TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 686 di Martedì 3 maggio 2022

 
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INTERROGAZIONI

A)

   GRIPPA, VILLANI, MARTINCIGLIO e BARBUTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da un articolo pubblicato sul quotidiano economico-politico-finanziario Il Sole 24 ore il giorno 6 gennaio 2022 e titolato «Giovani e lavoro, perché l'Italia è in fondo alla classifica Ue» che, secondo il Commissario al lavoro dell'Unione europea Nicolas Schmit, il nostro Paese è in una situazione critica per quanto riguarda il tasso occupazione femminile e la percentuale di quanti abbandonano prematuramente gli studi che non si formano e che lavorano. In un documento di 160 pagine sarebbe contenuta una relazione severa sullo stato di salute del lavoro in Italia, la cui analisi dovrebbe far riflettere e mettere in guardia contro i rischi di una crescente povertà e radicalizzazione politica, accennando ad alcuni retaggi culturali, tra cui una storica abitudine clientelare;

   sempre nel medesimo articolo è riportato che il Paese non è tra i primi in classifica in nessuno dei 16 settori presi in considerazione dalla Commissione europea, difendendosi soltanto nella lotta alla disoccupazione anche in quella di lungo periodo, dove la situazione, seppur fragile, sarebbe in netto miglioramento. Analisi che sarebbe stata condotta su dati recenti, nonostante sia noto che il dramma del mercato del lavoro italiano ha radici antiche e profonde e che presenti un disallineamento tra domanda ed offerta: con una disoccupazione giovanile intorno al 30 per cento si riscontra carenza di manodopera;

   e, inoltre, rispetto all'occupazione femminile, sarebbe stata rimarcata anche una notevole disuguaglianza rispetto al tasso occupazionale degli uomini (inferiore del 20 per cento), con una carenza di strutture in grado di accogliere i bambini. Tutto ciò in un contesto che farebbe registrare un crescente numero di famiglie sull'orlo della povertà, con una totale disaffezione nei confronti dell'istruzione che non sarebbe in grado di fungere da strumento di ascensore sociale a causa delle sopra richiamate abitudini clientelari;

   a parere degli interroganti, alla luce della globalizzazione e di quanto sta rivelando l'emergenza sanitaria ancora in atto per il futuro del Paese, è fondamentale un nuovo contratto sociale che non può che essere stipulato tra persone, cioè tra individui consapevoli del valore rappresentato dal capitale formativo posseduto e reinvestito. Esso non può che svilupparsi in ragione delle competenze negoziabili, del loro apprezzamento e, dunque, della committenza che quelle competenze apprezza. Ma il contratto non può realizzarsi e assicurare regole certe, trasparenti e condivise se non con il riconoscimento, la validazione e la certificazione delle competenze esercitate e sviluppate;

   il Piano di ripartenza del nostro Paese ha ricevuto notevoli apprezzamenti dalla stessa Commissione europea –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di assicurare interventi in grado di agire fin dai primi anni di scolarizzazione e ridefinire il contratto sociale, nonché riallineare i paramenti tra la domanda e l'offerta nel mondo del lavoro;

   quali iniziative prioritarie per quanto di competenza, si intendano adottare allo scopo di risollevare le sorti del Paese nei settori di competenza, nonché quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendano adottare per realizzare una maggiore eguaglianza tra le lavoratrici e i lavoratori.
(3-02924)

(2 maggio 2022)
(ex 5-07371 del 17 gennaio 2021)

B)

   TORROMINO. — Al Ministro della transizione ecologica. — Per sapere – premesso che:

   l'ecosistema del fiume Neto e della sua foce è stato classificato come oasi di protezione e individuato quale sito di importanza comunitaria «Foce del Neto» (sic IT9300095) in attuazione della direttiva «habitat» 92/43, recepito con decreto ministeriale del 3 aprile 2000 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 65 del 22 aprile 2000), nonché individuato quale nuova zona di protezione speciale «Marchesato e Fiume Neto» ai sensi della direttiva 79/409/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, con deliberazione della giunta regionale del 27 giugno 2005, n. 607 (COD: RN: 2000 IT9320302);

   la regione Calabria già il 15 settembre 1976, con decreto n. 2022, aveva dichiarato la foce del fiume Neto «oasi di protezione della selvaggina», in quanto rappresenta un'importante area per gli uccelli migratori che attraversano il Mediterraneo e un luogo «sicuro» e di facile nutrimento per gli uccelli che si fermano a svernare;

   l'area protetta, che si estende per oltre 70 mila ettari interessando il territorio di diversi comuni, si trova in stato di grave abbandono con episodi di bracconaggio, sversamento di rifiuti anche pericolosi, in particolare amianto, prelievo di beni ambientali sottoposti a tutela, quali sabbia e specie arboree. Tali episodi si verificano periodicamente, segno di una grave situazione di disinteresse dell'autorità preposte. I piani di gestione risultano disattesi;

   nel settembre 2021 si è costituito un comitato di cittadini con l'intento di sensibilizzare le autorità locali sul crescente degrado di un'area rilevantissima dal punto di vista ambientale e che potrebbe essere valorizzata dal punto di vista turistico e naturalistico;

   dal 2015 nei confronti dello Stato italiano è aperta la procedura di infrazione n. 2015/2163, tuttora pendente, in quanto la Commissione europea ritiene che, in relazione a numerosi siti di interesse (sic) e zone speciali di conservazione (zsc) istituiti e presenti sul territorio nazionale, non siano adottate adeguate «misure di conservazione». Nel 2019 la Commissione europea ha inviato una nuova lettera di costituzione in mora, in quanto l'Italia ha omesso, in modo generale e persistente, di fissare obiettivi dettagliati di conservazione specifici per sito;

   il patrimonio florofaunistico e il valore paesaggistico – ivi compresi i paesaggi agrari – devono avere maggiori elementi di protezione e non una grave e ingiustificabile diminuzione degli stessi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di assicurare adeguate misure di protezione dell'area protetta Marchesato e fiume Neto.
(3-02593)

(5 novembre 2011)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DEL SETTORE AGROALIMENTARE IN RELAZIONE ALLA CRISI UCRAINA

   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi anni, l'evolversi di un'economia sempre più interconnessa ha stimolato la crescita esponenziale di un mercato globalizzato, contribuendo a rendere l'Italia un Paese principalmente trasformatore, con la necessità di importare – soprattutto dall'Oriente – le materie prime da lavorare e che costituiscono una risorsa imprescindibile per le fabbriche e le aziende operanti nel Paese;

    a seguito dell'avvento della pandemia COVID-19 e dell'arresto subito dall'intero pianeta, l'approvvigionamento di materie prime è divenuto sempre più complesso, e soprattutto oneroso, e la conseguenza è quella evidente dell'aumento dei prezzi dei prodotti finiti;

    ciò interessa tutti i settori merceologici, ma in maniera ancora più diretta il settore agroalimentare, poiché le conseguenze di tale rincaro colpiscono direttamente, oltre alle imprese, i cittadini italiani, trattandosi il più delle volte di prodotti di prima necessità;

    nelle ultime settimane, a questa già complessa situazione si è affiancato il dramma dello scoppio della guerra tra Ucraina e Russia che, oltre all'indicibile tragedia umanitaria, sta avendo strascichi commerciali ed economici, sia diretti che indiretti, per la difficoltà di reperimento di alcune materie prime agricole provenienti da quei territori (per l'Italia, soprattutto, mais e grano tenero) o per l'incancrenirsi delle difficoltà di importazione da altri Paesi (si veda la situazione del grano duro importato dal Canada, il cui blocco commerciale ha già portato ad un rialzo massimo del prezzo del grano nel dicembre del 2021);

    in relazione all'approvvigionamento di grano duro, secondo Ismea l'instabilità del mercato deriva soprattutto dal vuoto d'offerta determinato dal calo della produzione mondiale, nel 2021, del 9,1 per cento rispetto al 2020 e dall'assottigliamento delle scorte globali (-24,5 per cento). All'origine della riduzione produttiva è stato il crollo del 59,6 per cento dei raccolti in Canada, principale esportatore mondiale, a causa dell'eccezionale siccità che ha colpito una vasta area del Paese;

    relativamente al mais, ad esempio, i listini hanno registrato una decisa tendenza al rialzo a partire da ottobre 2020, raggiungendo il picco nelle prime tre settimane di febbraio 2022, con valori mai rilevati nelle fasi più acute delle crisi dei prezzi tra il 2007 e il 2008; si tratta di una situazione che suscita qualche preoccupazione, vista la consistente riduzione della produzione interna di mais (-30 per cento negli ultimi 10 anni) e l'ormai strutturale dipendenza delle imprese zootecniche dal prodotto di provenienza estera (tasso di autoapprovvigionamento italiano pari al 53 per cento contro il 79 per cento nel 2011);

    tra gli effetti indiretti del conflitto russo-ucraino si segnala che dal 5 marzo 2022 l'Ungheria aveva deciso di bloccare le esportazioni dei cereali, proprio per il timore del Governo locale che il conflitto tra Russia e Ucraina potesse causare carenze significative nell'approvvigionamento nazionale e una conseguente impennata dei prezzi a livello mondiale; ciò sarebbe gravissimo per il nostro Paese in quanto è un grande importatore di grano tenero, mais e semi di girasole proprio dall'Ungheria;

    nel dettaglio tra i nostri fornitori, l'Ucraina, nel 2021, ha fornito il 3 per cento delle importazioni di frumento tenero e il 13 per cento di mais, mentre la quota dell'Ungheria è, rispettivamente, del 23 per cento e del 32 per cento;

    a questa situazione si aggiunge, ad esempio, l'aumento del costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, che ha raggiunto i 46 centesimi al litro, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori;

    ad aumentare sono anche i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare; a tal proposito, l'Ucraina ha bloccato le esportazioni di concimi e, dopo il blocco della Russia e della Bielorussia, il nostro Paese ha perso il 15 per cento delle importazioni totali di fertilizzante;

    a ciò si somma una crisi energetica importante, che, aggravata dalla pandemia prima e dalle conseguenze del conflitto oggi, sta evidenziando quanto sia necessario un maggiore e più importarne progresso dal punto di vista energetico, sia per ciò che concerne la vera e propria produzione (si vedano la necessità di diversificazione degli approvvigionamenti e la rimozione degli ostacoli per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili), sia per ciò che attiene all'acquisto dei componenti degli impianti, per i quali l'Italia è completamente dipendente dall'estero (Russia, Cina e altri Paesi);

    tale «pandemia energetica» si sta riverberando su tutto il settore agroalimentare, paralizzando la spinta verso il futuro, bloccando lo sviluppo e spesso paralizzando la produzione, in un'ottica in cui le spese sostenute da imprese e aziende sono necessarie quasi esclusivamente per poter fronteggiare la normale produzione e non certo per implementarla;

    le imprese italiane si trovano, quindi, ad affrontare esborsi cospicui per l'acquisto delle materie prime necessarie, aggravati dall'aumento del loro prezzo, del costo di produzione e dell'onerosità del loro trasporto (si veda anche il caro carburante, anche esso inasprito dal recente cambiamento della situazione geopolitica europea) e inoltre dai costi connessi alla transizione green, energetica e digitale attualmente in atto nel sistema produttivo italiano;

    un tale contesto sta portando ad un rialzo, anche importante, dei prezzi dei prodotti finiti, spesso prodotti di prima necessità, e ad un lento ma inesorabile rallentamento dei consumi che, in questa fase di ripresa economica post pandemica, il nostro Paese non può permettersi;

    in una fase particolare come quella che si sta vivendo si corre, inoltre, il rischio di speculazione sui prezzi e tutto ciò è sufficiente a delineare un quadro generale molto complesso che rende ancora più evidente – più di quanto già valutato nel pieno della pandemia da COVID-19 – quanto sia importante per il nostro Paese raggiungere una maggiore autonomia produttiva da un punto di vista agricolo ed agroalimentare;

    in questo momento essere autonomi nella produzione agricola e agroalimentare è fondamentale per garantire la sopravvivenza di un settore che si è rivelato fondamentale nel nostro Paese nei giorni più bui della pandemia, non facendo mai mancare, nonostante le difficoltà, i beni di prima necessità alle famiglie;

    per avviare questo percorso di resilienza è necessario intervenire su molti aspetti dell'attuale politica agricola nazionale e delle restrizioni, spesso burocratiche, al fine di garantire nuovi orizzonti agli agricoltori;

    alla luce di tutto quanto sopra esposto, è necessario garantire una sempre maggiore autonomia al sistema produttivo agricolo e alimentare italiano, sia in funzione dell'attuale emergenza sia in modo strutturale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza per avviare un percorso concreto di rivalutazione dell'impostazione della politica agricola comune, tenendo conto dell'esigenza di orientare in maniera diversa e più efficace gli strumenti a disposizione per sostenere le produzioni più strategiche, in particolare:

   a) posticipare l'entrata in vigore delle misure introdotte nella politica agricola comune volte a limitare la produzione e rivedere alcuni adempimenti previsti, quali gli obblighi di semina, di rotazione delle colture e altro, nonché consentire l'utilizzo, a fini produttivi, delle aree ecologiche oggi non coltivabili, delle superfici lasciate a riposo e di tutti i pascoli, anche se parzialmente occupati da vegetazione arbustiva spontanea;

   b) incrementare la percentuale dei pagamenti accoppiati per le produzioni più strategiche e per le quali l'Unione europea non è autosufficiente (proteine vegetali, cereali e altro);

   c) introdurre un contributo per tutte le superfici agricole utilizzate, per ammortizzare l'incremento dei costi di produzione;

   d) rimuovere il vincolo del non incremento della superficie irrigabile, per aumentare la produttività del settore agroalimentare;

2) ad adottare iniziative per prevedere misure di semplificazione dei pagamenti da parte di Agea, ad esempio permettendo la possibilità di ricevere l'erogazione di aiuti, benefici e contributi finanziari a carico delle risorse pubbliche, rinviando l'adempimento delle disposizioni di cui ai commi 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 78 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

3) a promuovere la diversificazione dei mercati di approvvigionamento delle materie prime agricole, tra cui frumento tenero, mais, olio di girasole, ma anche dei concimi, sui quali il nostro Paese negli ultimi anni ha rafforzato la dipendenza dall'estero, ma anche, al contempo, ad adottare iniziative per prevedere la possibilità di uno stoccaggio agevolato per alcuni prodotti in relazione alle esportazioni, nonché a promuovere lo sviluppo di nuove infrastrutture per lo stoccaggio;

4) ad adottare iniziative per prevedere immediati interventi in ambito nazionale a sostegno del settore agroalimentare, quali il potenziamento degli strumenti di ristrutturazione e rinegoziazione del debito bancario delle imprese agricole, anche attraverso una deroga alle norme sugli aiuti di Stato, la garanzia di una moratoria alle scadenze dei termini relativi all'indebitamento in essere con istituti di credito o altri operatori, l'adozione di misure per sostenere la domanda all'interno del mercato agroalimentare e il finanziamento di specifiche misure di sostegno alle filiere più esposte alla crisi (zootecnia, florovivaismo e altro), anche attraverso la sospensione degli oneri previdenziali a carico dei datori di lavoro;

5) a promuovere la ricerca di nuovi mercati per l'approvvigionamento di prodotti fertilizzanti utili alla concimazione e alla lavorazione del terreno da preparare alle semine;

6) ad avviare un confronto in ambito europeo finalizzato ad affrontare la creazione di un Energy Recovery fund, finanziato dal debito pubblico europeo comune sul modello di quanto avvenuto per contrastare le drammatiche conseguenze di carattere economico e sociale derivanti dal diffondersi della pandemia da COVID-19;

7) a valutare la possibilità di adottare iniziative per calmierare ulteriormente il prezzo gasolio agricolo agevolato;

8) ad adottare iniziative per sviluppare, promuovere ed incentivare tecnologie di coltivazione fuori suolo, nonché nuove tecnologie applicabili in agricoltura per il miglioramento genetico basate, ad esempio, su cisgenesi e genome editing, consentendo la ricerca in pieno campo a sostegno dello sviluppo futuro del settore agricolo e agroalimentare;

9) ad adottare iniziative volte a programmare, attraverso un accordo con tutti i Ministeri di competenza, nonché con i soggetti che operano nel settore della cooperazione allo sviluppo, un'organica iniziativa di sostegno alla ripresa e allo sviluppo del settore agricolo in Ucraina, in conseguenza delle distruzioni subite dall'aggressione bellica della Russia, attivando tutte le iniziative possibili, anche nell'ambito del sistema della cooperazione italiana, e avviando misure di sostegno atte a consentire la ripresa e la continuità della piena capacità di produzione agricola dell'Ucraina.
(1-00609) (Nuova formulazione) «Cillis, Gagnarli, Gallinella, Cadeddu, Cassese, Bilotti, L'Abbate, Maglione, Marzana, Alberto Manca, Parentela, Pignatone».

(18 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    le conseguenze dirette e indirette della guerra tra Russia e Ucraina pongono al centro del dibattito la capacità del settore agroalimentare di affrontare efficacemente le dinamiche innestate dai rapidi e improvvisi mutamenti dei contesti economici e politici;

    i rincari record dei prezzi delle commodities agricole, in primis dei cereali, sono riconducibili, al pari di quanto è accaduto a tutte le materie prime, a un insieme di fattori di natura congiunturale, strutturale, geopolitica e anche speculativa. In questo scenario, l'Italia sconta una strutturale dipendenza delle forniture estere di frumento duro, tenero e mais, con un tasso di autoapprovvigionamento rispettivamente pari a circa il 60 per cento per il grano duro, il 35 per cento per il tenero e il 53 per cento per il mais, che espone particolarmente il nostro Paese alle turbolenze dei mercati internazionali;

    gli ultimi due anni, caratterizzati dai devastanti effetti sociali ed economici causati dalla pandemia da COVID-19, hanno rimesso al centro del dibattito politico la capacità di adattamento del nostro sistema agricolo e alimentare. Gli sforzi dei nostri produttori hanno costantemente assicurato cibo di qualità, a un prezzo equo, sulle tavole degli italiani, nonostante le enormi difficoltà legate all'emergenza sanitaria;

    l'invasione della Federazione russa ai danni dell'Ucraina ha bruscamente allontanato le previsioni di un graduale ritorno alla normalità e, sovrapponendosi al protrarsi degli effetti della pandemia, ha improvvisamente introdotto nuovi e ulteriori fattori di instabilità sociale ed economica. La crisi ha cancellato tutte le previsioni di un graduale ritorno alla normalità dopo la pandemia, introducendo nuovi elementi di instabilità economica e l'aumento generalizzato di tutte le materie prime e dell'energia. Oltre a mettere a rischio la sicurezza alimentare, sta progressivamente e rapidamente erodendo la redditività dell'attività economica su tutta la filiera produttiva ma, in particolare, dell'anello più debole minandone la sopravvivenza;

    le possibili limitazioni al commercio internazionale da parte di Paesi dell'area ex sovietica e di alcuni dei Paesi membri dell'Unione europea rischiano di compromettere il mercato degli approvvigionamenti europei provocando uno shock generalizzato di ampia portata. Per il settore agricolo, l'incertezza dello scenario geopolitico ha ulteriormente accresciuto la volatilità e anche la speculazione delle quotazioni internazionali dei cereali e dei semi oleosi. I prezzi di frumento e mais in Italia hanno raggiunto i livelli più elevati negli ultimi anni,

    il Crea ha stimato un impatto di oltre 15.700 euro di aumento medio dei costi delle imprese agricole; aumento dovuto al rincaro di fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi piantine, prodotti fitosanitari, antiparassitari e diserbanti, oltre ai maggiori costi per i noleggi passivi, conseguenza diretta dell'incremento dei costi dei carburanti;

    la Commissione europea ha attivato per la prima volta il suo fondo di riserva per la crisi, prevedendo un pacchetto da 500 milioni di euro, per sostenere direttamente gli agricoltori più colpiti dall'aumento dei costi di produzione e dalla chiusura dei mercati di esportazione

    la bozza di atto delegato, resa disponibile dalla Commissione, prevede per l'Italia un'assegnazione di 48 milioni di euro che potranno essere integrati con un cofinanziamento fino a 96 milioni di euro, di cui il nostro Paese è chiamato a farsi carico con un ulteriore sforzo finanziario. Per l'Italia significherebbe disporre di uno stanziamento complessivo di 144 milioni di euro, che, secondo quanto riferito dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, dovrebbe essere destinato ai settori maggiormente in difficoltà, zootecnico e lattiero-caseario;

    le proposte della Commissione europea rappresentano un primo passo positivo anche se risulta necessario, come ha anticipato il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Patuanelli il 29 marzo 2022 presso la Camera dei deputati durante l'informativa urgente, rivedere i Piani strategici nazionali previsti dalla nuova Pac alla luce delle mutate condizioni di mercato;

    il pacchetto di misure inserite nel decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, il cosiddetto «decreto crisi ucraina», costituisce una prima, concreta risposta, anche se non esaustiva, alle esigenze del settore;

    è necessario adottare misure immediate e urgenti lavorando ad un piano straordinario che consenta il miglior utilizzo degli strumenti a disposizione con la richiesta di risorse ulteriori per accrescere la nostra autonomia alimentare, diversificare i mercati di importazione, supportare il nostro export nell'individuazione di nuovi mercati, rafforzare i sistemi alimentari locali e di distretto. Occorre costruire un orizzonte strategico di medio periodo anche condizionando i principali strumenti che sostengono l'agricoltura e la pesca verso una maggiore buona produzione nazionale e verso il rafforzamento delle filiere, senza alcuna ambizione neo-protezionistica e autarchica ma anche senza smarrire gli obiettivi del Green Deal;

    la Fao ha allertato la comunità internazionale sulle conseguenze drammatiche che la guerra, con il conseguente blocco di grano destinato ai Paesi in via di sviluppo in aree come il Nord Africa, il Medioriente e l'Asia, può provocare in termini di sicurezza alimentare,

impegna il Governo:

1) con la dovuta attenzione ai temi ambientali, ad adottare iniziative di competenza per avviare una revisione e un aggiornamento della Pac 2022 e del Piano strategico nazionale 2023-2027 al fine di:

  a) incrementare la produttività agricole onde sopperire ai fabbisogni interni;

  b) prevedere forme di incentivo per le nuove messe a coltura;

  c) aumentare il plafond da destinare agli aiuti accoppiati da destinare alle colture proteiche, cereali e semi oleosi

  d) prevedere una deroga al 2023 di alcuni vincoli in modo da permettere di destinare tutte le superfici, a qualsiasi titolo ritirate dalla produzione, a colture proteiche, cereali o girasole.

2) ad adottare iniziative per assicurare una maggiore efficienza dei sistemi irrigui del nostro Paese, anche attraverso la realizzazione di piccole strutture di accumulo necessarie al sostegno della capacità produttiva delle aziende agricole che operano in condizioni climatiche difficili;

3) a prevedere iniziative volte a favorire una sana gestione finanziaria delle imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura attraverso una rinegoziazione e ristrutturazione dei mutui;

4) al fine di favorire il rilancio produttivo e occupazionale delle filiere agricole, della pesca e dell'acquacoltura, ad adottare iniziative per prorogare le agevolazioni contributive;

5) ad adottare iniziative di competenza per rafforzare i meccanismi di monitoraggio e controllo dei prezzi agroalimentari ai fini della immediata salvaguardia del potere d'acquisto delle famiglie, soprattutto in ordine ai consumi alimentari delle fasce di popolazione più deboli sul piano sociale ed economico;

6) ad adottare iniziative per sostenere la filiera della pesca e dell'acquacoltura a seguito dell'aumento dei costi del carburante e delle materie prime;

7) ad adottare iniziative volte a incentivare interventi per favorire l'ammodernamento, attraverso la combinazione di incentivi a fondo perduto e agevolazioni di carattere fiscale, la sostituzione e il rinnovo delle imbarcazioni adibite alla pesca e all'acquacoltura, agevolando il passaggio a motori tecnologicamente più avanzati che garantiscano un minor impatto ambientale e minori emissioni in atmosfera;

8) ad adottare iniziative per prevedere aiuti alle famiglie con redditi bassi per affrontare l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari attraverso la creazione di un Fondo alimentare per le famiglie che favorisca l'acquisto di beni alimentari essenziali;

9) ad adottare iniziative per sostenere le aziende agricole nella ricerca e nello sviluppo di strategie di diversificazione colturale orientate verso principi agro- ecologici;

10) ad adottare le iniziative di competenza per mettere a disposizione delle organizzazioni internazionali le risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza alimentare nei Paesi in via di sviluppo.
(1-00627) «Incerti, Cenni, Avossa, Critelli, Cappellani, Frailis, Berlinghieri, Pagani, Ciampi, Morgoni».

(19 aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la globalizzazione economica, in particolar modo dal termine della guerra fredda in poi, ha portato ad una forte crescita dei livelli di interdipendenza dell'Italia dai mercati internazionali, in particolar modo per l'approvvigionamento di materie prime ad ogni livello, anche agricolo;

    una elevata dipendenza da fornitori stranieri per l'approvvigionamento di prodotti strategici come le materie prime solleva numerosi profili di rischio per la sicurezza nazionale nel momento in cui tali fornitori corrispondono a Paesi stranieri al di fuori dell'Unione europea e dunque dell'ambito applicativo delle garanzie di diritto dell'Unione;

    la pandemia da COVID-19 con le misure di restrizione e contenimento, in particolar modo in riferimento alla prima metà dell'anno 2020, nonché il conseguente arresto delle attività economiche e la successiva immediata ripresa hanno dato luogo ad una cosiddetta crisi di saturazione, con elevati livelli di inflazione, costanti rincari di materie prime ed energia, ed una perturbazione delle catene di rifornimento globali, con conseguente rincaro dei costi della logistica;

    come indicato già nella prima metà dell'anno 2021 dal FAO Food Price Index (FFPI), sono stati registrati incrementi dei prezzi delle principali materie prime in agricoltura per oltre dodici mesi consecutivi, anche in virtù dell'impatto che il mercato interno cinese, particolarmente attivo nell'acquisto di materie prime agricole, ha avuto sui mercati internazionali;

    il rincaro delle materie prime agricole e dei costi della logistica, congiuntamente alla recente spirale inflattiva ed all'erosione del potere di acquisto di cittadini ed imprese, ha riversato le sue conseguenze direttamente sui consumatori finali e sulle aziende della filiera, anche per quanto attiene all'acquisto di prodotti di prima necessità;

    lo scenario economico, già abbastanza preoccupante al termine del quarto trimestre del 2021, è stato successivamente aggravato dall'invasione dell'Ucraina ad opera della Federazione russa, che ha portato all'interruzione di tutti i canali di fornitura relativi all'area strategica del Mar Nero nonché al blocco temporaneo delle esportazioni di materie prime agricole da Russia e Ucraina verso i mercati occidentali, con conseguenti difficoltà nel reperimento di numerose materie prime che vanno dal mais al grano duro ai materiali chimici per la produzione di fertilizzanti, senza contare le ripercussioni sui costi dell'energia;

    sul punto, infatti, come riportato dal Centro di ricerca politiche e bioeconomia del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea), la Russia produce il 23 per cento del gas naturale mondiale e circa il 40 per cento del gas naturale dell'Unione europea proviene dalla Russia, che è anche un importante esportatore di petrolio, il cui prezzo (brent) è salito di oltre il 60 per cento dall'inizio del 2022, portando, tra rincaro di gas e petrolio, ad aggravare l'inflazione dei prodotti alimentari;

    Russia e Ucraina rappresentano oltre il 30 per cento del commercio mondiale di frumento e orzo, il 17 per cento del mais e oltre il 50 per cento dell'olio di girasole, prodotti essenziali sia per la trasformazione alimentare che per la mangimistica che per la produzione di beni di prima necessità come pane o pasta;

    in tal senso, l'Italia importa, tra le altre, il 64 per cento del grano tenero per il pane e i biscotti, il 44 per cento di grano duro per la pasta ed il 47 per cento di mais, al punto che i rincari di tali materie incide di per sé sul 10 per cento del prezzo del prodotto finale sul consumatore, con ulteriori rincari dovuti al costo dell'energia (essenziale per alimentare i processi di trasformazione della materia prima agricola) ed al maggiore costo di trasporti, imballaggi e carburate;

    secondo le elaborazioni del Crea, la variazione percentuale dei costi legati a componenti come fertilizzanti e gasolio ha superato rispettivamente il 170 per cento ed il 129 per cento, ha portato complessivamente ad un rincaro annuale dei costi correnti per le aziende agricole stimato di oltre 15.700 euro, valore che arriva a sfiorare i 99.000 euro nelle aziende che allevano granivori;

    come indicato dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) pesa su questo scenario, relativamente all'approvvigionamento della materia grano duro, il crollo dei raccolti nel primo Paese mondiale per produzione di grano duro, il Canada, pari al 59,6 per cento dovuto, tra le altre alla forte siccità che ha colpito il Paese, portando ad un vuoto di offerta che ha impattato in modo rilevanti sia sui mercati internazionali (con un declino delle scorte globali di oltre il 24 per cento) che sulla tenuta dell'industria molitoria;

    in relazione al mais, di cui l'Ucraina è quarto esportatore mondiale, detenendo il 15 per cento delle forniture globali, nel febbraio 2022 Ismea ha registrato un valore di picco storico, con la quotazione di 283,10 euro per tonnellata (+27 per cento su febbraio 2021), sollevando numerose preoccupazioni sul fronte interno sia per il calo della produzione nazionale di mais di circa il 30 per cento negli ultimi 10 anni, sia perché la quota di autoproduzione nazionale è attualmente in grado di coprire il solo 53 per cento della domanda interna, lasciando il restante 47 per cento totalmente in mano alle importazioni straniere, con particolare sensibilità alle oscillazioni di mercato e conseguenti rincari a cascata per le aziende agricole, ed in modo particolare il comparto mangimistico;

    per il grano tenero, il mercato è fortemente influenzato dalle esportazioni di Russia e Ucraina che, insieme, esprimono oltre il 30 per cento delle esportazioni globali, portando a oscillazioni di mercato molto marcate, con il raggiungimento del picco di 325,63 euro a tonnellata nel dicembre 2021 (valore più, alto dal 1993) e, nel mese di febbraio, il valore di 312,98 euro a tonnellata, comunque estremamente elevato;

    per quanto attiene al grano tenero, l'Italia ne importa circa il 60 per cento per uso interno di prima e seconda trasformazione, esponendo l'industria molitoria ad una estrema vulnerabilità, nonostante le importazioni italiane provengano principalmente da Paesi dell'Unione europea;

    è in questo caso fondamentale il raggiungimento di strategie condivise in sede europea per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare a tutti i Paesi membri, considerando anche la forte attività di approvvigionamento di grano da parte della Repubblica popolare cinese;

    l'inflazione alimentare ha colpito anche il settore lattiero-caseario, con un incremento dei costi di produzione di almeno il 20 per cento e conseguente rincaro per i consumatori del 30 per cento anche per via del costo medio del latte pari a 48 centesimi al litro (secondo rilevazioni di aprile 2022) e per la riduzione del numero di capi utilizzati dai produttori, necessario per contenere i costi;

    i rincari, avendo colpito a tutto tondo, anche per ragioni esterne rispetto al conflitto tra Ucraina e Russia, anche le quotazioni delle terre rare e delle produzioni tecnologiche, hanno portato ad un rincaro dei mezzi agricoli e dei prodotti ad alto livello di tecnologia, sempre più necessari per le aziende agricole;

    la Russia è il primo esportatore al mondo di fertilizzanti, detenendo oltre il 13 per cento della loro produzione mondiale, con il costo del nitrato di ammonio passato da 250 euro a 675 euro a tonnellata, dell'urea da 350 euro a 875 euro a tonnellata (con picchi di oltre 1000 euro/t), il perfosfato minerale da 170 euro a 350 euro a tonnellata e concimi a contenuto di potassio da 450 a 850 euro a tonnellata, costringendo almeno il 30 per cento delle imprese agricole a ridurre i raccolti;

    il rincaro dei costi energetici ha portato alla riduzione degli output delle industrie produttrici di fertilizzanti in Europa, portando anche ad una prospettiva di effettiva scarsità dei fertilizzanti stessi;

    l'Italia è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari dell'Ucraina, con una quota rilevante di esportazioni di tabacco e prodotti ad alto valore aggiunto come vino, caffè, pasta;

    tale scenario, unito al rincaro dei costi dell'energia, porta ad un generale aggravio dei costi di produzione industriale a qualsiasi livello, con particolare incidenza per l'industria agroalimentare a qualsiasi livello, con costi di utenze energetiche superiori anche del 1.500 per cento rispetto a febbraio 2020;

    nonostante le prime avvisaglie della crisi corrente fossero state sollevate ed evidenziate a più riprese nel corso del 2021, la mancata adozione di misure sistemiche a livello italiano ed europeo ha portato il sistema-Paese Italia in una situazione di enorme vulnerabilità, sia per quanto riguarda la produzione agroalimentare che l'approvvigionamento di componentistica per i macchinari industriali che per il procacciamento di materie prime agricole;

    altri Paesi europei hanno adottato, sia in sede di piano di rilancio nazionale post-pandemico, che in risposta all'attuale contingenza internazionale, strategie di rilancio delle produzioni strategiche nazionali in agricoltura, con particolare attenzione alla creazione di catene di fornitura strategiche, diversificate e con una importante quota di autoapprovvigionamento;

    ciò rende improcrastinabile l'esigenza di raggiungere una piena sovranità alimentare con la creazione di filiere nazionali che riducano la vulnerabilità del sistema industriale agroalimentare italiano dalle oscillazioni e speculazioni di mercato, in modo da garantire anche una piena sicurezza alimentare in termini di approvvigionamento nazionale e fornitura di prodotti di qualità ai cittadini italiani, considerando anche il ruolo di presidio ricoperto dal comparto agricolo nel corso della pandemia da COVID-19;

    la crisi pandemica da COVID-19, il rincaro di energia e materie prime, la contrazione della domanda di prodotti e la riduzione del potere di acquisto hanno incrementato i costi sostenuti dalle imprese nel procacciarsi i materiali da trasformare, i costi sostenuti per alimentare i processi produttivi, nonché quelli di produzione finale e trasporto, con conseguenti rincari in capo ai consumatori ed un minore guadagno per tutti;

    le politiche di transizione energetica verde sostenute a livello nazionale ed europeo hanno reso Italia ed Unione europea particolarmente fragili di fronte all'attuale scenario internazionale, creando ulteriori costi in capo a imprese e cittadini, dando luogo ad un rischio di stagflazione per tutta l'economia europea, la quale porterebbe al tracollo del secondo blocco economico mondiale;

    in tal senso, il piano REPowerEU, presentato dalla Commissione europea per prevedere una maggiore indipendenza energetica europea da fornitori quali la Federazione russa, necessita di essere integrato, così come il Piano nazionale di ripresa e resilienza e, a livello europeo, il piano Next Generation EU, in quanto l'attuale contingenza economica è estremamente aggravata, a tutti i livelli, rispetto alle premesse iniziali di elaborazione dei piani;

    numerose iniziative del Pnrr, in tutti i livelli, rischiano di essere di fatto sterilizzate dal fenomeno dell'energy crunch;

    come indicato anche nel Documento di economia e finanza (Def 2022), la guerra tra Russia e Ucraina ha un fortissimo peso sulla crescita, rendendo incerti gli scenari per il 2022, con conseguenti ripercussioni anche sul 2023;

    a livello internazionale la Cina sta stoccando materia prima industriale ed agricola, arrivando oggi a detenere l'82 per cento delle scorte mondiali di rame, il 69 per cento di quelle di mais, il 49 per cento di quelle di frumento, il 45 per cento di quelle di fagioli di soia, il 26 per cento di quelle di petrolio;

    l'attuale crisi energetica e alimentare ha ripercussioni sistemiche anche sugli scenari internazionali di prossimità rispetto all'Italia, in quanto dalle esportazioni alimentari di Russia e Ucraina dipendono Paesi come Egitto, Nigeria, Tunisia, Mali ed in generale tutta l'area africana;

    in tal senso l'interruzione delle forniture di prodotti alimentari nonché il rincaro di materie prime agricole possono portare sia a nuove ondate migratorie dovute alla mancanza di derrate alimentari nel continente africano sia ad una maggiore influenza nell'area da parte della Cina, che già sta imponendosi come sostituto di Russia e Ucraina per il rifornimento di materie prime in agricoltura, come da ultimo attestato da un accordo stipulato con l'Algeria per la produzione di fertilizzanti;

    la crisi dell'approvvigionamento alimentare interviene quindi in ottica interna nazionale, europea, ma anche internazionale e strategica, aprendo nuovi spiragli di rischio ed opportunità per l'Italia e l'Unione europea;

    l'aumento dei prezzi, ad ogni livello, ha un impatto particolarmente marcato sui ceti meno abbienti, in particolar modo famiglie e cosiddetto working poor, anche alla luce della dinamica di mancata crescita dei salari italiani a parità dei principali competitor europei, come Francia e Germania;

    il rilancio della produzione agricola nazionale può partire unicamente dall'adozione di una strategia di politica agricola di ampio respiro e lungo periodo, anche operando sullo stravolgimento dei paradigmi finora adottati,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per sostenere le filiere nazionali aumentando l'autoapprovvigionamento, attraverso una strategia di tutela del reddito degli agricoltori italiani, e per diversificare le fonti di approvvigionamento di materie prime agricole, con riferimento a grano duro, tenero, mais, fertilizzanti e a tutte le materie prime dove sia presente una sostanziale quota di importazioni, operando altresì per incrementare lo stoccaggio di materie prime;

2) ad adottare le necessarie iniziative di competenza presso i competenti tavoli europei per riorganizzare gli obiettivi programmatici della Politica agricola comune (Pac) sulla base del nuovo scenario internazionale, con la finalità di sostenere la creazione di filiere agricole strategiche nazionali e garantire approvvigionamento e sovranità alimentare a livello italiano ed europeo;

3) ad arrestare l'entrata in vigore delle misure contenute nella Pac con effetti riduttivi e distorsivi nei confronti delle produzioni agricole nazionali, con riferimento anche agli obblighi di semina, rotazione delle colture o messa a riposo dei terreni;

4) ad adottare iniziative per consentire l'utilizzo delle aree ecologiche ad oggi non coltivate, nonché delle superfici coltivabili lasciate a riposo o ad altra destinazione agroalimentare, ove compatibile, con la finalità di rilanciare le produzioni agroalimentari nazionali;

5) ad adottare iniziative per riformare gli strumenti di finanza agevolata a sostegno del settore agroalimentare, in riferimento sia alla ristrutturazione e rinegoziazione delle esposizioni bancarie delle imprese agricole, sia in riferimento alla concessione di credito, anche con garanzie statali e lunghi periodi di ammortamento, necessari per il lancio di nuove attività agricole ed il risanamento di stazioni di particolare esposizione ed insolvenza di attività agricole già esistenti, nonché per il sostegno dei costi legati all'approvvigionamento energetico, di macchinari e di materie prime per l'attività delle aziende agroalimentari;

6) ad adottare iniziative per calmierare, nel breve periodo, il costo dei carburanti utilizzati dalle imprese agricole e dalle filiere agroalimentari per tutti i processi di lavorazione agricola almeno per l'anno 2022 o anche successivamente qualora perdurino gli aumenti del costo del gasolio agricolo, valutando anche la revisione del regime di sussidi ambientalmente dannosi (Sad) per ridurre ulteriormente gli oneri sui carburanti usati dalle filiere;

7) ad adottare iniziative per rimuovere i vincoli di origine normativa e burocratica che rallentino la produttività delle aziende agroalimentari, erogando contributi per stimolare le produzioni agricole più strategiche e da cui si registra una maggiore dipendenza dalle importazioni straniere;

8) ad adottare iniziative per riformare in ottica di semplificazione, le modalità di erogazione dei pagamenti da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) anche prevedendo deroghe e rinvii rispetto ad oneri di controllo propedeutici alle erogazioni stesse;

9) a promuovere in sede comunitaria una strategia finalizzata alla creazione, ove possibile, di una filiera di lavorazione, produzione e distribuzione dei fertilizzanti nell'Unione europea e nei Paesi membri, nonché ad adottare iniziative per diversificare le fonti di approvvigionamento di prodotti fertilizzanti in modo tale da ridurre l'esposizione nazionale italiana da fornitori extra-europei;

10) a promuovere l'apertura dei necessari tavoli europei per rimodulare in modo organico le iniziative quali Next Generation EU, Green New Deal, REPowerEU e la Politica agricola Comune e, ove applicabile e necessario, la Politica comune della pesca, nell'ottica dell'incentivo alla produzione nazionale di prodotti alimentari e dell'abbandono di strategie energetiche eccessivamente dannose per i comparti industriali europei del settore agroalimentare, fronteggiando le gravi ripercussioni sulle fasce di popolazione meno abbienti conseguenti alla crisi internazionale di energia e materie prime;

11) a programmare, per quanto di competenza, in sede nazionale ed europea, iniziative di politica estera tali da scongiurare l'estensione dell'influenza cinese nel continente africano in conseguenza della sopravvenuta crisi alimentare e operare, anche con accordi di natura economico-politica, per sostituire, ove possibile, il ruolo della Federazione russa nelle catene di approvvigionamento alimentare nelle aree di interesse strategico nazionale.
(1-00629) «Meloni, Lollobrigida, Caretta, Ciaburro, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(19 aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi mesi la situazione dell'agricoltura italiana, impegnata in una fase di delicata ripresa dopo la crisi dovuta alla pandemia, si è ulteriormente aggravata a causa dell'impennata dei prezzi dell'energia e per il conflitto Russia-Ucraina, che stanno comportando il rincaro delle materie prime essenziali per i processi produttivi della filiera agroalimentare;

    il conflitto si è inserito in un momento in cui il mercato delle commodities era già turbolento e sta rendendo l'Italia vulnerabile sotto il profilo della dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti, in particolare, dei principali cereali quali mais, grano, soia e girasole;

    l'Ucraina è il quarto produttore al mondo di cereali e importante fornitore per il nostro Paese di mais, soia e grano, materie prime fondamentali soprattutto per il settore della zootecnia, in quanto il mais è presente nell'alimentazione di bovini da latte, da carni, suini e pollame da carne e ovaiole; un blocco delle importazioni di queste commodities ha un impatto dannoso per le produzioni agroalimentari, quali pasta, salumi, formaggi, carne e latte;

    la crisi ucraina e i suoi contraccolpi globali hanno messo in evidenza quanto l'Italia non sia autosufficiente su alcuni fronti; il nostro Paese produce appena il 36 per cento del grano tenero che le serve, il 53 per cento del mais, il 51 per cento della carne bovina, il 56 per cento del grano duro per la pasta, il 73 per cento dell'orzo, il 63 per cento della carne di maiale e i salumi, il 49 per cento della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all'84 per cento di autoapprovvigionamento;

    l'Ucraina, insieme alla Russia, controlla circa il 28 per cento degli scambi di grano con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, per il 16 per cento sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l'alimentazione degli animali negli allevamenti e per il 65 per cento sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate) per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell'industria alimentare;

    il mais è la componente principale dell'alimentazione degli animali negli allevamenti e l'Italia è costretta a importare oltre la metà del fabbisogno (53 per cento) a seguito della riduzione di quasi 1/3 della produzione interna negli ultimi 10 anni a causa delle speculazioni a danno degli agricoltori e dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, portando alla scomparsa di 1 campo di grano su 5 con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati;

    secondo le regole della Pac le aziende agricole di dimensioni superiori a 10 ettari dovrebbero lasciare obbligatoriamente a riposo, ogni anno, una quota pari al 5 per cento della superficie aziendale;

    la Commissione europea, per fronteggiare all'allarme forniture dovuto alla crisi per la guerra in Ucraina, ha previsto una deroga temporanea al tasso minimo di terreni a riposo – misura che rientra in un piano anti-crisi per l'agricoltura – per la messa in coltivazione di 4 milioni di ettari di terreni inutilizzati nella Unione europea per consentirne la coltivazione e aumentare la produzione di cereali e colture proteiche per scopi alimentari e mangimi, al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni, che stanno mettendo in difficoltà la capacità di approvvigionamento in Italia e nell'Unione europea;

    questa deroga permetterà all'Italia di sbloccare circa 200 mila ettari di terreni incolti necessari per ridurre la dipendenza dall'estero; tra le regioni più interessate ci sono la Campania con 10.500 ettari, la Lombardia con 11 mila, il Veneto con 12.300 ettari, il Piemonte con 17.544 e l'Emilia-Romagna con 20.200;

    relativamente alla questione dei terreni incolti, che potrebbero essere utilizzati per aumentare l'autosufficienza del nostro Paese, esiste il problema della ricomposizione fondiaria che riveste una particolare rilevanza, specialmente nelle zone montane, a causa dei gravi limiti strutturali presenti nel comparto agricolo dovuti ai fenomeni di polverizzazione accompagnati da quelli di frammentazione e dispersione fondiaria delle aziende agricole, organizzate in genere su più corpi fondiari, spesso distanti fra di loro, riferibili ad un unico proprietario e intervallati da terreni appartenenti ad altri;

    la frammentazione fondiaria, inoltre, porta ad avere delle zone rurali abbandonate, perché la coltivazione o il mantenimento dei fondi risulta difficile e non redditizio ed anche a causa delle ridotte dimensioni dei lotti che si configurano spesso come delle strisce di terreno lunghe e strette, caratteristiche dell'assetto montano e che mal si prestano alle lavorazioni agrarie; la frammentazione della proprietà fondiaria è un fattore negativo che incide fortemente sui costi di produzione delle colture ed è una grossa limitazione alla manutenzione dei terreni montani;

    alle conseguenze del conflitto Russia-Ucraina si è andata a sommare la situazione derivata dall'aumento dei costi energetici, che introduce nuovi e ulteriori fattori di instabilità sociale ed economica per l'agricoltura italiana;

    le aziende agricole segnalano quotidianamente una crescita esponenziale dei costi legati all'energia elettrica e al gas, ma anche un aumento dei prezzi di carburanti, fertilizzanti, mangimi, prodotti fitosanitari, antiparassitari, diserbanti, macchinari e sementi;

    l'innalzamento dei costi energetici si riflette, con rincari a catena, anche sui prezzi degli imballaggi, sulla plastica, sul vetro, sulla carta per le etichette dei prodotti, sulle confezioni di latte, sulle bottiglie per l'olio, sui succhi e passate ed anche sui trasporti;

    l'aumento dei costi di produzione ricade inevitabilmente sui prezzi al consumo dei prodotti primari, che vanno a gravare sui consumatori finali; l'aumento del prezzo finale non arriva al produttore iniziale, ma viene assorbito dalla grande distribuzione e dalla trasformazione; il settore agricolo, infatti, è quello che più di ogni altro non riesce nemmeno ad avere un vantaggio da un eventuale rialzo dei prezzi al consumo, perché l'aumento può causare, tra l'altro, una contrazione del consumo del prodotto stesso, con un conseguente effetto nullo lungo la filiera produttiva;

    il primo problema dell'agricoltura italiana, quindi, è il reddito delle aziende agricole; i rincari stanno colpendo la redditività delle imprese dell'intera filiera agroalimentare. Si stima un aumento medio di 1/3 dei costi di produzione dell'agricoltura a livello nazionale per un esborso di circa 8 miliardi di euro su base annua rispetto al precedente anno;

    se un'azienda agricola ha un reddito adeguato, ha le risorse necessarie per sostituire le trattrici, investire in stalle più moderne, investire nell'agricoltura di precisione, e, quindi, in maggiore sostenibilità ambientale allo stesso tempo e riduzione degli input, che sono un costo produttivo;

    i costi aziendali, oramai, sono fuori controllo, riducono fortemente il profitto degli agricoltori portandolo a livelli al di sotto della sostenibilità economica, considerato che il 30 per cento delle aziende agricole ha un bilancio in negativo. Il Crea ha stimato che un'impresa agricola su dieci non riesce a far fronte alle spese, con un impatto di 15.700 euro di aumento medio dei costi annui;

    il prezzo del gasolio ad uso agricolo e per la pesca, sta toccando sempre più livelli preoccupanti andando ad appesantire ulteriormente il bilancio delle aziende agricole e ittiche che rischiano di uscire dal mercato; essendo il gasolio agricolo imprescindibile per le attività agricole, silvicolturali, di allevamento e ittiche, questo rincaro sta mettendo in ginocchio le attività che utilizzano macchinari e mezzi;

    il caro carburanti contribuisce a ridurre la competitività delle imprese made in Italy sul mercato interno e sulle esportazioni con il rischio di perdere quote di mercato, soprattutto nell'ambito della competizione internazionale;

    il settore ittico, già provato duramente dagli effetti della pandemia, si trova oggi a dover fare i conti con questo nuovo ostacolo, l'aumento del gasolio agricolo; la voce «carburante», che prima incideva per il 40 per cento, ora supera il 70 per cento; in media, un pieno di gasolio di un peschereccio è passato da circa 700 euro a oltre 1.300, a fronte di entrate economiche sempre più esigue; con i costi superiori ai ricavi si va incontro ad un danno irrecuperabile per il settore ittico, con 8 imprese su 10 che rischiano la chiusura della loro attività;

    per le operazioni colturali gli agricoltori sono stati costretti ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50 per cento per il gasolio necessario per le attività che comprendono l'estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione; l'impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha rialzato anche i prezzi dei concimi (+143 per cento);

    i rincari energetici e la guerra in Ucraina stanno colpendo anche le coltivazioni in serra di frutta, verdura, ortaggi e fiori e hanno fatto aumentare del 51 per cento il costo della produzione di frutta in Italia, che arriva addirittura al 67 per cento per la produzione ortofloricola; si tratta di una situazione preoccupante per il settore ortofrutticolo nazionale, che garantisce 440.000 posti di lavoro, pari al 40 per cento del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all'anno, pari al 25 per cento della produzione agricola totale;

    gli agricoltori si trovano costretti a cambiare le abitudini consolidate nelle produzioni, come quella di tornare, temporaneamente, a dedicarsi a semine diverse, pur di spegnere le serre e tamponare così le cifre mostruose degli aumenti;

    nel settore del florovivaismo quest'anno produrre fiori costa agli agricoltori italiani il 30 per cento in più, con i vivai che sono oggi costretti a produrre praticamente in perdita; il settore del florovivaismo è un settore cardine per l'economia agricola nazionale che vale oltre 2,57 miliardi di euro, generati da 27.000 aziende florovivaistiche attive in Italia, con un indotto complessivo di 200.000 occupati;

    l'emergenza energetica si riversa non solo sui costi di riscaldamento delle serre ma anche su carburanti per la movimentazione dei macchinari, sui costi delle materie prime, fertilizzanti, vasi e cartoni. Nelle serre si spende dal 50 per cento in più, per il gasolio e l'elettricità, al 400 per cento in più per concimi e metano, mentre i prezzi degli imballaggi in plastica sono triplicati;

    i rincari non hanno risparmiato neanche chi da anni ha convertito i propri sistemi di riscaldamento da gasolio a fonti green, ovvero a biomassa, dovuto ai costi di approvvigionamento qualora le materie prime non siano locali;

    nonostante molte delle nostre aziende agricole stiano avviando un percorso «green» di sviluppo sostenibile, investendo nella produzione di energia da fonti rinnovabili, da sole però non riescono a soddisfare il fabbisogno energetico ed il ricorso al mercato è ancora indispensabile per garantire la continuità dell'attività agricola. L'agrovoltaico, sul quale c'è una destinazione nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di 1,5 miliardi di euro, sarà un grande supporto alle aziende agricole per abbassare i costi dell'energia. Per le aziende agricole va anche valorizzato l'utilizzo di centrali a biomasse, soprattutto per quei tipi di aziende che hanno molti residui verdi di lavorazione, basti pensare al florovivaismo e non soltanto;

    si sta avviando il processo di transizione ecologica chiedendo alle nostre aziende agricole di fare degli sforzi, soprattutto economici, per affrontare questo passaggio, ma alla luce dei nuovi sviluppi internazionali, come il conflitto russo ucraino, serve a questo punto un'azione graduale che accompagni le nostre aziende agricole in questo passaggio e non scelte che adesso apparirebbero drastiche e che potrebbero causare loro un ulteriore appesantimento grave;

    anche la filiera lattiero-casearia, una tra le filiere fondamentali dei nostri sistemi produttivi primari, è in forte preoccupazione per la tenuta delle sue aziende perché sconta una situazione macroeconomica relativa ad un aumento dei costi di produzione fuori controllo, causato dal continuo ed inarrestabile aumento delle materie prime per l'alimentazione degli animali, dell'energia elettrica, del gasolio agricolo, dovuti sia alla crisi ucraina che all'inadeguatezza del prezzo del latte alla stalla che, pur in presenza di un aumento intorno al 10 per cento, non riesce a compensare i crescenti costi di produzione;

    sommando l'aumento del costo alimentare a quello energetico oggi produrre 1 litro di latte vaccino costa quasi 8/10 centesimi in più rispetto ad un anno fa, arrivando a 48/50 centesimi il litro, con grandi differenze su base regionale, mentre il prezzo conferito agli allevatori è di 41 centesimi;

    alla fine dello scorso anno è stato avviato un tavolo di filiera, esteso a tutti gli attori della filiera, con lo scopo di avere un'ampia condivisione delle tematiche di filiera e per una migliore remunerazione del prezzo del latte. I risultati raggiunti dal tavolo, però, di fatto, sono stati azzerati dall'aumento dei costi di produzione (mangimi e costi energetici);

    il decreto-legge n. 21 del 2022, cosiddetto «decreto crisi ucraina», ha adottato alcune misure volte a sostenere gli agricoltori e pescatori italiani, tra le quali la previsione di un credito d'imposta del 20 per cento della spesa per l'acquisto di gasolio sostenuta dalle imprese agricole e della pesca e dell'acquacoltura per l'acquisto del carburante effettivamente utilizzato nel primo trimestre solare dell'anno 2022, e la rinegoziazione e ristrutturazione dei mutui agrari che prevede che le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura potranno rinegoziare e ristrutturare i finanziamenti in essere e allungare fino a 25 anni il relativo periodo residuo di rimborso;

    queste misure sono importanti e sono di sostegno al settore dell'agricoltura e della pesca, ma per risollevarne le sorti sono necessarie, non solo misure emergenziali, ma misure strutturali di medio e soprattutto lungo periodo che permettano un rilancio duraturo dell'agricoltura e della pesca e che possano metterlo in condizione di affrontare le sfide future che si porranno davanti a fronte di un panorama europeo e internazionale che sta inevitabilmente mutando;

    la Politica agricola comune (Pac) 2021-2027, che già prima sembrava difficile da attuare, e che secondo diversi studi metteva a rischio l'approvvigionamento di cibo nell'Unione europea, alla luce dell'attuale nuovo quadro appare deficitaria e incapace di dare le risposte necessarie all'agricoltura ad affrontare le nuove esigenze sopravvenute;

    la Commissione europea ha inviato all'Italia le sue osservazioni, di carattere generale e puntuale, sul Piano strategico nazionale (Psn) ritenendolo insufficiente, con elementi mancanti, incompleti o incoerenti chiedendo dibatto al nostro Paese una drastica correzione di rotta per l'attuazione della Pac post 2022; il Psn aveva previsto come utilizzare i 35,7 miliardi di euro messi a disposizioni del nostro Paese per i prossimi 5 anni in merito al nuovo regime dei pagamenti diretti, agli interventi settoriali e per le politiche di sviluppo rurale,

impegna il Governo:

1) ad adottare ulteriori iniziative urgenti e di medio e lungo periodo, di sostegno al reddito per gli operatori dei settori agricolo, forestale, della pesca e dell'acquacoltura, al fine di compensare l'aumento dei costi fissi, sostenuti dalle imprese, causato dall'aumento dei costi energetici e da quelli derivanti dal conflitto Russia-Ucraina, che sta minando la competitività del made in Italy mettendo a rischio la tenuta di uno dei comparti strategici per l'economia italiana, che va dai campi all'industria di trasformazione, fino alla conservazione e alla distribuzione;

2) ad assumere iniziative per attuare un incisivo intervento che favorisca la ricomposizione dei fondi agricoli e il riordino delle proprietà polverizzate, al fine di superare l'annosa questione della frammentazione e della polverizzazione fondiaria, prevedendo una revisione dell'attuale normativa che preveda, tra le altre cose, una procedura semplificata in caso di eventuali comproprietari non più rintracciabili, residenti in altri Stati o impossibilitati a partecipare all'atto di compravendita di fondi agricoli ubicati in territori agroforestali montani, in modo da sostenere gli interventi volti a integrare, ove possibile, le superfici e a contribuire alla rettificazione dei confini dei fondi agricoli;

3) a predisporre una strategia per monitorare l'andamento dei prezzi delle materie prime e di quelli energetici e per garantire la trasparenza del mercato, al fine di arginare fenomeni speculativi che destabilizzano il mercato e generano un disequilibrio nella remunerazione dei fattori produttivi a danno della competitività delle filiere agricole, della pesca e dell'acquacoltura, e a monitorare la composizione e l'andamento dei prezzi dei prodotti agroalimentari, affinché i rincari non ricadano sui consumatori finali;

4) ad adottare iniziative volte ad evitare che i rincari del gasolio agricolo blocchino i settori agricolo, della pesca e dell'acquacoltura, fondamentali per l'economia nazionale;

5) ad adottare nel medio e lungo periodo iniziative volte a tutelare la redditività delle aziende agricole, in particolare per il comparto lattiero-caseario, partendo dall'attuazione completa degli accordi conclusi al Tavolo nazionale sulla filiera;

6) ad adottare iniziative per prevedere un Piano che permetta, alla luce della deroga da parte della Commissione europea sui terreni a riposo, un aumento della produzione nazionale di mais e grano che porterebbe ad una drastica riduzione della dipendenza del nostro Paese dalle importazioni, nonché per stimolare la stipula di contratti di filiera per la coltivazione del grano e del mais che riconoscano un prezzo equo di acquisto basato sugli effettivi costi sostenuti dalle imprese agricole;

7) ad adottare iniziative per favorire l'utilizzo delle biomasse come fonte energetica rinnovabile utilizzando a tale fine gli scarti delle lavorazioni della filiera agricola, forestale e del legno, consentendo l'installazione di nuovi impianti a biomasse al servizio delle aziende agricole e forestali, anche al fine di garantire la resilienza e lo sviluppo delle aree rurali e di montagna;

8) ad avviare un dialogo, in vista della revisione del Piano strategico nazionale, e alla luce delle osservazioni della Commissione europea, con tutti i soggetti interessati per un confronto costruttivo per far sì che la nuova versione del suddetto Piano strategico nazionale della Pac recepisca al meglio le osservazioni della Commissione europea e risponda anche alle esigenze attuali del mondo agricolo, in difficoltà per il rincaro energetico e delle materie prime.
(1-00630) «Viviani, Molinari, Bubisutti, Gastaldi, Germanà, Golinelli, Liuni, Lolini, Loss, Manzato».

(19 aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il settore agricolo e quello agroalimentare stanno vivendo un periodo di crisi senza precedenti. Dopo la pandemia e le restrizioni che hanno rallentato la produzione e gli scambi commerciali, è arrivata la drammatica guerra in Ucraina che, oltre alle perdite umane, ha portato all'aumento esponenziale dei costi energetici e delle materie prime, come sementi e mangimi. Secondo i primi dati, la situazione attuale, vede bilanci in rosso per oltre il 30 per cento delle aziende, con ripercussioni sui prezzi che hanno interessato sia la produzione che l'intera filiera, trasferendosi dai terreni agli scaffali dei punti vendita;

    la guerra produrrà effetti a catena che avranno un impatto significativo anche sull'agricoltura italiana. Russia e Ucraina rappresentano insieme oltre il 30 per cento del commercio mondiale di frumento e orzo, il 17 per cento del mais e il 50 per cento dell'olio di girasole. Anche un'importante quota di soia non ogm, fondamentale per la produzione di mangimi, proviene dai due Paesi. Il commercio di questi prodotti è stato sostanzialmente congelato a causa del conflitto che, inoltre, impedisce agli agricoltori ucraini di procedere con le semine primaverili di queste coltivazioni, con evidenti conseguenze negative anche a medio e lungo termine per le imprese agricole dell'Unione europea, ed italiane in particolare;

    l'industria molitoria italiana è fortemente dipendente dalle importazioni per l'approvvigionamento del grano, in particolare quello tenero, pari al 60 per cento del fabbisogno interno. Esso viene importato in quota minoritaria da Ucraina e Russia, ma in abbondanza dall'Ungheria, i cui tentativi di sospendere le esportazioni sono stati fermati dalla Commissione europea. Per realizzare l'obiettivo è stato molto importante il dialogo del Presidente del Consiglio italiano con quello ungherese, che ha sbloccato la situazione e ripristinato il libero commercio tra i Paesi dell'Unione europea;

    in particolare per il grano duro, sin dal 2021 si è determinata una riduzione della disponibilità e un aumento dei prezzi. Ciò è accaduto perché fra giugno e luglio dello scorso anno il Canada è stato colpito da un'ondata di caldo eccezionale e la siccità conseguente ha causato la drastica riduzione della produzione, quindi delle esportazioni, facendo aumentare i prezzi di vendita in tutto il mondo;

    si consideri che da alcuni anni si assiste a livello globale, ed in particolare in Italia, ad alte temperature fuori stagione e alla riduzione delle precipitazioni. Fatti che alimentano la siccità e rendono complessa l'attività agricola. Per questo bisogna essere consapevoli che i fenomeni di siccità saranno sempre più frequenti nel nostro Paese, adottando di conseguenza tutte le soluzioni utili a preservare l'acqua, in particolare migliorando la gestione delle risorse idriche per aumentarne l'efficienza d'uso in agricoltura, limitarne gli sprechi e razionalizzare il funzionamento dei comprensori irrigui;

    la guerra sta incidendo ulteriormente sull'aumento dei costi sostenuti dalle aziende agricole italiane per la produzione alimentare. In Italia si utilizzano annualmente 2,5 milioni di tonnellate di fertilizzanti, molti dei quali erano importati da Ucraina e Russia, il principale produttore mondiale;

    uno studio del Crea dal titolo «Guerra in Ucraina: gli effetti sui costi e sui risultati economici delle aziende agricole italiane» – ha stimato che il comparto dei seminativi, in particolare la cerealicoltura, ha subito gli aumenti maggiori, compresi tra il 65 per cento e il 70 per cento, seguono poi le imprese di bovini da latte che hanno registrato incrementi dei costi pari al 57 per cento. Aumenti importanti hanno interessato anche le colture arboree agrarie e la zootecnia estensiva;

    settori fortemente danneggiati sono quelli dell'alimentazione zootecnica e quelli basati sull'utilizzo di frumento tenero. I prezzi dei prodotti agricoli hanno registrato aumenti insostenibili per le filiere produttive, pari al 32,9 per cento per il grano tenero, del 41 per cento per il mais, del 39,8 per cento per sorgo e orzo e dell'11,3 per cento per la soia. La carenza di mais rischia di mandare in rovina gli allevatori italiani, prova ne sia che le macellazioni stanno aumentando in modo drammatico. Quindi appare indispensabile dare aiuti alle aziende per sostenere gli aumenti dei prezzi dei mangimi;

    si stima che ogni agenda agricola perderà in media 15.700 euro e dovrà fare i conti con aumenti dei costi pari al 54 per cento. Gli effetti potrebbero essere molto gravi e portare al fallimento alcune di esse. Rischiano in particolare, come detto, quelle di allevamento di animali che si nutrono di mais o altri cereali;

    per il futuro appare necessario attuare anche politiche tendenti alla diversificazione dei mercati di approvvigionamento, cercando ulteriori sinergie con i sistemi produttivi agricoli dei Paesi dell'Unione europea per raggiungere l'autosufficienza alimentare;

    per affrontare la situazione di crisi, con la decisione di esecuzione (UE) 2022/484 della Commissione del 23 marzo 2022, l'Unione europea ha temporaneamente superato gli obblighi di «inverdimento» posti in capo alle aziende agricole. In Italia, con il decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'8 aprile 2022, n. 163483, sono state recepite le deroghe in materia di gestione dei terreni a riposo che interessano sia quelli dichiarati per soddisfare il requisito della diversificazione colturale, sia quelli utilizzati come aree di interesse ecologico, consentendo la messa a coltura anche dei terreni attualmente non coltivati;

    ciò significa che sarà possibile aumentare le superfici coltivabili. In Italia si potranno aggiungere circa 200.000 ettari. Questi terreni potranno quindi essere utilizzati per il pascolo, la fienagione o la coltivazione, distogliendoli dal riposo obbligatorio e dalla rotazione delle colture, aumentando la disponibilità dei principali prodotti utilizzati nell'alimentazione degli animali. Data l'importanza della misura assunta, se ne propone la proroga sino alla fine del 2023;

    appare inoltre necessario adeguare i Piani strategici nazionali alle nuove condizioni di mercato venutasi a creare, chiedendo la sospensione dell'entrata in vigore dei nuovi regolamenti Pac alla fine del 2023;

    ulteriori garanzie strutturali per un incremento della capacità produttiva si dovrebbero proporre in sede di Unione europea, dove sono stati già stanziati 500 milioni di euro di fondi prendendoli dalle riserve di crisi della Pac e prevedendo la possibilità di cofinanziamento degli Stati membri fino ad un massimo del 200 per cento. Per l'Italia si tratta di un'assegnazione pari a 48 milioni di euro, che potranno essere integrati con un cofinanziamento statale di 96 milioni di euro;

    delle proroghe appaiono utili per superare la fase recessiva, come quelle riguardanti il regime di aiuti di Stato per la crisi da COVID-19, in scadenza a fine giugno;

    in particolare, per frumento e mais si dovrebbe prevedere lo sviluppo delle tecniche di agricoltura conservativa, necessarie per la promozione e lo sviluppo di tecniche sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Questa tecnica tutela l'ambiente e la redditività dell'impresa agricola. Nel rispetto dell'ecosistema, incrementa la produzione mediante un uso ottimale delle risorse, riducendo il degrado del terreno attraverso la gestione integrata del suolo, dell'acqua e delle risorse biologiche. L'agricoltura conservativa si basa, infatti, sui principi di riduzione delle lavorazioni, di copertura costante del terreno e di diversificazione colturale;

    appare poi necessario ricorrere alle nuove tecnologie genetiche dedicate alle piante per aumentarne, in sicurezza, la produttività. Ci si riferisce, in particolare, alle Tea – tecnologie di evoluzione assistita – che riproducono i risultati dell'evoluzione biologica naturale per migliorare la resistenza delle piante alle malattie e i parassiti e ne aumentano la produttività velocizzando i processi che avvengono comunque in modo naturale. L'Unione europea le ha inserite tra gli strumenti per raggiungere gli obiettivi del Green deal entro il 2030, ma necessitano di un chiaro e certo quadro normativo di riferimento. Il loro sviluppo tuttavia è ostacolato dalla legislazione europea sugli organismi geneticamente modificati (direttiva 2001/18/CE sugli Ogm. Nell'aprile 2021 la Dg agricoltura della Commissione europea, ha pubblicato uno studio sulle new genomic techniques (che comprendono le Tea, nel quale si evidenzia che l'attuale legislazione deve essere adattata alle conoscenze scientifiche e tecnologiche sviluppate negli ultimi anni, prendendo una posizione netta sulla distinzione tra Ogm e nuove biotecnologie;

    la transizione energetica, destinata sia a contrastare il cambiamento climatico che ad affrancare dalla eccessiva dipendenza dalle fonti energetiche fossili, pone di fronte al bisogno di elettrificare i consumi utilizzando suolo agricolo anche per la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. I provvedimenti sin qui adottati a livello nazionale, in attesa dell'individuazione delle aree idonee da parte delle regioni ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021, di fatto trasformano tutte le aree agricole, tranne quelle vincolate o quelle già dichiarate non idonee, in «aree idonee», per le quali il provvedimento in esame semplifica fortemente i procedimenti autorizzatori;

    per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di impianti a fonte rinnovabile l'articolo 20, comma 3, del decreto legislativo n. 199 del 2021 cosiddetto Red II, prevede che occorre tener conto tra l'altro, delle «esigenze di tutela delle aree agricole, ... verificando l'idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili». Il successivo comma 5 prevede la «minimizzazione degli impatti sull'ambiente e sul territorio»;

    il fotovoltaico industriale deve affrontare seriamente il problema del consumo di suolo agricolo. A titolo di esempio, sulla base delle richieste di autorizzazione presentate ai rispettivi uffici regionali 70 chilometri quadrati della provincia di Viterbo e 166 chilometri quadrati della Puglia, due aree notoriamente ubertose, sono oggetto di richieste per l'installazione di impianti fotovoltaici a terra;

    per sostenere le imprese esercenti attività agricola e della pesca è necessario prevedere la proroga, almeno sino al secondo semestre del 2022, del contributo previsto sotto forma di credito di imposta, pari al 20 per cento della spesa sostenuta per l'acquisto di gasolio e benzina necessari per la trazione dei mezzi utilizzati;

    per rilanciare gli investimenti nel settore agroalimentare al fine di realizzare programmi d'investimento integrati a carattere interprofessionale aventi rilevanza nazionale, è necessario incrementare il ricorso a contratti di filiera e di distretto;

    al fine di prevenire la scarsità di prodotti è necessario prevedere una maggiore diversificazione delle importazioni nonché promuovere l'incremento delle capacità di stoccaggio sia a livello nazionale che europeo;

    gli effetti della crisi agricola si riflettono a livello globale: il commercio bloccato e prezzi alimentari alle stelle colpiscono in particolare dal Medio Oriente all'Africa. Almeno 26 Stati dipendono per oltre il 50 per cento dalle importazioni di grano da Russia e Ucraina. Ci sono Paesi, quali Egitto e Tunisia, nelle aree urbane nell'Africa Subsahariana, dal Senegal all'Eritrea, dove si arriva a importare fino al 90 per cento del cibo che si consuma e dove i costi per l'alimentazione delle famiglie già superano il 50 per cento del reddito familiare. Oltre agli inevitabili riflessi sui flussi migratori, giova ricordare che la scintilla delle rivolte del 2011, note come «primavera araba», fu l'aumento del prezzo del pane,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative nelle competenti sedi dell'Unione europea per pervenire:

  a) all'incremento dell'ammontare dei fondi destinati all'agricoltura mediante l'adozione di un Recovery Plan alimentare per aumentare la produzione, ampliando gli aiuti concessi agli agricoltori;

  b) alla proroga delle regole che attualmente consentono l'uso di quote aggiuntive di terreno agricolo per far fronte alle carenze di produzione del Paese;

  c) all'adozione di un Piano strategico per l'autosufficienza alimentare;

  d) all'adeguamento del Piano strategico nazionale alle nuove condizioni di mercato venutesi a creare, chiedendo la sospensione dell'entrata in vigore dei nuovi regolamenti Pac alla fine del 2023 o comunque proponendo un aumento dei fondi destinati agli aiuti accoppiati necessari per garantire una maggiore produzione delle materie prime di cui siamo carenti;

  e) alla sollecita adozione di misure che consentano il pieno sviluppo delle Tea (tecnologie di evoluzione assistita), favorendone altresì lo sviluppo in ambito nazionale, anche con il coinvolgimento degli istituti di ricerca nazionali e delle istituzioni universitarie;

  f) a una riflessione approfondita per adottare le misure necessarie a limitare la volatilità dei prezzi, fenomeno particolarmente presente nei mercati agricoli, mediante l'adozione di forme di stoccaggio comune delle materie prime agricole, per disporre di adeguate riserve necessarie per fronteggiare casi di scarsità improvvisa di prodotti;

2) ad adottare iniziative per prevedere incentivi destinati a infrastrutture per lo stoccaggio di frumento a livello di azienda agricola, al fine di rendere maggiormente fluido e sicuro il mercato;

3) ad adottare iniziative per sostenere le filiere più strategiche, in particolare quelle cerealicole, proteiche e oleaginose, favorendo progetti che prevedano forme di maggiore integrazione tra agricoltura e industria di trasformazione;

4) ad adottare iniziative per garantire contributi per l'acquisto di fertilizzanti e di mangimi mediante un credito d'imposta;

5) ad adottare iniziative per prevedere la proroga oltre il primo trimestre 2022 del contributo previsto sotto forma di credito di imposta, pari al 20 per cento della spesa sostenuta per l'acquisto di gasolio e benzina necessari per la trazione dei mezzi utilizzati;

6) ad adottare iniziative per prevedere sostegni per lo sviluppo delle tecniche di agricoltura conservativa;

7) ad adottare iniziative per incentivare ulteriormente il ricorso a contratti di filiera e di distretto;

8) ad adottare idonee iniziative per ripristinare il credito d'imposta per beni strumentali «Transizione 4.0» nelle forme e nei modi adottati per l'anno 2021, pari al 50 per cento, destinato agli investimenti in ricerca e sviluppo, in transizione ecologica, in innovazione tecnologica 4.0 e in altre attività finalizzate alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorativi per il raggiungimento degli obiettivi di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0 nel settore primario, poiché si è dimostrato lo strumento più efficace per l'utilizzo immediato degli incentivi rispetto a forme alternative di sostegni e sovvenzioni pubbliche;

9) ad adottare iniziative volte a garantire il rispetto dei contenuti dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021, nonché dei contenuti dell'allegato 3 annesso al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, in materia di individuazione delle «aree idonee» all'installazione di impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile, al fine di preservare i terreni agricoli migliori, anche con riferimento ai requisiti di fertilità, irrigabilità, attualità di coltura, destinando alla produzione energetica i terreni agricoli marginali o inutilizzati in quanto non idonei all'attività agricola;

10) ad adottare iniziative di competenza finalizzate al miglioramento della gestione delle risorse idriche, utilizzando sistemi per aumentare l'efficienza d'uso dell'acqua in agricoltura, limitare gli sprechi e razionalizzarne l'impiego, mediante un programma organico destinato ai comprensori irrigui per la migliore irrigazione delle campagne, lo sviluppo dell'agricoltura, la tutela dell'ambiente e del paesaggio;

11) ad adottare le iniziative di competenza finalizzate a garantire una maggiore formazione destinata ai giovani agricoltori e l'aggiornamento costante dei lavoratori attivi, relativamente all'utilizzo dei mezzi strumentali necessari all'agricoltura 4.0, per garantire l'impiego ottimale dei moderni mezzi agromeccanici, tecnologicamente avanzati, necessari per lo sviluppo dell'agricoltura e il contenimento del consumo di suolo, nel rispetto degli ecosistemi, incrementando la produttività agricola.
(1-00631) «Spena, Nevi, Anna Lisa Baroni, Caon, D'Attis, Bond, Sandra Savino, Paolo Russo».

(19 aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi anni, a causa della pandemia da COVID-19 prima e dell'attuale situazione geopolitica all'indomani del recente inizio del conflitto russo-ucraino, il comparto agricolo e agroalimentare sta affrontando una crisi generale legata a diversi fattori, tra cui la difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime, l'aumento dei prezzi dell'energia e dei carburanti e la scarsità di concimi e fertilizzanti necessari alla cura e alla coltivazione dei campi;

    tutto ciò sta avendo delle inevitabili ricadute negative sul sistema produttivo e sulle famiglie, riducendone il potere d'acquisto ed evidenziando la necessità di un'accelerazione della transizione energetica che, in coerenza con gli obiettivi del Green Deal fissati dall'Unione europea, potenzi le capacità delle energie rinnovabili al fine di ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese;

    il recente scoppio del conflitto russo-ucraino, ad oggi ancora in atto, oltre ai drammatici risvolti umanitari, con migliaia di morti tra soldati e civili e milioni di profughi in una fuga disperata dalle proprie città, comporta effetti destinati ad influenzare la vita quotidiana della popolazione mondiale ed europea, in particolare poiché, oltre alle ripercussioni sulla nostra sicurezza energetica, si profila una crisi del settore agroalimentare che, come sottolinea l'Ismea in un'analisi sull'argomento, solo qualche settimana fa festeggiava il superamento dello storico traguardo dei 50 miliardi di euro;

    secondo lo studio condotto da Ismea lo scoppio del conflitto si è innanzitutto inserito in un contesto di tensioni sui mercati dei cereali, scatenate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e speculativo, così come accadde nella crisi dei prezzi del 2007-2008, ponendo l'Italia in una posizione di vulnerabilità relativa all'alto grado di dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti di grano e mais;

    l'invasione dell'Ucraina ha provocato il rincaro di numerose materie prime e materie essenziali per tutti i processi produttivi della filiera agroalimentare, andando ad aggravare una tendenza inflativa già in corso dalla primavera del 2021;

    negli ultimi anni, a causa della pandemia da prima e della situazione geopolitica ora, il comparto agricolo e agroalimentare sta affrontando una crisi generale legata alle difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime, all'aumento dei prezzi dell'energia e dei carburanti, alla mancanza di concimi e fertilizzanti necessari alla cura e alla coltivazione dei campi;

    il boom dei prezzi delle materie prime, su tutti i cereali (mais passato da 170 a 287 euro/tonnellata, grano duro da 280 a 522 euro/tonnellata, grano tenero da 186 a 307 euro/tonnellata) e semi oleosi (soia da 357 a 627 euro/tonnellata), farina di soia da 320 a 549 euro/tonnellata), sta mettendo sotto pressione le catene di approvvigionamento a livello mondiale, con la previsione per buona parte del 2022 che i listini si mantengano su livelli alti;

    in questa fase di incertezza, le imprese agricole devono diversificare le produzioni e le imprese di trasformazione diversificare le fonti di approvvigionamento;

    dall'analisi di Ismea, frumento tenero, frumento duro e mais hanno raggiunto in Italia e all'estero quotazioni mai toccate prima;

    il grano duro ha raggiunto in Italia il suo prezzo massimo a dicembre 2021, soprattutto a causa del vuoto d'offerta creatosi dopo il crollo dei raccolti nel principale esportatore mondiale, il Canada (-60 per cento) originato dalla siccità che ha interessato una notevole area, e il calo di altri importanti Paesi produttori;

    nelle forniture globali di grano duro, il ruolo dei Paesi direttamente coinvolti dal conflitto oppure rientranti geograficamente o politicamente nell'orbita russa è insignificante, essendo la produzione concentrata soprattutto in Europa, Canada, Usa, Turchia e Algeria;

    diverso è il caso del frumento tenero, dove la quota russa e ucraina sulla produzione mondiale arriva al 14 per cento e la situazione di instabilità si sta riverberando in maniera decisa sulle principali piazze di scambio internazionali. Tuttavia, il peso dell'export di frumento tenero russo e ucraino incide sulle importazioni italiane del prodotto solo per il 6 per cento in volume nel 2020;

    per il mais la corsa ai rialzi è stata innescata mesi fa dalla vorticosa crescita della domanda cinese, legata al riavvio della produzione suinicola dopo l'epidemia di peste suina, ma i recenti rincari sono il diretto riflesso del clima di incertezza e di instabilità di questi giorni;

    in relazione all'interscambio tra l'Italia e Ucraina, il nostro Paese è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari di Kiev e al decimo posto tra i Paesi clienti. L'Italia esporta soprattutto prodotti ad alto valore aggiunto, come vino, caffè, pasta, anche se la voce più rilevante è il tabacco da masticare o da fiuto;

    il nostro Paese acquista dall'Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais (il 13 per cento in volume delle forniture provenienti dall'estero nel 2020) e frumento tenero (5 per cento);

    relativamente agli scambi agroalimentari con la Russia, l'Italia è il settimo fornitore di Mosca, mentre il nostro ruolo tra i Paesi acquirenti è del tutto trascurabile (33° posizione). Anche in questo caso l'Italia esporta soprattutto vini e spumanti, caffè, pasta;

    l'aumento spropositato di questi beni di prima necessità rischia di generare una crisi alimentare che avrà forti ripercussioni in termini di stabilità sociale alimentando disordini e proteste in aree anche molto lontane dai confini russi e ucraini, soprattutto nei Paesi emergenti;

    l'Egitto è il primo Paese al mondo per import di grano tenero, per la quasi totalità proveniente da Russia ed Ucraina. Dalle forniture di Kiev e Mosca dipendono inoltre numerosi altri Paesi, fra i quali la Turchia, che nel 2020 ha importato dai due Paesi circa il 78 per cento del suo grano, Tunisia e Arabia Saudita. Quest'ultima, il più grande importatore mondiale di orzo, utilizza il cereale principalmente come mangime per animali. La maggior parte delle proprie forniture proviene dall'Ucraina e dalla Russia e lo stop alle importazioni avrà ripercussioni anche sugli allevamenti intensivi, generando una crisi alimentare con un impatto ben più ampio rispetto al solo settore agricolo;

    in aggiunta, la presa di alcune città portuali ed il controllo russo della totalità del versante costiero del Mare di Azov hanno bloccato le principali tratte commerciali dalle quali si diramava l'export agricolo ucraino, soprattutto verso il mercato asiatico;

    oltre ai cereali, la Russia produce circa il 13 per cento del totale mondiale di fertilizzanti, per cui sussiste il rischio dell'aggravarsi della crisi agricola, con rischi a lungo termine anche per le rendite cerealicole degli anni successivi: la scarsità improvvisa di fertilizzanti e di mangimi mette seriamente a rischio la capacità di programmazione del comparto agroalimentare nazionale, con riferimento anche alla zootecnia, e di conseguenza la sovranità alimentare nazionale e la capacità di approvvigionamento di tutte le attività del comparto agroalimentare;

    il conflitto in Ucraina ha innescato in molti Paesi una reazione protezionistica volta a salvaguardare la propria produzione cerealicola domestica. È il caso di Ungheria e Bulgaria, che dal 5 marzo hanno bloccato l'esportazione di grano per assicurare i rifornimenti interni e contenere la crescita dei prezzi per i propri cittadini;

    occorre evidenziare che il conflitto in Ucraina ha riacceso il dibattito sulla sovranità alimentare. La crisi ha infatti risvegliato in ogni Paese la necessità di dotarsi di una strategia che diminuisca la dipendenza dalle importazioni di Paesi terzi e che punti verso una rapida autosufficienza alimentare che garantisca resilienza in casi di instabilità internazionale;

    la diversificazione delle fonti di approvvigionamento costituisce la principale strategia per mitigare gli effetti dell'interruzione della filiera alimentare ed un passo importante verso la sovranità alimentare, con la creazione di filiere nazionali che tutelino il sistema agroalimentare dalle oscillazioni e speculazioni di mercato,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per realizzazione di un apposito Recovery Plan prettamente alimentare volto ad aumentare i fondi per tutto il settore agricolo colpito da pandemia, peste suina ed infine dal conflitto in Ucraina;

2) ad adottare iniziative dirette a limitare la volatilità dei prezzi e per prevedere incentivi destinati a misure finalizzate a sostenere le filiere più strategiche, in particolare quelle cerealicole, proteiche e oleaginose;

3) ad adottare iniziative finalizzate a promuovere la diversificazione dei mercati di approvvigionamento delle materie prime agricole, tra cui frumento tenero, mais, olio di girasole e dei concimi, ma anche, al contempo, ad adottare iniziative per prevedere la possibilità di uno stoccaggio agevolato per alcuni prodotti in relazione alle esportazioni, nonché a promuovere lo sviluppo di nuove infrastrutture per lo stoccaggio;

4) ad adottare iniziative per consentire l'utilizzo delle aree ecologiche attualmente non coltivate, delle aree lasciate a riposo e di tutte le altre aree coltivabili, ma non coltivate, per rilanciare la produzione agricola nazionale;

5) ad adottare iniziative per prevedere immediati interventi in ambito nazionale a sostegno del settore agroalimentare, quali il potenziamento degli strumenti di ristrutturazione e rinegoziazione del debito bancario delle imprese agricole, anche attraverso una deroga alle norme sugli aiuti di Stato e il finanziamento di specifiche misure di sostegno alle filiere più esposte alla crisi;

6) ad adottare iniziative di competenza per avviare una revisione e un aggiornamento della Pac 2022 e del Piano strategico nazionale 2023-2027 con l'obiettivo di incrementare la produttività del comparto agricolo in risposta al fabbisogno interno e prevedere forme di incentivo a sostegno del comparto agroalimentare;

7) ad adottare iniziative per rivedere e reimpostare i grandi piani quali Next generation Eu, Green New deal e la Politica Agricola al fine di favorire l'impegno per una produzione alimentare nazionale;

8) ad adottare iniziative volte a favorire il rilancio delle imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura attraverso una rinegoziazione e una ristrutturazione dei mutui e la proroga delle agevolazioni contributive;

9) ad adottare iniziative di competenza per rafforzare i meccanismi di monitoraggio e controllo dei prezzi agroalimentari al fine di tutelare il potere d'acquisto delle famiglie, soprattutto relativamente a quelle più svantaggiate;

10) ad adottare iniziative per stabilire, tramite un Fondo nazionale appositamente realizzato, forme concrete di sostegni alle famiglie a reddito basso (già danneggiate da una lunga pandemia da COVID-19) al fine di contrastare i rincari dei prodotti agroalimentari e quindi di non frenare la loro capacità d'acquisto;

11) ad adottare iniziative per sostenere la filiera della pesca e dell'acquacoltura a seguito dell'aumento dei costi del carburante e delle materie prime;

12) ad adottare iniziative per snellire tutta la burocrazia e le normative che ad oggi frenano lo sviluppo delle aziende agricole italiane, cercando di favorire realmente una produzione nazionale e diminuendo la dipendenza alimentare da Paesi stranieri.
(1-00634) «Ripani, Marin, Lombardo».

(21 aprile 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI
ENERGIA NUCLEARE DI NUOVA GENERAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    gli ambiziosi progetti dell'Unione europea per uno sviluppo sostenibile e gli impegni di Cop 26 prevedono in tempi brevi un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, difficilmente raggiungibile nei tempi previsti con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili;

    con riferimento all'energia da fissione nucleare, molti Paesi proseguono l'investimento in energia atomica, tra cui Gran Bretagna, Russia, India, Cina e Francia, che ha annunciato la costruzione di sei nuovi reattori nucleari EPR (ad acqua pressurizzata), oltre all'entrata in servizio del reattore di Flamanville, prevista per il 2024, e all'impegno di un miliardo di euro per la realizzazione di reattori di piccole dimensioni;

    i Ministri dell'economia e dell'industria di 10 Paesi dell'Unione europea – Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria – hanno pubblicato un documento, il 10 ottobre 2021, per chiedere che l'energia nucleare sia compresa nelle fonti di energia pulita all'interno della «Tassonomia degli investimenti verdi» della Commissione europea, cioè l'insieme di regole di classificazione che si applicano alle attività economiche per poterle definire «sostenibili»;

    anche il Giappone, a 10 anni dall'incidente di Fukushima, per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050, prosegue nel suo intento di riavviare gli impianti già localizzati sul proprio territorio e di costruirne di nuovi;

    lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione coinvolge i maggiori Paesi del mondo e numerosi partner industriali europei e vedrà l'avvio della produzione di energia da parte dei primi impianti già dal 2024;

    d'altro canto, con riferimento all'energia nucleare da fusione a confinamento magnetico, mai applicata a livello industriale, la società Commonwealth Fusion Systems (CFS), nata dal Mit di Boston, e che ha come maggiore azionista privato il gruppo italiano Eni, ha condotto con successo il primo test di un supermagnete, fondamentale per la gestione del plasma, composto da isotopi di idrogeno: un passo importante verso la produzione di energia nucleare pulita, con l'impegno a costruire il primo impianto sperimentale entro il 2025,

impegna il Governo

1) nel confermare l'obiettivo di zero emissioni al 2050, a riconsiderare, previa effettuazione delle dovute verifiche di sicurezza e con il coinvolgimento della popolazione, lo sviluppo di tecnologie di fissione nucleare di nuova generazione, a supportare lo sviluppo delle tecnologie di fusione a confinamento magnetico e ad adottare iniziative per comprendere la produzione di energia atomica di nuova generazione all'interno della propria politica energetica, e far sì che la stessa venga classificata tra le fonti energetiche sostenibili.
(1-00540) (Nuova formulazione) «Lupi, Schullian».

(4 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la Commissione europea ha definito uno specifico sistema di classificazione volto a identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, quale importante fattore abilitante per supportare gli investimenti sostenibili e per adottare le indicazioni del Green Deal europeo;

    il regolamento (UE) 2020/852 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (il «regolamento tassonomia dell'Unione europea») è entrato in vigore il 12 luglio 2020. A norma di tale regolamento il Parlamento europeo e il Consiglio hanno conferito alla Commissione europea il mandato di fornire, mediante atti delegati, i criteri di vaglio tecnico per determinare se un'attività economica contribuisce in modo sostanziale agli obiettivi ambientali. Tali criteri aiuteranno le imprese, gli investitori e i partecipanti ai mercati finanziari a stabilire adeguatamente quali attività possono essere considerate ecosostenibili. La tassonomia europea definisce sei obiettivi ambientali per identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale:

     1) mitigazione dei cambiamenti climatici;

     2) adattamento ai cambiamenti climatici;

     3) uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine;

     4) transizione verso un'economia circolare;

     5) prevenzione e riduzione dell'inquinamento;

     6) protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi;

    il regolamento della tassonomia introduce un sistema di etichettatura per gli investimenti che indicherà dove indirizzare diverse centinaia di miliardi di euro alle attività produttive che ottengono l'etichetta «sostenibile» per tutte o parte delle loro attività. Pertanto, un'attività economica è definita sostenibile dal punto di vista ambientale se: contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più dei sei obiettivi ambientali; non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali (Do No Significant Harm – Dnsh); è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia;

    la Commissione europea in data 20 aprile 2021 ha presentato una prima serie di regole di attuazione nell'ambito della tassonomia della finanza sostenibile dell'Unione europea, specificando i criteri tecnici dettagliati che le aziende devono rispettare per avere un marchio di investimento «verde» in Europa;

    l'ambito di applicazione dell'atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia dell'Unione europea include già circa il 40 per cento delle imprese quotate in borsa, appartenenti a settori che sono responsabili di quasi l'80 per cento delle emissioni dirette di gas serra in Europa; altre attività saranno aggiunte in futuro. Grazie a tale ambito di applicazione la tassonomia dell'Unione europea può aumentare in modo significativo il potenziale offerto dal finanziamento verde per sostenere la transizione, in particolare per i settori ad alta intensità di carbonio, che richiedono cambiamenti urgenti. Per il momento non sono inclusi due punti controversi, ossia gas e nucleare;

    sul sito del quotidiano on line dell'A.g.i. è stato pubblicato in data 23 ottobre 2021 un articolo dal titolo «L'Ue fa i conti con la crisi energetica. Von der Leyen: Il nucleare ci serve», contenente l'allarme lanciato dalla Presidente della Commissione europea (Sig.ra Ursula Von Der Leyen) circa il fatto che l'Unione europea sarebbe «chiamata a fare i conti con la crisi energetica immediata, con i prezzi alle stelle, ma anche con l'imponente sfida della transizione ecologica. E su questo dovrà scegliere quali fonti valorizzare, quali salvare e quali abbandonare nella prossima fase di transizione. E lo farà entro dicembre»;

    sempre l'articolo in menzione evidenzia che il Presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe ammesso che «alcuni Paesi chiedono di inserirlo tra le fonti di energia non inquinanti», senza (però) assumere una posizione definita e dimostrando (al contrario) ambiguità (attestata dalla seguente dichiarazione: «La Commissione procederà a una proposta a dicembre. Ci sono posizioni molto divisive in Consiglio. Vedremo quale nucleare e poi in ogni caso ci vuole moltissimo tempo»);

    in data 29 marzo 2021 è stata diffusa la relazione del Joint Research Council (JRC), organismo scientifico consultivo della Commissione europea, che ha concluso che, non vi è evidenza scientifica alcuna che il nucleare possa recare maggior danno rispetto alle altre fonti già definite sostenibili;

    in data 12 ottobre 2021, a seguito della relazione JRC, la Francia, la Bulgaria, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Finlandia, l'Ungheria, la Polonia, la Slovacchia, la Slovenia e la Romania hanno manifestato il proprio orientamento con una lettera con cui è stato chiesto alla Commissione europea di riconoscere l'energia nucleare come fonte di energia a basse emissioni;

    in data 2 luglio 2021 la Commissione europea ha reso nota la Scheer Review, ossia un rapporto del Comitato scientifico su Salute Ambiente e rischi emergenti che contesta fortemente il rapporto del JRC. Lo Scheer Report è categorico: il rapporto JRC è incompleto, come sui rifiuti (le scorie radioattive) o le emissioni radioattive, ricorda che il 55 per cento dei gas radioattivi del ciclo di vita dell'uranio vengono emessi nella fase estrattiva, oppure sui rischi, dove mancano le quantificazioni. Il Comitato fa inoltre notare che il Joint Research Center della Commissione europea usa l'espressione, far meno danni, e non far danni significativi, (do not significant harm). Si lascia intendere che la differenza linguistica consentirebbe nel rapporto JRC di collocare il nucleare in una classifica tra oggetti disomogenei, e in questo senso secondo JRC il nucleare, poiché emetterebbe meno CO2, provocherebbe meno danni rispetto agli impianti a carbone;

    nel luglio 2021 è stata resa nota la lettera inviata da 5 Paesi europei, Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo, alla Commissione europea proponendo di escludere il nucleare dalla classificazione verde della tassonomia, al fine di non favorirlo in aiuti e corsie preferenziali nel Green Deal europeo, di transizione e contrasto ai cambiamenti climatici;

    la lettera dei Ministri dei 5 Paesi afferma che il nucleare non è neutrale rispetto alla protezione dell'ambiente e della biodiversità (ossia è in contrasto con il sesto obiettivo della tassonomia) perché, per esempio, finora nel pianeta non c'è un solo deposito permanente e definitivo delle scorie, i rischi di incidente sono elevati, e si citano Fukushima e Chernobyl. Anche se non produce direttamente CO2, il nucleare non rispetterebbe il principio di innocuità, cioè non far danni significativi (do not significant harm), mentre si naviga verso la strategia a zero emissioni;

    da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 11 novembre 2021 dal titolo Cop26, Germania Spagna e altri 5 Paesi dicono no al nucleare nella tassonomia Ue. L'Italia resta alla finestra e non partecipa, si apprende che ai 5 Paesi contrari all'inserimento del nucleare in tassonomia verde – Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo – si sono aggiunti altri Paesi – Spagna e Irlanda – e lo hanno manifestato in occasione di una conferenza stampa in ambito Cop26 durante la quale i suddetti Paesi hanno preso una posizione netta, sottoscrivendo una dichiarazione contro inserimento del nucleare nella tassonomia Ue. L'Italia non ha partecipato e non ha aderito a tale iniziativa. Inoltre, l'articolo sopra indicato contiene dichiarazioni in cui si afferma che l'astensione dell'Italia dipenderebbe dall'esistenza di un accordo tra Francia ed Italia teso «a consentire al nucleare di essere considerato un investimento sostenibile, in cambio dell'inserimento del gas»;

    qualora l'esistenza di tale accordo fosse confermata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non si potrebbe non condividere la considerazione dello stesso come scellerato, in quanto si produrrebbe la conseguenza del dirottamento dei «finanziamenti destinati alla transizione ecologica verso l'industria nucleare dei francesi e al mantenimento dell'industria del gas italiana», favorendo quindi il proliferare di quelle che il Ministro dell'ambiente tedesco Svenja Schulze definisce «tecnologie troppo rischiose, lente e non sostenibili» che distoglierebbero «fondi dalle energie rinnovabili, come eolico e solare»;

    la Francia ha nuovamente annunciato la costruzione di nuovi reattori nucleari Epr. Giova ricordare come, sistematicamente, in relazione agli annunci e ai presunti costi legati agli investimenti in energia atomica dichiarati dai proponenti, i risultati sono stati sempre disattesi: ad esempio nel 2008 c'erano due soli Epr in costruzione, uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville. In Finlandia l'azienda proprietaria della tecnologia e impegnata nella costruzione, Areva, è fallita mentre il costo stimato è lievitato circa 4 volte rispetto al costo di progetto e la nuova previsione di terminare la realizzazione non potrà essere prima del 2024. In Francia a Flamanville, cantiere gestito da Edf, i costi di costruzione sono lievitati fino a 19 miliardi di euro, tenendo conto anche dei costi finanziari come valutati dalla Corte Des Compts nel 2020, e anche questa è ancora in costruzione. Negli Usa a distanza di vent'anni dal «rinascimento nucleare» lanciato da George W. Bush nel 2001, nessun reattore di generazione III+ è entrato in funzione e dei quattro reattori AP1000 in costruzione, due sono stati cancellati e due proseguono a costi esorbitanti: dai circa 9 miliardi di dollari iniziali si è già passati a una stima di 27 miliardi di dollari. L'azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017;

    in Italia la produzione di energia nucleare è stata oggetto di ben due referendum abrogativi. A tale scopo, si evidenzia che il referendum abrogativo è considerato un «atto-fonte dell'ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria» (Corte costituzionale 3 febbraio 1987 n. 29) e il suo esito è rinforzato dal divieto (ricavato dall'articolo 75 della Costituzione) di ripristino delle norme abrogate a seguito di un'iniziativa referendaria (Corte costituzionale 17 luglio 2012 n. 199). Ciò vale anche per i referendum del 1987 e del 2011 che hanno decretato (con forza di legge rinforzata) la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare in Italia mentre permangono gli studi e le procedure sul decommissioning e sulla ricerca in tale settore;

    nonostante i risultati referendari, il Ministro della transizione ecologica Cingolani ha concesso il patrocinio del proprio Ministero all'evento «Stand Up for Nuclear» (programmato in nove città italiane dal 24 settembre 2021 al 9 ottobre 2021), consistente in una serie di incontri finalizzati a sostenere e promuovere il ricorso al nucleare come fonte energetica;

    sul decommissioning vale la pena ricordare che dopo 34 anni dallo spegnimento dei reattori italiani il problema dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e dagli altri siti nucleari ad esse correlate non sono stati ancora risolti e attualmente i rifiuti radioattivi sono in parte all'estero per essere riprocessati per poi tornare in Italia e in parte sono dislocati in 19 siti temporanei sul territorio nazionale. I sopra citati 19 siti non hanno le caratteristiche tecniche per stoccare definitivamente in sicurezza rifiuti radioattivi;

    occorre mettere in evidenza che sul territorio nazionale ci sono anche elementi di combustibile radioattivo di fattura extranazionale. In particolare, nell'impianto Itrec (Impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile) che si trova all'interno del Centro ricerche Enea Trisaia di Rotondella (Matera) tra il 1968 e il 1970 sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dal reattore sperimentale Elk River (Minnesota). L'obiettivo era condurre ricerche sui processi di ritrattamento e rifabbricazione del ciclo uranio-torio per verificare l'eventuale convenienza tecnico-economica rispetto al ciclo del combustibile uranio-plutonio normalmente impiegato. Tale sperimentazioni si sono rivelate un insuccesso ed inoltre toccherà all'Italia smaltire definitivamente tali rifiuti radioattivi – stoccandoli provvisoriamente nel Csa-Complesso stoccaggio ad alta attività del deposito nazionale – sempre che non ritornino, previo accordo tra le parti, negli Usa;

    pertanto, si è in attesa della costruzione del deposito nazionale per stoccare definitivamente i rifiuti radioattivi a bassa attività e, temporaneamente, quelli a media e alta attività. Tuttavia, il sito non è stato ancora individuato ed attualmente è in corso il Seminario per la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi);

    i rifiuti radioattivi a media e alta attività che verranno stoccati temporaneamente in una zona all'interno del deposito nazionale (unità CSA- Complesso stoccaggio ad alta attività) verranno poi trasferiti in un deposito geologico. In considerazione degli elevati costi di realizzazione di un deposito di quest'ultimo tipo, alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l'opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi, possibilità contemplata dalla direttiva 2011/70/EURATOM. L'attività di sviluppo di accordi internazionali per la realizzazione di un deposito geologico condiviso è in capo al Governo, supportato da Enea, che partecipa ad un gruppo di lavoro internazionale ad hoc denominato Erdo. In merito vale la pena evidenziare che il deposito geologico condiviso è solo una possibilità, ma attualmente manca una reale pianificazione e gli sforzi in tal senso ad oggi sono insufficienti, in quanto si basano sull'adesione ad un programma non vincolante e attualmente rimasto solo teorico; pertanto, per l'Italia non vi è ancora soluzione per lo stoccaggio dei rifiuti a media e alta attività che sono a tutt'oggi un problema irrisolto per il nostro Paese;

    confrontando i costi di gestione dei rifiuti pericolosi e quelli dei rifiuti radioattivi si può notare che mentre i primi hanno un costo di gestione di massimo alcune centinaia di euro a tonnellata (ad esempio per rifiuti contenenti amianto il costo è intorno ai 250 euro a tonnellata), i secondi hanno un costo complessivo di gestione di alcune decine di migliaia di euro a tonnellata, tipicamente nel range tra 25 mila euro per i rifiuti a bassa attività e i 50 mila euro a tonnellata per rifiuti di media attività. Per il deposito nazionale italiano si stima un costo di conferimento pari a circa 16 mila euro a tonnellata per lo smaltimento dei rifiuti nel deposito di superficie. Va evidenziato che a livello internazionale i costi di smaltimento in depositi geologici, intermedi o profondi, sono in un range tra 12 e 15 volte maggiori del costo di smaltimento in un deposito di superficie. I costi del decommissioning italiano sono attualmente scaricati sulle bollette elettriche alla voce A2RIM e rappresentano il 6 per cento degli «oneri di sistema» che incidono circa il 23 per cento della spesa di energia elettrica di una famiglia tipo;

    per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo per l'energia, secondo i dati del «Rapporto annuale per l'energia elettrica» del Ministero della transizione ecologica, nel 2018 la spesa per ricerca nell'efficienza energetica è diminuita al 57 per cento, mentre nel 2016 era al 58 per cento, ma è quadruplicata rispetto al 2007. L'efficienza energetica assieme alle fonti rinnovabili e alle tecnologie per la conversione, la trasmissione, la distribuzione e lo stoccaggio di energia elettrica rappresentano il 76 per cento della ricerca energetica italiana, mentre il peso della ricerca sulle fonti fossili è circa del 12 per cento, mentre sul nucleare è circa del 7 per cento. Quindi, contrariamente a quanto si possa pensare, l'Italia non ha mai abbandonato la ricerca sul nucleare;

    in riferimento alla ricerca si segnala le numerose attività di Enea e Leonardo sul campo. Ad esempio, Leonardo attraverso la sua controllata Vitrociset, si è aggiudicata la gara indetta da Iter «Organizzazione per lo sviluppo delle infrastrutture diagnostiche del reattore e i relativi servizi di ingegneria». «ENEA-Fusione» partecipa alla realizzazione di Iter attraverso l'Agenzia europea Fusion For Energy (F4E). Iter è un progetto che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale di 500 Megawatt di potenza. Unione europea, Giappone, Federazione Russa, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e India hanno siglato ufficialmente l'accordo per la realizzazione di Iter il 28 giugno 2005 a Mosca. La costruzione è cominciata nel 2007 nel sito europeo di Cadarache nel sud della Francia e sarebbe dovuto terminare nel 2016, ma ad oggi le stime sono state riviste e l'avvio delle prime attività del reattore sperimentale Iter è stimato, secondo i proponenti, non prima del 2025 e il raggiungimento della piena capacità si pensa, nella più ottimistica delle ipotesi, sia ottenibile dopo il 2035, sempre che non vi siano ulteriori complicazioni o ritardi. Il costo per la ricerca e costruzione di questo impianto prototipo – che ancora non è stato realizzato – era originariamente stimato per 11 miliardi di dollari, ma già nel 2017 aveva superato i 20 miliardi di dollari;

    nel 2002 è stato costituito il Gif (Generation IV International Forum) su iniziativa degli Usa e con la partecipazione di diversi Paesi, dal 2007 anche dell'Italia, per lo sviluppo di sei sistemi nucleari di IV generazione che potessero essere progettati, sperimentati e realizzati a livello di prototipo entro il 2030. Tuttavia, anche in questo caso, le date e i costi stimati sono stati abbondantemente superati e per alcune di queste tecnologie non è stata ancora fornita alcuna scadenza realizzativa. Inoltre, nulla è dato sapere sugli impatti ambientali e sul ciclo di vita di questi impianti che sembrano non avere mai una fine per essere realizzati bensì di sicuro un esorbitante costo a carico degli Stati;

    in merito ai costi per la produzione di energia elettrica, secondo lo studio «World Nuclear Industry Status Report 2020» (Wnisr) – un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti – produrre 1 chilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro, con il gas è costato 5,9 centesimi di dollaro, con il carbone 11,2 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro. Secondo il dossier «Renewable power generation costs 2020» – che prende in esame solo fonti rinnovabili – il costo per kWh dell'elettricità prodotta dal fotovoltaico è di 5,7 centesimi di dollaro, mentre per quella prodotta dall'energia eolica è di 3,9 centesimi di dollaro; quindi studi recenti, anche se diversi, hanno stime simili. Tuttavia, occorrono delle precisazioni: gli studi in merito al costo per chilowattora sono molteplici e in quelli più recenti sono più favorevoli alle rinnovabili, mentre in quelli più datati (dal 2002 ai 2014) i costi sono difformi rispetto ai recenti, probabilmente perché con l'andar del tempo le rinnovabili hanno ottenuto maggior diffusione e incentivi, mentre i costi stimati per fossili e nucleare erano completamente esenti da esternalità legate all'intero ciclo di vita delle centrali o alla tassazione. Inoltre, se sulle rinnovabili il costo a chilowattora dipende dalla disponibilità del vento e dell'irraggiamento del sole – caratteristiche di cui l'Italia ha in abbondanza in molte zone del Paese e per cui potrebbe persino essere più contenuto – i costi sul nucleare non tengono in considerazione i corretti costi di smaltimento delle scorie radioattive che, come visto in precedenza, hanno un impatto economico estremamente significativo mentre per il gas, carbone e il nucleare non sono sempre stimati in modo corretto i «costi esterni», ossia gli impatti ambientali e sulla salute che queste produzioni energetiche creano in modo da quantificare il «costo sociale» che quindi presumibilmente potrebbe essere più elevato;

    la valorizzazione di fonti energetiche, come il nucleare ed il gas, costituisce il fondamento della tesi ritardista che propugna la necessità di rallentare la transizione ecologica, al fine di spalmare nel tempo gli enormi costi ad essa connessi (come quelli relativi agli investimenti necessari a sviluppare la capacità produttiva delle energie rinnovabili) ed evitare stress eccessivi del nostro sistema industriale e tensioni sociali insostenibili (cfr. l'articolo su Diario europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo «Altro che bagno di sangue. Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica»);

    sennonché è convinzione molto radicata e difficilmente contestabile che la transizione ecologica non debba essere rallentata (con la riduzione degli investimenti nelle energie fossili in funzione della decarbonizzazione, accompagnata però da un'evidente timidezza verso le rinnovabili che crea un'eccessiva dipendenza dalle fonti di energia intermedie come il gas ed il nucleare), ma (al contrario) accelerata con politiche di stimolo degli investimenti (pubblici e privati) di lungo periodo necessari ad aumentare l'offerta di energia pulita (cfr. il già citato articolo su Diario europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo «Altro che bagno di sangue. Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica»);

    il nucleare (come anche il gas) non è, quindi, la soluzione al problema della crisi energetica, suggerendo (pertanto) tale assunto alla Commissione europea ed ai Governi nazionali l'opportunità (se non la necessità) di rivolgere i propri sforzi e la propria attenzione verso l'accelerazione di una transizione ecologica fondata sullo sfruttamento delle energie pulite;

    sul sito change.org è stata lanciata una petizione promossa da Osservatorio per la transizione ecologica-Pnrr e firmata da diverse migliaia di cittadini che, rivolgendosi al Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, al Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, al Ministro degli esteri Luigi Di Maio, chiede al Governo italiano di impegnarsi a bloccare il tentativo in sede europea di equiparare il nucleare alle energie rinnovabili, se necessario ricorrendo al veto dell'Italia;

    in conclusione, appare politicamente inappropriato che il Governo (impersonato dalle componenti apicali sopra individuate) possa manifestare interesse o propugnare la possibilità che possa sia reintrodotto un qualcosa che (come lo sfruttamento dell'energia nucleare) il nostro ordinamento ha bandito ovvero che si faccia promotore di inserire il gas, una fonte fossile fortemente climalterante, nella tassonomia,

impegna il Governo:

1) a non intraprendere iniziative tese a consentire nuovamente lo sfruttamento e l'impiego dell'energia nucleare in Italia, in ossequio alla volontà popolare espressa all'esito dei referendum del 1987 e del 2011;

2) a manifestare il proprio convinto dissenso nei confronti dell'inserimento dell'energia nucleare e del gas nella tassonomia verde dell'Unione europea;

3) ad adottare iniziative concrete affinché in ambito europeo vi sia una pianificazione certa per l'individuazione del sito che ospiterà il deposito geologico necessario per stoccare i rifiuti radioattivi ad alta attività non oltre il 2027 o comunque prima della realizzazione del deposito nazionale;

4) ad adottare iniziative per incrementare i finanziamenti per la ricerca scientifica in materia di efficienza energetica, di fonti rinnovabili, di trasmissione, distribuzione e stoccaggio dell'energia elettrica, facendo in modo che (entro il 2023) il 95 per cento dei fondi disponibili destinati alla ricerca in ambito energetico sia destinato alla ricerca nei campi sopra elencati, che siano azzerati inoltre i fondi per la ricerca sulle fonti fossili e in fine che ogni conseguente onere destinato alla ricerca e finanziato dalle bollette elettriche sia riversato sulla fiscalità generale e non pesi sul costo delle bollette elettriche;

5) ad aprire un confronto con gli Usa affinché si stabilisca che gli 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dalla centrale nucleare americana di Elk River, presenti presso l'Itrec di Rotondella, tornino negli Usa.
(1-00545) (Nuova formulazione) «Vianello, Piera Aiello, Ehm, Menga, Raduzzi, Sarli, Siragusa, Sodano, Suriano, Villarosa, Muroni, Fioramonti, Lombardo, Trizzino, Romaniello, Vallascas, De Giorgi, Termini, Cecconi, Testamento, Leda Volpi, Costanzo».

(15 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    in linea con gli obiettivi del Green Deal e con l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, puntando alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, a luglio 2021 è stato presentato il cosiddetto pacchetto Fit for 55 che, in base a nuovi e più ambiziosi obiettivi di riduzione, vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a livelli prossimi al 95-100 per cento nel 2050;

    al fine di favorire gli investimenti sostenibili, il 12 luglio 2020 è entrato in vigore il regolamento (UE) 2020/852, che ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, all'interno del quale la Commissione europea ha previsto condizioni molto rigide per gli investimenti privati nel settore del nucleare, ammettendo unicamente soluzioni progettuali che dimostrino di avere adeguate risorse finanziare per il decommissioning ed essere dotati di impianti di smaltimento dei rifiuti a bassa attività già operativi e di un piano dettagliato per rendere operativa, entro il 2050, una soluzione per le scorie ad alta radioattività;

    il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decommissioning è di grande attualità nel nostro Paese e ancora non si è pervenuti ad una soluzione concreta per il loro smaltimento;

    rifiuti e scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990) sono in parte dislocati sul territorio nazionale, in 19 siti temporanei, e in parte collocati all'estero, prossimi a tornare in Italia una volta riprocessati;

    l'iter per arrivare all'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo, è ancora in corso e al momento nella fase più delicata di localizzazione, a seguito della trasmissione al Ministero della transizione ecologica, il 15 marzo 2022, della proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), come previsto all'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 31 del 2010. Ad oggi non risultano emerse autocandidature da parte delle località indicate come idonee nella Carta;

    il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di conservare in assoluta sicurezza i materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività;

    i reattori attualmente esistenti, di seconda e terza generazione, sono stati costruiti in prevalenza negli anni '80 e '90, come l'impianto di Montalto di Castro e il noto reattore di Fukushima in Giappone. A partire dal 2000 sono stati progettati soprattutto reattori di terza generazione, come gli Ap1000 negli Stati Uniti, Vver-1200 in Russia, gli Epr francesi;

    nel 2001 il Generation IV international forum (Gif), a cui hanno aderito Australia, Canada, Cina, Euratom, Francia, Giappone, Russia, Sud Africa, Corea del Sud, Svizzera, Regno Unito, ha coniato il concetto di «nucleare di 4° generazione», tecnologia che sfrutta l'energia ricavabile dalla scissione di atomi, a tutt'oggi non abbastanza matura per consentire un utilizzo industriale e per garantire condizioni di sicurezza, soprattutto nel caso dei reattori di tipo «fast-breeder». Va infatti rilevato che l'unico impianto dimostrativo di 4° generazione al mondo su scala industriale si trova a Shidaowan, nella provincia di Shandong, collegato alla rete e messo in funzione solo a dicembre 2021;

    quanto alle tecnologie a fusione, attualmente il reattore più avanzato è Iter, in fase di costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, sostenuto e finanziato da Unione europea, Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, India, Giappone e Russia, sospeso il 1° marzo 2022 dall'Autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn), che ha mosso rilievi sull'affidabilità del modello e sul rischio di esposizione alle radiazioni per il personale. Nelle previsioni più ottimistiche i risultati delle attuali sperimentazioni vedranno la luce non prima di 30 anni;

    proprio i rischi relativi al ricorso alle tecnologie nucleari continuano a destare forte preoccupazione anche in presenza di avanzati sistemi di sicurezza. Ad oggi, infatti, non si dispone di dati sufficienti per valutarne con previsione attendibile gli impatti ambientali e gli effetti sulla salute;

    il conflitto tra Russia e Ucraina e le notizie degli attacchi russi agli impianti di Chernobyl e Zaporizhzhia hanno indotto il Governo ad accelerare sulla stesura del Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, proposto alla Conferenza unificata e teso ad individuare e disciplinare le misure necessarie per fronteggiare gli incidenti che avvengono in impianti nucleari collocati in Paesi esteri e che potrebbero richiedere azioni di intervento coordinate a livello nazionale;

    secondo quanto emerso dallo studio curato dal «World nuclear industry status report 2020» (Wnisr) produrre 1 chilowattora di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro;

    anche le stime di Lazard, autorevole istituzione finanziaria, confermano che la nuova capacità nucleare richiede investimenti, soprattutto nella fase iniziale, molto più alti e tempi lunghi per la messa in funzione rispetto a quelli richiesti per le fonti rinnovabili, pari ad almeno quattro volte tanto, a parità di energia generata. Inoltre, i costi del nucleare seguono una tendenza all'aumento, mentre quelli delle rinnovabili sono in continua diminuzione, soprattutto in una prospettiva di ulteriore crescita del settore tracciata dagli impegni assunti nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (Cop 26);

    a tale riguardo, rileva menzionare che il reattore nucleare OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, costruito dal gruppo francese Areva e dalla tedesca Siemens Ag, ha accumulato dodici anni di ritardo dalla data prevista per la sua entrata in funzione, con un costo triplicato rispetto ai 3 miliardi di euro originari stimati nel 2005. Analoga sorte ha avuto il reattore Epr di Flamanville, in Normandia, atteso per la fine del 2022, dopo rallentamenti che, anche in questo caso, hanno fatto registrare un ritardo di dieci anni e un costo più che triplicato;

    un ritorno dell'Italia al nucleare distrarrebbe le risorse economiche destinate allo sviluppo delle fonti rinnovabili e al miglioramento dell'efficienza energetica, tecnologie che hanno già dimostrato di innovare in modo significativo il sistema energetico nazionale e dar vita ad una struttura imprenditoriale capace di creare nuove competenze e nuovi posti di lavoro richiesti da tutta la filiera e l'indotto legato al settore. Va poi ricordato che la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, rispettivamente del 1987 e del 2011, con i quali è stata decretata la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare nel nostro Paese;

    occorre inoltre osservare che i costi connessi al decommissioning delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile e alle attività connesse e conseguenti, affidate dal 1999 alla Sogin, sono inclusi tra le voci di costo che compongono gli oneri generali afferenti al sistema elettrico, ai sensi del decreto ministeriale del 26 gennaio 2000 e della legge n. 83 del 2003, e sono posti a carico delle utenze. Tuttavia, a più di vent'anni dall'istituzione della citata società, solo il 30 per cento dei lavori di smantellamento nucleare risulta concluso;

    risulta, quindi, di tutta evidenza che tornare ad investire nella tecnologia nucleare comporti un costo economico per i cittadini che si allontana dai meccanismi di partecipazione alla produzione di energia su base democratica, riconosciuti a livello europeo con l'adozione del Clean energy package, e pertanto significa ridimensionare il ruolo, riconosciuto ai consumatori, di protagonisti del processo di transizione energetica e quindi di prosumer, ossia di coloro che autoproducono e autoconsumano energia, nell'ottica di ottenere i vantaggi economici legati alla riduzione dei costi delle componenti variabili della propria bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte), della quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera nonché della dipendenza dalle forniture dei Paesi esteri,

impegna il Governo:

1) a proseguire nella ricerca tecnologica per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università a livello internazionale, senza tuttavia distrarre le risorse pubbliche destinate al miglioramento dell'efficienza energetica nonché allo sviluppo e all'incentivazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, da considerare predominanti e con vantaggi maggiori su scala temporale, per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 e 2050;

2) ad adottare iniziative per assicurare il rispetto dell'iter procedurale per l'individuazione del deposito unico nazionale al fine di garantire il rispetto dei parametri finalizzati alla messa in sicurezza, alla completa bonifica e al ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad imprimere un maggior impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate alle installazioni di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo di cui agli articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 199 del 2021, nonché a sostenere la ricerca verso soluzioni tecnologiche innovative che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle medesime fonti e dei sistemi di accumulo, anche al fine di calmierare i prezzi dell'energia nel lungo periodo;

4) ad adoperarsi affinché, al fine di pervenire in tempi certi al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti rinnovabili per l'intera potenza attualmente disponibile, siano adottate misure volte al rapido superamento degli eventuali conflitti tra gli enti pubblici che intervengono nelle procedure di valutazione ambientali e, parallelamente, a proseguire nel percorso di semplificazione delle procedure autorizzatorie, attraverso l'indicazione di regole chiare per gli enti locali e per gli operatori, in linea con i principi e i criteri eventualmente individuati dalle regioni per la loro corretta installazione sulle superfici e sulle aree ritenute idonee, per una migliore integrazione nel territorio.
(1-00614) «Masi, Federico, Sut, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Orrico, Palmisano, Perconti, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Maraia, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi».

(28 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'odierna crisi derivante dal conflitto Russia-Ucraina ha posto di fronte all'evidenza della necessità di una indipendenza energetica nazionale;

    la Russia è il primo fornitore dell'Italia di petrolio greggio e gas naturale, con una quota del 20,1 per cento davanti ad Azerbaigian con 15,2 per cento, Libia con 14,2 per cento, Algeria con 13,0 per cento. La Russia, inoltre, è il primo Paese fornitore di gas sia dell'Unione europea che dell'Italia: per il nostro Paese, la quota del valore delle importazioni di gas russo nei primi 10 mesi del 2021 sale al 43,0 per cento, in aumento di 1,5 punti rispetto al 41,5 per cento dello stesso periodo del 2020;

    questo fattore va posto in correlazione con gli obiettivi di lunga durata dell'Unione europea, con il green new deal e con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e 2050;

    nell'ottica di una riduzione delle emissioni l'Europa ha deciso di intraprendere un percorso economico e progettuale verso fonti rinnovabili e a basso impatto ecologico. Perché l'Unione europea possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 servono ingenti investimenti privati. La tassonomia dell'Unione europea è intesa a guidare gli investimenti privati verso le attività necessarie a tal fine;

    tra le opzioni della decarbonizzazione è prevista l'elettrificazione spinta dei consumi finali dall'attuale quota del 22 per cento al 55 per cento entro il 2050;

    l'Unione europea chiede una rapida e ambiziosa attuazione di piani di investimento per l'idrogeno elaborati dagli Stati membri come elemento fondamentale per la transizione energetica della Unione europea;

    atteso che tali obiettivi non potranno essere raggiunti facendo affidamento alle sole fonti rinnovabili, anche a causa della non programmabilità del fotovoltaico e dell'eolico, la Commissione europea, ha inserito nella tassonomia verde anche determinate attività del settore del gas e del nucleare, alla luce degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici;

    la posizione della Commissione mostra una soluzione di forte pragmatismo, considerato che allo stato attuale le fonti rinnovabili non sono completate ed implementate ovunque e non sono in grado autonomamente di sopperire al fabbisogno energetico delle diverse nazioni;

    è necessario poi compiere alcune importanti considerazioni:

    l'energia elettrica importata dall'Italia da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, pari a circa il 13 per cento dei consumi nazionali, è in prevalenza prodotta da tecnologia nucleare;

    l'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) ha messo in risalto che per raggiungere le emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050 sarà necessario incrementare la quota di energia nucleare a livello globale, dato confermato anche da uno studio prodotto dall'Ufficio parlamentare francese per la valutazione scientifica e tecnologica;

    secondo l'Intergovernmental panel on climate change, l'organismo scientifico intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, le emissioni da produzione elettronucleare sono pari a 12 grammi di anidride carbonica per chilowattora di elettricità, simile ai valori registrati per l'energia eolica, mentre i pannelli solari per produzione fotovoltaica arrivano a un valore di 41 grammi per chilowattora per installazioni domestiche e 48 grammi per chilowattora per i parchi solari;

    nel mondo esistono attualmente 437 reattori in operazione, una sessantina in costruzione e molti altri in progettazione avanzata;

    nell'Unione europea sono attualmente in funzione 103 reattori nucleari, 4 in costruzione e 7 in progetto e nel mix energetico europeo la generazione nucleare rappresenta circa il 26 per cento del totale con circa 732 terawattora all'anno;

    l'energia nucleare rappresenta un'alternativa low carbon agli altri combustibili fossili ed è un componente critico dei mix energetici di tutti gli Stati europei;

    la Francia che possiede il maggior numero di reattori nucleari (56) è la nazione in Europa che presenta, insieme ai Paesi scandinavi, la minore intensità di carbonio nella produzione elettrica (misurata in grammi equivalenti di anidride carbonica per chilowatt all'ora);

    l'Italia ha abbandonato definitivamente il nucleare dopo i referendum che hanno fatto seguito agli incidenti nucleari di Chernobyl del 1986 e di Fukushima del 2011 senza però riflettere sulla sicurezza relativa delle diverse fonti di energia; secondo uno studio dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica e di «Forbes» che ha calcolato il numero di morti per miliardo di chilowattora di energia prodotta: il nucleare risulta infatti la fonte di energia più sicura a fronte del carbone, di gran lunga il meno sicuro, seguito da petrolio, biomasse, gas naturale, idroelettrico, solare ed eolico;

    la crisi energetica che l'Italia sta vivendo è un fenomeno strutturale e non transitorio, esacerbato da due anni di pandemia e dalla recente crisi in Ucraina, che potrà essere affrontato solo ricorrendo all'utilizzo di un insieme di risorse che possano garantire una transizione energetica sostenibile anche da un punto di vista sociale ed economico;

    è necessario contenere il costo dell'energia per assicurare la tenuta del comparto industriale e sociale del Paese;

    bisogna rendere sostenibile la transizione ecologica, tenendo presente il forte costo per l'approvvigionamento di gas dall'estero e contestualmente tenendo a mente che i componenti per la produzione di rinnovabili provengono quasi in toto dalla Cina. La transizione ecologica deve, quindi, essere sostenuta e accompagnata dalla fruizione e sviluppo dei sistemi energetici conosciuti e attualmente in funzione. Tra i vari, il nucleare si dimostra la fonte energetica con maggiore potenziale di crescita e con un impatto climatico sempre minore;

    il nucleare si dimostra una fonte energetica su cui puntare potenziando la ricerca nell'ottica di sviluppo del nucleare di IV generazione;

    il nucleare di quarta generazione prende il nome dal Generation IV International Forum (Gif), un'iniziativa di cooperazione internazionale avviata nel 2001 dal Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti con l'obiettivo di «sviluppare le ricerche necessarie per testare la fattibilità e la performance di reattori nucleari di quarta generazione», rendendoli poi disponibili per l'uso industriale a partire almeno dal 2030;

    gli obiettivi primari sono quelli di migliorare la sicurezza nucleare, ridurre la produzione di scorie nucleari, minimizzare gli sprechi e l'utilizzo di risorse naturali e diminuire i costi di costruzione e di esercizio di tali impianti;

    nel mondo della ricerca sul nucleare, inoltre, si discute ormai da anni degli Small modular reactors, piccoli reattori modulari che avrebbero il vantaggio di essere realizzati in gran parte in fabbrica, aumentando la certificazione sulla sicurezza. Se una centrale tradizionale ha la taglia di mille megawatt, un piccolo reattore modulare si fermerebbe a 100, un decimo; si tratta di nuovi reattori nucleari di piccola taglia basati sulla tecnologia light water reactor di III generazione provata, nota e a maggiore sicurezza intrinseca, che in virtù delle loro ridotte dimensioni e modularità garantiscono una migliore e più agevole localizzazione rispetto ai tradizionali impianti nucleari. Consentono, inoltre, la riduzione dei tempi di costruzione, la capacità di abbattere drasticamente la quantità del rifiuto finale e la possibilità di essere utilizzati in modo flessibile come integrazione delle reti con impianti rinnovabili per correggere l'intermittenza che oggi ne pregiudica il pieno e continuo utilizzo e quindi essere un supporto alla stabilità della rete elettrica;

    a ciò si aggiunga l'alacre studio per passare dalla fissione alla fusione nucleare. Una materia sempre in maggiore crescita e che, secondo tutti gli esperti del settore, innoverà e stravolgerà le conoscenze in campo energetico, anche in tema di approvvigionamento e costi;

    tra fissione e fusione vi sono notevoli differenze. Infatti, nella fissione, i nuclei di elementi pesanti vengono bombardati da neutroni aventi un'energia relativamente bassa e si spezzano in due nuclei più leggeri. I neutroni, rallentati da un «moderatore», colpiscono altri nuclei di uranio creando la famosa «reazione a catena». Il calore prodotto dalla reazione nucleare viene convertito in energia elettrica da un «ciclo termodinamico» e infine da un alternatore, come in qualsiasi centrale termica. Nella fusione, due nuclei di elementi leggeri (in particolare due isotopi dell'idrogeno, il deuterio e il trizio), portati ad altissima temperatura, circa 10 volte la temperatura al centro del Sole, fondono dando origine come «prodotto della fusione» ad un nucleo più pesante (in particolare l'elio) e un neutrone dotato di moltissima energia. Un'altra differenza fondamentale tra i due processi risiede nel fatto che i prodotti della fissione sono fortemente radioattivi, mentre il prodotto della fusione è un gas, l'elio, non solo assolutamente innocuo per le persone e l'ambiente ma anche utilissimo in tante applicazioni. C'è, inoltre, da sottolineare che entrambi i processi non producono né anidride carbonica né inquinanti e perciò vanno considerate a basso impatto ambientale;

    la fusione, quindi, è CO2-free. Una produzione di energia elettrica senza immissione in atmosfera né di elementi inquinanti come ossidi di azoto od ossidi di zolfo né di anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra. L'aspetto è centrale perché potrebbe, in futuro, garantire il giusto connubio tra transizione ecologica e potenza energetica. Sviluppando le suddette tecnologie e sostenendo la ricerca nel settore, anche mediante convenzioni con le Università e i centri di ricerca italiani, si potrebbe giungere ad un'energia green, in grado di sopperire al fabbisogno energetico nazionale ed europeo;

    importanti aziende italiane, come Exor che nel 2021 ha ottenuto uno dei maggiori contributi positivi investendo in due società canadesi attive nel ciclo dell'uranio, investono nell'energia nucleare fuori dai confini nazionali portando all'estero capitali che potrebbero creare ricchezza e lavoro in Italia,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative a sostegno della ricerca nel campo nucleare al fine di proseguire nello sviluppo del settore e nel raggiungimento di risultati applicabili al contesto industriale in materia di fissione e fusione nucleare, favorendo, altresì il dibattito sull'energia dell'atomo, in particolare per quello di ultima generazione, basato su rigore scientifico;

2) a favorire una campagna di informazione oggettiva al fine di evitare opposizioni preconcette con la consapevolezza che il problema dell'accettazione sociale rappresenta una tappa essenziale per la realizzazione di qualsivoglia impianto energetico;

3) ad aderire a progetti internazionali di realizzazione di impianti di nuova generazione, anche mediante collaborazione diretta con quelle Nazioni che hanno già in essere o stipuleranno trattati bilaterali, con il nostro Paese;

4) ad adottare iniziative per istituire idonei percorsi di ricerca e sviluppo al fine di recuperare il ruolo dell'Italia nel campo dello studio e dello sviluppo tecnico in materia, anche attraverso convenzioni con atenei e centri di ricerca per la creazione di appositi corsi universitari;

5) a definire una nuova strategia nazionale sul nucleare ed un piano nazionale che contempli un mix bilanciato fra tutte le fonti energetiche, al fine di ridurre la vulnerabilità e dipendenza dell'Italia dall'import di energia, emerse ormai con evidenza e con crescente preoccupazione agli occhi di tutti i cittadini italiani;

6) ad individuare luoghi da adibire quali depositi unici nazionali dei rifiuti nucleari;

7) ad adottare iniziative per prevedere, ove venissero realizzate sul suolo nazionale centrali nucleari di nuova generazione, misure di compensazione ambientale per enti e territori.
(1-00628) «Binelli, Molinari, Andreuzza, Carrara, Colla, Fiorini, Galli, Micheli, Pettazzi, Piastra, Saltamartini».

(19 aprile 2022)