TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 663 di Mercoledì 23 marzo 2022

 
.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia):

DELMASTRO DELLE VEDOVE ed altri: «Modifica all'articolo 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140, concernente la ripartizione tra le Camere della competenza in materia di autorizzazioni ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione». (2755)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   ANNIBALI, FERRI, VITIELLO, MARCO DI MAIO, FREGOLENT, UNGARO e OCCHIONERO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha inserito tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, anche la riforma del sistema giudiziario, incentrata sull'obiettivo della riduzione dei tempi dei processi e dell'arretrato anche al fine di avvicinare l'Italia alla media dell'Unione europea;

   in tale direzione, nei mesi scorsi, è stato orientato il lavoro di Parlamento e Governo, in tema di giustizia, in linea con le scadenze e gli impegni presi con l'Europa;

   questo è particolarmente vero per le riforme approvate fino ad oggi e, in particolare, per la legge delega di riforma del processo penale, legge n. 134 del 2021, e la legge delega di riforma del processo civile, minori e diritto di famiglia, legge n. 206 del 2021;

   entrambe le due leggi delega prevedono l'adozione di decreti legislativi entro la fine del 2022 e in tale ottica presso il Ministero della giustizia sono stati istituiti cinque gruppi di lavoro per il penale e sette per il civile, con il compito di predisporne i relativi schemi;

   con il decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, è stata introdotta la norma sull'insolvenza delle imprese, nell'ambito di un processo riformatore che si concluderà nel corso del 2022 con l'entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza e con la modifica del sistema dei reati fallimentari;

   in questo ambito è stata costituita, con decreto, una commissione ministeriale, i cui lavori sono stati ulteriormente prorogati, con il compito di elaborare proposte di revisione dei reati fallimentari e di adeguare e rendere funzionali le fattispecie penali alla mutata disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza;

   entro la fine del 2022 è prevista anche la conclusione del processo di revisione della riforma della giustizia tributaria, a cui stanno lavorando congiuntamente Ministero della giustizia e Ministero dell'economia e delle finanze;

   con riferimento alla riforma dell'ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, sono stati approvati dal Consiglio dei ministri gli emendamenti al disegno di legge sul cui esame è attualmente impegnata la Commissione giustizia della Camera dei deputati;

   si tratta di un vasto processo di revisione della giustizia penale, civile – atteso da anni dal nostro Paese – e che dovrebbe comportare una riforma completa della giustizia in tutti i suoi aspetti –:

   in quali tempi sia prevista la conclusione dei lavori della commissione sui reati fallimentari, nonché la presentazione alle Camere degli schemi di decreti legislativi di cui in premessa e, con particolare riguardo alla riforma del processo penale, se tale presentazione possa avvenire entro il mese di giugno 2022 (o comunque entro l'estate).
(3-02830)

(22 marzo 2022)

   SAITTA, D'ORSO, ASCARI, BONAFEDE, DI SARNO, CATALDI, FERRARESI, GIULIANO, PERANTONI, SALAFIA, SARTI e SCUTELLÀ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a causa della crisi dei mercati e del conflitto bellico in Ucraina, aumenta concretamente il rischio che i clan sfruttino la speculazione dei prezzi attraverso prodotti che possono essere più facilmente trovati e sottratti al mercato, oppure acquisiscano armi attraverso canali illegali;

   l'avvertimento sugli ulteriori rischi derivanti dal dramma che si sta consumando a poche migliaia di chilometri nel nostro Paese arriva, innanzitutto, dal Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, secondo cui «la guerra in Ucraina determinerà profili di operatività della criminalità organizzata, che di certo non dovrà rispettare i canali bancari per le proprie liquidità»: una situazione ideale per le cosche che, attraverso loro mercati paralleli, superano così qualsiasi sanzione, blocco e controllo delle autorità internazionali;

   durante un'emergenza le mafie tentano sempre di sfruttare i canali nei quali potersi infiltrare e trarne profitti: un meccanismo, questo, di estremo vantaggio che si è replicato e che nella storia giudiziaria è stato ripetutamente rilevato;

   ricorda sempre de Raho che, dopo la caduta del muro di Berlino, suscitò un'ampia riflessione quell'intercettazione tra mafiosi in cui uno diceva all'altro: «vai a comprare tutto quello che puoi»; «Kaufen» (comprare) fu all'epoca il mantra della 'ndrangheta affarista in terra tedesca e oggi le coordinate degli investimenti si spostano soltanto di qualche migliaio di chilometri ad est;

   secondo una stima elaborata dall'agenzia di comunicazione di Klaus Davi per uno studio sui fatturati di guerra nei territori ucraini, nei prossimi cinque anni la 'ndrangheta sarà tra le mafie quella che guadagnerà di più, con un +15 per cento del fatturato ricavato complessivo, soprattutto grazie al traffico di armi valutato attualmente attorno al miliardo;

   il traffico di droga complessivo, solo in Europa attorno ai 30 miliardi di euro, frutterà soltanto alle organizzazioni criminali calabresi due miliardi di euro in più, pari a un +12 per cento del fatturato specifico;

   quanto all'edilizia, dove non esistono stime ufficiali per la mancata cooperazione degli Stati interessati, si stima un +7 per cento, pari a poco meno di un miliardo;

   la 'ndrangheta guadagnerà anche grazie agli investimenti finanziari «legali», con un +5 per cento di introiti stimabili attorno ai 2 miliardi di euro; il business dell'energia frutterà la stessa cifra e un netto incremento nel settore specifico del 12 per cento –:

   quali intendimenti urgenti il Governo intenda porre in essere, al fine di contrastare efficacemente le infiltrazioni criminali, nell'ambito del complessivo approvvigionamento delle materie prime, nonché nel mercato illegale delle armi.
(3-02831)

(22 marzo 2022)

   PAOLINI, MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CARRARA, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FIORINI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GALLI, GASTALDI, GERARDI, GERMANÀ, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, LUCENTINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MARIANI, MATURI, MICHELI, MINARDO, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLIN, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RAVETTO, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SCOMA, SNIDER, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZANELLA, ZENNARO, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   si susseguono, nelle carceri italiane, episodi di insubordinazione ed aggressioni verso gli agenti di polizia penitenziaria; uno degli ultimi si è verificato a Pesaro, la settimana scorsa, dove un detenuto straniero, di notevole prestanza fisica, già autore di un incendio doloso al proprio materasso che ha portato all'intossicazione di un agente e già in precedenza trasferito per motivi disciplinari da altro istituto, ha rotto un tavolo e, con una gamba dello stesso, ha ferito l'operatore di polizia penitenziaria che cercava, disarmato, di riportarlo a più miti consigli. Fatti come quello descritto non sono pochi, contandosi in circa 500 all'anno;

   in casi del genere le conseguenze per gli autori delle aggressioni sono, generalmente, l'isolamento fino a un massimo di 15 giorni e/o il trasferimento in altro istituto e una denuncia penale per lesioni, oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale. Denuncia che avrà conseguenze pratiche – sempre che non vada in prescrizione – solo dopo diversi anni, periodo durante il quale l'autore, spesso straniero, sarà già irreperibile e quindi non toccato, di fatto, dall'eventuale condanna. Si aggiunga a ciò la circostanza che gli agenti, oggi, devono quasi sempre cercare di ripristinare l'ordine totalmente disarmati;

   è notizia dei giorni scorsi che 4.482 taser, arma a impulsi elettrici, verranno distribuiti in 18 città italiane agli operatori della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza come supporto alle attività di prevenzione e controllo del territorio. A partire da maggio 2022 l'uso verrà gradualmente esteso a tutti i reparti di tutto il territorio nazionale. «Grazie all'adozione del taser, le forze di polizia saranno in grado di gestire in modo più efficace e sicuro le situazioni critiche e di pericolo», ha detto il Ministro dell'interno –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative volte a intervenire sull'ordinamento penitenziario, al fine di prevedere misure disciplinari più afflittive, e sulla procedura penale, per accelerare i processi connessi con questo tipo di reati, e, soprattutto, se, in tema di dotazioni di auto-difesa del personale, sia già allo studio l'opzione di dotare anche la polizia penitenziaria delle pistole taser che, per comprovata esperienza in altri Paesi, hanno un effetto di deterrenza ante-uso superiore al 90 per cento.
(3-02832)

(22 marzo 2022)

   ZANETTIN, PITTALIS e GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con sentenza n. 137/2022, pubblicata in data 20 gennaio 2022, il tribunale di Firenze, sezione imprese, ha condannato il Ministero della giustizia, dipartimento amministrazione penitenziaria, a pagare a Berica impianti spa di Arzignano (Vicenza) la somma di euro 4.021.929, oltre interessi dalla domanda e spese legali liquidate complessivamente in euro 44.277.10;

   il Ministero è stato condannato altresì, ex articolo 96, comma terzo, del codice di procedura civile, a pagare la somma di euro 10.000 a titolo di penale;

   è l'epilogo di una vicenda, oggetto di diversi atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante;

   già nelle sedute del 22 gennaio 2019 e del 15 maggio 2020, intervenendo in Aula, l'interrogante aveva invitato l'amministrazione ad una composizione bonaria del contenzioso, perché era evidente, dalla lettura degli atti di causa, che sarebbero seguite pronunce rovinose ai danni del Ministero;

   con la sentenza del tribunale di Firenze, il Ministero è stato condannato addirittura ad una penale per responsabilità aggravata ex articolo 96 del codice di procedura civile;

   è quindi del tutto evidente la mala gestio dell'amministrazione, sancita anche nella pronuncia giudiziale sopra citata;

   sono stati infatti trascurati gli inviti alla transazione formulati dallo stesso giudice istruttore della causa nell'udienza del 2 luglio 2019 e rilanciati dall'interrogante nei suddetti interventi parlamentari, con grave danno erariale –:

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per sancire la responsabilità dei funzionari pubblici, che hanno dato parere negativo all'ipotesi transattiva proposta a suo tempo dal tribunale di Firenze.
(3-02833)

(22 marzo 2022)

   DE LORENZO e FORNARO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la norma introdotta con il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 («Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l'efficienza della giustizia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, prevede che i funzionari più alti in grado, gli apicali della pubblica amministrazione, possano diventare dirigenti tramite procedura comparativa e che abbiano diritto al 30 per cento dei posti a disposizione;

   gli apicali tradizionalmente sono i dipendenti di terza fascia. Il contratto delle funzioni centrali — quello dei Ministeri e delle agenzie fiscali — ha introdotto una quarta fascia di livello superiore. Si tratta dei dipendenti con «elevate professionalità», i tecnici chiamati per gestire i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un'area che, al momento, è priva di effettivi in considerazione del fatto che vanno ancora ultimate le assunzioni;

   in questo modo si crea, quindi, una sorta di tetto per i funzionari di terza fascia che per diventare dirigenti dovrebbero passare prima alla quarta. Un passaggio reso più difficile in quanto servono anche i titoli, a volte estremamente specialistici, oltre all'anzianità e al merito;

   le organizzazioni sindacali avevano già segnalato le criticità insite nella norma, in quanto aggiungere una quarta area sovraordinata e imporla per legge quando era in corso la trattativa per definire un nuovo ordinamento professionale avrebbe bloccato i percorsi di carriera e di crescita economica dei funzionari. In particolare, si tratta, da una parte, di quelli di terza area, che già hanno tra le proprie competenze l'assolvimento di funzioni vicarie della dirigenza, e, dall'altra, dei dirigenti delle funzioni centrali che, a differenza degli altri dirigenti pubblici, non hanno ancora un ruolo unico ma sono distinti in due fasce il cui accesso è per concorso;

   le organizzazioni sindacali hanno chiesto un intervento legislativo per superare la situazione che si è venuta a creare e consentire a chi dirige un ufficio pubblico di poter transitare dal comparto alla dirigenza –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere legislativo, intenda assumere per superare la situazione che si è venuta a creare.
(3-02834)

(22 marzo 2022)

   CARELLI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata gestisce, in collaborazione con l'autorità giudiziaria, l'intero processo finalizzato alla destinazione dei beni sequestrati e poi confiscati in via definitiva, affinché vengano restituiti alle comunità e ai territori attraverso il loro impiego per scopi sociali o istituzionali;

   tra le attività funzionali alla destinazione dei beni confiscati, che è una delle priorità dell'Agenzia, fondamentale è l'organizzazione, in collaborazione con le prefetture e gli enti locali, delle conferenze di servizi nell'ambito delle quali le amministrazioni del territorio possono manifestare l'interesse all'acquisizione dei beni, sulla cui destinazione decide poi il consiglio direttivo dell'Agenzia;

   è dunque fondamentale essere in grado di curare i beni sequestrati e di gestire il destino delle proprietà confiscate alla mafia, al fine di contrastare le organizzazioni criminali;

   laddove è carente lo Stato, purtroppo s'insinua il welfare criminale anche in campo informativo ed informatico ed è quindi sempre più urgente riappropriarsi dei territori confiscati alla mafia;

   nella riforma della giustizia e del Consiglio superiore della magistratura, tra gli emendamenti del Governo è stata disposta la valutazione delle capacità dei magistrati per l'attribuzione agli stessi di funzioni direttive e semidirettive, al fine di creare delle figure di elevata competenza;

   allo scopo di garantire affidabilità, efficienza e coerenza nella gestione di un patrimonio sequestrato, sarebbe importante prevedere l'istituzione di figure competenti e specializzate per rafforzare l'azione dell'Agenzia dei beni confiscati allo Stato, che mettano in collegamento enti e sistema di gestione ministeriale di un bene confiscato –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare allo scopo di creare figure professionali, nell'ambito delle strutture amministrative coinvolte a tutti i livelli, per garantire una migliore gestione dei beni confiscati.
(3-02835)

(22 marzo 2022)

   ROMANIELLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   a quanto risulta all'interrogante gli sviluppi militari della crisi ucraina e le conseguenti decisioni che l'Italia ha assunto, insieme con le nazioni alleate, hanno spinto il Governo mediante il decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, a disporre una serie di misure volte a garantire il contributo italiano all'impegno condiviso con gli altri Paesi Nato in termini di difesa collettiva e di rafforzamento della postura militare, in grado di garantire il necessario livello di deterrenza a fronte della grave situazione di crisi in atto;

   il 17 marzo 2022 la Camera ha approvato in prima lettura il disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge;

   in particolare, l'articolo 2-bis dispone, in deroga alla legislazione vigente e previo atto di indirizzo delle Camere, la possibilità di cessione, da parte del Ministero della difesa, di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina fino al 31 dicembre 2022;

   almeno una ventina di Paesi, tra cui molti membri della Nato e dell'Unione europea, stanno inviando armi per milioni di dollari e di euro in Ucraina: missili anticarro, missili terra-aria, armi da fuoco, munizioni ed altri equipaggiamenti militari, anche non letali come elmetti, giubbotti antiproiettile e kit di pronto soccorso;

   l'assoluta vulnerabilità dello spazio aereo ucraino ai cacciabombardieri e ai missili russi preclude alla Nato la modalità aerea per la consegna delle forniture, lasciando come unica opzione quella terreste, con significative problematiche relative a tempistiche e rotte percorribili;

   nonostante la mancanza di conferme e le diverse smentite, sembra rafforzarsi l'ipotesi di un diretto coinvolgimento di aziende di contractor e di compagnie militari e di sicurezza private nel trasferimento delle forniture militari nel Paese, con il pericolo che le armi possano essere intercettate o cedute a gruppi paramilitari, milizie irregolari e altre organizzazioni militari, anche straniere, attive nello scenario di guerra o finire nel circuito della grande criminalità organizzata internazionale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, conseguentemente, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di operare un rigoroso controllo sulla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, per evitare che l'ingresso di detto materiale nel Paese avvenga ad opera di intermediari fuori dal controllo delle autorità governative ucraine.
(3-02836)

(22 marzo 2022)

   PAGANI, ENRICO BORGHI, CARÈ, DE MENECH, FRAILIS, LOSACCO, LOTTI, BERLINGHIERI, LORENZIN e FIANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nell'ultimo Consiglio affari esteri e difesa dell'Unione europea, i Ministri della difesa hanno approvato la Bussola strategica, uno strumento che fornisce all'Unione il piano d'azione per rafforzare la politica di sicurezza e di difesa dell'Unione europea entro il 2030, con l'istituzione, tra l'altro, della forza di schieramento rapido dell'Unione europea. Inoltre, l'Unione intende rafforzare la sua capacità di anticipare, dissuadere e rispondere alle minacce e alle sfide attuali ed emergenti, aumentando le proprie capacità di analisi dell'intelligence, e mira ad istituire una politica di difesa informatica per essere meglio preparati e rispondere ai cyber-attacchi e all'interferenza ostile nelle proprie reti informative;

   già un anno fa, è stato adottato lo Strumento europeo per la pace (Epf), uno strumento fuori bilancio volto a consolidare la capacità dell'Unione di prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale, consentendo il finanziamento di azioni operative nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa. A seguito dell'invasione militare non provocata e ingiustificata dell'Ucraina da parte della Russia, l'Unione europea ha finanziato 2 tranche di pagamento nell'ambito proprio dello Strumento europeo per la pace, costituito da due misure di assistenza per rafforzare le capacità e la resilienza delle forze armate ucraine al fine di difendere l'integrità territoriale e la sovranità dell'Ucraina e proteggere la popolazione civile;

   la Bussola strategica è un traguardo importante ed un passo rilevante verso l'Europa della difesa, che, come ha detto il Ministro interrogato, rafforza la capacità di difesa comune in un momento storico che lo richiede e segna un autentico spartiacque in tema di sicurezza collettiva;

   per il nostro Paese è fondamentale andare verso l'Europa della difesa e contribuire al suo implemento, anche attraverso investimenti in tecnologia, le cui ricadute potranno esserci pure in sede civile e saranno di sostegno alla domanda interna, visto che su questo tema in Italia ci sono università, centri di ricerca, filiere industriali, player produttivi che potranno beneficiarne;

   come commentato dall'Alto rappresentante dell'Unione europea Josep Borrell, «le minacce sono in aumento e il costo dell'inazione è chiaro, la Bussola strategica è una guida per l'azione: stabilisce un percorso ambizioso per la nostra politica di sicurezza e difesa per il prossimo decennio» –:

   quali saranno le prossime tappe della difesa italiana e della ricerca civile nell'ambito del percorso verso la costruzione di un sistema di difesa europeo.
(3-02837)

(22 marzo 2022)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ALBANO, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, DE TOMA, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, GIOVANNI RUSSO, RACHELE SILVESTRI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI, VINCI e ZUCCONI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi diversi organi di stampa hanno fatto emergere un presunto tentativo di vendita al Ministero della difesa colombiano di 4 corvette Fcx30 e due sommergibili classe Trachinus prodotti da Fincantieri e di alcuni aerei M-346 di Leonardo. L'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Massimo D'Alema, avrebbe svolto il ruolo di mediatore tra Leonardo s.p.a. e il Governo colombiano;

   sin dal mese di febbraio 2022 gli approfondimenti del quotidiano La Verità e del periodico on line Sassate, seguiti da inchieste e interviste di altre testate, hanno evidenziato come protagonisti non solo l'ex Presidente del Consiglio dei ministri Massimo D'Alema, ma anche le società Leonardo e Fincantieri e, a vario titolo, i vari Ministeri della difesa, esteri e cooperazione internazionale, sviluppo economico del Governo italiano e l'ambasciata e i Ministeri dello Stato colombiano, oltre che uno studio legale con sede negli Usa e vari o presunti intermediari;

   stando alle intercettazioni pubblicate, si tratterebbe di un affare che avrebbe fruttato un guadagno di circa 80 milioni di euro rivendicati dallo stesso D'Alema;

   a tutela della credibilità delle istituzioni italiane e dei rapporti tra Italia e Colombia, occorre fare chiarezza con estrema urgenza;

   gli accordi «Government to Government», noti anche come G2G, sono strumenti di politica industriale che consentono la vendita di beni e servizi da Governo a Governo e si concretizzano attraverso la firma di un contratto tra esponenti dei rispettivi Governi. Si tratta di una formula di vendita alternativa alla più comune «business to Government» (B2G), cioè tra imprese private e Governo;

   nel settore della difesa e sicurezza il «Government to Government» è utilizzato per l'implicita garanzia politica in termini di stabilità di relazione, semplificazione gestionale e assenza di intermediari commerciali, con numerosi vantaggi per tutti gli attori interessati, ovvero Stato acquirente, Stato fornitore ed industria nazionale;

   dell'andamento e delle modalità di una trattativa se ne giova o, al contrario, perde, la credibilità internazionale dello Stato italiano, delle sue istituzioni e delle sue stesse società, al di là della mera convenienza economica –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per fare luce sulla vicenda e a tutela della sicurezza nazionale, di quali elementi disponga circa il grado di coinvolgimento dei vari soggetti menzionati e quali siano le misure previste a tutela dell'integrità e della credibilità delle istituzioni.
(3-02838)

(22 marzo 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE
A SOSTEGNO DEL SETTORE DELLA MODA

   La Camera,

   premesso che:

    con un fatturato che supera gli 80 miliardi di euro annui, quasi 500 mila addetti e 224 mila aziende solo in Italia, la filiera della moda rappresenta un asset strategico dell'industria nazionale, nonostante risulti, con l'industria automobilistica, il settore manifatturiero maggiormente colpito dall'emergenza economica socio-sanitaria da COVID-19, soprattutto a causa della sofferenza del mercato europeo, fortemente penalizzato da lockdown internazionale;

    il settore moda rappresenta l'8,5 per cento del volume di affari e il 12,5 per cento dell'occupazione dell'industria manifatturiera in Italia; la dimensione media delle aziende è inferiore a quella degli altri Stati dell'Unione europea e questa peculiarità, bilanciata da una forte interrelazione tra le imprese che comporta un'elevata capacità di innovazione, consente una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. Questa caratteristica è confermata dalle prestazioni dell'esportazione del settore e dal ruolo di grande rilievo dalla filiera nazionale nel mercato europeo della moda di qualità. Si stima, infatti, che il sistema di subfornitura italiano rifornisca il 60 per cento della moda di qualità del mondo e che l'industria tessile italiana raggiunga il 77,8 per cento del totale delle esportazioni europee;

    per la sua portata attuale, al settore corrisponde una consistente produzione e, di conseguenza, una consistente generazione di problematiche di impatto ambientale, come emerso dall'ultimo World Economie Forum, secondo il quale l'industria della moda è il secondo settore più inquinante al mondo dopo quello petrolifero; ogni anno è, infatti, responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra (CO2) e contribuisce alla dissipazione del 20 per cento delle risorse idriche totali, utilizzate nelle varie fasi lavorative, compresa, naturalmente, l'irrigazione delle colture tessili;

    a livello mondiale una prima problematica concerne il rilascio e la diffusione di sostanze chimiche usate nel processo produttivo, causa primaria del deterioramento della risorsa idrica, in particolare nella contaminazione delle falde acquifere, oltre che effetti nocivi con conseguenze sulla salute dell'essere umano; si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20 per cento dell'inquinamento globale dell'acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei corsi d'acqua (l'equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica);

    il consumo di moda è molto diffuso, poi, nelle economie industrializzate: poiché la moda è fondata sulle tendenze, il prodotto ha un ciclo di vita molto breve, che porta a un elevato accumulo di rifiuti spesso non biodegradabili. I dati dell'Ispra indicano che le imprese italiane della lavorazione di pelli e pellicce e dell'industria tessile hanno generato 745.458 tonnellate di rifiuti speciali nel 2018;

    si calcola, poi, che l'industria della moda sia responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di carbonio;

    i produttori ed i marchi «made in Italy» che non si rinnoveranno saranno senza dubbio danneggiati nel breve/medio termine da uno dei cambiamenti di paradigma: dai fattori tecnologici, come l'intelligenza artificiale, la biotecnologia, la digitalizzazione industriale, il riutilizzo creativo del lusso, alla necessità di mantenere il passo con una consapevolezza senza precedenti dei consumatori, che oggi si aspettano un autentico impegno dei marchi nei confronti dei valori etico-ambientali;

    da tempo le filiere del tessile, della pelletteria, degli accessori, della calzatura e della moda tentano di trovare un punto di equilibrio nella coesistenza tra l'emergenza etica, ambientale e sociale e lo sviluppo economico;

    l'attenzione ai temi della transizione ecologica non è solo una caratteristica produttiva, ma un'esigenza;

    come componente chiave della catena del valore globale, le piccole e medie imprese e le imprese artigiane italiane devono conformarsi alle pratiche sostenibili e alla gestione responsabile, destreggiandosi tra le varie certificazioni etiche, ambientali e nella sottoscrizione dei diversi protocolli quali, ad esempio, l'elenco delle sostanze soggette a restrizioni (Rsl – Restricted Substances List), l'elenco delle sostanze manifatturiere soggette a restrizioni (Mrsl – Manufacturing Restricted Substances List) e le campagne attivate per la gestione responsabile delle sostanze chimiche nei prodotti e nei processi, come anche i capitolati attraverso cui i marchi committenti effettuano le richieste di approvvigionamento;

    la necessità, sempre più impellente, di conformare tutti i settori alla realtà ecosostenibile, richiede uno sforzo corale affinché questo settore trainante per l'Italia diventi un asset strategico nella nuova programmazione comunitaria 2021-2027 e nel pacchetto della ripresa della Next Generation UE, dotandolo degli strumenti necessari per affrontare le sfide del futuro e, in particolare, per una transizione verso un modello tessile responsabile e sostenibile, per costituire modelli di gestione strategica ed operativa diretti alla compatibilità ecologica e sociale;

    la legislazione italiana, pur sapendo cogliere in termini generali gli obiettivi della sostenibilità e dell'economia circolare, non è stata in grado finora di creare un quadro normativo complessivo idoneo a favorire e sostenere concretamente questa transizione; in particolare, la normativa ambientale italiana continua a mantenere un approccio burocratico con norme a volte incoerenti che frenano anziché favorire la transizione;

    l'Italia, dato il valore economico, sociale e ambientale generato dalla sua filiera nella catena tessile globale, gioca un ruolo importante nell'identificazione, mitigazione e gestione sistemica delle esternalità negative; quella italiana è l'unica filiera al mondo tutt'oggi intatta, composta da imprese artigiane che lavorano dalla fase delle materie prime, passando per le fasi del processo produttivo, fino alla distribuzione, coinvolgendo quasi tutte le regioni italiane nell'indotto e, inoltre, la filiera della moda italiana gode di un vantaggio di competitività unico nel contesto globale legato principalmente ad una tradizione produttiva correlata al contributo fornito dalle specializzazioni produttive sorte nei cosiddetti distretti industriali;

    l'obiettivo è una transizione giusta, in cui l'approccio a uno sviluppo sostenibile non si limiti ai soli contesti maggiormente dipendenti da fonti e tecnologie altamente impattanti e climalteranti, ma sia in grado di attivare una leva di crescita che colga le caratteristiche e le esigenze settoriali che, a prescindere dalla dimensione aziendale, accompagni anche le imprese più piccole nella transizione;

    è necessaria la predisposizione di interventi in grado di rendere l'ecosistema tessile idoneo alla transizione ecologica, sostenendo l'accelerazione verde a tutti i livelli, nazionale, regionale e locale, ed enunciando i criteri base da porre a fondamento delle politiche interne;

    l'Italia, e l'Europa tutta, si trovano oggi nel pieno di una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, che ha messo in luce la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento; stimolare nuovi modelli aziendali innovativi creerà a sua volta la nuova crescita economica e le nuove opportunità di lavoro che l'Europa ha bisogno di recuperare;

    il presente atto di indirizzo è volto a stimolare un settore dominante dell'economia italiana, anche rispetto ai processi di riconversione, uno sforzo che lo Stato deve sostenere attraverso i necessari investimenti a beneficio dell'intera filiera produttiva del settore, sia quella industriale che quella artigianale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per attuare una più efficace politica di tutela ambientale specificatamente dedicata al settore tessile e orientata, in particolare, ai temi della transizione verso un'economia circolare, con particolare riguardo a:

   a) incentivi, anche di natura fiscale, a favore delle aziende manifatturiere che introdurranno tecnologie, tecniche, servizi, processi e/o prodotti innovativi nella filiera, parametrati sulla base degli effettivi miglioramenti ambientali ed energetici conseguiti;

   b) supporto finanziario alla creazione di una rete nazionale di recycling hub per la gestione ed il riciclo degli scarti di lavorazione (pre e post consumo) e dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata della frazione tessile (capi abbigliamento, biancheria, casa e altro);

   c) politiche per la promozione della trasparenza e della tracciabilità delle filiere, attraverso il coordinamento di strumenti quali i sistemi di tracciabilità basati sull'identificazione a radiofrequenza e l'etichettatura, oltre che lo sfruttamento e l'utilizzo delle tecnologie e degli strumenti della blockchain/Dlt, internet delle cose (Iot), ed intelligenza artificiale (Ai);

   d) supporto finanziario alla creazione e al potenziamento di impianti (pubblici o consortili) di trattamento delle acque reflue e dei fanghi di depurazione derivanti dai cicli di nobilitazione tessile, con l'introduzione delle tecnologie più avanzate per l'abbattimento dei carichi inquinanti;

   e) supporto alla ricerca di nuove famiglie di prodotti chimici a ridotto impatto ambientale utilizzabili nei cicli di nobilitazione tessile;

2) ad attivare, in ambito europeo, tutte le iniziative di competenza per prevedere nella prossima programmazione comunitaria lo stanziamento di fondi per la prima «settimana della moda» italiana dedicata alla sostenibilità e all'innovazione, sul modello della Sustainable Fashion Innovation Society;

3) ad attivare iniziative di sostegno all'innovazione creativa, mediante:

   a) potenziamento del credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo relativamente al design ed all'ideazione estetica, con l'innalzamento dell'aliquota prevista dall'attuale credito d'imposta e del massimale, per almeno un quinquennio;

   b) sostegno all'attività di realizzazione dei campionari e delle collezioni del settore tessile abbigliamento privi di poliestere (pu) e rispettose dei princìpi di economia circolare, nei limiti della normativa sugli aiuti di Stato, con contributi a fondo perduto;

4) ad adottare iniziative per attivare strumenti agevolativi per incentivare la rilocalizzazione delle produzioni, almeno per articoli e/o servizi innovativi, favorendo nuovi investimenti industriali con:

   a) agevolazioni fiscali per periodi medio-lunghi (5-10 anni);

   b) finanziamenti agevolati o contributi a fondo perduto per riconversione di aree industriali e di impianti/macchinari;

5) ad adottare le iniziative di competenza per inserire, nei decreti attuativi di prossima adozione relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza per il rilancio dell'Italia, il sistema moda come elemento di sviluppo dell'innovazione, della competitività, della transizione ecologica, della rivoluzione verde mediante:

   a) attivazione di strumenti agevolativi a fondo perduto/crediti d'imposta per il supporto alla digitalizzazione di prodotti, collezioni e archivi aziendali;

   b) attivazione di strumenti agevolativi a fondo perduto/crediti d'imposta per lo sviluppo della creatività veloce e potenziata, la flessibilità strutturale degli impianti, la qualità della pianificazione del processo logistico tipico della moda;

   c) sostegno alla virtualizzazione di fiere, di eventi promozionali, di workshop sui principali mercati internazionali, sostegno alla creazione di showroom virtuali ed alla realizzazione di piattaforme per favorire l'incontro tra domanda e offerta di articoli di moda ecosostenibile;

   d) sostegno al primo evento dedicato alla transizione ecosostenibile della moda attraverso l'innovazione tecnologica, denominato – Phygital Sustainability Expo –, a cura della Sustainable Fashion Innovation Society;

6) ad adottare le iniziative di competenza per integrare i programmi formativi, con particolare riferimento ai percorsi di formazione professionalizzanti, al fine di includere il tema della sostenibilità e dell'innovazione responsabile per formare una nuova generazione di professionisti attenti e responsabili;

7) a promuovere campagne di comunicazione per sensibilizzare i consumatori ad acquisti sostenibili, in favore di una maggiore trasparenza circa la riparabilità, la provenienza da materiale riciclato e la riciclabilità dei prodotti al fine di veicolare gli utenti verso scelte consapevoli;

8) anche alla luce dei recenti avvenimenti di guerra che stanno affliggendo la popolazione ucraina, ad adottare iniziative volte ad aiutare bisognosi e profughi nel segno della sostenibilità e dell'allungamento del ciclo di vita dei prodotti mediante:

   a) misure di sostegno, attraverso sgravi fiscali e crediti d'imposta, alle attività che effettuano donazioni di eccedenze di magazzino della moda;

   b) il riconoscimento di un «bonus moda» ai bisognosi e profughi e ai consumatori che acquistano prodotti made in Italy sostenibili certificati da enti accreditati.
(1-00485) (Seconda ulteriore nuova formulazione) «Meloni, Rampelli, Lollobrigida, Zucconi, Butti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci».

(18 maggio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è il primo Paese dell'Unione europea per occupazione dei settori del tessile, abbigliamento e pelletteria;

    la moda si costituisce, certamente, quale uno dei comparti produttivi più iconici del made in Italy nel mondo; nonostante ciò, è uno dei settori che ha maggiormente subìto gli effetti della recessione e della crisi pandemica;

    la filiera tessile-abbigliamento rappresenta un settore produttivo in grado di generare un fatturato, nell'anno 2019, di 98 miliardi di euro, con un saldo commerciale fortemente attivo (32 miliardi di euro il consuntivo 2019). Prima della pandemia ben 68 miliardi di euro erano generati dall'export, confermando il respiro internazionale del settore e la capacità di soddisfare tanto la domanda dei mercati tradizionali europei e nord americani, quanto quella delle nuove realtà dell'Estremo Oriente;

    il sistema della moda occupa quasi 500 mila addetti (12,5 per cento dell'occupazione del comparto) di cui circa 312 mila (66,6 per cento) impiegati in circa 55 mila micro-piccole imprese del tessile, abbigliamento e pelle (Mpi): il nostro, infatti, è il primo Paese europeo per numero di occupati nelle Mpi del settore. Nel sistema moda operano, altresì, 36 mila imprese artigiane che danno lavoro a 158 mila addetti, un terzo (34,8 per cento) dell'occupazione del settore;

    nelle sole sei regioni che trainano il settore (Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte) sono occupate 252 mila persone nelle micro e piccole imprese, valore che supera del 28,4 per cento l'occupazione delle omologhe imprese di Spagna, Germania e Francia messe insieme; come emerge dai dati sopracitati, il settore della moda si caratterizza nel nostro Paese per essere ad elevata vocazione artigiana;

    pur sapendo che è necessaria la crescita dimensionale, la ridotta dimensione media delle aziende rispetto a quella degli altri Paesi dell'Unione europea è bilanciata da una forte interrelazione che comporta una elevata capacità di innovazione e consente una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. Questa caratteristica è confermata dalle performance dell'export del settore e dal ruolo di grande rilievo della filiera nazionale nel mercato europeo della moda di qualità;

    i fatturati richiamati, sono generati da quasi 65 mila aziende capaci di occupare circa 575 mila persone. Inoltre, il comparto moda si dimostra un grande volano del made in Italy nel mondo con una propensione all'export del 69,4 per cento. La filiera della moda si completa con la distribuzione commerciale che conta, al 31 dicembre 2021, 108.666 imprese attive e 82.878 unità locali per complessivi 191.544 punti vendita che occupano complessivamente 278.964 addetti;

    le esportazioni di questo settore sono cresciute notevolmente dai 20 miliardi di euro degli anni Novanta ai 68 del 2019 e nell'arco degli anni 2012-2019 l'industria della moda italiana nel suo complesso è cresciuta più del prodotto interno lordo, raggiungendo circa il 2 per cento del prodotto interno lordo stesso;

    aver mantenuto all'interno dei confini gran parte del processo produttivo e delle competenze di qualità ha garantito al sistema moda italiano un vantaggio competitivo indiscutibile che si registra anche in termini di capacità innovativa;

    si tratta di un settore economico, produttivo e commerciale estremamente trainante per l'economia italiana, che necessita di azioni concrete e di una strategia di sviluppo a medio-lungo termine, anche a seguito del contraccolpo subìto dal COVID-19;

    la moda italiana, se si considerano i tredici mesi della pandemia, da marzo 2020 a marzo 2021, ha subìto una perdita di fatturato rispetto ai 13 mesi precedenti di circa 20,6 miliardi di euro. Sul fronte della domanda interna, nel 2020 i consumi delle famiglie per vestiario e calzature hanno subìto una contrazione di 12,6 miliardi di euro, con un calo del 19,7 per cento. Sui mercati esteri, le esportazioni della moda nel 2020 diminuirono di 11,2 miliardi di euro, pari ad una caduta del 19,5 per cento, intensità quasi doppia rispetto alla media della manifattura (-10 per cento);

    il periodo di lockdown ha determinato il blocco di tutte le attività commerciali dei negozi di abbigliamento e accessori attivi in Italia (circa 130 mila con 300 mila addetti), dei quali circa 85 mila relativi al settore abbigliamento e circa 45 mila agli accessori. Solo una piccola parte del comparto, grazie allo smart working e all'intensificazione della vendita tramite piattaforme digitali, e-commerce o soluzioni, quali il Click&Collect e ship-from-store, ha potuto dare continuità al business. Proprio l'e-commerce, infatti, è stato uno dei principali fattori di resilienza del settore durante il lockdown, garantendo la sussistenza di un giro d'affari minimo per le imprese attive nelle vendite online (l'11,6 per cento del totale). La migrazione verso soluzioni digital o full digital deve costituire una opportunità per l'occupazione nel settore: l'attuazione diffusa della dematerializzazione dell'attività di vendita, infatti, comporta un cambiamento dell'assetto organizzativo delle imprese, nelle competenze future-proof del settore e, di conseguenza, nei profili professionali: si tratta quindi di favorire l'aggiornamento dei lavoratori, soprattutto quelli addetti alle vendite al dettaglio. In tale ambito i negozi fisici, così come le fiere, continueranno a essere luoghi dove il cliente può sentirsi accolto, seguìto e guidato nel percorso di scelta all'acquisto, dimostrandosi sempre un'occasione per enfatizzare e promuovere la qualità e l'artigianato dei nostri prodotti e del made in Italy;

    il comparto della moda nazionale si risolleva nella prima metà del 2021. Dopo lo stop determinato dalla seconda ondata di contagi da COVID-19, l'industria ha assistito a una decisa crescita del fatturato. I primi tre mesi del 2021 si sono chiusi in linea con il 2020 (-0,3 per cento), ma nel secondo trimestre è stato possibile registrare un forte rimbalzo del 63,9 per cento. Anche i consumi di abbigliamento e calzature sul mercato interno hanno registrato una variazione tendenziale positiva in quantità del 14,7 per cento, anche se si è ancora lontani dai livelli pre-COVID;

    si tratta di un risultato non scontato e che è stato possibile raggiungere grazie all'impegno e costanza degli operatori del settore. La ripresa a partire da gennaio 2021 del settore del tessile-abbigliamento, pelletteria e calzature, si è concretizzata con continuità sulla scorta della concretezza e capacità dell'artigianato italiano che ha saputo donare nuova linfa e ulteriore spinta al comparto. Artigiani e Pmi hanno saputo sapientemente sfruttare gli incentivi riconosciuti dal Governo e le riaperture. Stando ai dati divulgati da Cnmi-Camera nazionale della moda italiana, il rimbalzo del secondo trimestre 2021 ha portato l'aumento complessivo semestrale al 24 per cento, recuperando buona parte della caduta del 2020; ciononostante, il fatturato rimane ancora del 15 per cento inferiore al secondo trimestre 2019. Nonostante la buona crescita registrata, non è da sé sufficiente a riportare il giro d'affari della moda made in Italy ai livelli pre-COVID;

    i dati del 2021, seppur incoraggianti, devono essere necessariamente comparati al precedente periodo 2020 ove a causa della crisi sia registrata una fase di recessione e stagnazione. Certamente, però, i dati dimostrano con grande chiarezza la qualità e la concretezza del made in Italy e dell'artigianato del settore moda, che ha saputo mantenersi produttivo e competitivo nel mondo, nonostante le forti difficoltà. Non si può permettere che questo sforzo produttivo, commerciale ed economico venga disperso, anche in considerazione dei posti di lavoro e dell'indotto che ruotano attorno al settore;

    il comparto della moda nazionale ha dimostrato una generale e significativa resilienza nel contesto emergenziale pandemico e questo grazie in gran parte all'organizzazione produttiva (grandi realtà imprenditoriali che convivono con e fioriscono grazie alla presenza di micro e piccole imprese localizzate in distretti o territori altamente specializzati, dove l'artigianalità ha saputo mantenersi e rinnovarsi con l'avanzare del tempo, delle tecnologie e dei gusti e delle scelte dei consumatori) e in parte all'elevata qualità dei prodotti, che genera un alto valore di vendite estere;

    purtroppo, l'inizio della stagione di vendita della moda di autunno-inverno 2022/23 si è caratterizzata per la cancellazione di eventi e slittamento delle date. Questo ha fatto sì che l'inizio dell'anno abbia registrato dati peggiori di quelli stimati; si è registrato un inizio anno in controtendenza rispetto alle stime effettuate;

    oltre allo spunto meramente economico-aziendale, è necessario calare il settore della moda all'interno dello scenario politico e storico in cui ci si trova ad operare. Ormai l'industria è proiettata alla transizione ecologica ponendo le condotte di tutela ambientale al centro delle proprie scelte; in tale quadro, le imprese sono chiamate ad uno sforzo ulteriore che consenta di coniugare innovazione, sviluppo, produzione e sostenibilità ambientale;

    le diverse stime sulle emissioni globali di gas serra del settore moda variano dal 3 al 10 per cento, considerato l'elevato impiego di energia e l'utilizzo di una vasta quantità di acqua sia per la coltivazione di cotone e altre fibre tessili sia nella fase di produzione. L'industria dell'abbigliamento sarebbe responsabile del 6,7 per cento delle emissioni globali, circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2eq, mentre quello dell'industria calzaturiera per l'1,4 per cento pari a 700 milioni di tonnellate di gas climalteranti. Il 70 per cento delle emissioni proviene da attività di produzione e lavorazione della materia prima (tintura e finissaggio, preparazione del filato e produzione di fibre sono le fasi a più alta intensità di carbonio). Il maggior impatto ambientale è riconducibile al crescente utilizzo di fibre a base di combustibili fossili (il 64 per cento dei tessuti prodotti è realizzato in materiali sintetici, compresi poliestere, nylon, acrilico e poliammide), ma anche alle abitudini di consumo e alla catena di approvvigionamento;

    nell'ambito del Piano italiano di ripresa e resilienza, una specifica linea di investimento («1.2: Progetti “faro” di economia circolare»), si propone inoltre di potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di gestione contribuendo al raggiungimento del 100 per cento di recupero nel settore tessile tramite «Textile Hubs»;

    il mondo della moda da sempre ha cercato di unire queste due sfere (produzione e sostenibilità), cercando un difficile equilibrio tra i diversi interessi. L'industria italiana della moda sta facendo fronte, con convinzione, anche alla sfida della transizione energetica, attuando le buone pratiche per una moda circolare che guardi a una produzione e un consumo sostenibili, in cui i materiali e i prodotti vengano recuperati, riciclati e riutilizzati, riducendo sprechi ed emissioni e preferendo al fast fashion un modello di produzione che conservi qualità e ambiente nel medesimo piano di priorità;

    la sostenibilità è richiesta dai consumatori, in particolare dai più giovani, che ormai la ritengono imprescindibile. Le aziende e i marchi ne chiedono certificazione, tramite etichette intelligenti o tramite l'utilizzo di blockchain. Poiché la moda vive di immagine, oltre che di marketing, un ruolo importante nella comunicazione della sostenibilità lo hanno sfilate e presentazioni: in questo la moda italiana è un passo avanti rispetto agli altri Paesi, grazie a iniziative innovative, che si sono ulteriormente sviluppate nell'anno della pandemia. Analisti e consulenti certificano da tempo l'importanza di investimenti in questo nuovo tipo di Corporate social responsibility (Csr) 4.0, e il settore dell'alta gamma si è già mosso con dichiarazioni d'intenti e iniziative;

    alla luce degli scenari economico - politici che ci preoccupano non è più immaginabile che le imprese operino una transizione ecologica in assenza di un intervento collettivo che fornisca gli adeguati strumenti normativi. Permettere lo sviluppo dell'economia circolare e una produzione «green» del comparto moda, significa investire nel settore e predisporre azioni politiche e legislative adeguate a consentire all'ecosistema tessile di realizzare una realtà ecosostenibile lungo tutte le fasi del processo produttivo. Per il settore sarà dunque di fondamentale importanza affrontare temi, quali digitalizzazione e sostenibilità. In questo senso, allo scopo di favorire l'economia circolare all'interno del sistema della moda, anche le imprese stanno agendo sempre più per limitare il proprio impatto ambientale in fase sia di produzione sia di ricerca e sviluppo, ma anche tramite servizi offerti al consumatore;

    dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l'obbligo di recuperare e riciclare la frazione tessile dei rifiuti urbani e commerciali. Il rapporto Unicircular sui rifiuti tessili urbani in Italia mostra come il nostro Paese sia sensibilmente più virtuoso in tema di riutilizzo dei rifiuti tessili: il 68 per cento degli abiti viene recuperato e riutilizzato, il 29 per cento viene riciclato e solo il 3 per cento smaltito nella raccolta indifferenziata;

    in quest'ambito, la distribuzione commerciale potrebbe avere un importante ruolo nel recupero di prodotti usati per favorire il loro riciclo o il riuso. In tal senso, sarebbero importanti interventi mirati a concedere vantaggi fiscali, ad esempio, attraverso crediti d'imposta alla distribuzione commerciale che si adopera in tal senso;

    l'innovazione tecnologica avanza prepotentemente nel settore moda e da questo discende direttamente la necessità di procedere con tempestività e determinazione verso l'upskilling e reskilling degli occupati: da subito occorre impostare e rendere operative azioni condivise per sostenere processi di innovazione nel campo della formazione e del trasferimento delle competenze, in favore delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese del settore della moda, volte a migliorare la capacità produttiva delle aziende;

    un'ulteriore preoccupazione per il futuro del settore tessile, abbigliamento e pelletteria – da tutti riconosciuto come strategico per il made in Italy – discende dall'impatto della mancanza del ricambio generazionale che in questo settore, caratterizzato dal trasferimento delle conoscenze tra il lavoratore più esperto e il giovane neoassunto, può facilitare la dispersione di competenza essenziali lungo tutta la filiera produttiva. È opportuno affrontare le tematiche relative alla creazione di un sistema di istruzione nel campo della moda, valutando il modello francese, organizzato in sistema. Nei prossimi anni andranno in pensione 45-50 mila addetti di alta specializzazione che, ad oggi, si è in grado di sostituire solo con 7-8 mila persone. C'è un problema di formazione di un artigianato di grande qualità, cioè delle professionalità che fanno della moda italiana il prodotto ricercato in tutto il mondo. È opportuno sostenere gli sforzi dei soggetti privati che operano in accordo cogli operatori del settore;

    senza un deciso intervento si rischia di compromettere definitivamente le filiere produttive del tessile abbigliamento, della pelletteria, cuoio, calzature e occhialeria, annullando i risultati positivi del 2021 facendo retrocedere il settore ai numeri del 2020;

    alla luce di quanto evidenziato, è necessario mettere in campo un piano straordinario e strategico di supporto alle imprese sistema moda italiano, complessivamente considerato, che si sviluppi su tre principali direttrici, lo sviluppo della filiera, incentivi alla transizione ecologica e il supporto ai giovani,

impegna il Governo:

1) nell'ambito delle iniziative volte a sostenere e incentivare la crescita delle filiere produttive del tessile, moda, accessori, abbigliamento, pelletteria, cuoio, calzature e occhialeria, dell'attività manifatturiera e della politica industriale:

   a) a proseguire ed accelerare gli incontri del «tavolo della moda» istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le realtà interessate, finalizzato ad affrontare la gestione dell'emergenza e a progettare il futuro del settore nell'ottica di una politica industriale e commerciale che possa garantire il made in Italy e l'eccellenza italiana nel mondo;

   b) a prevedere ulteriori iniziative idonee a garantire una diminuzione del costo energetico mediante defiscalizzazione e/o sostegni economici volti a compensare l'aumento dei costi, anche attraverso la riduzione degli oneri in bolletta;

   c) ad attuare interventi mirati al mantenimento e alla crescita della filiera predisponendo un piano strategico per le imprese culturali e creative, con specifico riguardo alla filiera della moda, che consenta uno slancio sul piano della internazionalizzazione delle piccole e medie imprese del settore, anche attraverso finanziamenti agevolati che favoriscano l'ingresso nelle imprese di competenze nuove e adeguate alle sfide del mercato internazionale, rafforzando le misure del Piano di promozione straordinaria del made in Italy, anche alla luce delle direttrici individuate del Patto per l'export;

   d) ad adottare iniziative per riordinare complessivamente e organicamente le disposizioni relative al Piano di promozione straordinaria del made in Italy, stante il superamento normativo, con decorrenza 1° gennaio 2022, di talune disposizioni dell'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, per effetto delle norme recate dall'articolo 1, comma 50, lettera d), della legge di bilancio per il 2022;

   e) ad adottare iniziative per potenziare le misure a tutela della competitività anche dei marchi storici definendo agevolazioni di natura fiscale e finanziaria per l'acquisizione da parte di imprese nazionali di aziende titolari di marchi storici, a rischio di cessazione attività, al fine di tutelarne la proprietà industriale e intellettuale;

   f) a predisporre iniziative di supporto alle filiere presenti nei distretti della moda, affiancando alla internazionalizzazione attività di promozione del made in Italy e della sua tradizione lungo il territorio nazionale;

   g) a valutare l'opportunità di prevedere l'estensione del regime del Patent box, come modificato dalla legge di bilancio per il 2022, anche ai marchi di impresa che si configurano come brand e come tale sviluppabili;

   h) ad incentivare iniziative volte a favorire il reperimento di materie prime anche al di fuori delle tradizionali linee di approvvigionamento, promuovendo l'accesso delle imprese italiane in nuovi mercati;

   i) a predisporre un framework tecnico-normativo idoneo ad accompagnare le iniziative di reshoring, anche al fine di premiare la scelta degli operatori di puntare su mercati che garantiscono più alti livelli di tutela dei diritti dei lavoratori;

   j) ad adottare iniziative per supportare, attraverso un programma mirato di incentivi di carattere finanziario e fiscale, la creazione di ecosistemi produttivi in cui attivare percorsi di formazione e di affiancamento finalizzati a favorire – anche attraverso il potenziamento della collaborazione tra enti locali, camere di commercio ed associazioni di categoria delle micro-piccole e medie imprese della filiera moda – la nascita di nuove imprese nonché il passaggio dalla micro attività artigianale locale a realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni nella prospettiva di una evoluzione di tali ecosistemi in veri e propri distretti produttivi della moda;

2) nell'ambito delle iniziative volte ad incentivare la transizione ecologica, la sostenibilità della filiera, lo sviluppo tecnologico/la digitalizzazione, il commercio e la creatività del settore:

   a) ad adottare iniziative a sostegno delle politiche di transizione ecologica permettendo alle filiere produttive del tessile abbigliamento, pelletteria, cuoio, calzature e occhialeria di attuare una più efficace politica di tutela ambientale, attraverso il sostegno alle imprese verso modelli produttivi sostenibili;

   b) ad adottare iniziative per incentivare investimenti in tecnologie e impianti in grado di recuperare materia dagli scarti della lavorazione tessile, definendo una strategia nazionale che prevenga la produzione di rifiuto tessile e incrementi la raccolta differenziata, anche attraverso la previsione di un marchio di sostenibilità con cui qualificare le imprese che raggiungano determinati target energetici e ambientali, in particolare agevolando le aziende che investono in nuove tecnologie per riutilizzare le fibre naturali o che sostituiscano le fibre sintetiche con altre sostenibili o adottino procedimenti produttivi a basso impatto energetico e ambientale;

   c) a promuovere, compatibilmente con i saldi di finanza pubblica, iniziative volte alla cessione di eccedenze di magazzino della distribuzione commerciale anche attraverso ulteriori sgravi fiscali e crediti d'imposta a imprese che cedono eccedenze di magazzino o raccolgono prodotti usati, contestualmente incentivando l'economia circolare anche per mezzo di contributi e detassazione a favore di quelle imprese che perseguano modelli di circular by design, e potenziando gli investimenti in nuovi concept store sostenibili e in nuovi servizi coerenti con la circular economy;

   d) ad adottare iniziative per introdurre contributi tesi a migliorare la sostenibilità della filiera, l'innovazione creativa e lo sviluppo tecnologico - digitale nel comparto moda, consentendo un ammodernamento degli strumenti e dei macchinari utilizzati, mediante misure agevolative dei crediti per ricerca, sviluppo, innovazione e design efficaci in termini di ricadute per tutta la filiera e ciò anche attraverso il rifinanziamento della misura di cui all'articolo 38-bis del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio), compatibilmente con i vincoli europei e con le risorse disponibili;

   e) a sviluppare piani di recupero e riuso delle risorse e dei materiali tessili, prevedendo il supporto di attività e iniziative di riciclo e recupero degli scarti di lavorazione, contestualmente promuovendo campagne di sensibilizzazione rivolte alle aziende dell'intera filiera sulla necessità di investire nella ricerca e nell'innovazione in tessuti e prodotti più sostenibili in tutte le fasi del ciclo produttivo;

   f) ad adottare iniziative per incentivare la crescita e la tutela del tessuto commerciale delle nostre città attraverso modelli di sostenibilità che valorizzino il punto vendita come luogo di interazione ed esperienziale in grado di reggere la concorrenza con l'e-commerce, favorendo e implementando l'e-commerce come strumento di supporto e sostegno alla vendita diretta specialmente sul mercato internazionale;

   g) ad adottare iniziative per prevedere strumenti agevolativi per chi investe in tecnologie innovative e sostenibili al livello sociale ed ambientale per il comparto del tessile, della calzatura, della conceria e della pelletteria, al fine di garantire ulteriormente il processo di tracciabilità, trasparenza e transizione ecologica del comparto;

   h) ad adottare iniziative per inasprire le pene previste in materia di prodotti contraffatti e ad avanzare proposte, nelle sedi europee e internazionali, per una regolamentazione più stringente in materia di traffico di rifiuti tessili, in particolare da e verso i Paesi che hanno normative meno severe in materia di riciclo, e smaltimento dei rifiuti tessili;

   i) a supportare la digitalizzazione del settore, l'adozione di modelli innovativi di presentazione e vendita, lo sviluppo e ottimizzazione digitale della relazione con i clienti finali («Customer Relationship Management» o CRM), il sostegno delle imprese verso modelli produttivi sostenibili e la penetrazione commerciale dei mercati esteri, anche attraverso lo sviluppo della rete distributiva diretta ed il canale e-commerce, integrati tra loro con un approccio omnichannel;

   j) ad adottare iniziative per sviluppare ulteriormente le misure agevolative dei crediti ricerca, sviluppo, innovazione e design, efficaci in termini di ricadute effettive su tutta la filiera produttiva, incentivando l'attività di ricerca e sviluppo e di ideazione estetica e design alla base della competitività del sistema produttivo nazionale e prevedendo un orizzonte temporale a medio-lungo termine e aliquote di agevolazione adeguate agli investimenti del settore;

3) nell'ambito delle iniziative di supporto ai giovani, alla crescita e alla formazione:

   a) a incentivare strumenti di comunicazione rivolti alle giovani generazioni al fine di stimolare l'acquisto di prodotti made in Italy favorendo anche le produzioni attente a sviluppare percorsi di sostenibilità economica, sociale ed ambientale;

   b) ad adottare iniziative per istituire appositi programmi di studio e formazione, valorizzando il know-how delle imprese e degli enti del comparto all'interno di tali programmi, favorendo la partecipazione delle imprese del settore in sinergia con proposte formative già sviluppate dagli Its e dagli istituti di formazione tecnica superiore, sostenendo la proficua collaborazione tra le università e la filiera dell'artigianato della moda, predisponendo misure che agevolino l'inserimento nel settore di nuova tecnologia e strumenti digitali, accompagnando tale inserimento con percorsi formativi specifici per il comparto (tecnologie 4.0 e sostenibilità), garantendo un potenziamento della formazione tecnico - pratica ed allineando l'insegnamento alle necessità delle imprese del settore manufatturiero del tessile, moda e accessorio, rafforzando la partecipazione e la sinergia delle imprese del settore alla formazione delle nuove proposte formative che gli Its dovranno sviluppare in seguito sia alla riforma della disciplina del settore, in via di approvazione, sia in seguito al rilevante finanziamento che lo riguarda previsto nel Pnrr e rafforzando la sinergia con gli istituti di formazione tecnica superiore, tenuto conto che in entrambi gli ambiti formativi sarà necessario ridefinire i percorsi formativi in coerenza con la rilevanza che la digitalizzazione e la sostenibilità ambientale hanno assunto per il settore;

   c) a promuovere anche misure integrative che possano finanziare il soggiorno all'estero di giovani laureati per realizzare progetti di penetrazione commerciale sui mercati a favore di imprese artigiane e piccole e medie imprese;

   d) ad adottare iniziative per prevedere misure agevolative, anche con riferimento all'abbattimento degli oneri contributivi e alla formazione nelle tecnologie innovative, in favore dei giovani tra i 18 e i 35 anni che vogliano avviare in forma autonoma attività artigianali connesse al settore;

   e) ad adottare iniziative per favorire la creazione di scuole di moda o la creazione di corsi di apprendistato delle competenze artigianali del settore moda, favorendo, mediante il sostegno pubblico, l'accesso gratuito ai giovani talenti.
(1-00598) (Nuova formulazione) «Fiorini, Orrico, Benamati, Perego Di Cremnago, Mor, Binelli, Federico, Zardini, Squeri, Moretto, Andreuzza, Perconti, Bonomo, Porchietto, Fregolent, Carrara, Sut, D'Elia, Marrocco, Annibali, Colla, Carbonaro, Gavino Manca, D'Attis, Bendinelli, Galli, Alemanno, Nardi, D'Alessandro, Micheli, Carabetta, Soverini, Librandi, Pettazzi, Chiazzese, De Luca, Nobili, Piastra, Fraccaro, Fiano, Noja, Saltamartini, Giarrizzo, Lotti, Ungaro, Masi, Ciampi, Paita, Palmisano, Berlinghieri, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Maraia, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi, Papiro».

(8 marzo 2022)

MOZIONI CONCERNENTI MISURE
A SOSTEGNO DEL COMPARTO AUTOMOBILISTICO

   La Camera,

   premesso che:

    il mercato dell'auto ha una storia e tradizione in Italia, lunga più di un secolo, lungo la quale ha dimostrato di essere uno strumento essenziale nella crescita del Paese e volano dell'economia nei momenti di crisi;

    l'inizio della motorizzazione privata in Italia si rinviene intorno al 1893 (anno in cui Gaetano Rossi, uno dei titolari delle «Industrie Lanerossi» e grande appassionato di automobilismo, acquista la prima autovettura circolante in Italia); un fenomeno che si sviluppa in notevole ritardo rispetto ad altri Paesi europei, un gap che rimane tale per diversi anni e che si colma solamente un cinquantennio più tardi. L'Italia è un Paese a propensione prettamente agricola e l'auto non è un mezzo di trasporto, ma un lusso; sul finire del XIX secolo, gli esemplari di vetture circolanti sul suolo nazionale sono solamente 111, ma, nonostante tutto, alcuni lungimiranti industriali comprendono come quel prodotto di lusso possa trasformarsi in una straordinaria fonte di arricchimento e crescita. È così che si assiste sia alla nascita ex novo di piccole fabbriche automobilistiche, ma anche alla riconversione di aziende specializzate perlopiù nella produzione di biciclette. Nel giro di pochi anni la nascente industria automobilistica italiana, fra fabbricanti di chassis e vere e proprie auto, può enumerare oltre 120 soggetti interessati, fra questi spiccano marchi quali Fiat, Lancia, Aquila, Alfa, Ardita, Isotta Fraschini, Itala e Bianchi, nomi che diventeranno, nei decenni successivi, punti di riferimento assoluti nell'alveo dell'industria automobilistica, nazionale e internazionale;

    l'industria automobilistica italiana si dimostrò formidabile nei periodi bellici e post bellici durante i quali, grazie alle costanti innovazioni nel settore, permise la creazione e un forte incremento di posti di lavoro a cui conseguì un'esponenziale crescita per l'intera economia nazionale;

    finalmente, con il sopraggiungere del boom economico, il settore dell'automotive italiano colma l'iniziale gap industriale rispetto ai competitor europei. L'industria italiana delle auto risultò essere sempre più conosciuta e vide un periodo di espansione entusiasmante guidata dall'eccellenza del design e delle auto sportive «made in Italy»; iniziarono a entrare nel mercato Italiano e mondiale auto ancora oggi simbolo di eccellenza sportiva, tecnologica e stilistica come la Ferrari e la Lamborghini, nate dall'iniziativa di facoltosi industriali e grandi appassionati che vollero cimentarsi in un settore in continua espansione;

    l'industria automobilistica italiana, dunque, durante gli anni floridi del «boom economico», divenne un settore estremamente importante per l'economia del Paese, ma non solo; questo settore industriale portò il nome dell'Italia nel mondo tramite piccole aziende specializzate nella creazione di speciali carrozzerie applicate ai prodotti dei grandi marchi mondiali, come Zagato, Bertone e Pininfarina che, grazie all'enorme sviluppo del mercato mondiale dell'auto, aiutarono l'industria Italiana ad esportare sia i prodotti delle marche nostrane, sia l'eccellenza del design italiano, tenendo alto l'orgoglio e il nome dell'intera industria italiana;

    questa premessa riassume chiaramente l'importanza dell'industria automobilistica italiana e difficilmente si potrà ragionare in materia di crescita e sviluppo nazionale senza un concreto sostegno a questo settore;

    purtroppo, gli ultimi anni sono stati segnati da un lento deperimento del mercato nazionale delle auto, che ha trovato il suo peggior trend ovviamente negli anni 2020 e 2021, segnati dalla pandemia;

    volendo riportare alcuni brevi dati statistici, è possibile evidenziare che in Italia, a ottobre 2021, sono state immatricolate – secondo i dati del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili – 101.015 auto, il 35,7 per cento in meno dello stesso mese del 2020. Nei dieci mesi le immatricolazioni sono in tutto 1.266.629, pari a una crescita del 12,7 per cento sull'analogo periodo dell'anno 2020. Questo secondo dato positivo deve però tenere conto del fatto che i primi mesi del 2020 sono caratterizzati da periodi di lockdown totale e forti limitazioni, mesi in cui le immatricolazioni hanno registrato minimi storici. Il gruppo Stellantis ha immatricolato a ottobre 35.664 vetture, il 41,7 per cento in meno dello stesso mese del 2020. La quota scende dal 38,9 per cento al 35,3 per cento. Nei dieci mesi le immatricolazioni del gruppo italo-francese sono 481.653, in crescita dell'11,3 per cento, con la quota al 38 per cento a fronte del 38,5 per cento. La pesantissima contrazione del mercato italiano dell'auto è dovuta soprattutto alla crisi nelle forniture di microchip, che attualmente sembra lontana da una soluzione definitiva;

    secondo Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica – focus mercato autovetture Italia – novembre 2021) a novembre 2021, in Italia sono state immatricolate 104.502 nuove autovetture, in calo del 24,6 per cento rispetto a quelle di novembre 2020, mentre sono il 30,8 per cento in meno rispetto a novembre 2019. Nei primi undici mesi del 2021, le immatricolazioni sono aumentate dell'8,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, in cui, a causa delle misure restrittive di contrasto alla diffusione della pandemia, si era assistito ad un forte calo delle vendite. Rispetto al 2019, il mercato di gennaio-novembre risulta in calo del 22,8 per cento. Le autovetture diesel, in calo a novembre del 52 per cento rappresentano il 18,1 per cento del mercato del mese e il 22,3 per cento del mercato nei primi undici mesi del 2021 (era il 33,4 per cento nello stesso periodo del 2020). Da inizio anno, le autovetture diesel sono quelle che hanno visto maggiormente calare il proprio mercato, con una riduzione delle immatricolazioni del 27,5 per cento. In calo è anche il mercato di autovetture a benzina, –34,4 per cento e 27,3 per cento di quota a novembre e –14,3 per cento nei primi undici mesi, con il 30,2 per cento di quota;

    le immatricolazioni delle autovetture ad alimentazione alternativa, di contro, rappresentano il 54,6 per cento del mercato di novembre 2021 e rappresentano il 47,5 per cento nei primi undici mesi, in crescita del 2,4 per cento nel mese e dell'82,4 per cento da inizio anno. Le autovetture elettrificate rappresentano il 43,4 per cento del mercato di novembre ed il 38,1 per cento nei primi undici mesi. Tra queste, le ibride non ricaricabili aumentano dell'1,6 per cento a novembre e raggiungono il 31,2 per cento di quota, mentre crescono del 102 per cento nel cumulato, con una quota del 28,9 per cento. Le ricaricabili, in crescita del 30,1 per cento nell'undicesimo mese dell'anno, raggiungono il 12,1 per cento di quota a novembre e il 9,2 per cento nei primi undici mesi (le ibride plug-in il 5,5 per cento nel mese ed il 4,7 per cento nel cumulato e le elettriche il 6,6 per cento nel mese ed il 4,5 per cento nel cumulato);

    da questo quadro emerge una fortissima crescita per il settore elettrico, anche in una situazione di crisi economica. Ciò è dovuto sia all'introduzione di incentivi per il mercato auto, sia alle politiche europee e mondiali, tutte fortemente indirizzate ad uno sviluppo massiccio di questo settore;

    l'elettrificazione dei trasporti è un trend assoluto; è di tutta evidenza che tutte le produzioni stiano andando in questa direzione. L'argomento è di vitale importanza per la politica nazionale e non può essere sottovalutato. Secondo le stime previsionali, le vendite di veicoli elettrici in Cina, Europa e Stati Uniti entro il 2033 dovrebbero superare le vendite di tutti gli altri propulsori. Analizzando i fattori abilitanti per la crescita dei veicoli elettrici e il conseguente sviluppo sul mercato, viene indicato come il trend mondiale si stia orientando sempre di più verso un'economia de-carbonizzata nel settore automotive ed energetico. Dagli studi effettuati nelle nazioni più virtuose (Cina, Svezia e Germania) dell'e-mobility, emergono alcuni fattori chiave: vi è un significativo impegno sia pubblico che privato nella predisposizione di un ecosistema produttivo e di una supply-chain il più possibile integrata e nazionale, elementi base per un vantaggio competitivo e di costo; si segnala una maggiore propensione nei consumatori verso un veicolo elettrico; infine, lo slancio governativo combinato ad azioni regolatorie e ad incentivi oltre ad iniziative di supporto alle imprese sono fondamentali per l'ecosistema mobilità;

    in siffatto quadro risulta, quindi, evidente attivare delle politiche di studio, confronto e valutazione sul tema, che possano concretamente avviare progettualità, sostegno dello Stato in materia di sviluppo e incentivi, ripercussioni sul mercato, sui consumatori e sui posti di lavoro;

    è necessario avviare iniziative concrete a tutela di un comparto che in Italia conta centinaia di aziende e dà lavoro a oltre 250 mila persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere un tavolo di confronto nazionale, con il più ampio coinvolgimento delle forze parlamentari, dei rappresentanti delle regioni e delle parti sociali, a sostegno del settore auto, incentrando il lavoro su un Piano nazionale per l'Italia e per l'industria automobilistica italiana;

2) a promuovere iniziative di concreto sostegno per lo sviluppo di politiche industriali per il settore in grado di generare ricadute occupazionali e produttive;

3) a valutare di adottare iniziative per porre in essere progetti che possano coniugare innovazione, ricerca e competitività anche, e soprattutto, al fine di evitare di disperdere il notevole capitale umano, di competenze e conoscenze che l'industria automobilistica italiana può vantare.
(1-00572) «Molinari, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Scoma, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(12 gennaio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    nel 2021 il mercato italiano dell'auto si è chiuso con 1.457.952 autovetture immatricolate; rispetto al 2020, anno della pandemia, il volume delle registrazioni è cresciuto del 5,5 per cento, ma, a confronto col 2019, il mercato ha accusato un calo del 23,9 per cento, con ben 460 mila auto perse. Secondo i calcoli del centro studi Promotor si tratta di un numero insufficiente a consentire un'adeguata sostituzione delle auto giunte a fine vita, che dovrebbe essere di almeno 2 milioni di nuovi veicoli l'anno, necessari per evitare un ulteriore decadimento del nostro parco auto;

    il parco circolante italiano, quasi 40 milioni di auto, resta il più vecchio d'Europa: nel 2020 l'età media delle auto nel nostro Paese è stata pari a 11 anni e 10 mesi (5 mesi in più rispetto al 2019), a fronte di un'età media europea di 10,8 anni. 1 auto su 5 (il 20 per cento circa del totale) è una Euro 0-2, con almeno 18 anni di anzianità. Questa situazione ha conseguenze pesanti per la sicurezza e per l'inquinamento atmosferico;

    sotto il profilo delle alimentazioni delle auto vendute nel 2021, benzina e diesel rappresentano rispettivamente il 29,7 per cento e il 22,6 per cento di quota di mercato. Il Gpl sale al 7,3 per cento, le ibride al 29 per cento, con le «full hybrid» (con doppio motore termico e elettrico) al 6,9 per cento e le «mild hybrid» (con motore termico, sostenuto dall'elettrico) al 22,1 per cento. Le elettriche vere e proprie hanno una quota del 4,6 per cento le ibride ricaricabili del 4,7 per cento;

    oltre alla situazione economica, le cause del crollo di immatricolazioni sono diverse; la crisi dei microchip sta fortemente ostacolando la produzione di auto con la conseguenza di carenze di prodotto per soddisfare la domanda. Un altro fenomeno fortemente penalizzante è costituito dal disorientamento degli acquirenti che non ritengono ancora di poter passare all'elettrico per il loro tipo di utilizzo dell'auto e per la carenza di infrastrutture di ricarica, ma che comunque si astengono dall'acquistare auto tradizionali;

    occorre sottolineare anche gli impatti delle politiche governative, tramite le quali sono stati adottati incentivi che, per quanto consistenti, sono apparsi ispirati ad una logica «stop and go», a fronte del ripetuto esaurimento delle risorse disponibili. L'articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 21 ottobre 2021 ha rifinanziato con 100 milioni di euro per l'anno 2021, la dotazione del Fondo per l'incentivazione della mobilità a basse emissioni (istituito dal comma 1041 della legge di bilancio 2019). Tali somme si sono aggiunte ai 350 milioni per il 2021 stanziati a fine luglio dall'articolo 73-quinquies del decreto-legge n. 73 e ai 420 milioni di euro provenienti legge di bilancio 2021;

    tali risorse si sono rapidamente esaurite, prima dello spirare dell'anno. Tuttavia, nulla è previsto per l'anno 2022, se non un sostegno per le imprese di settore consistente in una quota parte di un fondo di 150 milioni di euro (comma 486 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2022), da condividere con turismo e spettacolo;

    nel dicembre 2021, il Cite, Comitato interministeriale per la transizione ecologica, formato dai Ministri della transizione ecologica, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e dello sviluppo economico, ha stabilito che la produzione dei motori a combustione interna è destinato a cessare entro il 2035, con una proroga al 2040 per furgoni e veicoli commerciali leggeri, ribadendo le scadenze tracciate dal Fit for 55 per cento, un atto europeo che è ancora oggetto di discussione;

    sono state immediate le reazioni negative delle imprese di settore: l'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) che rappresenta la filiera produttiva nazionale ha dichiarato che la decisione: «(...) ha sorpreso e messo in allarme tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un'accelerazione troppo spinta verso l'elettrificazione». Confindustria ha rilevato la «mancanza di una progettualità chiara che consenta a migliaia di aziende italiane del settore di adeguarsi gradualmente all'imposizione dell'Ue»;

    l'industria dell'automotive è uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana e rappresenta un'importante quota del nostro prodotto interno lordo. Il comparto auto, nel 2019, ha fatturato circa 93 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del prodotto interno lordo. Secondo gli ultimi dati dell'Anfia, tra attività dirette e indirette, il comparto è costituito da oltre 5.500 imprese e impiega circa 274.000 addetti, il 7 per cento della forza lavoro del manifatturiero italiano. In tale contesto, la filiera italiana della componentistica dell'industria automobilistica è costituita da più di 2.000 imprese e impiega più di 150.000 dipendenti. Con l'indotto, il settore dà lavoro a circa un milione di persone;

    la Clepa, l'associazione europea della componentistica, ha pubblicato uno studio che quantifica i danni, occupazionali ed economici, derivanti dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035. In termini occupazionali l'impatto è quantificato in mezzo milione di posti di lavoro persi in Europa, 275 mila al netto delle nuove occasioni generate dallo sviluppo della mobilità elettrica. Tra i Paesi europei produttori di componenti l'Italia è quello che in percentuale rischia di perdere il maggior numero di addetti, circa 73.000 posti di lavoro al 2040, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030;

    alcune vicende industriali stanno evidenziando forti difficoltà direttamente collegate al ridimensionamento del comparto della componentistica automobilistica tradizionale, diesel e benzina. La Speedline di Venezia è solo l'ultimo caso in ordine di tempo. A questa vicenda si affiancano numerose altre vertenze quali Baomark, Bekaert, Gkn, Bosch, Blutec, Vitesco, Marelli, Timken e Gianetti Ruote, con oltre 21 mila lavoratori coinvolti. Secondo i sindacati le istituzioni e la politica non stanno assumendo decisioni all'altezza del dramma sociale che si sta consumando;

    a inizio febbraio 2022 Federmeccanica, Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm hanno elaborato un documento unitario, rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministeri competenti (sviluppo economico, transizione ecologica e lavoro e politiche sociali), per l'adozione di un complesso di interventi volte ad accompagnare con misure di politica industriale la sfida della transizione green nell'automotive per evitare effetti drammatici sull'occupazione e sulle filiere industriali. Il documento conferma i dati Clepa e sottolinea anche che nel comparto nel 2019 sono state utilizzate 26 milioni di ore di cassa integrazione e nel 2021 quasi 60 milioni, mentre si annunciano migliaia di tagli del personale;

    nel corso del tavolo sull'automotive, tenutosi a fine ottobre 2021 presso il Ministero dello sviluppo economico, era stata valutata l'ipotesi di stanziare almeno 1 miliardo di euro all'anno per tre anni, con l'obiettivo di rendere la misura strutturale ed evitare che il mercato vada avanti in un clima di incertezza, indicato dagli intervenuti come una delle cause del rallentamento delle immatricolazioni;

    i partecipanti al tavolo hanno evidenziato la necessità di intervenire su tutto il parco auto e di non chiudere le linee di finanziamento nei confronti delle auto tradizionali a motore endotermico con basse emissioni di anidride carbonica, al fine di conseguire il doppio obiettivo di abbattere le emissioni legate al parco circolante e di garantire al settore risorse proprie, necessarie a intraprendere un percorso di progressiva decarbonizzazione;

    oggi una vettura a gasolio Euro 6 dTemp, in grado di percorrere fino a 30 chilometri con un litro di gasolio, emette il 95 per cento in meno di NOx (ossidi di azoto) rispetto al passato e 96 per cento in meno di PM (particolato). Percentuali impressionanti che fanno capire quanta strada abbia percorso questa motorizzazione negli ultimi anni. Viceversa, sia le auto «full hybrid» e che quelle «mild hybrid» scontano presenza della doppia motorizzazione (motore termico a benzina e batterie) che le rende veicoli molto pesanti. Questo porta a un consumo superiore quando l'auto, esaurita la carica elettrica, viaggia solo spinta dal motore tradizionale. Si tratta di mezzi non performanti nella guida fuori città;

    le auto puramente elettriche, invece, scontano le difficoltà di ricarica, sia in termini lunghezza dei tempi, che di presenza sul territorio di colonnine dedicate. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), prevede fino a 750 milioni di euro per l'installazione, entro il 2026, di 21.400 punti di ricarica elettrica fast e super-fast (con potenza minima di 50kW) accessibili al pubblico. Ma a fine 2020 in Italia erano presenti solo 1.231 colonnine, su circa 12 mila, con una potenza superiore a 22kW;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza comprende la componente (M2C2), «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile» con risorse pari a 23,78 miliardi di euro. Il Piano per la transizione ecologica (Pte), che accompagna gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, prevede l'uso di carburanti a minor impatto e, a partire dal 2030, che almeno il 50 per cento delle motorizzazioni sia elettrico. Inoltre, in seno al Piano nazionale di ripresa e resilienza sono inserite due misure finalizzate ad incentivare, tramite lo strumento agevolativo dei contratti di sviluppo, la capacità delle filiere produttive più innovative, ivi compresa quella dell'automotive;

    l'industria automobilistica, come anche la filiera della componentistica, necessitano di interventi specifici, come stanno facendo altri Paesi europei con alta vocazione in questo comparto, nei quali si prevedano sia il sostegno alla ricerca e lo sviluppo di prodotti e tecnologie innovative in grado di competere a livello globale, sia interventi mirati per l'ammodernamento, la riconversione produttiva e la riqualificazione professionale. Francia e Germania stanno già mettendo in campo politiche industriali per affrontare la transizione. Viceversa, nel corso degli ultimi anni, l'Italia è scesa dal secondo all'ottavo posto per la produzione di auto in Europa. La produzione nazionale di veicoli è passata dagli oltre 1,8 milioni del 1997 ai 700 mila nel 2021, di cui le autovetture sono meno di 500 mila,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rifinanziare, in un prossimo provvedimento urgente, su base triennale, il Fondo per l'incentivazione della mobilità a basse emissioni, istituito dal comma 1041 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019, al fine di consentire il sollecito ricambio del parco veicoli italiano e di dare certezza agli operatori del settore;

2) ad adottare iniziative per prevedere, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'istituzione di un fondo pluriennale per la riconversione dell'industria automotive, destinato ad accompagnare l'aggiornamento tecnologico e la riconversione delle imprese, nonché la professionalizzazione dei lavoratori del comparto automobilistico nazionale;

3) a rinviare l'applicazione di quanto stabilito dalla decisione del Cite di cui in premessa, posponendola agli esiti definitivi della discussione sul FIT for 55 per cento in sede unionale, nonché alle opportune consultazioni con le organizzazioni di settore nell'ambito del «Tavolo automotive» attualmente operativo, quale sede opportuna nella quale stabilire le corrette modalità della transizione ecologica per la filiera;

4) ad attivarsi, nelle sedi istituzionali europee, per sostenere e valorizzare l'industria automobilistica e la relativa componentistica, intese come il comparto strategico dell'Unione europea, con politiche e risorse aggiuntive rispetto a quelle finora stanziate, promuovendo altresì proposte che consentano una transizione sostenibile in termini sociali ed industriali e prevedano target realisticamente raggiungibili per il settore;

5) ad adottare ogni iniziativa utile per rafforzare le capacità di ricerca e sviluppo in ambito tecnologico, nonché produttive del nostro Paese nel settore della mobilità sia individuale che collettiva, prevedendo semplificazioni burocratiche ed incentivi adeguati per l'attrazione di investimenti stranieri.
(1-00580) «Porchietto, D'Attis, Giacometto, Squeri, Polidori, Sorte, Torromino, Sessa, Cattaneo, Battilocchio».

(9 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la filiera dell'automotive, che ricomprende tutte le imprese coinvolte nella produzione di autoveicoli, a partire dalle imprese che producono materie prime (plastiche, coloranti, prodotti chimici, vernici, tessuti ed altro) e macchine utensili, passando per le imprese più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli, e quella dei servizi automotive, occupa nel suo insieme circa 1,23 milioni di lavoratori e nel solo comparto industriale sostiene una spesa di circa 9 miliardi di euro in salari e stipendi. Nel 2017 il settore dell'industria dell'automotive fatturava 105,9 miliardi di euro e, a seguito della crisi indotta dall'emergenza sanitaria da COVID-19, il fatturato del settore ha subito un forte rallentamento;

    il solo settore dell'industria automotive, secondo gli ultimi dati dell'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), tra attività dirette e indirette, è costituita da oltre 5.500 imprese e impiega circa 274.000 addetti. In tale contesto, la filiera italiana dell'industria automobilistica e della sua componentistica è costituita da più di 2.000 imprese, impiega più di 150.000 dipendenti e rappresenta un settore strategico per l'economia nazionale che deve essere accompagnato nel suo complesso verso la transizione ecologica, in modo non solo da evitare la perdita di competenze e di posti di lavoro – a cui per altro si è costantemente assistito nell'arco di questi ultimi 30 anni – ma facendo di questo passaggio un'opportunità di rilancio del settore;

    per quanto riguarda la filiera industriale la competitività del settore automotive risulta essere superiore rispetto a quella del comparto manifatturiero nella sua interezza: la filiera automotive italiana si posiziona nei segmenti a più elevato valore aggiunto grazie non solo alle eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e di autoveicoli commerciali, ma anche in virtù delle specializzazioni produttive che caratterizzano in particolare i distretti della componentistica: circa il 20 per cento del valore aggiunto generato dal settore della componentistica in Italia viene indirettamente incorporato nei prodotti esportati da altri partner commerciali, segnalando una significativa capacità di penetrazione nei mercati internazionali. In tal senso, diventa importante immaginare strumenti di sostegno che supportino anche gli investimenti di dimensioni maggiori, rispetto a quelli previsti attualmente, tali da rendere attraenti i grandi investimenti (dalla produzione dei veicoli a quella dei componenti) in modo da legare sempre meglio i fornitori, anche di piccole e medie dimensioni, con grandi integratori o costruttori;

    il settore industriale dell'automotive è stato interessato nel corso degli ultimi anni da una forte spinta all'aggregazione tra storiche imprese dell'industria automobilistica, altrimenti destinate in ragione dell'accresciuta concorrenza nel settore ad una difficile sopravvivenza. Vicenda che ha portato alla creazione di circa 10 grandi gruppi automobilistici in grado di competere a livello globale e che detengono attualmente più di tre quinti del mercato automobilistico mondiale. Tali aggregazioni, dettate da molteplici ragioni – ingresso nel settore di nuove aziende low cost asiatiche e dell'est europeo; esigenza di ridurre i costi di produzione; incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo; diversificazione della domanda – hanno comportato una profonda riorganizzazione aziendale che ha interessato sia gli stabilimenti di produzione e il personale addetto sia le imprese dell'indotto, e di conseguenza una profonda trasformazione della filiera dei servizi automotive a valle della produzione, con particolare riguardo alle attività di vendita degli autoveicoli, leasing, noleggio, commercio dei componenti, manutenzione e riparazione. Tale processo di aggregazione purtroppo si è realizzato in misura ridotta in Italia fra le imprese della componentistica, rendendole più vulnerabili ai grandi cambiamenti;

    nel corso degli ultimi mesi si stanno manifestando nuovi scenari di ulteriore cambiamento per il settore dell'automotive nel suo complesso, dettati principalmente dal combinato disposto tra la grande fase di transizione in atto conseguente alla pandemia da COVID-19 e all'emergenza climatica, le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini. Fattori, questi, che impongono alle grandi aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione;

    l'insieme di questi nuovi scenari iniziano a produrre nel contesto internazionale i primi effetti nelle scelte strategiche delle aziende automobilistiche, che si apprestano ad una profonda riorganizzazione interna e allo sviluppo di piani industriali che prevedono una crescente produzione di mezzi ibridi o interamente a propulsione elettrica, con effetti non soltanto sugli stabilimenti di produzione ma indirettamente sull'intera filiera dell'automotive. Proprio però alla luce delle vicissitudini degli ultimi 20 anni del settore italiano, che ha vissuto una contrazione della produzione di autoveicoli e dei posti di lavoro ma in cui è anche cresciuto un nuovo tessuto produttivo contraddistinto da marchi di altissima gamma, questa fase di trasformazione, se ben supportata, potrebbe rappresentare un'opportunità di ritornare a crescere;

    nel 2020, a causa dell'emergenza sanitaria in corso, il crollo del mercato dell'auto è stato pesantissimo registrando 1.381.629 immatricolazioni con un calo del 27,9 per cento corrispondenti a 535.000 unità in meno;

    per far fronte alla crisi in atto, Governo e Parlamento, con un'incisiva azione di politica industriale per il settore, hanno introdotto con il cosiddetto «Decreto rilancio», e successivamente confermato con il cosiddetto «Decreto agosto» e con la legge di bilancio 2021, una serie di incentivi per l'acquisto di auto nuove, riuscendo a coniugare l'azione positiva per l'ambiente con l'eliminazione di vetture circolanti altamente inquinanti, l'incremento della sicurezza del parco circolante e il deciso sostegno ad un settore strategico per l'economia ed il lavoro italiani;

    l'aver favorito il ritmo di sostituzione delle vetture con oltre 10 anni di vita ha fatto risparmiare all'ambiente decine di migliaia di tonnellate di anidride carbonica, grazie alla vendita di circa 100.000 vetture che non sarebbero state vendute in assenza degli incentivi: gli incentivi varati con la legge di bilancio per il 2021, in particolare quelli con emissioni di anidride carbonica contenute tra 61 e 135 gr/km hanno infatti evitato, come per la seconda parte del 2020, che il mercato italiano crollasse. Nel primo trimestre 2021 l'andamento del mercato italiano, pur registrando un calo del 12,7 per cento, è risultato essere migliore di quello dei principali Paesi dell'Unione europea grazie al fatto che si erano previsti incentivi per il primo semestre 2021 anche per sostenere le vendite di vetture ad alimentazione tradizionale;

    la caduta delle immatricolazioni di autoveicoli registrata nei mesi di ottobre e novembre 2021 rispetto ai corrispondenti mesi del 2020, e il calo del 34,8 per cento a gennaio 2022 sullo stesso mese del 2019, precedente la pandemia, sono indicatori del protrarsi della gravità della crisi del settore che, secondo alcuni studi, potrebbe portare, se si proietta il dato di gennaio 2022 sull'intero 2022, ad un volume di immatricolazioni, per l'intero 2022, di 1.198.000 autovetture con un calo del 17,8 per cento sul 2021;

    le enormi difficoltà che attraversa il settore, a cui si vanno ad aggiungere quelle non meno importanti determinate dalla carenza dei componenti elettronici, hanno messo in allarme gruppi come Stellantis, Toyota e Volkswagen. Numerosi stabilimenti (Pomigliano, Sevel, Melfi), nel corso degli ultimi mesi, hanno più volte infatti interrotto, seppur temporaneamente, la produzione di autoveicoli per mancanza di microchip. L'azienda taiwanese Tsmc, la più grande produttrice al mondo di semiconduttori, ha annunciato l'intenzione di innalzare i prezzi dei microchip fino al 20 per cento, prefigurando con tutta probabilità un forte rincaro in vista sui prodotti finali;

    nelle scorse settimane, Stellantis, ha manifestato l'intenzione di procedere ad una complessiva riorganizzazione degli impianti di produzione presenti nel nostro territorio, i cui effetti ancora non sono noti in ragione di un piano industriale che, secondo le dichiarazioni rese dall'amministratore delegato del gruppo, sarà reso pubblico a marzo 2022. Per alcuni stabilimenti, come la VM Motori di Cento operante dal 1947 nella produzione dei motori diesel, le prospettive appaiono incerte anche in ragione della specializzazione in un settore tecnologico tradizionale il cui futuro appare segnato dalla transizione in atto;

    le ricadute di tali trasformazioni, oltre a destare forti preoccupazioni ai numerosi addetti del settore automotive, iniziano a produrre i primi effetti in particolare sull'indotto della componentistica italiana, anche in situazioni aziendali di conseguimento di fatturato e utili, con la manifestazione di alcune crisi industriali che vedono il coinvolgimento di importanti e storiche aziende e il rischio di licenziamento per numerosi lavoratori;

    le politiche di accompagnamento alla transizione del settore automotive nel nostro Paese rappresentano, quindi, uno dei passaggi cardine non soltanto per il conseguimento degli obiettivi condivisi in seno alle organizzazioni internazionali e sovranazionali che l'Italia si è impegnata a rispettare, a partire dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dagli accordi di Parigi sul clima nell'ambito della COP 21 del 2015, ma soprattutto per il raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e di sviluppo e competitività del nostro sistema produttivo;

    in merito alle politiche di accompagnamento, la filiera della componentistica dell'industria automobilistica necessita di interventi ad hoc, come fatto da altri Paesi con alta vocazione automotive, che prevedono sostegno: a) alla riconversione produttiva (senza discrimini territoriali, soprattutto per le aziende che «subiscono» normativamente uno «stop» produttivo), b) alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e tecnologie innovative in grado di assecondare la domanda emergente nel mercato di riferimento e di competere a livello globale, c) alla riqualificazione professionale degli addetti, in assenza delle quali si prefigura il rischio, già a partire dai prossimi mesi, di ulteriori chiusure e licenziamenti di personale; tra le politiche di accompagnamento, un ruolo particolarmente importante può essere rappresentato dal possibile sviluppo di nuove filiere di produzione quali quello delle batterie e dei semiconduttori,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere, nel primo provvedimento utile, tutte le misure ritenute necessarie a sostenere la filiera dell'automotive nel superamento dell'attuale fase di crisi, sia sul fronte della produzione e dell'approvvigionamento sia su quello della vendita di autoveicoli, a partire dal rifinanziamento degli incentivi all'acquisto di veicoli elettrici o a basse emissioni di anidride carbonica in ottica pluriennale, anche associata ad una progressiva riduzione negli anni degli importi dell'incentivo a fronte dello sviluppo tecnologico, della riduzione dei costi dei veicoli e della crescita dei volumi di vendita;

2) ad adoperarsi per favorire il rapido superamento delle situazioni di crisi industriale emerse nel corso degli ultimi mesi nella filiera dell'automotive, in particolare nel settore della componentistica, al fine di evitare licenziamenti di addetti e la delocalizzazione di importanti aziende operanti nel settore e ad affrontare, per tempo, con adeguati strumenti e risorse, le situazioni di potenziale crisi che stanno per emergere e che rischiano di avere pesanti ricadute occupazionali nei territori coinvolti, in particolare nella filiera della componentistica tradizionale;

3) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per istituire un fondo pluriennale dedicato ad accompagnare la transizione del settore dell'automotive, che abbia almeno le seguenti linee di intervento:

   a) sostenere la trasformazione dell'industria automobilistica e tutti gli interventi di carattere industriale necessari ad accompagnare e sostenere il processo di trasformazione industriale e di innovazione settoriale, a partire dalla digitalizzazione fino al cambio delle motorizzazioni e allo sviluppo delle nuove tecnologie, alle attività di ricerca e sviluppo (anche aumentando la copertura dedicata nella ricerca e sviluppo di prodotto e processo), al trasferimento tecnologico e alla nascita di nuove imprese innovative, e gli investimenti nazionali e esteri, favorendo anche i progetti basati su aggregazioni tra imprese;

   b) sostenere la riqualificazione professionale degli addetti nel settore dell'automotive, con particolare riguardo a quelli della filiera della componentistica, al fine di garantirne la continuità occupazionale o il ricollocamento professionale durante le fasi di transizione del settore ed evitare quanto più possibile il ricorso agli ammortizzatori sociali;

   c) sostenere, altresì, la graduale transizione della filiera dei servizi dell'automotive, con particolare riguardo alle imprese operanti nel settore della componentistica, con appositi e mirati interventi finalizzati a favorire la riconversione delle produzioni o la realizzazione di prodotti innovativi in grado di rispondere alla domanda emergente nel mercato dell'automotive e del trasporto pubblico locale, di generare fatturato e di garantire la continuità occupazionale agli addetti al settore;

4) ad attivarsi nelle sedi istituzionali europee per sostenere e valorizzare il ruolo strategico della filiera dell'automotive, affinché l'intero settore sia adeguatamente supportato nei prossimi anni, con politiche e risorse aggiuntive rispetto a quelle finora stanziate, rivalutando i criteri di assegnazione tra i diversi Paesi comunitari rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni;

5) a farsi, altresì, promotore di proposte nell'ambito dell'Unione europea che disegnino una strada verso la decarbonizzazione che sia sostenibile in termini ambientali, sociali ed industriali, favoriscano la neutralità tecnologica e prevedano target realisticamente raggiungibili per il settore dell'automotive;

6) ad adottare, in tale quadro, ogni iniziativa volta a favorire l'Italia come sede di attività di lavorazione di semiconduttori e di produzione di batterie e del loro riuso e riciclo, e a valutare l'opportunità di prevedere semplificazioni burocratiche ed incentivi adeguati per l'attrazione di investimenti stranieri e lo stabilimento sul territorio nazionale di nuove attività produttive, al fine di rafforzare l'autonomia strategica nell'approvvigionamento di semiconduttori e batterie e di garantire adeguati livelli di ricerca e sviluppo negli ambiti tecnologici, della microelettronica e dell'intelligenza artificiale.
(1-00582) «Benamati, Serracchiani, Braga, Frailis, Bazoli, Berlinghieri, Bonomo, Enrico Borghi, Carla Cantone, Carnevali, Critelli, D'Elia, De Filippo, De Maria, Delrio, Gariglio, Incerti, Gavino Manca, Nardi, Pagani, Rizzo Nervo, Soverini, Topo, Zardini, Boldrini, Di Giorgi, Fiano, De Luca».

(11 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea si è impegnata a diventare a «impatto climatico zero» entro il 2050. A tal fine, il settore dei trasporti deve subire una trasformazione che richiederà una riduzione del 90 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, assicurando soluzioni a prezzi accessibili per i cittadini;

    i trasporti sostenibili rappresentano un'opportunità per contribuire alla ripresa e alla crescita dell'economia. Un sistema di trasporto efficiente e affidabile, infatti, è essenziale per il buon funzionamento del mercato interno europeo e, in questo ambito, la tariffazione stradale può svolgere un ruolo chiave nell'incentivare opzioni più pulite ed efficienti, garantendo, al contempo, un trattamento equo degli utenti della strada e il finanziamento di infrastrutture sostenibili;

    il settore dei trasporti contribuisce per circa il 5 per cento al prodotto interno lordo europeo e dà lavoro a oltre 10 milioni di persone. Allo stesso tempo, è un settore che rappresenta un quarto delle emissioni totali di gas serra dell'Unione europea ed è dunque un settore prioritario d'intervento per raggiungere l'obiettivo europeo di ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030, per essere il primo continente neutro dal punto di vista climatico entro il 2050;

    al fine di raggiungere l'obiettivo della neutralità climatica per il 2050, il settore dei trasporti deve fare la sua parte e subire una trasformazione che richiederà una drastica riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (il 90 per cento entro il 2050), garantendo allo stesso tempo soluzioni ambientalmente sostenibili e a prezzi accessibili per i cittadini;

    l'Italia è la nazione europea con il maggior numero di veicoli in proporzione agli abitanti: ciò è aggravato dal fatto che il parco auto è molto «anziano», con oltre il 50 per cento di mezzi con più di 10 anni;

    nei prossimi anni, pertanto, il comparto dell'automotive dovrà mostrare la sua capacità di raccogliere le sfide legate ai grandi cambiamenti che lo attendono;

    è inoltre noto come la crescente diffusione di veicoli elettrici porti con sé l'esigenza di una capillare e diffusa rete di punti di ricarica: lo sviluppo della mobilità elettrica, infatti, presuppone, per una sua adeguata espansione, l'installazione di infrastrutture di ricarica innovative e superveloci distribuite e localizzate, sia in sede pubblica che privata, di concerto con gli enti locali, con i gestori delle stazioni ferroviarie, i concessionari di autostrade e superstrade e i distributori di energia elettrica;

    a tal fine, occorre accelerare sull'aggiornamento del Piano nazionale di infrastrutturazione per la ricarica dei veicoli elettrici (Pnire), redatto in ottemperanza al comma 2 dell'articolo 17-septies dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, il quale prevede al 2030, sulla base del target di 6 milioni di auto elettriche previsto dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec), 1.850 colonnine di ricarica veloci per le aree di servizio autostradali, 10 mila in area extraurbana e oltre 20.000 in area urbana, nonché 78.600 colonnine di ricarica lente nei centri urbani;

    da non sottovalutare, inoltre, è il ruolo che, in un contesto che coinvolge tutti i settori e che presuppone dei cambiamenti negli stili di vita verso la sostenibilità, possono rivestire le stazioni di rifornimento e la vendita al dettaglio di carburanti grazie alle loro caratteristiche ideali in termini di capillarità e di spazi a disposizione. Riconvertire le stazioni di distribuzione in luoghi multi-servizio e multi-prodotto, infatti, oltre a riqualificare e ammodernare punti vendita altrimenti obsoleti o dismessi, consentirebbe di offrire ai clienti finali un'offerta qualitativamente migliore, nonché spazi e servizi ad hoc che coniughino mobilità sostenibile, economia circolare e risparmio energetico mediante la proposta di carburanti a bassa o zero emissione di anidride carbonica (gpl, metano, idrogeno e ricarica elettrica) e il ricorso a soluzioni di efficientamento energetico, di recupero e risparmio delle risorse idriche e di installazione di impianti a fonti rinnovabili;

    negli ultimi dieci anni, le emissioni di gas a effetto serra in Europa sono diminuite significativamente in tutti i settori dell'economia, anche in relazione alla crisi economico-finanziaria globale, con l'unica eccezione dei trasporti che ad oggi rimangono il primo settore per emissioni di gas a effetto serra in Europa, superando persino il settore elettrico;

    nel nostro Paese, già con la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), si è avviata una politica di incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici e non inquinanti, di detrazioni fiscali per le spese per le infrastrutture di ricarica e la previsione di un'imposta sull'acquisto di nuovi autoveicoli più inquinanti (cosiddetto malus o ecotassa);

    in particolare, i commi da 1031 a 1041 della citata legge di bilancio per il 2019 disciplinano le misure incentivanti sia a carattere fiscale che extra fiscale; il comma 1039 ha introdotto una detrazione fiscale per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica per i veicoli alimentati a energia elettrica di cui all'articolo 16-ter del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, con la possibilità per i contribuenti di detrarre dall'imposta lorda le spese relative all'acquisto e alla posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, ivi inclusi i costi iniziali per la richiesta di potenza addizionale fino ad un massimo di 7 kilowatt; i commi da 1042 a 1045 concernono invece disposizioni disincentivanti sotto forma di imposta per l'acquisto di autovetture nuove con emissioni di anidride carbonica superiori ad una certa soglia;

    a far data dal 1° gennaio 2021, inoltre, sulle vetture di nuova immatricolazione è riportato, nel libretto di circolazione, esclusivamente il ciclo di omologazione Wltp e, per tale ragione, l'ecotassa auto è stata calcolata su questo nuovo valore e non più sulla scorta dei dati emersi dal ciclo Nedc, con esclusione dal pagamento dell'ecotassa delle vetture con emissioni da 161 a 190 grammi per chilometro;

    consapevoli delle complessità e delle difficoltà attuali che si stanno affrontando per poter accelerare un modello di mobilità eco-sostenibile sollecitato anche dai nuovi target europei sulle emissioni di anidride carbonica dei veicoli, le scelte di politica industriale nel nostro Paese dovranno indirizzarsi in maniera chiara ed inequivocabile su incentivi che promuovano un cambio di paradigma dell'intera filiera automotive verso soluzioni e business più sostenibili e sull'installazione capillare su tutto il territorio nazionale di infrastrutture di ricarica elettrica;

    risulta cruciale riconvertire gradualmente l'intero indotto che fa capo all'automotive per supportare sempre più imprese verso la produzione di batterie, che, nei prossimi anni, diventerà il settore strategico per il lancio definitivo della mobilità elettrica nei Paesi europei. È un settore nel quale l'Italia potrebbe diventare leader all'interno dell'Unione incrementando la produzione e investendo in ricerca per la realizzazione di sistemi di accumulo più potenti, efficienti, duraturi e meno inquinanti. A ciò si aggiunge la necessità di intervenire per riqualificare e aggiornare le competenze dei lavoratori del settore e rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo;

    a sostegno del mondo aziendale, poi, è stato rilevato che le flotte di veicoli M1 aziendali sono una categoria particolarmente adatta all'elettrificazione per diversi motivi: la media di chilometri per anno è maggiore di quella dei veicoli privati e, inoltre, data la necessaria pianificazione dei percorsi, è più agevole verificare la compatibilità dell'autonomia del veicolo con le tratte di servizio e quindi programmare le ricariche dei mezzi durante la giornata di lavoro o alla fine della stessa. I veicoli di servizio vengono poi solitamente parcheggiati in autorimesse o in parcheggi comuni dove è più semplice installare e gestire l'infrastruttura di ricarica;

    è auspicabile intervenire a livello normativo per introdurre, per un periodo almeno di 3 anni, un sistema di agevolazione fiscale per l'acquisto o il noleggio di veicoli a zero emissioni nei principali canali flotte, quali, ad esempio, vetture in pool, ad uso promiscuo, per liberi professionisti e agenti di commercio;

    fin dalla loro introduzione, la ratio alla base degli incentivi per l'acquisto o il noleggio di auto a zero emissioni di anidride carbonica è stata quella non solo di indirizzare il comportamento di consumo e di utilizzo dei mezzi da parte di cittadini e aziende, ma anche di dare certezze a produttori e consumatori sui disincentivi alla circolazione di mezzi inquinanti e consentire all'industria di pianificare gli investimenti;

    nonostante, infatti, le immatricolazioni in crescita rispetto a gennaio 2021, quando similmente a oggi non erano ancora resi disponibili gli incentivi 2021, l'assenza di supporti all'acquisto di veicoli a zero emissioni ha sicuramente frenato le vendite di nuove auto. Inoltre, si devono considerare anche i ritardi di consegna dovuti alla crisi delle materie prime, dei semiconduttori e dei microchip e alla possibilità di immatricolare entro il 30 giugno 2022 le vetture con gli incentivi prenotati. Quest'ultimo elemento, in particolare, ha tuttavia permesso di raggiungere dei numeri mensili bassi ma non drammatici, tanto che le 3.651 Bev vendute si possono per lo più considerare mezzi che hanno usufruito di incentivi nel 2021 ma che non erano ancora stati immatricolati;

    risulta cruciale, pertanto, dare agli incentivi per l'acquisto di autoveicoli a zero emissioni un orizzonte stabile e di lungo periodo; un orizzonte capace di condurre il nostro Paese verso un parco macchine elettrico più ampio, che oggi si attesta solo attorno a un 0,25 per cento circa del parco circolante;

    occorre, per di più, intervenire, a livello normativo, per reintrodurre, almeno per tutto il 2022, la detrazione per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, ivi inclusi i costi iniziali per la richiesta di potenza addizionale fino ad un massimo di 7 kilowatt;

    inoltre, è indispensabile reintrodurre, con una modifica all'articolo 1, comma 1042-bis, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nuovi scaglioni disincentivanti e relativi nuovi importi, per l'acquisto di autovetture nuove con emissioni di anidride carbonica superiori ad una soglia minima di 161 grammi di anidride carbonica per chilometro, anche al fine di utilizzare i proventi per finanziare il fondo per l'acquisto di veicoli elettrici di cui al citato articolo 1, comma 1031, della legge 30 dicembre 2018, n. 145;

    le sopra menzionate disposizioni relative agli incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici, in materia di detrazioni fiscali per le spese per le infrastrutture di ricarica e d'imposta sull'acquisto di autoveicoli nuovi più inquinanti (cosiddetto malus o ecotassa) non sono state prorogate e riconfermate per il 2022,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per stanziare nuovi e adeguati incentivi, su base pluriennale ed esclusivamente per la fascia 0-20 grammi di anidride carbonica per chilometro, modificando la struttura attualmente prevista per l'ecobonus di cui all'articolo 1, comma 1031, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nel senso di aumentare la differenza di incentivo tra acquisto con rottamazione e senza rottamazione, valutando altresì una progressiva riduzione degli stessi nel tempo, sulla base dei progressi tecnologici, del minor costo delle autovetture e dell'incremento dei volumi di vendita;

2) ad adottare iniziative per prevedere un meccanismo di finestre temporali nel corso di ogni anno finalizzato a valutare l'andamento temporale dell'assorbimento delle risorse stanziate per il supporto al settore che tenga conto, inter alia, dell'esigenza delle case costruttrici di implementare la propria produzione di modelli incentivabili;

3) ad adottare iniziative per revisionare e rendere maggiormente efficiente, mediante la previsione di nuovi scaglioni disincentivanti e relativi nuovi importi, la cosiddetta ecotassa o malus di cui all'articolo 1, comma 1042-bis, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, concernente il sistema di riscossione dell'imposta parametrata al numero di grammi di biossido di carbonio emessi per chilometro eccedenti la soglia di 161 grammi di anidride carbonica per chilometro, con lo scopo di utilizzare i proventi per finanziare gli incentivi destinati all'acquisto di auto a zero emissioni di ultima generazione;

4) ad adottare iniziative tese alla ristrutturazione, alla riqualificazione e all'ammodernamento delle stazioni di distribuzione dei carburanti che contemplino non solo la riconversione tecnologica della rete distributiva, anche attraverso il ricorso a strumenti agevolativi e a rimborsi per la bonifica ambientale e il definitivo smantellamento, ma anche l'implementazione di servizi dedicati ai combustibili alternativi e alla mobilità elettrica, nel rispetto degli obblighi e ai sensi della disciplina di attuazione della direttiva 2014/94/UE (cosiddetta direttiva Dafi), e di soluzioni di efficientamento energetico, di recupero e risparmio delle risorse idriche e di installazione di impianti a fonti rinnovabili;

5) a programmare ed accompagnare la riconversione dell'industria automobilistica e i settori produttivi ad essa collegati tramite investimenti in nuove tecnologie ed ecoinnovazione per lo sviluppo di una filiera nazionale di veicoli elettrici (gigafactory per la produzione di celle, produzione componentistica e assemblaggio, impianti di recupero e riciclo di batterie), anche al fine di consentire alle imprese del settore di pianificare la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei propri lavoratori e rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo;

6) ad adottare iniziative per incentivare la ricerca sul riuso, il riciclo e lo smaltimento delle batterie di veicoli elettrici, anche sotto il profilo della manodopera specializzata, per la produzione di nuove tecnologie per sistemi di accumulo di energia per veicoli, nonché per la diffusione di carburanti alternativi;

7) a proseguire nel sostenere, con adeguate risorse statali, l'acquisto di veicoli commerciali di categoria N1 per la logistica, la consegna e la distribuzione dell'ultimo miglio a zero emissioni di anidride carbonica e M1 speciali;

8) ad adottare iniziative per prevedere i necessari strumenti incentivanti volti a stimolare l'acquisto da parte delle imprese private di flotte aziendali (vetture in pool, ad uso promiscuo, per liberi professionisti e agenti di commercio), anche valutando un aumento della deducibilità fiscale e del limite di detraibilità dell'Iva per tutti i veicoli a zero emissioni;

9) ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse finanziarie tese ad orientare le scelte di business dei produttori di veicoli verso lo sviluppo di nuovi modelli elettrici per il trasporto pubblico locale urbano ed extraurbano;

10) ad adoperarsi per la risoluzione delle varie crisi aziendali afferenti al settore automobilistico e individuare le strategie più idonee a sostenere il rilancio del comparto nel processo di transizione verso la produzione di nuovi mezzi di trasporto sostenibili, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, nonché con le parti sociali, le istituzioni interessate e i sindacati, garantendo al contempo continuità occupazionale e produttiva;

11) a proseguire con le associazioni di categoria, le parti sociali e le case produttrici, anche attraverso il tavolo di confronto sull'automotive, già operativo presso il Ministero dello sviluppo economico, per sostenere l'intera filiera nazionale nel passaggio verso produzioni sempre più ecologiche, in coerenza con i nuovi e più ambiziosi obiettivi europei e le esigenze dei cittadini, nonché per favorire la realizzazione degli investimenti necessari e la progressiva conversione degli impianti industriali e così evitare la contrazione della produzione e i conseguenti impatti negativi sui livelli occupazionali dell'intero comparto;

12) ad assumere iniziative per reintrodurre, almeno per tutto il 2022, la detrazione per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica di cui all'articolo 1, comma 1039, della legge 30 dicembre 2018, n. 145;

13) ad assumere iniziative per ridurre le imposte per operatori di vehicle sharing con veicoli ad emissioni zero;

14) al fine di accelerare il passaggio verso una mobilità a zero emissioni, ad adottare iniziative per prevedere, per un periodo transitorio, tariffe agevolate per le tratte autostradali a pedaggio.
(1-00583) «Chiazzese, Sut, Davide Crippa, Scagliusi, Ficara, Serritella, Alemanno, Carabetta, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Orrico, Palmisano, Perconti, Federico, D'Ippolito, Zolezzi, Terzoni, Luciano Cantone, De Lorenzis, Grippa».

(14 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il settore automobilistico, vanto dell'economia italiana che ha rappresentato per decenni un fattore incrementale importante in termini di prodotto interno lordo nazionale, vive da anni una profonda crisi, amplificata ulteriormente dalla pandemia, proprio nel momento in cui dovrebbe entrare nel vivo il processo di transizione ecologia;

    l'industria automobilistica è un settore che dà lavoro, tra diretti e indotto, a circa un milione di persone, ma allo stato attuale, come evidenziato anche dalle maggiori rappresentanze sindacali, attraversa una crisi strutturale, data dall'assenza di piani industriali e dal ritardo negli investimenti;

    in base ai dati dell'Archivio nazionale dei veicoli e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, nello scorso mese di gennaio sono state immatricolate 107.814 autovetture a fronte di 134.198 immatricolazioni dello stesso mese dell'anno precedente, con una diminuzione di quasi il venti per cento (19,7 per cento);

    le certificazioni rilasciate dagli uffici della motorizzazione nel mese di gennaio 2022, mostrano come, invece, i trasferimenti di proprietà sono stati 348.137 a fronte di 259.244 passaggi registrati a gennaio 2021, con un aumento del 34 per cento;

    il volume globale delle vendite mensili, pari a 455.951, ha quindi interessato per il 23,65 per cento vetture nuove e per il 76,35 per cento vetture usate;

    il Centro Studi Promotor ha evidenziato che «La gravità della situazione è messa bene in luce dal fatto che, se si proietta il dato del gennaio scorso sull'intero 2022, si ottiene un volume di immatricolazioni, per l'intero 2022, di 1.198.000 autovetture con un calo del 17,8 per cento sul 2021»;

    così come evidenziato dallo stesso centro studi, «l'attuale situazione del mercato dell'auto è, dunque, assolutamente anomala, non solo perché per livello di immatricolazioni ci riporterebbe agli anni Sessanta del secolo scorso, ma anche perché l'andamento del settore rischia di essere in netto contrasto con quello dell'economia»;

    in particolare, il prodotto interno lordo italiano nel 2021 è cresciuto del 6,5 per cento rispetto all'anno precedente e il mercato dell'auto è cresciuto del 5,5 per cento, ma per il 2022, mentre ci si attende secondo Bankitalia una crescita del prodotto interno lordo del 3,8 per cento, il mercato dell'auto, se non si inverte la tendenza in atto, potrebbe far registrare un calo del 17,8 per cento;

    purtroppo con la pandemia, molte fabbriche si sono fermate e produttori di conduttori e semiconduttori, hanno spostato la domanda su altri settori; sono venuti meno gli investimenti e non si è stati in grado di garantire il necessario e prevedibile avanzamento tecnologico legato al settore; il tema della transizione di tutto il processo collegato all'auto, con il cambio dei motori, la digitalizzazione e la connettività rappresenta una rivoluzione nei processi che riorganizzerà il settore nel giro di pochi anni;

    servono le risorse per poter garantire gli impegni assunti dal comitato interministeriale per la transizione ecologica, recependo una delle indicazioni contenute nel pacchetto per il clima della Commissione europea e che prevedono che entro quattordici anni dovrà concludersi l'eliminazione progressiva della vendita di auto nuove con motore a combustione interna; nello specifico, dal 2035 in avanti, in Italia, potranno essere prodotte e commercializzate solo auto nuove mosse da motori elettrici o a idrogeno;

    nel mese di luglio 2021 il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha presentato il piano fit for 55: un cospicuo pacchetto di misure pratiche, legislative e normative volte ad accelerare la transizione ecologica e che impatta con forza sul settore della produzione e commercializzazione di automobili stanti i due passaggi fondamentali che lo costituiscono; la riduzione – entro il 2030 – del 55 per cento delle emissioni dei gas serra delle automobili e del 50 per cento di quelle dei veicoli commerciali rispetto ai valori riscontrati nel 1990, e l'abbandono — entro il 2035 — della produzione e vendita di automobili e veicoli commerciali con motore a benzina, gasolio e ibrido;

    il cosiddetto pacchetto fit for 55 rappresenta una sfida enorme per il settore dell'automotive che necessiterà di investimenti cospicui e di un efficace ammodernamento tecnologico; in tale ambito, occorre non dimenticare che al fine di poter accompagnare adeguatamente i processi di transizione, occorrono strumenti formativi e di aggiornamento delle competenze, non solo per istruire i giovani, ma anche per poter garantire un adeguamento delle competenze dei lavoratori più anziani;

    per poter garantire un adeguato coordinamento con gli orientamenti europei è sempre più evidente la necessità di un diverso approccio alla mobilità: si è in particolare rilevato come i trasporti pubblici contribuiscano in modo significativo alle emissioni che alterano il clima, e anche per ciò che concerne il settore dei trasporti pubblici occorre rinnovare il parco automobilistico con mezzi meno inquinanti e diretti a favorire l'utilizzo di modalità di trasporto ad impatto zero, come la mobilità ciclistica e la micromobilità elettrica, tutte misure che hanno un impatto significativo sul bilancio degli enti locali;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nell'ambito della «Missione 2: Rivoluzione verde e transizione ecologica», prevede la componente (M2C2), «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile» con risorse pari a 23,78 miliardi di euro;

    tale componente si divide a sua volta in cinque ambiti di intervento, tra i quali l'ambito 4, relativo allo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile, che reca complessivamente una previsione di spesa di 8.580 milioni di euro, e l'ambito 3, relativo alla sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale e nel trasporto ferroviario ed all'investimento nei bus elettrici, con una previsione di spesa di 830 milioni di euro;

    è di tutta evidenza l'inadeguatezza delle risorse stanziate e la necessità di una ulteriore specifica destinazione per le attività di ricerca e sviluppo nel settore dell'automotive, anche avvalendosi di programmi e progetti da definire con i consorzi interuniversitari che esprimono competenze specifiche sui temi della mobilità futura,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rifinanziare l'«ecobonus» e a introdurre ulteriori nuovi e adeguati incentivi al fine di sollecitare i cittadini nella sostituzione di auto a motore termico e maggiormente inquinanti, con l'obiettivo di facilitare il rinnovo del parco auto nazionale in chiave di mobilità sostenibile;

2) ad adottare iniziative per garantire agli enti locali il sostegno economico necessario, attraverso nuove e adeguate risorse, atte a consentire la riconversione alla elettrificazione dei mezzi adibiti alla mobilità nell'ambito del trasporto pubblico;

3) a promuovere un'articolata azione di politica industriale, che preveda la individuazione di tutti i siti produttivi dell'indotto automobilistico italiano tradizionale, ormai a rischio di smantellamento, con l'obiettivo di individuare la tipologia delle attuali produzioni e la collocazione nella supply chain, atte a valutare le ipotesi di riconversione al ciclo produttivo della nuova industria globale dell'automotive, valutando a tal fine la costituzione di un gruppo di lavoro misto tra i Ministeri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e mobilità sostenibili e dell'università e della ricerca, in collaborazione anche con le università italiane;

4) ad assicurare che tale azione complessiva di politica industriale e di impulso alla ricerca preveda una concertazione tra industria e università, attraverso la condivisione di specifici progetti;

5) ad adottare iniziative per garantire processi di aggiornamento costanti delle conoscenze, con particolare attenzione ai lavoratori anziani, attraverso l'erogazione di programmi di formazione continua, essenziali per rispondere alle esigenze di sviluppo delle tecnologie legate ai nuovi paradigmi della mobilità e per allineare nel lungo termine le abilità richieste dal mercato con quelle della forza lavoro;

6) a individuare precise assegnazioni di risorse del Pnrr in ambito di ricerca e sviluppo nel settore dello sviluppo futuro dell'automotive, da definire con i consorzi interuniversitari che esprimono competenze specifiche sui temi della mobilità futura;

7) a destinare il venti per cento dei fondi a disposizione di CDP Venture Capital al settore della mobilità futura, facilitando l'incontro tra le start-up assegnatarie e le società dell'indotto automobilistico italiano;

8) a definire politiche di incentivazione specifiche per le imprese del settore, con l'obiettivo di sostenerle nell'azione di riconversione industriale delle lavorazioni e, specificamente, nell'assunzione di nuovo personale, giovane e qualificato.
(1-00587) «Lollobrigida, Meloni, Butti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(15 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia deve molto alla produzione di auto, veicoli commerciali e industriali, che hanno stimolato lo sviluppo di competenze e innovazione e capacità produttiva anche in comparti collegati, a partire dalla fabbricazione di macchine e impianti, con benefìci economici e sociali per tutto il Paese, contribuendo a rappresentare il Made in Italy nel mondo, andando anche oltre i marchi più prestigiosi e i modelli iconici conosciuti e ovunque apprezzati;

    il comparto, pur a fronte di una riduzione complessiva della produzione nazionale, che è passata dagli oltre 1,8 milioni di veicoli nel 1997 ai soli 700.000 nel 2021, contribuisce al prodotto interno lordo in misura pari a circa il 12 per cento, proprio per questo, la crisi del settore potrebbe mettere in discussione le prospettive di crescita stimate per l'anno 2022 al 3,8 per cento;

    l'emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione del virus COVID-19, infatti, ha messo a dura prova anche tale settore, generando shock significativi sul lato dell'offerta: alla scarsa disponibilità di semiconduttori, si è aggiunto il rincaro, pari all'11,6 per cento dei costi delle materie prime a causa dell'aumento della domanda nel periodo post lockdown, che ha generato anche un incremento significativo dell'inflazione;

    secondo gli ultimi dati forniti dall'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), nel mese di gennaio 2022 sono state immatricolate in Italia 107.814 auto, con un calo del 19,7 per cento su gennaio del 2021, del 30,67 per cento su gennaio 2020 e del 34,8 per cento su gennaio 2019, periodo precedente allo scoppio della pandemia;

    tra gli stabilimenti italiani, uno dei più colpiti è quello del gruppo Stellantis a Melfi, che, nel 2021, ha registrato un crollo dei volumi produttivi del 28,8 per cento rispetto al 2020, con 163 mila auto uscite dallo stabilimento a fronte delle 390 mila vetture del 2015; il gruppo, peraltro, ha recentemente annunciato di voler restituire anticipatamente il prestito ricevuto con garanzia di Sace, a fronte del quale si era impegnato al rispetto di specifici impegni e condizioni, tra cui il proseguimento nell'attuazione dei progetti industriali annunciati a dicembre 2019, l'impegno a non delocalizzare la produzione di alcuni modelli e il ripristino dei livelli occupazionali precedenti al ricorso ad ammortizzatori sociali; destano inoltre forte preoccupazione le recenti dichiarazioni del gruppo che ha preannunciato l'intenzione di procedere ad una complessiva riorganizzazione degli impianti di produzione presenti nel nostro territorio;

    la crisi sta duramente colpendo, in particolare, il comparto del car sharing e del noleggio a breve e lungo termine, settori fondamentali per le diverse esigenze di mobilità turistica, cittadina e aziendale, che costituisce uno dei principali traini per lo sviluppo della mobilità sostenibile (annovera il 47 per cento delle vetture ibride plug-in e il 30 per cento delle elettriche immatricolate in Italia): nell'ultimo rapporto Aniasa, l'associazione che rappresenta nel sistema Confindustria, è rilevato che le imprese che svolgono attività di noleggio veicoli, car sharing e servizi collegati alla mobilità, nel 2020 hanno avuto un calo delle immatricolazioni, che è stato del 58 per cento nel noleggio a breve termine e del 24,5 per cento in quello a lungo termine;

    il mercato dell'auto aziendale, in Italia, si trova in condizioni di gravi difficoltà strutturali ed è sottodimensionato rispetto alle proprie potenzialità, in quanto il settore nel nostro Paese vale circa il 37 per cento del mercato, contro il 65 per cento della Germania, il 53 per cento della Francia e il 57 per cento della Spagna: tra le principali cause di tale situazione vi è il trattamento fiscale fortemente penalizzante rispetto agli altri Paesi europei comparabili con il nostro: le aziende italiane, ad esempio, possono detrarre l'Iva solo al 40 per cento ed ammortizzare al 20 per cento, mentre in ambito dell'Unione europea la quota ammortizzabile e la detraibilità dell'Iva sono del 100 per cento, al quale si aggiunge un'incertezza e complessità del sistema di riscossione della tassa automobilistica;

    per quel che concerne il comparto autobus, l'Anfia ha recentemente messo in evidenza come il mercato nel 2021, pur in recupero rispetto al 2020, rimane lontano dai livelli pre-crisi per le difficoltà persistenti nelle medie e lunghe percorrenze, nonostante i fondi stanziati per il sostegno della transizione ecologica nel trasporto pubblico locale, che si auspica produca un incremento significativo nella velocità di rinnovo delle flotte, sempre più necessario dopo anni che hanno visto un ulteriore invecchiamento del parco circolante degli autobus;

    la necessaria transizione ecologica voluta dalle istituzioni nazionali ed europee rischia di produrre effetti economici significativi in un comparto già fortemente provato dalla crisi conseguente alla pandemia; in particolare, una proposta avanzata dalla Commissione europea al Parlamento e al Consiglio europeo nel luglio 2021 ha dato un'accelerazione importante al programma di decarbonizzazione della mobilità, prevedendo lo stop alla vendita di auto a motore tradizionale entro il 2035 e dei furgoni che producono emissioni di carbonio entro il 2040, proposta recepita a dicembre 2021 anche in Italia dal Comitato interministeriale per la transizione ecologica;

    l'Italia è il secondo Paese europeo, dopo la Germania, per occupati nella produzione di motori a combustione e l'imminente passaggio dal motore endotermico a quello elettrico mette a rischio l'attività di circa 500 imprese, come confermato da un inedito documento congiunto redatto da Federmeccanica e i principali sindacati dei metalmeccanici nel quale è stato evidenziato come la mancata adozione di interventi compensativi porterebbe ad una perdita di mezzo milione di posti di lavoro nell'Unione europea, compensati solo parzialmente dai 226.000 posti nella produzione dei motori per i veicoli elettrici, con una perdita netta di 275.000 unità, di cui 73.000 solo in Italia;

    appare quindi necessario indicare, al più presto, le tempistiche e le tappe del percorso di transizione verso l'adozione di tecnologie alternative per l'alimentazione dei vicoli circolanti, tenendo anche conto degli elementi di destabilizzazione derivanti dalla congiuntura economica, al fine di scongiurare il rischio di deindustrializzazione di un settore chiave dell'economia italiana, con effetti dirompenti sul tessuto sociale del Paese;

    il Governo italiano ha varato il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima per gli anni 2021-2030 (Pniec) che, tra i propri obiettivi, prevede una percentuale di energia nei trasporti da fonti rinnovabili pari al 22 per cento e 6 milioni di auto elettriche nel 2030, a fronte di immatricolazioni nell'anno 2021 pari ad appena 136.754 unità (67.255 auto elettriche a batteria (BEV) e 69.499 ibride plug-in (PHEV);

    la cosiddetta ecotassa, rinnovata anche per il 2021, incide, paradossalmente, anche su veicoli ibridi o con motori di ultima generazione;

    il comparto dell'autoriparazione, in particolare quella indipendente dalle case automobilistiche, è soggetto a una trasformazione che corre parallelamente a quella della produzione di veicoli e si districa tra difficoltà sempre maggiori quali quelle relative alla disponibilità di informazioni tecniche e alla necessità di formazione specifica;

    le misure di incentivazione all'acquisto adottate dal Governo hanno sostenuto in maniera significativa la ripresa del comparto automobilistico, ma, sulla scia delle decisioni adottate da altri Paesi europei e al fine di ridurre il differenziale competitivo, appare utile riflettere sull'ipotesi di trasformare provvedimenti «spot» di rifinanziamento del settore, che creano un effetto atteso della domanda, in misure strutturali di politica industriale che assicurino la sostenibilità economica e sociale del settore e preservino il patrimonio industriale italiano, sostenendo la riorganizzazione interna di tutta la filiera, specie delle piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere l'istituzione di uno specifico fondo per l'automotive finalizzato a finanziare misure quali, in particolare:

   a) interventi urgenti per affrontare e superare la crisi in corso, anche attraverso misure che mitighino l'incremento dei costi per l'energia;

   b) interventi strutturali, a medio e lungo termine, che sostengano: l'integrazione della filiera nel territorio nazionale, anche attraverso lo stimolo di nuovi stabilimenti di produzione per limitare futuri stop per dipendenza da forniture estere, gli investimenti per l'adeguamento dei processi produttivi alla grande trasformazione industriale che sta coinvolgendo il settore (autoveicoli a basse emissioni, guida assistita e autonoma, e altro, la riqualificazione professionale dei lavoratori oggi occupati negli stabilimenti della filiera, la formazione di nuove figure e profili già a partire dai percorsi scolastici della scuola secondaria e terziaria non accademica;

   c) il sostegno alla filiera italiana di produzione di autobus ed in particolare, prevedendo investimenti volti alla produzione di modelli meno inquinanti;

   d) sostegno alla produzione di low carbon fuels e biocarburanti allo scopo di accompagnare il comparto petrolchimico e della raffinazione verso una transizione sostenibile, valorizzare comparti d'eccellenza italiani legati alla produzione di biometano e aumentare l'indipendenza energetica del nostro Paese da importazioni;

   e) il rifinanziamento dell'attuale sistema di incentivazione all'acquisto di autoveicoli a basse emissioni, favorendo in tal modo il progressivo rinnovamento del parco auto del Paese, garantendo meccanismi di monitoraggio della spesa, valutando anche l'opportunità di introdurre automatismi per favorire una rapida redistribuzione di eventuali risorse residue che limitino il ricorso a interventi normativi in corso d'anno;

2) ad adottare iniziative per affrontare, in specifici tavoli, le situazioni di crisi negli stabilimenti del comparto, inclusa la componentistica, al fine di consolidare l'intera filiera, con particolare attenzione allo stabilimento di Melfi, dove è evidente la necessità di un accordo di sviluppo ampio che riguardi l'intero territorio, al fine di mantenere la strategicità del sito e il mantenimento degli impegni assunti dal gruppo come richiamati in premessa, evitando percorsi di insourcing e deinvestimento da parte di Stellantis, che possano pregiudicare il futuro occupazionale e industriale dello stabilimento e dell'indotto italiano;

3) ad adottare iniziative al fine di coniugare le scelte energetiche del Paese con la reale capacità del comparto di contribuire agli obiettivi fissati, anche rivedendo gli stessi all'interno del Pniec, evitando di compiere scelte ideologiche che danneggiano imprese e rischiano di aumentare le disuguaglianze;

4) a non rinnovare ulteriormente la cosiddetta «Ecotassa» sui veicoli inquinanti che, non contribuendo in maniera significativa alla riduzione delle emissioni, danneggia inutilmente le produzioni italiane;

5) ad adottare iniziative per armonizzare la normativa nazionale a quella eurounitaria al fine di revisionare, semplificare e razionalizzare la disciplina fiscale, con particolare riferimento alla quota ammortizzabile, al costo deducibile e ai tempi di ammortamento relativamente alle auto destinate ad essere utilizzate come strumenti nell'esercizio dell'attività di impresa, arte e professione;

6) ad adottare iniziative per rivedere il sistema di riscossione della tassa automobilistica (cosiddetto bollo auto) per le auto immatricolate a scopo di noleggio al fine dare maggior chiarezza alle imprese del settore ed evitare sovrapposizioni di periodi pagati;

7) ad adottare iniziative per proseguire gli incentivi per l'installazione di colonnine di ricarica di ultima generazione su tutto il territorio nazionale, indispensabile per favorire il rinnovo del parco auto circolante;

8) ad adottare iniziative per sostenere la filiera dell'autoriparazione che, parallelamente alla produzione, affronta le sfide dell'innovazione tecnologica dei veicoli, anche attraverso un ammodernamento della legge quadro del settore (legge n. 122 del 1992).
(1-00595) «Moretto, Fregolent, Mor, Marco Di Maio, Ungaro, Nobili, Gadda, Bendinelli, Occhionero, Vitiello».

(23 febbraio 2022)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN MATERIA DI DISCIPLINA DI BILANCIO E GOVERNANCE ECONOMICA DELL'UNIONE EUROPEA

   La Camera,

   premesso che:

    il sistema di governance economica dell'Unione europea è costituito da un complesso di misure, di natura legislativa e non legislativa, modificato a più riprese, il cui insieme principale di regole si basa sul Patto di stabilità e crescita (Psc), approvato dal Consiglio europeo di Amsterdam del giugno 1997;

    con il Patto di stabilità e crescita la governance europea si struttura maggiormente, costituendo il principale fondamento giuridico della regolamentazione delle politiche di bilancio, ai sensi dell'articolo 121 (sorveglianza multilaterale) e dell'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (procedura per i disavanzi eccessivi);

    il Patto, così come modificato, si articola in un cosiddetto braccio preventivo («preventive arm», che mira a garantire politiche di bilancio sostenibili nell'arco del ciclo economico attraverso il raggiungimento dell'obiettivo di bilancio a medio termine, che è individuale per ogni Stato membro) e in un cosiddetto braccio correttivo («corrective arm», che mira a garantire che i Paesi dell'Unione europea prendano misure correttive se il disavanzo del bilancio nazionale o il debito pubblico nazionale supera i valori di riferimento previsti nel trattato, rispettivamente il 3 per cento e il 60 per cento del prodotto interno lordo) ed era principalmente finalizzato a rendere più cogente la disciplina di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea imponendo, in particolare, il rispetto delle soglie del 3 per cento per l'indebitamento netto e del 60 per cento del prodotto interno lordo per il debito delle pubbliche amministrazioni, regole originariamente previste dal protocollo sui disavanzi eccessivi annesso al Trattato di Maastricht;

    il Patto è stato oggetto di un primo intervento di modifica nel 2005 ad opera dei due regolamenti (CE) n. 1055 e n. 1056, con i quali, fermi restando i due parametri quantitativi del 3 per cento e del 60 per cento sono stati ridefiniti gli obiettivi di finanza pubblica a medio termine, attraverso la previsione di percorsi di avvicinamento differenziati per i singoli Stati membri, al fine di tener conto delle diversità delle posizioni di bilancio, degli sviluppi sul piano economico e della sostenibilità finanziaria delle finanze pubbliche degli Stati medesimi;

    in particolare, si è previsto che gli Stati membri, nell'ambito dell'aggiornamento dei rispettivi programmi di stabilità, presentino un obiettivo di medio termine (omt), concordato in sede europea e definito sulla base del potenziale di crescita dell'economia e del rapporto debito/prodotto interno lordo. Esso consiste in un livello di indebitamento netto strutturale (corretto, cioè, per il ciclo e al netto delle misure temporanee e una tantum) che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, ma che deve essere tale da garantire, in presenza di normali fluttuazioni cicliche, un adeguato margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento ed un ritmo di avvicinamento certo ad una situazione di sostenibilità delle finanze pubbliche;

    a seguito della grave crisi finanziaria e della recessione economica che hanno investito l'economia mondiale a partire dal 2009, e che hanno determinato un forte deterioramento delle finanze pubbliche in tutti i Paesi europei, è stato avviato un ciclo di modifiche della governance economica dell'Unione europea attraverso l'approvazione, nel corso del 2011, di un pacchetto di sei proposte legislative (cosiddetto Six pack), consistenti in due regolamenti (n. 1174 e n. 1176 del 2011) volti alla creazione di una sorveglianza macroeconomica per la prevenzione e correzione degli squilibri, tre regolamenti (n. 1173, n. 1175 e n. 1177 del 2011) finalizzati ad una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita e in una direttiva (2011/85/UE) relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri; hanno concorso a rafforzare il Patto di stabilità, nel senso di una più rigorosa applicazione, due ulteriori regolamenti del maggio 2013 (cosiddetti Two pack), volti a dettare regole più stringenti in materia di sorveglianza economica e di bilancio e di monitoraggio dei progetti di bilancio degli Stati membri (regolamento n. 472/2013 sulla sorveglianza rafforzata agli Stati in difficoltà e regolamento n. 473/2013 sul monitoraggio rafforzato delle politiche di bilancio degli Stati);

    le azioni intraprese in questo ambito hanno contribuito a delineare un'architettura delle politiche di bilancio dell'Unione europea in generale più vincolante per gli Stati membri, istituendo un quadro più rigido per il coordinamento e il controllo delle politiche di bilancio;

    a tale quadro si è aggiunta, in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012, la firma del Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (Trattato cosiddetto Fiscal Compact, frutto di un accordo intergovernativo e concordato al di fuori della cornice giuridica dei Trattati dell'Unione europea), entrato poi in vigore il 1° gennaio 2013, che ha richiamato la riforma della governance economica dell'Unione europea già adottata nel novembre 2011;

    il Fiscal Compact ha infatti incorporato ed integrato in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche in gran parte già introdotte o in via di introduzione in via legislativa nel quadro della nuova governance economica europea;

    la nuova regola numerica, adottata con il Six pack e richiamata nel Fiscal compact, specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60 per cento del prodotto interno lordo. In particolare, la regola si considera rispettata se la quota del rapporto debito/prodotto interno lordo in eccesso rispetto al valore del 60 per cento si è ridotta in media di 1/20 all'anno nei tre anni precedenti quello di riferimento (criterio retrospettivo o backward-looking della regola sul debito), ovvero se la riduzione del differenziale di debito rispetto al 60 per cento si verificherà, in base alle stime elaborate dalla Commissione europea, nei tre anni successivi all'ultimo anno per il quale si disponga di dati (criterio prospettico o forward-looking della regola sul debito);

    nel valutare il rispetto dei due criteri precedenti, la regola del debito prevede che si tenga conto dell'influenza del ciclo economico, depurando il rapporto debito/prodotto interno lordo dell'effetto prodotto dal ciclo sia sul numeratore sia sul denominatore. Se anche in questo caso la regola non risulta rispettata, possono essere valutati i cosiddetti fattori rilevanti. In particolare, la Commissione sarà chiamata in questo caso a redigere un rapporto ex articolo 126, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) nel quale esprimere valutazioni «qualitative» in merito agli sviluppi delle condizioni economiche e della finanza pubblica nel medio periodo, oltre che su ogni altro fattore che, nell'opinione dello Stato membro, sia rilevante nel valutare complessivamente il rispetto delle regole di bilancio europee;

    solo se nessuna di queste condizioni (inclusa la mancata attribuibilità al ciclo) viene soddisfatta, la regola del debito è considerata non rispettata, portando alla redazione, da parte della Commissione europea, di un rapporto ai sensi dell'articolo 127(3) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue);

    dalla sua entrata a regime nel 2015, la regola del debito, che è stata recepita nell'ordinamento italiano con la legge n. 243 del 2012 di attuazione del principio dell'equilibrio di bilancio, non è mai stata rispettata dall'Italia in nessuna delle sue configurazioni. Grazie alla considerazione dei fattori rilevanti, la Commissione europea e il Consiglio hanno nel corso degli anni considerato valide le ragioni addotte dal Governo italiano per posticipare la riduzione del debito pubblico, e non si è mai arrivati quindi all'avvio della procedura di infrazione per disavanzi eccessivi basata sul criterio del debito;

    da ultimo, anche il Def 2021 ha confermato la difficoltà per l'Italia di soddisfare la regola del debito nelle sue varie configurazioni e il nostro Paese ha più volte contestato l'eccessiva restrizione di bilancio implicata dal pieno rispetto della regola in un contesto spesso di condizioni cicliche molto deboli rese ancora più proibitive – per il perseguimento dell'obiettivo relativo al debito pubblico – dalle conseguenze economiche della crisi pandemica;

    all'inizio del 2020, a fronte di alcuni elementi di debolezza già dimostrati dall'impianto complessivo che avevano causato difficoltà agli Stati membri, in particolare nel determinare un percorso virtuoso favorevole alla crescita di lungo periodo, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sul riesame dell'efficacia del quadro della governance economica. Il dibattito pubblico, inizialmente sospeso poco dopo la sua apertura per via della crisi pandemica, è stato quindi rilanciato dalla Commissione europea alla fine del 2021 (COM(2021)662final), per riavviare un confronto attorno ai cardini delle regole fiscali come modificate dalle successive integrazioni al Patto di stabilità e crescita e sulla loro efficacia per il conseguimento degli obiettivi originari;

    è stata infatti la stessa Commissione europea ad affermare che, se da una parte, le regole avevano favorito una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri e un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nella zona euro, dall'altra il debito pubblico rimaneva elevato in alcuni Stati membri e l'orientamento della politica di bilancio a livello nazionale era stato spesso pro-ciclico;

    nonostante abbia promosso la convergenza dei saldi di bilancio verso livelli più sostenibili, l'attuale quadro di governance ha infatti rivelato notevoli debolezze, tra cui la sua elevata complessità, uno scarso livello di attuazione, la carenza di titolarità e di incentivi a perseguire politiche anticicliche, così come la mancanza di una capacità di stabilizzazione centrale per gestire gli shock idiosincratici. Inoltre, esso non è riuscito a ridurre le divergenze tra i livelli di debito nell'Unione, né a proteggere o promuovere gli investimenti che stimolano la crescita;

    il diffondersi della pandemia da COVID-19 ha innescato una crisi senza precedenti, che ha provocato gravi ripercussioni asimmetriche e causato perturbazioni in ambito sanitario, economico e sociale, che hanno determinato la necessità di adottare misure straordinarie; con l'arrivo della crisi pandemica da COVID-19, la Commissione europea ha quindi disposto l'attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (general escape clause), al fine di assicurare agli Stati membri il necessario spazio di manovra di bilancio – nel quadro del patto – per contrastare le conseguenze sanitarie ed economiche della crisi;

    alla crisi sanitaria e a quella economica, conseguita all'emergenza epidemiologica da COVID-19, si è quindi aggiunta, già dal 2021, la cosiddetta pandemia energetica, un'impennata dei prezzi dell'energia e del gas, con pesanti ripercussioni sulle famiglie e sulle imprese, già gravate dagli effetti negativi della pandemia e in forte difficoltà nel mantenere la propria capacità produttiva e nel far fronte al pagamento delle spese relative alle utenze;

    l'aggressione russa in Ucraina – in violazione della sovranità di uno Stato libero e democratico, dei trattati internazionali e dei più fondamentali valori europei – e l'adozione delle conseguenti sanzioni da parte dell'Unione europea – hanno impresso una fortissima accelerazione alla pandemia energetica con conseguenti impatti negativi sulle economie degli Stati membri; la maggiore preoccupazione, per quanto concerne l'andamento economico dell'Italia, riguarda proprio il settore energetico, che è già stato colpito dai rincari degli ultimi mesi;

    la clausola di salvaguardia, introdotta con la revisione della disciplina fiscale operata dal Six-Pack nel 2011 ma mai applicata prima, consente agli Stati membri di deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine, discostandosi dalle esigenze di bilancio che sarebbero normalmente applicabili, a condizione che non venga compromessa la sostenibilità fiscale nel medio periodo, senza sospendere, pertanto, l'applicazione del Patto di stabilità e crescita né le procedure del Semestre europeo in materia di sorveglianza fiscale;

    l'attivazione della clausola di salvaguardia generale ha quindi consentito agli Stati membri di adottare misure molto significative sul fronte delle spese e delle entrate per ridurre al minimo l'impatto economico e sociale della pandemia. Nella comunicazione del 2 giugno 2021 (COM(2021) 500 final) la Commissione ha quindi confermato l'opportunità che la clausola di salvaguardia venga mantenuta nel 2022 e, presumibilmente, disattivata a partire dal 2023, quando si prevede che l'economia dell'Unione europea torni ai livelli pre-crisi;

    la Commissione ha inoltre affermato che la composizione delle finanze pubbliche non è diventata più favorevole alla crescita, con gli Stati membri che scelgono sistematicamente di aumentare la spesa corrente anziché proteggere gli investimenti. Dal riesame è risultato anche che il quadro di bilancio è diventato eccessivamente complesso a causa della necessità di tener conto di un'ampia gamma di circostanze in continua evoluzione nel perseguimento di molteplici obiettivi;

    in questo complesso quadro è intervenuta una risposta di bilancio europea comune che si è rivelata fondamentale per la ripresa, in un'ottica di sostenibilità ed inclusività economica e attraverso il rafforzamento della produttività e degli investimenti in tutta l'Unione europea per i meccanismi introdotti per la valutazione della qualità della spesa pubblica e per le sue modalità di finanziamento, il nuovo programma europeo Next Generation EU (Ngeu) ha infatti profondamente modificato la concezione del bilancio europeo, prevedendo, per la prima volta, l'emissione di strumenti di debito comune dell'Unione europea sui mercati globali e una impostazione solidaristica – fondata sui grants – che era del tutto mancata in occasione delle crisi finanziarie 2008/09 e 2010/12;

    l'emissione di obbligazioni dell'Unione europea è stata accolta come un chiaro segnale dell'impegno a favore di un'efficace ripresa congiunta ed offre un utile modello anche per le future sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri saranno chiamati ad affrontare;

    l'8 luglio 2021, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla «revisione del quadro legislativo macroeconomico per un impatto più incisivo sull'economia reale europea e una maggiore trasparenza del processo decisionale e della responsabilità democratica», con cui ha invitato la Commissione a rilanciare il dibattito pubblico sulla revisione del quadro di governance economica europea e a presentare proposte legislative complete e lungimiranti a seguito della revisione;

    fra le sue osservazioni, il Parlamento ha sottolineato l'importanza di politiche favorevoli alla crescita e di investimenti pubblici e privati sostenibili, volti ad aumentare il potenziate di crescita e raggiungere gli obiettivi dell'Unione europea incentrati sulle transizioni verdi e digitali e ad aumentare il potenziale di crescita, la competitività e la produttività e a dare impulso al mercato unico ed ha ribadito che investimenti e spese orientati al futuro hanno effetti positivi sulla sostenibilità del debito a medio-lungo termine;

    il 9 maggio 2021 è stata lanciata la Conferenza sul futuro dell'Europa, intesa come spazio pubblico di dibattito sull'Unione del futuro e sulle sue priorità che coinvolga direttamente i cittadini europei, in cui l'Italia deve avere l'ambizione e l'impulso necessari per poter svolgere un ruolo da protagonista, sostenendo le opportune riforme del quadro normativo e regolamentare attuale e le eventuali modifiche del Trattato necessarie;

    oggi, anche a seguito del conflitto in Ucraina, l'Italia e l'Unione europea sono chiamate ad affrontare una vera e propria emergenza energetica che rende improrogabile l'adozione, da parte dell'Unione europea, di tutte le misure necessarie per poter gestire al meglio e in maniera condivisa, anche nel futuro, una possibile crisi, così come l'avvio di una riflessione comune sui rischi geopolitici che condizionano duramente la politica energetica dell'Unione europea e la vulnerabilità delle sue forniture, al fine di proseguire nel percorso di mitigazione degli effetti negativi della crisi;

    in conclusione, il tema dell'aggiornamento e della revisione del quadro della governance economica europea rappresenta pertanto una questione centrale nel dibattito europeo non più rinviabile a fronte della nuova realtà economica – pesantemente influenzata dalle crescenti tensioni e dai mutati scenari geo-politici internazionali – e da rilanciare il prima possibile per sostenere una crescita inclusiva e la sostenibilità di bilancio a lungo termine,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere ogni iniziativa utile, in sede europea, finalizzata a:

   a) valutare il mantenimento dell'attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (Psc) anche nel corso del 2023, per consentire agli Stati membri di continuare ad adottare le necessarie misure di flessibilità di bilancio finalizzate a ridurre al minimo l'impatto economico e sociale della grave crisi economica, in particolare quella energetica dovuta anche alle crescenti tensioni e ai mutati scenari geo-politici internazionali, con dirette conseguenze sulla sicurezza e sulla sostenibilità energetica dell'Unione europea, preservando gli investimenti pubblici e utilizzando al meglio i finanziamenti del dispositivo per la ripresa e la resilienza per dare impulso alla crescita;

   b) prevenire il ripristino dell'attuale quadro di governance macroeconomica europea – segnatamente del Patto di stabilità e crescita (Psc) – che deve essere ripensato alla luce del rinnovato contesto economico, per adattare le norme di bilancio alle nuove sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri sono chiamati ad affrontare, e perseguire politiche di bilancio sostenibili, prevedendo percorsi di rientro dal debito realistici che tengano conto delle specificità degli Stati membri e del loro quadro macroeconomico complessivo e, inoltre, superando l'utilizzo prevalente di indicatori non osservabili come il saldo strutturale, al fine di ancorare la sorveglianza macroeconomica a indicatori direttamente osservabili e misurabili;

   c) in particolare, rivedere gli irrealistici parametri quantitativi del 3 per cento e del 60 per cento privi di una reale giustificazione economica e spesso oggetto di critiche, con il conseguente superamento della fase preventiva e quella correttiva del Patto di stabilità e crescita, la cui applicazione si è dimostrata a più riprese incoerente, e garantire un'applicazione omogenea della procedura per gli squilibri macroeconomici, al fine di affrontare adeguatamente il fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva e gli eccessivi surplus di specifici Stati membri;

   d) trasformare il programma Next Generation EU in uno strumento permanente, da finanziare attraverso il bilancio europeo con la conseguente istituzione di nuove fonti di entrate nella forma di risorse proprie dell'Unione europea e l'inclusione dell'emissione di debito comune europeo come strumento stabile, finalizzati a sostenere l'impegno comune per il rafforzamento degli investimenti nella produzione di «beni pubblici» che consentano di rispondere al meglio alle esigenze concordate a livello europeo, come ricerca, innovazione, sicurezza e transizione energetica, al fine di assicurare all'Unione europea un proprio spazio fiscale autonomo, capace di avviare una politica economica anti-ciclica, che la sottragga a quelli che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano «ricatti» dei contributi nazionali;

   e) a fronte dell'evoluzione dell'attuale scenario energetico, avviare con urgenza un confronto costruttivo per l'istituzione di un Fondo energetico europeo straordinario, quale strumento, a disposizione dell'Unione europea e dei suoi Stati membri a supporto della lotta al caro energia, per garantire una maggiore autonomia sul fronte energetico, attraverso l'attivazione di strategie di diversificazione degli approvvigionamenti energetici, di investimento sulle energie rinnovabili e di rafforzamento di meccanismi di stoccaggio comune, per evitare, nella direzione dell'Unione dell'energia, il rischio di crisi future, e per sostenere i cittadini europei e le categorie produttive gravemente colpite dalla cosiddetta pandemia energetica;

   f) sostenere ogni iniziativa diretta a mobilitare ulteriori investimenti finalizzati ad accelerare la realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili;

   g) modificare altresì le regole vigenti in materia di disciplina di bilancio, prevedendo lo scorporo dal calcolo del deficit di determinate categorie di investimenti pubblici nazionali produttivi, che sono ostacolati dall'attuale quadro di bilancio – tra cui quelli green, quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei – nonché esentare, dalla regola di spesa, gli investimenti finanziati dai prestiti del programma Next Generation EU che promuovono gli obiettivi a lungo termine dell'Unione europea, per rendere l'economia e il sistema energetico dell'Unione europea più competitivi, sicuri, omogenei e sostenibili;

   h) valutare altresì la possibilità di scorporare il debito anomalo e non strutturale accumulato a causa dell'emergenza legata al COVID-19, prevedendo la sua cancellazione, la sua perennizzazione attraverso i reinvestimenti del programma di acquisto di titoli Pepp, o in ogni caso tramite l'individuazione di un percorso di rientro ad hoc;

   i) tenere conto, nel quadro di una rinnovata governance economica dell'Unione europea, dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali e degli obiettivi ambientali del Green Deal, conformemente agli impegni dell'Unione europea in materia di ambiente e sviluppo sostenibile, anche attraverso la definizione di indicatori di base nel semestre europeo per misurare adeguatamente la disuguaglianza e la povertà e le conseguenze socio-economiche dei cambiamenti climatici, al fine di mettere l'economia al servizio dei cittadini e promuovere una convergenza economica e sociale verso l'alto.
(1-00586) (Nuova formulazione) «Scerra, Davide Crippa, Berti, Bruno, Businarolo, Galizia, Grillo, Ianaro, Papiro, Ricciardi, Vignaroli, Lovecchio, Buompane, Torto, Misiti, Donno, Manzo, Flati».

(14 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la crisi ucraina, con i suoi già drammatici risvolti civili e i rischi di destabilizzazione dell'ordine mondiale, chiama l'Europa a una responsabilità decisiva a difesa della pace e della libertà dei popoli, e rende indifferibile e urgente un'accelerazione nel processo di costruzione compiuta del progetto federale, di cui un'autentica politica economica unitaria, una difesa comune e una politica energetica coordinata sono pilastri fondamentali;

    il 10 e 11 marzo 2022 i leader dell'Unione europea, in occasione del Consiglio europeo straordinario di Versailles, hanno adottato una dichiarazione riguardante l'aggressione russa nei confronti dell'Ucraina, il rafforzamento delle capacità di difesa, la riduzione delle dipendenze energetiche e la costruzione di una base economica più solida;

    per affrontare la crisi pandemica da COVID-19, dal 2020 in poi, l'Unione europea ha messo in campo strumenti eccezionali a sostegno delle economie europee quali: I) la sospensione delle regole di bilancio europee, per effetto della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, sospensione che, sulla base dell'andamento attuale dell'economia, dovrebbe cessare il 31 dicembre 2022; II) il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato adottato nell'aprile 2020, poi esteso e integrato più volte, alla sua sesta modifica del 18 novembre 2021, che ha prorogato il regime di deroghe alla normativa dell'Unione europea fino al 30 giugno 2022, definendo, al contempo, un percorso per la graduale eliminazione degli aiuti alla luce della ripresa dell'economia europea; III) lo strumento del Next Generation EU (NGEU) deliberato dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, un fondo europeo per la ripresa con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro da impiegare nel periodo 2021-2026, sulla base di Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) che comprendono riforme e progetti di investimento pubblici;

    è in corso, in seno alla Commissione europea, una revisione ulteriore del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato sulla scorta di quanto fatto con il Temporary Framework per il COVID-19;

    in seno alle istituzioni dell'Unione europea è in corso un dibattito sulla riforma della governance economica, che nei prossimi mesi si dovrà tradurre in proposte concrete su temi pregnanti per il futuro dell'Unione quali la riforma delle regole di bilancio dell'Unione europea il completamento dell'Unione bancaria e dell'Unione dei mercati dei capitali, la creazione di una capacità di bilancio dell'Unione e l'individuazione di una strategia di crescita che tenga conto delle transizioni digitali e ambientali, oltreché delle prossime sfide che l'Unione dovrà affrontare;

    durante le negoziazioni del trattato di Maastricht, l'allora Ministro del tesoro italiano Guido Carli propose l'adozione di un approccio tendenziale alla riduzione del debito pubblico, come alternativa all'introduzione di soglie numeriche su deficit e debito pubblico nei trattati;

    secondo un orientamento prevalente delle principali istituzioni finanziarie internazionali, il mantenimento di finanze pubbliche solide e sostenibili rappresenta una condizione favorevole al miglioramento della crescita delle economie degli Stati;

    il presidente del Consiglio italiano e il Presidente della Repubblica francese, in un recente editoriale pubblicato dal Financial Times, hanno tracciato una direttrice politica con lo scopo di rafforzare la strategia comune europea sulla crescita e gli investimenti necessari ad affrontare le sfide future dell'Unione;

    la Commissione europea stima che il fabbisogno aggiuntivo di investimenti privati e pubblici relativi alle transizioni verde e digitale sarà di circa 650 miliardi di euro all'anno fino al 2030;

    l'ammontare del debito pubblico europeo è oggi in media di venti punti superiore al livello pre-pandemico, e vicino al 100 per cento del prodotto interno lordo;

    l'orientamento di politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) sta cambiando in senso più restrittivo, con un probabile prossimo aumento dei tassi di interesse nell'eurozona, oltre alla già prevista cessazione, da marzo 2022, del programma di acquisto straordinario di titoli di Stato e di obbligazioni societarie dell'eurozona, noto come Pandemic emergency purchase programme (Pepp), del valore complessivo di 1.850 miliardi di euro;

    le recenti tensioni inflazionistiche, superiori alle attese degli analisti, accoppiate all'escalation della crisi ucraina stanno provocando un rapido deterioramento degli scenari economici globali, con impatti negativi sulle strategie europee di crescita;

    lo shock da offerta sui prezzi energetici determina un rischio di stagflazione che non può essere affrontato soltanto attraverso politiche monetarie espansive da parte della Banca centrale europea ma anche da mirate politiche di bilancio di livello comunitario, che prevedano un adeguato coordinamento in capo alla Commissione europea, di concerto con gli Stati membri,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore, a tutti i livelli istituzionali dell'Unione europea, di iniziative volte a promuovere una riforma della governance economica che tenga in considerazione un approccio olistico e unitario e che preveda una riforma delle regole di bilancio europee in chiave evolutiva rispetto al quadro normativo precedente;

2) a farsi promotore, a tutti i livelli istituzionali dell'Unione europea, di un secondo Next Generation Ue, orientato al finanziamento degli investimenti collegati all'hard power e all'autonomia strategica dell'Unione europea (difesa, cybersicurezza, immigrazione, indipendenza energetica e tecnologica nei settori strategici), applicando il principio del «borrow to spend» per cui la Commissione reperisce risorse mediante indebitamento comune (eurobond) per poi cederle agli Stati a fondo perduto;

3) ad attivare iniziative concrete per una riforma delle regole sul deficit che crei adeguati spazi di bilancio necessari al finanziamento degli investimenti per la transizione digitale e ambientale, rendendo permanente uno strumento di finanziamento degli investimenti in beni pubblici europei sul modello NGEU a partire dal 2027, finanziato attraverso nuove risorse proprie di bilancio dell'Unione e l'emissione di debito comune;

4) a promuovere una riforma delle regole che consenta agli Stati membri percorsi di rientro dal debito pubblico più sostenibili e legati alla dinamica tendenziale di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;

5) ad adottare iniziative per istituire, con gli altri Stati membri, un tavolo di riforma complessiva della politica di bilancio dell'area euro, da realizzarsi anche attraverso modifiche ai Trattati che portino alla istituzione di un Ministro delle finanze europeo, recependo i suggerimenti che verranno espressi dalla Conferenza sul futuro dell'Europa;

6) a promuovere una revisione dei Trattati e, in particolare, del meccanismi di voto riducendo il ricorso al potere di veto e allargando le materie per le quali è previsto un meccanismo decisionale a maggioranza.
(1-00610) «Valentini, Rossello, Battilocchio, Fitzgerald Nissoli, Marrocco, Orsini, Perego Di Cremnago, Elvira Savino».

(21 marzo 2022)