TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 690 di Lunedì 9 maggio 2022

 
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MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER LA RIORGANIZZAZIONE DELL'ASSISTENZA SANITARIA TERRITORIALE

   La Camera,

   premesso che:

    la pandemia da COVID-19 ha creato gravi problemi sanitari, economici e sociali in tutto il mondo; questa emergenza sanitaria ha drammaticamente amplificato le fragilità del nostro Servizio sanitario nazionale, mettendolo a dura prova per carenza di strutture, di personale, per disomogeneità regionali;

    in quest'ultimo anno sono stati adottati numerosi provvedimenti per rafforzare la nostra sanità, specialmente all'interno dei reparti ospedalieri maggiormente coinvolti nell'emergenza, finalizzati ad implementare l'organico ed assumere tra personale sanitario, infermieristico e socio-sanitario, secondo quanto riferito dal ministero della salute, più di 36.000 unità;

    l'ultima legge di bilancio ha previsto fondi per investimenti in edilizia e attrezzature sanitarie, delineando un percorso di miglioramento non solo strutturale e nell'ambito della sicurezza ma anche impiantistico e di ammodernamento tecnologico;

    dopo un ampio ciclo di audizioni si è giunti ad individuare quali siano le necessità prioritarie da affrontare attraverso l'utilizzo dei fondi del Recovery fund, con i quali si auspica che si potranno finalmente apportare le giuste riforme sui punti deboli del nostro Ssn, emersi anche a seguito di questa pandemia;

    tra le linee d'intervento e i progetti in cui si articola la Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), relativa alla salute, si evidenzia, in particolare il potenziamento della rete di assistenza territoriale, sanitaria e socio-sanitaria, quale elemento imprescindibile per garantire una risposta assistenziale appropriata ed efficace, in grado di demandare agli ospedali le attività di maggiore complessità, concentrando a livello territoriale le prestazioni meno complesse, attraverso lo sviluppo delle case di comunità, l'assistenza domiciliare integrata (Adi), la telemedicina, nonché implementando la presenza sul territorio degli ospedali di comunità;

    nel mese di febbraio 2022 il Ministro della salute ha trasmesso alla Conferenza Stato-regioni il documento, cosiddetto «DM71», recante gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza territoriale e al sistema di prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, standard che le regioni e province autonome saranno tenute a garantire, in coerenza con la Missione 6 del Pnrr, attraverso l'adozione di un provvedimento generale di programmazione dell'assistenza territoriale, analogamente a quanto avvenuto con il cosiddetto «DM 70» con riferimento alla assistenza ospedaliera;

    il 16 marzo 2022 la Conferenza Stato-regioni ha esaminato lo schema di decreto ministeriale cosiddetto «DM 71» e, pur rinviando l'intesa sul provvedimento in attesa dell'esame da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ha posto alcune condizioni: progressività nell'attuazione in relazione anche alle risorse; un'adeguata implementazione e potenziamento del fabbisogno del personale e un'adeguata copertura finanziaria; costituzione di un Tavolo di lavoro per la determinazione delle risorse necessarie; riforma urgente ed indifferibile delle disposizioni in materia di medici di medicina generale e un aggiornamento del percorso formativo; assunzione di medici di comunità e delle cure primarie e di medici dei servizi territoriali da impiegare nelle case della comunità, a seguito di appositi corsi abilitanti organizzati a cura delle regioni; impiego di tutto il personale sanitario e amministrativo necessario e risorse correlate; adozione di un successivo provvedimento per ulteriori setting territoriali, quali salute mentale, dipendenze patologiche, neuropsichiatria infantile; secondo quanto si evince dalla bozza del «DM71», nell'ambito del distretto, quale un'articolazione organizzativo-funzionale dell'Azienda sanitaria locale (Asl) sul territorio di circa 100.000 abitanti, con variabilità secondo criteri di densità di popolazione e caratteristiche orografiche del territorio, la programmazione deve prevedere i seguenti standard:

     a) almeno una casa della comunità hub ogni 40.000-50.000 abitanti;

     b) case della comunità spoke e ambulatori di medici di medicina generale (Mmg) e pediatri di libera scelta (Pls) tenendo conto delle caratteristiche orografiche e demografiche del territorio al fine di favorire la capillarità dei servizi e maggiore equità di accesso, in particolare nelle aree interne e rurali. Tutte le aggregazioni dei Mmg e Pls (Aft e Uccp) sono ricomprese nelle case della comunità avendone in esse la sede fisica oppure a queste collegate funzionalmente;

     c) almeno un infermiere di famiglia o comunità ogni 2.000-3.000 abitanti. Tale standard è da intendersi come numero complessivo di infermieri di famiglia o comunità impiegati nei diversi setting assistenziali in cui l'assistenza territoriale si articola;

     d) almeno un'unità di continuità assistenziale (un medico e un infermiere) ogni 100.000 abitanti;

     e) una centrale operativa territoriale ogni 100.000 abitanti o comunque a valenza distrettuale, qualora il distretto abbia un bacino di utenza maggiore;

     f) almeno un ospedale di comunità dotato di 20 posti letto ogni 50.000-100.000 abitanti;

    nell'ambito dell'anzidetto potenziamento dell'assistenza territoriale, quindi, le case della comunità rappresentano, secondo quanto riportato nella bozza del «DM71», il modello organizzativo che rende concreta l'assistenza di prossimità e il luogo fisico al quale l'assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria;

    la casa della comunità promuove un modello di intervento integrato e multidisciplinare, in qualità di sede privilegiata per la progettazione e l'erogazione di interventi sanitari. L'attività, infatti, deve essere organizzata in modo tale da permettere un'azione d'équipe tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali interni – anche nelle loro forme organizzative – infermieri di famiglia o comunità, altri professionisti della salute disponibili a legislazione vigente nell'ambito delle aziende sanitarie, quali ad esempio psicologi, ostetrici, professionisti dell'area della prevenzione, della riabilitazione e tecnica, e assistenti sociali, anche al fine di consentire il coordinamento con i servizi sociali degli enti locali del bacino di riferimento;

    trattandosi di una impostazione innovativa, come si evince dal Pnrr e dal documento «DM71», è necessario individuare un layout e indicatori utili a verificare se gli obiettivi previsti vengono raggiunti e in quale misura, non solo sotto l'aspetto della sostenibilità economica ma, soprattutto, dei risultati in termini di miglioramento dello stato di salute della comunità nonché della sua coesione sociale;

    con il rafforzamento dell'assistenza domiciliare integrata (Adi), quale servizio a valenza distrettuale, previsto anche nel «DM71» secondo lo standard del 10 per cento della popolazione over 65 da prendere carico progressivamente, e finalizzato all'erogazione al domicilio di interventi caratterizzati da un livello di intensità e complessità assistenziale variabile nell'ambito di specifici percorsi di cura e di un piano personalizzato di assistenza, attraverso prestazioni professionali del personale sanitario e socio-sanitario oltre che mediante il potenziamento dei supporti tecnologici e digitali per una sanità che utilizzi la telemedicina per le cure a distanza, la presa in carico dovrà essere personalizzata e globale, nei confronti di ogni fragilità tale da consentire risposte adeguate attraverso la presenza di operatori che siano punto di riferimento certo nel tempo per i soggetti coinvolti l'affiancamento e sostegno dedicato a caregivers familiari e badanti;

    il rafforzamento delle cure intermedie è perseguito attraverso la realizzazione di ospedali di comunità, quali presìdi sanitari a lunga degenza con funzioni «intermedie» tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, anche attraverso la riconversione o la riqualificazione di progetti e strutture già esistenti nonché la valorizzazione e il coinvolgimento delle strutture pubbliche e private convenzionate o convenzionabili con il Servizio sanitario nazionale;

    l'ammodernamento delle tecnologie ospedaliere, la digitalizzazione dei processi clinico-assistenziali, il completamento e la diffusione del fascicolo sanitario elettronico (Fse), saranno finalizzati a rafforzare ulteriormente anche l'assistenza territoriale;

    i problemi esistenti del nostro sistema sanitario sono riconducibili a: alto costo per prestazione con risorse economiche limitate; incremento costante delle richieste di intervento; strutture di ricovero non del tutto idonee (50 per cento degli ospedali hanno meno di 120 posti letto); vetustà del patrimonio edilizio e tecnologie disponibili obsolete; ricoveri non appropriati per degenze prolungate; pronto soccorso con eccesso di utenza e tempi di risposta inadeguati; livelli di sicurezza non sempre appropriati; tempi di attesa elevati per le prestazioni sanitarie; scarsità di personale in termini quali/quantitativi; sede di ricovero non appropriata; copertura completa in ricovero tipici su 5/6 giorni per 8-12 ore/die; bisogni dell'utenza variati e risposte non sempre personalizzate o non sufficientemente personalizzate; elevato livello di burocratizzazione con processi particolarmente complessi per esigenze amministrative; modello organizzativo e normativo ante riforma di cui alla legge n. 833 del 1978 con base organizzativa e gestionale derivata dai modelli mutualistici ante riforma;

    dinanzi alle suddette criticità si indicano, come elenco non esaustivo, anche tutti quegli elementi che potrebbero configurarsi come azioni qualificanti di politica sanitaria, adeguate al nostro sistema sociale ossia; alto livello di appropriatezza e di sicurezza; riduzione della frequenza delle patologie e della loro gravità; riduzione degli sprechi; riduzione delle degenze medie; qualità e tempestività della risposta; semplificazione clinica, organizzativa ed amministrativa; ottimizzazione del numero delle strutture e dei posti letto; costo moderato per prestazione; attività di servizio sette giorni su sette e per 24 ore; elevato utilizzo degli impianti tecnologici; remunerazione mista, per risultato, per prestazione, per quota capitaria e per servizio; risposte personalizzate; partecipazione e coinvolgimento attivo del cittadino; organizzazione di un servizio sanitario e socio sanitario integrato; migliore qualità di vita per il singolo e per la comunità; compatibilità economica con le risorse disponibili;

    nell'ambito di una riorganizzazione efficace del nostro sistema sanitario, buona parte delle azioni qualificanti su indicate potrebbero essere riconducibili all'attribuzione al medico di famiglia della responsabilità di analisi clinico-terapeutica e di valutazione clinica, in una visione olistica della persona, dei suoi bisogni sanitari, assistenziali e sociali e per un risultato di sintesi che non sia solo medico;

    il medico di famiglia, in tale ottica, si colloca al centro dalle attività territoriali, come filtro della domanda e come mantenimento dello stato di benessere o di selezione degli interventi per l'assistenza di pazienti acuti o cronici, nell'ambito di una struttura di servizi, una vera e propria Società sanitaria integrata di servizi (Ssis), che coincide nelle progettualità del Pnrr con una casa della comunità e che sia in grado di semplificare, in modo radicale, il sistema organizzativo sanitario territoriale e offrire adeguate risposte ai bisogni effettivi di assistenza territoriale al cittadino;

    la Ssis, quale idoneo modello di gestione della casa di comunità, governa le risorse economiche destinate alla assistenza della comunità, con un budget specifico e ben definito sulla base della popolazione assistita, dei servizi offerti e dei risultati attesi; si fa carico di tutte le esigenze preventive, cliniche, mediche, infermieristiche, riabilitative, amministrative, socio sanitarie del proprio gruppo di assistiti, sia gestendo direttamente i servizi, che acquistando risorse da altri erogatori di attività, specialistiche, sociali e altro, con un meccanismo assistenziale del prendersi cura della persona nella sua complessità e non soltanto nell'intervenire al momento del bisogno, e coordinando l'intervento nei confronti degli stessi, anche nei settori amministrativi, socio sanitari, e altro, nell'intero arco della giornata per tutta la settimana;

    la Ssis comprende dunque medici e pediatri di famiglia, specialisti delle diverse discipline con le relative tecnologie disponibili, infermieri, riabilitatori, amministrativi e assistenti sociali e segue tutte le diverse esigenze della comunità a cui deve prestare assistenza, avendo particolare attenzione alla valutazione e alla selezione nell'utilizzo delle risorse consumate (visite, farmaci, ricoveri, prestazioni varie) che alla verifica dei risultati ottenuti;

    questi modelli di gestione delle case di comunità dovranno avere a disposizione le tecnologie di base (Ecg-spirometro-pulsiossimetro-ecografo-punto prelievi e altro) per dare una risposta tempestiva e più coerente con le esigenze immediate dei propri assistiti e dovrebbero essere composti da almeno 10-15 medici che siano in grado di organizzare un servizio, anche su sedi decentrate, adeguato alle esigenze di una popolazione di almeno 25.000 abitanti, fermo restando che nei centri urbani le dimensioni potrebbero essere anche più importanti;

    in tale contesto è evidente come il sistema informativo, e in particolare il fascicolo sanitario elettronico, sia essenziale laddove puntualmente integrato da tutti i livelli sanitari ed assistenziali, compresi quelli privati, tenuto conto che con gli strumenti di elevata tecnologia, informatici e telematici, e con la telemedicina, molti dei processi amministrativi e assistenziali potranno essere superati o agevolati, facilitando il cittadino;

    per una organizzazione sanitaria che costa oltre 120-130 miliardi di euro all'anno, appare quasi stupefacente l'assenza di obiettivi di risultato di salute e, se da un lato il nostro sistema sanitario è dotato di strumenti di gestione, come ad esempio il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza, e di obiettivi prevalentemente quantitativi, dall'altro è incredibilmente privo di elementi di valutazione del risultato e di indicatori di salute;

    eppure indicare ad esempio, come obiettivo, la riduzione del 25 per cento dei pazienti affetti da diabete o colpiti da ictus, da patologie respiratorie o da tumori al polmone, avrebbe consentito, in questi anni, migliori e più concreti risultati economici e uno stato di salute della comunità mediamente migliore rispetto all'attuale, con migliori prospettive per il futuro;

    in tale ottica, dunque, la remunerazione dovrà modificarsi in modo significativo, così da consentire il raggiungimento del migliore risultato clinico possibile al costo più basso e per la medicina generale, al fianco della remunerazione in base alla quota capitaria, definita dal numero di pazienti al mese iscritti al medico, dovrebbe esserci anche la remunerazione per risultato clinico o di salute, così da attivare azioni virtuose e promozionali del risultato atteso;

    il sistema di remunerazione per risultato applicato alle prestazioni mediche o sanitarie, denominato pay-for-performance – P4P ha esperienze già realizzate in altri Paesi, come ad esempio in Germania, dove la sua attivazione ha prodotto risultati clinici significativi e una riduzione della spesa, diretta ed in prospettiva, molto significativa; ed anche in Italia, è stato sviluppato il progetto Take Care per la prevenzione primaria dei tumori nelle Asl di Bergamo e di Lodi;

    la pianificazione della sanità territoriale deve partire da un'analisi attenta dei bisogni che devono essere soddisfatti e le proposte del Pnrr devono garantire migliori servizi e maggiore efficacia, economicamente sostenibili nel tempo sia dal punto di vista strutturale che delle risorse umane; è necessario dunque rivedere la modalità di finanziamento delle attività e proporre, nel sistema, una retribuzione che non favorisca solo il riconoscimento delle prestazioni ma anche i risultati ottenuti;

    il sistema dei servizi territoriali ha uno scarso coordinamento e una forte dispersione, poiché sono mancati riferimenti organizzativi territoriali ed efficaci strumenti di gestione in cui prevenzione, educazione ed informazione sanitaria, riabilitazione ed autoaiuto non hanno avuto il necessario sviluppo e attenzione nel tempo;

    è necessaria un'organizzazione senza limitazioni funzionali e barriere fisiche, al fine di garantire una risposta pronta e precoce, in grado di migliorare e qualificare l'intervento e ridurre l'evoluzione e le conseguenze della patologia;

    l'organizzazione dei servizi territoriali, che oggi presenta innumerevoli vincoli formali e spesso non utili, deve consentire di facilitare una distribuzione più equa dei servizi e offrire l'opportunità a tutti i cittadini di accedere alle prestazioni in modo semplice e senza tempi di attesa inadeguati, con una appropriatezza elevata ed un'offerta che deve garantire un reale coordinamento ed una integrazione nelle indicazioni diagnostiche dei differenti indirizzi specialistici;

    la gestione dei malati deve essere in grado di operare in un ambiente integrato, con facilità di comunicazione e interazione per la valutazione dei bisogni assistenziali, naturalmente altamente informatizzato;

    è necessaria una struttura operativa organica e integrata che, grazie ad una responsabilità condivisa, potrà garantire una risposta complessiva e di qualità che dia soddisfazione alle necessità mediche e sociosanitarie grazie ad una maggiore sicurezza e appropriatezza clinica ed una qualificazione della attività con minori errori diagnostici e terapeutici;

    bisogna implementare un modello funzionale che garantisca un riconoscimento del risultato ottenuto (pay for result) e non solo il pagamento per prestazione, assicurando dunque un valore pregnante al risultato ottenuto;

    la prevenzione primaria può consentire di ottenere risultati significativi con una spesa decisamente modesta ma con un contributo al benessere generale molto elevato;

    una diversa organizzazione territoriale, che crei un filtro di alto livello e ad indirizzo preventivo, può ridurre in modo importante il fabbisogno sanitario per le patologie acute e cronico degenerative, attraverso la gestione precoce di molte patologie direttamente a domicilio;

    la presenza di medici di famiglia e di specialisti che lavorano e operano per risultato (e quindi tempestivamente quando necessario) e con tutte le tecnologie necessarie rendere la diagnostica territoriale tempestiva e qualificata;

    la gestione domiciliare, con un organico significativo, garantisce un'assistenza di alto livello sia per quanto riguarda le attività mediche che infermieristiche e riabilitative;

    l'erogazione di servizi ambulatoriali integrati comprensivi di servizi socio-sanitari può svolgersi nei medesimi ambienti, ovvero nelle case di comunità, attraverso il coordinamento con tutti gli operatori sanitari e amministrativi operanti nella struttura semplificando i percorsi sanitari ai cittadini;

    la rete telematica favorirà un utilizzo intensivo dei servizi presenti, una continuità assistenziale e una forte attenzione ai malati, a domicilio in particolare, con la creazione di reti di gestione ed ascolto delle esigenze che man mano verranno sviluppate;

    la telemedicina appare finalmente matura per garantire servizi di alto livello per diagnosi, terapia e follow up di pazienti cronici anche in condizioni di scompenso cronico, per mantenere in equilibrio il paziente, garantirgli una gestione domiciliare monitorata e un intervento tempestivo in caso di necessità;

    la sburocratizzazione dell'organizzazione consentirà di reinvestire fondi per prestazioni sanitarie carenti sul territorio come l'odontoiatria convenzionata, la cura della salute mentale e la riabilitazione,

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza, anche normative, per assicurare che le case di comunità si avvalgano di modelli organizzativi e di gestione che rispondano alla logica come descritta in premessa, al fine di garantire l'effettiva integrazione e l'omogeneità nell'erogazione dei servizi, attuati come modello in vari distretti, valutabili nel tempo su tutto il territorio nazionale;

2) ad adottare le iniziative di competenza per recuperare e valorizzare il ruolo del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta nell'ambito della riorganizzazione territoriale, in quanto medici con assistiti in carico, assicurando agli stessi la centralità dell'assistenza territoriale, anche nell'ambito delle case della comunità, rafforzandone il ruolo in merito all'accoglienza, all'orientamento e alla valutazione dei bisogni;

3) ad adottare iniziative per favorire la gestione del servizio sanitario territoriale in convenzione da parte di aggregazioni tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, infermieri, assistenti sociali, fisioterapisti, medici di continuità assistenziale, collaboratori di studio, strutturati in una società di servizi integrati che operino per l'assistenza mediamente di una comunità di circa 20.000 abitanti, prevedendo che la popolazione sia gestita 24 ore su 24 per le necessità di primo livello e primo soccorso (codici bianchi o verdi) con la presa in carico del cittadino attraverso il medico di medicina generale che lo seguirà nel percorso assistenziale conservando il rapporto di fiducia medico-paziente;

4) ad adottare iniziative per introdurre meccanismi remunerativi innovativi, così da consentire il raggiungimento del migliore risultato clinico possibile al costo più basso, contemplando, al fianco della remunerazione in base alla quota capitaria, definita in relazione al numero di pazienti-mese in carico al medico, anche la remunerazione per risultato clinico o di salute, così da attivare azioni corresponsabili e virtuose in relazione al risultato atteso;

5) ad adottare iniziative normative per dare la possibilità alla società di servizi sociosanitari integrati (Sssi) di acquistare dalle Asl prestazioni da erogare per un anno, con valutazione finale e con responsabilità sia per i costi che per risultato;

6) ad adottare iniziative per favorire, al fine di ovviare alla mancanza di personale medico di medicina generale all'interno delle aree carenti di tale figura, anche per i corsisti dell'ultimo anno, la possibilità di accedere alle graduatorie della medicina generale;

7) ad adottare le iniziative di competenza affinché sia attivato, all'interno della casa di comunità, il piano operativo per il sostegno con una presa in carico multidisciplinare e multidimensionale dei soggetti più fragili, sia pazienti anziani che affetti da malattie invalidanti, inclusi i pazienti con malattie rare per una presa in carico globale e con assistenza domiciliare;

8) ad adottare iniziative normative che possano colmare le soluzioni organizzative per rendere attuativo un modello di sanità con valorizzazione economica delle predette professioni in modo che sia concorrenziale e vantaggioso lavorare presso queste strutture;

9) ad adottare iniziative per favorire economicamente i medici che svolgono a tempo pieno la loro attività presso la casa di comunità quale luogo di accesso unitario e integrato all'assistenza sanitaria e sociosanitaria;

10) ad adottare le iniziative di competenza per agevolare l'integrazione tra i servizi sanitari e socioassistenziali da parte dell'équipe multidisciplinare all'interno della casa di comunità, attraverso l'attivazione, per gli individui con condizione di fragilità o cronicità, degli interventi clinici e assistenziali di cui necessitano con controlli e valutazione costanti;

11) ad adottare iniziative per promuovere, con la popolazione a rischio, incontri di prevenzione in relazione all'evoluzione delle malattie croniche in modo da ridurre l'evoluzione verso la grave disabilità e il rischio di perdita dell'autonomia;

12) ad adottare iniziative normative per assicurare, al fine di ovviare alla carenza dei medici di medicina generale, l'accesso alla carriera di medico di medicina generale anche ai medici di comunità e delle cure primarie, anche a seguito dell'adeguamento dei percorsi formativi;

13) a valutare l'adozione di iniziative normative affinché il corso di medicina generale diventi un vero corso di specializzazione universitaria, equiparandola a tutte le altre specializzazioni;

14) ad adottare iniziative per prevedere che la riorganizzazione territoriale, come delineata nella bozza di decreto cosiddetto «DM71» sia sostenuta da un'adeguata implementazione e dal potenziamento del fabbisogno del personale sanitario e amministrativo, da un'idonea copertura finanziaria, da una riforma delle disposizioni in materia di medici di medicina generale nonché dall'implementazione di ulteriori setting territoriali, quali salute mentale, dipendenze patologiche, neuropsichiatria infantile e assistenza psicologica di base.
(1-00618) «Nappi, Villani, D'Arrando, Lorefice, Mammì, Marzana, Misiti, Penna, Provenza, Ruggiero, Sportiello».

(30 marzo 2022)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE VOLTE AD INCREMENTARE LE MISURE PER IL CONTRASTO DELLA PESTE SUINA AFRICANA E PER IL SOSTEGNO DELLA FILIERA SUINICOLA

   La Camera,

   premesso che:

    la peste suina africana è una malattia infettiva altamente contagiosa causata da un virus che colpisce solo i suini domestici e selvatici; è altamente contagiosa con un tasso di letalità del 90-100 per cento, capace di sterminare interi allevamenti suinicoli;

    la peste suina africana è una malattia virale che, non essendo una zoonosi, non minaccia direttamente la salute umana e non crea alcun tipo di contagio o ripercussioni sull'uomo e quindi non deve creare un allarmismo ingiustificato per i consumatori e le persone;

    sono i suini selvatici a rivestire un ruolo di primo piano, diventando uno dei fattori di persistenza dell'infezione soprattutto nei paesi del Nord e dell'Est Europa;

    dal 7 gennaio 2022, è stata accertata la presenza della peste suina africana nelle popolazioni di cinghiali nei territori delle regioni Piemonte e Liguria; il Piemonte, alla luce degli ultimi aggiornamenti, veste la «maglia nera» di regione più colpita con 61 positività accertate su un totale complessivo di 101, dei quali 40 in Liguria;

    le conseguenze legate alla diffusione del virus su tutto il territorio nazionale hanno effetti economici ingentissimi e a lungo termine, mettendo in seria crisi il lavoro degli allevatori italiani, degli agricoltori nonché delle attività con finalità turistico-ricettive;

    in Italia, come in larga parte d'Europa, la popolazione dei cinghiali risulta in costante aumento da almeno venti anni, e appaiono evidenti i problemi che possono derivare da tale situazione anche in relazione al rischio di introduzione del virus peste suina africana nelle regioni attualmente indenni;

    la diffusione della peste suina africana e il grande rischio di espansione della stessa sono infatti legati prevalentemente al proliferare dei cinghiali, riconosciuti come principali vettori della malattia; si contano alcuni milioni di esemplari, con un sostanziale decuplicamento della presenza della specie sul territorio rispetto al 2010-2011;

    l'eccessivo aumento di alcune specie di fauna selvatica è un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale che, oltre a essere un rischio per la sicurezza delle persone nei centri abitati, nelle campagne comporta gravi danni alle colture agricole, ai campi e agli allevamenti; i cinghiali allo stato brado e in branchi si aggirano nelle aree rurali invadendo i campi e devastando i raccolti;

    ad oggi il problema dei danni alle coltivazioni, arrecati dagli ungulati, sta assumendo una rilevanza notevole a livello nazionale, soprattutto per l'impatto economico per le attività agricole delle zone interessate maggiormente dal fenomeno della loro proliferazione;

    gli agricoltori lamentano la necessità di interventi concreti che vadano anche al di là dei rimborsi dei danni seppur fondamentali per continuare l'attività e compensare i mancati guadagni; le misure fin ora adottate si stanno rivelando però insufficienti rispetto all'entità del problema;

    allo scopo di prevenire ed eliminare i gravi pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza della circolazione, e di limitare i danni causati dalla fauna selvatica alle attività agricole e zootecniche, nonché alle attività con finalità turistico-ricettive, è necessaria l'adozione di un piano di gestione della fauna selvatica che abbia l'obiettivo di rendere compatibile la presenza degli ungulati con le attività agricole, umane ed il paesaggio circostante;

    un'azione tempestiva e coordinata di monitoraggio e controllo della peste suina africana risulta fondamentale per avere maggiori probabilità di contenere il contagio, atteso che la diffusione della malattia, soprattutto nelle fasi iniziali, può dipendere dalla densità delle popolazioni di cinghiali, oltre che dalla presenza di corridoi che consentono di superare eventuali barriere geografiche;

    è necessario intervenire per fermare il proliferare dei cinghiali per scongiurare pesanti ripercussioni sull'attività agricola ma soprattutto sulla sicurezza degli allevamenti di suini, in quanto esiste un reale rischio che la malattia si propaghi e infligga gravi danni al comparto suinicolo italiano, che conta circa 9 milioni di capi;

    la diffusione della peste suina africana, causata dai cinghiali, deve essere contrastata anche tramite un'opportuna gestione faunistico-venatoria, improntata sulla riduzione generalizzata della loro densità, sia numerica che spaziale, svolta tramite le attività venatorie, modificando le azioni di controllo previste dalla legge n. 157 del 1992;

    la propagazione della peste suina africana sta creando un danno incalcolabile agli allevamenti e conseguenze sul commercio delle carni suine italiane, con la possibilità che i Paesi che non riconoscono il principio di regionalizzazione possano imporre il divieto di importazione di tutti i prodotti suini dell'intero Paese in cui la peste suina africana si è manifestata;

    a preoccupare gli allevatori di suini e l'industria di trasformazione, infatti, è il fatto che i canali di commercializzazione e i Paesi terzi destinatari delle esportazioni di carni e prodotti a base di carne suina non riconoscano, in maniera ingiustificata, il principio della regionalizzazione vietando l'ingresso delle produzioni suine italiane; è fondamentale che i Paesi terzi riconoscano che le misure adottate dalle autorità italiane e comunitarie sono sufficienti a fornire tutte le garanzie necessarie per mantenere aperto il canale commerciale con il nostro Paese;

    le regole del commercio internazionale e la stessa Commissione europea prevedono, infatti, l'applicazione di severe restrizioni in caso di infezioni da virus peste suina africana, quali il blocco delle movimentazioni di suini vivi e dei prodotti derivati dalla suinicoltura, con un evidente impatto sul nostro settore zootecnico nonché sulla possibilità di commercializzare ed esportare prodotti di eccellenza del made in Italy;

    il 75-80 per cento dei suini è allevato nell'Italia settentrionale, e le regioni a più intensa suinicoltura sono, nell'ordine, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Piemonte e il Veneto; nel comparto suinicolo italiano operano circa 25.000 aziende agricole e circa 3.500 aziende di trasformazione. Il patrimonio suinicolo italiano è costituito da circa 8,5 milioni di capi, di cui 1 milione e 350 mila solo in Piemonte; la produzione italiana di carne è di circa 1,4 milioni di tonnellate, quella importata dall'estero è di 1,1 milioni di tonnellate;

    il comparto in Italia vanta un fatturato di circa 3 miliardi di euro per la fase agricola e di circa 8 miliardi di euro per quella industriale, incidendo per il 5,8 per cento sul totale agricolo e agroindustriale nazionale. Nel solo Piemonte operano circa 3.500 aziende che producono un fatturato di circa 400 milioni di euro annui; c'è bisogno di arginare un fenomeno che, se si diffondesse ai grandi allevamenti di suini del Nord Italia, potrebbe mettere a rischio 1 punto o 2 del prodotto interno lordo, circa 6 miliardi di euro solo per l'esportazione della carne suina italiana;

    il decreto-legge n. 4 del 2022 (cosiddetto decreto Sostegni-ter), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 25 del 28 marzo 2022, prevede all'articolo 26, ristori per un totale di 50 milioni di euro, dei quali: 35 milioni di euro per tutelare gli allevamenti suinicoli dal rischio di contaminazione dal virus responsabile della peste suina africana e ad indennizzare gli operatori della filiera suinicola danneggiati dal blocco alla movimentazione degli animali e delle esportazioni di prodotti trasformati, e 15 milioni di euro per il rafforzamento degli interventi strutturali e funzionali in materia di biosicurezza e biosorveglianza;

    il decreto-legge 17 febbraio 2022, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 29 del 7 aprile 2022 recante misure urgenti per arrestare la diffusione della peste suina africana (Psa), prevede, oltre alla nomina di un commissario straordinario con compiti di coordinamento e monitoraggio delle azioni e delle misure poste in essere per prevenire contenere ed eradicare la peste suina africana, altre disposizioni, tra le quali il contrasto all'espansione del virus attraverso la costruzione di recinzioni attorno all'area infetta, una vera e propria regionalizzazione dell'area; inoltre, per prevenire ed evitare l'espansione del focolaio, anche in altre aree, viene prevista una delega alle regioni di programmazione e attuazione di piani di contenimento e, infine, misure volte a tutelare gli allevamenti attraverso l'implementazione della biosicurezza e, quindi, mettere un freno a quella che può essere una pandemia devastante per il comparto suinicolo nazionale;

    in particolare, il comma 2-bis dell'articolo 2 del suddetto decreto-legge prevede che le regioni e le province autonome, unitamente agli interventi urgenti previsti dal decreto, attuino le ulteriori misure disposte dal commissario straordinario, ivi inclusa la messa in opera di recinzioni o altre strutture temporanee ed amovibili idonee al contenimento dei cinghiali selvatici, autorizzando la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2022; tali risorse, però, non sono nuovi stanziamenti bensì si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di parte corrente per il sostegno alla filiera suinicola, previsto dall'articolo 26, comma 1, del suddetto decreto-legge cosiddetto Sostegni-ter, ovvero i 35 milioni di euro previsti per indennizzare gli operatori della filiera suinicola danneggiati dal blocco alla movimentazione degli animali e delle esportazioni di prodotti trasformati;

    è indispensabile attuare immediatamente le misure adottate a sostegno delle imprese della filiera suinicola, interessate dalla crisi legata alla peste suina africana e che ne stanno subendo gli effetti, nonché incrementare le risorse da mettere a disposizione del settore, in quanto, solo per fare un esempio, se dovesse comparire un caso di peste suina africana nella provincia di Cuneo, che è composta da 950 mila suini, si avrebbe un costo, in regime di fermo stalla, di un milione di euro al giorno solo per l'alimentazione dei maiali, senza considerare poi i danni causati dal blocco delle esportazioni verso Paesi terzi, come Cina, Taiwan e Giappone, i danni alla silvicoltura, i danni al turismo e alle attività ludiche della zona compresa nel focolaio;

    se la malattia dovesse sconfinare nelle regioni limitrofe, e quindi in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, i danni sarebbero devastanti non solo per il comparto suinicolo italiano ma anche per le attività e l'indotto ad esso collegato;

    da una stima fatta sulla base dei dati forniti dal Ministero della salute e dall'Ismea, nel caso in cui si dovesse verificare tale sconfinamento, sarebbe necessario stanziare risorse pari a circa 1.441.490.120, a titolo di indennità di abbattimento degli animali;

    il comparto suinicolo, a causa in primo luogo della presenza della peste suina africana, e anche dell'incessante aumento dei costi dell'energia e delle materie prime, e della crisi derivante dal conflitto tra Russia e Ucraina, sta subendo danni per circa 20 milioni di euro a settimana;

    per salvaguardare dalle minacce della peste suina africana lo sviluppo del comparto suinicolo italiano, che è uno tra i riferimenti più importanti per la promozione dell'agroalimentare «made in Italy» in tutto il mondo, nonché le attività e l'indotto, sarebbero opportuni adeguati indennizzi rivolti a tutte quelle attività economiche e professionali della filiera agricola e zootecnica, ma anche per quelle silvo-pastorale e per quelle con finalità turistico-ricettive, che operano che operano nelle «zone infette», che risultano provate dagli effetti della diffusione della peste suina africana;

    tramite un'ordinanza del Ministro della salute del 13 gennaio 2022, emanata dal Ministro della salute, d'intesa con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con il coinvolgimento di Ministero della transizione ecologica, regioni, province autonome di Trento e Bolzano, Protezione civile, forze di polizia ed istituti tecnici di supporto, è stato disposto sul territorio del Piemonte e della Liguria, il divieto dell'attività venatoria nella zona stabilita come infetta, salvo la caccia di selezione al cinghiale; inoltre, non si possono raccogliere funghi e tartufi, la pesca è interdetta, e più in generale sono vietate le attività sportive e ludiche, come il trekking e la mountain bike, e le altre attività che prevedono un'interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, nonché le attività connesse alla salute e cura degli animali detenuti e selvatici nonché alla salute e cura delle piante, comprese le attività selvicolturali, in quanto ogni forma di disturbo favorisce lo spostamento dei cinghiali e di conseguenza la diffusione dell'epidemia di peste suina africana;

    nelle «zone infette» esiste anche un problema legato alla socialità delle persone. Si sta uscendo, malgrado tutto, dalla pandemia da COVID-19, ma in quelle zone ci sono restrizioni per i nostri concittadini, e ciò sta diventando realmente qualcosa che non si riesce più a sopportare;

    le chiusure conseguenti all'adozione delle misure di contenimento della peste suina africana danneggiano fortemente, seppur in modo indiretto, il turismo. Il settore del turismo e dell'outdoor è messo a dura prova dalle disposizioni dettate dalla suddetta ordinanza, soprattutto dopo avere affrontato le enormi difficoltà durante i periodi di lockdown nell'emergenza da COVID-19;

    la chiusura prolungata di interi territori montani, per le misure adottate per il contenimento della peste suina africana, stanno causando un impatto economico significativo soprattutto per le attività alberghiere e di ristorazione, che sono site nelle «zone infette», in quanto nonostante queste continuino, per la maggior parte, a lasciare aperte le proprie attività la preoccupazione principale degli operatori è quella della possibile mancanza di fruitori di tali servizi, soprattutto adesso che si sta avvicinando la stagione estiva, che porterebbe alla chiusura di innumerevoli attività;

    la regione Piemonte sta valutando di stanziare circa 8 milioni di euro per la messa in sicurezza delle aree a rischio ed in particolare per il posizionamento delle reti di recinzione; ciò consentirà di riattivare non solo le attività outdoor ma anche quelle lavorative che, per effetto delle ordinanze nazionali, sono state di fatto bloccate. Le risorse potranno essere successivamente rimborsate dal Commissario per la peste suina africana, con gli specifici finanziamenti previsti dal decreto-legge 17 febbraio 2022, n. 9;

    la regione Piemonte, inoltre, ha già stanziato 1,8 milioni di euro di aiuti straordinari a ristoro dei danni subiti dalle aziende piemontesi suinicole operanti nelle aree ricomprese nella zona infetta (zona rossa) e nella zona buffer interessate dalla peste suina africana, stanziamento finalizzato a ricoprire le perdite di reddito dovute al deprezzamento dei capi macellati a causa della peste suina africana, compensando la differenza tra il prezzo di mercato registrato a dicembre (ex-ante l'evento infettivo) e quello effettivamente realizzato al momento della macellazione e il divieto di ripopolamento per 6 mesi dopo l'abbattimento a causa della peste suina africana,

impegna il Governo:

1) al fine di sostenere la suinicoltura italiana e tenuto conto della gravità degli effetti lungo tutta la filiera, scaturiti anche dagli effetti dell'aumento dei prezzi energetici e delle materie prima in particolare quelle per l'alimentazione degli animali, nonché dal conflitto Russia-Ucraina, ad adottare iniziative per stanziare ulteriori risorse per reintegrare il Fondo di parte corrente, di cui all'articolo 26 del decreto-legge n. 4 del 2022, necessarie ad indennizzare gli operatori della filiera colpiti dalle restrizioni sulla movimentazione degli animali e sulla commercializzazione dei prodotti derivati;

2) ad adottare iniziative per incrementare gli stanziamenti previsti all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge n. 9 del 2022, in quanto 10 milioni di euro risultano essere una dotazione esigua a disposizione del commissario straordinario, visto che le regioni Piemonte e Liguria, per installare le recinzioni fondamentali per contenere la diffusione della peste suina africana anche alle regioni limitrofe, potrebbero avere necessità di somme ben al di sopra di quelle stanziate dal suddetto decreto-legge;

3) ad adottare iniziative per prevedere misure di ristoro ad hoc rivolte a tutte le attività economiche, professionali e turistico-ricettive, comprese quelle relative alle attività outdoor e legate all'ospitalità, che operano nelle «zone infette» e che hanno subito un danno economico diretto o indiretto con le chiusure dovute alle misure via via adottate per arginare la diffusione della peste suina africana e che rischiano gravi ripercussioni economiche, che si andranno ad aggiungere a quelle subite nell'ultimo biennio per le restrizioni dovute alla pandemia da COVID-19;

4) ad adottare iniziative per attuare un'incisiva politica di prevenzione per il contenimento dei cinghiali, anche attraverso una revisione organica della legge n. 157 del 1992 che, in un'ottica di salvaguardia della biodiversità e di ripristino del corretto equilibrio dei rapporti tra fauna selvatica, uomo e ambiente circostante, adotti strumenti di contrasto all'eccessiva proliferazione di cinghiali, ritenuti i principali vettori della peste suina africana;

5) ad adottare iniziative per prevedere misure finanziarie per ristorare i danni causati alle aziende agricole e zootecniche dal proliferare incontrollato della fauna selvatica, in particolare per quelle site nelle zone maggiormente colpite dal fenomeno;

6) ad adottare iniziative per prevedere che le recinzioni, di cui al comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge n. 9 del 2022 possano essere posizionate anche nelle aree di restrizione I di cui all'allegato I del regolamento di esecuzione (UE) 2021/605 (zona di sorveglianza), al fine utilizzando la dotazione finanziaria, allo scopo integrata, affidata al commissario e di intesa con le regioni interessate;

7) ad adottare iniziative per garantire la massima trasparenza nella determinazione dei prezzi indicativi da parte delle commissioni uniche nazionali (Cun) del settore suinicolo, al fine di assicurare una stabilizzazione del mercato e scongiurare le eventuali e dannose speculazioni che si possano venire a creare, che potrebbero generare un grave squilibrio del mercato;

8) ad adottare iniziative per rafforzare i rapporti di filiera nel settore suinicolo anche attraverso il sostegno dei contratti di filiera e delle organizzazioni interprofessionali e professionali del settore;

9) ad adottare tutte le iniziative necessarie al fine di liberare il mercato agroalimentare da limitazioni, per evitare ripercussioni sulla percezione della sicurezza della filiera della carne suina da parte dei consumatori e le ricadute economiche sui settori danneggiati;

10) ad adottare, nelle opportune sedi, iniziative diplomatiche per sostenere le esportazioni nei confronti dei Paesi stranieri che hanno adottato ingiustificate misure precauzionali, a tutela del comparto suinicolo italiano, contro le speculazioni di mercato, del patrimonio faunistico e zootecnico suinicolo nazionale, del sistema economico ed occupazionale e degli interessi economici connessi allo scambio extra Unione europea e alle esportazioni verso i Paesi terzi di suini e prodotti derivati.
(1-00639) «Molinari, Viviani, Gastaldi, Liuni, Golinelli, Bubisutti, Lolini, Loss, Manzato».

(4 maggio 2022)