiene al contrasto ad ogni forma di precarietà, ad adottare le iniziative di competenza in particolare di carattere normativo, volte a:

  a) rivedere la disciplina in materia di contratti a tempo determinato, riconducendone il ricorso a quelle situazioni puntuali e straordinarie per le quali è giustificata tale modalità di prestazione lavorativa e distinguendone la disciplina contributiva in ragione della maggiore o minore durata di detti contratti;

  b) adottare le opportune misure volte a monitorare e scoraggiare la diffusione del part-time involontario e di quello fittizio;

  c) ricondurre la disciplina della somministrazione entro limiti ben circoscritti e verificabili, sia dal punto di vista delle condizioni, così come del numero massimo dei lavoratori fisiologicamente utilizzabili;

  d) eliminare la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente;

  e) rivedere la disciplina dell'appalto tra privati, al fine di assicurare che detto istituto non si riduca ad un mero esercizio di potere organizzativo e direttivo dei lavoratori utilizzati nell'appalto e che al personale impiegato in appalti di opere o servizi sia sempre assicurato il trattamento economico e normativo complessivo applicato dal committente e, comunque, non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e territoriale sottoscritta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

  f) ricondurre la disciplina del lavoro occasionale entro limiti ben circoscritti di specifiche prestazioni lavorative caratterizzate dalla discontinuità ed occasionalità e per determinate categorie di lavoratori quali gli studenti, gli inoccupati, i pensionati e i disoccupati;

  g) rafforzare il sistema delle tutele in caso di trasferimento di ramo d'azienda, così come in caso di trasferimento e delocalizzazione della produzione;

7) ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per contrastare il fenomeno delle false partite IVA che coinvolgono, in particolare, molti giovani laureati e professionisti, iscritti agli ordini professionali e non in monocommittenza, il cui rapporto di lavoro è in realtà assimilabile dal punto di vista organizzativo e gerarchico a quello subordinato – senza le corrispondenti tutele – e con retribuzioni che, se parametrate su base oraria, risultano di gran lunga inferiori a quelle auspicabili per il salario minimo;

8) ad adottare iniziative volte ad assicurare che i giovani possano sempre poter contare su un complesso di tutele normative ed economiche durante la partecipazione ai tirocini formativi e agli stage;

9) a monitorare e rafforzare le misure di contrasto delle forme di penalizzazione del lavoro delle donne e di divario retributivo di genere;

10) ad adottare, in linea con le esperienze più avanzate in Europa, le opportune misure per assicurare l'estensione in termini di durata nonché di copertura del congedo di paternità obbligatorio, prevedendo altresì che il congedo e il congedo di maternità e il congedo di paternità godano di una copertura retributiva pari al 100 per cento, in modo da ridurre il disincentivo economico all'utilizzo dei congedi parentali per i padri;

11) a favorire, per quanto di competenza, l'adozione di misure volte a promuovere la sperimentazione della riduzione dell'orario lavorativo a parità di salario;

12) ad avviare un serio confronto con le parti sociali realmente rappresentative volto a definire una nuova strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, da implementare annualmente favorendo il pieno coinvolgimento del Parlamento, assicurando, nelle more, l'adozione di immediate misure volte ad affrontare le principali criticità, quali l'equiparazione delle tutele disposte nella disciplina degli appalti pubblici anche agli appalti tra privati, nonché l'eliminazione degli appalti a cascata e delle gare al massimo ribasso.
(1-00265) «Scotto, Braga, Guerra, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino».

(26 marzo 2024)