TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 654 di Giovedì 10 marzo 2022

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE
A SOSTEGNO DEL SETTORE DELLA MODA

   La Camera,

   premesso che:

    con un fatturato che supera gli 80 miliardi di euro annui, quasi 500 mila addetti e 224 mila aziende solo in Italia, la filiera della moda rappresenta un asset strategico dell'industria nazionale, nonostante risulti, con l'industria automobilistica, il settore manifatturiero maggiormente colpito dall'emergenza economica socio-sanitaria da Covid-19, soprattutto a causa della sofferenza del mercato europeo, fortemente penalizzato da lockdown internazionale;

    il settore moda rappresenta l'8,5 per cento del volume di affari e il 12,5 per cento dell'occupazione dell'industria manifatturiera in Italia; la dimensione media delle aziende è inferiore a quella degli altri Stati dell'Unione europea e questa peculiarità, bilanciata da una forte interrelazione tra le imprese che comporta un'elevata capacità di innovazione, consente una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. Questa caratteristica è confermata dalle prestazioni dell'esportazione del settore e dal ruolo di grande rilievo dalla filiera nazionale nel mercato europeo della moda di qualità. Si stima, infatti, che il sistema di subfornitura italiano rifornisca il 60 per cento della moda di qualità del mondo e che l'industria tessile italiana raggiunga il 77,8 per cento del totale delle esportazioni europee;

    per la sua portata attuale, al settore corrisponde una consistente produzione e, di conseguenza, una consistente generazione di problematiche di impatto ambientale, come emerso dall'ultimo World Economie Forum, secondo il quale l'industria della moda è il secondo settore più inquinante al mondo dopo quello petrolifero; ogni anno è, infatti, responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra (CO2) e contribuisce alla dissipazione del 20 per cento delle risorse idriche totali, utilizzate nelle varie fasi lavorative, compresa, naturalmente, l'irrigazione delle colture tessili;

    a livello mondiale una prima problematica concerne il rilascio e la diffusione di sostanze chimiche usate nel processo produttivo, causa primaria del deterioramento della risorsa idrica, in particolare nella contaminazione delle falde acquifere, oltre che effetti nocivi con conseguenze sulla salute dell'essere umano; si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20 per cento dell'inquinamento globale dell'acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei corsi d'acqua (l'equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica);

    il consumo di moda è molto diffuso, poi, nelle economie industrializzate: poiché la moda è fondata sulle tendenze, il prodotto ha un ciclo di vita molto breve, che porta a un elevato accumulo di rifiuti spesso non biodegradabili. I dati dell'Ispra indicano che le imprese italiane della lavorazione di pelli e pellicce e dell'industria tessile hanno generato 745.458 tonnellate di rifiuti speciali nel 2018;

    si calcola, poi, che l'industria della moda sia responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di carbonio;

    i produttori ed i marchi «made in Italy» che non si rinnoveranno saranno senza dubbio danneggiati nel breve/medio termine da uno dei cambiamenti di paradigma: dai fattori tecnologici, come l'intelligenza artificiale, la biotecnologia, la digitalizzazione industriale, il riutilizzo creativo del lusso, alla necessità di mantenere il passo con una consapevolezza senza precedenti dei consumatori, che oggi si aspettano un autentico impegno dei marchi nei confronti dei valori etico-ambientali;

    da tempo le filiere del tessile, della pelletteria, degli accessori, della calzatura e della moda tentano di trovare un punto di equilibrio nella coesistenza tra l'emergenza etica, ambientale e sociale e lo sviluppo economico;

    l'attenzione ai temi della transizione ecologica non è solo una caratteristica produttiva, ma un'esigenza;

    come componente chiave della catena del valore globale, le piccole e medie imprese e le imprese artigiane italiane devono conformarsi alle pratiche sostenibili e alla gestione responsabile, destreggiandosi tra le varie certificazioni etiche, ambientali e nella sottoscrizione dei diversi protocolli quali, ad esempio, l'elenco delle sostanze soggette a restrizioni (Rsl – Restricted Substances List), l'elenco delle sostanze manifatturiere soggette a restrizioni (Mrsl – Manufacturing Restricted Substances List) e le campagne attivate per la gestione responsabile delle sostanze chimiche nei prodotti e nei processi, come anche i capitolati attraverso cui i marchi committenti effettuano le richieste di approvvigionamento;

    la necessità, sempre più impellente, di conformare tutti i settori alla realtà ecosostenibile, richiede uno sforzo corale affinché questo settore trainante per l'Italia diventi un asset strategico nella nuova programmazione comunitaria 2021-2027 e nel pacchetto della ripresa della Next Generation UE, dotandolo degli strumenti necessari per affrontare le sfide del futuro e, in particolare, per una transizione verso un modello tessile responsabile e sostenibile, per costituire modelli di gestione strategica ed operativa diretti alla compatibilità ecologica e sociale;

    la legislazione italiana, pur sapendo cogliere in termini generali gli obiettivi della sostenibilità e dell'economia circolare, non è stata in grado finora di creare un quadro normativo complessivo idoneo a favorire e sostenere concretamente questa transizione; in particolare, la normativa ambientale italiana continua a mantenere un approccio burocratico con norme a volte incoerenti che frenano anziché favorire la transizione;

    l'Italia, dato il valore economico, sociale e ambientale generato dalla sua filiera nella catena tessile globale, gioca un ruolo importante nell'identificazione, mitigazione e gestione sistemica delle esternalità negative; quella italiana è l'unica filiera al mondo tutt'oggi intatta, composta da imprese artigiane che lavorano dalla fase delle materie prime, passando per le fasi del processo produttivo, fino alla distribuzione, coinvolgendo quasi tutte le regioni italiane nell'indotto e, inoltre, la filiera della moda italiana gode di un vantaggio di competitività unico nel contesto globale legato principalmente ad una tradizione produttiva correlata al contributo fornito dalle specializzazioni produttive sorte nei cosiddetti distretti industriali;

    l'obiettivo è una transizione giusta, in cui l'approccio a uno sviluppo sostenibile non si limiti ai soli contesti maggiormente dipendenti da fonti e tecnologie altamente impattanti e climalteranti, ma sia in grado di attivare una leva di crescita che colga le caratteristiche e le esigenze settoriali che, a prescindere dalla dimensione aziendale, accompagni anche le imprese più piccole nella transizione;

    è necessaria la predisposizione di interventi in grado di rendere l'ecosistema tessile idoneo alla transizione ecologica, sostenendo l'accelerazione verde a tutti i livelli, nazionale, regionale e locale, ed enunciando i criteri base da porre a fondamento delle politiche interne;

    l'Italia, e l'Europa tutta, si trovano oggi nel pieno di una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, che ha messo in luce la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento; stimolare nuovi modelli aziendali innovativi creerà a sua volta la nuova crescita economica e le nuove opportunità di lavoro che l'Europa ha bisogno di recuperare,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per attuare una più efficace politica di tutela ambientale specificatamente dedicata al settore tessile e orientata, in particolare, ai temi della transizione verso un'economia circolare, con particolare riguardo a:

  a) incentivi, anche di natura fiscale, a favore delle aziende manifatturiere che introdurranno tecnologie, tecniche, servizi, processi e/o prodotti innovativi nella filiera, parametrati sulla base degli effettivi miglioramenti ambientali ed energetici conseguiti;

  b) supporto finanziario alla creazione di una rete nazionale di recycling hub per la gestione ed il riciclo degli scarti di lavorazione (pre e post consumo) e dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata della frazione tessile (capi abbigliamento, biancheria, casa e altro);

  c) politiche per la promozione della trasparenza e della tracciabilità delle filiere, attraverso il coordinamento di strumenti quali i sistemi di tracciabilità basati sull'identificazione a radiofrequenza e l'etichettatura, oltre che lo sfruttamento e l'utilizzo delle tecnologie e degli strumenti della blockchain/Dlt, internet delle cose (Iot), ed intelligenza artificiale (Ai);

  d) supporto finanziario alla creazione e al potenziamento di impianti (pubblici o consortili) di trattamento delle acque reflue e dei fanghi di depurazione derivanti dai cicli di nobilitazione tessile, con l'introduzione delle tecnologie più avanzate per l'abbattimento dei carichi inquinanti;

  e) supporto alla ricerca di nuove famiglie di prodotti chimici a ridotto impatto ambientale utilizzabili nei cicli di nobilitazione tessile;

2) ad attivare, in ambito europeo, tutte le iniziative di competenza per prevedere nella prossima programmazione comunitaria lo stanziamento di fondi per la prima «settimana della moda» italiana dedicata alla sostenibilità e all'innovazione, sul modello della Sustainable Fashion Innovation Society;

3) ad attivare iniziative di sostegno all'innovazione creativa, mediante:

  a) potenziamento del credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo relativamente al design ed all'ideazione estetica, con l'innalzamento dell'aliquota prevista dall'attuale credito d'imposta e del massimale, per almeno un quinquennio;

  b) sostegno all'attività di realizzazione dei campionari e delle collezioni del settore tessile abbigliamento privi di poliestere (pu) e rispettose dei principi di economia circolare, nei limiti della normativa sugli aiuti di Stato, con contributi a fondo perduto;

4) ad adottare iniziative per attivare strumenti agevolativi per incentivare la rilocalizzazione delle produzioni, almeno per articoli e/o servizi innovativi, favorendo nuovi investimenti industriali con:

  a) agevolazioni fiscali per periodi medio-lunghi (5-10 anni);

  b) finanziamenti agevolati o contributi a fondo perduto per riconversione di aree industriali e di impianti/macchinari;

5) ad adottare le iniziative di competenza per inserire, nei decreti attuativi di prossima adozione relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza per il rilancio dell'Italia, il sistema moda come elemento di sviluppo dell'innovazione, della competitività, della transizione ecologica, della rivoluzione verde mediante:

  a) attivazione di strumenti agevolativi a fondo perduto/crediti d'imposta per il supporto alla digitalizzazione di prodotti, collezioni e archivi aziendali;

  b) attivazione di strumenti agevolativi a fondo perduto/crediti d'imposta per lo sviluppo della creatività veloce e potenziata, la flessibilità strutturale degli impianti, la qualità della pianificazione del processo logistico tipico della moda;

  c) sostegno alla virtualizzazione di fiere, di eventi promozionali, di workshop sui principali mercati internazionali, sostegno alla creazione di showroom virtuali ed alla realizzazione di piattaforme per favorire l'incontro tra domanda e offerta di articoli di moda ecosostenibile;

  d) sostegno al primo evento dedicato alla transizione ecosostenibile della moda attraverso l'innovazione tecnologica, denominato – Phygital Sustainability Expo –, a cura della Sustainable Fashion Innovation Society;

6) ad adottare le iniziative di competenza per integrare i programmi formativi, con particolare riferimento ai percorsi di formazione professionalizzanti, al fine di includere il tema della sostenibilità e dell'innovazione responsabile per formare una nuova generazione di professionisti attenti e responsabili;

7) a promuovere campagne di comunicazione per sensibilizzare i consumatori ad acquisti sostenibili, in favore di una maggiore trasparenza circa la riparabilità, la provenienza da materiale riciclato e la riciclabilità dei prodotti al fine di veicolare gli utenti verso scelte consapevoli.
(1-00485) (Ulteriore nuova formulazione) «Meloni, Rampelli, Lollobrigida, Zucconi, Butti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci».

(18 maggio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è il primo Paese dell'Unione europea per occupazione dei settori del tessile, abbigliamento e pelli;

    la moda si costituisce, certamente, quale uno dei comparti produttivi più iconici del made in Italy nel mondo; nonostante ciò, è uno dei settori che ha maggiormente subìto gli effetti della recessione e della crisi pandemica;

    la filiera tessile-abbigliamento rappresenta l'8 per cento delle esportazioni annuali del manifatturiero italiano (novembre 2019-ottobre 2020), con un saldo commerciale fortemente attivo (10,5 miliardi di euro il consuntivo 2019) e la capacità di soddisfare tanto la domanda dei mercati tradizionali europei e nord americani, quanto quella delle nuove realtà dell'Estremo Oriente;

    il settore porta con sé anche il 10 per cento circa del «valore aggiunto» manifatturiero (2019), cui corrispondono 56 miliardi di euro di fatturato e 34 miliardi di euro di produzione (il 6 per cento del totale manifatturiero), generati da quasi 45 mila aziende capaci di occupare poco meno di 400 mila persone (più dell'8 per cento degli occupati 2019 del manifatturiero). Inoltre, il comparto moda si dimostra un grande volano tecnologico italiano, capace di esprimere il 14 per cento circa delle imprese manifatturiere italiane con attività innovative e il 10 per cento delle spese per innovazione dell'intero manifatturiero. La filiera della moda si completa con la distribuzione commerciale che conta, al 31 dicembre 2021, 108.666 imprese attive e 82.878 unità locali per complessivi 191.544 punti vendita che occupano complessivamente 278.964 addetti;

    si tratta di un settore economico estremamente trainante produttivo e commerciale per l'economia italiana, che necessita di azioni concrete e sviluppo a seguito del contraccolpo subito dal COVID-19;

    la moda italiana, se si considerano i tredici mesi della pandemia, da marzo 2020 a marzo 2021, ha subìto una perdita di fatturato rispetto ai 13 mesi precedenti di circa 20,6 miliardi di euro. Sul fronte della domanda interna, nel 2020 i consumi delle famiglie per vestiario e calzature subirono una contrazione di 12,6 miliardi di euro, con un calo del 19,7 per cento. Sui mercati esteri, le esportazioni della moda nel 2020 diminuirono di 11,2 miliardi di euro, pari ad una caduta del 19,5 per cento, intensità quasi doppia rispetto alla media della manifattura (-10 per cento);

    il comparto della moda nazionale si risolleva nella prima metà del 2021. Dopo lo stop determinato dalla seconda ondata di contagi da COVID-19, l'industria ha assistito a una decisa crescita del fatturato. I primi tre mesi del 2021 si sono chiusi in linea con il 2020 (-0,3 per cento), ma nel secondo trimestre è stato possibile registrare un forte rimbalzo del 63,9 per cento. Anche i consumi di abbigliamento e calzature sul mercato interno hanno registrato una variazione tendenziale positiva in quantità del 14,7 per cento, anche se si è ancora lontani dai livelli pre-COVID;

    si tratta di un risultato non scontato e che è stato possibile raggiungere grazie all'impegno e costanza degli operatori del settore. La ripresa a partire da gennaio 2021 del settore del tessile-abbigliamento, pelletteria e calzature, si è concretizzata con continuità sulla scorta della concretezza e capacità dell'artigianato italiano che ha saputo donare nuova linfa e ulteriore spinta al comparto. Artigiani e piccole e medie imprese hanno saputo sapientemente sfruttare gli incentivi riconosciuti dal Governo e le riaperture concretizzatesi grazie al costante lavoro del gruppo Lega e dei suoi Ministri. Stando ai dati divulgati da Cnmi-Camera nazionale della moda italiana, il rimbalzo del secondo trimestre 2021 ha portato l'aumento complessivo semestrale al 24 per cento, recuperando buona parte della caduta del 2020; ciononostante il fatturato rimane ancora del 15 per cento inferiore al secondo trimestre 2019. Nonostante la buona crescita registrata, ciò non è da sé sufficiente a riportare il giro d'affari del fashion made in Italy ai livelli pre-COVID;

    i dati del 2021, seppur incoraggianti, devono essere necessariamente comparati al precedente periodo 2020, ove a causa della crisi si è registrata una fase di recessione e stagnazione. Pertanto, pur sembrando percentuali molto elevate, quelle di fatturato del 2021 non sono assolutamente in grado di certificare un superamento della crisi del settore. Certamente, però, i dati dimostrano con grande chiarezza la qualità e la concretezza del made in Italy e dell'artigianato del settore moda, che ha saputo mantenersi produttivo e competitivo nel mondo, nonostante le forti difficoltà. Non ci si può permettere che questo sforzo produttivo, commerciale ed economico venga disperso, anche alla luce dei posti di lavoro e dell'indotto che ruotano attorno al settore;

    purtroppo, l'inizio della stagione vendita moda autunno inverno 2022/23 si è caratterizzato per la cancellazione di eventi e slittamento delle date e mancata partecipazione dei marchi più rappresentativi; si è registrato un inizio anno in controtendenza rispetto alle stime effettuate. Un gennaio che doveva essere il mese della ripartenza con la presentazione ai mercati delle collezioni moda autunno-inverno 2022/2023 e invece, sul panorama internazionale, si è constatata la cancellazione o il posticipo di diverse fiere, mentre sul fronte nazionale, marchi di primaria rilevanza hanno recentemente deciso di annullare la loro partecipazione ad importanti eventi promozionali, quali settimane della moda o fiere di riferimento. La legittima scelta di queste imprese porta a depotenziare la validità delle manifestazioni in questione e più in generale getta un'ombra sulla forza del nostro sistema moda. I grandi marchi possono fare queste scelte avendo un sistema di supporto in termini di comunicazione e sul fronte commerciale in grado di sopperire alla mancata presentazione delle loro collezioni attraverso sfilate o partecipazioni fieristiche, cosa ben diversa è per l'universo delle piccole e medie imprese. Anche le vendite nei saldi invernali di fine stagione 2022 hanno registrato una brusca frenata con cali a doppia cifra rispetto allo stesso periodo del 2021 e conseguentemente la preoccupazione per i nuovi scenari crea difficoltà anche in tema di ordinativi che le imprese commerciali stanno effettuando alla produzione per la stagione autunno/inverno 2022/2023;

    oltre allo spunto meramente economico-aziendale, è necessario calare il settore moda all'interno dello scenario politico e storico in cui ci si trova ad operare. Ormai l'industria è proiettata alla transizione ecologica ponendo le condotte di tutela ambientale al centro delle proprie scelte; in tale quadro, le imprese sono chiamate ad uno sforzo ulteriore che consenta di coniugare innovazione, sviluppo, produzione e sostenibilità ambientale;

    il mondo della moda da sempre ha cercato di unire queste due sfere, cercando un difficile equilibrio tra i diversi interessi. Alla luce degli scenari economico-politici che ci occupano non è più immaginabile che le imprese operino una transizione ecologica in assenza di un intervento collettivo che fornisca gli adeguati strumenti normativi. Permettere lo sviluppo dell'economia circolare e una produzione «green» del comparto moda, significa investire nel settore e predisporre azioni politiche e legislative adeguate a consentire all'ecosistema tessile di realizzare una realtà ecosostenibile lungo tutte le fasi del processo produttivo;

    senza un deciso intervento si rischia di compromettere definitivamente le filiere produttive del tessile abbigliamento, pelle, cuoio, calzature e occhialeria, annullando i risultati positivi del 2021 e facendo retrocedere il settore ai numeri del 2020;

    è necessario mettere in campo un piano straordinario di supporto alle imprese sistema moda italiano, sia per le piccole e medie imprese che per i grandi marchi,

impegna il Governo:

1) a proseguire gli incontri del «tavolo della moda» istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, finalizzato ad affrontare la gestione dell'emergenza e progettare il rilancio del settore;

2) ad adottare iniziative per istituire un contributo a copertura totale, per un primo modulo espositivo, per la partecipazione a manifestazioni in Italia con qualifica di fiera internazionale a favore delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese del settore moda (tessile, abbigliamento, pelletteria, pellicceria, calzature, occhialeria e componenti per la realizzazione delle collezioni) per gli anni 2022/2023, iniziando da quelle già in programma nel calendario invernale;

3) ad adottare iniziative per prevedere l'estensione automatica dei prestiti «COVID-19» e «SACE» aumentando il termine da 6 a 10 anni, anche mediante l'introduzione di una misura di sostegno specifica per il settore volta a consentire la rinegoziazione dei debiti nell'ambito delle misure di potenziamento del Fondo di garanzia;

4) ad adottare iniziative a sostegno delle politiche di transizione ecologica, permettendo alle filiere produttive del tessile, abbigliamento, pelle, cuoio, calzature e occhialeria, di attuare una più efficace politica di tutela ambientale;

5) ad adottare iniziative per introdurre agevolazioni fiscali per le imprese del settore che investiranno nella implementazione di tecnologie e prodotti innovativi sul piano ambientale ed energetico;

6) a promuovere lo sviluppo e il supporto di attività e iniziative di riciclo e recupero dei prodotti o scarti di lavorazione, contestualmente incentivando l'economia circolare anche per mezzo di contributi e detassazione;

7) ad adottare iniziative per istituire appositi fondi volti a consentire a tutte le imprese del settore l'adeguamento dei propri impianti alle più moderne tecnologie in materia di smaltimento, riciclo, recupero, depurazione e riduzione di emissioni;

8) a promuovere iniziative volte alla donazione di eccedenze di magazzino della distribuzione commerciale attraverso sgravi fiscali e crediti d'imposta a imprese che donano eccedenze di magazzino o raccolgono prodotti usati, posto che ciò consentirebbe, snellendo le procedure, di donare i beni assolvendo un ruolo sociale oltre che ambientale;

9) ad adottare iniziative per incentivare il consumo di prodotti made in Italy sostenibili con l'istituzione di un «bonus moda» consumatori;

10) ad adottare iniziative per prevedere un «finanziamento ponte» alle imprese, senza merito creditizio e ad interessi zero, da parte degli istituti di credito per i costi di funzionamento ed in particolare per l'energia e il gas;

11) a promuovere interventi immediatamente attuabili nonché a prevedere una progettualità di più ampio respiro nel medio e lungo periodo, necessari ad un sostegno immediato e ad uno sviluppo futuro del comparto moda, come di seguito specificati:

  a) quanto alle soluzioni immediatamente attuabili:

   1) sostenere politiche attive mirate alla ricollocazione sul mercato del lavoro, anche tramite riqualificazione professionale e percorsi di outplacement, dei lavoratori in esubero;

   2) incentivare strumenti di comunicazione rivolti alle giovani generazioni al fine di stimolare l'acquisto di prodotti made in Italy favorendo anche le produzioni attente a sviluppare percorsi di sostenibilità economica, sociale ed ambientale e agevolazioni per l'acquisto di prodotti italiani;

  b) quanto alla progettualità nel medio e lungo periodo:

   1) introdurre contributi tesi a migliorare la sostenibilità della filiera, l'innovazione creativa e lo sviluppo tecnologico-digitale nel comparto moda;

   2) predisporre una misura che agevoli l'inserimento nel settore di nuova tecnologia e strumenti digitali accompagnando tale inserimento con percorsi formativi specifici per il settore;

   3) prevedere una diminuzione del costo energetico mediante defiscalizzazione e/o riduzione degli oneri in bolletta;

   4) prevedere piani di investimento di lungo periodo nel campo della formazione e riqualificazione del personale;

   5) sviluppare piani di recupero delle risorse e lavorazioni ad alto contenuto di lavoro favorevoli allo sviluppo e incremento di tutta la filiera produttiva;

   6) introdurre misure di sostegno agli investimenti nella realizzazione dei campionari e promozione anche tramite strumenti digitali;

12) a predisporre iniziative di supporto alle filiere presenti nei distretti della moda, sia per le piccole e medie imprese che per i grandi marchi della moda italiana, intesi quali aree geografiche che sono tradizionalmente legate ad un tipo di produzione o lavorazione, presenti sul territorio nazionale;

13) ad adottare iniziative per attuare interventi mirati al mantenimento e alla crescita della filiera del settore tessile, abbigliamento, pelle, cuoio, calzature e occhialeria, mediante la predisposizione di una politica industriale di sviluppo del comparto e dell'industria manifatturiera italiana integrata alla politica commerciale delle nostre città.
(1-00598) «Fiorini, Molinari, Binelli, Andreuzza, Carrara, Colla, Galli, Micheli, Pettazzi, Piastra, Saltamartini, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Scoma, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(8 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il comparto della moda è ritenuto, da sempre e universalmente, un simbolo di qualità ed eccellenza del nostro Paese, nonché un faro per tutte le filiere interessate, sia per il ruolo crescente di città come Roma a Firenze nel palcoscenico internazionale, sia per il ruolo conquistato dalla città di Milano con la Milan Fashion Week – che negli anni ha portato la città ad affermarsi come vera e propria «Capitale mondiale della moda» – diventata ormai crocevia internazionale e luogo di massima espressione della moda italiana;

    durante il Governo Renzi, nel 2016, era stato già promosso un tavolo per il settore con l'allora Ministro Calenda ed il Sottosegretario Scalfarotto, a testimonianza della centralità del comparto e delle difficoltà che esso affronta da diversi anni sia sul piano interno che internazionale;

    è il comparto manifatturiero che, sia in termini economici che occupazionali, è stato maggiormente colpito dalla recessione innescata dalla pandemia, nonostante la resilienza acquisita dallo stesso grazie agli ingenti investimenti effettuati sul piano della digitalizzazione, innovazione e sostenibilità;

    l'industria della moda è una filiera complessa (tessile, abbigliamento, pelletteria, calzature), che occupa 500.000 lavoratori e genera 80 miliardi di euro di fatturato annui, pari all'8,5 per cento del totale dell'industria manifatturiera, con un indotto che, solo per la settimana della moda, vale circa 10 miliardi di euro e impegna 128.000 lavoratori, a conferma della forte attitudine del comparto ad amplificare il proprio valore aggiunto attraverso il coinvolgimento di professionisti, micro e piccole imprese;

    la moda italiana nel corso degli anni si è distinta costantemente per una forte capacità innovativa – con tassi di crescita costanti (1,3 per cento circa) – e per una strutturazione estesa e fortemente radicata sul territorio nazionale, che si articola a partire da una netta prevalenza di micro e piccole imprese fino alle griffe del lusso, passando per brand commerciali ad alta visibilità;

    quello della moda è stato uno dei comparti colpiti più duramente dallo scoppio della pandemia, con una contrazione delle vendite pari al 30 per cento solamente in Italia e una perdita complessiva del mercato mondiale pari a 50 miliardi di dollari, inesorabilmente riversatasi su tutta la filiera fino al retail;

    grazie al successo della campagna vaccinale e al conseguente allentamento delle misure di contenimento l'industria della moda, nel corso del 2021, ha vissuto una fase di crescita complessivamente in linea con i dati sulla ripresa economica del Paese;

    oltre alla sfida pandemia, l'industria italiana della moda sta facendo fronte, con convinzione, anche alla sfida della transizione energetica, attuando le buone pratiche per una moda circolare che guardi a una produzione e un consumo sostenibili, in cui i materiali e i prodotti vengano recuperati, riciclati e riutilizzati, riducendo sprechi ed emissioni e preferendo al fast fashion un modello di produzione che guardi conservi qualità e ambiente nel medesimo piano di priorità;

    la riduzione dei gas serra ha rappresentato da subito una priorità per la moda italiana, che nel giro di pochi anni ha portato a più che dimezzare i rifiuti tessili generati dal comparto, a recuperare più di 22.000 tonnellate di tessuti e ad aumentare fino al 75 per cento le componenti tessili rigenerate per indumento, anche grazie a una attenta campagna di sensibilizzazione volta a coinvolgere direttamente il consumatore nella raccolta dei capi non più utilizzati;

    l'industria della moda italiana ha risposto con convinzione anche alla sfida della delocalizzazione, mantenendo saldamente radicata sul territorio nazionale gran parte della produzione, riuscendo comunque a mantenere il proprio primato nonostante la concorrenza delle produzioni estere che tendono a fare affidamento su manodopera a basso costo e con livelli di tutela dei diritti dei lavoratori spesso scarsi o assenti;

    nonostante la pronta risposta dell'industria della moda a tali sfide, il comparto nazionale stenta ancora a ritornare ai livelli di crescita registrati prima della pandemia – con un fatturato complessivo che, rispetto al 2019, dimostra una perdita pari a circa il 7,8 per cento – e si affaccia ai prossimi anni con profondi fattori di incertezza;

    l'aumento dell'inflazione colpisce il comparto della moda in maniera diretta, con un aumento dei prezzi alla produzione e delle materie prime pari al 20,4 per cento su base annua, e un aumento dei prezzi energetici pari al 70 per cento per l'energia e il 105 per cento per il gas rispetto al primo trimestre 2021, ma incide negativamente sulle vendite anche per la conseguente e forte contrazione del potere d'acquisto e, dunque, della spesa discrezionale dei consumatori, che risentono di un aumento generale del livello dei prezzi pari al 5,7 per cento su base annua (ai massimi dal 1995);

    allo scoppio della crisi ucraina e al conseguente inasprimento delle sanzioni ha fatto seguito una forte fase ribassista dei mercati, con la prospettiva di una contrazione del mercato mondiale dei luxury goods pari a circa 6-8 miliardi di euro e di una riduzione delle esportazioni dell'industria della moda italiana pari al 2 per cento;

    tali dinamiche e l'incertezza che caratterizza l'attuale fase storica si traducono in un freno ai consumi, dando vita a pressioni sulle catene del valore della moda che risentono di un generalizzato clima di sfiducia nel e del mercato e che mettono a rischio l'export, cioè quello che tradizionalmente rappresenta il vero e proprio volano per la crescita della moda italiana,

impegna il Governo:

1) ad accompagnare la vocazione internazionale della moda italiana attraverso iniziative volte a promuovere il made in Italy, la sua tradizione, i percorsi di formazione e le linee di sviluppo che caratterizzano il settore, anche al fine di incrementare la fruibilità del settore della moda e favorire l'avvio di sinergie che possano garantire il coinvolgimento di un pubblico sempre più vasto all'interno del fashion system;

2) a favorire e supportare l'affermazione dei numerosi talenti emergenti del settore della moda, attraverso la messa a disposizione di spazi, finanziamenti, percorsi formativi nonché mediante la promozione di iniziative dedicate volte ad agevolare il dialogo tra associazioni maggiormente rappresentative, principali marchi del settore, informazione e investitori;

3) a supportare le iniziative adottate dalle filiere della moda per conseguire gli obiettivi di sostenibilità, etica ed economia circolare in tutti le fasi di elaborazione e promozione, così da favorire il rapido raggiungimento degli obiettivi COP26 e valorizzare gli sforzi sostenuti in questi anni dal comparto per il conseguimento degli stessi;

4) ad adottare iniziative per introdurre meccanismi di incentivazione per le imprese del settore che perseguano modelli di economia circolare e di circular by design, sia attraverso la produzione di prodotti durevoli e riparabili, sia mediante la progettazione e la fabbricazione degli stessi, in vista di un futuro disassemblamento che ne favorisca il riutilizzo e il riciclo, promuovendo, altresì, le campagne di sensibilizzazione avviate dalle imprese della filiera in favore del corretto smaltimento o riciclo dei prodotti;

5) ad adottare iniziative per prevedere meccanismi di sostegno finanziario per la filiera della moda in tutte le sue sfaccettature, riconoscendo pari dignità a ogni fase di produzione e tenendo in debita considerazione il carattere complesso, esteso e articolato della stessa, nonché l'amplissimo numero di micro e piccole imprese che la caratterizzano, in particolare attraverso:

  a) finanziamenti agevolati volti, al contempo, a garantire la tenuta delle imprese coinvolte e assicurarne il rilancio sul piano internazionale;

  b) prevedere per il comparto della moda – ferme restando iniziative per il sistema produttivo italiano nel suo complesso – sostegni economici volti a compensare l'aumento dei costi energetici sopportati dalle imprese, nonché strumenti normativi idonei a garantire l'aggiornamento dei contratti in essere in funzione dell'attuale incremento dell'inflazione, al fine di attenuare il grado di dipendenza delle imprese della filiera all'interno della stessa;

  c) iniziative volte a favorire il reperimento di materie prime anche al di fuori dalle tradizionali linee di approvvigionamento, promuovendo l'accesso delle imprese italiane in nuovi mercati e approntando un framework tecnico-normativo idoneo ad accompagnare le iniziative di reshoring, anche al fine di premiare la scelta degli operatori di puntare su mercati che garantiscono più alti livelli di tutela dei diritti dei lavoratori;

  d) l'istituzione di una piattaforma dedicata volta a favorire il dialogo tra e all'interno della filiera, al fine di incentivare la creazione di sinergie e l'individuazione di opportunità di investimento nel settore;

  e) iniziative volte a rafforzare la naturale vocazione internazionale della moda italiana attraverso l'e-commerce, favorendo la creazione di un polo digitale della moda che possa diventare punto di incontro fra mercato nazionale, internazionale e consumatori, nonché vero e proprio luogo di promozione, valorizzazione ed espressione dell'alta qualità e innovatività di tale eccellenza italiana;

6) ad accelerare i lavori del tavolo per la moda istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, anche al fine di definire, attraverso il coinvolgimento di tutte le realtà interessate, una politica industriale che possa mettere in sicurezza l'industria della moda italiana dalle forti variabili esogene che caratterizzano l'attuale fase congiunturale, nonché l'approntamento di una strategia complessiva in grado di garantire il rilancio del Made in Italy e dell'eccellenza italiana nel mondo.
(1-00599) «Moretto, Fregolent, Mor, Annibali, Bendinelli, D'Alessandro, Librandi, Nobili, Noja, Ungaro».

(8 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    con un fatturato che supera gli 80 miliardi di euro la filiera della moda rappresenta l'8,2 per cento dell'industria manifatturiera in Italia;

    il sistema moda occupa quasi 500 mila addetti (12,5 per cento dell'occupazione del comparto) di cui circa 312 mila (66,6 per cento) impiegati in circa 55 mila micro-piccole imprese del tessile, abbigliamento e pelle (MPI): il nostro, infatti, è il primo Paese europeo per numero di occupati nelle MPI del settore. Nel sistema moda operano, altresì, 36 mila imprese artigiane che danno lavoro a 158 mila addetti, un terzo (34,8 per cento) dell'occupazione del settore;

    nelle sole cinque regioni che trainano il settore (Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia) sono occupate 227 mila persone nelle micro e piccole imprese, valore che supera del 25,6 per cento l'occupazione delle omologhe imprese di Spagna, Germania e Francia messe insieme;

    come emerge dai dati sopracitati il settore moda si caratterizza nel nostro Paese per essere ad elevata vocazione artigiana;

    la ridotta dimensione media delle aziende rispetto a quella degli altri Paesi dell'Unione europea è bilanciata da una forte interrelazione tra le imprese che comporta una elevata capacità di innovazione e consente una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. Questa caratteristica è confermata dalle performance dell'export del settore e dal ruolo di grande rilievo della filiera nazionale nel mercato europeo della moda di qualità. Si stima, infatti, che il sistema di subfornitura italiano rifornisca il 60 per cento della moda di qualità del mondo e che l'industria tessile italiana raggiunga il 77,8 per cento del totale delle esportazioni europee;

    la filiera della moda nazionale è estesa e articolata, caratterizzata da una fase produttiva in cui prevalgono le piccole e medie imprese e una fase finale post-produzione operata in prevalenza da grandi marchi;

    a partire dall'inizio degli anni '90 alcune parti della filiera, quelle a più basso valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro, sono passate nelle mani di imprenditori stranieri o sono state delocalizzate in Paesi con un minor costo del lavoro. L'industria nazionale della moda ha però mantenuto in Italia le produzioni relative alle prime linee, ossia quelle che riguardano i prototipi e i campioni, le produzioni di nicchia e quelle posizionate sulla fascia alta del mercato, per le quali il made in Italy rappresenta un valore apprezzato dal consumatore, soprattutto straniero. Ed è proprio alle produzioni relative alle prime linee che le imprese finali medio-grandi con marchi a elevata visibilità e riconoscibilità si affidano per le loro forniture;

    aver mantenuto all'interno dei confini gran parte del processo produttivo e delle competenze di qualità ha garantito al sistema moda italiano un vantaggio competitivo indiscutibile che si registra anche in termini di capacità innovativa: l'innovazione caratterizza da sempre il sistema e contribuisce a renderlo particolarmente resiliente di fronte alle crisi;

    l'industria della moda è stata una delle prime a convertirsi alla tecnologia: il 7 per cento della spesa per ricerca e sviluppo manifatturiera italiana viene realizzato dal comparto moda. Un ambito rispetto al quale l'innovazione della moda italiana sta facendo grandi passi in avanti è quello legato al riciclo dei prodotti;

    dopo anni di andamenti positivi, nel 2020 il settore dell'abbigliamento ed accessori è stato tra i più esposti agli effetti della crisi – secondo solo al settore ricettivo e del turismo – e ha subito un duro contraccolpo a causa della pandemia, legato al mutamento di esigenze dei consumatori e alle criticità riscontrate nell'approvvigionamento, nella distribuzione e nelle vendite di articoli;

    la caduta dei ricavi nella moda registrati nel 2020 è stata del 21,2 per cento di intensità doppia della media delle imprese, con minori vendite per 17,9 miliardi di euro. Nel tredici mesi della pandemia, da marzo 2020 a marzo 2021, la perdita di fatturato rispetto ai 13 mesi precedenti è salita a 20,6 miliardi di euro;

    sul fronte della domanda interna, nel 2020 i consumi delle famiglie per vestiario e calzature si è ridotto di 12,6 miliardi di euro, con un calo del 19,7 per cento;

    sui mercati esteri, le esportazioni della moda nel 2020 sono diminuite di 11,2 miliardi di euro, pari ad una caduta del 19,5 per cento, intensità quasi doppia rispetto alla media della manifattura (-10 per cento);

    nei primi quattro mesi del 2021 nella moda si registrava un livello della produzione inferiore del 25,6 per cento rispetto al primo quadrimestre del 2019, anno pre-Covid, a fronte di un divario negativo dell'1,3 per cento per il totale della manifattura, con 13 comparti su 24 comparti che registrano un livello della produzione nei primi quattro mesi del 2021 superiore a quello del primo quadrimestre del 2019;

    già nel primo semestre dello scorso anno sul comparto moda si è inevitabilmente riversato l'impatto negativo delle tensioni sui prezzi delle materie prime e sul prezzo dell'energia;

    secondo i dati più recenti diffusi da Confartigianato a fronte di una produzione manifatturiera nazionale che grazie al rimbalzo del +13 per cento nel 2021, ha quasi completamente recuperato i livelli di attività pre-pandemia, (-0,4 per cento rispetto al 2019), il settore della moda appare in pesante ritardo: in particolare, la produzione dell'abbigliamento registra una riduzione del 35,4 per cento del volume di produzione rispetto a quello di due anni prima;

    il periodo di lockdown ha determinato il blocco di tutte le attività commerciali dei negozi di abbigliamento e accessori attivi in Italia (circa 130 mila con 300 mila addetti), dei quali circa 85 mila relativi al settore abbigliamento e circa 45 mila agli accessori. Solo una piccola parte del comparto, grazie allo smart working e all'intensificazione della vendita tramite piattaforme digitali, e-commerce o soluzioni quali il Click&Collect e ship-from-store, ha potuto dare continuità al business. Proprio l'e-commerce, infatti, è stato uno dei principali fattori di resilienza del settore durante il lockdown, garantendo la sussistenza di un giro d'affari minimo per le imprese attive nelle vendite online (l'11,6 per cento del totale). Allo stesso tempo, la migrazione verso soluzioni full digital è uno dei fattori che potrebbero costituire un rischio per l'occupazione nel settore: l'attuazione diffusa della dematerializzazione dell'attività di vendita infatti comporta un cambiamento dell'assetto organizzativo delle imprese, nelle competenze future-proof del settore e, di conseguenza, nei profili professionali, rendendo più deboli alcune tipologie di lavoratori, soprattutto quelli a più bassa qualifica come gli addetti alle vendite al dettaglio;

    la ripresa delle attività produttive non si è ancora riflessa pienamente sull'occupazione del settore moda: nei primi tre trimestri del 2021 il numero di ore lavorate è stato maggiore per il 63 per cento delle imprese, ma l'ottimismo legato a questo rialzo non si è tradotto nello scorso anno in un aumento significativo degli addetti;

    segnali di ottimismo arrivano dal Focus On – «Il Fashion tornerà di moda?» – elaborato da Sace, il quale evidenzia come il comparto moda nazionale abbia dimostrato una generale e significativa resilienza nel contesto emergenziale pandemico e questo grazie in gran parte all'organizzazione produttiva (grandi realtà imprenditoriali che convivono con e fioriscono grazie alla presenza di micro e piccole imprese localizzate in distretti o territori altamente specializzati, dove l'artigianalità ha saputo mantenersi e rinnovarsi con l'avanzare del tempo, delle tecnologie e dei gusti e delle scelte dei consumatori) e in parte all'elevata qualità dei prodotti, che genera un alto valore di vendite estere;

    nel contesto post pandemico il settore della moda si trova dunque di fronte a profondi cambiamenti strutturali che rappresentano una sfida e richiedono uno sforzo innovativo alle imprese: per il settore sarà dunque di fondamentale importanza affrontare temi, quali digitalizzazione e sostenibilità;

    la sostenibilità è diventata parte integrante di varie iniziative di rilancio post-Covid. In questo senso, allo scopo di favorire l'economia circolare all'interno del sistema moda. Anche le imprese stanno agendo sempre più per limitare il proprio impatto ambientale in fase sia di produzione sia di ricerca e sviluppo, ma anche tramite servizi offerti al consumatore (ad esempio, quelli di sartoria per incentivare la riparazione dei prodotti);

    a sua volta, la digitalizzazione porterà ampie innovazioni al sistema moda lungo le diverse fasi della filiera. A valle l'esperienza di shopping diventerà sempre più digitale, grazie alla maggiore diffusione dell'e-commerce su diverse piattaforme e all'utilizzo dell'intelligenza artificiale nei camerini di prova dei negozi fisici. A monte, invece, l'applicazione della realtà aumentata permetterà di ridurre gli sprechi lavorando su modelli 3D e producendo solo le parti necessarie. L'applicazione delle avanzate tecnologie dell'industria 4.0 potrebbe consentire di ridurre i costi di produzione, il time-to-market ovvero il lasso di tempo che intercorre fra l'ideazione e la commercializzazione di un prodotto, e i rifiuti generati; le evoluzioni della blockchain – da un lato – potrebbero essere funzionali nel migliorare la tracciabilità di ogni fase di vita di un capo moda rendendo più trasparente la catena di approvvigionamento e – dall'altro – potrebbero garantire lo scambio di informazioni fra fornitore e venditore tramite una gestione sincronizzata dei dati, migliorando la gestione dei magazzini e delle scorte;

    dopo lo scoppio della pandemia, le imprese hanno dovuto reagire velocemente trovando nuove soluzioni per raggiungere la propria clientela. Tali modalità di comunicazione e di ingaggio online, così come la digitalizzazione delle esperienze di shopping, non solo online ma anche nei negozi fisici, vedranno con ogni probabilità un'ulteriore diffusione nel corso dei prossimi anni. L'e-commerce, come in parte già detto sopra, assumerà un ruolo sempre più rilevante nelle scelte di acquisto dei consumatori e diventerà quindi essenziale predisporre innovative piattaforme di vendita online per intercettare anche le esigenze e i gusti delle nuove generazioni sia sul mercato domestico sia su quello estero;

    i social media e le applicazioni di messaggistica stanno diventando importanti mezzi per influenzare e direzionare le preferenze dei clienti, non solo come strumento pubblicitario ma anche per lo shopping online: si pensi al fenomeno del livestream commerce, che consiste nell'utilizzo di piattaforme per sessioni di shopping online in diretta tramite cui si possono vendere e pubblicizzare i propri prodotti, operazione a un costo minimo per i brand ma con un'elevata e rapida risposta tra gli utenti;

    d'altro canto, i negozi fisici, così come le fiere, continueranno a essere luoghi dove il cliente può sentirsi accolto, seguito e guidato nel percorso di scelta all'acquisto, dimostrandosi sempre un'occasione per enfatizzare e promuovere la qualità e l'artigianato dei prodotti made in Italy;

    sarà cruciale, dunque, un'integrazione dei canali fisici con il digitale: la digitalizzazione, grazie all'uso dell'intelligenza artificiale, permetterà di proporre metodi innovativi per promuovere l'esperienza di shopping nei negozi fisici;

    i vantaggi della digitalizzazione non riguardano solamente la vendita al consumatore finale, bensì anche l'intero ciclo delle catene del valore: grazie alla realtà aumentata e ai modelli 3D si può generare e visualizzare un'immagine come se fosse nel mondo reale senza che sia stata materialmente prodotta. Questo permetterà, non solo, di ridurre gli sprechi di tessuto o altri rifiuti perché sarebbero utilizzate solo le parti necessarie, ma anche al design del prodotto di essere inviato direttamente al sito manifatturiero, essere modificato o personalizzato secondo i gusti del cliente senza lo spreco di risorse fisiche, il cosiddetto virtual sampling;

    anche la filiera della moda, specie nelle fasi di ricerca delle materie prime, fabbricazione e distribuzione, potrebbe essere resa più efficiente e trasparente con l'introduzione di nuovi metodi digitali. Algoritmi statistici e tecniche di machine learning potrebbero aiutare a prevedere trend di domanda e preferenze di consumo futuri;

    la digitalizzazione può essere intesa – altresì – anche come driver della stessa sostenibilità permettendo di costruire una catena di fornitura più veloce e flessibile, in modo da ridurre gli sprechi e rendere l'industria fashion meno inquinante;

    il tema della sostenibilità ha visto una vera e propria spinta a seguito dello scoppio della pandemia diventando parte integrante di varie strategie di rilancio. Tale indirizzo si aggiunge a consumatori sempre più consapevoli e interessati a conoscere le modalità di produzione e lavorazione degli indumenti, con un'attenzione particolare sia all'origine naturale delle fibre tessili sia alle condizioni di lavoro degli addetti nelle filiere. In questo contesto, la filiera del fashion si trova a dover operare alcuni importanti cambiamenti;

    l'industria della moda è infatti inquinante: le diverse stime sulle emissioni globali di gas serra del settore moda variano dal 3 al 10 per cento; considerato l'elevato impiego di energia e l'utilizzo di una vasta quantità di acqua sia per la coltivazione di cotone e altre fibre tessili sia nella fase di produzione;

    l'industria dell'abbigliamento sarebbe responsabile del 6,7 per cento delle emissioni globali, circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2eq, mentre quello dell'industria calzaturiera per l'1,4 per cento pari a 700 milioni di tonnellate di gas climalteranti. Il 70 per cento delle emissioni proviene da attività di produzione e lavorazione della materia prima (tintura e finissaggio, preparazione del filato e produzione di fibre sono le fasi a più alta intensità di carbonio). Il maggior impatto ambientale è riconducibile al crescente utilizzo di fibre a base di combustibili fossili (il 64 per cento dei tessuti prodotti è realizzato in materiali sintetici, compresi poliestere, nylon, acrilico e poliammide), ma anche alle abitudini di consumo e alla catena di approvvigionamento. Basti pensare che, tra il 2000 e il 2015, il numero dei capi di abbigliamento prodotti ogni anno è più che raddoppiato, arrivando a circa 100 miliardi di unità, mentre è diminuito di quasi il 40 per cento il cosiddetto «tasso di utilizzo»;

    ciò ha determinato un largo aumento della quantità di rifiuti tessili: un cittadino europeo acquista in media 26 chilogrammi di prodotti tessili in un anno e ne smaltisce circa 11 chilogrammi (l'87 per cento dei quali viene smaltito in discarica o negli inceneritori). A livello globale solo l'1 per cento degli abiti viene riciclato per produrre nuovi vestiti;

    nel nostro Paese il settore tessile ha prodotto in totale nel 2019 circa 480.000 tonnellate di rifiuti; circa la metà proviene dall'industria tessile, seguita dalla raccolta urbana che incide per il 30 per cento. A confronto con il 2010, i rifiuti tessili complessivamente sono in aumento del 39 per cento. I rifiuti smaltiti in discarica o con altre modalità di smaltimento, pur avendo mantenuto una percentuale di circa il 10 per cento sul totale, sono aumentati tra il 2010 e il 2019 di quasi il 50 per cento in quantità (passando da circa 35.000 tonnellate a oltre 50.000 tonnellate). Secondo i dati dell'istituto superiore per la protezione ambientale, pubblicati lo scorso dicembre nell'ultimo «Rapporto sui rifiuti urbani», sono 143,3 mila le tonnellate di rifiuti tessili urbani differenziate nel 2020, in diminuzione rispetto alle 157,7 mila del 2019, e appena l'1 per cento del totale della raccolta differenziata;

    in risposta a tali criticità il nuovo Piano d'azione europeo 2020 sull'economia circolare (COM/2020/98) individua il tessile tra i settori strategici per il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti e l'incremento sostanziale del riciclaggio dei rifiuti urbani e dei rifiuti d'imballaggio. In fase di recepimento delle direttive rientranti nel pacchetto europeo sull'economia circolare, il decreto legislativo n. 116 del 2020 ha previsto l'adozione di un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, nell'ambito del quale risulta fondamentale la creazione di sistemi che promuovano attività di riparazione e di riutilizzo anche per il settore tessile. L'Italia ha inoltre fissato al 2022 l'avvio della raccolta differenziata per i tessili, anticipando la soglia stabilita a livello comunitario per il 2025;

    nell'ambito del Piano italiano di ripresa e resilienza, una specifica linea di investimento («1.2: Progetti “faro” di economia circolare»), si propone inoltre di potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di gestione contribuendo al raggiungimento del 100 per cento di recupero nel settore tessile tramite «Textile Hubs»;

    al fine di agire a monte della filiera e renderla fin dal principio più sostenibile è necessario introdurre anche nel settore tessile il meccanismo della responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility, riutilizzo). Al momento, la Francia è l'unico Paese europeo ad aver introdotto, già nel 2007, l'EPR sui rifiuti tessili, biancheria per la casa e calzature, ma la Commissione europea sta lavorando a una sua applicazione a livello di Unione europea;

    in quest'ambito, la distribuzione commerciale potrebbe avere un importante ruolo nel recupero di prodotti usati per favorire il loro riciclo o il riuso, ad esempio, attraverso la donazione dei prodotti in buono stato e/o la donazione delle eccedenze di magazzino ad Onlus/Enti di beneficenza. In questo caso, sarebbero importanti interventi mirati a concedere vantaggi fiscali, ad esempio, attraverso crediti d'imposta alla distribuzione commerciale che si adopera in tal senso. Ciò consentirebbe, snellendo le procedure, di donare i beni assolvendo un ruolo sociale, oltre che ambientale;

    sotto il profilo della sostenibilità ambientale, l'industria tessile riveste un ruolo cruciale anche nell'inquinamento da microplastiche delle acque. Ogni anno, per effetto del lavaggio dei prodotti tessili e dei capi di abbigliamento, vengono rilasciati nei mari mezzo milione di tonnellate di microfibre di origine sintetica: una quantità pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica, con ingenti danni all'ecosistema e alla vita marina. Secondo un recente studio della International Union for Conservation of Nature, le microfibre da tessuti sintetici rappresenterebbero ben il 35 per cento delle microplastiche primarie (quelle cioè che non si formano dalla decomposizione dei rifiuti) che finiscono in mare, la sostenibilità non si misura ovviamente solo in termini ambientali, ma anche a livello sociale. L'industria della moda, in parte per la propria struttura caratterizzata da catene di approvvigionamento lunghe, così come dalla ricerca di fornitori in grado di garantire prezzi sempre inferiori a sfavore, talvolta, della sicurezza, è stata e tutt'ora è particolarmente soggetta a problemi di sostenibilità sociale, quali inadeguati compensi economici per i lavoratori e mancato rispetto dei diritti umani lungo la catena. L'interesse sempre crescente mostrato dai consumatori per questi temi è sicuramente un importante stimolo di miglioramento su questi aspetti per gli attori della filiera;

    l'innovazione tecnologica avanza prepotentemente nel settore moda e da questo discende direttamente la necessità di procedere con tempestività e determinazione verso l'upskilling e reskilling degli occupati: da subito occorre impostare e rendere operative azioni condivise per sostenere processi di innovazione nel campo della formazione e del trasferimento delle competenze, in favore delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese del settore della moda, volte a migliorare la capacità produttiva delle aziende;

    un'ulteriore preoccupazione per il futuro del settore tessile, abbigliamento e pelli – da tutti riconosciuto come strategico per il made in Italy – discende dall'impatto della mancanza del ricambio generazionale che in questo settore, caratterizzato dal trasferimento delle conoscenze tra il lavoratore più esperto e il giovane neoassunto, può facilitare la dispersione di competenze essenziali lungo tutta la filiera produttiva;

    particolarmente interessata dai processi di modernizzazione e della mancanza del ricambio generazionale è l'attività di sartoria: la creatività sartoriale italiana è ammirata ed elogiata in tutto il mondo, ma la professione del sarto è troppo spesso sottovalutata all'interno della filiera. Purtroppo, tra le nuove generazioni, i ragazzi che scelgono questa professione sono pochi, mentre, per contro, la domanda da parte delle sartorie per assumere giovani qualificati e formati nei processi innovativi di processo e di prodotto è in costante crescita. Pochi anche i giovani che scelgono la strada della professione sartoriale autonoma: l'apertura di una nuova sartoria comporta, infatti, una spesa media che si aggira dai 30 ai 40 mila euro, per un locale di piccole e medie dimensioni (ma tale cifra varia in base ai macchinari utilizzati e alla tipologia di servizi che sono messi a disposizione della clientela) e l'assolvimento di alcuni passaggi amministrativi e burocratici riguardanti sia la ditta che il locale utilizzato;

    una particolare importanza deve essere dedicata al tema dei giovani, a come costruire un percorso che porti al mondo del lavoro attraverso una più stretta correlazione e integrazione tra scuola e lavoro, tra mondo dell'istruzione e formazione e imprese: dobbiamo preparare nuovi tecnici, preparati nell'utilizzo delle nuove tecnologie ma anche pensare alla nostra tradizione artigianale riportando attenzione alla manualità;

    con riguardo alla formazione a livello universitario, questa deve essere portata a sviluppare un maggior confronto con il mondo delle piccole e medie imprese e definire costanti programmi di internship per gli studenti durante tutto il percorso universitario;

    si rende poi necessario supportare le imprese italiane sul fonte dell'internazionalizzazione favorendo l'entrata nelle imprese di nuove, aggiornate e adeguate competenze;

    le aziende titolari dei marchi storici del settore sono il trait de union tra passato e futuro del settore moda: esse incarnano «il bello e ben fatto» che mantiene le caratteristiche di opera artigianale e creativa pur affermandosi come brand innovativo ed internazionale;

    la necessità di incentivare l'innovazione di processo e di prodotto e di arginare il crollo della domanda nel settore moda sono stati oggetto nel contesto dell'emergenza pandemica di due specifiche misure del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio): un contributo a fondo perduto per l'acquisto e l'installazione di nuovi macchinari da parte delle piccole imprese di nuova o recente costituzione e per la creazione e l'utilizzo di tessuti innovativi da parte di giovani talenti (articolo 38-bis) e un credito d'imposta riconosciuto al fine di contenere gli effetti negativi delle rimanenze dei prodotti in magazzino (articolo 48-bis): con avviso del 23 settembre 2021, a fronte delle domande presentate e del relativo assorbimento dell'intera dotazione finanziaria il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato la chiusura dello sportello per richiedere il citato contributo a fondo perduto;

    lo scoppio della pandemia ha purtroppo rallentato la definizione di un Piano strategico per le imprese culturali e creative, in particolare quelle del settore moda;

    la realizzazione e la piena operatività di tale Piano risultano imprescindibili per superare la natura frammentata ed emergenziale dell'azione di supporto al settore e definire una strategia a medio e lungo termine di sostegno e di potenziamento del comparto moda,

impegna il Governo:

1) nel quadro di una complessiva strategia di sostegno e di potenziamento dell'operatività del settore della moda, ad intraprendere tempestive iniziative, anche normative, finalizzate:

  a) a prevedere, nel più breve tempo possibile, un Piano strategico per le imprese culturali e creative con specifico riguardo alla filiera della moda;

  b) a supportare, attraverso un programma mirato di incentivi di carattere finanziario e fiscale, la creazione di ecosistemi produttivi in cui attivare percorsi di formazione e di affiancamento finalizzati a favorire – anche attraverso il potenziamento della collaborazione tra enti locali, camere di commercio ed associazioni di categoria delle micro-piccole e medie imprese della filiera moda – la nascita di nuove imprese nonché il passaggio dalla micro attività artigianale locale a realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni nella prospettiva di una evoluzione di tali ecosistemi in veri e propri distretti produttivi della moda;

  c) a definire una misura ad hoc finalizzata a sostenere la rinegoziazione dei debiti nell'ambito delle misure di potenziamento del Fondo di garanzia portando i prestiti «Covid» e «SACE» dai 6 ai 10 anni;

  d) a predisporre una misura che agevoli l'inserimento nel settore di nuova tecnologia e strumenti digitali – anche attraverso il rifinanziamento della misura di cui al citato articolo 38-bis del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio) – accompagnando tale inserimento con percorsi formativi ad hoc, sostegno per investimenti nella realizzazione dei campionari e promozione anche tramite strumenti digitali;

  e) a prevedere un contributo a copertura totale per un primo modulo espositivo per la partecipazione a manifestazioni in Italia con qualifica di fiera internazionale a favore delle imprese artigiane e piccole e medie imprese del settore moda (tessile, abbigliamento, pelletteria, pellicceria, calzature, occhialeria e componenti per la realizzazione delle collezioni) per gli anni 2022/2023, iniziando da quelle già in programma nel calendario invernale;

  f) a supportare le imprese italiane del settore della moda, ed in particolare le micro, piccole e medie imprese, sul fronte dell'internazionalizzazione favorendo l'entrata nelle imprese di nuove, aggiornate e adeguate competenze e prevedendo in questo contesto, oltre alle misure già previste dal Patto per l'export e dal piano straordinario per il Made in Italy con particolare riferimento su questo fronte ai progetti per la formazione dei cosiddetti D-TEM Giovani, anche misure integrative che possano finanziare il soggiorno all'estero di giovani laureati per realizzare progetti di penetrazione commerciale sui mercati a favore di imprese artigiane e piccole e medie imprese;

  g) a sostenere la collaborazione tra università e la filiera dell'artigianato moda, favorendo una distribuzione equilibrata delle innovazioni sviluppate dalla ricerca anche tra le micro, piccole e medie imprese;

  h) a incentivare l'adozione di modelli di sostenibilità che rivalorizzino il punto vendita come luogo di interazione ed esperienziale in grado di reggere la concorrenza dell'e-commerce;

  i) a incentivare gli investimenti in nuovi concept store sostenibili e in nuovi servizi coerenti con la circular economy (come la creazione di corner o punti vendita di prodotti di seconda mano e/o per il noleggio di accessori, allestimento di aree per la riparazione di capi sartoriali o calzature e accessori), anche attraverso la diffusione di best practice e reti di impresa;

  l) a qualificare le imprese del settore in questione ambientalmente virtuose attraverso la previsione di un marchio di sostenibilità sulla base di un sistema di valutazione delle attività e dei target energetici e ambientali conseguiti;

  m) a definire in tale contesto una strategia nazionale volta a prevenire la produzione di rifiuti tessili e a incrementare la raccolta differenziata, in modo strutturale e uniforme sull'intero territorio nazionale;

  n) a incentivare investimenti in tecnologie e impianti in grado di recuperare materia dagli scarti di lavorazione della frazione tessile e ridurre le emissioni di CO2 e NOx con riguardo all'intera filiera;

  o) a introdurre sistemi di tracciabilità della filiera e un regime di etichettatura obbligatoria degli abiti che indichi la composizione del tessuto e i metodi di lavaggio più sostenibili e a promuovere un sistema di responsabilità estesa del produttore (cosiddetti EPR) per i rifiuti tessili;

  p) a promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte alle aziende dell'intera filiera, compresi i creatori di moda, sulla necessità di investire nella ricerca e nell'innovazione in tessuti e prodotti più sostenibili in tutte le fasi del ciclo di vita e con un rilascio minimo di microfibre nell'ambiente;

  q) a prevedere misure agevolative, con particolare riferimento all'abbattimento degli oneri contributivi e alla formazione nelle tecnologie innovative, in favore dei giovani tra i 18 e i 35 anni che vogliano avviare in forma autonoma l'attività di sartoria;

  r) a potenziare le misure di tutela della competitività delle aziende titolari dei marchi storici attraverso strumenti di rafforzamento patrimoniale e di sostegno all'internazionalizzazione nonché a definire agevolazioni di natura fiscale e finanziaria per l'acquisizione da parte di imprese nazionali di aziende titolari di marchi storici in crisi, al fine di tutelarne la proprietà industriale.
(1-00600) «Orrico, Federico, Sut, Carbonaro, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Palmisano, Perconti, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Maraia, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi, Papiro».

(8 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    i dati di Confindustria moda, presentati nell'agosto 2021, evidenziano che le imprese del sistema moda Italia, del quale fanno parte calzature, concia, occhialeria, oreficeria, argenteria e gioielleria, pelletteria, pellicceria, tessile abbigliamento e accessori, nel 2019 hanno fatturato 98 miliardi di euro, hanno esportato per 68 miliardi e hanno positivamente contribuito al saldo della nostra bilancia commerciale per 32 miliardi. Il solo settore tessile moda abbigliamento (Tma) ha realizzato un valore aggiunto superiore ai 26 miliardi di euro, che rappresenta un decimo del valore aggiunto del settore manifatturiero e lo colloca come quarto settore industriale nazionale. A livello di occupazione il solo Tma disponeva di 575.000 occupati, di oltre 64.000 aziende e valeva oltre il 13 per cento dell'occupazione manifatturiera;

    fino al 2019, le esportazioni di questo settore sono cresciute notevolmente rispetto 20 miliardi di euro degli anni Novanta e nell'arco degli anni 2012-2019 l'industria della moda italiana nel suo complesso è cresciuta più del prodotto interno lordo, raggiungendo circa il 2 per cento dello stesso prodotto interno lordo;

    con la crisi pandemica del 2020 il fatturato è sceso a 75 miliardi di euro (-23,5 per cento) l'export a 54,6 miliardi (-19,8 per cento), il saldo della nostra bilancia commerciale a 22,5 miliardi (-29,6 per cento). Più contenuta è stata la perdita delle imprese (circa 1.500 in meno –2,4 per cento) e degli addetti (circa 21 mila in meno, –3,5 per cento). Unico dato positivo per l'anno 2021 è costituito dall'aumento della propensione all'export, salito al 72,8 per cento, ma a fronte della grave caduta dei consumi interni. Il 2021 ha registrato un importante recupero (circa il 20 per cento) attestandosi però su risultati di alcuni punti inferiori al 2019. In questo quadro si registra il vivace incremento dell'export verso la Cina e la Corea del Sud (oltre il 50 per cento), nonché verso la Francia, gli Stati Uniti e la Germania. La Brexit ha inciso fortemente sull'export verso la Gran Bretagna e questo dà il senso di quanto la globalizzazione sia importate per il comparto;

    da anni, tuttavia, il sistema moda nazionale registra rallentamenti nella crescita sia dei ricavi che dei profitti. Dal 2008 al 2016 il numero delle imprese artigiane che si occupavano di abbigliamento si è ridotto da 37.449 a 28.317 con un calo del 24,4 per cento. Tuttavia, il sistema di subfornitura italiano rifornisce ancora il 60 per cento della moda di qualità del mondo e il tessile lavorato in Italia costituisce quasi il 78 per cento delle esportazioni europee;

    nel febbraio 2019 Mediobanca ha diffuso una analisi delle 163 aziende del settore moda che nel 2017 hanno maturato un fatturato almeno di 100 milioni di euro. Dell'intero campione, 66 (erano 58 nel 2016) sono di proprietà straniera e, in particolare, oltre il 12,4 per cento sono controllate da gruppi francesi (per l'esattezza 26). Con riferimento al fatturato, dall'assieme analizzato da Mediobanca, il 34 per cento è stato generato da imprese a controllo estero;

    inoltre, il citato rapporto fa il confronto tra le 15 imprese più rilevanti del settore, sia per l'Italia, che per la Francia. Per l'Italia si tratta di 15 imprese con un volume di affari superiore al miliardo di euro. Il giro d'affari del Top15 moda Italia si è attestato nel 2016 a 30,3 miliardi di euro (+18,6 per cento sul 2012). Ma il giro d'affari delle Top15 moda Francia nel 2016 è stato pari a 76,9 miliardi di euro, oltre il doppio di quello delle Top15 moda Italia. Inoltre, il Top15 moda Francia è cresciuto di più del Top15 moda Italia: nel 2012-2016 i ricavi francesi sono aumentati del 24,4 per cento contro il 186 per cento di quelli italiani. In un quadro comune di margini calanti, la moda italiana è meno redditizia di quella francese: nel 2016 il risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari (EBIT margin) per i Top15 Francia era del 17,2 per cento, mentre per i Top15 Italia si è fermato all'11,65;

    tuttavia, mentre in Italia le imprese di settore oltre il miliardo sono 15, in Francia sono solo 8. Il gruppo Gruppo LVMH (proprietario di oltre settanta marchi divisi in aziende di alta moda come Christian Dior, Bulgari, DKNY, Fendi, Céline, Guerlain, Givenchy, Kenzo, Loro Piana e Louis Vuitton), da solo, fattura circa la metà del Top15 francese (38 miliardi) e più di tutto il Top15 italiano. Segue Kering (proprietario di marchi di lusso, tra i quali Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni, Pomellato) con 12,39 miliardi;

    per fronteggiare la crisi pandemica del 2020 sono state adottate diverse misure a sostegno del settore della moda. Oltre alle norme di valenza generale (cassa integrazione COVID-19, credito di imposta per i fitti commerciali, finanziamenti coperti dal Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese e dalla Sace), sono stati previsti crediti d'imposta per contenere gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino nel settore tessile, della moda e degli accessori, nonché per la mancata partecipazione a fiere e manifestazioni commerciali, oltre a misure per il sostegno ai dei giovani talenti operanti nell'industria del tessile, della moda e degli accessori. Inoltre, è stato previsto l'inserimento del settore Tma nell'ambito dei settori strategici per i quali Sace Spa deve promuovere all'estero l'internazionalizzazione del made in Italy;

    sono stati inoltre fortemente aumentati i finanziamenti del Piano straordinario per il made in Italy, originariamente previsto dall'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»). Ai 605 milioni di euro previsti nel maggio 2021 per il quadriennio 2021-2024 (di cui 30 milioni l'anno manifestazioni fieristiche italiane di livello internazionale e 80 milioni complessivi per l'e-commerce), si sono aggiunte le risorse del Patto per l'export, dotato, dal 2022 al 2026, di uno stanziamento di 1,5 miliardi l'anno a titolo rotativo. Le iniziative che l'Ice-Agenzia realizza a favore dell'export e dell'internazionalizzazione delle aziende italiane del Sistema moda, sono rivolte non solo alla partecipazione collettiva presso le più importanti fiere a livello globale e alle operazioni di incoming di operatori esteri in Italia, ma sono sempre più orientate a progetti attinenti alla grande distribuzione organizzata (Gdo) e all'e-commerce;

    gli operatori del Sistema moda nazionale segnalano, peraltro, che, se le aziende italiane di settore negli ultimi anni hanno aumentato l'export (salito al 65,5 per cento) e costruito reti distributive internazionali, è stato anche grazie alla spinta arrivata dalle fiere nostrane e ai finanziamenti erogati dallo Stato ai 50 saloni-top del made in Italy. Circa il 50 per cento delle nuove esportazioni italiane nascono da contatti avuti durante le sfilate, i saloni, le manifestazioni e gli incontri di affari ad esse connessi;

    tra le sei filiere strategiche individuate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza c'è anche la moda. Gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per sostenere i settori industriali del Paese, tra crediti di imposta e contratti di sviluppo, cubano un totale di 2,2 miliardi di euro complessivi. Una dote da 750 milioni di euro è destinata a progetti di investimento legati alla digitalizzazione, innovazione e competitività delle filiere del made in Italy e un'altra da 1 miliardo di euro per rafforzare gli investimenti, anche in ricerca e innovazione;

    nel corso della pandemia una parte crescente del mercato delle griffe si è trasferito on line: un'indagine McKinsey per Camera della moda e Pitti Immagine ha mostrato che nel periodo di chiusura gli acquirenti on line di prodotti fashion e luxury sono aumentati del 24 per cento e che in Italia l'82 per cento dei clienti ha trovato questa esperienza soddisfacente. Il digitale ha contribuito a mantenere vivo l'interesse per questi settori, ma i brand dovranno ripensare la propria presenza e l'esperienza di acquisto che offrono ai consumatori;

    tuttavia, la riforma del patent box, prevista dalla legge di bilancio per il 2022, che prevede una super deduzione dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo, diversamente da quanto originariamente previsto, esclude dal beneficio i marchi della moda e le aziende della filiera non risultano più tra i beneficiari. L'agevolazione per i costi di sviluppo del marchio decade, disincentivando la stessa ricerca dei brand. Altagamma, associazione che riunisce oltre 100 marchi del lusso, ha chiesto un confronto al Ministero dello sviluppo economico. Resta invece applicabile al settore moda il credito d'imposta «Ricerca, sviluppo, innovazione e design» introdotto dalla legge di bilancio per il 2020, nonostante l'ultima legge di bilancio per il 2022 abbia esteso l'ambito temporale del credito di imposta «design» sino al 2025 a fronte dell'estensione del credito «ricerca e sviluppo» sino al 2031, a discapito peraltro dell'agevolazione ridotta dal 10 per cento (prevista fino al 2023) al 5 per cento prevista nel biennio 2024, 2025;

    secondo un report del 2019 della Banca mondiale, con 2,4 miliardi di dollari di fatturato globale e 75 milioni di persone coinvolte, l'industria della moda è la terza più inquinante dopo quella dell'automotive e il tech. Essa produce il 10 per cento delle emissioni globali di CO2, più del sistema di trasporti aerei e marittimi messi insieme. Emissioni che saranno incrementate dalla domanda globale di abbigliamento e calzature, prevista in aumento del 63 per cento entro i prossimi 10 anni. Dal forum di Ginevra del 2018, l'Onu ha messo sotto accusa il fast fashion, l'industria della moda basata sul consumo continuo, responsabile del 20 per cento delle acque di scarico e della diffusione di microplastiche negli oceani. Tuttavia, si tratta di un'accusa che non riguarda, se non marginalmente la filiera del tessile-moda-abbigliamento italiana, che lavora sulla sostenibilità ambientale da almeno dieci anni;

    la sostenibilità è richiesta dai consumatori, in particolari dai più giovani, che ormai la danno per scontata. Le aziende e i marchi ne chiedono certificazione, tramite etichette intelligenti o tramite l'utilizzo di blockchain. Poiché la moda vive di immagine, oltre che di marketing, un ruolo importante nella comunicazione della sostenibilità lo hanno sfilate e presentazioni: in questo la moda italiana è un passo avanti rispetto alle associazioni di Francia, Londra e New York, grazie ai Green Carpet Fashion Awards, che si sono tenuti anche nell'anno della pandemia, con una formula digitale. Una delle iniziative più innovative, è il Green Retail Park (Green Pea), un luogo per dare vita a un nuovo modo di consumare: prodotti belli a basso impatto sull'ambiente, di alta qualità, made in Italy e dal mondo;

    analisti e consulenti certificano da tempo l'importanza di investimenti in questo nuovo tipo di Corporate social responsibility (Csr) 4.0, e il settore dell'alta gamma si è già mosso con dichiarazioni d'intenti e iniziative, l'ultimo report di GlobalData: «Zero waste top of mind for fashion industry», segnala l'importanza dell'attenzione alle persone e all'ambiente per tutti, dal pret-à-porter al lusso, dall'abbigliamento agli accessori, passando per il fast fashion. La formula scelta da Lvmh per battezzare il nuovo progetto con la scuola Central Saint Martins, regenerative luxury, interpreta perfettamente la nuova prospettiva che l'industria della moda e del lusso devono assumere per essere sostenibili;

    dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l'obbligo di recuperare e riciclare la frazione tessile dei rifiuti urbani e commerciali, ossia l'obbligo di riciclo. Una opportunità per ripensare il business e tracciare un percorso per altri settori. Secondo la Commissione europea solo l'1 per cento dei rifiuti tessili globali è riciclato e riutilizzato. Secondo la Ong Ecos, l'80 per cento dell'impatto ambientale di un capo di abbigliamento è determinato in fase di design. Lo stesso studio precisa che un capo indossato il doppio delle volte rispetto alla media genera il 44 per cento in meno di gas serra rispetto alla produzione di un capo nuovo. La nuova frontiera dell'impegno passa dalla durabilità, dalla possibilità di riutilizzare, ma anche di riparare un prodotto. Nuove abitudini che possono generare nuovi tipi di business, come quello del «seconda mano», e che presto potrebbe svilupparsi anche nelle boutique o nei negozi virtuali dei singoli marchi;

    in questo ambito, il rapporto Unicircular sui rifiuti tessili urbani in Italia, mostra come il nostro Paese sia sensibilmente più virtuoso in tema di riutilizzo dei rifiuti tessili: il 68 per cento degli abiti viene recuperato e riutilizzato, il 29 viene riciclato e solo il 3 per cento smaltito nella raccolta indifferenziata. Tuttavia, la crescente quantità di abbigliamento realizzato con materie sintetiche comporta un ostacolo per il riciclo e favorisce la diffusione nell'ambiente di microfibre e microplastiche. Un abito realizzato con tessuti sintetici (derivati generalmente da idrocarburi), come il poliestere e l'acrilico, può rilasciare fino a 1.900 microplastiche quando viene lavato in lavatrice;

    anche le fibre artificiali cellulosiche derivate dalla polpa di legno, da vegetali come il bamboo e dal cotone sembrano creare problemi. La ricerca scientifica sull'inquinamento da microfibre (diverso da quello delle microplastiche) è appena iniziata, quindi l'impatto ambientale reale deve essere ancora pienamente compreso. Infine, occorre ricordare che tessuti senza certificazioni tessili che garantiscano l'assenza, o quantomeno la scarsa presenza di sostanze tossiche, potrebbero invece contenere metalli pesanti, formaldeide, conservanti, triclosan, anti-batterici e funghicidi;

    nel nuovo Piano d'azione promosso dall'Unione europea per l'economia circolare vi è un capitolo riguardante la «strategia dell'Unione europea per il tessile sostenibile» che si basa sulla produzione di capi di abbigliamento progettati per durare, essere riparati, riutilizzati in maniera efficiente ricorrendo alla rigenerazione dei capi dismessi. Inoltre, in base alla stessa strategia, tutti gli Stati membri dell'Unione europea entro il 2025, nel rendere obbligatoria la raccolta differenziata del tessile, dovranno riorganizzare la filiera secondo il criterio della responsabilità estesa del produttore;

    anche il settore conciario, che raccoglie 1.175 aziende con 18.000 addetti per 4 miliardi di fatturato l'anno e rappresenta una delle eccellenze nazionali, è impegnato nella transizione ecologica. Finché ci sarà l'industria della carne, si dovranno recuperare le pelli. Anche questa è economia circolare. L'Unione nazionale concerie italiane (Unic) sta sviluppando progetti di riconversione industriale per arrivare a una concia a impatto zero. Questo significa depurazione delle acque, riduzione dell'energia e dei prodotti chimici, oltre al recupero del 75 per cento degli scarti di questo processo produttivo che vengono utilizzati per altri settori, come la cosmetica e l'agricoltura. Nel settembre 2021 l'Unic e l'Istituto di certificazione della qualità per l'industria conciaria (Icec) hanno avviato una partnership strategica con Wwf, con l'obiettivo di promuovere il miglioramento delle pratiche di sostenibilità e la tracciabilità delle materie prime;

    da ultimo, è opportuno affrontare le tematiche relative alla creazione di un sistema di istruzione nel campo della moda, sul modello di quello francese, che gode di un maggior successo di quello italiano, appunto perché organizzato in sistema. Nei prossimi anni andranno in pensione 45-50 mila addetti di alta specializzazione che, ad oggi, si è in grado di sostituire solo con 7-8 mila persone. C'è un problema di formazione di un artigianato di grande qualità, cioè delle professionalità che fanno della moda italiana il prodotto ricercato in tutto il mondo. È opportuno sostenere con la mediazione pubblica gli sforzi dei soggetti privati che operano in accordo cogli operatori del settore,

impegna il Governo:

1) a rafforzare le misure del Piano di promozione straordinaria del made in Italy, in favore della partecipazione delle imprese del sistema moda Italia alle manifestazioni nazionali e internazionali di settore;

2) a monitorare gli effetti del conflitto in Ucraina sul settore Tessile, moda e abbigliamento (Tma) soprattutto per i soggetti più deboli della filiera e in relazione ai problemi creati dal blocco dei pagamenti, anche, adottando iniziative per prevedere opportune forme di sostegno e ristoro;

3) ad adottare iniziative per prevedere l'estensione del regime del Patent box, come modificato dalla legge di bilancio per il 2022, anche ai marchi d'impresa che si configurano come brand e come tale sviluppabili;

4) nell'ambito delle misure destinate a rafforzare le filiere produttive, ad adottare iniziative che favoriscano la creazione di scuole di moda o creazione di corsi di apprendistato delle competenze artigianali del settore della moda, favorendo, mediante il sostegno pubblico, l'accesso gratuito ai giovani talenti e prevedendo forme di incentivazione fiscali e sul lato previdenziale;

5) ad adottare iniziative per implementare le risorse per le misure individuate in premessa, con riferimento alla digitalizzazione del settore, all'adozione di modelli innovativi di presentazione e vendita, allo sviluppo e ottimizzazione digitale della relazione con i clienti finali («Customer Relationship Management» o Crm), al sostegno delle imprese verso modelli produttivi sostenibili e alla penetrazione commerciale dei mercati esteri, anche attraverso lo sviluppo della rete distributiva diretta ed il canale dell'e-commerce, integrati tra loro con un approccio omnichannel;

6) ad adottare iniziative per sviluppare, mediante le tecnologie digitali, la tracciabilità e la trasparenza dell'intero ciclo di vita dei prodotti tessili, agevolando il processo di transizione verso modelli di sviluppo improntati ad un miglior uso delle risorse, al riciclo e al riuso di materiali tessili in un'ottica di circolarità;

7) a sostenere, tramite adeguate finalizzazioni delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza allo scopo dedicate, gli sforzi del settore conciario verso la sostenibilità del ciclo produttivo, l'economia circolare e la tracciabilità del prodotto;

8) ad adottare iniziative per introdurre agevolazioni per le aziende che investono in nuove tecnologie per riutilizzare le fibre naturali o che sostituiscano le fibre sintetiche con altre sostenibili o adottino procedimenti produttivi a basso impatto energetico e ambientale, rafforzando il sistema dei controlli e delle certificazioni;

9) ad adottare iniziative per sviluppare ulteriormente le misure agevolative dei crediti per ricerca, sviluppo, innovazione e design, efficaci in termini di ricadute effettive su tutta la filiera produttiva, incentivando l'attività di ricerca e sviluppo e di ideazione estetica e design alla base della competitività del sistema produttivo nazionale e prevedendo un orizzonte temporale a medio-lungo termine e aliquote di agevolazione adeguate agli investimenti del settore;

10) ad adottare iniziative per inasprire le pene previste in materia di prodotti contraffatti e ad avanzare proposte, nelle sedi europee e internazionali, per una regolamentazione più stringente in materia di traffico di rifiuti tessili, in particolare da e verso i Paesi che hanno normative meno severe in materia di riciclo e smaltimento dei rifiuti tessili.
(1-00603) «Perego Di Cremnago, Marrocco, Porchietto, D'Attis».

(8 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il settore manifatturiero del tessile, moda e accessorio, comprensivo dei settori calzature, concia, occhialeria, oreficeria-argenteria-gioielleria, pelletteria, pellicceria e tessile-abbigliamento, costituisce, storicamente, uno degli assi portanti, uno dei motori dell'industria italiana e dell'economia del Paese, ha una rilevanza primaria nel sistema economico italiano e rappresenta, allo stesso tempo, uno degli assi portanti dell'industria del «made in Italy» nel mondo;

    il settore si è affacciato ai numeri record del 2019 reduce da profonde trasformazioni e da una dura battaglia a livello internazionale per quelli che sono stati i processi che sono chiamati, con un termine che comprende molte cose, di globalizzazione, ovverosia un settore che ha sofferto, e spesso anche ha pagato, l'affacciarsi di nuovi Paesi produttori che, prima di diventare i mercati di assorbimento dei nostri prodotti, sono stati competitori: i Paesi del lontano e dell'Estremo Oriente, primi fra tutti, in questo processo di crescita e di affacciarsi sulla scena dei Paesi produttori, hanno puntato molto sul tessile, anche perché è un settore industriale che non richiede investimenti per unità di prodotto elevatissime e ha competenze e capacità di risorse umane molto, molto diffuse. L'Italia ha sofferto, i nostri produttori hanno combattuto, c'è stata una modifica anche di quello che è il tessuto e la qualità della produzione nazionale, sia nel campo dei tessuti quanto nel campo dei capi confezionati;

    al di là della rilevantissima importanza della grande moda, del grande fashion italiano, il tessile è sempre stato costituito da produzioni di tessuti di qualità e produzioni, di capi di buongusto e qualità anch'essi. In questo settore molto è stato fatto, soprattutto dal punto di vista dell'innovazione nella produzione e della qualità dei tessuti;

    per quanto riguarda la produzione di tessuti, molti sono stati i problemi che hanno caratterizzato il tessile italiano, soprattutto la competitività di questi Paesi esteri, che, spesso, hanno anche tecniche di lavoro e rispetto dei parametri ambientali e della tutela del mondo del lavoro molto diversi dai nostri. A fianco della produzione, c'è il tema della realizzazione e della vendita di capi confezionati che ha spinto il comparto italiano verso la qualità, la qualità alta;

    il bilancio settoriale del 2020 si è chiuso con perdite gravi e ben peggiori rispetto a quelle dell'ultima crisi economica del 2008-2009. Gli effetti della crisi pandemica da COVID-19 non hanno risparmiato il comparto, che, anzi, risulta tra le industrie manifatturiere più colpite nel nostro Paese. Le misure di contenimento del contagio adottate sia a livello nazionale sia a livello internazionale hanno influito pesantemente sul settore in termini diretti e indiretti. Gli effetti pandemici sono stati accentuati proprio perché l'industria italiana manifatturiera dei menzionati settori occupa un ruolo di primaria importanza nelle filiere internazionali, partecipando attivamente (e con posizioni di leadership) ai diversi passaggi produttivi e fornendo le catene di approvvigionamento internazionale;

    secondo le stime elaborate dal Centro studi di Confindustria Moda il fatturato annuo del 2020 è stato stimato in calo nell'ordine del –26 per cento. Considerando che nel 2019 il fatturato del comparto aveva raggiunto i 97,9 miliardi di euro, tale variazione si sarebbe tradotta in una perdita di 25,4 miliardi di euro. Sulla base dei dati preconsuntivi, esaminati da Confindustria Moda, il tessile, moda e accessorio chiude il 2021 con un fatturato di 91,7 miliardi di euro, registrando una crescita oltre le attese del settore del 22 per cento rispetto al 2020, ma con un –6,4 per cento ancora da colmare rispetto al 2019, quando le vendite avevano superato i 98 miliardi di euro;

    dai risultati dell'ottava indagine dell'associazione di categoria, relativa all'impatto del Covid-19 sulle imprese del comparto, emerge inoltre che i ricavi nel primo trimestre del 2022 stanno realizzando un trend di crescita del 14 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021. Nei primi mesi di del 2021 è diminuito il ricorso delle imprese alla cassa integrazione guadagni e quasi un quarto del campione pensa di incrementare il proprio organico nei 12 mesi (il 62 per cento intende mantenerlo invariato). Tuttavia, per oltre sette aziende su 10 l'aumento dei costi delle materie prime e dell'energia minaccia la ripresa: le nostre imprese si avvicinano ai livelli del 2019 e tornano a creare posti di lavoro nel Paese, ma il balzo dei costi rischia di essere una grave minaccia, specialmente per le aziende più energivore a monte della filiera;

    le previsioni fatte fino a pochi giorni fa indicavano il 2022 all'insegna della ripresa economica, con la fascia di lusso che aveva già raggiunto i livelli pre Covid-19 alla fine del 2021 e i segmenti premium e mass che dovrebbero tagliare il traguardo in corso d'anno: il ritorno alla vita sociale, infatti, dovrebbe spingere le persone ad acquistare capi e accessori per rinnovare il proprio guardaroba. A scoraggiare i clienti, però, potrebbero essere i prezzi in aumento, spinti dall'incremento dei costi delle materie prime, dell'energia e della logistica, aumenti che purtroppo, a causa della crisi internazionale conseguente alla situazione di guerra tra Russia e Ucraina, si verificano in presenza di un quadro di ulteriore destabilizzazione in Europa e in Italia, dopo due anni di pandemia. Con la nuova incognita sull'export e sull'incoming turistico russo e ucraino, soprattutto per i mesi estivi;

    anche l'impatto in termini di occupazione e di perdita di competenze, ai diversi livelli, è stato cruciale proprio per la contrazione delle produzioni. Il settore è fortemente impegnato sul lato della sostenibilità, di prodotto quanto di processo produttivo, con un filo conduttore tra tecnologie abilitanti e sostenibilità ecologica e sociale, per attuare processi di transizione ecologica piena e in linea con le sfide poste dalla Commissione europea. Caratteristica che, a causa delle negatività economiche e sociali dovute alla pandemia, non ha potuto esprimersi a pieno, limitando gli investimenti e l'offerta complessiva del comparto in tal senso;

    la crisi del settore della moda ha colpito gravemente anche il commercio al dettaglio con rilevanti perdite economiche per i negozi di moda: i consumi di prodotti del settore hanno registrato una diminuzione di circa 20 miliardi di euro a seguito delle restrizioni varate per contrastare la pandemia, che hanno imposto anche 140 giorni di chiusura dei negozi di moda in zona rossa;

    secondo alcuni studi di settore, a causa degli effetti del COVID-19 (tra cui crollo dello shopping tourism, minor reddito disponibile per le famiglie e aumento della propensione al risparmio) si rischia la chiusura di 20 mila negozi di moda su 115 mila punti vendita con una ricaduta sull'occupazione che potrebbe interessare oltre 50 mila addetti. Va inoltre ricordato come in tale settore sia determinante la stagionalità del prodotto venduto: i beni variano e si differenziano a seconda del periodo di vendita e se non venduti nella stagione sono suscettibili di notevole deprezzamento;

    la crisi causata dal COVID-19 ha comportato una drammatica flessione delle vendite a causa delle restrizioni alla circolazione, pertanto l'intero comparto tessile e della moda, del calzaturiero e della pelletteria ha accumulato stock di merce stagionale invenduta. E questo potrebbe accadere di nuovo alla luce dei pesanti effetti generati dalla crisi Russo-Ucraina;

    gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino sono stati dunque notevoli, a partire dal cambio di stagione che è stato penalizzato dal lockdown, all'assenza dei ricavi, sino ad arrivare all'obsolescenza della merce stagionale. Sarebbe inoltre opportuno, come azione di politica industriale, dare ulteriore seguito a quanto già è stato fatto dal legislatore sia per quanto riguarda il credito di imposta (pari al 30 per cento del valore delle rimanenze finali di magazzino) di cui alla legge 17 luglio 2020, n. 77, sia per l'attività di studio, ideazione e realizzazione delle collezioni da parte delle imprese del settore, attività che con il bonus campionari, attivato nel 2011, è stata definita come un'attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo (la funzione di ricerca e sviluppo svolta dalle imprese di abbigliamento si concretizza nell'attività di ricerca e ideazione stilistica dei prodotti e nella realizzazione dei prototipi che ad ogni stagione vede impegnate le risorse creative in tecniche interne alle imprese finali e le risorse esterne, rappresentate dagli stilisti che operano in qualità di consulenti e dalle imprese di subfornitura che collaborano attivamente allo studio e realizzazione dei prototipi): realizzando prodotti legati all'evoluzione della moda, le imprese finali propongono, ad ogni stagione, nuovi modelli. L'attività di ricerca e sviluppo richiede, di conseguenza, notevoli risorse e assume una valenza strategica nel determinare il successo dell'impresa. Attività che andrebbe rafforzata anche attraverso l'utilizzo di programmi di studio e formazione, coordinati a livello nazionale, che favoriscano una migliore partecipazione delle imprese del comparto all'interno di tali programmi, in sinergia con la proposta formativa già sviluppata dagli Its e dai diversi istituti di formazione tecnica superiore e rafforzata, predisponendo gli opportuni strumenti agevolativi per favorire l'acquisizione di tecnologie, macchinari ed equipaggiamenti, provenienti dalle imprese italiane, con caratteristiche di innovazione (tecnologie 4.0 e sostenibilità) presso tali istituti formativi, per garantire un potenziamento e un upgrade della formazione tecnico-pratica, allineando l'insegnamento alle necessità delle imprese del settore manifatturiero del tessile, moda e accessorio,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere strumenti agevolativi per chi investe in tecnologie innovative e ambientalmente sostenibili per il comparto del tessile, della calzatura, della conceria e della pelletteria, al fine di garantire ulteriormente il processo di tracciabilità, trasparenza e transizione ecologica del comparto;

2) ad adottare iniziative per prevedere ulteriori agevolazioni per la sostituzione del parco macchine produttivo, a favore di tecnologie e macchinari capaci di garantire un corretto riciclo delle diverse componenti a fine vita, agevolandone la sostituzione in funzione di una migliore produttività, sicurezza per i lavoratori e miglioramento delle performance ambientali;

3) ad adottare iniziative per istituire appositi programmi di studio e formazione, coordinati a livello nazionale, favorendo una migliore partecipazione delle imprese del comparto all'interno di tali programmi, in sinergia con la proposta formativa già sviluppata dagli Its e dai diversi istituti di formazione tecnica superiore, favorendo, altresì, con strumenti agevolativi, l'acquisizione di tecnologie, macchinari ed equipaggiamenti, con caratteristiche di innovazione (tecnologie 4.0 e sostenibilità) presso tali istituti formativi, garantendo un potenziamento e un upgrade della formazione tecnico-pratica ed allineando l'insegnamento alle necessità delle imprese del settore manifatturiero del tessile, moda e accessorio;

4) ad adottare iniziative per prorogare, per tutto il 2022, il credito di imposta di cui alla legge 17 luglio 2020, n. 77, estendendolo a tutti i soggetti operanti nel settore tessile e della moda, del calzaturiero e della pelletteria;

5) ad adottare iniziative per dare il sostegno finanziario necessario a compensare l'aumento dei costi energetici e delle materie prime sopportati dalla filiera della moda, predisponendo altresì un sistema che consenta di proseguire il prolungamento delle scadenze dei debiti contratti durante la fase di pandemia e garantisca la liquidità necessaria al settore, anche in un arco temporale di medio periodo.
(1-00604) «Benamati, Bonomo, D'Elia, Gavino Manca, Nardi, Soverini, Zardini, De Luca, Fiano, Lotti, Ciampi, Berlinghieri».

(9 marzo 2022)

MOZIONI CONCERNENTI MISURE
A SOSTEGNO DEL COMPARTO AUTOMOBILISTICO

   La Camera,

   premesso che:

    il mercato dell'auto ha una storia e tradizione in Italia, lunga più di un secolo, lungo la quale ha dimostrato di essere uno strumento essenziale nella crescita del Paese e volano dell'economia nei ##momenti di crisi;

    l'inizio della motorizzazione privata in Italia si rinviene intorno al 1893 (anno in cui Gaetano Rossi, uno dei titolari delle «Industrie Lanerossi» e grande appassionato di automobilismo, acquista la prima autovettura circolante in Italia); un fenomeno che si sviluppa in notevole ritardo rispetto ad altri Paesi europei, un gap che rimane tale per diversi anni e che si colma solamente un cinquantennio più tardi. L'Italia è un Paese a propensione prettamente agricola e l'auto non è un mezzo di trasporto, ma un lusso; sul finire del XIX secolo, gli esemplari di vetture circolanti sul suolo nazionale sono solamente 111, ma, nonostante tutto, alcuni lungimiranti industriali comprendono come quel prodotto di lusso possa trasformarsi in una straordinaria fonte di arricchimento e crescita. È così che si assiste sia alla nascita ex novo di piccole fabbriche automobilistiche, ma anche alla riconversione di aziende specializzate perlopiù nella produzione di biciclette. Nel giro di pochi anni la nascente industria automobilistica italiana, fra fabbricanti di chassis e vere e proprie auto, può enumerare oltre 120 soggetti interessati, fra questi spiccano marchi quali Fiat, Lancia, Aquila, Alfa, Ardita, Isotta Fraschini, Itala e Bianchi, nomi che diventeranno, nei decenni successivi, punti di riferimento assoluti nell'alveo dell'industria automobilistica, nazionale e internazionale;

    l'industria automobilistica italiana si dimostrò formidabile nei periodi bellici e post bellici durante i quali, grazie alle costanti innovazioni nel settore, permise la creazione e un forte incremento di posti di lavoro a cui conseguì un'esponenziale crescita per l'intera economia nazionale;

    finalmente, con il sopraggiungere del boom economico, il settore dell'automotive italiano colma l'iniziale gap industriale rispetto ai competitor europei. L'industria italiana delle auto risultò essere sempre più conosciuta e vide un periodo di espansione entusiasmante guidata dall'eccellenza del design e delle auto sportive «made in Italy»; iniziarono a entrare nel mercato Italiano e mondiale auto ancora oggi simbolo di eccellenza sportiva, tecnologica e stilistica come la Ferrari e la Lamborghini, nate dall'iniziativa di facoltosi industriali e grandi appassionati che vollero cimentarsi in un settore in continua espansione;

    l'industria automobilistica italiana, dunque, durante gli anni floridi del «boom economico», divenne un settore estremamente importante per l'economia del Paese, ma non solo; questo settore industriale portò il nome dell'Italia nel mondo tramite piccole aziende specializzate nella creazione di speciali carrozzerie applicate ai prodotti dei grandi marchi mondiali, come Zagato, Bertone e Pininfarina che, grazie all'enorme sviluppo del mercato mondiale dell'auto, aiutarono l'industria Italiana ad esportare sia i prodotti delle marche nostrane, sia l'eccellenza del design italiano, tenendo alto l'orgoglio e il nome dell'intera industria italiana;

    questa premessa riassume chiaramente l'importanza dell'industria automobilistica italiana e difficilmente si potrà ragionare in materia di crescita e sviluppo nazionale senza un concreto sostegno a questo settore;

    purtroppo, gli ultimi anni sono stati segnati da un lento deperimento del mercato nazionale delle auto, che ha trovato il suo peggior trend ovviamente negli anni 2020 e 2021, segnati dalla pandemia;

    volendo riportare alcuni brevi dati statistici, è possibile evidenziare che in Italia, a ottobre 2021, sono state immatricolate – secondo i dati del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili – 101.015 auto, il 35,7 per cento in meno dello stesso mese del 2020. Nei dieci mesi le immatricolazioni sono in tutto 1.266.629, pari a una crescita del 12,7 per cento sull'analogo periodo dell'anno 2020. Questo secondo dato positivo deve però tenere conto del fatto che i primi mesi del 2020 sono caratterizzati da periodi di lockdown totale e forti limitazioni, mesi in cui le immatricolazioni hanno registrato minimi storici. Il gruppo Stellantis ha immatricolato a ottobre 35.664 vetture, il 41,7 per cento in meno dello stesso mese del 2020. La quota scende dal 38,9 per cento al 35,3 per cento. Nei dieci mesi le immatricolazioni del gruppo italo-francese sono 481.653, in crescita dell'11,3 per cento, con la quota al 38 per cento a fronte del 38,5 per cento. La pesantissima contrazione del mercato italiano dell'auto è dovuta soprattutto alla crisi nelle forniture di microchip, che attualmente sembra lontana da una soluzione definitiva;

    secondo Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica – focus mercato autovetture Italia – novembre 2021) a novembre 2021, in Italia sono state immatricolate 104.502 nuove autovetture, in calo del 24,6 per cento rispetto a quelle di novembre 2020, mentre sono il 30,8 per cento in meno rispetto a novembre 2019. Nei primi undici mesi del 2021, le immatricolazioni sono aumentate dell'8,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, in cui, a causa delle misure restrittive di contrasto alla diffusione della pandemia, si era assistito ad un forte calo delle vendite. Rispetto al 2019, il mercato di gennaio-novembre risulta in calo del 22,8 per cento. Le autovetture diesel, in calo a novembre del 52 per cento rappresentano il 18,1 per cento del mercato del mese e il 22,3 per cento del mercato nei primi undici mesi del 2021 (era il 33,4 per cento nello stesso periodo del 2020). Da inizio anno, le autovetture diesel sono quelle che hanno visto maggiormente calare il proprio mercato, con una riduzione delle immatricolazioni del 27,5 per cento. In calo è anche il mercato di autovetture a benzina, –34,4 per cento e 27,3 per cento di quota a novembre e –14,3 per cento nei primi undici mesi, con il 30,2 per cento di quota;

    le immatricolazioni delle autovetture ad alimentazione alternativa, di contro, rappresentano il 54,6 per cento del mercato di novembre 2021 e rappresentano il 47,5 per cento nei primi undici mesi, in crescita del 2,4 per cento nel mese e dell'82,4 per cento da inizio anno. Le autovetture elettrificate rappresentano il 43,4 per cento del mercato di novembre ed il 38,1 per cento nei primi undici mesi. Tra queste, le ibride non ricaricabili aumentano dell'1,6 per cento a novembre e raggiungono il 31,2 per cento di quota, mentre crescono del 102 per cento nel cumulato, con una quota del 28,9 per cento. Le ricaricabili, in crescita del 30,1 per cento nell'undicesimo mese dell'anno, raggiungono il 12,1 per cento di quota a novembre e il 9,2 per cento nei primi undici mesi (le ibride plug-in il 5,5 per cento nel mese ed il 4,7 per cento nel cumulato e le elettriche il 6,6 per cento nel mese ed il 4,5 per cento nel cumulato);

    da questo quadro emerge una fortissima crescita per il settore elettrico, anche in una situazione di crisi economica. Ciò è dovuto sia all'introduzione di incentivi per il mercato auto, sia alle politiche europee e mondiali, tutte fortemente indirizzate ad uno sviluppo massiccio di questo settore;

    l'elettrificazione dei trasporti è un trend assoluto; è di tutta evidenza che tutte le produzioni stiano andando in questa direzione. L'argomento è di vitale importanza per la politica nazionale e non può essere sottovalutato. Secondo le stime previsionali, le vendite di veicoli elettrici in Cina, Europa e Stati Uniti entro il 2033 dovrebbero superare le vendite di tutti gli altri propulsori. Analizzando i fattori abilitanti per la crescita dei veicoli elettrici e il conseguente sviluppo sul mercato, viene indicato come il trend mondiale si stia orientando sempre di più verso un'economia de-carbonizzata nel settore automotive ed energetico. Dagli studi effettuati nelle nazioni più virtuose (Cina, Svezia e Germania) dell'e-mobility, emergono alcuni fattori chiave: vi è un significativo impegno sia pubblico che privato nella predisposizione di un ecosistema produttivo e di una supply-chain il più possibile integrata e nazionale, elementi base per un vantaggio competitivo e di costo; si segnala una maggiore propensione nei consumatori verso un veicolo elettrico; infine, lo slancio governativo combinato ad azioni regolatorie e ad incentivi oltre ad iniziative di supporto alle imprese sono fondamentali per l'ecosistema mobilità;

    in siffatto quadro risulta, quindi, evidente attivare delle politiche di studio, confronto e valutazione sul tema, che possano concretamente avviare progettualità, sostegno dello Stato in materia di sviluppo e incentivi, ripercussioni sul mercato, sui consumatori e sui posti di lavoro;

    è necessario avviare iniziative concrete a tutela di un comparto che in Italia conta centinaia di aziende e dà lavoro a oltre 250 mila persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere un tavolo di confronto nazionale, con il più ampio coinvolgimento delle forze parlamentari, dei rappresentanti delle regioni e delle parti sociali, a sostegno del settore auto, incentrando il lavoro su un Piano nazionale per l'Italia e per l'industria automobilistica italiana;

2) a promuovere iniziative di concreto sostegno per lo sviluppo di politiche industriali per il settore in grado di generare ricadute occupazionali e produttive;

3) a valutare di adottare iniziative per porre in essere progetti che possano coniugare innovazione, ricerca e competitività anche, e soprattutto, al fine di evitare di disperdere il notevole capitale umano, di competenze e conoscenze che l'industria automobilistica italiana può vantare.
(1-00572) «Molinari, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Scoma, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(12 gennaio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    nel 2021 il mercato italiano dell'auto si è chiuso con 1.457.952 autovetture immatricolate; rispetto al 2020, anno della pandemia, il volume delle registrazioni è cresciuto del 5,5 per cento, ma, a confronto col 2019, il mercato ha accusato un calo del 23,9 per cento, con ben 460 mila auto perse. Secondo i calcoli del centro studi Promotor si tratta di un numero insufficiente a consentire un'adeguata sostituzione delle auto giunte a fine vita, che dovrebbe essere di almeno 2 milioni di nuovi veicoli l'anno, necessari per evitare un ulteriore decadimento del nostro parco auto;

    il parco circolante italiano, quasi 40 milioni di auto, resta il più vecchio d'Europa: nel 2020 l'età media delle auto nel nostro Paese è stata pari a 11 anni e 10 mesi (5 mesi in più rispetto al 2019), a fronte di un'età media europea di 10,8 anni. 1 auto su 5 (il 20 per cento circa del totale) è una Euro 0-2, con almeno 18 anni di anzianità. Questa situazione ha conseguenze pesanti per la sicurezza e per l'inquinamento atmosferico;

    sotto il profilo delle alimentazioni delle auto vendute nel 2021, benzina e diesel rappresentano rispettivamente il 29,7 per cento e il 22,6 per cento di quota di mercato. Il Gpl sale al 7,3 per cento, le ibride al 29 per cento, con le «full hybrid» (con doppio motore termico ed elettrico) al 6,9 per cento e le «mild hybrid» (con motore termico, sostenuto dall'elettrico) al 22,1 per cento. Le elettriche vere e proprie hanno una quota del 4,6 per cento le ibride ricaricabili del 4,7 per cento;

    oltre alla situazione economica, le cause del crollo di immatricolazioni sono diverse; la crisi dei microchip sta fortemente ostacolando la produzione di auto con la conseguenza di carenze di prodotto per soddisfare la domanda. Un altro fenomeno fortemente penalizzante è costituito dal disorientamento degli acquirenti che non ritengono ancora di poter passare all'elettrico per il loro tipo di utilizzo dell'auto e per la carenza di infrastrutture di ricarica, ma che comunque si astengono dall'acquistare auto tradizionali;

    occorre sottolineare anche gli impatti delle politiche governative, tramite le quali sono stati adottati incentivi che, per quanto consistenti, sono apparsi ispirati ad una logica «stop and go», a fronte del ripetuto esaurimento delle risorse disponibili. L'articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 21 ottobre 2021 ha rifinanziato con 100 milioni di euro per l'anno 2021, la dotazione del Fondo per l'incentivazione della mobilità a basse emissioni (istituito dal comma 1041 della legge di bilancio 2019). Tali somme si sono aggiunte ai 350 milioni per il 2021 stanziati a fine luglio dall'articolo 73-quinquies del decreto-legge n. 73 e ai 420 milioni di euro provenienti legge di bilancio 2021;

    tali risorse si sono rapidamente esaurite, prima dello spirare dell'anno. Tuttavia, nulla è previsto per l'anno 2022, se non un sostegno per le imprese di settore consistente in una quota parte di un fondo di 150 milioni di euro (comma 486 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2022), da condividere con turismo e spettacolo;

    nel dicembre 2021, il Cite, Comitato interministeriale per la transizione ecologica, formato dai Ministri della transizione ecologica, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e dello sviluppo economico, ha stabilito che la produzione dei motori a combustione interna è destinato a cessare entro il 2035, con una proroga al 2040 per furgoni e veicoli commerciali leggeri, ribadendo le scadenze tracciate dal Fit for 55 per cento, un atto europeo che è ancora oggetto di discussione;

    sono state immediate le reazioni negative delle imprese di settore: l'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) che rappresenta la filiera produttiva nazionale ha dichiarato che la decisione: «(...)ha sorpreso e messo in allarme tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un'accelerazione troppo spinta verso l'elettrificazione». Confindustria ha rilevato la «mancanza di una progettualità chiara che consenta a migliaia di aziende italiane del settore di adeguarsi gradualmente all'imposizione dell'Ue»;

    l'industria dell'automotive è uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana e rappresenta un'importante quota del nostro prodotto interno lordo. Il comparto auto, nel 2019, ha fatturato circa 93 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del prodotto interno lordo. Secondo gli ultimi dati dell'Anfia, tra attività dirette e indirette, il comparto è costituito da oltre 5.500 imprese e impiega circa 274.000 addetti, il 7 per cento della forza lavoro del manifatturiero italiano. In tale contesto, la filiera italiana della componentistica dell'industria automobilistica è costituita da più di 2.000 imprese e impiega più di 150.000 dipendenti. Con l'indotto, il settore dà lavoro a circa un milione di persone;

    la Clepa, l'associazione europea della componentistica, ha pubblicato uno studio che quantifica i danni, occupazionali ed economici, derivanti dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035. In termini occupazionali l'impatto è quantificato in mezzo milione di posti di lavoro persi in Europa, 275 mila al netto delle nuove occasioni generate dallo sviluppo della mobilità elettrica. Tra i Paesi europei produttori di componenti l'Italia è quello che in percentuale rischia di perdere il maggior numero di addetti, circa 73.000 posti di lavoro al 2040, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030;

    alcune vicende industriali stanno evidenziando forti difficoltà direttamente collegate al ridimensionamento del comparto della componentistica automobilistica tradizionale, diesel e benzina. La Speedline di Venezia è solo l'ultimo caso in ordine di tempo. A questa vicenda si affiancano numerose altre vertenze quali Baomark, Bekaert, Gkn, Bosch, Blutec, Vitesco, Marelli, Timken e Gianetti Ruote, con oltre 21 mila lavoratori coinvolti. Secondo i sindacati le istituzioni e la politica non stanno assumendo decisioni all'altezza del dramma sociale che si sta consumando;

    a inizio febbraio 2022 Federmeccanica, Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm hanno elaborato un documento unitario, rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministeri competenti (sviluppo economico, transizione ecologica e lavoro e politiche sociali), per l'adozione di un complesso di interventi volte ad accompagnare con misure di politica industriale la sfida della transizione green nell'automotive per evitare effetti drammatici sull'occupazione e sulle filiere industriali. Il documento conferma i dati Clepa e sottolinea anche che nel comparto nel 2019 sono state utilizzate 26 milioni di ore di cassa integrazione e nel 2021 quasi 60 milioni, mentre si annunciano migliaia di tagli del personale;

    nel corso del tavolo sull'automotive, tenutosi a fine ottobre 2021 presso il Ministero dello sviluppo economico, era stata valutata l'ipotesi di stanziare almeno 1 miliardo di euro all'anno per tre anni, con l'obiettivo di rendere la misura strutturale ed evitare che il mercato vada avanti in un clima di incertezza, indicato dagli intervenuti come una delle cause del rallentamento delle immatricolazioni;

    i partecipanti al tavolo hanno evidenziato la necessità di intervenire su tutto il parco auto e di non chiudere le linee di finanziamento nei confronti delle auto tradizionali a motore endotermico con basse emissioni di anidride carbonica, al fine di conseguire il doppio obiettivo di abbattere le emissioni legate al parco circolante e di garantire al settore risorse proprie, necessarie a intraprendere un percorso di progressiva decarbonizzazione;

    oggi una vettura a gasolio Euro 6 dTemp, in grado di percorrere fino a 30 chilometri con un litro di gasolio, emette il 95 per cento in meno di NOx (ossidi di azoto) rispetto al passato e 96 per cento in meno di PM (particolato). Percentuali impressionanti che fanno capire quanta strada abbia percorso questa motorizzazione negli ultimi anni. Viceversa, sia le auto «full hybrid» e che quelle «mild hybrid» scontano presenza della doppia motorizzazione (motore termico a benzina e batterie) che le rende veicoli molto pesanti. Questo porta a un consumo superiore quando l'auto, esaurita la carica elettrica, viaggia solo spinta dal motore tradizionale. Si tratta di mezzi non performanti nella guida fuori città;

    le auto puramente elettriche, invece, scontano le difficoltà di ricarica, sia in termini lunghezza dei tempi, che di presenza sul territorio di colonnine dedicate. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), prevede fino a 750 milioni di euro per l'installazione, entro il 2026, di 21.400 punti di ricarica elettrica fast e super-fast (con potenza minima di 50kW) accessibili al pubblico. Ma a fine 2020 in Italia erano presenti solo 1.231 colonnine, su circa 12 mila, con una potenza superiore a 22kW;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza comprende la componente (M2C2), «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile» con risorse pari a 23,78 miliardi di euro. Il Piano per la transizione ecologica (Pte), che accompagna gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, prevede l'uso di carburanti a minor impatto e, a partire dal 2030, che almeno il 50 per cento delle motorizzazioni sia elettrico. Inoltre, in seno al Piano nazionale di ripresa e resilienza sono inserite due misure finalizzate ad incentivare, tramite lo strumento agevolativo dei contratti di sviluppo, la capacità delle filiere produttive più innovative, ivi compresa quella dell'automotive;

    l'industria automobilistica, come anche la filiera della componentistica, necessitano di interventi specifici, come stanno facendo altri Paesi europei con alta vocazione in questo comparto, nei quali si prevedano sia il sostegno alla ricerca e lo sviluppo di prodotti e tecnologie innovative in grado di competere a livello globale, sia interventi mirati per l'ammodernamento, la riconversione produttiva e la riqualificazione professionale. Francia e Germania stanno già mettendo in campo politiche industriali per affrontare la transizione. Viceversa, nel corso degli ultimi anni, l'Italia è scesa dal secondo all'ottavo posto per la produzione di auto in Europa. La produzione nazionale di veicoli è passata dagli oltre 1,8 milioni del 1997 ai 700 mila nel 2021, di cui le autovetture sono meno di 500 mila,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rifinanziare, in un prossimo provvedimento urgente, su base triennale, il Fondo per l'incentivazione della mobilità a basse emissioni, istituito dal comma 1041 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019, al fine di consentire il sollecito ricambio del parco veicoli italiano e di dare certezza agli operatori del settore;

2) ad adottare iniziative per prevedere, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'istituzione di un fondo pluriennale per la riconversione dell'industria automotive, destinato ad accompagnare l'aggiornamento tecnologico e la riconversione delle imprese, nonché la professionalizzazione dei lavoratori del comparto automobilistico nazionale;

3) a rinviare l'applicazione di quanto stabilito dalla decisione del Cite di cui in premessa, posponendola agli esiti definitivi della discussione sul FIT for 55 per cento in sede unionale, nonché alle opportune consultazioni con le organizzazioni di settore nell'ambito del «Tavolo automotive» attualmente operativo, quale sede opportuna nella quale stabilire le corrette modalità della transizione ecologica per la filiera;

4) ad attivarsi, nelle sedi istituzionali europee, per sostenere e valorizzare l'industria automobilistica e la relativa componentistica, intese come il comparto strategico dell'Unione europea, con politiche e risorse aggiuntive rispetto a quelle finora stanziate, promuovendo altresì proposte che consentano una transizione sostenibile in termini sociali ed industriali e prevedano target realisticamente raggiungibili per il settore;

5) ad adottare ogni iniziativa utile per rafforzare le capacità di ricerca e sviluppo in ambito tecnologico, nonché produttive del nostro Paese nel settore della mobilità sia individuale che collettiva, prevedendo semplificazioni burocratiche ed incentivi adeguati per l'attrazione di investimenti stranieri.
(1-00580) «Porchietto, D'Attis, Giacometto, Squeri, Polidori, Sorte, Torromino, Sessa, Cattaneo, Battilocchio».

(9 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la filiera dell'automotive, che ricomprende tutte le imprese coinvolte nella produzione di autoveicoli, a partire dalle imprese che producono materie prime (plastiche, coloranti, prodotti chimici, vernici, tessuti ed altro) e macchine utensili, passando per le imprese più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli, e quella dei servizi automotive, occupa nel suo insieme circa 1,23 milioni di lavoratori e nel solo comparto industriale sostiene una spesa di circa 9 miliardi di euro in salari e stipendi. Nel 2017 il settore dell'industria dell'automotive fatturava 105,9 miliardi di euro e, a seguito della crisi indotta dall'emergenza sanitaria da Covid-19, il fatturato del settore ha subito un forte rallentamento;

    il solo settore dell'industria automotive, secondo gli ultimi dati dell'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), tra attività dirette e indirette, è costituita da oltre 5.500 imprese e impiega circa 274.000 addetti. In tale contesto, la filiera italiana dell'industria automobilistica e della sua componentistica è costituita da più di 2.000 imprese, impiega più di 150.000 dipendenti e rappresenta un settore strategico per l'economia nazionale che deve essere accompagnato nel suo complesso verso la transizione ecologica, in modo non solo da evitare la perdita di competenze e di posti di lavoro – a cui per altro si è costantemente assistito nell'arco di questi ultimi 30 anni- ma facendo di questo passaggio un'opportunità di rilancio del settore;

    per quanto riguarda la filiera industriale la competitività del settore automotive risulta essere superiore rispetto a quella del comparto manifatturiero nella sua interezza: la filiera automotive italiana si posiziona nei segmenti a più elevato valore aggiunto grazie non solo alle eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e di autoveicoli commerciali, ma anche in virtù delle specializzazioni produttive che caratterizzano in particolare i distretti della componentistica: circa il 20 per cento del valore aggiunto generato dal settore della componentistica in Italia viene indirettamente incorporato nei prodotti esportati da altri partner commerciali, segnalando una significativa capacità di penetrazione nei mercati internazionali. In tal senso, diventa importante immaginare strumenti di sostegno che supportino anche gli investimenti di dimensioni maggiori, rispetto a quelli previsti attualmente, tali da rendere attraenti i grandi investimenti (dalla produzione dei veicoli a quella dei componenti) in modo da legare sempre meglio i fornitori, anche di piccole e medie dimensioni, con grandi integratori o costruttori;

    il settore industriale dell'automotive è stato interessato nel corso degli ultimi anni da una forte spinta all'aggregazione tra storiche imprese dell'industria automobilistica, altrimenti destinate in ragione dell'accresciuta concorrenza nel settore ad una difficile sopravvivenza. Vicenda che ha portato alla creazione di circa 10 grandi gruppi automobilistici in grado di competere a livello globale e che detengono attualmente più di tre quinti del mercato automobilistico mondiale. Tali aggregazioni, dettate da molteplici ragioni – ingresso nel settore di nuove aziende low cost asiatiche e dell'est europeo; esigenza di ridurre i costi di produzione; incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo; diversificazione della domanda – hanno comportato una profonda riorganizzazione aziendale che ha interessato sia gli stabilimenti di produzione e il personale addetto sia le imprese dell'indotto, e di conseguenza una profonda trasformazione della filiera dei servizi automotive a valle della produzione, con particolare riguardo alle attività di vendita degli autoveicoli, leasing, noleggio, commercio dei componenti, manutenzione e riparazione. Tale processo di aggregazione purtroppo si è realizzato in misura ridotta in Italia fra le imprese della componentistica, rendendole più vulnerabili ai grandi cambiamenti;

    nel corso degli ultimi mesi si stanno manifestando nuovi scenari di ulteriore cambiamento per il settore dell'automotive nel suo complesso, dettati principalmente dal combinato disposto tra la grande fase di transizione in atto conseguente alla pandemia da Covid-19 e all'emergenza climatica, le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini. Fattori, questi, che impongono alle grandi aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione;

    l'insieme di questi nuovi scenari iniziano a produrre nel contesto internazionale i primi effetti nelle scelte strategiche delle aziende automobilistiche, che si apprestano ad una profonda riorganizzazione interna e allo sviluppo di piani industriali che prevedono una crescente produzione di mezzi ibridi o interamente a propulsione elettrica, con effetti non soltanto sugli stabilimenti di produzione ma indirettamente sull'intera filiera dell'automotive. Proprio però alla luce delle vicissitudini degli ultimi 20 anni del settore italiano, che ha vissuto una contrazione della produzione di autoveicoli e dei posti di lavoro ma in cui è anche cresciuto un nuovo tessuto produttivo contraddistinto da marchi di altissima gamma, questa fase di trasformazione, se ben supportata, potrebbe rappresentare un'opportunità di ritornare a crescere;

    nel 2020, a causa dell'emergenza sanitaria in corso, il crollo del mercato dell'auto è stato pesantissimo registrando 1.381.629 immatricolazioni con un calo del 27,9 per cento corrispondenti a 535.000 unità in meno;

    per far fronte alla crisi in atto, Governo e Parlamento, con un'incisiva azione di politica industriale per il settore, hanno introdotto con il cosiddetto «Decreto rilancio», e successivamente confermato con il cosiddetto «Decreto agosto» e con la legge di bilancio 2021, una serie di incentivi per l'acquisto di auto nuove, riuscendo a coniugare l'azione positiva per l'ambiente con l'eliminazione di vetture circolanti altamente inquinanti, l'incremento della sicurezza del parco circolante e il deciso sostegno ad un settore strategico per l'economia ed il lavoro italiani;

    l'aver favorito il ritmo di sostituzione delle vetture con oltre 10 anni di vita ha fatto risparmiare all'ambiente decine di migliaia di tonnellate di anidride carbonica, grazie alla vendita di circa 100.000 vetture che non sarebbero state vendute in assenza degli incentivi: gli incentivi varati con la legge di bilancio per il 2021, in particolare quelli con emissioni di anidride carbonica contenute tra 61 e 135 gr/km hanno infatti evitato, come per la seconda parte del 2020, che il mercato italiano crollasse. Nel primo trimestre 2021 l'andamento del mercato italiano, pur registrando un calo del 12,7 per cento, è risultato essere migliore di quello dei principali Paesi dell'Unione europea grazie al fatto che si erano previsti incentivi per il primo semestre 2021 anche per sostenere le vendite di vetture ad alimentazione tradizionale;

    la caduta delle immatricolazioni di autoveicoli registrata nei mesi di ottobre e novembre 2021 rispetto ai corrispondenti mesi del 2020, e il calo del 34,8 per cento a gennaio 2022 sullo stesso mese del 2019, precedente la pandemia, sono indicatori del protrarsi della gravità della crisi del settore che, secondo alcuni studi, potrebbe portare, se si proietta il dato di gennaio 2022 sull'intero 2022, ad un volume di immatricolazioni, per l'intero 2022, di 1.198.000 autovetture con un calo del 17,8 per cento sul 2021;

    le enormi difficoltà che attraversa il settore, a cui si vanno ad aggiungere quelle non meno importanti determinate dalla carenza dei componenti elettronici, hanno messo in allarme gruppi come Stellantis, Toyota e Volkswagen. Numerosi stabilimenti (Pomigliano, Sevel, Melfi), nel corso degli ultimi mesi, hanno più volte infatti interrotto, seppur temporaneamente, la produzione di autoveicoli per mancanza di microchip. L'azienda taiwanese Tsmc, la più grande produttrice al mondo di semiconduttori, ha annunciato l'intenzione di innalzare i prezzi dei microchip fino al 20 per cento, prefigurando con tutta probabilità un forte rincaro in vista sui prodotti finali;

    nelle scorse settimane, Stellantis, ha manifestato l'intenzione di procedere ad una complessiva riorganizzazione degli impianti di produzione presenti nel nostro territorio, i cui effetti ancora non sono noti in ragione di un piano industriale che, secondo le dichiarazioni rese dall'amministratore delegato del gruppo, sarà reso pubblico a marzo 2022. Per alcuni stabilimenti, come la VM Motori di Cento operante dal 1947 nella produzione dei motori diesel, le prospettive appaiono incerte anche in ragione della specializzazione in un settore tecnologico tradizionale il cui futuro appare segnato dalla transizione in atto;

    le ricadute di tali trasformazioni, oltre a destare forti preoccupazioni ai numerosi addetti del settore automotive, iniziano a produrre i primi effetti in particolare sull'indotto della componentistica italiana, anche in situazioni aziendali di conseguimento di fatturato e utili, con la manifestazione di alcune crisi industriali che vedono il coinvolgimento di importanti e storiche aziende e il rischio di licenziamento per numerosi lavoratori;

    le politiche di accompagnamento alla transizione del settore automotive nel nostro Paese rappresentano, quindi, uno dei passaggi cardine non soltanto per il conseguimento degli obiettivi condivisi in seno alle organizzazioni internazionali e sovranazionali che l'Italia si è impegnata a rispettare, a partire dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dagli accordi di Parigi sul clima nell'ambito della COP 21 del 2015, ma soprattutto per il raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e di sviluppo e competitività del nostro sistema produttivo;

    in merito alle politiche di accompagnamento, la filiera della componentistica dell'industria automobilistica necessita di interventi ad hoc, come fatto da altri Paesi con alta vocazione automotive, che prevedono sostegno: a) alla riconversione produttiva (senza discrimini territoriali, soprattutto per le aziende che «subiscono» normativamente uno «stop» produttivo), b) alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e tecnologie innovative in grado di assecondare la domanda emergente nel mercato di riferimento e di competere a livello globale, c) alla riqualificazione professionale degli addetti, in assenza delle quali si prefigura il rischio, già a partire dai prossimi mesi, di ulteriori chiusure e licenziamenti di personale; tra le politiche di accompagnamento, un ruolo particolarmente importante può essere rappresentato dal possibile sviluppo di nuove filiere di produzione quali quello delle batterie e dei semiconduttori,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere, nel primo provvedimento utile, tutte le misure ritenute necessarie a sostenere la filiera dell'automotive nel superamento dell'attuale fase di crisi, sia sul fronte della produzione e dell'approvvigionamento sia su quello della vendita di autoveicoli, a partire dal rifinanziamento degli incentivi all'acquisto di veicoli elettrici o a basse emissioni di anidride carbonica in ottica pluriennale, anche associata ad una progressiva riduzione negli anni degli importi dell'incentivo a fronte dello sviluppo tecnologico, della riduzione dei costi dei veicoli e della crescita dei volumi di vendita;

2) ad adoperarsi per favorire il rapido superamento delle situazioni di crisi industriale emerse nel corso degli ultimi mesi nella filiera dell'automotive, in particolare nel settore della componentistica, al fine di evitare licenziamenti di addetti e la delocalizzazione di importanti aziende operanti nel settore e ad affrontare, per tempo, con adeguati strumenti e risorse, le situazioni di potenziale crisi che stanno per emergere e che rischiano di avere pesanti ricadute occupazionali nei territori coinvolti, in particolare nella filiera della componentistica tradizionale;

3) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per istituire un fondo pluriennale dedicato ad accompagnare la transizione del settore dell'automotive, che abbia almeno le seguenti linee di intervento:

  a) sostenere la trasformazione dell'industria automobilistica e tutti gli interventi di carattere industriale necessari ad accompagnare e sostenere il processo di trasformazione industriale e di innovazione settoriale, a partire dalla digitalizzazione fino al cambio delle motorizzazioni e allo sviluppo delle nuove tecnologie, alle attività di ricerca e sviluppo (anche aumentando la copertura dedicata nella ricerca e sviluppo di prodotto e processo), al trasferimento tecnologico e alla nascita di nuove imprese innovative, e gli investimenti nazionali ed esteri, favorendo anche i progetti basati su aggregazioni tra imprese;

  b) sostenere la riqualificazione professionale degli addetti nel settore dell'automotive, con particolare riguardo a quelli della filiera della componentistica, al fine di garantirne la continuità occupazionale o il ricollocamento professionale durante le fasi di transizione del settore ed evitare quanto più possibile il ricorso agli ammortizzatori sociali;

  c) sostenere, altresì, la graduale transizione della filiera dei servizi dell'automotive, con particolare riguardo alle imprese operanti nel settore della componentistica, con appositi e mirati interventi finalizzati a favorire la riconversione delle produzioni o la realizzazione di prodotti innovativi in grado di rispondere alla domanda emergente nel mercato dell'automotive e del trasporto pubblico locale, di generare fatturato e di garantire la continuità occupazionale agli addetti al settore;

4) ad attivarsi nelle sedi istituzionali europee per sostenere e valorizzare il ruolo strategico della filiera dell'automotive, affinché l'intero settore sia adeguatamente supportato nei prossimi anni, con politiche e risorse aggiuntive rispetto a quelle finora stanziate, rivalutando i criteri di assegnazione tra i diversi Paesi comunitari rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni;

5) a farsi, altresì, promotore di proposte nell'ambito dell'Unione europea che disegnino una strada verso la decarbonizzazione che sia sostenibile in termini ambientali, sociali ed industriali, favoriscano la neutralità tecnologica e prevedano target realisticamente raggiungibili per il settore dell'automotive;

6) ad adottare, in tale quadro, ogni iniziativa volta a favorire l'Italia come sede di attività di lavorazione di semiconduttori e di produzione di batterie e del loro riuso e riciclo, e a valutare l'opportunità di prevedere semplificazioni burocratiche ed incentivi adeguati per l'attrazione di investimenti stranieri e lo stabilimento sul territorio nazionale di nuove attività produttive, al fine di rafforzare l'autonomia strategica nell'approvvigionamento di semiconduttori e batterie e di garantire adeguati livelli di ricerca e sviluppo negli ambiti tecnologici, della microelettronica e dell'intelligenza artificiale.
(1-00582) «Benamati, Serracchiani, Braga, Frailis, Bazoli, Berlinghieri, Bonomo, Enrico Borghi, Carla Cantone, Carnevali, Critelli, D'Elia, De Filippo, De Maria, Delrio, Gariglio, Incerti, Gavino Manca, Nardi, Pagani, Rizzo Nervo, Soverini, Topo, Zardini, Boldrini, Di Giorgi, Fiano, De Luca».

(11 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea si è impegnata a diventare a «impatto climatico zero» entro il 2050. A tal fine, il settore dei trasporti deve subire una trasformazione che richiederà una riduzione del 90 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, assicurando soluzioni a prezzi accessibili per i cittadini;

    i trasporti sostenibili rappresentano un'opportunità per contribuire alla ripresa e alla crescita dell'economia. Un sistema di trasporto efficiente e affidabile, infatti, è essenziale per il buon funzionamento del mercato interno europeo e, in questo ambito, la tariffazione stradale può svolgere un ruolo chiave nell'incentivare opzioni più pulite ed efficienti, garantendo, al contempo, un trattamento equo degli utenti della strada e il finanziamento di infrastrutture sostenibili;

    il settore dei trasporti contribuisce per circa il 5 per cento al prodotto interno lordo europeo e dà lavoro a oltre 10 milioni di persone. Allo stesso tempo, è un settore che rappresenta un quarto delle emissioni totali di gas serra dell'Unione europea ed è dunque un settore prioritario d'intervento per raggiungere l'obiettivo europeo di ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030, per essere il primo continente neutro dal punto di vista climatico entro il 2050;

    al fine di raggiungere l'obiettivo della neutralità climatica per il 2050, il settore dei trasporti deve fare la sua parte e subire una trasformazione che richiederà una drastica riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (il 90 per cento entro il 2050), garantendo allo stesso tempo soluzioni ambientalmente sostenibili e a prezzi accessibili per i cittadini;

    l'Italia è la nazione europea con il maggior numero di veicoli in proporzione agli abitanti: ciò è aggravato dal fatto che il parco auto è molto «anziano», con oltre il 50 per cento di mezzi con più di 10 anni;

    nei prossimi anni, pertanto, il comparto dell'automotive dovrà mostrare la sua capacità di raccogliere le sfide legate ai grandi cambiamenti che lo attendono;

    è inoltre noto come la crescente diffusione di veicoli elettrici porti con sé l'esigenza di una capillare e diffusa rete di punti di ricarica: lo sviluppo della mobilità elettrica, infatti, presuppone, per una sua adeguata espansione, l'installazione di infrastrutture di ricarica innovative e superveloci distribuite e localizzate, sia in sede pubblica che privata, di concerto con gli enti locali, con i gestori delle stazioni ferroviarie, i concessionari di autostrade e superstrade e i distributori di energia elettrica;

    a tal fine, occorre accelerare sull'aggiornamento del Piano nazionale di infrastrutturazione per la ricarica dei veicoli elettrici (Pnire), redatto in ottemperanza al comma 2 dell'articolo 17-septies dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, il quale prevede al 2030, sulla base del target di 6 milioni di auto elettriche previsto dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec), 1.850 colonnine di ricarica veloci per le aree di servizio autostradali, 10 mila in area extraurbana e oltre 20.000 in area urbana, nonché 78.600 colonnine di ricarica lente nei centri urbani;

    da non sottovalutare, inoltre, è il ruolo che, in un contesto che coinvolge tutti i settori e che presuppone dei cambiamenti negli stili di vita verso la sostenibilità, possono rivestire le stazioni di rifornimento e la vendita al dettaglio di carburanti grazie alle loro caratteristiche ideali in termini di capillarità e di spazi a disposizione. Riconvertire le stazioni di distribuzione in luoghi multi-servizio e multi-prodotto, infatti, oltre a riqualificare e ammodernare punti vendita altrimenti obsoleti o dismessi, consentirebbe di offrire ai clienti finali un'offerta qualitativamente migliore, nonché spazi e servizi ad hoc che coniughino mobilità sostenibile, economia circolare e risparmio energetico mediante la proposta di carburanti a bassa o zero emissione di anidride carbonica (gpl, metano, idrogeno e ricarica elettrica) e il ricorso a soluzioni di efficientamento energetico, di recupero e risparmio delle risorse idriche e di installazione di impianti a fonti rinnovabili;

    negli ultimi dieci anni, le emissioni di gas a effetto serra in Europa sono diminuite significativamente in tutti i settori dell'economia, anche in relazione alla crisi economico-finanziaria globale, con l'unica eccezione dei trasporti che ad oggi rimangono il primo settore per emissioni di gas a effetto serra in Europa, superando persino il settore elettrico;

    nel nostro Paese, già con la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), si è avviata una politica di incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici e non inquinanti, di detrazioni fiscali per le spese per le infrastrutture di ricarica e la previsione di un'imposta sull'acquisto di nuovi autoveicoli più inquinanti (cosiddetto malus o ecotassa);

    in particolare, i commi da 1031 a 1041 della citata legge di bilancio per il 2019 disciplinano le misure incentivanti sia a carattere fiscale che extra fiscale; il comma 1039 ha introdotto una detrazione fiscale per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica per i veicoli alimentati a energia elettrica di cui all'articolo 16-ter del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, con la possibilità per i contribuenti di detrarre dall'imposta lorda le spese relative all'acquisto e alla posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, ivi inclusi i costi iniziali per la richiesta di potenza addizionale fino ad un massimo di 7 kilowatt; i commi da 1042 a 1045 concernono invece disposizioni disincentivanti sotto forma di imposta per l'acquisto di autovetture nuove con emissioni di anidride carbonica superiori ad una certa soglia;

    a far data dal 1° gennaio 2021, inoltre, sulle vetture di nuova immatricolazione è riportato, nel libretto di circolazione, esclusivamente il ciclo di omologazione Wltp e, per tale ragione, l'ecotassa auto è stata calcolata su questo nuovo valore e non più sulla scorta dei dati emersi dal ciclo Nedc, con esclusione dal pagamento dell'ecotassa delle vetture con emissioni da 161 a 190 grammi per chilometro;

    consapevoli delle complessità e delle difficoltà attuali che si stanno affrontando per poter accelerare un modello di mobilità eco-sostenibile sollecitato anche dai nuovi target europei sulle emissioni di anidride carbonica dei veicoli, le scelte di politica industriale nel nostro Paese dovranno indirizzarsi in maniera chiara ed inequivocabile su incentivi che promuovano un cambio di paradigma dell'intera filiera automotive verso soluzioni e business più sostenibili e sull'installazione capillare su tutto il territorio nazionale di infrastrutture di ricarica elettrica;

    risulta cruciale riconvertire gradualmente l'intero indotto che fa capo all'automotive per supportare sempre più imprese verso la produzione di batterie, che, nei prossimi anni, diventerà il settore strategico per il lancio definitivo della mobilità elettrica nei Paesi europei. È un settore nel quale l'Italia potrebbe diventare leader all'interno dell'Unione incrementando la produzione e investendo in ricerca per la realizzazione di sistemi di accumulo più potenti, efficienti, duraturi e meno inquinanti. A ciò si aggiunge la necessità di intervenire per riqualificare e aggiornare le competenze dei lavoratori del settore e rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo;

    a sostegno del mondo aziendale, poi, è stato rilevato che le flotte di veicoli M1 aziendali sono una categoria particolarmente adatta all'elettrificazione per diversi motivi: la media di chilometri per anno è maggiore di quella dei veicoli privati e, inoltre, data la necessaria pianificazione dei percorsi, è più agevole verificare la compatibilità dell'autonomia del veicolo con le tratte di servizio e quindi programmare le ricariche dei mezzi durante la giornata di lavoro o alla fine della stessa. I veicoli di servizio vengono poi solitamente parcheggiati in autorimesse o in parcheggi comuni dove è più semplice installare e gestire l'infrastruttura di ricarica;

    è auspicabile intervenire a livello normativo per introdurre, per un periodo almeno di 3 anni, un sistema di agevolazione fiscale per l'acquisto o il noleggio di veicoli a zero emissioni nei principali canali flotte, quali, ad esempio, vetture in pool, ad uso promiscuo, per liberi professionisti e agenti di commercio;

    fin dalla loro introduzione, la ratio alla base degli incentivi per l'acquisto o il noleggio di auto a zero emissioni di anidride carbonica è stata quella non solo di indirizzare il comportamento di consumo e di utilizzo dei mezzi da parte di cittadini e aziende, ma anche di dare certezze a produttori e consumatori sui disincentivi alla circolazione di mezzi inquinanti e consentire all'industria di pianificare gli investimenti;

    nonostante, infatti, le immatricolazioni in crescita rispetto a gennaio 2021, quando similmente a oggi non erano ancora resi disponibili gli incentivi 2021, l'assenza di supporti all'acquisto di veicoli a zero emissioni ha sicuramente frenato le vendite di nuove auto. Inoltre, si devono considerare anche i ritardi di consegna dovuti alla crisi delle materie prime, dei semiconduttori e dei microchip e alla possibilità di immatricolare entro il 30 giugno 2022 le vetture con gli incentivi prenotati. Quest'ultimo elemento, in particolare, ha tuttavia permesso di raggiungere dei numeri mensili bassi ma non drammatici, tanto che le 3.651 Bev vendute si possono per lo più considerare mezzi che hanno usufruito di incentivi nel 2021 ma che non erano ancora stati immatricolati;

    risulta cruciale, pertanto, dare agli incentivi per l'acquisto di autoveicoli a zero emissioni un orizzonte stabile e di lungo periodo; un orizzonte capace di condurre il nostro Paese verso un parco macchine elettrico più ampio, che oggi si attesta solo attorno a un 0,25 per cento circa del parco circolante;

    occorre, per di più, intervenire, a livello normativo, per reintrodurre, almeno per tutto il 2022, la detrazione per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, ivi inclusi i costi iniziali per la richiesta di potenza addizionale fino ad un massimo di 7 kilowatt;

    inoltre, è indispensabile reintrodurre, con una modifica all'articolo 1, comma 1042-bis, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nuovi scaglioni disincentivanti e relativi nuovi importi, per l'acquisto di autovetture nuove con emissioni di anidride carbonica superiori ad una soglia minima di 161 grammi di anidride carbonica per chilometro, anche al fine di utilizzare i proventi per finanziare il fondo per l'acquisto di veicoli elettrici di cui al citato articolo 1, comma 1031, della legge 30 dicembre 2018, n. 145;

    le sopra menzionate disposizioni relative agli incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici, in materia di detrazioni fiscali per le spese per le infrastrutture di ricarica e d'imposta sull'acquisto di autoveicoli nuovi più inquinanti (cosiddetto malus o ecotassa) non sono state prorogate e riconfermate per il 2022,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per stanziare nuovi e adeguati incentivi, su base pluriennale ed esclusivamente per la fascia 0-20 grammi di anidride carbonica per chilometro, modificando la struttura attualmente prevista per l'ecobonus di cui all'articolo 1, comma 1031, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nel senso di aumentare la differenza di incentivo tra acquisto con rottamazione e senza rottamazione, valutando altresì una progressiva riduzione degli stessi nel tempo, sulla base dei progressi tecnologici, del minor costo delle autovetture e dell'incremento dei volumi di vendita;

2) ad adottare iniziative per prevedere un meccanismo di finestre temporali nel corso di ogni anno finalizzato a valutare l'andamento temporale dell'assorbimento delle risorse stanziate per il supporto al settore che tenga conto, inter alia, dell'esigenza delle case costruttrici di implementare la propria produzione di modelli incentivabili;

3) ad adottare iniziative per revisionare e rendere maggiormente efficiente, mediante la previsione di nuovi scaglioni disincentivanti e relativi nuovi importi, la cosiddetta ecotassa o malus di cui all'articolo 1, comma 1042-bis, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, concernente il sistema di riscossione dell'imposta parametrata al numero di grammi di biossido di carbonio emessi per chilometro eccedenti la soglia di 161 grammi di anidride carbonica per chilometro, con lo scopo di utilizzare i proventi per finanziare gli incentivi destinati all'acquisto di auto a zero emissioni di ultima generazione;

4) ad adottare iniziative tese alla ristrutturazione, alla riqualificazione e all'ammodernamento delle stazioni di distribuzione dei carburanti che contemplino non solo la riconversione tecnologica della rete distributiva, anche attraverso il ricorso a strumenti agevolativi e a rimborsi per la bonifica ambientale e il definitivo smantellamento, ma anche l'implementazione di servizi dedicati ai combustibili alternativi e alla mobilità elettrica, nel rispetto degli obblighi e ai sensi della disciplina di attuazione della direttiva 2014/94/UE (cosiddetta direttiva Dafi), e di soluzioni di efficientamento energetico, di recupero e risparmio delle risorse idriche e di installazione di impianti a fonti rinnovabili;

5) a programmare ed accompagnare la riconversione dell'industria automobilistica e i settori produttivi ad essa collegati tramite investimenti in nuove tecnologie ed ecoinnovazione per lo sviluppo di una filiera nazionale di veicoli elettrici (gigafactory per la produzione di celle, produzione componentistica e assemblaggio, impianti di recupero e riciclo di batterie), anche al fine di consentire alle imprese del settore di pianificare la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei propri lavoratori e rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo;

6) ad adottare iniziative per incentivare la ricerca sul riuso, il riciclo e lo smaltimento delle batterie di veicoli elettrici, anche sotto il profilo della manodopera specializzata, per la produzione di nuove tecnologie per sistemi di accumulo di energia per veicoli, nonché per la diffusione di carburanti alternativi;

7) a proseguire nel sostenere, con adeguate risorse statali, l'acquisto di veicoli commerciali di categoria N1 per la logistica, la consegna e la distribuzione dell'ultimo miglio a zero emissioni di anidride carbonica e M1 speciali;

8) ad adottare iniziative per prevedere i necessari strumenti incentivanti volti a stimolare l'acquisto da parte delle imprese private di flotte aziendali (vetture in pool, ad uso promiscuo, per liberi professionisti e agenti di commercio), anche valutando un aumento della deducibilità fiscale e del limite di detraibilità dell'Iva per tutti i veicoli a zero emissioni;

9) ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse finanziarie tese ad orientare le scelte di business dei produttori di veicoli verso lo sviluppo di nuovi modelli elettrici per il trasporto pubblico locale urbano ed extraurbano;

10) ad adoperarsi per la risoluzione delle varie crisi aziendali afferenti al settore automobilistico e individuare le strategie più idonee a sostenere il rilancio del comparto nel processo di transizione verso la produzione di nuovi mezzi di trasporto sostenibili, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, nonché con le parti sociali, le istituzioni interessate e i sindacati, garantendo al contempo continuità occupazionale e produttiva;

11) a proseguire con le associazioni di categoria, le parti sociali e le case produttrici, anche attraverso il tavolo di confronto sull'automotive, già operativo presso il Ministero dello sviluppo economico, per sostenere l'intera filiera nazionale nel passaggio verso produzioni sempre più ecologiche, in coerenza con i nuovi e più ambiziosi obiettivi europei e le esigenze dei cittadini, nonché per favorire la realizzazione degli investimenti necessari e la progressiva conversione degli impianti industriali e così evitare la contrazione della produzione e i conseguenti impatti negativi sui livelli occupazionali dell'intero comparto;

12) ad assumere iniziative per reintrodurre, almeno per tutto il 2022, la detrazione per l'acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica di cui all'articolo 1, comma 1039, della legge 30 dicembre 2018, n. 145;

13) ad assumere iniziative per ridurre le imposte per operatori di vehicle sharing con veicoli ad emissioni zero;

14) al fine di accelerare il passaggio verso una mobilità a zero emissioni, ad adottare iniziative per prevedere, per un periodo transitorio, tariffe agevolate per le tratte autostradali a pedaggio.
(1-00583) «Chiazzese, Sut, Davide Crippa, Scagliusi, Ficara, Serritella, Alemanno, Carabetta, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Orrico, Palmisano, Perconti, Federico, D'Ippolito, Zolezzi, Terzoni, Luciano Cantone, De Lorenzis, Grippa».

(14 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il settore automobilistico, vanto dell'economia italiana che ha rappresentato per decenni un fattore incrementale importante in termini di prodotto interno lordo nazionale, vive da anni una profonda crisi, amplificata ulteriormente dalla pandemia, proprio nel momento in cui dovrebbe entrare nel vivo il processo di transizione ecologia;

    l'industria automobilistica è un settore che dà lavoro, tra diretti e indotto, a circa un milione di persone, ma allo stato attuale, come evidenziato anche dalle maggiori rappresentanze sindacali, attraversa una crisi strutturale, data dall'assenza di piani industriali e dal ritardo negli investimenti;

    in base ai dati dell'Archivio nazionale dei veicoli e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, nello scorso mese di gennaio sono state immatricolate 107.814 autovetture a fronte di 134.198 immatricolazioni dello stesso mese dell'anno precedente, con una diminuzione di quasi il venti per cento (19,7 per cento);

    le certificazioni rilasciate dagli uffici della motorizzazione nel mese di gennaio 2022, mostrano come, invece, i trasferimenti di proprietà sono stati 348.137 a fronte di 259.244 passaggi registrati a gennaio 2021, con un aumento del 34 per cento;

    il volume globale delle vendite mensili, pari a 455.951, ha quindi interessato per il 23,65 per cento vetture nuove e per il 76,35 per cento vetture usate;

    il Centro Studi Promotor ha evidenziato che «La gravità della situazione è messa bene in luce dal fatto che, se si proietta il dato del gennaio scorso sull'intero 2022, si ottiene un volume di immatricolazioni, per l'intero 2022, di 1.198.000 autovetture con un calo del 17,8 per cento sul 2021»;

    così come evidenziato dallo stesso centro studi, «l'attuale situazione del mercato dell'auto è, dunque, assolutamente anomala, non solo perché per livello di immatricolazioni ci riporterebbe agli anni Sessanta del secolo scorso, ma anche perché l'andamento del settore rischia di essere in netto contrasto con quello dell'economia»;

    in particolare, il prodotto interno lordo italiano nel 2021 è cresciuto del 6,5 per cento rispetto all'anno precedente e il mercato dell'auto è cresciuto del 5,5 per cento, ma per il 2022, mentre ci si attende secondo Bankitalia una crescita del prodotto interno lordo del 3,8 per cento, il mercato dell'auto, se non si inverte la tendenza in atto, potrebbe far registrare un calo del 17,8 per cento;

    purtroppo con la pandemia, molte fabbriche si sono fermate e produttori di conduttori e semiconduttori, hanno spostato la domanda su altri settori; sono venuti meno gli investimenti e non si è stati in grado di garantire il necessario e prevedibile avanzamento tecnologico legato al settore; il tema della transizione di tutto il processo collegato all'auto, con il cambio dei motori, la digitalizzazione e la connettività rappresenta una rivoluzione nei processi che riorganizzerà il settore nel giro di pochi anni;

    servono le risorse per poter garantire gli impegni assunti dal comitato interministeriale per la transizione ecologica, recependo una delle indicazioni contenute nel pacchetto per il clima della Commissione europea e che prevedono che entro quattordici anni dovrà concludersi l'eliminazione progressiva della vendita di auto nuove con motore a combustione interna; nello specifico, dal 2035 in avanti, in Italia, potranno essere prodotte e commercializzate solo auto nuove mosse da motori elettrici o a idrogeno;

    nel mese di luglio 2021 il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha presentato il piano fit for 55: un cospicuo pacchetto di misure pratiche, legislative e normative volte ad accelerare la transizione ecologica e che impatta con forza sul settore della produzione e commercializzazione di automobili stanti i due passaggi fondamentali che lo costituiscono; la riduzione – entro il 2030 – del 55 per cento delle emissioni dei gas serra delle automobili e del 50 per cento di quelle dei veicoli commerciali rispetto ai valori riscontrati nel 1990, e l'abbandono — entro il 2035 — della produzione e vendita di automobili e veicoli commerciali con motore a benzina, gasolio e ibrido;

    il cosiddetto pacchetto fit for 55 rappresenta una sfida enorme per il settore dell'automotive che necessiterà di investimenti cospicui e di un efficace ammodernamento tecnologico; in tale ambito, occorre non dimenticare che al fine di poter accompagnare adeguatamente i processi di transizione, occorrono strumenti formativi e di aggiornamento delle competenze, non solo per istruire i giovani, ma anche per poter garantire un adeguamento delle competenze dei lavoratori più anziani;

    per poter garantire un adeguato coordinamento con gli orientamenti europei è sempre più evidente la necessità di un diverso approccio alla mobilità: si è in particolare rilevato come i trasporti pubblici contribuiscano in modo significativo alle emissioni che alterano il clima, e anche per ciò che concerne il settore dei trasporti pubblici occorre rinnovare il parco automobilistico con mezzi meno inquinanti e diretti a favorire l'utilizzo di modalità di trasporto ad impatto zero, come la mobilità ciclistica e la micromobilità elettrica, tutte misure che hanno un impatto significativo sul bilancio degli enti locali;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nell'ambito della «Missione 2: Rivoluzione verde e transizione ecologica», prevede la componente (M2C2), «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile» con risorse pari a 23,78 miliardi di euro;

    tale componente si divide a sua volta in cinque ambiti di intervento, tra i quali l'ambito 4, relativo allo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile, che reca complessivamente una previsione di spesa di 8.580 milioni di euro, e l'ambito 3, relativo alla sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale e nel trasporto ferroviario ed all'investimento nei bus elettrici, con una previsione di spesa di 830 milioni di euro;

    è di tutta evidenza l'inadeguatezza delle risorse stanziate e la necessità di una ulteriore specifica destinazione per le attività di ricerca e sviluppo nel settore dell'automotive, anche avvalendosi di programmi e progetti da definire con i consorzi interuniversitari che esprimono competenze specifiche sui temi della mobilità futura,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rifinanziare l'«ecobonus» e a introdurre ulteriori nuovi e adeguati incentivi al fine di sollecitare i cittadini nella sostituzione di auto a motore termico e maggiormente inquinanti, con l'obiettivo di facilitare il rinnovo del parco auto nazionale in chiave di mobilità sostenibile;

2) ad adottare iniziative per garantire agli enti locali il sostegno economico necessario, attraverso nuove e adeguate risorse, atte a consentire la riconversione alla elettrificazione dei mezzi adibiti alla mobilità nell'ambito del trasporto pubblico;

3) a promuovere un'articolata azione di politica industriale, che preveda la individuazione di tutti i siti produttivi dell'indotto automobilistico italiano tradizionale, ormai a rischio di smantellamento, con l'obiettivo di individuare la tipologia delle attuali produzioni e la collocazione nella supply chain, atte a valutare le ipotesi di riconversione al ciclo produttivo della nuova industria globale dell'automotive, valutando a tal fine la costituzione di un gruppo di lavoro misto tra i Ministeri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e mobilità sostenibili e dell'università e della ricerca, in collaborazione anche con le università italiane;

4) ad assicurare che tale azione complessiva di politica industriale e di impulso alla ricerca preveda una concertazione tra industria e università, attraverso la condivisione di specifici progetti;

5) ad adottare iniziative per garantire processi di aggiornamento costanti delle conoscenze, con particolare attenzione ai lavoratori anziani, attraverso l'erogazione di programmi di formazione continua, essenziali per rispondere alle esigenze di sviluppo delle tecnologie legate ai nuovi paradigmi della mobilità e per allineare nel lungo termine le abilità richieste dal mercato con quelle della forza lavoro;

6) a individuare precise assegnazioni di risorse del Pnrr in ambito di ricerca e sviluppo nel settore dello sviluppo futuro dell'automotive, da definire con i consorzi interuniversitari che esprimono competenze specifiche sui temi della mobilità futura;

7) a destinare il venti per cento dei fondi a disposizione di CDP Venture Capital al settore della mobilità futura, facilitando l'incontro tra le start-up assegnatarie e le società dell'indotto automobilistico italiano;

8) a definire politiche di incentivazione specifiche per le imprese del settore, con l'obiettivo di sostenerle nell'azione di riconversione industriale delle lavorazioni e, specificamente, nell'assunzione di nuovo personale, giovane e qualificato.
(1-00587) «Lollobrigida, Meloni, Butti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(15 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia deve molto alla produzione di auto, veicoli commerciali e industriali, che hanno stimolato lo sviluppo di competenze e innovazione e capacità produttiva anche in comparti collegati, a partire dalla fabbricazione di macchine e impianti, con benefìci economici e sociali per tutto il Paese, contribuendo a rappresentare il Made in Italy nel mondo, andando anche oltre i marchi più prestigiosi e i modelli iconici conosciuti e ovunque apprezzati;

    il comparto, pur a fronte di una riduzione complessiva della produzione nazionale, che è passata dagli oltre 1,8 milioni di veicoli nel 1997 ai soli 700.000 nel 2021, contribuisce al prodotto interno lordo in misura pari a circa il 12 per cento, proprio per questo, la crisi del settore potrebbe mettere in discussione le prospettive di crescita stimate per l'anno 2022 al 3,8 per cento;

    l'emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione del virus COVID-19, infatti, ha messo a dura prova anche tale settore, generando shock significativi sul lato dell'offerta: alla scarsa disponibilità di semiconduttori, si è aggiunto il rincaro, pari all'11,6 per cento dei costi delle materie prime a causa dell'aumento della domanda nel periodo post lockdown, che ha generato anche un incremento significativo dell'inflazione;

    secondo gli ultimi dati forniti dall'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), nel mese di gennaio 2022 sono state immatricolate in Italia 107.814 auto, con un calo del 19,7 per cento su gennaio del 2021, del 30,67 per cento su gennaio 2020 e del 34,8 per cento su gennaio 2019, periodo precedente allo scoppio della pandemia;

    tra gli stabilimenti italiani, uno dei più colpiti è quello del gruppo Stellantis a Melfi, che, nel 2021, ha registrato un crollo dei volumi produttivi del 28,8 per cento rispetto al 2020, con 163 mila auto uscite dallo stabilimento a fronte delle 390 mila vetture del 2015; il gruppo, peraltro, ha recentemente annunciato di voler restituire anticipatamente il prestito ricevuto con garanzia di Sace, a fronte del quale si era impegnato al rispetto di specifici impegni e condizioni, tra cui il proseguimento nell'attuazione dei progetti industriali annunciati a dicembre 2019, l'impegno a non delocalizzare la produzione di alcuni modelli e il ripristino dei livelli occupazionali precedenti al ricorso ad ammortizzatori sociali; destano inoltre forte preoccupazione le recenti dichiarazioni del gruppo che ha preannunciato l'intenzione di procedere ad una complessiva riorganizzazione degli impianti di produzione presenti nel nostro territorio;

    la crisi sta duramente colpendo, in particolare, il comparto del car sharing e del noleggio a breve e lungo termine, settori fondamentali per le diverse esigenze di mobilità turistica, cittadina e aziendale, che costituisce uno dei principali traini per lo sviluppo della mobilità sostenibile (annovera il 47 per cento delle vetture ibride plug-in e il 30 per cento delle elettriche immatricolate in Italia): nell'ultimo rapporto Aniasa, l'associazione che rappresenta nel sistema Confindustria, è rilevato che le imprese che svolgono attività di noleggio veicoli, car sharing e servizi collegati alla mobilità, nel 2020 hanno avuto un calo delle immatricolazioni, che è stato del 58 per cento nel noleggio a breve termine e del 24,5 per cento in quello a lungo termine;

    il mercato dell'auto aziendale, in Italia, si trova in condizioni di gravi difficoltà strutturali ed è sottodimensionato rispetto alle proprie potenzialità, in quanto il settore nel nostro Paese vale circa il 37 per cento del mercato, contro il 65 per cento della Germania, il 53 per cento della Francia e il 57 per cento della Spagna: tra le principali cause di tale situazione vi è il trattamento fiscale fortemente penalizzante rispetto agli altri Paesi europei comparabili con il nostro: le aziende italiane, ad esempio, possono detrarre l'Iva solo al 40 per cento ed ammortizzare al 20 per cento, mentre in ambito dell'Unione europea la quota ammortizzabile e la detraibilità dell'Iva sono del 100 per cento, al quale si aggiunge un'incertezza e complessità del sistema di riscossione della tassa automobilistica;

    per quel che concerne il comparto autobus, l'Anfia ha recentemente messo in evidenza come il mercato nel 2021, pur in recupero rispetto al 2020, rimane lontano dai livelli pre-crisi per le difficoltà persistenti nelle medie e lunghe percorrenze, nonostante i fondi stanziati per il sostegno della transizione ecologica nel trasporto pubblico locale, che si auspica produca un incremento significativo nella velocità di rinnovo delle flotte, sempre più necessario dopo anni che hanno visto un ulteriore invecchiamento del parco circolante degli autobus;

    la necessaria transizione ecologica voluta dalle istituzioni nazionali ed europee rischia di produrre effetti economici significativi in un comparto già fortemente provato dalla crisi conseguente alla pandemia; in particolare, una proposta avanzata dalla Commissione europea al Parlamento e al Consiglio europeo nel luglio 2021 ha dato un'accelerazione importante al programma di decarbonizzazione della mobilità, prevedendo lo stop alla vendita di auto a motore tradizionale entro il 2035 e dei furgoni che producono emissioni di carbonio entro il 2040, proposta recepita a dicembre 2021 anche in Italia dal Comitato interministeriale per la transizione ecologica;

    l'Italia è il secondo Paese europeo, dopo la Germania, per occupati nella produzione di motori a combustione e l'imminente passaggio dal motore endotermico a quello elettrico mette a rischio l'attività di circa 500 imprese, come confermato da un inedito documento congiunto redatto da Federmeccanica e i principali sindacati dei metalmeccanici nel quale è stato evidenziato come la mancata adozione di interventi compensativi porterebbe ad una perdita di mezzo milione di posti di lavoro nell'Unione europea, compensati solo parzialmente dai 226.000 posti nella produzione dei motori per i veicoli elettrici, con una perdita netta di 275.000 unità, di cui 73.000 solo in Italia;

    appare quindi necessario indicare, al più presto, le tempistiche e le tappe del percorso di transizione verso l'adozione di tecnologie alternative per l'alimentazione dei vicoli circolanti, tenendo anche conto degli elementi di destabilizzazione derivanti dalla congiuntura economica, al fine di scongiurare il rischio di deindustrializzazione di un settore chiave dell'economia italiana, con effetti dirompenti sul tessuto sociale del Paese;

    il Governo italiano ha varato il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima per gli anni 2021-2030 (Pniec) che, tra i propri obiettivi, prevede una percentuale di energia nei trasporti da fonti rinnovabili pari al 22 per cento e 6 milioni di auto elettriche nel 2030, a fronte di immatricolazioni nell'anno 2021 pari ad appena 136.754 unità (67.255 auto elettriche a batteria (BEV) e 69.499 ibride plug-in (PHEV);

    la cosiddetta ecotassa, rinnovata anche per il 2021, incide, paradossalmente, anche su veicoli ibridi o con motori di ultima generazione;

    il comparto dell'autoriparazione, in particolare quella indipendente dalle case automobilistiche, è soggetto a una trasformazione che corre parallelamente a quella della produzione di veicoli e si districa tra difficoltà sempre maggiori quali quelle relative alla disponibilità di informazioni tecniche e alla necessità di formazione specifica;

    le misure di incentivazione all'acquisto adottate dal Governo hanno sostenuto in maniera significativa la ripresa del comparto automobilistico, ma, sulla scia delle decisioni adottate da altri Paesi europei e al fine di ridurre il differenziale competitivo, appare utile riflettere sull'ipotesi di trasformare provvedimenti «spot» di rifinanziamento del settore, che creano un effetto atteso della domanda, in misure strutturali di politica industriale che assicurino la sostenibilità economica e sociale del settore e preservino il patrimonio industriale italiano, sostenendo la riorganizzazione interna di tutta la filiera, specie delle piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere l'istituzione di uno specifico fondo per l'automotive finalizzato a finanziare misure quali, in particolare:

  a) interventi urgenti per affrontare e superare la crisi in corso, anche attraverso misure che mitighino l'incremento dei costi per l'energia;

  b) interventi strutturali, a medio e lungo termine, che sostengano: l'integrazione della filiera nel territorio nazionale, anche attraverso lo stimolo di nuovi stabilimenti di produzione per limitare futuri stop per dipendenza da forniture estere, gli investimenti per l'adeguamento dei processi produttivi alla grande trasformazione industriale che sta coinvolgendo il settore (autoveicoli a basse emissioni, guida assistita e autonoma, e altro, la riqualificazione professionale dei lavoratori oggi occupati negli stabilimenti della filiera, la formazione di nuove figure e profili già a partire dai percorsi scolastici della scuola secondaria e terziaria non accademica;

  c) il sostegno alla filiera italiana di produzione di autobus ed in particolare, prevedendo investimenti volti alla produzione di modelli meno inquinanti;

  d) sostegno alla produzione di low carbon fuels e biocarburanti allo scopo di accompagnare il comparto petrolchimico e della raffinazione verso una transizione sostenibile, valorizzare comparti d'eccellenza italiani legati alla produzione di biometano e aumentare l'indipendenza energetica del nostro Paese da importazioni;

  e) il rifinanziamento dell'attuale sistema di incentivazione all'acquisto di autoveicoli a basse emissioni, favorendo in tal modo il progressivo rinnovamento del parco auto del Paese, garantendo meccanismi di monitoraggio della spesa, valutando anche l'opportunità di introdurre automatismi per favorire una rapida redistribuzione di eventuali risorse residue che limitino il ricorso a interventi normativi in corso d'anno;

2) ad adottare iniziative per affrontare, in specifici tavoli, le situazioni di crisi negli stabilimenti del comparto, inclusa la componentistica, al fine di consolidare l'intera filiera, con particolare attenzione allo stabilimento di Melfi, dove è evidente la necessità di un accordo di sviluppo ampio che riguardi l'intero territorio, al fine di mantenere la strategicità del sito e il mantenimento degli impegni assunti dal gruppo come richiamati in premessa, evitando percorsi di insourcing e deinvestimento da parte di Stellantis, che possano pregiudicare il futuro occupazionale e industriale dello stabilimento e dell'indotto italiano;

3) ad adottare iniziative al fine di coniugare le scelte energetiche del Paese con la reale capacità del comparto di contribuire agli obiettivi fissati, anche rivedendo gli stessi all'interno del Pniec, evitando di compiere scelte ideologiche che danneggiano imprese e rischiano di aumentare le disuguaglianze;

4) a non rinnovare ulteriormente la cosiddetta «Ecotassa» sui veicoli inquinanti che, non contribuendo in maniera significativa alla riduzione delle emissioni, danneggia inutilmente le produzioni italiane;

5) ad adottare iniziative per armonizzare la normativa nazionale a quella eurounitaria al fine di revisionare, semplificare e razionalizzare la disciplina fiscale, con particolare riferimento alla quota ammortizzabile, al costo deducibile e ai tempi di ammortamento relativamente alle auto destinate ad essere utilizzate come strumenti nell'esercizio dell'attività di impresa, arte e professione;

6) ad adottare iniziative per rivedere il sistema di riscossione della tassa automobilistica (cosiddetto bollo auto) per le auto immatricolate a scopo di noleggio al fine dare maggior chiarezza alle imprese del settore ed evitare sovrapposizioni di periodi pagati;

7) ad adottare iniziative per proseguire gli incentivi per l'installazione di colonnine di ricarica di ultima generazione su tutto il territorio nazionale, indispensabile per favorire il rinnovo del parco auto circolante;

8) ad adottare iniziative per sostenere la filiera dell'autoriparazione che, parallelamente alla produzione, affronta le sfide dell'innovazione tecnologica dei veicoli, anche attraverso un ammodernamento della legge quadro del settore (legge n. 122 del 1992).
(1-00595) «Moretto, Fregolent, Mor, Marco Di Maio, Ungaro, Nobili, Gadda, Bendinelli, Occhionero, Vitiello».

(23 febbraio 2022)