TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 64 di Martedì 7 marzo 2023

 
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INTERROGAZIONI

A)

   FORATTINI, SERRACCHIANI e MANZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   è del 17 febbraio 2023 lo sciopero indetto dalle redazioni dei giornali del gruppo Gedi a seguito delle voci di trattative, non smentite, di vendita delle storiche testate del Nord-Est – Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, La Tribuna di Treviso, Il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto e Il Piccolo – più La Gazzetta di Mantova;

   due mesi fa l'amministratore delegato del gruppo Gedi sottolineava che: «(...) l'assetto dei giornali del gruppo, dai locali ai nazionali, rappresentasse il “perimetro di riferimento dell'azienda”, è stato comunicato che (...) si valutano proposte di vendita di singole testate o gruppi di esse, confermando che sono in corso contatti con gruppi interessati all'acquisizione»;

   si ricorda che il gruppo editoriale, tra i più grandi in Italia, ha già venduto, in tre anni, testate storiche come La Nuova Sardegna e Il Tirreno, le Gazzette, La Nuova Ferrara, L'Espresso e chiuso Micromega;

   il ruolo assolto dalle testate radicate in Veneto e Friuli Venezia Giulia è storico e questi quotidiani rimangono un punto di riferimento che non può venire meno per i cittadini e le categorie;

   eventuali passaggi di proprietà non possono essere sottomessi solo a logiche finanziarie e devono tenere conto dell'interesse pubblico dei mezzi d'informazione e anche dei benefìci goduti attraverso l'erogazione di risorse pubbliche;

   il settore dell'editoria attraversa una fase molto difficile con un oggettivo ridimensionamento delle copie vendute, una rarefazione delle edicole e un aumento dei costi della carta che incidono fortemente nell'accentuare la crisi che dura da tempo e senza un'adeguata risposta da parte del Governo;

   l'eventuale vendita, oltre a disperdere l'eredità di un gruppo editoriale, metterebbe a rischio le tante professionalità di tutte le giornaliste e i giornalisti che hanno lavorato in questi anni, affrontando le sfide di una non facile transizione digitale, a tutela e garanzia dei presidi informativi presenti sul territorio e per il valore sociale dell'informazione locale che rappresentano –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di monitorare la vertenza in oggetto con l'obiettivo di preservare i livelli occupazionali, nonché a garanzia del pluralismo informativo, e quali iniziative intenda porre in essere per sostenere il settore dell'editoria, in particolare quella più ancorata ai territori.
(3-00220)

(6 marzo 2023)
(ex 5-00423 del 22 febbraio 2023)

B)

   DONZELLI e LA PORTA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nell'anno 2011, nella comunità cinese in Toscana, si verificarono numerosi casi di cronaca tra la periferia nord di Firenze e la città di Prato;

   in quei territori, dove insiste la più grande comunità cinese d'Italia, si susseguirono numerosi casi di omicidio, estorsione e usura, nonché di traffico di stupefacenti e di esseri umani riferibili direttamente e indirettamente alla comunità cinese;

   a seguito di un duplice omicidio eseguito barbaramente a colpi di machete, la direzione distrettuale antimafia di Firenze avviò le indagini che portarono, nel 2018, all'inchiesta «China truck»;

   gli investigatori hanno ipotizzato la presenza di mafia cinese in Toscana, che puntava al controllo del trasporto su gomma di merci europee, e le indagini sono sfociate in 55 rinvii a giudizio per reati come l'associazione per delinquere di stampo mafioso;

   la prima udienza, calendarizzata a novembre 2022, è stata rinviata a marzo 2023, ma il processo ha già subito clamorosi rinvii per episodi gravissimi relativi alla traduzione degli atti e alla sparizione di interi fascicoli;

   i ritardi accumulati rischiano di portare al clamoroso fallimento della giustizia italiana e all'inaccettabile mortificazione delle esigenze di giustizia dei cittadini pratesi, flagellati dalle attività criminali condotte dalla mafia cinese e dall'illegalità diffusa in cui operano le aziende che fanno capo alla locale comunità asiatica;

   quanto sopra esposto è, infatti, ampiamente documentato dalle cronache locali, che riportano anche di concorrenza sleale nei confronti delle altre aziende, costante violazione delle regole igienico-sanitarie e della costante violazione dei diritti e delle tutele dei lavoratori;

   nell'ambito del processo, il pubblico ministero contestava in imputazione il vincolo mafioso, evidenziando come il sodalizio criminale utilizzasse metodi riconducibili alle cosche autoctone, e difatti, a giudizio degli interroganti, stride che in fase di indagine il tribunale del riesame e la Corte di cassazione non ritenessero di contestare tale aggravante;

   tra gli imputati figura anche Zhang Naizong, più volte autocelebratosi come padrino e capo della locale mafia cinese, come riportato dagli atti processuali condivisi poi dalla stampa;

   il 22 settembre 2022 il tribunale di Prato in composizione collegiale ha sorprendentemente assolto Zhang Naizong, con formula piena, dal reato di usura poiché il «fatto non sussiste», determinando la conclusione del primo filone autonomo del processo «China truck»;

   il procedimento «China truck» è ritenuto dagli operatori del diritto il capofila di ulteriori rivoli processuali, che interesserebbero parte degli imputati. Tutti sarebbero eventualmente incardinati presso il tribunale collegiale di Prato e potrebbero riguardare i reati di usura, sfruttamento della prostituzione e traffico di stupefacenti;

   a giudizio degli interroganti, la criminalità cinese diffusa in tutta la Toscana e concentrata nella zona tra Prato e Firenze dovrebbe essere immediatamente estirpata e, a maggior ragione, non può essere lasciata impunita per il rischio della progressiva scadenza di tutti i termini processuali;

   sarebbe quindi auspicabile un rapido e deciso intervento dello Stato, sia per garantire che la giustizia faccia il suo corso, che per ripristinare la legalità e la sicurezza in quei territori, dando finalmente ai cittadini pratesi e fiorentini quei segnali di vicinanza e cura che meritano dalle istituzioni e che per lunghi anni la sinistra al Governo, ad avviso degli interroganti, non ha mai dato –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;

   se il Ministro della giustizia intenda valutare se sussistano i presupposti per adottare iniziative ispettive in relazione a quanto esposto in premessa;

   quali iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere normativo, i Ministri interrogati intendano intraprendere, di tipo sia preventivo che repressivo, per intervenire a contrasto del fenomeno in costante evoluzione della criminalità cinese a Firenze e Prato.
(3-00099)

(17 gennaio 2023)

C)

   CALDERONE e BATTILOCCHIO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:

   il 21, 22 e 23 febbraio 2022 i vincitori del concorso a 8.171 unità di personale non dirigenziale dell'area funzionale terza, fascia economica F1, con il profilo di addetto all'ufficio per il processo venivano assunti con contratto di anni 2 e mesi 7;

   l'articolo 11 del decreto-legge n. 80 del 2021 fissa le mansioni della nuova figura professionale di addetto all'ufficio del processo, equiparandolo al profilo di funzionario giudiziario e rinviando all'allegato II, numero 1, l'individuazione dei contenuti professionali generici e, soprattutto specifici, dettagliatamente e analiticamente descritti;

   da tale descrizione emerge limpidamente che l'addetto all'ufficio del processo è chiamato a svolgere un'attività di stretta collaborazione con i giudici e di raccordo tra questi ultimi e le cancellerie;

   il comma 4 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 80 del 2021 – a ulteriore riprova della natura della prestazione di lavoro richiesta – prevede che tale servizio costituisca titolo per l'accesso, tra gli altri, al concorso per magistrato ordinario e onorario;

   il decreto legislativo n. 151 del 2022, all'articolo 4, individua gli addetti all'ufficio del processo quali componenti dell'Ufficio del processo, specificando, al comma 2, che «Ciascun componente svolge i compiti attribuiti all'ufficio per il processo (...) secondo quanto previsto dalla normativa, anche regolamentare, e dalla contrattazione collettiva che regolano la figura professionale cui appartiene»;

   il successivo articolo 6 individua i compiti dell'ufficio del processo, riconnettendoli all'attività giurisdizionale, e l'articolo 11 del medesimo decreto legislativo n. 151 del 2022 chiude stabilendo che all'ufficio del processo possano essere attributi anche compiti diversi, ma sempre nel rispetto del profilo professionale dei componenti;

   risulta da numerose segnalazioni pervenute agli interroganti che in svariati uffici giudiziari, specie nel settore penale, gli addetti all'ufficio del processo vengono impiegati, in via istituzionale e ordinaria in attività di verbalizzazione, che talora si protraggono per l'intera giornata, e in adempimenti di cancelleria (privi, peraltro, delle credenziali per accedere alle applicazioni), attività che rientrano nel profilo (inferiore sotto il profilo giuridico ed economico) di assistente giudiziario o di cancelliere e non di funzionari giudiziari, cui gli addetti all'ufficio del processo sono equiparati;

   contemporaneamente una parte del personale deputato all'assistenza in udienza e all'attività di cancelleria è stata dirottata in esclusivi compiti amministrativi in uffici, quali quelli del personale, i gratuiti patrocini e le spese di giustizia, benché di recente il Ministero della giustizia abbia assunto 2.500 funzionari giudiziari e 5.400 unità di personale (data entry e tecnici);

   a parere degli interroganti, tale prassi, favorita dalla debolezza contrattuale di tali dipendenti, personale precario e non sindacalizzato, si pone in contrasto con la legge, costituisce fonte di inefficienza, danno erariale e notevole contenzioso, nonché di disuguaglianza tra gli addetti dei diversi uffici giudiziari –:

   se e quali iniziative, anche di natura amministrativa, ritenga opportuno intraprendere, anche acquisendo i dati relativi all'effettiva utilizzazione nei vari uffici degli addetti all'ufficio del processo e, segnatamente, se questi ultimi siano stati adibiti in via ordinaria a compiti propri di profili professionali di livello inferiore, e se non intenda attivare i propri poteri ispettivi, anche a campione, anche per verificare che l'impiego di tutto il personale giudiziario sia coerente con il relativo inquadramento professionale;

   se, nelle more, non ritenga opportuno inviare agli uffici giudiziari precise direttive circa le mansioni degli addetti all'ufficio del processo, anche in vista di future assunzioni.
(3-00154)

(3 febbraio 2023)

D)

   LOPERFIDO. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   il registro delle opposizioni è uno strumento istituito con il decreto del Presidente della Repubblica n. 178 del 2010, con l'obiettivo di consentire agli utenti di opporsi all'utilizzo per finalità pubblicitarie dei numeri di telefono di cui si è intestatari e dei corrispondenti indirizzi postali associati, presenti negli elenchi pubblici, da parte degli operatori che svolgono attività di marketing tramite il telefono e/o la posta cartacea;

   la tutela degli utenti nel settore della telefonia negli anni più recenti ha visto l'adozione di diversi interventi normativi finalizzati a rafforzare la posizione dei consumatori. In tal senso è stata approvata la legge sul registro delle opposizioni, legge n. 5 del 2018, che regolamenta il trattamento delle numerazioni, telefoniche per i fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. Attraverso l'iscrizione al registro dei soggetti il cui numero è presente negli elenchi telefonici pubblici ci si può opporre, a tutela della propria privacy, al cosiddetto telemarketing, cioè al ricevere chiamate promozionali o commerciali;

   attraverso il predetto testo di legge non solo viene considerevolmente estesa l'operatività del registro pubblico delle opposizioni, ma vengono altresì ampliati gli obblighi per gli operatori che svolgono l'attività di call center verso numerazioni nazionali fisse o mobili;

   l'iscrizione al registro è gratuita, mentre gli operatori di telemarketing che utilizzano per le proprie campagne i numeri presenti negli elenchi telefonici pubblici sono tenuti a registrarsi al sistema, in modo da comunicare preventivamente le liste dei numeri che intendono contattare, dalle quali il gestore del registro provvede a togliere le numerazioni dei cittadini iscritti al registro. In tal modo tutti i consensi precedentemente espressi con qualsiasi forma e/o mezzo finalizzati ad autorizzare il trattamento delle proprie numerazioni mediante l'utilizzo del telefono si intendono revocati, con conseguente preclusione di ogni attività promozionale, di marketing, statistica o finalizzati a effettuare ricerche di mercato;

   è stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 74 del 29 marzo 2022, il decreto del Presidente della Repubblica contenente modifiche al «Regolamento recante disposizioni in materia di istituzione e funzionamento del registro pubblico dei contraenti che si oppongono all'utilizzo dei propri dati personali e del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali, ai sensi dell'articolo 1, comma 15, della legge 11 gennaio 2018, n. 5»;

   il provvedimento disciplina il nuovo registro pubblico delle opposizioni, che viene esteso anche ai numeri dei cellulari, oltre che ai numeri telefonici fissi e agli indirizzi postali;

   il diritto di opposizione al marketing diretto può essere esercitato dal contraente iscrivendosi al registro di cui sopra ed ha efficacia sul trattamento dei dati personali effettuato per le finalità riportate;

   attualmente sorgono dubbi circa l'adeguata applicazione della volontà del legislatore, ovvero l'esclusione dei numeri di telefono dei consumatori iscritti al registro pubblico delle opposizioni tramite call center stranieri, ai quali non si applica la normativa italiana in tema di telemarketing, e tramite sistemi automatizzati che usano numeri fittizi in modo tale da non essere rintracciati e non incorrere nelle sanzioni di legge;

   altre volte l'iscrizione al registro pubblico delle opposizioni appare completamente ignorato e si possano ricevere in continuazione telefonate a scopo promozionale; nello specifico, si tratta di situazioni in cui viene dato il consenso da parte del consumatore stesso. L'esempio tipico si verifica quando il cittadino effettua un acquisto e, in base ad un consenso prestato, acconsente al trattamento dei suoi dati a fini commerciali. La telefonata promozionale è dunque da considerarsi come legittima almeno che non si riproduca nuovamente l'iscrizione al registro pubblico delle opposizioni –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa l'efficacia della normativa in questione e quali eventuali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di implementarne l'efficacia.
(3-00112)

(18 gennaio 2023)

E)

   SCERRA. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 73 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2007, ha istituito, in ambito energetico, il servizio di salvaguardia per i clienti finali che hanno autocertificato di non rientrare nel servizio di maggior tutela, di cui al comma 2 della medesima legge, e che si trovano senza un fornitore nel mercato libero o che non abbiano scelto il proprio fornitore, stabilendo altresì che il servizio sia assegnato mediante procedure concorsuali per area territoriale;

   il «mercato di salvaguardia» è un'area commerciale molto estesa, in cui convive una categoria di grandi consumatori di energia, rappresentata da clienti pubblici e privati che non riescono a onorare gli impegni economici con il fornitore energetico nel cosiddetto mercato libero o che, per motivi indipendenti da loro, si trovano a non avere un fornitore. Nel mercato di salvaguardia, in virtù di quanto disposto dal decreto del 23 novembre 2007, emanato dal Ministero dello sviluppo economico, all'acquirente unico è attribuita la gestione delle procedure concorsuali per l'affidamento del servizio, a cadenza biennale, in ogni singola regione d'Italia;

   i gestori che si aggiudicano l'appalto hanno diritto a una tariffa che, oltre al pun (prezzo unico nazionale), prevede un sovraccosto variabile da regione a regione. Tale sovraccosto è denominato «parametro omega» e serve a tutelare gli operatori del mercato dal rischio di fornire l'energia a potenziali cattivi pagatori. Ovviamente l'oscillazione di questa variabile dipende dalla stima sull'affidabilità dei clienti pubblici e privati di ciascuna regione;

   il risultato della gara per l'affidamento del mercato di salvaguardia del 25 novembre 2022 ha portato a una differenziazione di prezzo importante in varie parti del territorio nazionale. Una regione particolarmente penalizzata da questo sistema è stata la Sicilia, che per il biennio 2023/2024 registra il nuovo record mondiale di maggiorazione sulla fornitura di energia elettrica;

   infatti, Enel energia, il gestore che s'è aggiudicato il servizio nell'isola, ha fissato un «parametro omega» pari a 202,41 euro a megawattora per il 2023/2024, aumentando del 1.037,1 per cento il sovraccosto del biennio precedente fissato in 17,80 euro. In termini pratici l'aumento esponenziale del sovraccosto comporta che enti pubblici e aziende siciliane, inserite nel mercato di salvaguardia, si troveranno a pagare l'energia elettrica oltre 500 euro a megawattora;

   le drammatiche conseguenze di questo meccanismo sono intuibili e possono essere meglio descritte se paragonate alla diversa situazione della Lombardia in cui, grazie a un rating migliore di solvibilità di aziende ed enti, il gestore aggiudicatario del servizio, la società A2A, ha praticato un «parametro omega» intorno ai 15 euro, a fronte di una media nazionale salita all'incirca ai 113 euro. In sostanza, un sindaco o un imprenditore lombardo, a parità di regime di mercato, di servizio ricevuto e di prezzo unico nazionale, pagheranno nei prossimi due anni circa 200 euro megawattora in meno che in Sicilia;

   gli effetti di un sistema così congegnato, oltre a determinare il rischio per i prossimi mesi in Sicilia della chiusura di attività commerciali e del dissesto di enti pubblici come i comuni obbligati a garantire servizi essenziali come l'illuminazione pubblica, rappresenta una grave disparità di condizioni economiche tra le regioni del Nord e del Sud –:

   se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative volte a promuovere la riforma del sistema descritto, assolutamente iniquo e fortemente pregiudizievole per le regioni del Sud, che, partendo da condizioni di svantaggio, si trovano aggravi sui costi dell'energia con ovvie conseguenze sul prodotto interno lordo;

   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per far fronte alla situazione delineatasi in Sicilia e in altre regioni del Sud, in cui l'eccessivo costo dell'energia può determinare la chiusura di realtà imprenditoriali e il rischio di dissesto delle amministrazioni locali.
(3-00077)

(22 dicembre 2022)

F)

   SERGIO COSTA, CARAMIELLO, ILARIA FONTANA, DI LAURO, L'ABBATE e MORFINO. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   in sede di esame parlamentare della legge di bilancio per il 2023 è stato approvato un emendamento – dichiarato inammissibile e successivamente riammesso – recante disposizioni di natura ordinamentale di modifica della legge quadro sull'attività venatoria;

   sull'emendamento in questione gli interroganti hanno espresso forti perplessità, sia di carattere metodologico, sia dal punto di vista del merito della norma;

   le criticità della norma sono state evidenziate in una nota inviata al Presidente della Camera, in cui si era segnalato che l'emendamento – la cui estraneità al contenuto del provvedimento era evidente – novellava l'articolo 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, introducendo due disposizioni che hanno completamente stravolto l'impianto della normativa che regola la tutela della fauna, consentendo astrattamente l'apertura della caccia senza alcun limite, sia per quanto riguarda l'ambito territoriale, comprendendo aree protette ed aree urbane, sia per quanto riguarda l'ambito temporale, estendendo la possibilità di cacciare anche alle ore notturne, ai giorni di riposo venatorio e al periodo di nidificazione, con gravissime potenziali ripercussioni sulla salvaguardia della biodiversità e sulla sicurezza delle persone;

   nella nota si era ritenuto di dover sottolineare che la normativa che regola l'attività venatoria recepisce sostanzialmente l'articolato quadro normativo eurounitario – nello specifico le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 – e l'approvazione di questo emendamento avrebbe potuto esporre il nostro Paese ad un concreto rischio di avvio di procedura d'infrazione;

   a dimostrare la fondatezza delle preoccupazioni si deve registrare che nei giorni scorsi la Commissione europea ha inviato al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica una specifica richiesta di chiarimento in merito ai commi 447 e 448 dell'articolo 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197;

   nella nota – oltre a richiamare gli obblighi dei Paesi membri derivanti dalle direttive 92/43/CEE habitat e 2009/147/CE uccelli, con particolare riferimento alle zone speciali di conservazione e zone di protezione speciale, alle misure di conservazione necessarie, alle misure per garantire la sopravvivenza e la riproduzione delle specie protette ed alle esigenze di garantire un regime di rigorosa tutela per alcune specie – vengono formulate richieste di «informazioni dettagliate»: sulle modalità con cui le disposizioni della citata normativa garantiscono il rispetto degli obiettivi di conservazione, in particolare per quanto concerne il rischio di mettere in pericolo l'integrità dei siti di conservazione previsti dalla direttiva habitat; sulle modalità con cui si intende garantire il rispetto del divieto di uccidere, catturare o disturbare gli uccelli selvatici; su come si intende assicurare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva uccelli per l'attività venatoria –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare le opportune iniziative normative volte ad abrogare la disposizione introdotta con la legge di bilancio per il 2023, riportando il quadro normativo statale all'interno della cornice di tutela della fauna selvatica e degli habitat disegnata dalle direttive eurounitarie, tenendo conto che questa sarebbe l'unica risposta possibile per evitare l'avvio di una nuova procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia.
(3-00153)

(2 febbraio 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALLA PROPOSTA DI DIRETTIVA EUROPEA SULLA PRESTAZIONE ENERGETICA NELL'EDILIZIA

   La Camera,

   premesso che:

    in sede europea è in corso l'esame di un progetto di direttiva sull'efficienza energetica nell'edilizia (Com (2021) 802 final), proposta dalla Commissione europea il 15 dicembre 2021, che fa parte delle misure da adottare nell'ambito del «Fit for 55», al fine di raggiungere gli obiettivi di efficientamento energetico e decarbonizzazione fissati a livello europeo;

    l'elemento centrale della direttiva è l'introduzione di standard minimi di prestazione energetica per gli edifici, con l'introduzione di obblighi di riqualificazione per migliorarne il rendimento energetico. Ogni Stato membro dovrà stabilire la propria strategia a lungo termine nell'ambito di un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici, per sostenere la modernizzazione del parco nazionale di edifici residenziali e non residenziali, sia pubblici che privati, in vista dell'obiettivo della neutralità climatica al 2050;

    il testo della direttiva, al momento oggetto del primo «via libera» del Parlamento europeo, prevede che entro il 1° gennaio 2030 tutti gli immobili residenziali dovranno raggiungere almeno la classe energetica E; successivamente, dopo altri tre anni, nel 2033, dovranno arrivare alla classe D ed essere ad emissione zero nel periodo compreso tra il 2040 e il 2050;

    la richiesta dell'Europa comporterà, dunque, l'obbligo per gli Stati membri di ristrutturazione del patrimonio edilizio; in caso contrario, potrebbero essere applicate delle sanzioni ai singoli Stati;

    una delle proposte iniziali prevedeva, addirittura, che fosse impedita la vendita o l'affitto della casa se non fosse stata a norma con l'efficienza energetica; tale ipotesi sembra per ora fortunatamente tramontata, ma comunque gli immobili che non verranno ristrutturati perderanno di valore, il che si prefigura come una stangata per i contribuenti, sia che affrontino le spese di ristrutturazione e sia che rinuncino per l'onerosità dei costi;

    così facendo, dunque, l'Unione europea dimostra ancora una volta di non conoscere le diversità che caratterizzano gli Stati membri e più nel dettaglio le particolarità dell'edilizia e urbanistica italiana e del patrimonio immobiliare italiano;

    il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica ha manifestato una serie di osservazioni critiche a nome del Governo italiano, in vista delle successive valutazioni che si faranno in sede europea, rimandando al confronto in quella sede la posizione finale che l'Italia assumerà a tutela della casa degli italiani e degli europei;

    l'Italia ha visto crescere il proprio tessuto urbano tra gli anni '60 e '80 del XX secolo, con una netta diminuzione delle costruzioni nei decenni successivi. Molte costruzioni sono precedenti alle normative sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica oppure sono state edificate in zone che solo successivamente sono divenute aree protette e sottoposte a vincolo;

    si è venuto così a delinearsi, nel tempo, un quadro edilizio molto particolare di cui le istituzioni europee non possono non tenere conto;

    risulta evidente, infatti, che, differentemente dai Paesi nordici, ove gli immobili sono quasi tutti di recente costruzione, l'Italia ha alle sue spalle una lunga storia edilizia che non può essere di colpo adeguata a standard moderni imposti dalle pressanti richieste di ambientalismo ideologico;

    il patrimonio edilizio italiano, secondo lo studio condotto dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia delle entrate, si compone di oltre 57 milioni di unità immobiliari, di cui almeno 19,5 milioni sono abitazioni principali. La maggior parte degli immobili italiani ha una classe energetica di riferimento tra G e F. L'avanzamento di classe energetica richiede solitamente un taglio dei consumi di circa il 25 per cento, con interventi come cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione, pannelli solari. Una serie di interventi, nonché opere di ristrutturazione e ammodernamento, che necessitano di ingenti investimenti economici per il raggiungimento dei minimi previsti dalla Commissione europea;

    imporre dall'alto e in maniera indistinta l'efficientamento energetico significa gravare i cittadini di un ingiustificato esborso economico che si sommerebbe al già complesso periodo di crisi derivante dal Covid e dal «caro energia»;

    l'Italia è un Paese che si compone di un'intricata rete di borghi, comuni e piccole frazioni arricchite da immobili storici e secolari. Molti di questi sono adibiti ad abitazione principale oppure sono sede di istituzioni ed enti. Pare evidente, quindi, che la direttiva proposta risulterebbe di impossibile applicazione sul territorio nazionale;

    la proposta di direttiva ha il principale obiettivo di abbattere l'uso delle fonti fossili nelle abitazioni, sostituendo il sistema di riscaldamento alimentato con il gas metano, impiegato dall'80 per cento delle abitazioni italiane, con le pompe di calore alimentate con elettricità che dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili, un obiettivo in netta controtendenza all'uso degli incentivi per efficientamento energetico fatto sin qui e che ha visto protagonista proprio l'installazione di nuove caldaie a metano ad alta efficienza, oltreché molto costosa;

    la finalità di questa iniziativa sarebbe da ricercarsi nel problema derivante dalle crescenti emissioni di anidride carbonica, alle quali, tuttavia, le abitazioni contribuiscono per appena l'1 per cento in ambito mondiale;

    inoltre, la proposta di direttiva, stabilendo che al 2030 possano essere edificati solo edifici a emissioni zero e prevedendo che negli stessi il residuo fabbisogno energetico possa essere soddisfatto solo da fonti rinnovabili generate in loco, comporta che solamente un singolo vettore energetico sia in grado di soddisfare tale requisito, con la conseguenza che tutte le altre tecnologie che non possono garantire il rispetto del principio della «generazione in loco» verrebbero di fatto escluse. Tale impostazione, peraltro, si basa su un'analisi che non tiene conto della più corretta valutazione sull'intero ciclo di vita delle diverse fonti e vettori energetici;

    fissando la suddetta limitazione, si impedisce alle fonti rinnovabili non generate in loco, ma che vengono stoccate presso l'edificio o che alimentano lo stesso tramite rete (quali il biometano, il biogpl o altri prodotti rinnovabili anche da carbonio riciclato), di poter soddisfare il residuo fabbisogno energetico dei nuovi edifici al 2030;

    di conseguenza, le limitazioni poste dalle definizioni di edificio a emissioni zero (o quasi zero) non solo risultano in contrasto con il principio di neutralità tecnologica, ma rappresentano anche un ostacolo allo sviluppo degli investimenti per la produzione dei gas rinnovabili, settore in cui l'Italia vanta eccellenze nazionali;

    le citate limitazioni penalizzano in modo rilevante il nostro Paese, con il risultato che progetti come quelli attualmente in essere per la produzione di gas rinnovabili e di apparecchiature ad elevatissimi rendimenti energetici verrebbero bloccati, quando al contrario questi risultano fondamentali per la decarbonizzazione non solo degli edifici di nuova costruzione, ma di tutto il patrimonio edilizio già esistente, tenendo altresì in considerazione il fatto che l'impiego di gas nella climatizzazione invernale consente di minimizzare l'impatto del settore del riscaldamento anche sulla qualità dell'aria di molte aree del Paese;

    il tipo di ambientalismo e di lotta alle emissioni messo in campo dall'Europa non trova alcun riscontro con la realtà e con le esigenze dei cittadini. La direttiva proposta, infatti, evidenzia nuovamente come le azioni europee siano veicolate dal perseguimento degli interessi di alcuni Stati membri a discapito di altri. L'approvazione di una simile direttiva avrebbe il solo effetto di svalutare il patrimonio edilizio italiano e di impoverire i cittadini;

    l'Italia ha da sempre investito sul mattone e non a caso è uno dei Paesi con il più alto numero di proprietari di abitazioni;

    quindi, la direttiva proposta si esplica come un chiaro attacco all'economia e al patrimonio edilizio italiano e, pertanto, dovrà essere oggetto della più dura opposizione,

impegna il Governo

1) ad adottare le iniziative di competenza presso le competenti istituzioni europee al fine di scongiurare l'introduzione di una disciplina quale quella di cui in premessa, nell'ottica di tutelare le peculiarità dell'Italia e, dunque, garantire al nostro Paese la necessaria flessibilità per raggiungere obiettivi di risparmio energetico più confacenti alle proprie caratteristiche.
(1-00038) (Nuova formulazione) «Molinari, Foti, Cattaneo, Lupi, Giglio Vigna, Candiani, Gusmeroli, Andreuzza, Angelucci, Bagnai, Barabotti, Bellomo, Benvenuto, Davide Bergamini, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Bruzzone, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Coin, Comaroli, Crippa, Dara, Di Mattina, Formentini, Frassini, Furgiuele, Giaccone, Giagoni, Iezzi, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Marchetti, Matone, Miele, Minardo, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Pierro, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Sasso, Stefani, Sudano, Toccalini, Ziello, Zinzi, Zoffili».

(16 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    il 12 dicembre 2015 si è conclusa a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP21), con l'obiettivo di pervenire alla firma di un accordo volto a regolare il periodo post-2020. Tale accordo, adottato con la decisione 1/CP21, definisce quale obiettivo di lungo termine il contenimento dell'aumento della temperatura del pianeta, ben al di sotto dei 2 °C e il perseguimento degli sforzi di limitare l'aumento a 1.5 °C rispetto ai livelli pre-industriali;

    l'Italia ha ratificato l'accordo con la legge n. 204 del 2016 e in base a quanto chiarito con il comunicato del Ministero degli affari esteri pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2016, l'Accordo è entrato in vigore per l'Italia l'11 dicembre 2016;

    l'Accordo di Parigi si inquadra nella più ampia cornice definita dall'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (il programma d'azione adottato all'unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel settembre 2015) e si integra con i traguardi dell'Agenda, a partire dall'obiettivo 13 «Lotta contro il cambiamento climatico»;

    con il Regolamento (UE) 2018/1999 è stato istituito un sistema di Governance dell'Unione dell'Energia, che mira a pianificare e tracciare le politiche e misure messe in atto dagli Stati membri dell'Ue al fine del raggiungimento degli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni, incremento dell'efficienza energetica, ricerca e innovazione, sicurezza energetica e sviluppo del mercato interno dell'energia;

    l'articolo 15 del Regolamento (UE) 2018/1999 prevede, tra l'altro, che ciascuno Stato membro elabori e comunichi alla Commissione, entro il 1° gennaio 2020, poi entro il 1° gennaio 2029 e successivamente ogni 10 anni, la propria strategia a lungo termine. La Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra è stata adottata e trasmessa all'Ue nel primo bimestre del 2021;

    nel dicembre 2019 la Commissione europea ha presentato la comunicazione strategica sul Green Deal europeo per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Il Consiglio europeo con le conclusioni del 12 dicembre 2019 ha stabilito che tutte le politiche e normative dell'Unione devono essere coerenti con tale traguardo, successivamente sancito dalla normativa europea sul clima (regolamento (UE) 2021/1119), che ha introdotto un ulteriore obiettivo da conseguire entro il 2030, consistente in una riduzione delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990;

    il 14 luglio 2021, la Commissione europea ha quindi presentato un pacchetto di proposte legislative, denominato «Pronti per il 55 per cento» (Fit for 55), volte a rivedere la normativa dell'Ue in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, energia e trasporti, per consentire il raggiungimento del nuovo più ambizioso obiettivo al 2030;

    il pacchetto presenta 15 strumenti legislativi atti a conseguire gli obiettivi stabiliti dalla normativa europea sul clima, e di imprimere l'accelerazione necessaria alla riduzione delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni, che trovano applicazione in diversi settori, da quello energetico e climatico, all'uso del suolo, dai trasporti alla fiscalità;

    tra gli strumenti del Fit for 55 rivestono, tra le altre, particolare rilevanza la proposta di modifica della direttiva sull'efficienza energetica, che reitera il concetto di energy efficiency first (priorità all'efficienza energetica) con l'obiettivo di raggiungere una riduzione del 39 per cento del consumo di energia primaria rispetto ai valori del 1990 e una proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd), che punta ad avere in tutta Europa, entro il 2050, edifici a zero emissioni;

    una delle principali novità della revisione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd) è l'introduzione di standard minimi di prestazione energetica per innescare la necessaria trasformazione del settore. A questo proposito, la proposta di modifica della Commissione prevede che il 15 per cento del patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni di ciascun Paese membro debba passare per gli edifici pubblici e non residenziali dalla classe G alla classe F entro il 2027 e alla classe E entro il 2030, mentre gli edifici residenziali avranno invece tempo fino al 2030 per portare il proprio certificato a livello F e fino al 2033 per portarlo alla classe E;

    ciascun Paese dell'Unione sarà chiamato a mettere a punto il proprio piano nazionale di ristrutturazione degli immobili, che sarà redatto sulla base delle condizioni nazionali, dello stock degli edifici, della disponibilità dei materiali e di lavoratori;

    sul testo della proposta di revisione della direttiva, il 25 ottobre 2022 il Consiglio dell'Ue ha raggiunto un accordo definito «orientamento generale», sul quale il Parlamento europeo con la Commissione Industria Ricerca e Energia è previsto debba esprimersi il prossimo 9 febbraio e successivamente, entro il prossimo mese di marzo, essere oggetto dell'incontro negoziale tra Commissione, Parlamento e Consiglio;

    in occasione della riunione dei Ministri dell'energia dei 27 Stati membri dell'Unione che hanno raggiunto l'accordo sulla proposta di revisione della direttiva, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin ha espresso apprezzamento da parte dell'Italia in merito al testo della proposta, dicendo che «...il compromesso rende un po' più agevole la riqualificazione degli edifici esistenti non residenziali» e, per quanto riguarda la parte sugli edifici residenziali esistenti, «...la proposta della presidenza rappresenta un compromesso, un equilibrio, tra ambizione e fattibilità, in uno spirito che possiamo quindi accettare»;

    la direttiva, una volta approvata dal Parlamento europeo, si applica agli Stati membri, non ai singoli cittadini, e non prevede sanzioni per i proprietari degli immobili, ma incarica ciascun Paese di decidere in che modo e con quali criteri applicare ed incentivare gli interventi di ristrutturazione degli immobili;

    con quasi il 45 per cento dei consumi finali, quello degli edifici è il primo settore in Italia per consumi di energia, con oltre i due terzi derivanti da abitazioni residenziali, settore che nel corso degli anni ha aumentato più di tutti gli altri la propria fame di energia: dal 1990 al 2019, escludendo la riduzione congiunturale dell'anno della pandemia, è passato da 34 a quasi 50 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtep) con un incremento del 44 per cento;

    per soddisfare il fabbisogno energetico delle abitazioni, nel 2021 in Italia sono state consumate 33 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), di cui oltre il 50 per cento rappresentato da gas (circa 22 miliardi di metri cubi) e poco meno del 20 per cento di energia elettrica, immettendo in atmosfera circa 70 milioni di tonnellate di gas serra;

    secondo l'analisi condotta da Odyssee-Mure, lo strumento che fornisce un monitoraggio completo dei consumi energetici e delle tendenze dell'efficienza, nonché una valutazione delle misure di politica di efficienza energetica per settore per i Paesi dell'Ue, a parità di condizioni climatiche una abitazione media italiana consuma circa il 50 per cento in più della media europea. Tale situazione è conseguenza del fatto che negli ultimi due decenni mentre gli altri Paesi europei hanno progressivamente ridotto i consumi delle abitazioni mettendo in campo politiche e misure di efficientamento efficaci, l'Italia è rimasta ferma al palo: in vent'anni, infatti, i consumi energetici medi di una casa italiana non sono praticamente cambiati, mentre in Europa in media sono stati tagliati del 17 per cento e alcuni Paesi come la Francia, si sono spinti verso un taglio di oltre il 20 per cento;

    con il protrarsi della pandemia da COVID-19, lo scoppio della guerra in Ucraina e il ritorno dell'inflazione, il 2022 è stato definito dagli esperti l'anno della tempesta perfetta. E il 2023, appena iniziato, non sarà da meno. La corsa dei prezzi non abbandonerà gli italiani, anzi, tra ottobre 2022 e fine settembre di quest'anno, il cosiddetto anno termico, la bolletta di un condominio tipo che consuma 15.000 metri cubi di gas l'anno potrebbe aumentare del 176 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020-2021, mentre per un'utenza condominiale tipo, con consumi elettrici di 2.500 chilowattora l'anno e 3 chilowatt di potenza impegnata, la bolletta della luce potrebbe aumentare del 6 per cento rispetto all'anno termico 2021/2022 e del 60 per cento nel confronto con due anni fa;

    secondo l'Oipe (Osservatorio italiano sulla povertà energetica) e sulla base degli indici elaborati dai ricercatori della Banca d'Italia, le famiglie il cui reddito è considerato insufficiente per riscaldare in modo adeguato le abitazioni in inverno ammontavano nel 2018 a 2,3 milioni, l'8,8 per cento del totale, un incremento di un punto e mezzo percentuale rispetto ai quattro anni precedenti e un massimo storico dal 1997. Tale dato è drammaticamente in aumento per effetto della crisi internazionale scaturita dal conflitto ucraino, che ha determinato l'aumento spropositato dei prezzi dell'energia primaria, con rincari delle bollette del gas e dell'energia elettrica di almeno 5 volte rispetto alla situazione pre-crisi;

    i nuclei familiari che non riescono per motivi economici, sociali ed abitativi a riscaldare o raffrescare adeguatamente l'abitazione sono esposti a maggiori rischi per la propria salute, sia nel caso di permanenza continuativa al di sotto dei 18 gradi, soglia giudicata pericolosa dall'Oms, sia per un'eccessiva esposizione ad alte temperature, una situazione in prospettiva destinata ad aggravarsi con gli effetti del riscaldamento climatico e l'aumento della durata dei periodi caldi o delle onde di calore;

    uno degli obiettivi del Piano di transizione ecologica (PTE), approvato dal CITE l'8 marzo 2022, è di ridurre a breve e in modo significativo l'incidenza della povertà energetica sul totale delle famiglie, andando oltre lo strumento del «bonus sociale» e lo sconto sulla bolletta elettrica, con misure più strutturali di promozione mirata dell'efficientamento energetico delle abitazioni, in termini sia di supporto finanziario sia di facilità di accesso alle iniziative che saranno rese disponibili;

    gli interventi di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare sono fondamentali sia per raggiungere l'obiettivo di piena decarbonizzazione riducendo l'uso delle fonti fossili, considerando che oltre il 60 per cento del parco edilizio residenziale italiano (12,42 milioni di edifici) ha più di 45 anni e fa affidamento sul gas naturale come principale fonte di energia, sia per migliorare le prestazioni energetiche degli immobili riducendo le dispersioni di calore e più in generale il fabbisogno energetico annuale dell'energia primaria per il riscaldamento, il raffrescamento, per la ventilazione e per la produzione di acqua calda sanitaria, con l'abbattimento dei costi di esercizio degli impianti domestici;

    gli immobili più energivori sono quelli in cui si ritiene che, attraverso una spesa minore, sia possibile raggiungere benefici maggiori in termini di riduzione dei consumi, di ritorno economico e anche di benessere sociale, stante che i residenti di queste abitazioni sono quelli più spesso colpiti da povertà energetica;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) rappresenta un deciso impulso all'avvio di un processo di transizione ecologica di grande portata garantendo un volume di investimenti di rilievo assoluto, pari a 222,1 miliardi di euro vincolati ad un serrato cronoprogramma che si chiuderà nel 2026;

    la Componente C3 della «Missione 2», denominata «Rivoluzione verde e Transizione Ecologica», (alla quale sono destinati 15,22 miliardi, che salgono a 21,94 miliardi con il fondo complementare) ha come obiettivo quello di rafforzare il risparmio energetico incrementando il livello di efficienza degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni come già avviato dalla misura conosciuta come «superbonus»;

    secondo i dati presentati dall'Enea nel suo rapporto sul superbonus 110 per cento, al 31 dicembre 2022, erano in corso 359.440 interventi edilizi incentivati, per circa 62,4 miliardi di investimenti ammessi a detrazione, che porteranno a detrazioni per 68,7 miliardi di euro. Sono 48.087 i lavori condominiali avviati (70 per cento già ultimati), che rappresenta il 46,1 per cento del totale degli investimenti, mentre i lavori negli edifici unifamiliari e nelle unità immobiliari funzionalmente indipendenti sono rispettivamente 208.622 (77 per cento già realizzati), il 38 per cento del totale degli investimenti, e 102.725 (82,2 per cento già realizzati) che rappresentano il 15,9 per cento degli investimenti;

    sulla base dei dati Enea, si stima che, per i soli interventi di natura energetica legati al superbonus, al 31 maggio 2022 nel nostro Paese sono stati attivati investimenti per oltre 30 miliardi di euro su oltre 172.000 edifici (di cui il 15,46 per cento condomini), i cui interventi hanno permesso la riqualificazione energetica di circa 40 milioni di metri quadri di edifici, di cui il 58 per cento rappresentato da condomini, con un risparmio di energia primaria di circa 5.650 Gigawattora/anno, di cui circa il 63,4 per cento connesso ad interventi sulle superfici opache e trasparenti, la restante quota connessa agli impianti termici;

    per quanto concerne la quantificazione del potenziale risparmio per gli utenti, si stima che ogni passaggio di classe energetica ottenuta da un edificio oltre a rappresentare un aumento del valore immobiliare del bene per i proprietari e contestualmente un vantaggio in termini di riduzione di circa il 20 per cento dei consumi energetici, contribuisce a ridurre le emissioni di gas serra associate all'energia,

impegna il Governo:

1) a confermare la posizione favorevole dell'Italia espressa il 25 ottobre 2022 in occasione della riunione dei Ministri dell'energia dei 27 Stati membri dell'Unione europea, che hanno raggiunto l'accordo sulla proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd), anche in considerazione degli obiettivi di neutralità climatica al 2050;

2) a porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché il testo finale della direttiva contenga forti tutele sociali ed economiche per i proprietari, a partire dalle fasce sociali più deboli, anche utilizzando il Fondo sociale per il clima, i finanziamenti del Recovery Fund, e i fondi derivanti da una razionalizzazione di tutti gli ecobonus in modo da rafforzare tutti gli strumenti che possono facilitare l'investimento iniziale con riduzione consistenti di oneri economici a carico delle famiglie per gli interventi di ristrutturazione degli immobili;

3) ad adottare iniziative volte a rivedere l'articolato quadro degli incentivi e agevolazioni fiscali sugli interventi edilizi in vigore, stabilizzando la misura di detrazione fiscale del superbonus nell'arco di 10 anni per far fronte al costo degli interventi per l'efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico e privato, escludendo dal sistema incentivante le tecnologie di riscaldamento a combustione alimentati da fonti fossili, con un meccanismo semplificato e legato in modo più stringente al miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici e prevedendo percentuali di detrazione differenziate secondo le fasce di reddito, con la massima detrazione destinata alle fasce più deboli e ai proprietari di immobili destinati alla prima casa;

4) ad adottare iniziative volte a prevedere un adeguato rifinanziamento del Fondo nazionale per l'efficienza energetica di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, prevedendo una riserva delle risorse all'erogazione di contributi per gli interventi di riqualificazione energetica dell'edilizia residenziale pubblica;

5) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte alla massima semplificazione delle procedure amministrative per la realizzazione di interventi di efficienza e riqualificazione energetica degli edifici e per l'installazione d'impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che devono essere esonerati dal pagamento di oneri e contributi a qualsiasi titolo, anche mediante l'istituzione di sportelli unici telematici territoriali con funzioni di formazione, informazione, assistenza tecnico-amministrativa e finanziaria, a supporto di cittadini ed imprese, per la realizzazione di interventi di riqualificazione energetica, la produzione di energia da fonti rinnovabili, l'autoconsumo collettivo e le comunità energetiche;

6) ad adottare iniziative volte a disporre un piano straordinario di formazione professionale per il green building, riconvertendo parte dell'attuale sistema di formazione professionale verso specifici profili tecnici di esperti progettisti ed esecutori di interventi di efficienza e riqualificazione energetica degli edifici, anche accompagnando la riqualificazione di lavoratori provenienti da imprese in crisi aziendale.
(1-00054) «Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti».

(30 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    dalle prime direttive scaturite dal Protocollo di Kyoto all'ultimo grande piano recentemente lanciato dall'Unione europea, il cosiddetto «Green Deal europeo», l'Europa ha segnato il ritmo normativo degli Stati membri in relazione alla lotta ai cambiamenti climatici nella sua interezza, con l'intenzione di trasformare l'Unione europea in una società climaticamente neutra, verde ed equa;

    da ultimo, il 14 luglio 2021, la Commissione europea ha presentato un articolato pacchetto di proposte cosiddette «Fit for 55 per cento», quale strumento per il mantenimento degli impegni presi con l'Accordo di Parigi e reso vincolante dalla legge per il clima, finalizzato ad allineare la normativa vigente in materia al nuovo obiettivo di riduzione, entro il 2030, delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, nella prospettiva della neutralità climatica entro il 2050;

    le proposte facenti parte del citato pacchetto, strettamente interconnesse e complementari, intervengono in una serie di settori: clima, energia e combustibili, trasporti, uso del suolo e silvicoltura e, tra queste, il punto focale è il riesame della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd), con la quale si intende delineare strumenti ad hoc per raggiungere un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050; tali misure si inseriscono in un percorso già avviato e teso a rendere più operativi gli strumenti di pianificazione, i cosiddetti piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, precedentemente denominati strategie di ristrutturazione a lungo termine, le cui proposte dovranno essere presentate alla Commissione entro il 30 giugno 2024, per i quali si dispone un rafforzamento del quadro di monitoraggio attraverso l'introduzione di una valutazione dei progetti dei piani da parte della medesima Commissione europea e della facoltà di formulare raccomandazioni agli Stati membri;

    gli edifici sono responsabili del 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra. Il riscaldamento e il raffrescamento sono da soli responsabili dell'80 per cento dell'energia consumata dalle abitazioni;

    al fine di accelerare i tassi di ristrutturazione degli edifici, ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il consumo di energia nonché di promuovere l'adozione di energia rinnovabile del parco immobiliare europeo, il testo, in corso di revisione, della direttiva prevede che, a partire dal 2030, tutti i nuovi edifici nell'Unione europea dovranno essere edifici a zero emissioni, mentre tutti i nuovi edifici pubblici dovranno essere a zero emissioni a partire dal 2027. Le disposizioni vigenti in materia di ristrutturazione saranno integrate dall'introduzione di standard minimi di efficienza a livello dell'Unione europea, al fine di innescare un aumento del tasso di ristrutturazione degli edifici che presentano le peggiori prestazioni, per i quali il rischio di povertà energetica è più elevato e il potenziale di miglioramento dell'efficienza energetica maggiore. Gli edifici non residenziali con un attestato di prestazione energetica di classe G (il più basso) dovranno essere ristrutturati e portati almeno alla classe F entro il 2027 e alla classe E entro il 2030. Gli edifici residenziali con le peggiori prestazioni dovranno raggiungere almeno classe F entro il 2030 e classe E entro il 2033;

    in risposta all'interrogazione n. 3-00102, il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR ha chiarito che il testo modificato dal Consiglio «non contiene alcun divieto o limitazione alla possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati; individua i singoli Stati membri e non i singoli proprietari come soggetti obbligati al conseguimento degli obiettivi di riqualificazione; prevede che ogni Stato membro definisca la propria strategia di riqualificazione del patrimonio immobiliare mediante l'adozione dei Piani nazionali di ristrutturazione edilizia, contenenti gli obiettivi nazionali e le indicazioni da questo previste; consente ai singoli Stati di esentare dall'applicazione degli standard minimi determinate tipologie di immobili dall'obbligo di riqualificazione.»;

    la direttiva europea sull'efficienza energetica costituisce un tassello cruciale nel quadro della legislazione europea, preposta a garantire il rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione e delle esigenze ambientali dell'Unione europea, aggiornando continuamente i suoi termini nella continua necessità di regolare le performance degli edifici, contenere le emissioni di gas serra, contribuire allo sviluppo dell'efficienza energetica e alla generazione di energia da fonti rinnovabili. Si tratta anche di una delle leve necessarie per attuare la strategia «ondata di ristrutturazioni» (Renovation wave), pubblicata nell'ottobre 2020, mediante misure concrete di regolamentazione, finanziamento e sostegno volte a raddoppiare il tasso annuo di ristrutturazione energetica degli edifici entro il 2030 e a incoraggiare ristrutturazioni profonde per edifici a ridotto o nullo consumo di energia;

    è ampiamente dimostrato che gli interventi di efficientamento energetico sugli edifici consentono una riduzione dei consumi energetici nazionali, alleggerendo la bilancia dei pagamenti sull'acquisto di energia primaria dall'estero con la conseguente riduzione dei costi di approvvigionamento energetico, nonché il miglioramento della sicurezza energetica perseguita dalla Commissione europea con la «Energy Union»;

    è innegabile come i bonus relativi all'edilizia, ed in particolare la misura del superbonus 110 per cento, abbiano svolto un ruolo decisivo nel rilancio del comparto. Negli ultimi due anni, il settore delle costruzioni ha trainato il Pil e l'occupazione. Secondo i dati riportati dall'Associazione nazionale costruttori edili (Ance), più di un terzo dell'aumento del PIL del 2022 è legato alla crescita del settore, che ha creato 230.000 posti di lavoro in due anni;

    nell'ultimo rapporto di ricerca sugli incentivi per una politica industriale di lungo periodo, il Censis dimostra chiaramente i benefici apportati sia in termini di entrate per lo Stato che in termini di crescita dell'occupazione. Il Censis stima che, a fronte di 55 miliardi di euro di investimenti sul patrimonio edilizio, tra agosto 2020 e ottobre 2022, siano stati 79,9 i miliardi di produzione diretta nella filiera delle costruzioni, cui si sommano 36 miliardi di euro di produzione attivata in altri settori del sistema economico connesso alle componenti dell'indotto, per un totale di almeno 115 miliardi di euro. Anche in termini fiscali, non può essere ignorato il contributo portato dagli effetti moltiplicativi del superbonus sul relativo gettito fiscale. Tali valutazioni si aggiungono all'aspetto primario e più rilevante della misura, ossia gli effettivi benefici in termini di efficienza energetica e di sostenibilità ambientale. In base ai dati disponibili, il Censis stima che la spesa di 55 miliardi di euro abbia generato un risparmio di 11.700 Gigawattora/anno, che corrispondono a 1,1 miliardi di metri cubi di gas, pari al 40 per cento del risparmio energetico che il Piano emergenziale di riduzione dei consumi del settore domestico si prefigge di realizzare nell'autunno-inverno 2022-2023, mentre la riduzione delle emissioni di CO2 dovuta agli interventi con il superbonus è stimabile in 1,4 milioni di tonnellate di mancate emissioni; al riguardo vanno evidenziati gli effetti positivi della misura anche in termini di mobilità sostenibile grazie alla possibilità di installare, come intervento trainato, le colonnine di ricarica di veicoli elettrici che configura un incentivo alla sostituzione dei mezzi di trasporto più inquinanti;

    il superbonus risponde ad un obiettivo strategico, quale quello della transizione ecologica ed energetica, che per sua natura ha una dimensione di lungo periodo e deve necessariamente tendere ad un rinnovato approccio nella politica industriale del Paese. È dunque decisamente poco lungimirante pensare di rimodulare tale strumento sulla base di considerazioni meramente contabili, senza una visione di ampio respiro che tenga conto dell'impatto prodotto sulla spesa pubblica in termini di risorse economiche attivate, di occupazione aggiuntiva, di risparmio energetico assicurato e di gettito fiscale prodotto;

    oltre all'esame dei vari provvedimenti normativi che si sono succeduti nel corso degli anni e di cui si è dato conto, il Parlamento ha svolto un'intensa attività di indirizzo, anche nelle precedenti legislature, in relazione alla materia delle detrazioni fiscali per interventi di recupero edilizio e riqualificazione energetica. Alcuni di tali atti di indirizzo sono peraltro intervenuti nell'ambito del dibattito che ha caratterizzato negli anni la proroga e la stabilizzazione degli incentivi o la loro estensione a specifici ambiti, impegnando il Governo all'adozione di norme in tal senso;

    tra i benefici delle misure per la riqualificazione energetica devono essere altresì considerati anche gli effetti positivi in termini di contenimento della grave crisi economica attraversata dal settore delle costruzioni (nello specifico imprese edili e produttori di materiali), che ha conosciuto un calo degli investimenti negli ultimi anni maggiore del 30 per cento, nonché gli effetti sul rilancio della riqualificazione di cui necessita il parco edilizio esistente (ed in particolare della riqualificazione energetica). Numerose ricerche effettuate hanno portato a stimare in un aumento del 6 per cento l'incremento di prezzo che gli acquirenti sono disponibili a sostenere per un immobile recentemente riqualificato;

    l'Italia vanta, inoltre, una consolidata tradizione industriale in molti settori strettamente correlati all'efficienza energetica (caldaie, motori, inverter, smart grid, edilizia). Le imprese che si occupano di impianti e prodotti attinenti agli interventi di efficientamento energetico sono cresciute sensibilmente negli ultimi anni;

    affrontare il problema dell'inefficienza del patrimonio edilizio dell'Unione europea può essere pertanto un ulteriore stimolo positivo alla crescita: per ogni milione di euro investito nella ristrutturazione energetica degli edifici, vengono creati in media 18 posti di lavoro locali e a lungo termine. Recenti modelli economici dimostrano inoltre che il rinnovamento del parco edilizio europeo con misure di efficienza energetica come l'isolamento termico e/o l'elettrificazione della fornitura di riscaldamento con pompe di calore contribuirà a creare 1,2 milioni di posti di lavoro netti in più e un aumento del Pil dell'1 per cento entro il 2050;

    per l'importante ruolo di stimolo alla crescita e alla ripresa economica del Paese, la stabilizzazione del meccanismo del superbonus e dei bonus edilizi è fortemente condivisa e sostenuta da tutte le realtà produttive e non coinvolte nel settore: dall'industria, all'artigianato, al commercio, alle banche, ai sindacati e alle associazioni ambientaliste;

    è necessario, quindi, stimolare una combinazione efficace di finanziamenti pubblici e investimenti privati al fine di sfruttare il potenziale economico del raggiungimento degli obiettivi fissati a livello europeo, razionalizzando le risorse pubbliche e differenziandole in funzione della diversa efficienza, mediante interventi che premino soluzioni impiantistiche e tecnologiche a nullo impatto ambientale;

    ridurre la domanda di energia, fornire flessibilità e passare a fonti energetiche rinnovabili aumenterebbe il potere d'azione dell'Europa a livello internazionale oltre a ridurre la pressione economica su famiglie e imprese che, oramai da tempo, sopportano gli alti prezzi delle materie prime energetiche in bolletta,

impegna il Governo:

1) a proseguire in sede europea nel sostegno all'individuazione di adeguate misure per il raggiungimento degli obiettivi di ristrutturazione ed efficientamento energetico del parco immobiliare nazionale, anche in vista dell'obiettivo di neutralità climatica al 2050;

2) a promuovere un confronto con gli altri Paesi dell'Unione europea e con la Commissione europea affinché il costo delle ristrutturazioni del patrimonio immobiliare nazionale sia garantito da strumenti finanziari emessi in ambito unionale;

3) ad attivarsi in sede europea con adeguate iniziative affinché, ai fini della prestazione energetica degli edifici, nel calcolo dell'energia primaria, gli Stati membri possano tenere conto delle fonti energetiche rinnovabili fornite, generate e utilizzate in loco, oltre che delle infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici bidirezionali, dei sistemi di demand-response e storage, nonché dei sistemi di controllo e automazione degli edifici e degli effetti positivi sulla capacità di flessibilità dal lato della domanda di energia;

4) ad attivarsi, nell'ambito della propria competenza, per l'adozione di ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta a promuovere la stabilizzazione della misura di detrazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici, mediante l'estensione delle agevolazioni fiscali vigenti e predisponendo meccanismi di premialità per gli interventi caratterizzati da maggiore efficacia in termini di risparmio energetico e di utilizzo di materie prime all'avanguardia e alternative a fonti fossili, e materiali ottenuti da riciclo o di origine vegetale, prevedendo a tal fine anche l'aggiornamento dei criteri ambientali minimi (Cam);

5) ad adottare urgenti iniziative al fine di rendere funzionale e pienamente utilizzabile il meccanismo della cessione del credito, il cui blocco da parte degli intermediari finanziari sta avendo drammatiche conseguenze per le imprese di costruzione;

6) a favorire maggiori investimenti in programmi di riqualificazione di edifici pubblici e di edilizia sociale;

7) ad adottare iniziative volte a istituire un fondo ad hoc per la concessione di finanziamenti, a tasso agevolato, diretti alla realizzazione di interventi di efficientamento energetico;

8) ad adottare iniziative volte a favorire lo sviluppo dell'industria dei prodotti ad alto contenuto tecnologico per l'efficienza energetica, anche attraverso la previsione di specifici crediti di imposta per l'attività di ricerca e sviluppo che preveda la partecipazione di enti di ricerca;

9) ad introdurre strumenti di supporto e incentivazione alle imprese che esportano su mercati internazionali prodotti, sistemi e servizi che favoriscono l'efficienza energetica;

10) a rafforzare le attività di comunicazione sui temi dell'efficienza energetica al fine di migliorare la fruibilità e la trasparenza delle informazioni, anche attraverso l'organizzazione di iniziative mirate a favorire comportamenti energeticamente consapevoli e la predisposizione di linee guida per la definizione di metodologie educative condivise sul risparmio e l'efficienza energetica;

11) a sostenere percorsi di formazione e aggiornamento all'interno della pubblica amministrazione sui temi del risparmio e dell'efficienza energetica, della contabilità energetica e ambientale, al fine di sviluppare competenze utili a conseguire gli obiettivi della transizione energetica e rafforzare le capacità di innovazione del Paese.
(1-00043) «Pavanelli, Ilaria Fontana, Sergio Costa, Cappelletti, Santillo, L'Abbate, Appendino, Todde, Morfino».

(20 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    secondo i dati della Commissione europea gli edifici sono responsabili a livello dell'Unione europea di circa il 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate al consumo di energia. I dati sono riferiti al complesso degli edifici che, secondo la relazione sullo Stato dell'Unione dell'energia del 2021, è per il 65 per cento a uso residenziale. Il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti e l'acqua calda per uso domestico rappresentano l'80 per cento dell'energia consumata dalle famiglie. Il 35 per cento del parco immobiliare dell'Unione europea ha più di 50 anni e quasi il 75 per cento è inefficiente dal punto di vista energetico, mentre il tasso di ristrutturazione annua è di circa l'1 per cento;

    il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, che rientra nelle iniziative del pacchetto «Fit for 55» per allineare la normativa dell'Unione europea in materia di clima ed energia all'obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), nella prospettiva del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050;

    tale revisione è strettamente collegata con le restanti iniziative del «Fit for 55», ovvero la revisione delle direttive sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili (renewable energy directive – RED II) e sull'efficienza energetica (energy efficiency directive – EED);

    in estrema sintesi, la proposta di revisione della Commissione, mira a far sì che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti lo divengano entro il 2050. La proposta originaria è oggetto di negoziato a livello europeo;

    il Consiglio del 25 ottobre 2022 ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta della Commissione convenendo che per quanto riguarda i soli edifici nuovi, dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli altri edifici nuovi dal 2030;

    si pone in evidenza e appare condivisibile la possibilità prevista per gli Stati membri di applicare delle eccezioni per alcuni edifici tra cui gli edifici storici, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa;

    per gli edifici residenziali esistenti, gli Stati membri hanno convenuto di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050, come indicato nei loro piani nazionali di ristrutturazione edilizia;

    come dichiarato in una lettera a Il Sole 24 Ore del 19 gennaio 2023, il Ministro Pichetto Fratin, presente al Consiglio dello scorso 25 ottobre, ha quindi confermato che non è previsto alcun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti al 2030, non sono previsti obblighi per i proprietari, dato che la realizzazione degli obiettivi di ristrutturazione è in capo agli Stati membri, non si prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati;

    il Ministro ha quindi ribadito che si tratta di una misura che consente ampi margini di elasticità, che declina un impegno già assunto dal nostro Paese, la neutralità carbonica al 2050, e che tiene conto delle peculiarità del nostro Paese indicando, per gli edifici esistenti, un percorso a tappe da qui ai prossimi 27 anni;

    gli Stati membri hanno poi convenuto di fissare requisiti che garantiscano che tutti i nuovi edifici siano progettati per ottimizzare il loro potenziale di produzione di energia solare e hanno concordato prescrizioni finalizzate a mettere a disposizione infrastrutture per la mobilità sostenibile, tra cui punti di ricarica per automobili e biciclette elettriche all'interno o in prossimità degli edifici, cablaggio per infrastrutture future e parcheggi per biciclette. Hanno inoltre introdotto passaporti di ristrutturazione volontari per gli edifici;

    gli Stati membri hanno convenuto di pubblicare piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti una tabella di marcia con obiettivi nazionali per il 2030, il 2040 e il 2050 per quanto riguarda il tasso annuo di ristrutturazione energetica, il consumo di energia primaria e finale del parco immobiliare nazionale e le relative riduzioni delle emissioni operative di gas a effetto serra. I primi piani saranno pubblicati entro il 30 giugno 2026 e successivamente ogni cinque anni;

    presso il Parlamento europeo, l'atto è tuttora all'esame della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia (Itre) che dovrebbe concludere i suoi lavori il 9 febbraio 2023. La discussione in plenaria dovrebbe avere luogo indicativamente nella seduta del 13 marzo 2023. Una volta adottata la posizione negoziale potranno essere avviati i «triloghi» con Consiglio e Commissione europea;

    per il conseguimento di tali più ambiziosi obiettivi di ristrutturazione del parco edilizio europeo gli Stati membri potranno prevedere incentivi finanziari di varia natura anche a valere sulle risorse disponibili stabilite a livello dell'Ue, quali, tra le altre, il Fondo sociale per il clima, il dispositivo per la ripresa e la resilienza e i fondi della politica di coesione;

    nella prospettiva della Commissione, gli investimenti nella riqualificazione energetica dovrebbero costituire anche un'opportunità per l'economia e in particolare per il settore edile, che rappresenta circa il 9 per cento del Pil europeo e impiega 25 milioni di posti di lavoro, in circa 5 milioni di imprese, in prevalenza PMI;

    per quanto attiene al nostro Paese, il Cresme, nel XXXIII rapporto congiunturale sul mercato edilizio, nel giudicare positivamente gli effetti dei bonus edilizi dal lato dell'impatto sull'economia, chiarisce che tra il 2020 e il 2022 essi hanno avuto un peso sul Pil pari al 13,9 per cento (il più alto in Europa) e che il solo superbonus ha contribuito con un +22 per cento alla crescita totale del Pil. Questo si è tradotto in 460 mila occupati in più nel 2022 rispetto al 2019;

    il parco immobiliare italiano, come risulta dalla Strategia nazionale per la riqualificazione energetica, è costituito per la maggior parte da edifici a uso residenziale (12,42 milioni) aventi più di 45 anni (oltre il 65 per cento) e in prevalenza rientranti nelle classi energetiche F e G (rispettivamente il 25 per cento e il 37,3 per cento degli immobili censiti dal Sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica – Siape nel periodo 2016-2019, sulla base delle elaborazioni dell'Enea);

    secondo Enea una avanzata riqualificazione del parco edilizio che non rientra in interventi di ristrutturazione integrale pone attualmente ancora non poche criticità, anche e soprattutto in quei contesti fortemente urbanizzati sottoposti a vincoli, anche dal punto di vista paesaggistico, storico e ambientale;

    tuttavia il nostro Paese non è all'anno zero: per contrastare le difficoltà appena descritte, tra i meccanismi di incentivi implementati, il rapporto annuale efficienza energetica dell'Enea richiama il superbonus, In particolare, si legge che al 30 settembre del 2022, il numero degli interventi incentivati raggiunge quota 307.191 e un ammontare di investimenti ammessi a detrazione di oltre 51 miliardi (35,3 per lavori già terminati). Il risparmio energetico conseguito risulta pari a 9.410,5 Gigawattora/anno;

    per quanto riguarda l'ecobonus – si legge sempre nel rapporto Enea – nel 2021 si è assistito a un notevole incremento degli interventi agevolati attraverso tale strumento, il cui numero risulta più che doppio rispetto al 2020, superando la soglia del milione (1,04 milioni), Questo risultato spinge il numero di interventi effettuati dal 2014 a 3,7 milioni. Dal 2007, anno di avvio della misura, il numero di interventi incentivati dall'ecobonus è di circa 5,5 milioni. In termini di investimenti, nel 2021 sono stati mobilitati circa 7,5 miliardi di euro. I risparmi energetici ottenuti grazie agli interventi effettuati nel 2021 ammontano ad un totale di 2.652 Gigawattora/anno (+95 per cento rispetto al 1362,14 del 2020) portando a 11.152 Gigawattora/anno il contributo della misura dal 2014 e a circa 21,700 Gigawattora/anno dall'avvio;

    il Centro studi Cni stima che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, attraverso il superbonus 110 per cento, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento per un totale di quasi 482.000 edifici che hanno effettuato il doppio salto di classe energetica;

    i dati riportati finora indicano in maniera non discutibile che soprattutto a partire dal 2020, nella filiera edilizia, sono stati prodotti notevoli effetti espansivi in termini di produzione di reddito e di occupazione, con effetti di innovazione, di riorganizzazione e di riqualificazione della filiera stessa e dei servizi di ingegneria e architettura, di riqualificazione del patrimonio edilizio residenziale e di risanamento anche interno delle abitazioni con un sensibile abbattimento dell'inquinamento indoor e dei relativi costi sociali, diretti e indiretti, e con l'acquisizione da parte dell'intero settore, di un know-how specifico per tutto quello che riguarda l'efficientamento energetico, la messa in sicurezza antisismica, la produzione di energia e calore in modalità ecosostenibile;

    il superbonus e gli altri incentivi fiscali per la riqualificazione edilizia, antisismica ed energetica possono dunque rappresentare un utile modello di riferimento da considerare anche su scala più elevata per valutarne l'applicabilità, con i necessari adeguamenti, a interventi più ampi di rigenerazione urbana, nella misura in cui forme di incentivazione possano rivelarsi utili a favorire un maggiore coinvolgimento di capitali privati nelle politiche di trasformazione urbana finalizzate alla transizione ecologica delle città e, in particolare, delle grandi aree metropolitane;

    alla luce di quanto esposto finora è evidente che il proseguimento degli interventi per l'efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale possono costituire, infine, una vera opportunità per il sistema Italia di migliorare le prestazioni energetiche degli immobili e di rinnovare un patrimonio immobiliare avente caratteristiche uniche al mondo attraverso una ulteriore azione di politica industriale che favorisca lo sviluppo di materiali e processi innovativi, affidando ad Enea il compito di effettuare direttamente ovvero di coordinare, a livello nazionale, lo studio e l'aggiornamento, in accordo con l'evoluzione tecnologica, delle tecniche e dei materiali utilizzati in particolare per quanto riguarda il processo di efficientamento energetico degli edifici e la ricerca di nuove soluzioni per installare il fotovoltaico anche nelle città storiche che ospitano grande parte del patrimonio immobiliare italiano, anche con l'introduzione, per un periodo di tempo in forma sperimentale, di strumenti di incentivazione, anche di natura non fiscale, che, in coerenza con la logica sottesa agli incentivi già vigenti, mirino a promuovere operazioni di rigenerazione urbana di gruppi di edifici, aree dismesse e lotti interclusi, con particolare riferimento agli interventi di sostituzione edilizia, garantendo in tal modo un effetto moltiplicativo in termini di abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni, maggiore sostenibilità urbana, ambientale e sociale c concorso agli obiettivi di contrasto alla crisi climatica;

    il successo di questa misura è determinato principalmente dalla possibilità di cedere il credito, possibilità che ha reso accessibile a tutti la riqualificazione del proprio immobile;

    anche alla luce del virtuoso percorso già avviato da circa un decennio, sono senz'altro condivisibili gli obiettivi generali della direttiva dell'Unione europea che mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra degli edifici, ad aumentare il tasso e la profondità delle ristrutturazioni edilizie, a migliorare le informazioni sul rendimento energetico degli edifici e a garantire che tutti gli edifici siano in linea con gli obiettivi climatici dell'Unione europea;

    inoltre, tale direttiva va nella direzione di una maggiore garanzia di sicurezza energetica e contribuirà a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a diminuire la domanda di gas naturale;

    avere edifici più efficienti significa anche rendere le famiglie e le imprese più resistenti agli shock dei prezzi dell'energia la cui volatilità potrà essere sensibilmente ridotta;

    occorre però prestare particolare attenzione alla differente classificazione, a livello di singolo Stato dell'Unione, delle nuove classi energetiche (energy performance contract). Come evidenziato dalla BCE, stabilire criteri comuni per le classi migliori e peggiori per ogni Stato membro, senza armonizzare le definizioni e metodologie rischia di ridurre la comparabilità tra gli Stati con riferimento ai possibili squilibri tra le banche europee;

    appare inoltre fondamentale perseguire e continuare la riqualificazione energetica anche del patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi, quali, ad esempio, il conto termico, e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche. Occorre inoltre prevedere la proroga della misura del superbonus 110 per cento per gli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica, che spesso coincidono con quelli abitati da famiglie in condizioni di povertà energetica, in linea con il principio che occorra partire dalla riqualificazione degli edifici con la peggiore performance energetica – contenuto nella proposta di direttiva –, e si ritiene che, nel quadro degli interventi poliennali previsti dall'UE, occorra dare priorità agli interventi pubblici nelle periferie urbane, al fine di iniziare gli interventi di riqualificazione dal patrimonio edilizio più scadente e abitato dalle fasce sociali più deboli, anche attraverso un programma preliminare di rilievi da parte dei comuni,

impegna il Governo:

1) a confermare presso le competenti sedi europee l'impegno del Paese al raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista dell'obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 e della neutralità climatica nel 2050 e ad adottare, contestualmente, le opportune iniziative negoziali nelle competenti sedi europee volte a garantire che il testo finale della direttiva citata in premessa assicuri al nostro Paese la necessaria flessibilità, anche temporale, in fase di attuazione in ragione della peculiarità del patrimonio edilizio nazionale, e confermi la possibilità di escludere dall'ambito di applicazione della citata direttiva taluni edifici, quali gli edifici protetti, quelli di valore architettonico o storico, i luoghi di culto e attività di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa e a prevedere una metodologia più armonizzata per la definizione delle nuove classi EPC, anche al fine di evitare impatti negativi sulle esposizioni immobiliari degli istituti di credito;

2) in vista dell'adozione della nuova direttiva, ad adottare le iniziative di competenza in sede di Unione europea affinché gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico siano accompagnati da adeguati strumenti finanziari stanziati a livello europeo, un vero e proprio nuovo piano industriale green, affinché i costi degli interventi non ricadano sulle famiglie, in particolare modo sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese;

3) ad adottare iniziative volte a garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia degli strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico del Paese, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche e prevedendo la proroga della misura del superbonus 110 per cento per gli edifici adibiti a edilizia residenziale pubblica;

4) ad adottare iniziative volte a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica finanziati dagli strumenti vigenti rimuovendo gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei crediti fiscali anche mediante l'eventuale coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti Spa;

5) a valutare le iniziative necessarie al raggiungimento dei nuovi obiettivi e la predisposizione del piano nazionale di ristrutturazione degli immobili anche attraverso il monitoraggio nel corso degli anni dei dati relativi al numero di immobili che hanno ottenuto un miglioramento della classe energetica, anche beneficiando delle detrazioni previste a tal fine, tra cui il superbonus 110 per cento che presenta come requisito il conseguimento di due classi energetiche più elevate e all'esito dello svolgimento di indagini conoscitive da parte del Parlamento in materia;

6) ad adottare iniziative normative al fine di garantire un orizzonte temporale di lungo termine per gli investimenti di famiglie e imprese, prevedendo un sistema incentivante che valorizzi gli interventi caratterizzati da maggiore efficacia dal punto di vista dell'efficientamento energetico.
(1-00057) «Simiani, Peluffo, De Luca, Braga, Madia, Curti, Di Sanzo, Ferrari, De Micheli, Di Biase, Gnassi, Orlando, Bakkali, Barbagallo, Berruto, Boldrini, Carè, Casu, Cuperlo, D'Alfonso, Forattini, Fossi, Furfaro, Ghio, Gianassi, Girelli, Graziano, Gribaudo, Iacono, Lacarra, Lai, Laus, Malavasi, Marino, Merola, Morassut, Porta, Toni Ricciardi, Roggiani, Andrea Rossi, Scotto, Stefanazzi, Vaccari, Zingaretti».

(2 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    al Parlamento europeo è attualmente in discussione il progetto di direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia Com (2021) 802 final, rientrante nelle iniziative del pacchetto «Fit for 55», che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, nella prospettiva del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050, fissata dal cosiddetto «Green Deal» europeo;

    per quanto riguarda in particolare la suddetta direttiva, l'obiettivo principale della direttiva è la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra degli edifici, al fine di ottenere un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050;

    l'articolo 9 della direttiva, recante norme minime di prestazione energetica, comporta obblighi di adeguamento degli immobili esistenti a determinati standard energetici ed entro determinate scadenze, ma prevede allo stesso tempo una serie di possibili eccezioni, ossia categorie di immobili che possono essere escluse da questi obblighi di adeguamento;

    pur condividendo pienamente gli obiettivi relativi alla riduzione di emissioni nocive, va tenuto presente che gli obiettivi, per quanto ambiziosi, devono essere realistici ed è necessario garantire che il rapporto tra costi e benefici sia ottimizzato al fine di favorire uno sviluppo sociale ed economico sostenibile nel tempo;

    va considerata anche la specificità del patrimonio immobiliare italiano che è caratterizzato anche da borghi, villaggi e frazioni storiche, dove l'esecuzione degli interventi edilizi volti al raggiungimento degli standard di prestazione energetica sono di difficile esecuzione, difficili dal punto di vista della sostenibilità economica e potrebbero determinare in molti casi lo stravolgimento del pregio architettonico, storico e documentario del tessuto edilizio esistente,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative di competenza, volte ad assicurare una ragionevole gradualità degli obblighi di adeguamento del patrimonio immobiliare agli standard energetici e agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas, comunque tenendo conto della particolarità degli immobili e della loro classificazione ai sensi degli strumenti urbanistici locali, come ad esempio, di quelli situati nei borghi montani, nei centri storici e nelle aree di pregio ambientale, storico e paesaggistico;

2) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare, in fase di attuazione della direttiva, ove approvata, che rimangano esclusi dagli obblighi di adeguamento gli immobili ubicati nei centri storici individuati dagli strumenti urbanistici, nonché i tradizionali fabbricati rurali funzionali alle attività agricole, come masi, alpeggi e strutture ad utilizzo stagionale.
(1-00058) «Manes, Schullian, Gebhard, Steger».

(2 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    il 15 dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia (COM (2021) 802 final), parte del programma di lavoro della Commissione stessa per il pacchetto cosiddetto «Fit for 55%» (Pronti per il 55%), la quale «definisce la visione per il conseguimento di un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050»;

    la posizione negoziale del Consiglio dell'Unione europea sulla relativa proposta di revisione è stata approvata dal Consiglio dei ministri dell'energia del 25 ottobre 2022, con voto favorevole del Ministro Picchetto Fratin; al contempo il Parlamento europeo sta elaborando la propria posizione negoziale in seno alla Commissione industria, energia e ricerca (cosiddetta Commissione Itre), con la prossima votazione fissata per febbraio; il testo finale sulla revisione della direttiva sarà il frutto di un negoziato tra i co-legislatori europei – Consiglio dell'UE e Parlamento europeo – che si terrà nei prossimi mesi;

    tra le altre cose, nel testo che il Consiglio ha concordato il 25 ottobre 2022 adottando l'approccio generale della proposta, che sarà all'esame della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia (Itre) del Parlamento europeo nelle prossime settimane, la direttiva impone emissioni zero per tutti gli edifici di nuova costruzione a partire dal 1° gennaio 2030, ovvero dal 1° gennaio 2028 per quelli di nuova costruzione di proprietà di enti pubblici o occupati da enti pubblici;

    per quanto concerne il parco immobiliare già esistente, agli Stati membri è fatto obbligo di stabilire norme minime di prestazione energetica corrispondenti alla quantità massima di energia primaria che gli edifici possono utilizzare annualmente per m², sia per gli edifici non residenziali che per quelli residenziali, e ogni Stato dovrà poi stabilire un piano nazionale di ristrutturazione – sottoposto a successiva valutazione della Commissione – al fine di ottenere, entro il 2050, un parco immobiliare completamente «decarbonizzato» e trasformare anche gli edifici già esistenti in edifici a emissioni zero;

    per quanto riguarda gli edifici residenziali, l'intero parco immobiliare dovrà essere ristrutturato in modo che tutti gli edifici in media raggiungano entro il 2033 la classe di prestazione energetica D – quindi ancor più restrittiva rispetto alla proposta originale presentata dalla Commissione il 15 dicembre 2021 – con una traiettoria di ulteriore progressivo miglioramento delle prestazioni, da verificare con un secondo punto di controllo nel 2040, in vista dell'obiettivo ultimo di trasformare l'intero parco immobiliare residenziale in edifici a emissioni zero nel 2050;

    la Commissione Itre avrebbe raggiunto un compromesso su un margine di flessibilità maggiore nel percorso di riqualificazione – pari a più di un quinto degli immobili interessati, fino al 31 dicembre 2036, per ragioni oggettive, come quelle di carattere finanziario, manodopera, materiali e altro, sia inserendo esenzioni specifiche per gli edifici storici e vincolati e per quelli utilizzati per meno di quattro mesi all'anno, sia stanziando 86 miliardi di euro per finanziare il fondo sociale green volto ad accompagnare la transizione per le fasce più deboli della popolazione –, ma il testo continua a non essere soddisfacente;

    gli edifici ad uso residenziale in Italia sono oltre 12 milioni, per un totale di circa 32 milioni di abitazioni, e una grossa parte di questi risale a prima degli anni Settanta;

    questi dati fanno capire come obiettivi così stringenti applicati a tutti gli edifici, non tengono in considerazione le differenze intrinseche tra gli stock edilizi dei diversi Paesi; se è vero che essi possono illustrare le proprie ragioni alla Commissione in caso di mancato seguito alle eventuali raccomandazioni successivamente ricevute, la direttiva rappresenta in ogni caso, in base all'articolo 288 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) un vincolo per gli Stati membri;

    l'articolo 1 della direttiva indica l'obiettivo di «conseguire un parco immobiliare ad emissioni zero entro il 2050», aggiungendo il riferimento «all'efficacia sotto il profilo dei costi», e ancora agli articoli 5 e 8 viene ribadito che, per gli edifici esistenti, i requisiti minimi di prestazione energetica sono da relazionare a «livelli ottimali in funzione dei costi»;

    tale prescrizione, corretta nella sostanza, in quanto derivante dalla stessa definizione tecnico-economica dell'efficienza energetica, imporrebbe quindi cautela ed attenzione nella definizione dei livelli ottimali dell'intervento di ristrutturazione profonda, la quale dovrebbe consentire il raggiungimento del livello di prestazione energetica che comporta il costo più basso durante il ciclo di vita economico stimato dell'immobile;

    va da sé che la valutazione, per risultare oggettiva, andrebbe fatta, nel quadro metodologico che produrrà la Commissione, esclusivamente sulla base di costi diretti, ovvero il costo dell'investimento per la cosiddetta «ristrutturazione profonda», i costi di manutenzione, i costi dell'energia (se pur di stima incerta nel ciclo di vita) e gli eventuali ricavi derivanti dalla cessione di energia in eccesso generata in loco;

    includere nel calcolo le esternalità ambientali e sanitarie del consumo di energia, come prevede l'allegato VII della direttiva, è ridondante, poiché esse sono già comprese nel costo dell'energia; inoltre introdurrebbe nel calcolo elementi di discrezionalità ed aleatorietà tali da rendere inefficace la stessa valutazione del livello ottimale;

    l'obiettivo ultimo di trasformare tutti gli edifici esistenti in edifici ad emissioni zero entro il 2050, e frattanto quelli ad uso residenziale mediamente in classe di prestazione energetica D entro il 2033, contraddice palesemente il principio che la stessa direttiva richiama del perseguimento del livello ottimale in funzione dei costi;

    la tabella di marcia che ogni Stato membro dovrà definire per il proprio patrimonio immobiliare dovrebbe, invece, avere come obiettivo il raggiungimento del livello ottimale di prestazione energetica per ciascun edificio o tipologia di edificio, ricavato da un'analisi costi-benefici oggettiva;

    un'ulteriore problematica riguarda l'impostazione ideologica della direttiva che fa riferimento alle fonti rinnovabili invece che alle fonti «low carbon», come dovrebbe essere alla luce della tassonomia europea, il cui atto delegato è entrato in vigore dal 1° gennaio 2023; così facendo, si esclude qualsiasi riferimento alla strategia di decarbonizzazione basata su fonti a bassissime emissioni, tra cui il nucleare, ma anche transitoriamente il gas naturale – possibilmente con cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica – e il risultato è che un edificio a fabbisogno energetico basso o quasi nullo, viene considerato a «emissioni zero» se alimentato esclusivamente da energia rinnovabile e non per esempio da un mix di energia nucleare e rinnovabile, pur non emettendo anidride carbonica in entrambi i casi;

    la direttiva, nella consapevolezza che l'imposizione di ristrutturazioni massive comporterebbe per le fasce di popolazione meno abbienti costi difficilmente affrontabili, prevede che gli Stati membri adottino strumenti di incentivazione per sostenere i proprietari privati, le piccole e medie imprese e le società di servizi nell'immane sforzo di ristrutturazione previsto dal piano;

    a tal punto, è utile ricordare come la Banca d'Italia ha stimato che il cosiddetto «superbonus» – il quale fa parte di questa categoria di strumenti di incentivazione e ha contribuito, secondo l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), ad interventi di efficientamento solamente per l'1,5 per cento del totale dei condomini italiani – raggiungerà un saldo finanziario neutro solamente nel 2067, o più probabilmente, non prima del 2100;

    prevedere uno sforzo simile per la stragrande maggioranza degli edifici residenziali e non da qui ai prossimi 10 anni, e ancor maggiore fino al 2050, è un esercizio economico e sociale decisamente più difficile;

    considerando, a maggior ragione, che i consumi dell'Unione europea rappresentano circa il 10 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica – includendo anche le emissioni dovute alle importazioni – alla luce di un Pil che equivale al 15 per cento di quello mondiale e che le stesse emissioni dell'Unione europea, a differenza di quelle di molte altri Paesi, sono calate in modo netto a partire dagli anni Novanta, lo sforzo economico e le sue conseguenze sociali appaiono decisamente disallineate e sproporzionate rispetto agli obiettivi ambientali globali che, naturalmente vanno perseguiti, ma a livello globale, appunto, per il bene degli ecosistemi e degli esseri umani;

    per quanto riguarda l'Italia, la direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia comporterebbe, dunque, un piano nazionale eccessivamente stringente, sia nei tempi che nei risultati, rispetto alla natura e allo stato del patrimonio immobiliare nazionale, costituendo così un serio rischio per i proprietari, soprattutto più piccoli, per il valore degli immobili, per il sistema di credito e per il generale andamento dell'economia, già duramente colpita sia dai rincari energetici che dalla recente spirale inflazionistica,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte ad evitare che i costi di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare italiano derivanti dall'attuazione della direttiva siano sostenuti da famiglie e imprese ovvero scaricati unicamente sullo spazio fiscale degli Stati nazionali;

2) a discutere in sede europea la possibilità di finanziare il suddetto piano tramite un'emissione apposita di passività finanziarie comuni, che, oltre a dare l'impronta comunitaria al piano, rappresenterebbe anche un tassello decisivo nell'avanzamento del processo di integrazione economica europea, nella forma di emissione di debito comune per finanziare beni pubblici europei;

3) ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per unificare e armonizzare i catasti termici regionali in un unico catasto termico nazionale, nonché ad adottare opportune iniziative normative affinché la certificazione energetica degli edifici sia univoca in tutta Italia e non più su scala regionale.
(1-00062) «Ruffino, Richetti, Marattin, Benzoni, De Monte, Del Barba, Enrico Costa, Gadda, Grippo, Sottanelli».

(13 febbraio 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE
AL POTENZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

   La Camera,

   premesso che:

    le analisi indipendenti condotte dalla fondazione Gimbe, nell'ambito del 5° rapporto sul Servizio sanitario nazionale (Ssn), ricordano che la crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale coincide con un prolungato periodo di grave crisi economica durante il quale la curva del Fondo sanitario nazionale (Fsn) si è progressivamente appiattita, in conseguenza di scelte politiche che nel decennio 2010-2019 hanno determinato un imponente definanziamento del Servizio sanitario nazionale;

    secondo le analisi Gimbe, alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza dei tagli lineari effettuati nelle diverse manovre finanziarie e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, come processo di progressivo definanziamento che, per obiettivi di finanza pubblica, ha assegnato al Servizio sanitario nazionale meno risorse rispetto ai livelli programmati;

    successivamente, le leggi di bilancio 2020, 2021 e 2022 hanno invertito la rotta con un incremento complessivo del Fsn di 11,2 miliardi, segnando un netto cambio di passo nel trend del finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale, cresciuto in media del 3,4 per cento annuo, tasso superiore a quello dell'inflazione media annua del periodo 2020-2021 (0,9 per cento) e certificando formalmente la fine della stagione dei tagli alla sanità;

    oltre alle predette manovre, dal mese di marzo 2020 al mese di settembre 2022, sono stati emanati ben 12 decreti-legge che hanno stanziato risorse ad hoc per la gestione dell'emergenza COVID-19, per complessivi 11.414,3 miliardi di euro;

    nel Documento di economia e finanza 2022, tuttavia, a fronte di una prevista crescita media annua del Pil nominale del 3,8 per cento nel triennio 2023-2025, la spesa sanitaria torna a ridursi mediamente dello 0,6 per cento per anno e nel 2025 il rapporto spesa sanitaria/Pil precipita addirittura al 6,2 per cento al di sotto dei livelli antecedenti la pandemia e la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) riduce ulteriormente il predetto rapporto al 6,1 per cento;

    la manovra economica per il 2023 è intervenuta in campo sanitario disponendo l'aumento di 2 miliardi per il finanziamento della spesa sanitaria; sono poi state adottate misure circoscritte riguardanti le farmacie e il finanziamento di interventi per ridurre l'antibiotico resistenza oltre che l'acquisto dei vaccini; gran parte delle predette risorse sono in verità destinate, per la maggior parte, a compensare gli aumenti legati al caro energia rispetto al quale la manovra per il 2023 ha esplicitamente vincolato ben 1,4 miliardi;

    proprio sulla predetta manovra, la Corte dei conti ha rilevato che la previsione della spesa sanitaria in termini di contabilità economica raggiungerebbe i 133,8 miliardi, ponendosi in tal modo solo poco al di sotto di quella prevista per il 2022 (133,9 miliardi), confermando, dunque, che la spesa sanitaria, in termini di prodotto, è in riduzione nel prossimo biennio (-1,1 per cento in media all'anno);

    la Corte dei conti stigmatizza quindi il fatto che il rapporto fra spesa sanitaria e Pil si porta su livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024 (al 6,3 per cento), per ridursi ancora di un decimo di punto nell'anno terminale (2025);

    il decrescere dell'incidenza sul Pil è un elemento preoccupante perché si traduce in «meno salute» e pone il nostro Paese al di sotto della media dei Paesi Ocse e al di sotto dell'accettabilità, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e l'efficacia dell'assistenza sanitaria e sull'aspettativa di vita, che già studi e ricerche hanno documentato in accreditati rapporti;

    diverse e specifiche misure per l'anno 2023 non sono state rifinanziate, com'è il caso ad esempio degli interventi introdotti con il cosiddetto decreto rilancio (decreto-legge n. 34 del 2020, –500 milioni) e soprattutto sono venuti meno i 500 milioni di euro per l'abbattimento delle liste di attesa, nonostante il problema sia, ad oggi, tutt'altro che risolto;

    la Corte dei conti ha ribadito come, dopo l'emergenza che ha caratterizzato lo scorso triennio, si riproponga il gap mai risolto tra le risorse dedicate nel nostro Paese al sistema sanitario e quelle dei principali partner europei; una differenza resa più grave dagli andamenti demografici: già oggi l'Italia è caratterizzata da una quota di popolazione anziana superiore agli altri Paesi, quota destinata a crescere in misura significativa nei prossimi anni;

    permane il grave ritardo nella erogazione delle prestazioni, anche ordinarie, ed è pertanto necessario procedere con sollecitudine al riassorbimento delle liste d'attesa, cresciute esponenzialmente con la pandemia; a riguardo, sempre la Corte dei conti ha rappresentato come siano ben 14 le regioni che presentano performance peggiori di quelle del 2019 nel caso degli interventi cardio-vascolari caratterizzati da maggiore urgenza e che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni; solo di poco migliore l'andamento per quanto riguarda i tumori maligni: sono 12 le regioni che hanno peggiorato le loro performance;

    le prestazioni di specialistica ambulatoriale non hanno recuperato i livelli del 2019: nel primo semestre 2022 le prestazioni erogate risultavano in media nazionale inferiori del 12,8 per cento a quelle dello stesso periodo del 2019 e 13 regioni si collocavano al di sotto della media;

    anche dalle analisi di Gimbe emerge come si accumuli sempre più ritardo nell'erogazione di prestazioni chirurgiche, ambulatoriali e di screening, nonostante quasi 1 miliardo di euro di investimenti dedicati e la definizione di un piano nazionale per il recupero delle liste di attesa; il progressivo impatto del long-Covid ha richiesto l'apertura di centri dedicati in tutto il Paese con uno sforzo organizzativo e di personale specialistico sempre maggiore, senza considerare l'impatto sulla salute mentale fortemente sotto-diagnosticato in particolare nelle fasce più giovani, fatica a trovare adeguate risposte assistenziali;

    peraltro, l'emergenza Covid appare tutt'altro che conclusa e desta notevole preoccupazione: il nostro Paese dev'essere pronto a fronteggiare situazioni imprevedibili in brevissimo tempo, con misure tali da garantire una numerosità di strutture e posti per la terapia del Covid e delle patologie connesse senza che ciò debba comportare la mancata assistenza per le altre patologie; per questo motivo, tra il mese di dicembre 2022 e gennaio 2023, sono state emanate diverse circolari del Ministero della salute, recanti gli interventi in atto per la gestione della circolazione del Sars-CoV-2 nella stagione invernale 2022-2023, volte a chiarire queste nuove necessità, che, al di là dello sviluppo degli eventi, richiede un ripensamento del sistema;

    dal Report Osservatorio Gimbe 2/2022, «Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in sanità», emerge che rispetto al mantenimento dell'erogazione dei Lea, a fronte di un Servizio sanitario nazionale fondato su princìpi di equità e universalismo, il nostro Paese presenta inaccettabili diseguaglianze regionali. In particolare:

     gli adempimenti Lea 2018 valutati tramite il questionario Lea documentano che solo 5 regioni (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Marche, Toscana) sono adempienti (senza impegno né raccomandazioni) per almeno l'80 per cento delle 43 valutazioni;

     gli adempimenti al mantenimento dell'erogazione dei Lea tramite griglia Lea, per i quali nell'ultima valutazione solo due regioni risultano inadempienti, lasciano emergere diseguaglianze regionali di notevole entità nel decennio 2010-2019;

     nel quartile superiore si ritrovano solo regioni del Nord. Nessuna regione del Sud compare tra le prime dieci posizioni;

    una disuguaglianza regionale inaccettabile tanto quanto la mancata approvazione del nomenclatore tariffario riferito ai cosiddetti «nuovi Lea», la cui assenza rende di fatto inattuato l'aggiornamento, ormai già vecchio, dei livelli essenziali di assistenza del 2017, che mai sono stati esigibili nonostante fossero stati sbandierati come la più grande conquista degli ultimi dieci anni. Quei Lea erano e sono senza una idonea copertura;

    occorre restituire centralità e unitarietà al Servizio sanitario nazionale e superare l'attuale frammentazione in cui versano i servizi sanitari regionali, intervenendo per riportare allo Stato, in via esclusiva, la competenza in materia di tutela della salute, al fine di garantire la sostenibilità del sistema e una migliore equità nell'erogazione delle prestazioni e rispondere, così, ai principi di universalità, di uguaglianza e di globalità degli interventi, in osservanza e ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione;

    al fine di superare la sperequazione esistente sul territorio nazionale, si dovrebbe altresì intervenire sulla ripartizione del Fondo sanitario nazionale, prevedendo che nello stabilire i pesi da attribuire ai diversi elementi si tenga conto anche di indicatori ambientali, socio-economici e culturali nonché, con un peso non inferiore al 10 per cento a valere sull'intera quota, dell'indice di deprivazione economica, individuato annualmente dall'Istat, che tenga conto delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie;

    i recenti interventi sul nostro sistema sanitario correlati alla pandemia, ove rifinanziati ovvero non resi strutturali, non risolvono le numerose e ataviche necessità del Servizio sanitario nazionale: primo fra tutti il fabbisogno di personale sanitario la cui carenza è ormai divenuta tanto insostenibile quanto strutturale e rischia di aggravarsi ulteriormente alla luce dell'auspicata riforma dell'assistenza territoriale;

    alla riduzione delle risorse economiche e alla compressione delle prestazioni sanitarie per i cittadini, si aggiungono le misure di contenimento della spesa sul personale che continuano a generare un aumento dell'età media dei dipendenti, un incremento dei carichi di lavoro e insostenibili turni straordinari, nonché una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di lavoro flessibile e precarizzato anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione), determinando un progressivo indebolimento della sanità pubblica che in tal maniera e in queste condizioni emergenziali non è più in grado di rispondere ai bisogni della popolazione e perde terreno in favore della sanità privata o della sanità integrativa;

    numerosi dati e ricerche rilevano come la spesa sanitaria privata sia aumentata sensibilmente e che siano sempre più numerosi i cittadini che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie nel pubblico: si fa sempre più dilagante la «fuga» dal Servizio sanitario nazionale verso strutture sanitarie private, spesso in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali rispetto alla compartecipazione dovuta o comunque in tempi più rapidi rispetto alle liste di attesa del servizio pubblico;

    i cosiddetti fondi integrativi o le polizze assicurative non dovrebbero sostituirsi al primo pilastro del nostro sistema pubblico di salute che è il Servizio sanitario nazionale, basato sui principi di universalità, equità e solidarietà, come diretta attuazione dell'articolo 32 della Costituzione; tuttavia, diverse forme di sanità integrativa si stanno con il tempo proponendo come le uniche forme risolutive del problema dell'inaccessibilità alle cure e all'assistenza e come l'unica forma di superamento delle difficoltà in cui versa il sistema pubblico di tutela della salute;

    la sanità integrativa, peraltro, propone sempre più spesso «pacchetti prevenzione» che da un lato alimentano un consumismo sanitario e dall'altro aggravano l'inappropriatezza delle prestazioni sanitarie con uno spreco di risorse;

    anche il ricorso all'intramoenia è sempre più spesso una conseguenza obbligata per il cittadino dinanzi alle lunghe liste di attesa e alle inefficienze del Servizio sanitario nazionale, in netto contrasto con quanto previsto dalle norme che avevano introdotto tale istituto: la legge n. 120 del 2007, concernente l'attività libero-professionale intramuraria, prevede infatti il «progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria», proprio al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia la conseguenza della libera scelta del cittadino e non già la conseguenza di una carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale;

    già l'Anac, nell'ambito dell'aggiornamento del Piano nazionale anticorruzione, collocava tra gli eventi a rischio di corruzione proprio l'attività intramoenia laddove vi sia, ad esempio, l'errata indicazione al paziente delle modalità e dei tempi di accesso alle prestazioni in regime assistenziale, la violazione del limite dei volumi di attività previsti nell'autorizzazione, lo svolgimento della libera professione in orario di servizio, il trattamento più favorevole dei pazienti trattati in libera professione;

    come riportato anche sul sito dell'Agenas, l'attività libero professionale intramuraria (Alpi) può essere autorizzata a condizione che: non comporti un incremento delle liste di attesa per l'attività istituzionale; non contrasti o pregiudichi i fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale regionale; non contrasti o pregiudichi gli obiettivi aziendali; non comporti per ciascun dipendente una produttività superiore a quella assicurata per l'attività istituzionale, ovvero un impegno orario superiore al 50 per cento di quello di servizio;

    ed in riferimento all'Alpi, proprio l'Agenas, nel suo ultimo rapporto disponibile, relativo all'anno 2020, conferma la disomogeneità presente nei singoli contesti locali: 11 regioni/Pa utilizzano esclusivamente l'agenda gestita dal sistema Cup; 7 regioni utilizzano il Cup per più dell'80 per cento del totale; le rimanenti regioni riportano una percentuale intorno al 60 per cento;

    l'analisi dettagliata dei volumi di prestazioni a livello aziendale consente di monitorare l'equilibrio del rapporto tra l'attività erogata in Alpi e quella erogata in regime istituzionale: tale rapporto non deve superare il 100 per cento; orbene, nel predetto rapporto di Agenas, emerge, invece, che in 13 regioni su 21 si rilevano situazioni in cui il suddetto rapporto è ben superiore al 100 per cento;

    in tale quadro, dunque, di fronte a questo tangibile smantellamento del Servizio sanitario pubblico, prendono corpo e s'inseriscono le diverse soluzioni o proposte di partenariato pubblico-privato, se non addirittura chiaramente «di copertura assicurativa» dei bisogni assistenziali: l'idea di «cedere» prestazioni incluse nei Lea a soggetti privati, attraverso accreditamenti oramai resi strutturali, rende il sistema sanitario debole di fronte a eventuali richieste accessorie o mancate prestazioni da parte del privato, inaccettabili alla luce dei principi costituzionali;

    l'idea d'implementare l'assistenza territoriale attraverso una riorganizzazione delle cure primarie, anche al fine di efficientare l'assistenza ospedaliera ed in particolar modo la rete emergenza-urgenza, dopo tante e reiterate richieste rimaste inevase nei lunghi anni di definanziamento e di tagli scellerati e conclamati alla sanità, è divenuta un'idea cogente solo all'indomani dell'emergenza pandemica;

    proprio a causa delle precedenti scelte politiche sull'assistenza ospedaliera e sanitaria, l'emergenza COVID-19 inizialmente ha colto tutti i cittadini impreparati, soprattutto in quelle regioni dove la rete assistenziale territoriale era più compromessa a causa di una sempre più diffusa privatizzazione dei servizi di base; in tale contesto anche la riduzione della disponibilità di posti letto, effettuata negli anni precedenti, ha rilevato tutta la sua esiguità e criticità;

    nell'offerta di posti letto ospedalieri a livello europeo, l'Italia (3,7 posti ogni mille abitanti) si colloca al di sotto della media europea (5,5 posti letto) e si penalizzano, nella programmazione della dotazione dei posti letto, quelle regioni italiane che, con un saldo positivo di mobilità, di fatto finanziano il sistema sanitario di regioni ritenute virtuose proprio attraverso le risorse provenienti dalla mobilità attiva;

    la riduzione dei posti letto della rete ospedaliera, nelle intenzioni del cosiddetto decreto Balduzzi (decreto-legge n. 198 del 2012), era e doveva essere armonizzata con un'implementazione dell'assistenza territoriale, dei presidi sul territorio anche attraverso i cosiddetti ospedali di comunità ma, alla tanta solerzia nel definire i tagli dei posti letto, allora, non fece da contraltare la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità, che solo ora cominciano a vedere luce grazie al PNRR e alle risorse del Recovery Fund ottenute in Europa;

    tra le linee d'intervento e i progetti in cui si articola la Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), relativa alla salute, vi è, in particolare, il potenziamento della rete di assistenza territoriale, sanitaria e socio-sanitaria, quale elemento imprescindibile per garantire una risposta assistenziale appropriata ed efficace, in grado di demandare agli ospedali le attività di maggiore complessità, concentrando a livello territoriale le prestazioni meno complesse, attraverso lo sviluppo delle case di comunità, l'assistenza domiciliare integrata (Adi), la telemedicina, nonché implementando la presenza sul territorio degli ospedali di comunità; in attuazione della predetta linea d'intervento è stato emanato quindi il cosiddetto «DM71», recante gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza territoriale e al sistema di prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico;

    tuttavia, occorre che la riorganizzazione territoriale sia sostenuta da un adeguato potenziamento del fabbisogno del personale sanitario e amministrativo, da un'idonea copertura finanziaria, da una riforma delle disposizioni in materia di medici di medicina generale, nonché dall'implementazione di ulteriori setting territoriali, quali salute mentale, dipendenze patologiche, neuropsichiatria infantile e l'assistenza psicologica di base; altresì, dovrebbe essere accompagnata da una riorganizzazione dei posti letto, secondo una logica ripartizione tra l'ambiente ospedaliero «tradizionale» e gli ospedali di comunità;

    la riorganizzazione territoriale si scontra infatti anche con il serio problema della progressiva carenza dei medici di famiglia, rispetto alla quale già da oltre 10 anni sia l'Enpam sia Fimmg rilevavano una stima drammatica sui pensionamenti e sulle susseguenti carenze assistenziali, stimando che dal 2015 al 2025 sarebbero andati in pensione complessivamente circa 40.000 tra medici di medicina generale, guardie mediche e pediatri, con un'impennata di 25.000 pensionamenti che rischiano di non essere sostituiti, e già allora si temeva che, per i successivi 10 anni, 25 milioni di italiani sarebbero potuti rimanere senza assistenza;

    è poi necessario che il sistema di «fascicolo sanitario elettronico» che raccoglie non solo le informazioni sul paziente, ma che dovrà raccogliere tutti i dati sugli esami e le visite compiute, le prestazioni erogate, i referti ed i loro allegati, diventi un vero e proprio «diario di bordo» del percorso diagnostico e terapeutico del paziente, in modo da coordinare le attività dei professionisti, evitare duplicazioni e tempi di attesa eccessivi; l'informatica e la società delle comunicazioni permettono tale risultato a livello omogeneo e nazionale. A tale fascicolo dovrebbero aderire anche i soggetti privati che erogano prestazioni per conto delle regioni, contribuendo allo stesso nelle modalità ed a condizioni pari a quelle delle strutture pubbliche;

    la riorganizzazione delle cure primarie e il processo di de-ospedalizzazione richiede oltre che un concreto rafforzamento dell'assistenza territoriale anche un robusto investimento in prevenzione, da garantirsi con risorse economiche adeguate e con professionisti dedicati e, in tale ottica, purtroppo assistiamo quotidianamente all'accorpamento di distretti ben lontani dai cittadini e alla chiusura inaccettabile di consultori;

    sarebbe lungimirante, probabilmente anche più economico, dare attuazione alla normativa vigente in materia di consultori familiari, nati e concepiti proprio quale integrazione di compiti e funzioni di natura sanitaria, sociosanitaria e sociale; il consultorio, vicino al cittadino, doveva rappresentare il luogo multiprofessionale di prevenzione e assistenza primaria e di tutela socio-sanitaria attraverso un supporto multidisciplinare alla persona, alla coppia e alla famiglia, in tutte le varie fasi del suo evolversi e crescere come nucleo; il consultorio avrebbe dovuto essere messo in condizioni di poter rispondere in maniera personalizzata, attraverso consulenze e prestazioni specialistiche, a tutte le problematiche connesse alla sessualità, all'infertilità e alla contraccezione, alla gravidanza, alla nascita e post partum, all'interruzione volontaria di gravidanza, alla menopausa, ai problemi andrologici, al disagio psicologico e al disagio familiare, alla ludopatia e alle dipendenze, ai fenomeni di bullismo, al disagio dei giovani, all'integrazione culturale di immigrati, alla violenza sulle donne e sui minori; per affrontare tutto questo sarebbe stato sufficiente dare attuazione ad una delle leggi più civili che il nostro legislatore sia stato in grado di concepire, assicurando figure professionali come ginecologi, ostetriche, infermieri, assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali, linguistici e legali;

    dal 1975, anno della legge sui consultori, si è invece percorsa una strada ad ostacoli e da un'attuazione a macchia di leopardo nelle diverse regioni italiane si è passati ad un progressivo e incalzante depotenziamento e, non di rado, anche al loro smantellamento;

    nel contempo si percorrono anche strade legislative e informative, sulla salute e cultura di genere, sul disagio psicologico, sulla prevenzione, sulla sana alimentazione, sul sostegno alle famiglie in alcuni casi assolutamente fallimentari; in tal senso emblematica è la triste narrazione sulla natalità e sul diritto a non abortire che assai spesso disvela concezioni dannose sulla maternità, mentre sulla tutela del parto fisiologico ci si arena, ormai da troppe legislature, senza garantire di fatto condizioni del parto appropriate e anche più economiche che riducano i costi connessi all'abuso nel ricorso al parto cesareo;

    proprio sulla maternità occorre ricordare come negli anni precedenti è stata portata avanti una chiusura indiscriminata di punti nascita, senza che si tenesse conto delle esigenze territoriali, come previsto dall'accordo della Conferenza Stato-regioni del 2010 che consentiva di derogare al volume minimo di almeno 500 parti/anno per quei punti nascita presenti in situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture fossero garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'accordo medesimo;

    sulla maternità responsabile non si risolve il serio problema di politiche efficaci per la famiglia e per la parità di genere, non si consente alle donne di conciliare i tempi della famiglia con i tempi del lavoro, non si forniscono servizi e sostegni reddituali adeguati, non si risolve il serio problema dell'assenza di professionisti non obiettori che di fatto rende non pienamente applicabile la legge n. 194 sull'interruzione di gravidanza, con conseguenze anche drammatiche e pressoché quotidiane sulla salute fisica e psichica delle donne;

    sui problemi alimentari, sulle dipendenze e sulla ludopatia s'intraprendono politiche economiche di fatto incentivanti, nonostante nella XVIII legislatura sia stata introdotta la cosiddetta sugar tax, e non s'interviene in maniera incisiva sulla pubblicità diretta e indiretta di alimenti nocivi per fasce più giovani;

    in tema di prevenzione appare dirimente l'approccio One Health che, secondo quanto si evince anche dal 5° rapporto Gimbe, identifica un approccio alla salute sistematico e integrato, basato sulla consapevolezza che la salute umana è strettamente legata alla salubrità degli alimenti, alla salute degli animali e dell'ambiente e al sano equilibrio del loro impatto sugli ecosistemi di tutto il mondo; in altre parole, l'approccio One Health riconosce che salute umana, animale e dell'ambiente sono interconnesse in maniera indissolubile, generando vulnerabilità nella salute globale, come dimostrato palesemente dalla pandemia di COVID-19;

    proprio tenendo conto dell'approccio One Health, occorre affrontare il fenomeno della resistenza antimicrobica nell'ambito della salute umana e animale, in armonia con la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2018 concernente il piano d'azione europeo «One Health» contro la resistenza antimicrobica, introducendo l'obbligo di riportare in tutte le prescrizioni di farmaci antibiotici, la diagnosi, la posologia e la durata della terapia, prevedendo una banca dati di tutte le prescrizioni di antibiotici e programmi di screening attivo con tecnologie diagnostiche rapide, al fine di individuare i pazienti infetti con batteri multifarmacoresistenti, predisponendo adeguate misure di controllo delle infezioni, e incentivando un sistema di confezionamento dei farmaci, con dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;

    riguardo la spesa farmaceutica, dato che essa rappresenta una tra le voci più consistenti della spesa sanitaria rientrante nel fabbisogno nazionale standard, dovrebbero essere introdotte più efficaci strumenti di monitoraggio per la governance ed il controllo sull'appropriatezza dell'uso dei farmaci; per raggiungere la sostenibilità della spesa farmaceutica sarebbe auspicabile la trasparenza sul prezzo e rimborso dei farmaci, sui costi di ricerca e sviluppo sostenuti delle aziende e sul contributo pubblico oltreché una condivisione a livello europeo e internazionale delle informazioni sui prezzi dei farmaci; per sopperire alla carenza di farmaci dovrebbe sopperire un sistema di ricerca e produzione farmaceutica, compreso il ciclo di fornitura e distribuzione, di tipo pubblico;

    il dominus della spesa sanitaria nelle strutture sanitarie è il direttore generale e sulla sua gestione manageriale occorre intervenire efficacemente; in tal senso sarebbe auspicabile prevedere precise ipotesi di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo di conferimento d'incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna da parte della Corte dei conti per fatti dolosi;

    occorre rescindere il legame tra le nomine dei dirigenti della sanità e la politica, con l'intento di attuare la decisa separazione tra politica e amministrazione nella gestione del Servizio sanitario nazionale, in quanto la commistione tra le due sfere rappresenta la causa più rilevante delle inefficienze in questo settore; più in particolare occorre intervenire sul sistema vigente di conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore sanitario e di direttore amministrativo e, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, con l'obiettivo di disciplinare le procedure di nomina, valutazione e decadenza in base a princìpi di trasparenza e di merito, azzerando la discrezionalità, in capo ai presidenti di regione, nella nomina dei predetti direttori;

    occorre intervenire sull'inappropriato utilizzo delle risorse del Servizio sanitario nazionale attraverso la ridefinizione dei requisiti minimi e le modalità organizzative per il rilascio delle autorizzazioni, dell'accreditamento istituzionale e per la stipulazione degli accordi contrattuali, per l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie. In particolare sarebbe auspicabile: rafforzare e uniformare il sistema di rilevazione del fabbisogno territoriale; garantire la pubblicazione, o comunque l'attivazione di misure di trasparenza in relazione alla determinazione del fabbisogno, all'elenco dei soggetti autorizzati e agli esiti delle attività ispettive; rafforzare e uniformare il piano di controlli assicurando procedure certe e scadenzate nel tempo, garantendo la terzietà e indipendenza degli organi ispettivi; rafforzare e garantire il controllo e la vigilanza sul rispetto dei contenuti degli accordi contrattuali, assicurando un rigoroso sistema sanzionatorio che contempli anche la revoca e la sospensione, in caso di mancato rispetto delle previsioni contrattuali in merito alla tipologia e alla qualità delle prestazioni; uniformare, attraverso apposite linee guida, gli elementi essenziali da ricomprendere all'interno degli accordi contrattuali;

    la sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale non può e non deve passare attraverso una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può tradursi in una privatizzazione di fatto, ma attraverso un'efficace smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti;

    la legge n. 833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente l'evoluzione e la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'OMS ha considerato il Servizio sanitario nazionale del nostro Paese uno dei migliori al mondo per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali,

impegna il Governo:

1) a salvaguardare il Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico attraverso un recupero integrale di tutte le risorse economiche necessarie, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il finanziamento congruo del Fondo sanitario nazionale, a cui aggiungere un rifinanziamento emergenziale necessario destinato al contenimento e alla terapia dei casi di coronavirus e patologie connesse e conseguenti, nell'ipotesi di impatto di una nuova ondata di Covid nell'anno 2023;

2) al fine di superare la sperequazione esistente sul territorio nazionale, ad introdurre indicatori ambientali, socio-economici e culturali nonché, con un peso non inferiore al 10 per cento a valere sull'intera quota, l'indice di deprivazione economica, individuato annualmente dall'Istat, che tenga conto delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie;

3) a restituire centralità e unitarietà al Servizio sanitario nazionale, assumendo iniziative normative di rango costituzionale volte ad attribuire allo Stato, in via esclusiva, la competenza in materia di tutela della salute;

4) a introdurre meccanismi idonei affinché, nel riparto delle risorse comunque destinate alla componente sanitaria e sociale, si tenga conto delle regioni italiane più in difficoltà nelle quali le carenze strutturali, le condizioni geomorfologiche e demografiche, nonché le condizioni di deprivazione e di povertà sociale inevitabilmente determinano variazioni sui costi delle prestazioni;

5) al fine di garantire le esigenze di pianificazione e organizzazione del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei princìpi di equità, solidarietà e universalismo, a prevedere che l'incidenza della spesa sanitaria sul Pil non possa essere inferiore all'8 per cento e, conseguentemente, che il livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato sia incrementato annualmente almeno di una percentuale pari al doppio dell'inflazione, anche in un contesto macroeconomico anticiclico, contraddistinto da una riduzione del prodotto interno lordo;

6) ad adottare iniziative volte a rivisitare e aggiornare i Livelli essenziali di assistenza (Lea) ampliando le patologie riconosciute, semplificando i sistemi di approvvigionamento e fornitura ai beneficiari (protesi, ortesi ed ausili garantendone il massimo livello di qualità), assicurando progetti di assistenza individualizzati, un'efficace ed effettiva integrazione sociosanitaria, la continuità di assistenza tra ospedale e territorio e l'adozione conseguente del nomenclatore tariffario;

7) a disincentivare ogni forma di sanità integrativa che non sia finalizzata all'esclusiva copertura di prestazioni non essenziali e non incluse nei livelli essenziali di assistenza;

8) a disincentivare la cessione della gestione dei bisogni d'assistenza compresi nei Lea a soggetti privati da parte delle aziende sanitarie e delle regioni, per prevenire il rischio di un'offerta dipendente da logiche di mercato e non più controllabile dal sistema sanitario pubblico;

9) ad adottare iniziative volte a garantire i livelli essenziali di assistenza anche attraverso percorsi personalizzati e vicini al cittadino oltreché adeguatamente accessibili, riordinando il sistema di accesso alle prestazioni nell'ottica di ridurne i tempi di attesa e disincentivando il ricorso alla sanità privata quale diretta conseguenza dell'inefficienza del Servizio sanitario nazionale, eliminando altresì ogni forma di spreco che derivi da una non appropriata organizzazione dei servizi e dell'assistenza, da una governance sanitaria non adeguata, da un mancato ammodernamento tecnologico e digitale del Servizio sanitario nazionale;

10) ad adottare iniziative volte a garantire al Servizio sanitario nazionale le risorse umane di cui necessita, anche consentendo alle regioni di derogare al tetto di spesa per il personale sanitario, per un importo pari almeno al 15 per cento (attualmente è al 10 per cento) dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente;

11) ad investire adeguate risorse sulla formazione dei medici e del personale sanitario, programmando e ridefinendo percorsi formativi in relazione ai fabbisogni futuri di professionalità mediche e sanitarie e ai fabbisogni di assistenza alla popolazione, in particolare incrementando e valorizzando le figure professionali che operano sul territorio;

12) ad adottare iniziative in merito all'inappropriato utilizzo delle risorse del Servizio sanitario nazionale, intervenendo sulla classificazione dei ricoveri ospedalieri e delle prestazioni ambulatoriali e territoriali nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (Ssn), ridefinendo il sistema dei Diagnosis Related Groups (Drg) affinché le tariffe siano collegate anche ai risultati di qualità che vengono conseguiti e alla presa in carico complessiva del paziente (patient-based);

13) ad adottare iniziative volte a incrementare le risorse del Fsn al fine di assicurare il potenziamento dell'assistenza territoriale, con riferimento ai maggiori oneri per la spesa di personale dipendente da assumere nelle case e negli ospedali di comunità, da reclutare anche in deroga ai vincoli in materia di spesa di personale previsti dalla legislazione vigente, e per quello convenzionato;

14) ad adottare iniziative efficaci e sistematiche volte a prevenire i meccanismi che possano favorire l'insorgenza di fenomeni di corruzione in ambito sanitario, dando altresì concreta attuazione alle normative già esistenti in favore della trasparenza, in particolare al decreto legislativo n. 33 del 2013, e completando l'informatizzazione del Servizio sanitario nazionale, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line, in modo da poter verificare per ogni cittadino il progresso del percorso diagnostico terapeutico e il lavoro di coordinamento fra professionisti sanitari, evitando duplicazioni di prestazioni e ottimizzando la tempistica;

15) ad adottare iniziative atte a garantire la trasparenza sul prezzo e rimborso dei farmaci, sui costi di ricerca e sviluppo sostenuti delle aziende e sul contributo pubblico oltreché una condivisione a livello europeo e internazionale delle informazioni sui prezzi dei farmaci;

16) ad adottare iniziative volte a rescindere il legame tra le nomine dei dirigenti della sanità e la politica, con l'intento di attuare la decisa separazione tra politica e amministrazione nella gestione del Servizio sanitario nazionale e conseguentemente garantire un servizio sanitario che si basi unicamente sui bisogni;

17) ad adottare iniziative normative volte ad ampliare i requisiti di accesso per la nomina dei direttori generali, al fine di consentire di partecipare alle selezioni per far parte dell'elenco nazionale dei direttori generali anche a coloro che hanno compiuto almeno sette anni di servizio nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso della laurea magistrale, nonché l'avere conseguito i titoli, in management sanitario, di dottorato di ricerca, o di master di secondo livello, o di diploma di specializzazione, attribuendo un punteggio minore alla comprovata esperienza dirigenziale;

18) ad adottare iniziative volte a prevedere la revoca dell'incarico o il divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;

19) a garantire la trasparenza e l'economicità della spesa sanitaria, attraverso l'implementazione del vigente sistema di gestione che consenta di rilevare in tempo reale e attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, l'esistenza di anomalie negli acquisti, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, i titoli che hanno consentito qualsiasi pagamento o incasso, lo stato patrimoniale, i beni di inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico, le fasi dell'esecuzione dei contratti, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, la contabilità separata dell'attività di intramoenia;

20) ad adottare iniziative volte a estendere l'applicabilità delle disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, anche ai servizi sanitari e sociali erogati da strutture private accreditate o in regime di convenzionamento;

21) ad adottare iniziative volte a estendere l'applicabilità delle disposizioni sulla trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013, già previste per la dirigenza pubblica, anche alla dirigenza sanitaria, includendovi anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;

22) ad adottare iniziative per assicurare che i soggetti che erogano prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale siano tenuti a pubblicare nel proprio sito internet istituzionale i bilanci e i dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull'attività medica svolta dalle strutture pubbliche e private nonché il collegamento all'atto di determinazione del fabbisogno regionale di servizi sanitari che ciascuna regione dovrà adottare dando evidenza dei territori saturi e di quelli in cui l'offerta risulti carente, l'elenco dei soggetti autorizzati e gli esiti delle attività ispettive;

23) ad adottare iniziative volte ad imporre a tutti i soggetti pubblici e privati che erogano prestazioni sanitarie, di alimentare il sistema informatico pubblico ed il fascicolo sanitario dei pazienti con i dati relativi alle prestazioni effettuate ed al loro contenuto;

24) ad adottare iniziative in merito all'inappropriato utilizzo delle risorse del Servizio sanitario nazionale attraverso la ridefinizione dei requisiti minimi e le modalità organizzative per il rilascio delle autorizzazioni, dell'accreditamento istituzionale e per la stipulazione degli accordi contrattuali, per l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie. In particolare, al fine di:

  a) rafforzare e uniformare il sistema di rilevazione del fabbisogno territoriale;

  b) garantire la pubblicazione, o comunque l'attivazione di misure di trasparenza in reazione alla determinazione del fabbisogno, all'elenco dei soggetti autorizzati e agli esiti delle attività ispettive;

  c) rafforzare e uniformare il piano di controlli assicurando procedure certe e scadenzate nel tempo, garantendo la terzietà e indipendenza degli organi ispettivi;

  d) rafforzare e garantire il controllo e la vigilanza sul rispetto dei contenuti degli accordi contrattuali, assicurando un rigoroso sistema sanzionatorio, che contempli anche la revoca e la sospensione, in caso di mancato rispetto delle previsioni contrattuali in merito alla tipologia e alla qualità delle prestazioni;

  e) uniformare, attraverso apposite linee guida, gli elementi essenziali da ricomprendere all'interno degli accordi contrattuali;

25) ad adottare iniziative volte a prevedere la rivisitazione del calcolo per la definizione dei posti letto in ragione delle esigenze epidemiologiche e della riorganizzazione territoriale, comunque assicurando che il numero di posti letto di degenza ordinaria raggiunga almeno la media europea di circa 500 posti letto per 100.000 abitanti ed anche il numero di posti letto di terapia intensiva raggiunga almeno 25 posti per 100.000 abitanti, al fine di evitare che il nostro sistema sanitario possa nuovamente trovarsi impreparato dinanzi a nuovi eventi patologici epidemici o pandemici;

26) ad attivarsi per una politica efficace di prevenzione sull'uso degli antibiotici, dotando gli ospedali di servizi di microbiologia permanente, adottando iniziative efficaci che mirino a riportare in tutte le prescrizioni di farmaci antibiotici, la diagnosi, la posologia e la durata della terapia, prevedendo una banca dati di tutte le prescrizioni di antibiotici e programmi di screening attivo con tecnologie diagnostiche rapide al fine di individuare i pazienti infetti con batteri multifarmacoresistenti, predisponendo adeguate misure di controllo delle infezioni, e incentivando un sistema di confezionamento dei farmaci, con dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;

27) ad adottare iniziative volte a dare completa e capillare attuazione alla legge n. 405 del 1975 sui consultori quali presidi indispensabili per l'integrazione socio-sanitaria e di prevenzione, garantendo che siano dotati di risorse economiche adeguate e di professionisti in grado di realizzare un approccio multidisciplinare compiuto, assicurando altresì una completa esigibilità dei diritti delle donne in relazione alla legge n. 194 del 1978 e su tutto il territorio nazionale, superando ogni problema organizzativo legato all'assenza diffusa di personale sanitario non obiettore;

28) ad adottare iniziative volte a dare completa attuazione al Piano nazionale della cronicità, migliorare la qualità e accessibilità dell'assistenza primaria e la qualità dell'assistenza domiciliare integrata e a migliorare la qualità, l'accessibilità e l'equità dell'assistenza garantita alle persone con malattia rara.
(1-00051) «Sportiello, Quartini, Marianna Ricciardi, Di Lauro, Auriemma, Pavanelli, Morfino, Carotenuto, Amato, Giuliano, Barzotti, L'Abbate, D'Orso, Aiello, Carmina, Ilaria Fontana, Raffa, Dell'Olio, Sergio Costa».

(27 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    circa quarantacinque anni fa, grazie a Tina Anselmi, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha istituito il Servizio sanitario nazionale, i cui principi cardine sono l'universalità, l'uguaglianza e l'equità e il cui obiettivo è la tutela della salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», in ossequio all'articolo 32 della nostra Costituzione, nonché la promozione, il mantenimento e il recupero «della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini»;

    la sanità pubblica italiana rappresenta ancora oggi, in Europa e nel mondo, un vero e proprio modello di tutela della salute, che ha garantito agli italiani, nel corso degli anni, il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione delle patologie, maggiore longevità e benessere e una risposta collettiva ai bisogni di salute e di vita di cittadini, famiglie e società nel suo complesso;

    questo sistema oggi deve dare risposta a sfide e sollecitazioni nuove, anche legate al cambiamento demografico del nostro paese con l'invecchiamento della popolazione e la conseguente necessità di presa in carico della cronicizzazione delle malattie;

    sono diverse le criticità che affliggono il nostro Servizio sanitario nazionale, tra cui non può non richiamarsi il divario nella quantità e qualità dei servizi forniti dalle singole regioni, legato sia alla diversa dotazione infrastrutturale, sia a capacità di programmazione e gestionali non omogenee; l'insufficiente compensazione del ridimensionamento dei servizi ospedalieri ordinari con un rafforzamento di quelli territoriali, soprattutto in alcune zone del Paese; le lunghe liste d'attesa, esplose nella fase pandemica che ha di fatto sospeso la presa in carico delle altre malattie, con effetti derivanti dalla mancanza di screening ancora non prevedibili nel medio-lungo periodo; l'ingente spesa privata dei cittadini, che ha raggiunto più di 40 miliardi all'anno comprensivi del costo per servizi socio-sanitari necessari per gestire patologie croniche, con un'incidenza della spesa sanitaria out of pocket del 22 per cento rispetto a una media europea del 15 per cento (dati Eurostat); la carenza di personale e, non ultimo, l'assenza di investimenti e programmi di spesa di prospettiva nel settore;

    la riforma del Titolo V ha comportato la creazione di 21 Sistemi sanitari regionali (Ssr) con situazioni di continui deficit, un alto livello di frammentazione ed eterogeneità, e differenze notevoli sia per quanto riguarda l'accesso alle cure sia per la qualità dell'assistenza sanitaria;

    la mancanza di un piano coordinato di assistenza territoriale che garantisca ovunque servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente impedisce una presa in carico integrata della popolazione differenziata per fasce d'età e l'implementazione di quella «medicina personalizzata» che rappresenta una sfida del futuro; una delle conseguenze più evidenti è il sovraccarico dei pronto soccorso e della medicina d'urgenza, che merita quindi una riorganizzazione integrata;

    per quanto concerne le liste d'attesa, in particolare, il Piano nazionale di governo delle liste di attesa per il triennio 2019-2021 ha stabilito i tempi massimi d'attesa che le regioni si sono impegnate a rispettare per le prestazioni ambulatoriali, visite specialistiche e prestazioni strumentali, definendoli secondo criteri di priorità: «urgente» (U), da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore; «breve» (B) da eseguire entro 10 giorni; «differibile» (D) da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici; «programmata» (P) da eseguire entro 120 giorni;

    dette tempistiche risultano costantemente disattese, rendendo plasticamente anche la forte disomogeneità nell'efficacia del Servizio sanitario nazionale su tutto il territorio nazionale: esse non vengono rispettate, in media, una volta su tre (nelle regioni del Nord) e due volte su tre (nelle regioni del Sud); i dati mostrano che in media bisogna attendere 23 mesi per una mammografia, 12 per una Tac, 6 per la risonanza magnetica;

    il Rapporto civico sulla salute di Cittadinanzattiva sottolinea come nel 2021 almeno l'11 per cento delle persone abbia rinunciato a visite ed esami diagnostici e/o specialistici per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio, con punte superiori al 18 per cento in alcune regioni quali la Sardegna, comunque non distanti dai livelli di «rinuncia» di Abruzzo, Lazio e Molise; lo stesso rapporto denuncia che per alcune diagnostiche si possono raggiungere anche i due anni di attesa;

    nonostante la lieve ripresa degli ultimi due anni, i volumi delle prestazioni sanitarie non sono ancora tornati ai livelli pre-pandemici, né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti, portando a 2,9 milioni il numero di mancati ricoveri registrati tra il 2020 e il 2021, biennio già segnato da una riduzione del 26 per cento delle ospedalizzazioni e del 44 per cento dei ricoveri programmati rispetto ai valori pre-COVID-19;

    secondo il Report Osservatorio Gimbe 1/2021, tra il 2020 e il 2019 la riduzione complessiva delle prestazioni sanitarie si attesta su un valore di –144,5 milioni – di cui la maggior parte (90,2 per cento) in strutture pubbliche – mentre i dati Agenas-MeS Sant'Anna di Pisa mostrano una diminuzione media del 40 per cento delle attività di screening per condizioni cliniche il cui esito è fortemente condizionato dalla tempestività della diagnosi (esempio mammografie);

    ciò incide negativamente su un sistema di prevenzione tradizionalmente carente in ragione della mancanza di risorse finanziarie, umane e strumentali adeguate, cui si potrebbe dare risposta attraverso l'elaborazione di un piano nazionale pluriennale di interventi nel campo della prevenzione, differenziando gli stessi in interventi «primari» (volti a prevenire l'insorgere della patologia), «secondari» (volti a garantire diagnosi precoci) e «terziari» (volti a prevenire complicanze o danni ulteriori rispetto alla patologia già individuata);

    i lunghi tempi d'attesa non riguardano solo le tempistiche relative alla diagnosi, ma anche quelle relative agli interventi terapeutici e assistenziali-riabilitativi, che vengono posti in essere con ritardi che spesso finiscono inesorabilmente per aggravare il quadro clinico del paziente;

    si registrano criticità anche sul piano dell'assistenza di lungo termine prestata nelle strutture ospedaliere, che è scesa, del 2,5 per cento annuo, dal 2012 al 2021, confermando le difficoltà del Servizio sanitario nazionale di garantire cure e assistenza con continuità e al di là di un orizzonte emergenziale;

    dal 2010 il personale a tempo indeterminato impiegato nel Servizio sanitario nazionale è diminuito di 25.641 unità (di cui circa 8.000 infermieri) e l'Ufficio parlamentare di bilancio ha evidenziato come la situazione dei servizi di pronto soccorso – e non solo – risulti ormai difficilmente sostenibile; anche per quanto riguarda gli infermieri, il tasso di infermieri attivi in rapporto alla popolazione residente è sensibilmente più basso rispetto alla media europea;

    secondo le stime di SalutEquità nei prossimi anni la carenza di personale sanitario può stimarsi in circa 25.000 medici e 63.000 infermieri, indebolendo ulteriormente un sistema sanitario che, in ragione della crisi della natalità, sarà chiamato a rispondere a una popolazione che nel 2050 sarà costituita, per circa l'8 per cento, da persone con più di 85 anni;

    l'assenza di risorse, il tasso di turnover negativo, i pensionamenti e le politiche di «pre-pensionamento» (Quota 100, Quota 103 in primis) hanno determinato una situazione fortemente critica a livello di organico; considerando che il nostro Paese si distingue per un'età media anagrafica più avanzata dei medici attivi (più del 56 per cento dei medici ha più di 55 anni), come affermato dall'Ufficio parlamentare di bilancio «[l]'effetto di “Quota 100” nel settore della sanità, e in maniera particolare nel Mezzogiorno..., è purtroppo coinciso con il sovraccarico di lavoro che il personale ospedaliero ha dovuto fronteggiare nelle fasi più acute della pandemia da COVID-19, soprattutto nella prima metà del 2020»;

    la mancanza di risorse per immettere in servizio nuovo personale si deve anche alle misure di contenimento delle assunzioni adottate nelle regioni in piano di rientro, che negli anni ha aggravato un (già grave) percorso di riduzione del personale, privando detti enti territoriali della possibilità anche solo di compensare i pensionamenti, che per il solo prossimo quinquennio sono stimati in 21.050 unità per gli infermieri e 29.331 unità per i medici;

    la difficoltà di immettere nuovo personale in ruolo è dovuta anche alla scarsa attrattività economica, di alcune professioni sanitarie e infermieristiche, che portano sia al depauperamento dell'organico che al mancato avvio, in apicibus, dei percorsi di specializzazione medica universitaria nei settori più scoperti, pregiudicando l'erogazione delle relative prestazioni per i pazienti; gli stipendi degli infermieri sono pari a 1.410 euro al mese, ben distanti dalla media europea di 1.900 euro mensili;

    la cronica carenza di personale, nonché l'insufficienza del numero di posti letto negli ospedali, che ha registrato una progressiva diminuzione dal 1998 al 2018 (da 5,8 a 3,2 per 1.000 abitanti, su una media europea pari a 5), ha pregiudicato fortemente non solo la capacità del Servizio sanitario nazionale di rispondere alla pandemia, ma anche la possibilità di offrire risposte globali e tempestive a tutti i pazienti, acuendo richiamati (e drammatici) fenomeni sanitari e sociali della rinuncia alle cure, dell'aumento delle liste d'attesa e della mobilità passiva non fisiologica;

    la mancanza di risorse adeguate è un problema che si riscontra anche nel campo della spesa farmaceutica e per i dispositivi a carico degli ospedali, con un impatto negativo sulla cura di patologie gravi come quelle oncologiche;

    è inoltre indispensabile implementare campagne informative nonché l'organizzazione di vaccinazioni strategiche oltre a quelle già obbligatorie, quali i vaccini anti-influenzali e quelli che prevengono l'insorgere di patologie tumorali come l'Hpv, anche tramite la rete territoriale dei medici e dei pediatri di base e delle farmacie;

    l'esperienza della pandemia ha messo in evidenza la necessità di strutture un servizio di prevenzione e cura nell'ambito della salute mentale e di supporto anche di carattere psicologico nelle patologie gravi, con particolare riferimento a disturbi del comportamento alimentare; in tale contesto, è urgente attuare la legge 7 aprile 2022, n. 32 (cosiddetto «Family Act»), che all'articolo 2, comma 2, lettera d), prevede «ulteriori misure di sostegno e contributi vincolati alle famiglie per le spese sostenute per i figli con disabilità, con patologie fisiche o psichiche invalidanti, compresi i disturbi del comportamento alimentare, ovvero con disturbi specifici dell'apprendimento o con bisogni educativi speciali, comprese le spese di cura e di riabilitazione e per attività terapeutiche e ricreative svolte da soggetti accreditati, fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado»;

    i servizi socio-sanitari nel nostro paese devono essere implementati anche grazie alle risorse del PNRR, dando riconoscimento e strumenti agli enti del terzo settore che operano a livello territoriale, integrando in modo prezioso dei servizi offerti dal pubblico;

    per salvaguardare il Servizio sanitario nazionale e garantire personale e strumentazione è dunque indispensabile stanziare nuove risorse, prestando un sostegno concreto a tutte le strutture e le professionalità che si impegnano, nonostante le difficoltà ad adoperarsi per proteggere la salute dei cittadini; in Italia la spesa in sanità in rapporto al Pil è inferiore di 1,3 punti percentuali rispetto alla media europea, di 3 rispetto alla Germania e di 2,5 rispetto alla Francia; considerando la spesa sanitaria pro capite, il valore italiano (euro 2.473) è inferiore rispetto ai principali Paesi europei e alla media Ocse (euro 2.572);

    al contrario, la legge di bilancio 2023 ha previsto, per il triennio 2023-2025, un percorso di riduzione della spesa in percentuale pari allo 0,38 per cento nel 2023, 0,30 per cento nel 2024 e 0,38 per cento nel 2025, in particolare prevedendo una riduzione di 51 milioni di euro per l'anno 2023 e 51,6 milioni di euro per l'anno 2024 dei finanziamenti previsti per il programma di ricerca per il settore della sanità pubblica, nonché una riduzione di 7,6 milioni di euro nel 2023, 11,2 milioni di euro nel 2024 e 14 milioni di euro nel 2025 per la vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure;

    gli stanziamenti previsti (2,15 miliardi di euro per il 2023) sono stati rivolti interamente al contrasto dell'aumento dell'inflazione e dei costi dell'energia (1,4 miliardi di euro), nonché all'acquisto dei vaccini e farmaci per la cura del COVID-19 (650 milioni di euro), senza alcuna prospettiva di sostegno, investimento e rilancio in un settore fondamentale per il nostro ordinamento costituzionale;

    risulta del tutto assente, dall'orizzonte della programmazione finanziaria, il potenziamento del sistema sanitario e anzi le proiezioni di spesa elaborate dal Governo prevedono un percorso di riduzione, in percentuale del Pil, che passa dal 7 per cento del 2022 al 6,1 per cento nel 2025;

    sotto questo versante, peraltro, va ricordato come lo scoppio della pandemia abbia comportato un forte aumento della spesa sanitaria pubblica, che è passata da un incremento medio annuo dello 0,9 per cento dal 2012 al 2019, al 5 per cento medio annuo tra il 2020 e il 2021, a conferma di quanto le nuove sfide globali disvelate dalla pandemia impongano agli stati di rafforzare e mettere in sicurezza i propri sistemi sanitari;

    proprio per dare risposta a tale emergenza, l'Eurogruppo del 9 aprile 2020 ha dato avvio al Pandemic crisis support, cioè un programma di supporto finanziato attraverso il Meccanismo europeo di stabilità (cosiddetto Mes sanitario) che consentiva agli Stati membri di accedere a finanziamenti agevolati volti a supportare i maggiori costi sanitari sopportati per lo scoppio della pandemia;

    lo scorso 31 dicembre 2022 è scaduto il termine per accedere al predetto Mes sanitario ed è quindi sfumata la possibilità di ottenere i circa 37 miliardi di euro la cui unica condizionalità sarebbe stata l'utilizzo di tali risorse esclusivamente per sostenere il finanziamento, diretto e indiretto, del Servizio sanitario nazionale;

    dette risorse avrebbero rappresentato puro ossigeno per il nostro sistema sanitario, che versa in condizione critiche sotto molteplici aspetti sopra solo accennati e che ora risulta pure fortemente provato dagli sforzi (abnormi) profusi nel corso della pandemia per salvaguardare, costantemente e nonostante tutte le difficoltà, il primario e universale diritto alla salute;

    preconcetti ideologici e fake news non possono in alcun modo giustificare l'assenza di risorse e risposte rispetto alle esigenze di cura e assistenza di cittadini e famiglie: proprio per tale ragione appaiono improcrastinabili interventi volti a potenziare il Servizio sanitario nazionale e che si propongono di ricollocare al centro delle priorità del Paese la tutela della salute, vero e proprio cardine del nostro sistema di welfare e del nostro stato sociale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per reperire le risorse finanziarie necessarie a rispondere alle criticità richiamate in premessa, volte, in particolare, a escludere qualsiasi forma di definanziamento del Servizio sanitario nazionale sul breve, medio e lungo periodo, incrementando l'organico medico e infermieristico e riducendo i tempi di attesa per le prestazioni specialistiche e per gli interventi terapeutici e assistenziali-riabilitativi, che pregiudicano direttamente il fondamentale diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione e il carattere universale del sistema sanitario nazionale nel suo complesso;

2) ad adottare iniziative volte ad aumentare personale medico e infermieristico, favorendo nuove immissioni in ruolo con compensi e formazione adeguata e organizzando in modo adeguato l'attività lavorativa e, al contempo, favorire l'aggiornamento delle professionalità operanti nel Servizio sanitario nazionale, senza disperdere le esperienze acquisite e procedendo, senza indugio, all'avvio di un percorso di stabilizzazione che si proponga di eliminare il precariato nelle professioni sanitarie;

3) ad adottare iniziative di competenza per assicurare maggiore attrattività alle professioni sanitarie, incrementando le remunerazioni e le indennità specifiche, ma anche rafforzando le tutele contrattuali al fine di tenere in debita considerazione le peculiarità del comparto, sia al fine di scongiurare la carenza di personale in generale, sia per evitare l'afflusso delle nuove professionalità verso specializzazioni considerate maggiormente redditizie;

4) a dare piena attuazione, per quanto di competenza, ai piani nazionali approvati in sede ministeriale ed europea, in coerenza con le indicazioni dell'OMS, a partire dall'eliminazione delle liste di attesa e dalla riorganizzazione degli strumenti di prevenzione e screening;

5) ad adottare iniziative per prevedere un piano di potenziamento della sanità e dell'assistenza territoriale, in coerenza con gli investimenti previsti nel PNRR, introducendo strumenti innovativi di medicina personalizzata e telemedicina, anche tramite la completa attuazione del fascicolo sanitario elettronico;

6) ad adottare, anche alla luce del punto precedente, un piano nazionale di edilizia ospedaliera che comporti il rinnovamento delle strutture sanitarie, considerando che il 60 per cento delle strutture ha più di 40 anni e la metà è di dimensioni troppo piccole, anche al fine rafforzare le strutture dedicate e agevolare l'assistenza di parenti e congiunti, nonché per agevolare l'implementazione delle più avanzate tecniche mediche, della medicina di precisione e personalizzata.

7) ad adottare un piano di riorganizzazione e risanamento della medicina d'urgenza e a strutturare un piano efficace di presa in carico delle malattie croniche attraverso l'avvio della rete di ospedali di comunità previsti nel PNRR;

8) a superare il meccanismo del payback sui dispositivi e sui farmaci;

9) ad adottare iniziative per garantire il pieno utilizzo delle risorse dedicate ai farmaci innovativi, continuando a sostenere la ricerca e la produzione farmaceutica nel nostro Paese, e ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza (Lea), anche per la presa in carico delle malattie rare di cui alla legge 10 novembre 2021 n. 175;

10) a portare avanti una campagna di informazione ed una efficace organizzazione del sistema vaccinale, anche per garantire gli impegni assunti con l'OMS per la vaccinazione contro l'Hpv;

12) a portare avanti un piano strutturato di servizi territoriali per la presa in carico della salute mentale, anche in collaborazione con il sistema scolastico ed educativo, e ad adottare i decreti attuativi di cui alla legge n. 32 del 2022 per il rimborso alle spese sostenute dalle famiglie per i figli con disabilità, con patologie fisiche o psichiche invalidanti, compresi i disturbi del comportamento alimentare, ovvero con disturbi specifici dell'apprendimento o con bisogni educativi speciali, comprese le spese di cura e di riabilitazione svolte da soggetti accreditati;

13) ad adottare le iniziative di competenza volte a includere l'organizzazione e il finanziamento del Servizio sanitario nazionale nella discussione in materia di riforme costituzionali attualmente in corso.
(1-00061) «Bonetti, Richetti, Grippo, Enrico Costa, Gadda, Del Barba, Marattin, Sottanelli, Ruffino».

(3 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    la difesa del diritto alla salute, obiettivo prioritario delle Nazioni più evolute, mette ancora oggi in evidenza un sistema sanitario nazionale caratterizzato da profonde criticità, amplificate per effetto della pandemia ancora non completamente debellata;

    per questo motivo, considerata la necessità di iniziative concrete correlate a specifici e ulteriori finanziamenti, l'attuale manovra ha destinato alla sanità 2 miliardi e 150 milioni in più per il 2023, 2 miliardi e 300 milioni in più per il 2024, e ben 2 miliardi e 600 milioni in più per il 2025 rispetto a quanto previsto in precedenza, realizzando una chiara inversione di tendenza, considerando che dal 2013 al 2019 il Fondo sanitario è sempre stato definanziato da tutti i Governi che si sono succeduti in quegli anni, mentre nel 2020 l'incremento è stato dovuto alla pandemia da COVID-19;

    l'ultimo rapporto della Fondazione Gimbe dedicato al Servizio sanitario nazionale ha evidenziato che nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Servizio sanitario nazionale circa 37 miliardi, mentre l'aumento nominale del fabbisogno sanitario è stato di soli 8,8 miliardi, con un incremento medio annuo dello 0,9 per cento inferiore a quello dell'inflazione (+ 1,07 per cento; la pandemia da COVID-19 ha poi aggravato ulteriormente l'emergenza sanitaria, aumentando le fragilità del nostro Servizio sanitario nazionale ed evidenziando la carenza di strutture, di personale e le disomogeneità regionali;

    come evidenziato dal Report Osservatorio Gimbe 2 del 2022, relativo a «Livelli Essenziali di Assistenza: le disuguaglianze regionali in sanità», rispetto al mantenimento dell'erogazione dei Lea il nostro Paese presenta inaccettabili disuguaglianze regionali: gli adempimenti Lea 2018, valutati tramite il questionario Lea, infatti, documentano che, solo cinque regioni (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Marche e Toscana) sono adempienti per almeno l'80 per cento delle 43 valutazioni;

    il taglio delle risorse destinate alla sanità, ovviamente, ha prodotto degli effetti anche in relazione al deterioramento delle strutture ospedaliere; nel nostro Paese, dopo il 2009, il calo del numero dei posti letto generici è stato più forte che all'estero: i dati del Ministero della salute indicano che tra il 2010 e il 2018 i posti letto fra strutture pubbliche e private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale sono scesi del 13,7 per cento in termini assoluti e del 15,5 per cento in rapporto alla popolazione;

    nello specifico in Italia hanno chiuso i battenti 11 aziende ospedaliere, 100 ospedali a gestione diretta, 113 pronto soccorso (di cui 10 pediatrici) e sono state disattivate 85 unità mobili di rianimazione: chiusure che hanno implicato la perdita di quasi 37 mila posti letto, dei quali 28 mila ordinari e quasi 10 mila di day hospital;

    è opportuno evidenziare che già prima dell'emergenza sanitaria, nel 2018, del resto, i dati nazionali rivelavano che solo il 2,9 per cento della popolazione anziana avesse ricevuto interventi, con una media di 18 ore di trattamento all'anno invece delle 240 ore circa che i riferimenti internazionali stimano necessarie, nonché le marcate disparità regionali nell'offerta dell'assistenza domiciliare integrata;

    recenti rilevazioni Istat prevedono che tra il 2015 e il 2065 la popolazione di età superiore ai 65 anni crescerà dal 21,7 per cento al 32,6 per cento, con il 10 per cento di età superiore agli 85 anni, in modo che l'indice di vecchiaia della popolazione, cioè il rapporto di composizione tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni), si incrementerà da 157,7 a 257,9;

    sia a livello internazionale che nazionale è stata riconosciuta la necessità di una visione olistica One Health – basata sul riconoscimento del fatto che la salute umana è fortemente legata alla salute degli animali e dell'ecosistema – che tenga conto delle interconnessioni tra diverse discipline e alla quale ispirare gli interventi in materia di salute umana;

    la pandemia di COVID-19 ha evidenziato che crisi sanitarie innescate da singoli agenti coinvolgono, in realtà, molteplici fattori – socio economici, ambientali e culturali – che influiscono sulle comunità in misura ben più ampia di quanto strettamente connesso alle conseguenze biologiche del menzionato singolo agente, tanto da aver portato numerosi studiosi a definire la pandemia di COVID-19 una sindemia proprio per le interazioni aggregate o sinergiche con altre condizioni sanitarie, socio-economiche e ambientali avverse;

    si rileva la necessità della definizione di un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale basato non esclusivamente sulla creazione di nuove strutture, ma anche sulla valorizzazione e riqualificazione di quelle già esistenti nonché su un congruo investimento sulle figure professionali;

    in particolare, a livello strutturale, appare opportuno recuperare e ammodernare strutture esistenti ed eventualmente dismesse nonché, in una visione ospedalocentrica, valorizzare il ruolo del farmacista e delle farmacie dei servizi, pubbliche e convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, uniformando a livello nazionale le modalità di erogazione dei farmaci e superando gli attuali sistemi di distribuzione per conto regionali verso un modello a tariffa unica che consenta, di conseguenza, il superamento della logica dei silos per la spesa farmaceutica; queste, infatti, possono costituire un ottimo supporto all'interno del sistema sanitario territoriale, ponendosi quali «unità elementari sanitarie» in grado di intercettare e assistere direttamente i bisogni di salute di bacini di utenza e fungendo così da «demoltiplicatore» rispetto alle attività assicurate dalle cosiddette «Case della Salute» e dai poli ospedalieri di riferimento e garantire la presa in carico dei pazienti cronici;

    altro grande tema della riorganizzazione e dei processi di gestione inerenti la sanità è quello riguardante le liste d'attesa dei ricoveri programmati, il Servizio sanitario paga ancora oggi le conseguenze della pandemia e della difficoltà nel recupero delle liste di attesa, a tal proposito si ritiene improcrastinabile attivare gli strumenti che consentano di potenziare i processi burocratici del percorso del paziente, dal momento della presa in carico della domanda, all'inserimento nella lista d'attesa, all'accesso al ricovero fino alla sua dimissione, attraverso il miglioramento della governance aziendale e regionale;

    si rileva la necessità, al fine di potenziare l'offerta complessiva del fabbisogno sanitario, di focalizzare l'attenzione sulla costruzione di una efficace rete territoriale di assistenza sanitaria basata anche sullo sviluppo della telemedicina, che supporta l'interazione dei diversi professionisti sanitari con l'assistito nelle diverse fasi di valutazione del bisogno assistenziale, di erogazione delle prestazioni e di monitoraggio delle cure;

    il sostegno allo sviluppo della telemedicina si rende necessario anche per venire incontro ai responsabili dell'assistenza sanitaria ai diversi livelli che si trovano sempre a dover bilanciare i vantaggi dell'innovazione della tecnologia medica con gli aspetti pratici del controllo della spesa sanitaria. I progressi nella scienza medica sono determinati da investimenti e ricerche significativi nei settori pubblico e privato, portando nuove innovazioni alle popolazioni e guidando una medicina più predittiva, preventiva, personalizzata e partecipativa;

    risulta inoltre fondamentale creare sistemi di lettura integrata dei dati, sanitari e amministrativi, attraverso strumenti di intelligenza artificiale, al fine di dare reale attuazione alle scelte strategiche, in sanità basate sui dati, che spostino gli investimenti a monte del processo di cura superando così la logica dei silos in sanità;

    l'utilizzo della real word evidence deve garantire l'evoluzione dell'attuale sistema di prezzo e rimborso dei farmaci verso un processo trasparente, rapido, riproducibile, che valorizzi l'innovazione attraverso un sistema di premium pricing e che supporti l'utilizzo di strumenti di rimborso condizionato alla reale efficacia del farmaco nella pratica clinica;

    l'accesso precoce all'innovazione farmacologica deve essere garantito attraverso un nuovo modello di early access che superi gli attuali strumenti parziali verso un sistema che supporti l'innovatività potenziale, in particolare per patologie senza alternative terapeutiche dal forte impatto sociale come l'Alzheimer. Si stima infatti che in Italia oltre un milione di persone sia affetto da demenze e circa settecentomila da malattia di Alzheimer, con costi associati alla presa in carico di oltre 15 miliardi di euro e in gran parte a carico delle famiglie;

    rispetto al tema dell'innovazione si ritiene fondamentale essere coscienti che il futuro della ricerca è ormai un elemento che si è concretizzato nell'arrivo imminente delle terapie digitali (DTx), che sono state sviluppate nell'ambito del sistema nervoso centrale, dei disturbi mentali, Alzheimer, demenze e disturbi motori. A tal proposito si rinforza la necessità di un early access e di un fast track, fondamentali data la natura di velocità innovativa di queste terapie;

    è inoltre necessario, soprattutto per patologie ad alta complessità clinica ed assistenziale come la malattia di Alzheimer, il rafforzamento delle strutture diagnostico-terapeutiche tramite investimenti mirati sui centri per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd) e il potenziamento delle risorse umane dedicate;

    come ha evidenziato il Ministro della salute intervenendo in audizione alla Camera sulle linee programmatiche del suo Dicastero, è necessario attuare quanto contenuto nel decreto ministeriale n. 77 del 23 maggio 2022, inerente il regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale, ma soprattutto e in via prioritaria è necessario intervenire per garantire alle regioni le risorse necessarie ad assicurare la piena attuazione e funzionalità della riforma, soprattutto in riferimento agli anni successivi al periodo di programmazione del PNRR. È di tutta evidenza, infatti, la non congruità delle risorse sugli standard dell'assistenza territoriale, perché da un lato il PNRR non risolve la questione della carenza del personale, non rappresentando lo strumento idoneo al finanziamento di spese correnti continuative, dall'altro si pone uno specifico problema di sostenibilità economica della realizzazione delle Case della comunità e degli ospedali di comunità con il rischio che diventino cattedrali nel deserto in assenza del personale sufficiente per renderli operativi;

    tuttavia, il reiterarsi negli ultimi anni delle manovre finanziarie di contenimento della spesa ed in particolare dei vincoli assunzionali, soprattutto nelle regioni in piano di rientro sanitario, ha finito per determinare nel tempo una grave carenza di personale in ambito sanitario che, unita ad un crescente innalzamento della relativa età media, ha portato ad un forte deterioramento delle condizioni di lavoro, rendendo sempre più difficile assicurare la qualità dell'assistenza e la sicurezza delle cure. Inoltre, le limitazioni al turnover, dettate da esigenze di contenimento della spesa sanitaria, hanno finito per avere importanti ricadute in termini di qualità del sistema, ostacolando il passaggio di quella conoscenza esperienziale tra generazioni che dovrebbe caratterizzare il rapporto lavorativo tra i professionisti più anziani;

    in questo quadro, la contrazione di risorse disponibili ha finito per generare nel medio periodo una grave carenza di professionisti sanitari nelle strutture, che, soprattutto in riferimento ad alcuni settori maggiormente critici, ha comportato difficoltà nell'organizzazione e nella gestione dei servizi;

    a livello organico, invece, di fronte alla carenza di medici che la pandemia ha messo in evidenza occorre investire sulla formazione, formazione coerente con l'innovazione, e sull'assunzione di personale medico e di altri professionisti sanitari; si ritiene che le professioni dovranno essere disciplinate con riforme apposite e di sistema, intese, tra le altre cose, a restituire centralità ai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta che, conoscendo la storia sanitaria della famiglia del paziente, fungono da trait d'union tra il cittadino e la sanità;

    questa condizione di carenza di personale si registra anche nell'ambito della medicina di urgenza: oltre ai pensionamenti, la medicina d'urgenza sembra essere in crisi per il mancato cambio generazionale: i concorsi vanno deserti in tutte le regioni italiane e nell'anno accademico 2021/2022 circa la metà delle borse di studio della specialità di emergenza-urgenza non sono state assegnate per disinteresse dei neolaureati, un dato confermato anche dalla Società italiana della medicina di emergenza-urgenza, che ha rilevato come la scarsa attrattiva che la disciplina ha sui giovani laureati è stata evidenziata da una scuola di specialità che registra abbandoni, di anno in anno superiori, e borse di studio non assegnate;

    si evidenzia a tal proposito e in merito ad alcuni specifici corsi di specializzazione che, negli ultimi anni, nonostante l'incremento progressivo delle risorse per i contratti di formazione medico specialistica, si è registrata una vera e propria fuga da alcune specialità, che sono diventate sempre meno attrattive a discapito dell'evoluzione scientifica e tecnica del sistema sanitario nazionale che deve rispondere ad esigenze sempre più complesse;

    a ciò si aggiunge che la pandemia ha probabilmente contribuito a determinare l'accentuazione del fenomeno delle dimissioni per cause diverse dai pensionamenti, e tutto ciò ha fatto sì che sempre più professionisti sanitari preferiscono non legarsi a un'organizzazione con il classico contratto di lavoro a tempo indeterminato, prediligendo forme d'ingaggio atipiche, anche in ragione delle remunerazioni proporzionalmente più elevate;

    è necessario evidenziare inoltre la situazione, aggravata con la pandemia, in cui sono costretti ad operare all'interno dei dipartimenti di salute mentale, sottoposti a condizioni drammatiche acuite da problematiche sociali ed economiche che rendono sempre più difficile l'erogazione delle prestazioni necessarie; occorrono iniziative concrete e immediate sul territorio per ricucire la rete pubblica dei DSM, sempre più sfilacciata, al fine di poter realizzare una salute mentale comunitaria, in grado di dare risposte integrate ai diversi aspetti biologici, psicologici e sociali;

    occorre, infine, superare il meccanismo di payback per i dispositivi medici introdotto con la manovra finanziaria 2015, e le problematiche ad esso correlate, che potrebbero ostacolare l'attività di centinaia di imprese che distribuiscono a tutti gli ospedali del Paese dispositivi salvavita, oltre che il meccanismo di payback per i farmaci introdotto dalla manovra finanziaria 2007, causa ogni anno di contenziosi e controversie,

impegna il Governo:

1) a mettere in campo ogni iniziativa volta ad assicurare l'adeguata ripartizione e le risorse finanziarie necessarie atte a sostenere il finanziamento dei costi di funzionamento dell'offerta sanitaria e nello specifico: il potenziamento degli ospedali, l'assistenza domiciliare estesa, le case e gli ospedali della comunità, le spese per il personale, gli eventuali risparmi legati alla riorganizzazione e al miglioramento dell'efficienza e dell'appropriatezza, il costo dell'assistenza domiciliare;

2) ad adottare le opportune iniziative, anche normative, necessarie a garantire lo sviluppo di una migliore assistenza territoriale con promozione della telemedicina e del telemonitoraggio domiciliare per decongestionare gli ospedali, anche collocando la televisita all'interno di un percorso clinico che preveda l'alternanza di prestazioni in presenza e prestazioni a distanza;

3) ad assicurare le iniziative necessarie atte a introdurre modelli per il monitoraggio sistemico e strutturato a livello nazionale del percorso del paziente, dal momento della presa in carico della domanda, all'inserimento nella lista d'attesa, all'accesso al ricovero fino alla sua dimissione, potenziando gli strumenti funzionali al miglioramento della governance aziendale e regionale delle liste d'attesa;

4) a promuovere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, per quanto di competenza, lo sviluppo di modelli predittivi e proattivi che consentano la stratificazione della popolazione, il monitoraggio dei fattori di rischio e la gestione integrata di patologie croniche o altre situazioni complesse derivanti anche da condizioni di fragilità e disabilità, anche mediante lo stanziamento di nuove risorse economiche e/o di incentivi a supporto dei farmaci innovativi con l'eventuale prolungamento dello stato d'innovatività di uno o due anni aggiuntivi;

5) a sostenere e promuovere protocolli di accoglienza, presa in carico e cura avanzata per le persone con disabilità intellettiva e relazionale all'interno dei percorsi sanitari e sociosanitari affrontando altresì in modo determinato i problemi della salute mentale, anche attraverso una riorganizzazione sul territorio e per le emergenze, e avviando un percorso concreto che consenta alle regioni di attuare fin dal 2023 un piano straordinario di assunzioni, secondo gli standard per l'assistenza territoriale dei servizi di salute mentale;

6) nell'ambito della progressiva definizione di un sistema di prevenzione e diagnosi precoce, ad adottare iniziative, nel rispetto delle competenze regionali e nel rispetto dei vincoli di bilancio, per predisporre o incrementare sul territorio nazionale il numero di centri di screening per la diagnosi di patologie e disturbi;

7) nel rispetto dei vincoli di bilancio, realizzare un programma pluriennale di screening su base nazionale nella popolazione pediatrica per l'individuazione degli anticorpi del diabete di tipo 1 e della celiachia;

8) ad adottare le iniziative di competenza volte a superare lo stallo nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, i quali, oggi più che mai, hanno il ruolo di garanzia dell'unitarietà del sistema e di tutela del diritto costituzionale alla salute;

9) nel rispetto dei vincoli di bilancio, ad adottare iniziative per prevedere la deducibilità delle spese sostenute da soggetti esercenti attività d'impresa, arti e professioni, dalle piccole e medie imprese o dai titolari di partita Iva operanti nell'ambito sanitario nel territorio dello Stato per l'attivazione o il potenziamento dei sistemi di teleassistenza o telemedicina;

10) ad adottare le iniziative necessarie a garantire la piena operatività del Fascicolo sanitario elettronico e la digitalizzazione dei dati sanitari, corredandolo del cosiddetto «dossier farmaceutico», che ripercorre la storia farmaceutica di ogni paziente e la rende fruibile a tutto il sistema sanitario, garantendo l'integrazione di dati sanitari e amministrativi a livello nazionale;

11) a prevedere un piano nazionale di formazione tecnologica per il personale sanitario al fine di promuovere le competenze tecniche, di massimizzare le potenzialità dell'utilizzo di tecnologie digitali, di migliorare l'efficienza e l'accessibilità ai servizi sanitari;

12) a prevedere, per quanto di competenza, interventi volti a garantire ai cittadini, la connettività adeguata e il setting appropriato allo sviluppo della telemedicina;

13) a promuovere e sostenere piani strategici nazionali volti all'adozione di un approccio olistico One Health – come riconosciuto anche dalla Commissione europea e da tutte le organizzazioni internazionali che operano in materia di salute umana – al fine di acquisire nuovi strumenti e nuove metodologie per confrontarsi con le sfide sanitarie complesse anche alla luce di quanto successo con la pandemia da COVID-19 e delle sue ripercussioni sull'aspetto anche socio-economico del Paese;

14) ad adottare iniziative volte a predisporre in Italia l'ingresso delle terapie digitali (DTx), affinché vengano messe a disposizione dei pazienti in bisogno, definendo, per quanto di competenza, un iter normativo nazionale che stabilisca le competenze necessarie per la valutazione delle terapie digitali e gli standard da considerare come requisiti minimi per la rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale, nonché il canale distributivo e le modalità di accesso alle stesse, istituendo altresì un tavolo nazionale con la partecipazione delle regioni al fine di pianificare un fondo contenuto per le regioni pilota che per prime registreranno le DTx disponibili;

15) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per il potenziamento dei servizi di cura in termini di risorse umane con particolare attenzione riguardo ai professionisti del territorio (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, e altro) anche valorizzando la funzione del cosiddetto case manager, figura di riferimento in ambito sanitario che si occupa della predisposizione di un piano di trattamento individualizzato e coordinato di cure e servizi sanitari e socio-assistenziali;

16) a valutare la possibilità di adottare iniziative per rivedere i criteri di accesso alla facoltà di medicina e agli altri corsi di istruzione universitaria per le professioni sanitarie, privilegiando il merito, e rivedere i criteri di accesso alle scuole di specializzazione, valorizzando i curricula, degli aspiranti e le loro inclinazioni;

17) a proseguire le iniziative di competenza volte ad implementare una corretta previsione e pianificazione del personale sanitario, assicurando le risorse necessarie atte a superare il blocco del turnover del personale sanitario anche sollecitando i rinnovi contrattuali scaduti da tempo e forme di incentivazione economica partendo dalle attività svolte nel pronto soccorso e per chi è impiegato in attività di emergenza;

18) a valutare la possibilità di procedere al fine di adattare iniziative per ampliare la possibilità per le regioni di distribuire farmaci destinati a patologie croniche agli assistiti per il tramite delle farmacie pubbliche e private convenzionate, attraverso un nuovo modello di distribuzione e di remunerazione della filiera che superi l'attuale variabilità regionale causata dalla distribuzione per conto (Distribuzione per Conto);

19) a valutare, nel rispetto della riforma in corso, di adottare le opportune iniziative per inserire le farmacie pubbliche e private convenzionate tra i pilastri della rete di assistenza territoriale sanitaria e socio-sanitaria ampliando il ruolo del farmacista anche nel rinnovo delle prescrizioni per le patologie croniche in accordo con il medico;

20) ad adottare le opportune iniziative per potenziare la rete di emergenza urgenza, anche attraverso la valorizzazione del ruolo dei medici ivi operanti nonché, in collaborazione con il Ministero dell'università e della ricerca dei relativi percorsi di specializzazione;

21) a valutare la possibilità, nel rispetto dei vincoli di bilancio, di adottare iniziative per garantire interventi definitivi di rettifica e superamento della norma sul payback dei dispositivi medici, la cui applicazione mette in difficoltà imprese e lavoratori impegnati ogni giorno a far funzionare gli ospedali italiani rifornendo medici, tecnici ed infermieri del materiale necessario alla diagnosi ed alla cura degli italiani e, analogamente, a provvedere al superamento della norma sul payback farmaceutico;

22) a mettere in campo politiche mirate a contrastare i principali fattori di rischio di sviluppo di patologie croniche e oncologiche quali fumo, alcool e obesità, mettendo a disposizione dei clinici le terapie più innovative disponibili sul mercato;

23) a definire un piano strategico di incentivi per raddoppiare entro il 2030 l'attuale numero di studi clinici attivi sul territorio nazionale, al fine di garantire ai pazienti accesso precoce alle terapie più avanzate e a mettere a disposizione degli specialisti le migliori tecnologie farmaceutiche e sanitarie disponibili a livello globale;

24) a definire un piano di formazione a disposizione della classe medica e della categoria degli infermieri sulle terapie innovative, avanzate e digitali, al fine di poter affrontare in modo competente e omogeneo su tutto il territorio nazionale l'accesso e la disponibilità delle stesse a tutti i pazienti e al fine di poter aumentare il patrimonio e le competenze globali del Servizio sanitario nazionale;

25) a promuovere un piano di supporto alla produzione farmaceutica in Italia, per assicurare la costante disponibilità di farmaci sul territorio nazionale e generare valore economico e occupazione per i territori in cui vengono disposti gli insediamenti;

26) a prepararsi all'arrivo di nuove soluzioni terapeutiche per il trattamento di patologie attualmente senza cura e ad alta prevalenza e disagio sociale come l'Alzheimer, attuando nuovi modelli di identificazione precoce dei pazienti e presa in carico da parte delle strutture specializzate e creando strumenti di fast track per l'accesso ai farmaci innovativi;

27) a prevedere iniziative volte al rafforzamento della rete dei centri per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd), considerando l'impiego delle risorse non ancora utilizzate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano a valere sugli stanziamenti per l'edilizia sanitaria e l'ammodernamento tecnologico di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67;

28) ad affrontare in modo razionale e fattivo l'aggiornamento del sistema tariffario Drg e dei Lea, ricomprendendo e individuando strumenti di fast track per le terapie innovative, Atmp e le terapie digitali (DTx), coerentemente con le esigenze di innovazione del Servizio sanitario nazionale.
(1-00066) (Ulteriore nuova formulazione) «Ciocchetti, Panizzut, Benigni, Semenzato, Vietri, Lazzarini, Cappellacci, Ciancitto, Loizzo, Patriarca, Colosimo, Lancellotta, Maccari, Morgante, Rosso, Schifone».

(13 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 32 della nostra Costituzione definisce espressamente la «salute» come un diritto fondamentale dell'individuo che deve essere garantito a tutti indipendentemente dall'essere cittadini italiani o meno, dal possedere un reddito o dall'essere indigenti;

    sulla base di tale principio il nostro Sistema sanitario nazionale, istitutivo con la legge n. 833 del 1978, nasce con l'obiettivo di garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione sociale, economica o territoriale, configurandosi come uno strumento di giustizia e di coesione sociale, secondo i principi di universalità ed eguaglianza;

    ogni persona ha il diritto a essere curata e ogni malato deve essere considerato un legittimo utente di un pubblico servizio, di cui ha pieno e incondizionato diritto;

    nonostante tali principi, un insieme di fattori politici, economici e organizzativi – a cui si è aggiunta negli ultimi due anni la pandemia da COVID-19, che ha messo a dura prova la tenuta del nostro Sistema sanitario nazionale – hanno determinato l'aggravarsi di significative difformità territoriali, per cui ci sono regioni in grado di assicurare servizi e prestazioni all'avanguardia e di eccellenza a cui se ne affiancano altre ove è difficoltoso garantire anche solo i livelli essenziali di assistenza, con la conseguenza che non tutti riescono ad accedere alle cure di cui hanno bisogno nei territori in cui vivono;

    secondo l'ultimo rapporto Gimbe, presentato l'11 ottobre 2022, decennio 2010-2019, tra tagli e definanziamenti, sono stati sottratti al Servizio sanitario nazionale circa euro 37 miliardi mentre il Fondo sanitario nazionale (Fsn) è stato aumentato di soli euro 8,2 miliardi;

    negli anni 2020-2022 il Fsn è cresciuto di euro 11,2 miliardi, rispetto agli euro 8,2 miliardi del decennio 2010-2019 ma le risorse sono state interamente assorbite dalla gestione della pandemia;

    con la Nadef (versione rivista e integrata del 4 novembre 2022) la spesa sanitaria, a ragione dei minori oneri connessi alla gestione dell'emergenza epidemiologica, scenderà costantemente nel triennio 2023-2025 assestandosi a 131.724 miliardi nel 2023, 128.708 miliardi nel 2024 e 129.428 miliardi nel 2025 pari al 6,0 per cento del PIL e al di sotto dei livelli antecedenti la pandemia;

    con la legge di bilancio 2023 sono stati aggiunti 2 miliardi rispetto a quanto già previsto dalla legislazione portando a 128 miliardi lo stanziamento per la sanità anche se la maggior parte delle risorse pari a 1,4 miliardi sono andate a coprire i maggiori costi dell'energia;

    secondo quanto riportato nella relazione della Corte dei conti al Parlamento (Delibera n. 19/SEZAUT/2022/FRG) nonostante nel biennio 2020-2021 la spesa sanitaria sia aumentata, soprattutto a causa della pandemia, l'Italia continua a spendere meno degli altri Paesi europei, pur reggendo il confronto nell'efficienza;

    secondo tali analisi, il biennio 2020-2021 ha segnato una netta inversione di trend, con una spesa sanitaria, che, se si include il 2022 è cresciuta mediamente del 5 per cento: oltre 3 punti in più rispetto all'1,3 per cento del valore medio del quadriennio pre-pandemico. In valore pro-capite percentuale e a parità di potere di acquisto la spesa sanitaria è cresciuta, nel solo esercizio 2020, dell'8,4 per cento;

    alla riduzione in termini reali del finanziamento e della spesa sanitaria corrente rispetto al 2022, si accompagnano, tuttavia, le risorse e le riforme previste dalla Missione Salute (M6) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);

    rispetto alla dotazione totale di 191,5 miliardi di euro da investire tra il 2022 e il 2026, il PNRR destina ben 15,6 miliardi (8,2 per cento del totale) alla sanità (oltre alle risorse, comprese nelle altre missioni, che hanno influenza sulla tutela della salute);

    la Missione 6 ha l'obiettivo di diffondere nuovi modelli per la tutela della salute attraverso lo sviluppo di diverse innovazioni organizzative;

    con le misure adottate nella Missione 6 è programmato:

     lo sviluppo di reti di prossimità, della telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale;

     il rafforzamento delle prestazioni erogate sul territorio grazie a nuove strutture: 1350 Case della Comunità, 600 Centrali Operative Territoriali e 400 Ospedali di Comunità, con un totale di personale pari a circa 18.350 infermieri, 10.250 unità di personale di supporto, 2.000 operatori sociosanitari e 1.350 assistenti sociali;

     una più efficace integrazione tra tutti i servizi sociosanitari;

     la promozione dell'innovazione, della ricerca e della digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale;

    in applicazione al PNRR il precedente Governo ha adottato il decreto ministeriale n. 77 del 2022 «Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale» definendo così i nuovi modelli e i nuovi standard per l'assistenza territoriale, la riorganizzazione della medicina territoriale si scontra con una carenza ormai cronica di medici di medicina generale e di pediatri di libera scelta;

    secondo il report di Cittadinanzattiva pubblicato a gennaio 2023, la carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta riguarda principalmente le regioni settentrionali del nostro Paese dove per le persone è difficile contattare il proprio medico di fiducia, i quali spesso sono costretti al superamento del massimale di assistiti fissato dai contratti pur di prestare assistenza;

    secondo i dati Agenas, aggiornati al 2021, a fronte di 40.250 medici di famiglia complessivi, la media di assistiti per ognuno di loro è di 1.237 con il valore più alto al Nord (1.326), rispetto al Centro (1.159) e al Sud (1.102). Numeri che non riescano a rappresentare adeguatamente le grandi differenze esistenti sul territorio, con regioni a un passo dal massimale «storico»;

    una risposta concreta, seppur non sufficiente a colmare tale carenza, sono le 900 borse aggiuntive annuali fino al 2025 finanziate con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che si aggiungono alle 1.879 finanziate con fondi ordinari, per un totale di 2.779 borse;

    l'incremento di borse di studio di medicina generale è parte di un aumento complessivo di 30.800 nuove borse di studio che negli ultimi due anni è andato nella direzione di un superamento dello storico problema dell'imbuto formativo che limita l'accesso alle scuole di specializzazione dei neolaureati in medicina;

    le difficoltà della medicina generale non scaturiscono solo dal numero insufficiente di medici di medicina generale ma anche e soprattutto dalla estrema debolezza di una rete che in tanti territori è costituita solo dallo studio del medico e dalla farmacia;

    la riforma della medicina generale attesa da anni diviene ancora più urgente per connettere l'attività della medicina di base alle nuove strutture e servizi previsti dalla Missione 6 del PNRR;

    nella riforma dell'assistenza territoriale è necessario prevedere la possibilità anche per le 96.000 persone senza dimora (secondo i dati ISTAT pubblicati a dicembre 2022), di cui il 62 per cento di nazionalità italiana di potersi iscriversi negli elenchi degli assistiti delle aziende sanitarie locali territoriali di riferimento allo scopo di effettuare la scelta del medico di medicina generale e accedere alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza garantiti ai cittadini residenti in Italia; si tratta di persone che non potendosi più permettere di pagare un affitto o un mutuo finiscono in strada perdendo una serie di diritti tra cui il diritto alla salute;

    è necessario colmare il gap che ancora persiste nell'erogazione delle prestazioni sanitarie, anche ordinarie, abbattendo rapidamente liste di attesa che nel periodo pandemico si sono inevitabilmente allungate;

    la riduzione in volume delle prestazioni sanitarie è stata generalizzata in tutte le regioni italiane e sia il Parlamento che il Governo hanno fatto fronte con una imponente legislazione emergenziale, intervenendo con una significativa immissione di personale in tutte le forme contrattuali possibili – riducendo o sospendendo temporaneamente i vincoli precedenti – prevedendo un maggiore sviluppo della rete di assistenza sanitaria territoriale e disponendo un programma mirato di potenziamento ospedaliero e di dotazione tecnica nei settori critici dei posti di terapia intensiva, area medica ad alta potenzialità, servizi Dea e di pronto soccorso;

    oltre al grave problema delle liste di attesa permane il fatto che nonostante i Livelli essenziali di assistenza siano stati modificati nel 2017 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017), ad oggi non sono ancora operativi, poiché non è stato emanato il decreto tariffe necessario a dare applicazione alle prestazioni ivi previste; un provvedimento atteso e non più rinviabile dal quale dipendono non solo i nuovi Lea ma che consentirebbe anche di rimettere al passo con i tempi, i vecchi tariffari fermi al 1996 per la specialistica e al 1999 per la protesica; dalla procreazione medicalmente assistita allo screening esteso neonatale per la Sma, dalla consulenza genica fino a prestazioni di elevatissimo contenuto tecnologico come l'adroterapia o di tecnologia recente come l'enteroscopia con microcamera ingeribile e la radioterapia stereotassica, agli ausili informatici e di comunicazione (inclusi i comunicatori oculari e le tastiere adattate per persone con gravissime disabilità) agli apparecchi acustici a tecnologia digitale, alle attrezzature domotiche e ai sensori di comando, fino ad arti artificiali a tecnologia avanzata e ai sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo sono solo alcune delle oltre 3mila, tra vecchie e nuove, prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica che aspettano una loro piena applicazione;

    è necessario, come affermato dallo stesso Presidente della Repubblica Mattarella in occasione del discorso di fine anno 2022 «operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive»;

    è irricevibile la proposta di una autonomia differenziata anche in materia sanitaria che cancellerebbe il nostro il Servizio sanitario nazionale (Ssn), tradendone i principi di universalità, equità e solidarietà, per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origini, residenza e censo devono essere curati allo stesso modo con oneri a carico dello Stato, mediante prelievo fiscale su base proporzionale;

    è necessario prevenire una parcellizzazione non sostenibile non solo per quanto riguarda i Lea ma anche in altre materie e competenze, come la politica dei farmaci, la sanità animale, le specializzazioni della dirigenza, igiene e sicurezza negli ambienti scolastici e altro ancora;

    la pandemia da COVID-19 ha evidenziato la gravissima carenza di personale sanitario nel nostro Servizio sanitario nazionale che ha sempre maggiori difficoltà a reperire sul mercato del lavoro personale dirigente medico; criticità che investe trasversalmente tutta la professione medica con particolare riferimento alle specialità di anestesia e rianimazione, medicina d'urgenza, malattie infettive, pneumologia, ostetricia e ginecologia, pediatria, radiodiagnostica;

    per il personale del comparto si rileva un'offerta di operatori significativamente insufficiente rispetto ai nuovi fabbisogni, con particolare riferimento agli infermieri, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici di laboratorio biomedico, assistenti sanitari e operatori socio-sanitari;

    secondo l'ultimo rapporto Agenas del novembre 2022 la criticità vera ed immediata riguarda il personale infermieristico: l'Italia ha un numero di infermieri inferiore rispetto a quello della media europea. Infatti, secondo i dati OECD del 2020 nel sistema sanitario italiano operano 6,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, rispetto a una media europea di 8,8 e a punte di 18 per la Svizzera e la Norvegia, 13 per la Germania, 11 per la Francia e 8,2 per il del Regno Unito;

    il ricorso a soluzioni temporanee come i contratti a tempo determinato, l'utilizzo del lavoro a cottimo dei «medici a gettone», l'aumento dell'età pensionabile a 72 anni per i medici convenzionati e dipendenti, ospedalieri e universitari, il reintegro dei medici no vax sono solo palliativi che non solo non affrontano la reale carenza di personale ma minano la sicurezza e la salute delle persone;

    è urgente mettere in campo interventi strutturali, primo tra tutti l'abolizione del tetto di spesa sul personale al fine di consentire l'immediata assunzione dei giovani medici, anche specializzandi, pronti a entrare nel Servizio sanitario nazionale ma, di fatto, bloccati da misure temporanee e non risolutive;

    le strutture di Medicina dell'emergenza-urgenza sono uno dei pilastri principali del Servizio sanitario nazionale e come rileva la Società italiana di medicina d'emergenza urgenza (Simeu) gli accessi al pronto soccorso sono in costante aumento, con situazioni di affollamento, lunghe attese, una permanenza nei pronto soccorso che a volte supera le 24 ore; questo a fronte di una carenza di organico ormai cronica: mancano oltre 5 mila medici e circa 12 mila infermieri, con un conseguente sovraccarico di lavoro, stimato tra il 25 e il 50 per cento per il personale medico e sanitario impiegato in prima linea che rischia di far saltare quel principio di universalità dell'accesso alle cure su cui si fonda il nostro Sistema sanitario nazionale;

    queste cifre fanno emergere un quadro non più sostenibile a cui è necessario dare risposte veloci e concrete partendo da un miglioramento delle condizioni di lavoro di medici e infermieri impiegati nella medicina dell'emergenza-urgenza;

    nel secondo anno di pandemia la spesa sanitaria del Servizio sanitario nazionale; seppur con minore impatto, ha proseguito la sua crescita fino a quota 126,6 miliardi di euro, ai quali si aggiungono ben altri 37,16 miliardi di euro per prestazioni sanitarie pagate direttamente dai cittadini al di fuori del Servizio sanitario nazionale;

    come rilevato dal Rapporto n. 9 della Ragioneria generale dello Stato pubblicato ad ottobre 2022, nell'anno 2021 sono tornate a crescere le spese per la sanità privata, in particolare quelle sostenute direttamente dai cittadini (out of pocket), in massima parte per farmaci non rimborsabili, visite mediche e diagnostica;

    secondo l'ultimo rapporto di Cittadinanzattiva «Rapporto civico sulla salute 2022» si aspetta fino a 720 giorni per una mammografia, fino a 362 giorni per una visita con il diabetologo, fino a 180 giorni per sottoporsi a un intervento oncologico, fino a 100 giorni per una colonscopia, fino a un anno per un intervento cardiologico e ortopedico, fino a 180 giorni per un intervento oncologico;

    sempre più cittadini rinunciano a prestazioni sanitarie nel pubblico a favore di strutture private che sono in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali (a volte anche inferiori) e soprattutto in tempi più rapidi rispetto alle lunghe liste di attesa della sanità pubblica; ma la «sanità integrativa» non ha l'obbligo dei Lea, può selezionare i pazienti, non si occupa di prevenzione, non deve svolgere attività di emergenza e urgenza;

    per tale motivo deve completare il suo iter il più velocemente possibile il decreto del Ministero della salute, attuativo della misura contenuta nella legge concorrenza 2021 (legge n. 118 del 2022), che ha fissato nuove regole per i rapporti tra il privato e il Servizio sanitario nazionale, e che prevede nuove regole e verifiche per il rilascio di nuovi accreditamenti a strutture private e per la selezione dei soggetti privati che possono stipulare accordi con Servizio sanitario nazionale;

    la stessa attività intramoenia, a cui sempre più spesso ricorrono i cittadini, è un'altra faccia delle lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e dell'impossibilità di ricevere in tempi brevi assistenza;

    secondo l'ultimo rapporto dell'Agenas l'intramoenia passa dall'8 per cento per le visite oncologiche e fisiatriche al 42 per cento per ecografie ginecologiche. In particolare, in 13 regioni su 21 il rapporto tra attività in Alpi e in regime Istituzionale risulta superiore al 100 per cento per alcune prestazioni, soprattutto in ambito ginecologico ed è ormai praticamente azzerata l'intramoenia «fuori le mura» poiché il 99 per cento dell'attività si svolge all'interno dell'azienda o in strutture in rete con prenotazioni centralizzate nella maggior parte delle regioni;

    la pandemia da COVID-19 ha inciso fortemente anche sull'assistenza ospedaliera, dove dal 2015 (decreto ministeriale 70 del 2015) è stata prevista una riduzione dei posti letto per una maggiore efficienza e specializzazione della stessa rete ospedaliera anche in un'ottica di una maggiore integrazione con l'assistenza territoriale per una presa in carico da parte di quest'ultima dei casi meno gravi;

    accanto all'indispensabile riforma dell'assistenza ospedaliera e di quella territoriale, occorre rafforzare la prevenzione e la promozione della salute, per ridurre l'incidenza delle malattie e la mortalità e, di conseguenza, i costi per il Servizio sanitario nazionale adeguando il nostro sistema a standard qualitativi di cura adeguati, in linea con le migliori prassi europee;

    in questi anni di emergenza pandemica si è rafforzata nel Paese la consapevolezza che una rete integrata di servizi territoriali di base è indispensabile per assicurare capillarmente la presa in carico delle persone e delle comunità, garantendo l'accessibilità e la continuità delle cure anche alle fasce di popolazione socialmente più svantaggiate e più difficili da raggiungere;

    è importante, quindi, ridare slancio ai consultori istituti con la legge n. 405 del 1975 quali servizi sociosanitari integrati di base, con competenze multidisciplinari per attuare gli interventi previsti a tutela della salute della donna, delle persone in età evolutiva e in adolescenza, delle coppie e delle famiglie inserendoli a pieno titolo nella riorganizzazione territoriale prevista dal PNRR e dagli atti attuativi;

    un sistema sanitario vicino a tutte le donne deve garantire, in tutte le regioni, il diritto all'interruzione di gravidanza come sancito dalla legge n. 405 del 1978, risolvendo definitivamente il grave contrasto tra il diritto all'obiezione di coscienza del personale sanitario e il diritto della donna di abortire in una struttura pubblica, in sicurezza e nei tempi previsti;

    è necessario rivedere i protocolli di accoglienza nelle unità di ostetricia per assicurare l'accesso del padre o di una persona di fiducia della donna durante il travaglio, il parto e la degenza ospedaliera visto che l'esperienza della gravidanza, della nascita e dell'allattamento sono elementi fondanti della genitorialità consapevole, della nurturing care e della promozione della salute delle madri, dei padri e dei bambini e bambine;

    tra le tante nefaste conseguenze della pandemia di COVID-19 c'è l'aumento del disagio psicologico nelle persone più fragili e tra i giovani, un problema urgente di cui solo un Servizio sanitario nazionale rafforzato con risorse e professionalità può farsi adeguatamente carico;

    il benessere psicologico deve diventare un obiettivo fondamentale per il nostro Servizio sanitario nazionale, perché è un requisito fondamentale per la qualità della vita individuale, sociale e per la salute; a questo scopo vanno adottati programmi centrati sulla scuola come luogo dello sviluppo della persona e sui servizi sociali come strumenti di un welfare inclusivo;

    i cittadini italiani, sia minorenni sia adulti, in base ai Livelli essenziali di assistenza vigenti hanno diritto al sostegno psicologico e alla psicoterapia e per garantire tale diritto, oltre al bonus psicologo, occorre dotare il Paese di una rete di prevenzione e promozione psicologica pubblica;

    in tema di prevenzione l'istituzione della rete denominata sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici (Snps) sottolinea l'urgente necessita di un l'approccio «One Health» nella tutela della salute pubblica;

    tenendo conto di tale approccio nel settembre 2018 il Parlamento europeo ha adottato un piano d'azione europeo «One health» contro la resistenza antimicrobica (2017/2254(INI)) rilevando che l'abuso di antibiotici compromette la loro efficacia, determina la diffusione di microbi estremamente resistenti, che mostrano una particolare resistenza agli antibiotici di ultima linea;

    per dare seguito a tale piano è necessario sviluppare e consolidare la fondamentale collaborazione a livello dell'Unione europea in tema di antimicrobico-resistenza nonché mantenere aggiornato costantemente il prontuario farmaceutico nazionale, con particolare riguardo alle indicazioni d'uso degli antimicrobici a tutela dell'appropriatezza prescrittiva e a contrastare la vendita illegale di prodotti antimicrobici ovvero la loro vendita senza prescrizione medica o veterinaria;

    per quanto riguarda la spesa farmaceutica sia territoriale che ospedaliera, è necessario agire per controllarne l'andamento evitando il superamento dei tetti di spesa,

impegna il Governo:

1) a salvaguardare e potenziare su tutto il territorio nazionale l'universalità, l'uguaglianza e la qualità delle prestazioni di cura ed assistenza erogate dal Servizio sanitario nazionale;

2) a recedere dalla proposta di riforma che prevede di applicare il principio di «autonomia differenziata» nella tutela della salute pubblica, in quanto scelta ingiusta e inefficace che aumenterebbe le disuguaglianze tra i singoli sistemi sanitari regionali violando il principio costituzionale di uguaglianza «davanti alla legge» proprio in tema di salute, un «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»;

3) a promuovere un approccio One Health del Servizio sanitario nazionale è qualità ambientale e benessere animale sono elementi fondamentali nella tutela della salute pubblica;

4) a portare avanti, con determinazione, le riforme e gli investimenti previsti dalla Missione 6 del PNRR, definiti con le regioni e condivisi con l'Unione europea, che rappresentano una concreta opportunità di rilancio per il nostro Servizio sanitario nazionale;

5) ad attuare ed implementare i «modelli e gli standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale» (definiti dal decreto 23 maggio 2022, n. 77) per superare insostenibili diseguaglianze territoriali e garantire efficacemente su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza (Lea);

6) ad adottare le iniziative di competenza volte a implementare nel triennio 2024/2026 le risorse previste dall'articolo 1, comma 274, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio 2022), al fine di garantire alle Case della comunità, agli Ospedali di comunità, alle Unità di continuità assistenziale ed alle Centrali operative territoriali un adeguato standard di personale sanitario a tempo indeterminato che possa lavorare stabilmente in team multiprofessionali;

7) a predisporre la riforma della medicina generale per valorizzare al meglio il prezioso lavoro dei medici di medicina generale, rendendoli pienamente protagonisti e connessi con la nuova rete territoriale che si realizza con la Missione 6 del PNRR sburocratizzando la loro attività e riformandone il percorso di formazione professionale;

8) a garantire, nei tempi definiti dalla Missione 6 del PNRR al fine di migliorare l'assistenza ai malati cronici ed alle persone affette da malattie rare, lo sviluppo della telemedicina ed in particolare l'implementazione, su scala regionale, dei servizi di telemonitoraggio, teleassistenza, televisita, teleconsulto, assumendo la casa come «primo luogo di cura»;

9) a sostenere le iniziative di prevenzione e ricerca definiti nella Missione 6 del PNRR e in particolare: la creazione di una rete di centri di trasferimento tecnologico, il rafforzamento e lo sviluppo qualitativo e quantitativo degli Hub life science per area geografica (Nord – Centro – Sud Italia), la fondazione HUB Antipandemico (APH), istituita dall'articolo 1, comma 945, della legge 30 dicembre 2021, n. 234;

10) a portare avanti il Programma nazionale «Equità nella Salute» finanziato con 625 milioni dall'Unione europea per progetti da realizzare nel nostro meridione, relativi alla medicina di genere, alla salute mentale, al contrasto della povertà sanitaria e agli screening oncologici;

11) a fornire al Parlamento, ogni 6 mesi, informazioni puntuali sullo stato di attuazione della Missione 6 del PNRR;

12) a promuovere una forte integrazione tra attività territoriale e ospedaliera: liberando gli ospedali, grazie alla nuova rete territoriale prevista dalla Missione 6 del PNRR, da una quantità insostenibile di accessi impropri e riformando il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015;

13) a prevedere l'adeguamento del livello del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato in misura pari al 7 per cento del Pil per l'anno di riferimento;

14) a modificare i criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale applicando il parametro della «deprivazione economica», con un suo peso ponderato sull'intera quota da assegnare alle regioni più svantaggiate;

15) ad assicurare meccanismi di controllo affinché le nuove risorse attribuite alle regioni siano collegate prioritariamente a misure volte a ridurre la mobilità passiva e le liste di attesa;

16) ad assumere misure strutturali, quali a esempio il superamento definitivo del tetto di spesa per il personale, al fine di porre fine alla carenza di personale medico e sanitario nel nostro Servizio sanitario nazionale;

17) ad assumere tutte le iniziative di competenza necessarie, a partire dai rinnovi contrattuali, per adeguare la retribuzione dei professionisti sanitari italiani a quella media degli altri grandi Stati europei;

18) a predisporre iniziative urgenti volte a ovviare alla carenza di personale nei pronto soccorso attraverso specifici interventi che rendano maggiormente attrattivo il Servizio per i giovani medici che intraprendono la specializzazione in medicina d'emergenza-urgenza;

19) ad adottare iniziative di competenza volte a incentivare i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e il personale infermieristico a svolgere la propria attività professionale in ambiti territoriali disagiati, al fine di assicurare anche in queste zone un'adeguata assistenza primaria;

20) a predisporre adeguate risorse e misure incentivanti, per quanto di sua competenza, per il personale operante nei servizi del 118 (cosiddetta emergenza territoriale), di norma, titolare di un rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale;

21) a garantire la centralità e l'unitarietà del sistema sanitario nazionale, approvando il decreto tariffe e dando finalmente attuazione alla riforma dei livelli essenziali di assistenza fermi al 2017 consentendo così l'erogazione delle nuove prestazioni e l'aggiornamento dei tariffari fermi al 1996 per la specialistica e al 1999 per la protesica;

22) ad aggiornare, al fine di garantire l'effettiva tutela della salute mentale quale componente essenziale del diritto alla salute, i livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 12 gennaio 2017, privilegiando percorsi di cura individuali in una prospettiva di presa in carico della persona nel complesso dei suoi bisogni, per una piena inclusione sociale secondo i principi della «recovery» e sulla base di un processo partecipato;

23) ad introdurre il budget di salute quale prezioso strumento di integrazione sociosanitaria finalizzato a contrastare e a prevenire la cronicizzazione istituzionale o familiare, l'isolamento e lo stigma delle persone fragili, nonché favorire il loro inserimento socio-lavorativo;

24) a valorizzare e sviluppare, come previsto dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2020, la figura dell'infermiere di comunità, implementando il relativo processo formativo;

25) ad assumere con urgenza tutte le iniziative necessarie per far fronte alla crescente carenza di veterinari pubblici anche in considerazione e delle gravi emergenze sanitarie derivanti da epidemie che colpiscono gli animali;

26) a prevedere iniziative volte a velocizzare le procedure di riconoscimento dei titoli esteri per i professionisti sanitari, come misura aggiuntiva per ovviare alla carenza di medici e professionisti nelle strutture sanitarie e sul territorio;

27) a implementare la farmacia dei servizi approvando, dopo la positiva sperimentazione fatta nel 2022, un nuovo sistema di remunerazione e rinnovando la convenzione tra il Servizio sanitario nazionale e le farmacie italiane anche sulla base dei tanti nuovi servizi erogati;

28) a predisporre iniziative volte al superamento del pay back sui dispositivi medici la cui spesa è definita da gare pubbliche;

29) ad adottare iniziative per sviluppare la rete dei consultori familiari (Cf) quali servizi territoriali, di prossimità, multidisciplinari, fortemente integrati con altri presidi socio-sanitari e caratterizzati da un approccio olistico alla salute, a tutela della salute della donna, degli adolescenti, della coppia e della famiglia diffusi sull'intero territorio nazionale e orientati ad attività di prevenzione e promozione della salute;

30) ad assumere le iniziative di competenza volte a rendere disponibile e gratuito in tutta Italia l'accesso alla contraccezione tramite dispositivi ormonali e medici, in linea con i princìpi posti dalla legge n. 194 del 1978, superando l'arretratezza del nostro Paese su questo fronte, per ridurre gravidanze indesiderate e l'incidenza di malattie sessualmente trasmissibili come l'Hiv, garantendo la tutela della salute sessuale e riproduttiva delle giovani generazioni anche grazie al potenziamento dei programmi di educazione e salute sessuale;

31) ad adottare iniziative efficaci, con obiettivi misurabili, per contrastare la resistenza antimicrobica nell'ambito della tutela della salute umana, animale e dell'ambiente, introducendo misure finalizzate all'uso corretto e appropriato degli antimicrobici;

32) a promuovere campagne di sensibilizzazione in tutti i setting di cura e presso le farmacie miranti alla tutela dei comportamenti corretti, all'aderenza terapeutica per quanto riguarda l'uso degli antimicrobici e all'utilizzo costante delle norme igienico-sanitarie preventive;

33) a valutare la fattibilità di avviare iniziative graduali volte alla distribuzione degli antibiotici in confezioni sufficienti e non superiori al periodo di terapia, secondo le indicazioni mediche, anche con confezioni personalizzate;

34) ad avviare iniziative, per quanto di competenza, volte a contrastare la vendita illegale di prodotti antimicrobici ovvero la loro vendita senza prescrizione medica o veterinaria, nonché a impedire l'illegittima vendita online dei farmaci soggetti a prescrizione medica o veterinaria, informando e sensibilizzando i cittadini, tramite campagne informative, sui rischi connessi a tali acquisti;

35) ad adottare le iniziative di competenza volte a consentire alle persone senza dimora, prive della residenza anagrafica nel territorio nazionale o all'estero, di iscriversi negli elenchi degli assistiti delle aziende sanitarie locali territoriali di riferimento allo scopo di scegliere il medico di medicina generale e di accedere alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza garantiti ai cittadini residenti in Italia;

36) a predisporre, per quanto di competenza, misure uniformi su tutto il territorio nazionale al fine di assicurare, nel rispetto della salute di tutti i soggetti coinvolti, misure volte a garantire nei percorsi nascita e durante la degenza ospedaliera la presenza del padre o di una persona a scelta della donna anche oltre il mero orario di visita.
(1-00067) «Furfaro, Serracchiani, Ciani, Malavasi, Girelli, Stumpo, Bonafè, Casu, De Luca, De Maria, Ferrari, Fornaro, Ghio, Provenzano, Toni Ricciardi, Roggiani».

(13 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    nel 1978 con la legge n. 833 l'Italia ha istituito il Servizio sanitario nazionale ancora oggi questa legge rappresenta e deve rappresentare, dopo 45 anni, un pilastro fondamentale del sistema di welfare, in coerenza con l'articolo 32 della Costituzione;

    ancora oggi non è pienamente realizzata universalità e l'equità nella sanità pubblica che deve garantire a tutti il diritto alla salute e alle cure, l'accesso egualitario ai servizi, l'universalità e l'adeguato finanziamento pubblico;

    l'impatto della pandemia da Covid ha colpito fortemente il nostro sistema sanitario nazionale: ha comportato la diminuzione della speranza di vita, ha inciso pesantemente sul disagio psicologico tra le ed i giovani, ha causato l'ulteriore appesantimento delle liste d'attesa per visite, esami ed interventi;

    negli ultimi dieci anni precedenti al Covid si è assistito ad una riduzione dei finanziamenti per il Servizio sanitario nazionale pari a 37 miliardi di euro, mentre il fabbisogno sanitario nazionale è aumentato di soli euro 8,2 miliardi, riduzioni di risorse che hanno contribuito ad una minore efficienza ed efficacia della sanità pubblica;

    durante la pandemia tutte le nazioni hanno aumentato la spesa sanitaria, ma, in tale contesto l'Italia è rimasta al di sotto della media dei Paesi dell'Unione europea;

    negli ospedali italiani la situazione si aggrava sempre più: ospedali pubblici dove si riscontrano stipendi tra i più bassi d'Europa e condizioni di lavoro sempre più dure, carenza di medici, e infermieri in fuga dal Ssn verso il privato, preferendo spesso essere pagati a gettone. Nel solo 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. L'estensione del regime forfettario IVA, fino a 85.000 euro, per i lavoratori autonomi prevista dalla manovra 2023 favorisce a incentivare l'opzione per la libera professione nel privato attraverso la diffusione di forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente, mediate da cooperative, con aumenti dei costi e un impatto sfavorevole sull'organizzazione dei servizi;

    le carenze e i ritardi del Servizio sanitario nazionale pubblico fa sì che sempre più gli assistiti, quelli che possono permetterselo, si rivolgano al privato, gli altri, come registrato dall'Istat, rinunciano del tutto alle cure, questi sono stati 3,1 milioni nel 2019, 4,8 milioni nel 2020 per arrivare a 5,6 milioni nel 2022;

    secondo la ricerca «Pubblico e privato nella sanità italiana» condotta dall'Università degli Studi di Milano, il Ssn fornisce a «gestione diretta» solo il 63 per cento dei servizi richiesti dai pazienti (69,8 miliardi di servizi), mentre acquista dal settore privato «accreditato» il restante 37 per cento (41,5 miliardi di servizi erogati);

    secondo l'Osservatorio sui consumi privati in sanità di Sda Bocconi School of Management, in Italia i consumi sanitari privati sono un fenomeno strutturale e in crescita in misura proporzionale all'aumento del reddito. Lo sviluppo delle sanità «integrativa» ha trovato spazio proprio grazie alle difficoltà di gestione dei sistemi regionali, questo ha favorito una difformità di modelli spesso divergenti, non equi e non universalistici, né tantomeno uniformi sul territorio nazionale;

    le statistiche sanitarie segnalano che chi vive nel Sud muore in media due anni e mezzo prima di chi risiede al Nord e al Centro, la disuguaglianza delle prestazioni sanitarie sembra incidere sulle aspettative di vita almeno (se non più) delle condizioni economiche o di istruzione; con un risultato che se un bambino nasce a Caltanissetta ha 3,7 anni in meno di aspettativa di vita di chi è nato a Firenze e la speranza di vita in buona salute segna un divario di oltre 12 anni tra Calabria e provincia di Bolzano;

    l'associazione «Libera» ha segnalato come in Italia, negli ultimi tre anni, il 13 per cento degli episodi di corruzione ha riguardato il settore della sanità, con casi che riguardano forniture di farmaci, apparecchiature mediche, strumenti medicali e servizi di pulizia, mentre secondo un sondaggio di Transparency International Italia un dipendente su quattro (28 per cento) ritiene ci sia corruzione all'interno della propria azienda sanitaria;

    è indifferibile programmare rapidamente un intervento straordinario e strategico, non di natura emergenziale, in grado di proporre delle soluzioni strutturali, prontamente attuabili ed idonee ad affrontare nell'immediato la carenza di personale sanitario e la oggettiva crisi finanziaria di cui, da ormai tre anni versano i Sistemi sanitari regionali che si riverbera sulle prestazioni ai cittadini;

    nel documento sul personale del Sistema sanitario italiano pubblicato dal Ministero della salute ad agosto 2022 le unità in servizio nelle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale sono passate dalle 888.367 del 2000 alle 617.466 del 2020, ripartite come segue: 72,3 per cento ruolo sanitario; 17,8 per cento ruolo tecnico; 9,7 per cento ruolo amministrativo e lo 0,2 per cento ruolo professionale. Nell'ambito del ruolo sanitario il personale medico era di 103.092 unità, mentre gli infermieri erano 276.257 con un rapporto di 2,6 infermieri per ogni medico. Il Servizio sanitario nazionale ha una media di 4,63 infermieri per 1000 abitanti contro i 10,8 della Francia e i 13,2 della Germania;

    è necessario finanziare il rinnovo del contratto del personale sanitario, 2022-2024, mentre solo in data 2 novembre 2022 l'Aran e le parti sindacali hanno definitivamente sottoscritto il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto sanità per il triennio 2019/2021, serve quindi una spesa sanitaria oggi, in rapporto al prodotto interno lordo relativamente bassa al 6,5 per cento contro il 7,8 per cento della media Eu, il 9,6 per cento della Germania e il 9,4 per cento della Francia;

    una delle conseguenze di politiche che continuano da anni a puntare al blocco dei contratti e del turnover è quello di dequalificare il lavoro, visto come opportunità di risparmio per la finanza pubblica e non come investimento e miglioramento della qualità dei servizi socio-sanitari erogati sia nell'ambito della prevenzione che della cura;

    il reiterarsi, negli ultimi anni, delle manovre finanziarie di contenimento della spesa ed in particolare dei vincoli relativi alle assunzioni ha determinato nel tempo una grave carenza di personale del Sistema sanitario nazionale, che, unita ad un crescente innalzamento dell'età media, ha portato inevitabilmente ad un forte deterioramento delle condizioni di lavoro; inoltre, un numero sempre minore di professionisti appare disposto ad accettare il classico contratto di lavoro a tempo indeterminato, preferendo forme di rapporto lavorativo atipiche, favorite anche da flax tax. Da queste situazioni deriva che, sempre più di frequente, per garantire la funzionalità minima dei servizi, le aziende del Servizio sanitario nazionale ricorrano a forme diverse di esternalizzazione. Ecco perché si sta affermando sempre di più il fenomeno del ricorso ad appalti esterni, da parte delle aziende e degli enti, per garantire i servizi assistenziali. L'uso distorto delle esternalizzazioni, infatti, non soltanto genera un sempre più gravoso onere in capo alle strutture, ma comporta anche gravi criticità in termini di sicurezza e qualità delle cure, sia perché non sempre si offrono adeguate garanzie sulle competenze dei professionisti coinvolti, sia per la ridotta fidelizzazione di questi ultimi alle strutture pubbliche. Da specifici controlli sulle cooperative di fornitura dei servizi sanitari, sono emerse frodi e inadempimenti delle funzioni pubbliche, per aver inviato personale in attività di assistenza ausiliaria presso ospedali pubblici in numero inferiore rispetto a quello previsto dalle condizioni contrattuali con l'azienda ed impiegato semplice personale ausiliario privo dei prescritti titoli abilitativi e anche personale medico non specializzato per l'incarico da ricoprire; accertata infine, anche la fornitura di medici da parte di cooperative con età anagrafica superiore a quella stabilita per contratto, anche sopra i 70 anni, ed è stato accertato l'impiego di risorse umane non adatto a esigenze di specifici reparti ospedalieri;

    la missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), relativa alla salute destina risorse al potenziamento della rete di assistenza territoriale, sanitaria e socio-sanitaria attraverso lo sviluppo delle case di comunità, l'assistenza domiciliare integrata (Adi), la telemedicina, nonché attraverso gli ospedali di comunità; in tale contesto è stato emanato il cosiddetto «DM71», recante gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza territoriale e al sistema di prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, ma la carenza di medici e più in generale di personale sanitario rischia di impedire l'attuazione effettiva di quanto recato dalla Missione 6 del PNRR;

    la legge di bilancio 2023 prevede l'incremento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale di 2,15 miliardi di euro per il 2023, 2,3 miliardi di euro per il 2024 e 2,5 miliardi di euro dal 2025, ma una quota dell'incremento del 2023, pari a 1,4 miliardi di euro, è destinata a contribuire ai maggiori costi determinati dall'aumento dei prezzi delle fonti energetiche questo significa che il Fondo subisce una riduzione e che nell'orizzonte della programmazione finanziaria non sembra essere contemplato un potenziamento del sistema sanitario. La spesa sanitaria programmatica stimata si riduce fino al 6,1 per cento del Pil nel 2025, un valore inferiore anche rispetto al periodo prepandemia che era al 6,4 per cento nel 2019, rispetto a una media Ue del 7,9 per cento;

    secondo il Country Health Profile dell'OCSE 2021, nel 2019 l'Italia ha speso complessivamente (tra spesa pubblica e privata) l'8,7 per cento del Pil in sanità, rispetto alla media Ue del 9,9 per cento, ma la spesa pubblica ha rappresentato solo il 6,4 per cento del Pil, mentre quella privata è stata del 2,3 per cento. La spesa pubblica pro capite ha raggiunto l'importo di 2.525 euro ed è finita al di sotto della media Ue (3.523 euro). La spesa pubblica in percentuale alla spesa sanitaria totale è stata solo del 74 per cento nel 2019, inferiore alla media Ue, che è dell'80 per cento;

    l'Italia si caratterizza per una presenza di popolazione con elevata aspettativa di vita alla nascita circa 83 anni, secondo la rilevazione Istat, ciò ha una evidente ricaduta sul Ssn che vede un costante invecchiamento della popolazione in presenza di un 23 per cento circa di over 65 e un 3,6 per cento della popolazione di over 80 che genera un aumento delle patologie soprattutto quelle croniche. In particolare si registra una rilevante incidenza delle malattie cardiovascolari, che da anni rappresentano la principale causa di morte pari a oltre il 34 per cento del totale dei decessi, secondo Istat;

    la Corte dei conti ha reso noto che sono 14 le regioni che presentano performance peggiori di quelle del 2019 nel caso degli interventi cardio-vascolari caratterizzati da maggiore urgenza e data la necessità degli interventi che dovrebbero essere eseguiti in tempi brevi e certi segnalano una grave inottemperanza;

    l'erogazione dei nuovi livelli di assistenza determinati nel 2017 non è ancora completa e gli investimenti del PNRR richiederanno un incremento, sia pure progressivo, delle spese per la gestione dei nuovi servizi, così come si dovrebbe procedere alla ulteriore implementazione dei livelli di assistenza ad esempio inserendo in tale ambito anche la riabilitazione delle persone affette da tumori;

    a circa sei anni dall'aggiornamento dei Lea, le prestazioni relative alla protesica e alla specialistica ambulatoriale sono esigibili solo nelle regioni non in Piano di rientro che le finanziano con fondi propri, introducendo un ulteriore elemento di iniquità nel diritto alla tutela della salute;

    il divario tra le regioni è riconducibile soprattutto alla differenza dei servizi offerti dal servizio pubblico e alla riduzione dell'attività di specialistica ambulatoriale delle aziende sanitarie durante l'epidemia; non a caso la spesa a carico dei cittadini è aumentata principalmente nelle Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna a dimostrazione della scarsa efficienza dei sistemi sanitari di queste regioni, e segnala ancora più la distanza tra regioni del Sud e quelle del Nord;

    il numero delle famiglie che sostengono spese sanitarie aumenta: sono circa 6 milioni le famiglie costrette a limitare le spese sanitarie per motivi economici o addirittura ad annullarle del tutto con conseguenze negative sulla loro salute; la Ragioneria dello Stato nel Rapporto sul monitoraggio della spesa sanitaria ha segnalato che la spesa per prestazioni sanitarie pagate direttamente dai cittadini al di fuori del Ssn sono state pari a 37,16 miliardi di euro;

    riguardo al sostegno alla maternità tenuto conto che negli anni si è proceduto alla chiusura di numerosi punti nascita, incidendo pesantemente nelle aree svantaggiate e disagiate si è intervenuti non tenendo conto delle indicazioni e le deroghe previste dall'accordo della Conferenza Stato-regioni del 2010;

    le politiche attuate fino ad oggi sulla maternità non hanno permesso alle donne di conciliare i tempi della famiglia con i tempi del lavoro, così come risultano assolutamente insufficienti servizi e i sostegni al reddito così come si continua a non affrontare la mancata piena attuazione della legge 194 sull'interruzione di gravidanza causata anche in particolare dalla insufficienza di medici non obiettori;

    i servizi di psichiatria in Italia presentano da anni numerose criticità, negli anni scorsi si è assistito ad un calo dei dipartimenti, passati da 183 a 141, così come si registrano in calo i posti letto, ridottisi di 400 posti, una percentuale del 10 per cento; così come si assiste ad una carenza del personale che produrrà tra 2 anni la mancanza di mille psichiatri e circa 10 mila tra infermieri e altro personale; le risorse, anch'esse in calo sono ampiamente sotto la media europea, destiniamo il 2,9 per cento del Fondo sanitario mentre in sede di Unione europea si indica una percentuale del 10 per cento; contestualmente in corso una riduzione anche degli utenti passati dai 850 mila del 2017 ai 730 mila del 2020, una riduzione non dovuta certo ad una diminuzione delle patologie mentali, anzi, i problemi di salute mentale risultano in crescita costante e il Covid ha ulteriormente incrementati;

    in tale contesto non stupisce che gli italiani abbiano le idee chiarissime sulle priorità del Servizio sanitario nazionale: secondo il Censis, nel suo 56° Rapporto, il 50,9 per cento dei cittadini ha indicato l'aumento del numero di medici di medicina generale, il 46,7 generale la modernizzazione di tecnologie e attrezzature diagnostiche per accertamenti, il 45,3 per cento l'attivazione o il potenziamento dei servizi sul territorio, come le case della salute, il 39,6 per cento più posti letto negli ospedali, il 34 per cento l'attivazione dell'assistenza domiciliare digitale (teleconsulto, teleassistenza), per il 93,7 per cento degli italiani la spesa pubblica per la ricerca in salute e sanità è un investimento, non un costo;

    la medicina di genere nasce dall'idea che le differenze tra uomini e donne in termini di salute siano legate non solo alla loro caratterizzazione biologica e alla funzione riproduttiva, ma anche a fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali definiti dal termine «genere». L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce il «genere» come il risultato di criteri costruiti su parametri sociali circa il comportamento, le azioni e i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute;

    la medicina di genere risponde al bisogno di una rivalutazione dell'approccio medico-scientifico in un'ottica di genere per migliorare non solo le conoscenze sui diversi aspetti alla base delle differenze di genere, ma anche l'adeguatezza dell'intervento sulla salute questa è da attivare e sostenere in via prioritaria, in quanto la valenza applicativa è stata già comprovata da evidenze cliniche, supportate dalla ricerca. Presso l'Istituto superiore di sanità è stato costituito un Osservatorio dedicato alla medicina di genere al fine di fornire al Ministro della salute i dati da comunicare annualmente alle Camere;

    l'articolo 3 della legge n. 3 del 2018 dispone l'applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale; il Ministro della salute in ottemperanza alla disposizione di legge, il 13 giugno 2019, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, è stato chiamato ad adottare con proprio decreto il piano volto alla diffusione della medicina di genere mediante: divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire in modo omogeneo sul territorio nazionale la qualità e l'appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale. Il piano, quindi, indica gli obiettivi strategici, gli attori coinvolti e le azioni previste nelle quattro aree d'intervento indicate dalla legge: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione; comunicazione;

    il tema della mancata integrazione tra l'ambito sanitario e quello sociale, tra ospedale e territorio, questa diffusa sconnessione e la carenza di risorse strumentali e professionali, nonché la frammentarietà della rete e dell'offerta di servizi che da tempo segnano il dibattito sull'appropriatezza del welfare territoriale, sono diventate questioni ancor più evidenti nella drammatica emergenza legata alla pandemia da COVID-19;

    l'emergenza sanitaria legata alla pandemia ha posto ancor più in evidenza come la salute di territorio abbia bisogno di una profonda riorganizzazione, nell'ottica di un sistema integrato che metta al centro le persone e le comunità, attraverso la promozione dei servizi sanitari e sociosanitari di prossimità nella logica del lavoro di rete dei presidi territoriali;

    devono essere programmate risorse aggiuntive per lo sviluppo della rete territoriale finalizzata principalmente alla prevenzione e alla deospedalizzazione e a garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale l'appropriatezza delle prestazioni. Occorre investire oggi sul personale, sull'assistenza domiciliare e territoriale, nella consapevolezza che questi ambiti possono davvero consentire nel prossimo futuro importanti risparmi al Servizio sanitario nazionale, oltre che evidenti benefici alla collettività e un ritorno occupazionale indispensabile;

    una delle conseguenze di politiche che continuano da anni a puntare al blocco dei contratti e del turnover è quello di dequalificare il lavoro, visto sempre più come opportunità di risparmio e non come investimento e occasione di miglioramento della qualità dei servizi socio-sanitari erogati;

    sul futuro del Servizio sanitario nazionale, come espresso dalla legge 833 del 1978, si inserisce la proposta del Governo sull'autonomia differenziata; considerando che il diritto alla tutela della salute oggi è nei fatti condizionato da disuguaglianze e iniquità tra i 21 sistemi sanitari delle regioni e province autonome, una autonomia differenziata come proposta dal Governo inevitabilmente è destinata ad amplificare le diseguaglianze di un Servizio sanitario nazionale, oggi universalistico, senza un contestuale reale capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle regioni. Il regionalismo differenziato rischia di legittimare e sancire definitivamente nonché normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute che deve essere assicurato uniformemente sull'intero territorio nazionale e questo dovrebbe essere l'obiettivo prioritario;

    i provvedimenti varati per fronteggiare per assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, che attraverso le attività hanno provocato e provocano danni alla vita e alla salute di cittadini e lavoratori oltre che devastazione ambientale ampiamente documentati sin dagli anni '70, hanno garantito la continuità produttiva, ma non la salute dei cittadini, in particolare dei minori, dei lavoratori e la tutela dell'ambiente, così come documentato da tutti gli studi ad oggi pubblicati; operando nel suo complesso un evidente sbilanciamento nella tutela del diritto costituzionalmente tutelato della salute,

impegna il Governo:

1) a garantire che il Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico sia tale in piena attuazione della legge n. 833 del 1978, nonché dell'articolo 32 della Costituzione, in particolare adottando iniziative volte a prevedere un finanziamento del Fondo sanitario nazionale in linea con la media delle risorse stanziate dai Paesi dell'Unione europea, assicurando un livello di risorse che garantiscano l'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza uniforme su tutto il territorio nazionale e la loro ulteriore implementazione;

2) a recedere dall'intervento normativo in materia di autonomia differenziata e al contempo ad assumere tutte le iniziative necessarie, anche di aumento delle risorse economiche, al fine di garantire uniformità dei livelli delle prestazioni e universalità al diritto alla salute in coerenza con il dettato costituzionale;

3) ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza, ampliando le patologie riconosciute, assicurando progetti di assistenza individualizzati, ad esempio inserendo nei Lea i percorsi riabilitativi per malati oncologici e l'adozione del nomenclatore tariffario;

4) ad individuare le necessarie risorse da destinare al rinnovo del contratto nazionale di lavoro del personale sanitario anni 2022-2024;

5) ad adottare iniziative volte a destinare risorse adeguate finalizzate alla piena attuazione della Missione 6 del PNRR per garantire l'assistenza territoriale, nonché la spesa di personale dipendente da assumere nelle case e negli ospedali di comunità, da reclutare anche in deroga ai vincoli in materia di spesa di personale previsti dalla legislazione vigente;

6) a completare l'informatizzazione del Sistema sanitario nazionale, entro la scadenza per l'attuazione dell'Agenda digitale fissata per il 2026, tenuto conto che dei 13 miliardi di euro destinati alla digitalizzazione e la connettività, 6,74 miliardi di euro sono destinati alla pubblica amministrazione, attuando su tutto il territorio nazionale il fascicolo sanitario elettronico, le ricette digitali, la dematerializzazione di referti e cartelle cliniche, le prenotazioni e i pagamenti on-line;

7) ad adottare tutte le iniziative necessarie a limitare al massimo il ricorso all'intramoenia, attuando quanto previsto dalla normativa in materia che dal 2007 prevede infatti il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, per impedire che l'attività intramuraria sia derivante da una carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale, con ricadute dei costi sui cittadini e sulla sanità pubblica;

8) ad assumere iniziative che contrastino il ricorso ai cosiddetti medici a gettone attraverso cooperative per i servizi ospedalieri che le aziende sanitarie locali non sono in grado di soddisfare con particolare riferimento ai pronto soccorso, in quanto l'uso distorto delle esternalizzazioni non soltanto genera un sempre più gravoso onere in capo alle strutture, ma comporta gravi criticità in termini di sicurezza, continuità e qualità delle cure, sia perché non sempre offre adeguate garanzie sulle competenze dei professionisti coinvolti, sia per la ridotta fidelizzazione di questi ultimi alle strutture pubbliche;

9) ad adottare le iniziative di competenza, anche normative, per compensare le attuali disuguaglianze assistenziali territoriali e colmare la distanza tra i tradizionali luoghi di cura e la quotidianità dell'assistito, rafforzando la rete sanitaria e sociosanitaria nel territorio con migliori servizi di assistenza primaria e con una più stretta collaborazione con il terzo settore e, più in generale, con l'intera collettività;

10) ad adottare le iniziative di competenza perché la riorganizzazione della rete di medicina territoriale favorisca, attraverso l'azione congiunta delle diverse figure disciplinari e professionali (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, infermieri, specialisti ambulatoriali, operatori sociali, e altro), un modello integrato che tenga conto non solo delle dimensioni di assistenza e cura prettamente medica, ma anche delle dimensioni sociali e contestuali della persona;

11) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire che la rete ospedaliera sia affiancata da un reale e convinto sviluppo dell'assistenza territoriale, affinché avvenga in presenza di una contemporanea maggiore offerta a garanzia dei livelli di assistenza sociosanitaria distrettuale, centri aperti 24 ore su 24, assistenza domiciliare integrata, residenziale, semiresidenziale ed altro;

12) ad adottare iniziative di competenza e a reperire le risorse necessarie per assicurare adeguata dotazione di personale sanitario alle nuove strutture della rete di medicina territoriale, favorendo la stabilizzazione del personale già operante ed evitando l'esternalizzazione dei servizi socio-sanitari che i presidi sono chiamati a garantire;

13) al fine di garantire la piena erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ad avviare le opportune iniziative volte a concludere il graduale percorso di stabilizzazione del personale precario degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale;

14) ad individuare risorse economiche adeguate per la formazione periodica dei medici e del personale sanitario, programmando e ridefinendo percorsi formativi in relazione ai fabbisogni attuali e futuri di professionalità mediche e sanitarie, nonché alle tipologie di fabbisogni di assistenza alla popolazione, in particolare incrementando e valorizzando le figure professionali che operano nella prevenzione e a livello territoriale;

15) a sostenere, per quanto di competenza, l'approccio clinico che caratterizza la medicina di genere interdisciplinare e trasversale in riferimento ad ogni branca e specialità, ma soprattutto pluridimensionale, secondo una visione globale del concetto di salute, attraverso l'erogazione di cure appropriate con la presa in carico della «persona» malata, tenuto conto delle caratteristiche biologiche e cliniche della malattia, anche sulla base di tutti i fattori personali, culturali e sociali che ne caratterizzano il «vissuto» ed, in particolare, ad assumere altresì iniziative appropriate per eliminare le discriminazioni verso le donne nel campo delle cure sanitarie ed in tale contesto a:

  a) riconoscere il genere come determinante fondamentale di salute;

  b) eliminare le disuguaglianze di genere in campo sanitario;

  c) fornire indicazioni sull'interfaccia farmaci/dispositivi medici e differenze di genere;

  d) ridurre i rischi lavoro-correlati sulla salute delle donne;

  e) garantire, nelle sperimentazioni cliniche di farmaci e dispositivi medici, una rappresentanza paritetica delle donne, ancora classificate come sottogruppo demografico;

16) ad adottare le iniziative di competenza volte a istituire l'Agenzia nazionale per la salute mentale, come proposto dalla Società di neuropsicofarmacologia, dalla Società italiana di psichiatria, dalla Società di neuropsichiatria infantile e dalla Federazione dei dipartimenti delle dipendenze, allo scopo di coordinare le risorse e indirizzarle in maniera adeguata secondo criteri di evidenza scientifica, al fine di applicare in tutte le regioni in maniera uniforme i protocolli diagnostico-terapeutici, anche sostenendo e avviando campagne capillari per affermare il concetto di prevenzione in tutta la popolazione;

17) ad assumere iniziative ed individuare adeguate risorse economiche per la completa e uniforme, sul territorio nazionale, attuazione della legge 29 luglio 1975, n. 405, che ha istituito i consultori come servizi sociosanitari integrati di base, con competenze multidisciplinari, determinanti per la promozione e la prevenzione nell'ambito della salute della donna e dell'età evolutiva tenuto conto che nella maggior parte dei consultori, essenziali per l'attuazione della legge n. 194 del 1978, vede la mancanza di strumenti e carenza di personale;

18) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire l'integrale attuazione della legge n. 194 del 1978 uniformemente su tutto il territorio nazionale, assicurando alle donne il ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza, affrontando e superando in particolare le criticità dovute all'assenza diffusa di personale sanitario non obiettore, tenuto conto della rilevanza della percentuale di medici obiettori;

19) a inviare alle competenti Commissioni parlamentari con cadenza annuale una relazione dettagliata sulle azioni di promozione e di sostegno della medicina di genere attuate nel territorio nazionale, in particolare riguardo al piano sulla diffusione della medicina di genere mediante divulgazione, sulla formazione e pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengono conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di verificare la qualità e l'appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale;

20) a garantire che gli interventi finalizzati ad assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale siano prioritariamente finalizzati alla tutela della salute dei cittadini, in particolare dei minori, dei lavoratori e alla tutela dell'ambiente.
(1-00069) «Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(15 febbraio 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI AGEVOLAZIONI FISCALI PER IL SETTORE EDILIZIO E PER L'EFFICIENZA ENERGETICA

   La Camera,

   premesso che:

    il sistema di incentivi per l'efficienza energetica, sismabonus e fotovoltaico di cui agli articoli 119 e successivi del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto «superbonus 110 per cento» entrato in vigore il 19 maggio 2020) è stato modificato in 19 provvedimenti diversi nel corso degli ultimi due anni. In particolare, per l'articolo 121, quello relativo all'opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura in luogo delle detrazioni fiscali, estesa peraltro a tutte le tipologie di bonus edilizi, si contano modifiche, spesso plurime, in 12 provvedimenti diversi rispetto al testo originario, quasi tutte concentrate negli ultimi 15 mesi. La quasi totalità dei cantieri ha visto modificarsi la normativa di riferimento almeno due volte, dall'inizio alla conclusione dei lavori;

    fino all'intervento del decreto-legge cosiddetto «antifrodi» (decreto-legge 11 novembre 2021, n. 157, poi trasfuso nella legge di bilancio per il 2022), i meccanismi dello sconto in fattura e della cessione dei crediti a favore del sistema bancario assicuravano tempi certi di realizzo, che garantivano alle imprese esecutrici una congrua programmazione degli interventi e il rispetto delle tempistiche previste. Tale decreto-legge ha introdotto l'obbligo dell'asseverazione di congruità delle spese e del visto di conformità. Con l'articolo 28 del decreto-legge n. 4 del 2022, per i bonus legati a interventi edilizi, sono state vietate le cessioni «a catena», ritenendosi legittimo, oltre allo sconto in fattura sul corrispettivo, un solo trasferimento;

    oltre a queste previsioni una serie di fattori concomitanti ha determinato il progressivo blocco del mercato delle cessioni dei crediti fiscali detenuti nei cassetti delle imprese operanti nel settore delle ristrutturazioni edilizie. In particolare si segnalano: 1) la circolare 23/E dell'Agenzia delle entrate del 23 giugno 2022, sulla responsabilità solidale; 2) una serie di sentenze della Corte di cassazione (da ultimo 30 dicembre 2022, n. 49687) sul sequestro preventivo dei crediti anche presso il terzo in buona fede, in presenza di procedimenti relativi all'illegittima creazione di crediti fiscali inesistenti;

    la Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario, nella sua relazione finale, comunicata alla Presidenza della Camera il 6 ottobre 2022 ha osservato che la capienza fiscale dei 12 principali istituti di credito è di 16,2 miliardi di euro l'anno, pari a 81,1 miliardi nel quinquennio. Poiché tali banche hanno accettato crediti fiscali derivanti da cessioni dei bonus edilizi per 30 miliardi di euro e altri 47 miliardi sono in valutazione (complessivamente il 78 per cento del mercato delle cessioni), la loro capienza fiscale sarebbe al limite;

    nel documento illustrato dal Governo a banche e imprese il 20 febbraio 2022, l'Agenzia delle entrate ha calcolato in 34-35 miliardi di euro la capacità fiscale residua delle banche per assorbire i crediti incagliati dei bonus edilizi. L'Associazione bancaria italiana, invece, ha sostenuto di essere arrivata al limite della propria capacità fiscale, pari a 81 miliardi di euro, in quanto nella contabilità bancaria pesano le annualità di smaltimento dei crediti fiscali;

    a fronte della situazione di stallo del mercato delle cessioni e delle conseguenze sofferenze delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese, Parlamento e Governo sono più volte intervenuti: il numero dei possibili trasferimenti è aumentato sino alla previsione di una sola cessione a terzi e tre ulteriori cessioni effettuate in favore di istituti di credito e intermediari finanziari, con possibilità per questi ultimi di cedere a propri correntisti in possesso di partita Iva. Inoltre, l'Agenzia delle entrate ha consentito il frazionamento dei crediti per annualità. Inoltre, si è prevista: l'estensione delle norme sulle cessioni plurime ai crediti antecedenti il 1° maggio 2022, la possibilità di integrare le documentazioni dei crediti antecedenti il 12 novembre 2021, la riduzione del perimetro della responsabilità solidale, che ora si configura solo in caso di dolo o colpa grave;

    il decreto-legge n. 11 del 2023 ha delimitato ulteriormente la responsabilità solidale del cessionario, precisando che essa è esclusa qualora egli dimostri di avere acquisito il credito di imposta e siano in possesso di specifica documentazione (dettagliata nella norma) riguardante le opere da cui origina il credito di imposta. Per i cessionari di crediti che acquistano dalle banche l'esclusione di responsabilità opera mediante rilascio di una attestazione di possesso, da parte della banca, di tutta la predetta documentazione. Il decreto-legge stabilisce, inoltre, che l'onere della prova della sussistenza del dolo o della colpa gravi del cessionario grava sull'ente impositore;

    questi interventi non sono serviti a riavviare compiutamente il mercato delle cessioni, che appare afflitto da una generale sfiducia tra gli operatori. Si è determinata una paradossale situazione nella quale le imprese che effettuano i lavori, in particolare le piccole e medie imprese, si ritrovano con i cassetti fiscali pieni, ma senza risorse per poter proseguire i lavori, onorare gli impegni coi fornitori, pagare stipendi e contributi;

    le piccole e medie imprese segnalano l'introduzione di nuove condizioni per l'acquisto del credito da parte del sistema creditizio, tra le quali l'esame del merito creditizio del cedente, l'accettazione di fatture solo oltre un certo importo, la difficoltà, per le imprese che operano tramite sal (stati di avanzamento lavori), di cedere i sal successivi al primo a istituti di credito diversi da quelli a cui hanno ceduto il primo. In generale, si registra un maggior onere a carico del cedente e, soprattutto, una minore celerità nella definizione delle pratiche, dovuta al rafforzamento dei controlli, nonostante il fatto che, una volta ottenuta asseverazione, visto di conformità e codice univoco, il credito da cedere sia certo;

    sono quasi 50 mila le piccole e medie imprese che, in questo periodo, stanno accusando difficoltà nello smaltimento di questi crediti. Nel documento illustrato dal Governo a banche e imprese il 20 febbraio 2022, l'Agenzia delle entrate quantifica in 19 miliardi di euro i crediti fiscali giacenti nei cassetti fiscali delle imprese, di cui 12 relativi al superbonus;

    il 10 novembre 2022 Abi e Ance hanno insieme scritto al Governo una lettera per richiamare l'attenzione sulla gravità della situazione nella quale si trovano migliaia di cittadini e imprese che hanno fatto affidamento sulle norme di utilizzo dei bonus edilizi, chiedendo una misura tempestiva e di carattere straordinario che consenta agli intermediari di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, da compensare con i crediti ceduti dalle imprese;

    nell'audizione svoltasi il 14 febbraio 2023 presso la VI Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti di imposta, l'ufficio statistico dell'Unione europea – Eurostat, dopo aver precisato che il superbonus, che era stato classificato temporaneamente nel 2021 come «non pagabile», ma che attende i prossimi dati Istat circa l'ammontare dei diversi crediti fiscali che non saranno utilizzati dai contribuenti, elemento decisivo per giudicare se tali crediti siano da considerarsi pagabili o meno, ha chiarito che la pagabilità o non pagabilità di un credito non ha alcuna influenza né sul debito dello Stato, né sulla cifra finale totale da imputare come effetto sul deficit negli anni impattati da tale misura, ma solamente sul profilo temporale dell'impatto sul deficit nel corso degli anni;

    nell'audizione svoltasi il 2 febbraio 2023 presso la VI Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale, il direttore generale delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ha chiarito che, nell'aggiornamento delle previsioni tendenziali di finanza pubblica incluse nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, la stima del superbonus e degli altri bonus edilizi è stata aumentata a circa 110 miliardi di euro con uno scostamento complessivo di 37,75 miliardi di euro rispetto alle previsioni iniziali sull'intero orizzonte temporale; in particolare, le previsioni nei tendenziali di bilancio relative al superbonus 110 per cento si attestano a 61,2 miliardi di euro (scostamento 24,6 miliardi) e quelle del bonus facciate a 19 miliardi di euro (scostamento 13,1 miliardi). Per gli anni 2023-2026, i maggiori oneri hanno determinato un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno;

    in considerazione degli impatti sulla finanza pubblica dei maggiori oneri derivanti dalla normativa sui bonus edilizi, il decreto-legge n. 11 del 2023 ha stabilito, a partire dal 17 febbraio 2023, l'impossibilità di optare, in luogo della fruizione diretta della detrazione, lo sconto in fattura dai fornitori di beni o per la cessione del credito corrispondente per gli interventi relativi al superbonus 110 per cento, alla manutenzione facciate, nonché agli altri interventi di ristrutturazione e adeguamento antisismico, ivi compresi quelli relativi all'installazione di impianti fotovoltaici, di colonnine di ricarica e per l'abbattimento delle barriere architettoniche;

    il decreto-legge n. 11 del 2023 salvaguarda gli interventi per i quali alla data del 16 marzo 2023 risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata o il titolo abilitativo o sia stato registrato il contratto preliminare. Restano esclusi dal beneficio diverse tipologie di interventi che prevedevano lo sconto in fattura:

     a) gli acquirenti di immobili nuovi che non hanno registrato un preliminare di acquisto;

     b) i piccoli lavori in edilizia libera, ivi comprese le sostituzioni di caldaie o infissi, non ancora iniziati per i quali sono stati firmati preventivi e versati anticipi;

     c) i condomini che hanno svolto la parte preliminare della pianificazione dei lavori di superbonus, ma non sono arrivati alla cilas;

     d) imprese che stanno realizzando edifici frutto di demolizione con ricostruzione o di una ristrutturazione, ancora privi di rogiti firmati e preliminari già registrati;

    rispetto agli scostamenti sopra segnalati sussiste una significativa disparità di cifre tra quanto iscritto nei documenti pubblici e quanto riportato nei calcoli da autorevoli istituti, che giungono a sostenere che il reale impatto dei bonus edilizi sui conti pubblici sia limitato a una quota molto inferiore di quanto dichiarato. Negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi redatti da associazioni di categoria del mondo dell'edilizia e delle costruzioni o da istituti di ricerca. In particolare si segnalano:

     a) lo studio (luglio 2022) del Consiglio nazionale ingegneri aggiornato a fine giugno 2022 basato sulle tavole intersettoriali dell'economia italiana elaborate dall'Istat, nel quale si individua un moltiplicatore del reddito pari a 2,1 per stimare gli effetti diretti e indiretti sull'economia di ogni euro speso per bonus edilizi;

     b) lo studio (luglio 2022) condotto da Nomisma sull'impatto economico, ambientale e sociale del superbonus, anch'esso basato sulle tavole intersettoriali, che utilizza un moltiplicatore del reddito pari a 3,2 per stimare gli effetti diretto, indiretto e indotto delle spese del superbonus. Secondo Nomisma i 38,7 miliardi di euro investiti dallo Stato fino a giugno 2022 a titolo di copertura hanno generato un valore economico pari a 124,8 miliardi di euro. Dato confermato dall'aggiornamento del febbraio 2023 del medesimo studio in cui si sostiene che l'impatto economico complessivo è stato pari a 195,2 miliardi di euro, con un effetto diretto di 87,7 miliardi, 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto;

     c) lo studio Ance dell'11 luglio 2022, in cui, per superare le criticità del modello delle tavole intersettoriali, si utilizza una metodologia basata su quanto avviene realmente in un cantiere edile, senza tener conto degli effetti indiretti e di quelli indotti. Lo studio stima a un'aliquota media del 47 per cento del ritorno per lo Stato in termini di gettito fiscale complessivo (Iva, Irpef, Ires, Inps e Inail) a partire da un capitolato tecnico-economico standard. L'aliquota è calcolata sul costo lordo statale e include le entrate contributive;

     d) il rapporto Censis (novembre 2022) nel quale, elaborando i dati Consiglio nazionale ingegneri, Enea e Istat, si calcola che tra l'agosto del 2020 e l'ottobre del 2022, per una spesa di 55 miliardi di euro in superbonus, che si converte in 60,5 miliardi di euro di detrazioni a carico dello Stato, c'è un incasso fiscale diretto in termini di Iva, Irpef e Ires di 42,8 miliardi. La spesa effettiva è valutata quindi in 17,6 miliardi di euro. Per il Censis, i 55 miliardi di euro ammessi a detrazione attivano un valore della produzione nelle filiere edilizia e dei servizi tecnici connessi pari a 79,7 miliardi di euro, un effetto diretto a cui si aggiungono 36 miliardi di euro di produzione attivati in altri settori dell'indotto;

     e) il Cresme, che nel XXXIII rapporto congiunturale sul mercato edilizio, nel giudicare positivamente gli effetti dei bonus edilizi dal lato dell'impatto sull'economia, chiarisce che tra il 2020 e il 2022 essi hanno avuto un peso sul prodotto interno lordo pari al 13,9 per cento (il più alto in Europa) e che la maxi detrazione ha contribuito con un +22 per cento alla crescita totale del prodotto interno lordo. Questo si è tradotto in 460 mila occupati in più nel 2022 rispetto al 2019;

     f) di particolare rilevanza, la ricerca pubblicata a fine dicembre 2022 dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, nella quale si afferma che un euro speso per i bonus edilizi ha avuto un ritorno per le casse pubbliche di 43,3 centesimi, a cui vanno aggiunti gli effetti positivi sull'occupazione e sul reddito di famiglie e imprese. L'elemento significativo della ricerca è dato dal fatto che essa analizza in dettaglio la metodologia utilizzata della Ragioneria generale dello Stato nel redigere le relazioni tecniche dei provvedimenti che hanno disposto l'introduzione o la proroga di bonus edilizi, rilevando che esse appaiono caratterizzate sia da una significativa sottostima iniziale del costo lordo per lo Stato del superbonus 110 per cento, sia dall'adozione di un modello di calcolo che limita al solo 8,6 per cento le maggiori entrate indotte dalla spesa «aggiuntiva», schema che appare viziato da una prudenza eccessiva. Un duplice errore (sia in uscita che in entrata) che ha amplificato gli allarmi sulla tenuta dei conti pubblici;

    con il pacchetto «Fit for 55», presentato nel luglio 2021 e in corso di approvazione, nel 2030 dovremmo ridurre del 55 per cento le emissioni clima-alteranti per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Per quel che riguarda gli immobili, residenziali o produttivi, il pacchetto muove dalla constatazione che nell'Unione europea gli edifici rappresentano il 40 per cento del consumo finale di energia e il 36 per cento delle emissioni legate di gas serra legate all'energia e che sussiste un potenziale enorme in termini di riduzione delle emissioni;

    nell'ambito del pacchetto, la proposta di direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, approvata il 9 febbraio 2023 dalla Commissione energia del Parlamento europeo, per poi essere approvata nella sessione plenaria del Parlamento del 13-16 marzo 2023 e poi andare al trilogo interistituzionale, prevede che tali immobili debbano tutti raggiungere la classe energetica «E» entro il 2030. Dopo altri tre anni, nel 2033, sarà necessario arrivare alla classe «D». Sono previste talune eccezioni, quali gli immobili vincolati o nei centri storici, le seconde case e le abitazioni con superficie inferiore a 50 metri quadri. Nella tabella di marcia è previsto gli Stati membri stabiliscono scadenze e sanzioni specifiche entro le quali gli edifici dovranno ottenere classi di prestazione energetica superiori, nonché misure finanziarie adeguate al raggiungimento degli obiettivi;

    l'80 per cento degli immobili residenziali esistenti in Italia rientra nelle classi energetiche più basse (E, F e G) e il 75 per cento degli edifici italiani è stato realizzato ante norme sismiche (1974). Secondo il Censis, nel 2021 2,8 milioni di nuclei familiari hanno dichiarato di vivere in abitazioni con problemi strutturali, 2,2 milioni di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione e 3,5 milioni di avere problemi di umidità;

    dai dati Ance-Nomisma presentati a luglio 2022 risulta che circa 483 mila beneficiari con reddito medio basso (sotto i 1.800 euro mensili), grazie al superbonus hanno potuto effettuare lavori di riqualificazione energetica alla propria abitazione. Si tratta del 32,6 per cento degli interventi sino ad allora effettuati. A fronte del congelamento della cessione dei crediti fiscali, di fatto solo i cittadini capienti potranno in futuro utilizzare il nuovo superbonus;

    il nostro Paese è tuttora privo di una politica strutturale dell'efficienza energetica degli edifici (nonché, per le nostre particolari caratteristiche geografiche, di adeguamento antisismico), in quanto il superbonus è sempre stata una norma congiunturale, potentissima e discutibile. Peraltro, inserita in un sistema agevolatorio che si è stratificato a partire dalla seconda metà degli anni '90, con gli obiettivi più disparati. Si è proceduto con aggiustamenti, proroghe, con modalità stop and go, mentre altri Paesi, come la Francia e la Germania, hanno avviato politiche coordinate, investendo risorse importanti;

    in Germania gli stanziamenti pubblici annuali a carico dello Stato per la decarbonizzazione e l'efficientamento energetico del patrimonio immobiliare sono lievitati dagli 8 miliardi di euro nel 2021 ai 13-14 miliardi del 2022 destinati a finanziare la riforma delle norme cosiddette «Beg» (federal support for efficient buildings) basata su tre pilastri – riqualificazioni parziali, ristrutturazioni totali dell'esistente e ricostruzione di nuovi edifici. La KfW (la Cassa depositi e prestiti tedesca), nell'ambito dei programmi per l'efficienza energetica, all'ottobre 2022 aveva già sottoscritto oltre 100 mila accordi (tra prestiti e sussidi a qualsiasi controparte) per 36,1 miliardi di euro;

    la Francia sostiene dal 2015 una politica di incentivazione per i lavori di ristrutturazione energetica degli immobili abitativi che consente di cumulare le molte agevolazioni statali fino al 90 per cento della spesa (a scalare in base al reddito, fino al 40 per cento per le famiglie con redditi più alti) e ancora di aggiungere ulteriori misure di sostegno locale, con il limite di non superare il 100 per cento della spesa. La legge sulla «transizione energetica per la crescita verde» prevede di riqualificare 500 mila unità immobiliari l'anno fino al 2050. Nel corso del 2019 le agevolazioni hanno consentito a 3,1 milioni di famiglie (il 20 per cento delle famiglie residenti in case unifamiliari) di completare almeno un intervento di riqualificazione energetica, per un totale di 28 miliardi di euro. Nel 2021 la legge «Clima e resilienza» ha introdotto un obbligo di riqualificazione degli edifici molto energivori, con l'obiettivo di ristrutturare tutte le unità abitative in classe F e G entro il 2028;

    è necessario che la transizione energetica in ambito edilizio sia accompagnata da programmi, fondi e risorse di sostegno per l'efficientamento degli edifici, mediante l'adozione di uno specifico piano a livello europeo e nazionale che abbiano come missione principale quella di finanziare la ristrutturazione edilizia profonda,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte al complessivo riordino del sistema di incentivazione per la ristrutturazione edilizia in termini di razionalizzazione e semplificazione, anche tenendo conto delle esperienze maturate in altri Paesi dell'Unione europea, trasformando le misure prevalentemente congiunturali oggi esistenti in una rigorosa e strutturale spinta all'efficientamento del patrimonio edilizio residenziale, sotto il profilo energetico e sismico, realizzando un modello nel quale l'incentivo sia:

  a) direttamente proporzionale ai livelli di efficientamento (sismico e/o energetico) raggiunti dagli immobili, rispetto a quelli di partenza ante intervento;

  b) inversamente proporzionale al reddito del beneficiario con particolare attenzione ai cittadini incapienti e alle prime case, in tale ambito valutando il mantenimento dello sconto in fattura e della cessione del credito per i soggetti tributari incapienti o in regime forfettario e prevedendo, ove occorra, la creazione di un fondo di natura rotativa presso la Cassa depositi e prestiti, destinato all'erogazione di anticipazioni di durata decennale, a tasso agevolato, per la ristrutturazione antisismica e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio detenuto dai soggetti incapienti o in regime forfettario;

2) ad adottare iniziative volte a dotare il sistema di incentivazione di cui al precedente impegno delle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del Fit for 55 per l'edilizia residenziale, inseriti nella direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia di prossima emanazione, intervenendo in sede di Unione europea affinché queste siano incrementate e coordinando l'utilizzo delle risorse europee disponibili con ulteriori risorse nazionali, anche al fine di consentire al comparto edilizio di mantenere gli attuali livelli di apporto al prodotto interno lordo e di generare le maggiori entrate necessarie a sostenere il processo di efficientamento;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere un modello incentivante, accessibile anche a soggetti incapienti o in regime forfettario, per le ristrutturazioni e gli interventi edilizi privi di caratteristiche di efficientamento e adeguamento antisismico, al fine di evitare la creazione di una «economia non osservata» in ambito edilizio;

4) ad adottare iniziative per consentire ai soggetti che abbiano avviato procedimenti di acquisto, demolizione e ricostruzione di immobili, nonché di ristrutturazione di immobili in edilizia libera, non ancora contrattualmente definiti, di poter usufruire dello sconto in fattura o della cessione del credito, in presenza di preliminari già redatti o anticipi già versati;

5) a individuare uno specifico sistema di incentivazione per l'efficientamento energetico e sismico degli immobili produttivi, destinato ai soggetti esercenti attività d'impresa, arti o professioni, con l'obiettivo di rilanciare l'economia nazionale, incrementando le attività nel comparto «trainante» del recupero energetico e antisismico del patrimonio edilizio, con ricadute positive sul comparto produttivo e sull'intera collettività;

6) a rivedere il modello con cui sono state redatte le relazioni tecniche relative alla copertura dei bonus edilizi introdotti a partire dal 2020 e a presentare al Parlamento una valutazione dell'impatto sui conti pubblici dei flussi di cassa fiscali e contributivi, diretti e indiretti, provenienti dal settore edile e dall'indotto, tenuto conto dalle analisi presentate dalle associazioni di categoria del mondo dell'edilizia e delle costruzioni o da istituti di ricerca, individuate in premessa;

7) ad adottare iniziative di competenza volte a sbloccare il mercato delle cessioni e, in particolare:

  a) valutando la possibilità di un'espressa deroga all'articolo 321 del codice penale in materia di sequestro preventivo, in cui si preveda l'esclusiva responsabilità in capo al soggetto originariamente beneficiario del credito d'imposta, senza coinvolgimento del terzo, di modo che i cessionari in buona fede estranei a ogni reato, in particolare tributario, commesso dai cedenti, non possano essere destinatari di provvedimenti di sequestro;

  b) consentendo la possibilità agli intermediari finanziari di frazionare per importi oltre che annualità i crediti da cedere ai propri correntisti non consumatori, in considerazione dell'alta affidabilità nella gestione documentale delle cessioni;

  c) consentendo agli intermediari finanziari di ampliare la propria capacità di acquisto, mediante utilizzo di una parte dei versamenti delle imposte da loro incassati con gli F24 a compensazione dei crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese, secondo criteri di proporzionalità diretta con la massa di crediti detenuti da ciascun intermediario e in misura non inferiore al 3 per cento del totale dei versamenti effettuati con gli F24;

  d) promuovendo la stipula di uno specifico accordo tra Governo, Associazione bancaria italiana, Cassa depositi e prestiti s.p.a., Poste italiane S.p.a. e le organizzazioni imprenditoriali, volto ad accelerare la circolazione dei crediti d'imposta, garantendo la sostenibilità del mercato delle cessioni per il sistema creditizio, definendo regole uniformi per valutare l'affidabilità dei cedenti, individuando procedure telematiche unificate e checklist documentali univoche, nonché adottando tassi di sconto massimi secondo il modello utilizzato da altre operazioni finanziarie come anticipo fatture o discount rate cap al fine di evitare attività speculative;

  e) valutando la possibilità di coinvolgere nel processo di smaltimento dei crediti fiscali «incagliati» anche le società partecipate dallo Stato, con particolare riferimento a Enel, Eni, Ferrovie dello Stato e Anas;

8) a promuovere il coinvolgimento degli ordini professionali competenti per materia nella stesura delle regole tecniche attuative in ambito sismico e/o energetico;

9) a fornire ogni utile elemento al Parlamento sull'entità dei crediti fiscali in scadenza nel 2022, che non sono stati utilizzati per incapienza dei soggetti titolari.
(1-00040) (Nuova formulazione) «Mazzetti, Cattaneo, Battilocchio, Mulè, Rubano, De Palma, D'Attis, Cannizzaro, Sorte, Squeri, Casasco, Sala, Gatta, Nazario Pagano, Tosi, Arruzzolo, Paolo Emilio Russo, Marrocco, Pittalis, Tassinari, Nevi, Saccani Jotti, Cortelazzo, Patriarca, Tenerini, Polidori, Orsini, Deborah Bergamini, Mangialavori, Calderone».

(17 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    l'incentivo cosiddetto superbonus 110 per cento, introdotto con l'articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (cosiddetto decreto «rilancio»), e il meccanismo della cessione del credito e sconto in fattura, di cui all'articolo 121 del medesimo decreto-legge, fortemente voluti dal MoVimento 5 Stelle, hanno contribuito al vigoroso rilancio degli investimenti nel settore edilizio e a migliorare le prestazioni energetiche e sismiche degli edifici;

    grazie a tali misure, il settore edilizio ha rappresentato il principale motore di crescita negli ultimi due anni e ha occupato un terzo della crescita del prodotto interno lordo;

    nel 2021 il contributo del settore delle costruzioni alla formazione del prodotto interno lordo è stato pari al 27 per cento della crescita registrata (+6,7 per cento). La spinta è proseguita anche nel 2022 secondo gli ultimi dati pubblicati da Istat: nella media complessiva dell'anno, l'indice della produzione nelle costruzioni è aumento del 12,7 per cento rispetto al 2021;

    i dati pubblicati di recente da Nomisma evidenziano un incremento di oltre 600 mila occupati, con un effetto diretto di 87,7 miliardi di euro, 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto. Inoltre, la combinazione del bonus fiscale con lo strumento della cessione e sconto in fattura ha garantito l'accesso all'incentivo, contrariamente al passato, a 1,7 milioni di italiani con reddito medio-basso;

    sotto l'aspetto ambientale, secondo i dati rilevati da Enea nell'ultimo rapporto annuale sull'efficienza energetica, ammonta a 2.652 gigawattora all'anno il risparmio complessivo generato dagli investimenti effettuati attraverso i bonus edilizi dalla loro prima introduzione, che si traduce in una riduzione di 979.000 tonnellate di anidride carbonica e in un risparmio sulla bolletta per i cittadini di quasi 1.000 euro all'anno;

    le ultime rilevazioni dei dati da parte di Enea e degli operatori del settore evidenziano, tuttavia, un brusco calo del numero di asseverazioni e investimenti rispetto ai mesi precedenti che non lascia ben sperare per il futuro, anche alla luce degli ultimi provvedimenti adottati dal Governo;

    ad incidere sulla corsa agli incentivi sono state sicuramente le oltre 21 modifiche normative, che hanno scardinato l'originaria chiarezza e semplicità applicativa dello strumento della cessione del credito, oltre ad una campagna mediatica concentrata sulle presunte frodi fiscali (di cui solo in minima parte relative al superbonus) che ha ingenerato incertezze e preoccupazioni sulla stabilità degli strumenti;

    in un tale contesto si è giunti al progressivo blocco del mercato delle cessioni dei crediti edilizi, rimasti «incagliati» nei cassetti fiscali di cittadini e imprese, per un valore di oltre 15 miliardi di euro di crediti inutilizzati;

    la drammatica carenza di liquidità che sta tormentando migliaia di famiglie e imprese richiede un intervento urgente al fine di risolvere l'incaglio dei crediti fiscali, attraverso misure straordinarie finalizzate all'ampliamento della capienza fiscale e a garantire la massima circolazione possibile dei crediti fiscali;

    in un tale contesto il Governo è intervenuto con il decreto-legge 16 febbraio 2023, n. 11. Con il dichiarato fine di evitare «potenziali» effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, a decorrere dal 17 febbraio 2023 non è più possibile optare per lo sconto in fattura, né per la cessione del credito d'imposta, residuando unicamente la possibilità di beneficiare dell'incentivo mediante lo strumento della detrazione degli importi corrispondenti;

    il provvedimento da ultimo adottato non contiene disposizioni finalizzate a risolvere la problematica dei crediti «incagliati»;

    secondo i dati riportati dalle associazioni di settore, nella sola giornata del 17 febbraio 2023 (primo giorno di efficacia del decreto-legge) ci sono state oltre 6 mila richieste di annullamento di preventivi relativi a spese per interventi edili;

    il quadro regolatorio così definito rischia di determinare la «morte» dello strumento del superbonus e con esso di migliaia di imprese in conseguenza del blocco degli investimenti;

    in assenza dello strumento della cessione e dello sconto in fattura viene compromessa la stessa efficacia dei bonus edilizi, esponendo il Paese a danni economici e finanziari conseguenti al fallimento di migliaia di aziende e alla disoccupazione di migliaia di lavoratori;

    anche i nuovi obiettivi europei in tema di efficienza energetica impongono, invece, di preservare i bonus edilizi e gli strumenti dello sconto in fattura e della cessione del credito;

    nell'ambito del piano «Fit for 55», infatti, il Consiglio dell'Unione europea ha raggiunto un accordo su una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia. L'iniziativa trova le sue basi sui dati relativi alle emissioni in Europa, da cui emerge come gli edifici siano responsabili del 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate all'energia. Per tale motivo, con l'obiettivo di ridurre le emissioni nell'Unione europea di almeno il 55 per cento entro il 2030, la proposta di revisione della direttiva, in discussione nei prossimi mesi, prevede che gli edifici residenziali con le peggiori prestazioni dovranno raggiungere almeno la classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033;

    i target fissati dall'accordo in seno al Consiglio dell'Unione europea rappresentano una grossa opportunità per il nostro Paese in considerazione dello stato del patrimonio edilizio italiano. Il rapporto Enea sull'efficienza energetica rileva come gli edifici a destinazione d'uso residenziale risultino pari a 12,42 milioni, con quasi 32 milioni di abitazioni. Oltre il 65 per cento di tale parco edilizio ha più di 45 anni, ovvero è precedente alla legge n. 373 del 1976, prima legge sul risparmio energetico. Di questi edifici, oltre il 25 per cento registra consumi annuali da un minimo di 160 kilowattora per metro quadro all'anno ad oltre 220 kilowattora per metro quadro. In sostanza, il nostro Paese conta un parco immobili residenziali con oltre la metà degli immobili nelle classi energetiche peggiori (F e G);

    per raggiungere gli ambiziosi obiettivi dell'Unione europea in tema di prestazione energetica degli edifici, il settore edilizio assume una centralità strategica;

    per tale motivo diventa sempre più indispensabile una programmazione strutturale dei meccanismi di incentivo alla spesa per interventi di riqualificazione energetica e adeguamento sismico degli edifici, in grado di stimolare efficacemente gli investimenti e garantire la massima partecipazione dei cittadini;

    è opportuno intervenire anche sull'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione, poiché molti soggetti, nonché diverse tipologie di edifici, ne rimangono tuttora esclusi. Sarebbe, dunque, auspicabile estendere la misura all'intero patrimonio immobiliare, senza limitazioni legate alla tipologia dell'immobile e alla sua destinazione, in considerazione della finalità della misura di riqualificare ed efficientare l'intero patrimonio immobiliare nazionale;

    è, altresì, determinante potenziare il sostegno agli investimenti attraverso la leva finanziaria individuando strumenti innovativi, anche alternativi a quelli bancari, tra cui i meccanismi di finanziamento, quali il crowdfunding e il direct lending, e le forme di finanziamento di private equity e venture capital e altre soluzioni fintech, per assicurare il massimo sostegno alle imprese e alle filiere produttive nei processi di rigenerazione urbana e riqualificazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato,

impegna il Governo:

1) ad assumere ogni iniziativa utile allo sblocco di crediti fiscali «incagliati» ai danni di cittadini, imprese e istituti di credito, valutando, in considerazione del carattere emergenziale della carenza di liquidità creatasi, l'introduzione di misure straordinarie finalizzate all'ampliamento della capienza fiscale dei soggetti coinvolti o delle possibilità di compensazione, in particolare:

  a) valutando la possibilità di compensare i crediti fiscali acquisiti dagli istituti di credito con i debiti risultanti dalle deleghe di versamento F24;

  b) ampliando la possibilità di frazionamento del credito fiscale maturato anche in capo al primo beneficiario e nell'ambito delle singole rate annuali;

  c) consentendo al beneficiario della detrazione di utilizzare il corrispondente credito anche in compensazione F24;

  d) introducendo strumenti di controllo e certificazione idonei a garantire la genuinità del credito spettante nell'ambito delle cessioni, al fine di agevolare la circolazione dei crediti fiscali e semplificare le procedure di controllo, riducendo il rischio di contestazioni ex post a carico dei cessionari;

  e) valorizzando le competenze e la conoscenza del territorio da parte delle camere di commercio, delle associazioni rappresentative delle imprese e della rete territoriale dei confidi e degli intermediari finanziari, al fine di garantire la massima circolazione dei crediti fiscali maturati;

2) ad assumere iniziative finalizzate a stabilizzare i bonus edilizi connessi all'efficientamento energetico e all'adeguamento sismico degli edifici, ivi compresa la riattivazione del meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura a partire dalle fasce di reddito medio-basse e per gli interventi a maggiore impatto, attraverso una programmazione strutturale degli incentivi che sia coerente con il perseguimento degli ambiziosi obiettivi europei al 2030, cogliendo l'opportunità di migliorare le prestazioni energetiche e sismiche del patrimonio edilizio italiano;

3) ad accompagnare la programmazione strutturale di cui all'impegno n. 2) con un'adeguata programmazione finanziaria degli stanziamenti, anche attraverso l'ottimizzazione delle risorse oggetto di programmazione europea, tenendo altresì conto degli effetti positivi indotti dagli investimenti alla luce dei risultati già conseguiti negli anni 2021 e 2022;

4) ad adottare iniziative volte a introdurre misure finalizzate a potenziare la leva finanziaria anche attraverso l'introduzione di nuovi strumenti di finanza alternativa, da attuarsi mediante il ricorso a prodotti finanziari innovativi, tra cui i meccanismi di finanziamento, quali il crowdfunding e il direct lending e le forme di finanziamento di private equity e venture capital e altre soluzioni fintech, destinati ad assicurare il sostegno alle imprese e alle filiere produttive nei processi di rigenerazione urbana e riqualificazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato;

5) a promuovere la partecipazione di ogni livello istituzionale, delle regioni e degli enti locali, anche stimolando l'istituzione di fondi dedicati e di strumenti di incentivo locali compatibilmente con il quadro finanziario locale e nazionale, al fine di garantire l'accesso agli incentivi edilizi e promuovere l'efficientamento e adeguamento sismico al livello territoriale;

6) a favorire la massima partecipazione delle associazioni rappresentative delle imprese e del mondo finanziario e bancario, al fine di monitorare la gestione degli strumenti, analizzare l'impatto della regolamentazione e rilevarne le criticità, promuovere le migliori pratiche e proporre iniziative normative, a tal fine utilizzando la funzione del Garante nazionale per le micro, piccole e medie imprese, e la rete dei garanti regionali, assicurandone l'attivazione nelle regioni che ancora non vi abbiano provveduto;

7) a prevedere l'introduzione di adeguati sistemi di monitoraggio dell'andamento dei bonus edilizi e dei crediti fiscali, in particolare:

  a) valutando l'opportunità di istituire un'apposita piattaforma elettronica di scambio tra gli operatori, mettendo in contatto domanda e offerta;

  b) introducendo sistemi di valutazione preventiva della capienza fiscale dei cessionari, evitando situazioni di incaglio;

  c) prevedendo l'impossibilità di acquistare crediti da parte dei cessionari con capienza fiscale limitata o che non diano adeguate garanzie di smaltimento del credito.
(1-00048) (Nuova formulazione) «Santillo, Fenu, Dell'Olio, Pavanelli, Torto, Pellegrini, Iaria, Raffa, Alifano, Lovecchio, Ilaria Fontana, Sergio Costa, Cappelletti, L'Abbate, Appendino, Todde, Morfino, Carmina, Donno, Fede».

(27 gennaio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    nel dicembre 2019 la Commissione europea ha presentato la comunicazione strategica sul Green Deal europeo per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Il Consiglio europeo con le conclusioni del 12 dicembre 2019 ha stabilito che tutte le politiche e normative dell'Unione devono essere coerenti con tale traguardo, successivamente sancito dalla normativa europea sul clima (regolamento (UE) 2021/1119), che ha introdotto un ulteriore obiettivo da conseguire entro il 2030, consistente in una riduzione delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990;

    il 14 luglio 2021, la Commissione europea ha quindi presentato un pacchetto di proposte legislative, denominato «Pronti per il 55%» (Fit for 55), volte a rivedere la normativa dell'Ue in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, energia e trasporti, per consentire il raggiungimento del nuovo più ambizioso obiettivo al 2030;

    tra gli strumenti del Fit for 55 rivestono, tra le altre, particolare rilevanza la proposta di modifica della direttiva sull'efficienza energetica, che reitera il concetto di energy efficiency first (priorità all'efficienza energetica) con l'obiettivo di raggiungere una riduzione del 39 per cento) del consumo di energia primaria rispetto ai valori del 1990;

    gli interventi di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare sono fondamentali sia per raggiungere l'obiettivo di piena decarbonizzazione riducendo l'uso delle fonti fossili, considerando che oltre il 60 per cento, del parco edilizio residenziale italiano (12,42 milioni di edifici) ha più di 45 anni e fa affidamento sul gas naturale come principale fonte di energia, sia per migliorare le prestazioni energetiche degli immobili riducendo le dispersioni di calore e più in generale il fabbisogno energetico annuale dell'energia primaria per il riscaldamento, il raffrescamento, per la ventilazione e per la produzione di acqua calda sanitaria, con l'abbattimento dei costi di esercizio degli impianti domestici;

    la Componente C3 della «Missione 2» del PNRR, denominata «Rivoluzione verde e Transizione Ecologica», (alla quale sono destinati 15,22 miliardi, che salgono a 21,94 miliardi con il fondo complementare) ha come obiettivo quello di rafforzare il risparmio energetico incrementando il livello di efficienza degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni come già avviato dalla misura conosciuta come «superbonus 110 per cento»;

    l'incentivo cosiddetto «superbonus 110 per cento» introdotto con l'articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (cosiddetto decreto «Rilancio»), e il meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura, di cui all'articolo 121 del medesimo decreto-legge, hanno contribuito al forte rilancio degli investimenti nel settore edilizio e a ridurre in modo consistente i consumi energetici degli edifici;

    sulla base dei dati ENEA, si stima che, per i soli interventi di natura energetica legati al superbonus, al 31 maggio 2022 nel nostro paese sono stati attivati investimenti per oltre 30 miliardi di euro su oltre 172.000 edifici (di cui il 15,46 per cento condomini), i cui interventi hanno permesso la riqualificazione energetica di circa 40 milioni di metri quadri di edifici, di cui il 58 per cento rappresentato da condomini, con un risparmio di energia primaria di circa 5.650 gigawattora per anno, di cui circa il 63,4 per cento connesso ad interventi sulle superfici opache e trasparenti, la restante quota connessa agli impianti termici;

    l'ultimo rapporto «110% Monitor» divulgato il 21 febbraio 2023 da Nomisma, sulla base del patrimonio informativo proprietario e dall'analisi di fonte terze, pone in evidenza che – in uno scenario in cui si stima che in Italia il settore delle costruzioni consumi oltre il 30 per cento dell'energia primaria e sia responsabile di circa un terzo delle emissioni di gas serra – risulta particolarmente rilevante la riduzione totale delle emissioni di CO2 in atmosfera per effetto degli interventi sul patrimonio edilizio esistente attivati con il superbonus, con una percentuale media del 40 per cento del totale e con punte fino al 70 per cento nelle grandi città, con una stima in 1,42 milioni di tonnellate in meno;

    la riduzione dei consumi energetici per effetto degli interventi di efficientamento attivati tramite il superbonus, avrebbe un impatto diretto sul bilancio delle famiglie italiane, con risparmi complessivi pari a circa 29 miliardi di euro, considerando che per chi ha beneficiato della misura il risparmio medio in bolletta, anche tenuto conto del periodo straordinario di aumento dei costi dell'energia dovuti alla crisi internazionale, è risultato pari a 964 euro l'anno;

    lo stesso studio di Nomisma stima in 195,2 miliardi di euro l'impatto complessivo del superbonus 110 per cento sull'economia nazionale, con un effetto diretto di 87,7 miliardi – 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto – capace di generare un impatto sociale ha visto un incremento di 641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 in quelli collegati;

    secondo un'indagine prodotta dallo stesso istituto di ricerca a fine 2022, in caso di conferma del sistema degli incentivi anche per il 2023, sarebbero 10,3 milioni le famiglie ancora interessate a un intervento finalizzato all'efficientamento energetico di un immobile di proprietà e di queste, 4,6 milioni di famiglie, dichiaravano di aver già deciso o di aver intenzione di usufruire del superbonus. Inoltre a fronte di 3,5 milioni di famiglie che hanno già iniziato una fase esplorativa, 1,5 milioni dichiarava di aver già avviato i lavori o, addirittura, di aver già completato gli interventi;

    di fronte agli obblighi attesi dalla direttiva Ue sulle case green (entro il 2033 classe minima D) e agli impegni sulla neutralità climatica assunti in sede europea (emissioni zero al 2050), per sostenere la domanda di famiglie eterogenee sotto il profilo reddituale e fiscale, il meccanismo della cessione dei crediti con lo sconto in fattura – che ha rappresentato un importante sblocco del mercato anche in presenza di bonus – risulta insostituibile specialmente per interventi sui condomini, che rappresentano una quota significativa degli immobili meritevoli di ristrutturazione e opere di efficientamento energetico;

    l'incertezza applicativa e i continui interventi di modifica normativa intervenuti, hanno determinato il progressivo blocco del mercato delle cessioni dei crediti fiscali, rimasti incagliati nei cassetti fiscali di cittadini, imprese e di istituti di credito anche a fronte della limitata capienza fiscale, per un valore di oltre 19 miliardi di crediti inutilizzati, ponendo in gravissima difficoltà l'intero settore economico,

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza volte al riordino del quadro degli incentivi e delle agevolazioni fiscali per il settore edilizio in vigore, con particolare riferimento alla stabilizzazione della misura di detrazione fiscale del superbonus nell'arco di almeno 10 anni, anche al fine del rigoroso rispetto degli obiettivi del Fit for 55 per l'edilizia residenziale pubblica e privata, prevedendo altresì percentuali di detrazione differenziate secondo le fasce di reddito e di destinazione dell'immobile a prima casa, anche tramite il rifinanziamento del Fondo nazionale per l'efficienza energetica di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102 con una quota da destinarsi esclusivamente agli interventi di edilizia residenziale pubblica;

2) a predisporre un piano d'intervento di lungo periodo per la ristrutturazione e la rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico e privato, operando un adeguato riequilibrio tra l'intervento pubblico e la partecipazione alle spese da parte dei privati, individuando un meccanismo incentivante di premialità graduato in ragione di indicatori e parametri che consentano di monitorare l'andamento degli interventi e valutarne l'efficacia nel corso del tempo;

3) ad adottare iniziative volte a realizzare una piattaforma nazionale di controllo per la libera circolazione dei crediti fiscali certificata dallo Stato, attraverso la quale il credito generato risulti garantito, in modo da semplificare i meccanismi di controllo, riducendo il rischio di frodi nei meccanismi di cessione;

4) ad assumere ogni iniziativa utile a sbloccare immediatamente i crediti fiscali incagliati, tenendo conto dell'emergenza in atto per imprese e cittadini che pur vantando crediti su lavori già effettuati, non riescono ad avere più liquidità, anche adottando, per quanto di competenza, misure straordinarie finalizzate all'ampliamento della capienza fiscale dei soggetti coinvolti o delle possibilità di compensazione su imposte e tributi di famiglie e imprese.
(1-00075) «Zanella, Evi, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(27 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio) ha introdotto una detrazione pari al 110 per cento delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici, il cosiddetto «Superbonus 110 per cento». L'articolo 121 del medesimo decreto invece ha introdotto il meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura per la quasi totalità degli interventi edilizi per cui è riconosciuto un credito d'imposta;

    la norma prevede che i soggetti che sostengono, negli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024, (solo per il superbonus dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2025) le spese per interventi edilizi sopra citati possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d'imposta, cedibili ad altri soggetti; b) per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli intermediari finanziari;

    dall'entrata in vigore del decreto innumerevoli sono state le modifiche apportate a tali articoli e alla normativa di riferimento, mettendo cittadini ed imprese in grande difficoltà. La disciplina dell'articolo 121, modificata da ultimo dall'articolo 9, comma 4-bis, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, prevedeva la possibilità di cedere il credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, senza facoltà di successiva cessione, fatta salva la possibilità di tre ulteriori cessioni solo se effettuate a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all'albo di società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all'albo ovvero di imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia;

    secondo i dati presentati dall'Enea nel suo rapporto sul Superbonus 110 per cento, al 31 agosto 2022, erano in corso 243.907 interventi edilizi incentivati, per circa 43 miliardi di investimenti ammessi a detrazione che porteranno a detrazioni per 47.3 miliardi di euro. Sono 35.321 i lavori condominiali avviati (66,9 per cento già ultimati), che rappresentano il 48 per cento del totale degli investimenti, mentre i lavori negli edifici unifamiliari e nelle unità immobiliari funzionalmente indipendenti sono rispettivamente 134.397 (72,8 già realizzati che rappresentano il 35,3 per cento del totale investimenti) e 74.184 (77,3 per cento realizzati che rappresentano il 16,7 per cento degli investimenti);

    la regione con più lavori avviati è la Lombardia (37.699 edifici per un totale di oltre 7.2 miliardi di euro di investimenti ammessi a detrazione), seguita dal Veneto (30.553 interventi e 4.2 miliardi di euro d'investimenti) e dal Lazio (21.424 interventi già avviati e 4 miliardi di euro di investimenti);

    purtroppo molte sono state le «frodi» registrate. Le frodi riguardanti i bonus edilizi ammontano a 3,7 miliardi di euro e si concentrano soprattutto sull'ecobonus e sul bonus facciate, come risulta dall'audizione del Comandante generale della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana, nel corso dall'audizione presso la Commissione Finanze VI della Camera, che si è tenuta il 22 febbraio 2023;

    situazione che aveva indotto il Governo ad adottare misure antifrodi con interventi normativi specifici decreto che hanno introdotto l'obbligo dell'asseverazione di congruità delle spese e del visto di conformità anche per la cessione di bonus diversi dal 110 per cento, nonché l'obbligo di assoggettare al visto di conformità anche l'utilizzo diretto del superbonus nella dichiarazione dei redditi; con il decreto-legge n. 4 del 2022 sono state vietate le cessioni «a catena» ritenendo legittimo un solo trasferimento;

    la conseguenza di una serie di fattori ha portato al blocco delle cessioni dei crediti fiscali detenuti nei cassetti delle imprese dei cittadini e degli istituti di credito per un valore di oltre 5 miliardi di crediti inutilizzati;

    l'ultimo intervento varato dal Governo in materia risulta essere il decreto-legge n. 11 del 2023, attualmente all'esame della Camera dei deputati, avente ad oggetto misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nel quale si interviene essenzialmente su due specifici ambiti riguardanti i crediti d'imposta nel settore edilizio ed energetico: in primo luogo sono introdotte misure volte ad escludere la cedibilità dei crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni e ad eliminare, a far data dal 17 febbraio 2023, la possibilità di fruire di questi crediti d'imposta attraverso la cessione del credito e lo sconto in fattura. Il secondo aspetto concerne la responsabilità del terzo cessionario, rispetto alla quale sono introdotte alcune precisazioni volte a circoscrivere la responsabilità solidale del terzo cessionario di buona fede di un credito d'imposta del quale si rilevi l'indebita fruizione;

    la carenza di liquidità delle imprese del settore edile ha raggiunto livelli estremamente preoccupanti;

    per sbloccare questa drammatica situazione il Governo dovrebbe valutare la possibilità di mantenere in essere lo sconto in fattura senza ulteriore cessione da parte del fornitore che ha applicato lo sconto; valutare nel caso dei cosiddetti «superbonus e sismabonus» di aumentare da 5 a 10 anni il termine per portare in detrazione la somma specifica; valutare la possibilità di garantire un «cuscinetto temporale» per quelle pratiche edilizie consegnate in comune per il rilascio del titolo abilitativo specifico (permesso di costruire o Cilas) i cui lavori non risultano essere ancora iniziati a causa dell'ingente attività amministrativa e tecnica in capo ai comuni, prevedendo il termine del 31 marzo 2023 per l'inizio dei lavori per le sole pratiche edilizie già trasmesse nei termini di legge ai comuni;

    la situazione risulta totalmente fuori controllo, mentre sarebbe fondamentale mantenere tali incentivi visti i programmi ambiziosi dell'Europa in tema di efficienza energetica che permetterebbero di realizzare l'aumento dell'efficienza degli edifici dell'UE;

    si ricorda che nell'ambito del piano «Fit for 55», il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo su una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia. L'iniziativa trova le sue basi sui dati relativi alle emissioni in Europa da cui emerge come gli edifici siano responsabili del 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate all'energia. Per tale motivo, con l'obiettivo di ridurre le emissioni nell'Ue di almeno il 55 per cento entro il 2030, la proposta di revisione della direttiva, in discussione nei prossimi mesi, prevede che gli edifici residenziali con le peggiori prestazioni dovranno raggiungere almeno la classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033;

    sono sempre più necessarie iniziative e azioni che si concretizzino in misure che valorizzino la nostra storia, la nostra identità ed il nostro patrimonio architettonico ed edilizio esistente. Una particolarità questa, che si inserisce in maniera preponderante nella struttura portante del nostro Paese che è fatto da ben circa 5.500 piccoli comuni;

    bisogna tenere presente che le aree più marginali del nostro Paese, prevalentemente montane, senza concreti ed immediati interventi di politica e pianificazione territoriale ed economica, rischiano la completa desertificazione antropica, economica e sociale. Per queste aree, se i trend demografici non subiranno una decisa inversione di tendenza, si rischia la soglia del non ritorno. Territori abbandonati significa dissesto e problematiche territoriali e fisiche che hanno, e che avranno sempre più, costi rilevanti per il sistema Italia;

    per invertire la generale ed allarmante tendenza allo spopolamento dei territori marginali e del patrimonio edilizio, architettonico e paesaggistico occorre procedere celermente a concretizzare azioni e politiche di sistema in grado di promuovere e rilanciare il recupero abitativo e produttivo e lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale di questi territori. Sempre più necessaria quindi una ridefinizione delle azioni e delle misure politiche nazionali in favore dei territori e dei cittadini residenti nelle aree più marginali, sia riguardo ai servizi sia allo sviluppo ed al mantenimento delle attività produttive e al recupero e riqualificazione dei fabbricati, sia a livello energetico che sismico e strutturale, che testimoniano le irrinunciabili peculiarità locali e tipicità italiane;

    questo percorso deve avviarsi partendo da una maggiore semplificazione delle procedure e attraverso una rivisitazione della strategia nazionale delle aree interne, anche nell'ottica di dare corpo alla direttiva europea di prossima approvazione e applicazione. Azioni, queste, che necessitano di una regia nazionale e che da una parte si concentrino sulle aree conurbate dei principali agglomerati residenziali e produttivi e dall'altra verso quelle aree in cui la desertificazione demografica è più evidente. «L'agenda del controesodo» per queste aree deve diventare una priorità e le misure a sostegno dell'edilizia e del recupero e riqualificazione del nostro patrimonio edilizio possono, anzi, devono diventare strumento strutturale dello sviluppo del Paese Italia;

    la costruzione di questa agenda presuppone una verifica, un rinnovamento e l'aggiornamento di tutte le politiche che ad oggi sono state indirizzate a sostenere la vasta tipologia dei comuni caratterizzati da agglomerazioni «minori» come i territori rurali e montani. Un'agenda del controesodo, quindi, in cui si declinino in maniera innovativa le seguenti tematiche: incentivi e premialità per il recupero e riqualificazione ambientale dei nostri borghi, agevolando l'associazionismo produttivo e commerciale; strategia per le «green communities» e la rigenerazione urbana; incentivi per sostegno alla residenza nei borghi e villaggi e riqualificazione del patrimonio edilizio; sostegno e per le attività produttive, il commercio e il turismo; misure di vantaggio fiscale; piena copertura e operatività della connettività e delle frequenze radio-televisive; semplificazione amministrativa e informatizzazione dei servizi resi ai cittadini e alle imprese per favorire l'insediamento soprattutto nelle aree più fragili,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte al complessivo riordino del sistema di incentivazione per il restauro e risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia, definendo modalità strutturali finalizzate alla semplificazione tecnico-amministrativa, in modo da generare e mettere in campo misure strutturali per favorire le azioni di efficientamento energetico e sismico del patrimonio edilizio residenziale;

2) ad adottare iniziative di competenza volte a tenere conto, con riferimento all'applicazione della direttiva europea sulla prestazione energetica nell'edilizia, della valenza storica, architettonica e paesaggistica del nostro patrimonio edilizio, intervenendo in sede di Unione europea affinché le risorse previste vengano incrementate adeguatamente, e coordinando l'utilizzo delle future risorse europee disponibili con quelle ordinarie nazionali, al fine di mantenere efficiente un comparto strategico per il nostro Paese;

3) ad adottare iniziative volte a favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente abbandonato o sotto utilizzato, al fine di contrastare in qualsiasi modo la desertificazione dei borghi e villaggi soprattutto dei piccoli comuni, prevedendo misure incentivanti anche per gli interventi edilizi privi di caratteristiche di efficientamento e adeguamento antisismico, al fine di agevolare ai fini residenziali il ripopolamento dei territori più marginali;

4) ad adottare iniziative volte a contrastare la desertificazione dei borghi e villaggi, non solo a fini residenziali di cui al precedente impegno n. 3) ma anche per individuare specifici sistemi incentivanti per la collocazione nel patrimonio edilizio esistente, di piccole attività commerciali, produttive, artigianali e di ricettività diffusa, nonché misure di incentivazione per l'efficientamento energetico e sismico degli immobili produttivi esistenti in generale destinati ai soggetti esercenti attività d'impresa, arti o professioni, con l'obiettivo di rilanciare interi comparti virtuosi del nostro Paese;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a sbloccare il mercato delle cessioni secondo modalità coerenti con le strategie e indicazioni dell'Unione europea o altri enti, adottando anche iniziative volte a semplificare le procedure documentali amministrative e tecniche;

6) a valutare la possibilità di mantenere in essere lo sconto in fattura senza ulteriore cessione da parte del fornitore che ha applicato lo sconto;

7) a valutare la possibilità, nel caso dei cosiddetti «superbonus e sismabonus», di aumentare da 5 a 10 anni il termine per portare in detrazione la somma specifica;

8) a valutare la possibilità di garantire un «cuscinetto temporale» per quelle pratiche edilizie consegnate in comune per il rilascio del titolo abilitativo specifico (permesso di costruire o Cilas) i cui lavori non risultano essere ancora iniziati a causa dell'ingente attività amministrativa e tecnica in capo ai comuni, prevedendo il termine del 31 marzo 2023 per l'inizio dei lavori per le sole pratiche edilizie già trasmesse nei termini di legge ai comuni;

9) a favorire la massima partecipazione delle associazioni rappresentative delle imprese, delle arti e professioni, dei comuni e del mondo finanziario e bancario, al fine di creare un tavolo di regia permanente in materia di riqualificazione e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente del nostro Paese.
(1-00076) «Manes, Schullian, Gallo».

(27 febbraio 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE ALLA VICENDA NOTA COME «QATARGATE»

   La Camera,

   premesso che:

    il più grave scandalo che l'Unione europea abbia finora mai vissuto, noto come «Qatargate», scoppia il 9 dicembre 2022 quando la polizia belga, su mandato del giudice istruttore Michel Claise, richiama a Bruxelles la vice presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, al fine di perquisire sia la sua abitazione che il suo ufficio, oltre che abitazioni e luoghi di lavoro di altre persone sulle quali l'anticorruzione del Belgio aveva avviato un'indagine partita a luglio dello stesso anno;

    le perquisizioni della polizia belga hanno portato ad otto arresti, ovvero quello della vice presidente del Parlamento europeo Eva Kaili (Movimento socialista panellenico), del suo assistente Francesco Giorgi, dell'ex parlamentare europeo (membro del Partito democratico fino al 2017 e di Articolo 1 fino al 2022) ed ex segretario generale della camera del lavoro di Milano Antonio Panzeri (insieme alla moglie e alla figlia), di Luca Visentini, segretario della Confederazione internazionale dei sindacati (poi rilasciato) e di Niccolò Figà-Talamanca, capo dell'organizzazione non governativa «No Peace Without Justice», ora in libertà vigilata;

    per tutti i soggetti arrestati l'accusa è di corruzione, riciclaggio, associazione a delinquere;

    nella sua indagine, il giudice istruttore Claise ha mirato al cuore di un sistema basato sulla contiguità tra politici e lobbisti, sul confine tra diplomazia e interesse, sulla relazione tra potere, ideali, denaro;

    oltre che essere stato un deputato del Parlamento europeo e segretario della Camera del lavoro di Milano, Antonio Panzeri risulta essere il fondatore della «Fight Impunity», ovvero una organizzazione non governativa (ong) con il fine dichiarato di promuovere i diritti umani ed organizzare eventi che, stando a quanto emerso dalle indagini della polizia belga, è stata utilizzata da tramite per facilitare il riciclaggio di fondi illeciti, mettendo così in discussione la legittimità e l'integrità delle ong affiliate a determinati gruppi politici o deputati al Parlamento europeo;

    nell'abitazione del Panzeri, la polizia belga ha trovato 600 mila euro in contanti, computer e telefoni cellulari, mentre in quella di Kaili e Giorgi sono stati rinvenuti 150 mila euro in contanti, ai quali vanno sommati ulteriori 600 mila euro trovati all'interno di un trolley che il padre della Kaili, Alexandros Kaili, ha tentato di portar via dall'hotel Sofitel di Place Jourdan di Bruxelles prima di essere fermato dalla polizia;

    in totale, le operazioni di sequestro delle autorità belghe ammontano a 1,5 milioni di euro;

    secondo gli inquirenti i corruttori sono il Qatar ed il Marocco, in cerca di sponde interne ai palazzi dell'Unione europea al fine di perseguire obiettivi strategici e riscattare la propria immagine di Stati autoritari con pessimi standard sui diritti umani;

    sempre secondo la pista investigativa, tra le priorità del Qatar, che da anni infiltra l'Occidente con investimenti e acquisizioni, dalla difesa all'immobiliare, e che, a partire dalla crisi energetica per la guerra ucraina, intende blindare la sua leadership nell'export di gas naturale liquefatto, c'erano i campionati mondiali di calcio (organizzati proprio dal Qatar) e il tentativo di mettere in ombra le condizioni di schiavitù imposte ai lavoratori che hanno costruito gli stadi e in moltissimi casi perso la vita;

    quanto al Marocco, nell'intera vicenda ha fatto leva sui migranti (quelli clandestini) come strumento di pressione sull'Europa, per ottenere in cambio la concessione di un maggiore numero di visti ai cittadini marocchini, oltre che sulla necessità di Rabat di far riconoscere dalla comunità internazionale il Sahara occidentale come regione sotto la propria sovranità, al fine di poter continuare ad estrarre liberamente i fosfati, impiegati come concime e fertilizzante (ad oggi, le Nazioni Unite considerano illegali le estrazioni di fosfati da parte del Marocco nel territorio del Sahara occidentale);

    inoltre, l'intervento di Panzeri a favore del Marocco sarebbe legato, secondo gli inquirenti, al voto con cui nel 2019 il Parlamento europeo approvò un «accordo di pesca» che include esplicitamente anche il Sahara occidentale: accordo poi annullato nel 2021 dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, proprio perché sancirebbe «il diritto di sfruttamento di uno Stato occupante in un territorio riconosciuto internazionalmente “non autonomo”», senza il consenso della popolazione Sahrawi e del suo legittimo rappresentante politico, ovvero il Fronte Polisario;

    nel corso degli interrogatori cui sono stati sottoposti, sia Antonio Panzeri che Francesco Giorgi hanno fatto ulteriori nomi di persone che sarebbero coinvolte nello scandalo, ovvero gli eurodeputati Antonio Cozzolino del Partito democratico e Marc Tarabella del Partito socialista;

    in data 2 febbraio 2023, il Parlamento Europeo in seduta plenaria ha votato a favore della revoca dell'immunità sia di Cozzolino che di Tarabella i quali, conseguentemente, sono stati posti in stato di arresto,

impegna il Governo:

1) nelle competenti sedi europee a sostenere ogni iniziativa utile al contrasto della corruzione;

2) ad agire, nelle sedi e secondo le procedure previste dalla giurisdizione belga, al fine di costituirsi come parte civile nel procedimento penale in essere, per la salvaguardia e tutela dell'immagine dell'Italia nel contesto internazionale;

3) ad aggiornare il Parlamento in merito agli sviluppi della vicenda di cui in premessa.
(1-00071) «Foti, Messina, Gardini, Antoniozzi, Ruspandini, Almici, Ambrosi, Amich, Amorese, Baldelli, Benvenuti Gostoli, Buonguerrieri, Caiata, Calovini, Cangiano, Cannata, Caramanna, Caretta, Cerreto, Chiesa, Ciaburro, Ciancitto, Ciocchetti, Colombo, Colosimo, Comba, Congedo, Coppo, De Bertoldi, De Corato, Deidda, Di Giuseppe, Di Maggio, Dondi, Donzelli, Filini, Frijia, Giordano, Giorgianni, Giovine, Iaia, Kelany, Lampis, Lancellotta, La Porta, La Salandra, Longi, Loperfido, Lucaselli, Maccari, Maerna, Maiorano, Malagola, Malaguti, Mantovani, Marchetto Aliprandi, Mascaretti, Maschio, Matera, Matteoni, Mattia, Maullu, Michelotti, Milani, Mollicone, Morgante, Mura, Osnato, Padovani, Palombi, Pellicini, Perissa, Pietrella, Polo, Pozzolo, Pulciani, Raimondo, Rampelli, Rizzetto, Roscani, Angelo Rossi, Fabrizio Rossi, Rosso, Rotelli, Rotondi, Gaetana Russo, Sbardella, Schiano Di Visconti, Schifone, Rachele Silvestri, Testa, Trancassini, Tremaglia, Tremonti, Urzì, Varchi, Vietri, Vinci, Volpi, Zucconi, Zurzolo».

(22 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    il 9 dicembre 2022, ricorrenza della Giornata internazionale contro la corruzione, le indagini avviate dal mese di luglio 2022 dalla procura federale di Bruxelles sono sfociate in un blitz della polizia belga che, per il tramite di perquisizioni di abitazioni e luoghi di lavoro, ha portato al sequestro di somme di denaro in contanti per un valore di circa un milione e mezzo di euro, di attrezzature informatiche e di telefoni cellulari, nonché al fermo e all'interrogatorio, successivamente all'arresto, delle prime quattro persone oggetto dell'indagine;

    le persone sono: Eva Kaili, parlamentare europea greca del Partito socialista nonché vicepresidente del Parlamento europeo; Antonio Panzeri, già segretario della Camera del lavoro a Milano dal 1995 al 2003, per tre mandati, fino al 2019, parlamentare europeo italiano membro del Partito Democratico; Francesco Giorgi, compagno di Eva Kaili, assistente del parlamentare europeo del Partito Democratico Andrea Cozzolino ed ex assistente parlamentare di Antonio Panzeri; Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della organizzazione non governativa No peace without justice; Luca Visentini, ex dirigente della Uil in Friuli Venezia Giulia e dal novembre 2022 segretario della Ituc, la Confederazione sindacale mondiale che rappresenta più di 200 milioni di lavoratori (successivamente rilasciato);

    dagli atti dell'inchiesta sono emerse le ipotesi accusatorie di associazione a delinquere, riciclaggio di denaro e corruzione da parte di uno Stato del Golfo Persico, il Qatar, e, successivamente, del Marocco, con l'obiettivo comune di «influenzare decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo attraverso grandi somme di denaro e importanti regali a parti terze con un ruolo politico e/o una posizione strategica dentro il Parlamento europeo»;

    successivamente, l'allargamento dell'inchiesta ha coinvolto altre persone, tra le quali la moglie e la figlia di Antonio Panzeri, accusate di favoreggiamento, il padre di Eva Kaili, fermato mentre trasportava una borsa piena di banconote fuori dalla casa della figlia, la parlamentare europea Lara Comi, membro di Forza Italia, e i parlamentari europei Antonio Cozzolino, membro del Partito Democratico, e Marc Tarabella, membro del Partito Socialista, questi ultimi attualmente in stato d'arresto dopo il voto in seduta plenaria del Parlamento europeo che ha revocato loro l'immunità;

    le indagini della procura belga si sono concentrate sulla Fight impunity, organizzazione non governativa a sostegno dei diritti umani, fondata da Antonio Panzeri nel 2019, in concomitanza alla conclusione dei mandati in qualità di parlamentare europeo, con il sospetto che vi sia stata coincidenza «criminale» di interessi, tra un ex parlamentare europeo di lungo corso che ha inteso mettere a frutto la fitta ed estesa rete di contatti accumulati e la necessità del Qatar di ripulire la sua immagine in relazione alle violazioni dei diritti umani, che gli avrebbero ridotto o impedito la possibilità di accordi economici o strategie commerciali con l'Unione europea; in proposito, fanno testo le dichiarazioni e le posizioni «pro-Qatar» caldeggiate e assunte da Panzeri, da Kaili e da altri membri del Gruppo Socialisti e Democratici anche in occasione del dibattito e della votazione su una risoluzione sulle violazioni di diritti umani in vista della Coppa del Mondo 2022 che si sarebbe, e si è, svolta a Doha, Qatar;

    gli organi della stampa hanno dato evidenza anche alla posizione del Marocco, emersa dalle carte della procura belga, anch'esso interessato a migliorare la sua immagine all'interno delle istituzioni europee, a tal fine individuando modalità per influenzare, al pari del Qatar, le opinioni e i voti dei parlamentari europei;

    gli interessi del Marocco risulterebbero variegati e in corso da molto tempo: si apprende dalla stampa della divulgazione di alcuni dati, calcolati dall'organizzazione non governativa Statewatch, secondo i quali l'Unione europea avrebbe finanziato il Marocco, dal 2019, con 346 milioni di euro per il controllo delle frontiere esterne, da cui passano ogni anno migliaia di migranti diretti verso l'Unione europea, e altre ingenti risorse finanziarie sarebbe state pagate al Marocco al fine di garantire l'accesso di pescatori europei nelle sue acque territoriali; ma la vicenda più spinosa del Marocco è, anch'essa, strettamente connessa con i diritti del territorio e del popolo sahrawi, del quale l'Unione europea e, in particolare, il Parlamento europeo hanno sostenuto la causa ai fini dell'indipendenza e del riconoscimento dell'identità, negate dal Marocco che lo occupa militarmente; anche in questo caso, vi sarebbe motivo di credere che vi siano state ingerenze, a fronte delle parole spese, tra gli altri, da Antonio Panzeri, che favorivano un orientamento più morbido verso la monarchia del Marocco, onde agevolarne i rapporti politici ed economici con le istituzioni europee, ostacolati dalla scarsa democraticità e dalla violazione dei diritti umani;

    non v'è certamente necessità di chiarire che le attività di lobbying verso le istituzioni nulla hanno a che vedere con le dazioni di denaro «in nero» che influenzano opinioni, comprano pacchetti di voti o favoriscono esternazioni di apprezzamento verso un Paese o un fatto, da ascriversi ad altre fattispecie e da qualificarsi come gravi reati di corruzione, ma v'è certamente un'estrema necessità di regolamentare quella zona grigia, quel «limbo legale» in cui si muovono e versano non poche condotte, che rischiano di minare la legittimità dei processi decisionali democratici e la fiducia dei cittadini, nonché di gettare ombra e sospetto sull'origine e sulla libertà di tutte le opinioni espresse;

    i fatti contestati, la loro portata e ampiezza e le implicazioni finora emerse dall'inchiesta belga – ribattezzata «Qatargate» dal nome del primo dei due Paesi che, finora, risultano coinvolti – sono pesanti e gravissimi: la fitta rete di corruttele, aggravata dalle sue finalità, da ascriversi alla volontà di ingerenza di Paesi stranieri nelle decisioni del Parlamento europeo, impone di colmare un'evidente carenza di strumenti a sostegno della trasparenza e dell'integrità e di contrasto alla corruzione;

    giova ricordare i casi di irregolarità o di frodi in danno al bilancio europeo: il più recente dei quali riguarda il sequestro, eseguito dalla Guardia di finanza di Brescia, di oltre 170 mila euro, disposto dalla Procura europea (Eppo) di Milano nei confronti della parlamentare europea leghista Stefania Zambelli, per un sospetto di frode al bilancio europeo per la retribuzione illecita dei suoi quattro assistenti parlamentari che non avrebbero svolto le attività connesse alla funzione per la quale erano stati assunti e avrebbero documentato, falsamente quindi, titoli di studio, competenze ed attività al Parlamento europeo, che remunera direttamente gli assistenti dei parlamentari europei; tra i quattro assistenti, uno risulterebbe essere un «noto ultrà delle tifoserie milaniste»;

    la Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell'Unione europea, istituita con decisione del Parlamento europeo ha evidenziato, nella sua relazione finale presentata al Parlamento europeo nell'ottobre 2021, l'accelerazione dei fenomeni di ingerenza, segnalando, tra gli altri, la cosiddetta élite capture, l'attività di lobbying industriale, il controllo di centri accademici e culturali, il finanziamento occulto delle attività politiche, fenomeno, quest'ultimo, rileva la relazione, che compromette gravemente l'integrità del funzionamento democratico e non risulta essere illegale in senso stretto, in quanto consentito da numerose lacune derivanti dalle disposizioni relative al finanziamento delle attività politiche previsto dalle legislazioni nazionali degli Stati membri dell'Unione europea in materia elettorale;

    in proposito, preme segnalare che il 9 gennaio 2019, nel nostro Paese, collocate all'interno della legge n. 3 del 2019, cosiddetta «spazzacorrotti», sono entrate in vigore misure per la trasparenza dei partiti e dei movimenti politici: in particolare, è stato introdotto, per i partiti e i movimenti politici, nonché per le liste che partecipano alle elezioni nei comuni con più di 15.000 abitanti, il divieto di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno da Governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate ad obblighi fiscali in Italia;

    la legge cosiddetta «spazzacorrotti», proposta dal Ministro della giustizia pro tempore Bonafede ed approvata nel corso del Governo Conte I, ha recato, altresì, misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e non può sottacersi come proprio grazie ad essa l'Italia abbia ricevuto il plauso da parte del Greco (il gruppo di Stati contro la corruzione in seno al Consiglio d'Europa), a margine della sua attività di valutazione di conformità delle legislazioni vigenti degli Stati aderenti agli standard anti-corruzione. La suddetta legge ha introdotto, tra gli altri, nuovi poteri per le autorità inquirenti (agenti sotto copertura, potenziamento delle intercettazioni per i reati connessi alla corruzione), un incremento delle sanzioni per le persone sia giuridiche sia fisiche, ulteriori adeguamenti dei reati di corruzione privata e traffico di influenze e l'interruzione dei termini di prescrizione dopo la condanna di primo grado. In particolare, il Greco ha mostrato apprezzamento rispetto all'avvenuto allineamento del reato di traffico di influenze illecite ai requisiti di cui alla Convenzione penale sulla corruzione (articolo 12), colmando, così, una lacuna più volte segnalata dal medesimo organo europeo. In un'ottica di messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché di continuazione nel reperimento delle risorse da esso derivate, non sfugge, dunque, l'importanza del mantenimento dello strumento de quo anche al fine di scongiurare ipotetiche attività illecite attirate dall'ingente quantità di afflusso di danaro. Infatti, un allentamento dei presidi contro i fenomeni corruttivi non può che esporre al pericolo di infiltrazioni da parte delle organizzazioni criminali che potrebbero, di guisa, mettere in discussione anche l'erogazione dei fondi da parte dalla stessa Unione europea;

    nel medesimo contesto temporale caratterizzato, come detto, da gravissime condotte corruttive in ambito comunitario ed internazionale è risultata inequivocabile, sul piano nazionale interno – da parte del Governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene – la volontà di affievolire ed ammansire gli istituti giuridici a tutela della legalità e di depotenziare la capacità di risposta del nostro ordinamento al fenomeno corruttivo nelle sue molteplici declinazioni, anche in considerazione dei profili applicativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

    in particolare, si segnala l'eliminazione dei più gravi reati di corruzione dal novero dei reati cosiddetti ostativi, l'annunciato restyling del sistema penale e legalitario, costituito dal disincentivo ai pagamenti elettronici e tracciabili, dall'annunciata ulteriore depenalizzazione del reato di abuso d'ufficio, dal ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite, dalla demonizzazione e dal taglio delle intercettazioni, dal tentativo di inserire – nel corso dell'esame della legge di bilancio per il 2023 – un condono penale per i reati tributari;

    è evidente che la lotta alle condotte corruttive di carattere internazionale passi, inevitabilmente, attraverso un approccio ordinamentale e politico nazionale coerente e congruo,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, dell'adozione di ogni misura utile a individuare le carenze di strumenti di prevenzione e di regole sulla trasparenza, sull'integrità, sulla responsabilità e sul contrasto alla corruzione e a proporre iniziative per sopperirvi;

2) a proporre, nelle competenti sedi europee, la costituzione di un consesso per la valutazione, la condivisione e l'adozione, da parte del Parlamento europeo, delle migliori prassi e delle più idonee discipline per l'inquadramento giuridico e la regolamentazione delle attività di lobbying, per un'efficace attività di prevenzione e di contrasto alla corruzione;

3) al fine di tutelare l'indipendenza dei rappresentanti delle istituzioni governative, parlamentari e territoriali da influenze straniere, ad adottare iniziative normative volte a introdurre nel nostro ordinamento il divieto di accettazione, nel corso del mandato ricoperto e anche in un periodo successivo alla sua cessazione, di contributi, prestazioni, controprestazioni o altre forme di sostegno erogati direttamente e/o indirettamente da Governi, enti pubblici di Stati esteri, persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate ad obblighi fiscali in Italia, anche attraverso società o enti, anche mediante interposta persona, corredando l'impianto normativo di un procedimento sanzionatorio per le condotte oggetto di violazione del divieto.
(1-00084) «Francesco Silvestri, Baldino, Alfonso Colucci, Auriemma, Penza, Riccardo Ricciardi, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Lomuti, Conte, Onori, Scutellà, Bruno, Scerra».

(6 marzo 2023)