TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 587 di Mercoledì 3 novembre 2021
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI LAVORO AGILE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
La Camera,
premesso che:
dal quadro generale fornito dalle «Linee guida sul piano organizzativo del lavoro agile (Pola) e indicatori di performance» (ex articolo 14, comma 1, legge 7 agosto 2015, n. 124, come modificato dall'articolo 263, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), si evince un chiaro e preciso insieme di elementi funzionali per la definizione di un impianto normativo per la regolamentazione del lavoro agile nella pubblica amministrazione, non più rinviabile;
l'emergenza sanitaria (ancora in corso) ha reso necessario il ricorso, anche nel pubblico impiego, a modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non in presenza, genericamente ricondotte al lavoro agile, finora oggetto di limitate sperimentazioni e timidi tentativi di attuazione;
le diverse realtà pubbliche hanno fatto ricorso nella fase emergenziale a modelli organizzativi di lavoro disciplinati già da tempo nel nostro ordinamento, scoprendone tuttavia punti di forza e di debolezza che sono stati messi al centro di un ampio e diffuso dibattito tuttora in corso;
le amministrazioni hanno utilizzato tale modalità nella fase emergenziale, in forma semplificata, anche in deroga alla disciplina normativa (ad esempio, l'accordo individuale, l'adozione di atti organizzativi interni che definiscono le regole per lo svolgimento della prestazione in modalità agile e altro) prescindendo, quindi, da una previa revisione dei modelli organizzativi che dovranno tener conto, oltre che di linee guida generali e nazionali, anche di precise caratteristiche personali e comportamentali del personale coinvolto (affidabilità, capacità di lavorare in autonomia e responsabilmente, capacità di utilizzare in modo autonomo la strumentazione mobile e le applicazioni standard, capacità di problem solving);
il lavoro da casa durante la fase emergenziale ha fornito un'esperienza a livello nazionale che non può e non deve essere ignorata, perché ha consentito di accendere un «focus» sugli elementi imprescindibili per una futura ed impellente revisione normativa del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, tema peraltro ribadito durante il question time dell'8 settembre 2021 dallo stesso Ministro per la pubblica amministrazione;
è emerso infatti che focalizzando l'attenzione sul piano organizzativo del lavoro agile (Pola) e sugli indicatori di performance, funzionali a un'adeguata attuazione e a un progressivo sviluppo del lavoro agile, si può ottenere un'applicazione graduale della programmazione del lavoro agile attraverso un'elaborazione del programma di sviluppo nell'arco temporale di un triennio;
l'attuale organizzazione del pubblico impiego, ripensata per favorire il lavoro agile, impone un diverso approccio organizzativo e richiederebbe anche un ripensamento complessivo della disciplina del lavoro pubblico; infatti, l'attuale disciplina normativa e contrattuale del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche riflette modelli organizzativi basati sulla presenza fisica in ufficio, con la conseguenza che numerosi istituti relativi al trattamento giuridico ed economico non sempre sono compatibili con il cambiamento in atto (si pensi, a titolo di esempio, alla disciplina dei permessi, a quella del lavoro straordinario e altro) richiedendo un'azione di revisione complessiva da porre in essere con il coinvolgimento imprescindibile delle organizzazioni sindacali;
l'attuale normativa, inoltre, mal si concilia con un'organizzazione che deve essere in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti e non permette di lavorare in una logica incrementale, rispettando e rispondendo alle esigenze dell'utenza, e di valorizzare il ruolo dei team caratterizzati dall'intercambiabilità e dalla flessibilità operativa dei componenti;
tra i fattori imprescindibili per una nuova visione del modello regolatorio del lavoro agile rivestono un ruolo strategico la «cultura organizzativa» e le «tecnologie digitali» in una logica di «cambio di gestione», ovvero di gestione del cambiamento organizzativo per valorizzare al meglio le opportunità rese disponibili dalle nuove tecnologie;
le tecnologie digitali sono fondamentali per rendere possibili nuovi modi di lavorare, sono da considerarsi, quindi, un fattore indispensabile del lavoro agile. Il livello di digitalizzazione permette di creare spazi di lavoro digitali virtuali, nei quali la comunicazione, la collaborazione e la socializzazione non dipendono da orari e luoghi di lavoro;
parallelamente dovrà prevedersi anche il diritto alla disconnessione; la pubblica amministrazione dovrà riconosce al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile i corretti tempi di riposo per garantire il recupero delle energie psico-fisiche, la conduzione della propria vita personale e la libera cura delle proprie relazioni affettive e sociali;
per rendere tutto ciò più efficace, occorre far leva sullo sviluppo di competenze digitali trasversali ai diversi profili professionali. Tuttavia, la vera chiave di volta, per raggiungere esperienze di successo, è l'affermazione di una cultura organizzativa basata sui risultati, capace di generare autonomia e responsabilità nelle persone, di apprezzare risultati e merito di ciascuno;
quindi, il tema della misurazione e valutazione della performance assume un ruolo strategico nell'implementazione del lavoro agile, ruolo che emerge anche dalla disposizione normativa che per prima lo ha introdotto nel nostro ordinamento;
sarà quindi necessario ridefinire i valori sui quali costruire l'auspicato e rinnovato impianto normativo di regolamentazione del lavoro agile nella pubblica amministrazione che tenga conto di una serie di indicatori necessari che dovranno essere adottati per uniformare il pubblico impiego alle mutate esigenze introdotte dalla pandemia: miglioramento dei servizi, aumento della produttività, maggiore benessere organizzativo e diminuzione dei costi della pubblica amministrazione; ciò anche nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 263, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative per dare piena attuazione, nel più breve tempo possibile, a un riordino della normativa vigente per la disciplina del lavoro agile nella pubblica amministrazione, che preveda:
a) la definizione e le modalità di prestazione del lavoro agile alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, contemperando il conseguimento di specifici obiettivi in un arco temporale predeterminato con modalità di organizzazione del lavoro senza vincolo di orario e di luogo di lavoro, prescindendo quindi da obblighi di presenza presso gli uffici, al fine di promuovere l'incremento della produttività e l'efficienza nonché il miglioramento della qualità dei servizi erogati;
b) la possibilità, per i dipendenti pubblici richiedenti e comunque nella percentuale prevista dai piani organizzativi del lavoro agile individuati dalle diverse pubbliche amministrazioni in misura non inferiore al 30 per cento, di avvalersi delle nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa con la garanzia di non subire penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera;
c) il potenziamento delle misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro favorendo il benessere organizzativo e individuale;
d) l'incremento dell'utilizzo delle tecnologie digitali a sostegno della prestazione lavorativa, mediante strumenti di lavoro messi a disposizione dalla pubblica amministrazione o comunque attraverso l'utilizzo di software interoperabili ed idonei a garantire la salute e la sicurezza del personale ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 81 del 2008 e dei dati dell'amministrazione;
e) la regolamentazione del diritto alla disconnessione;
f) il rispetto delle norme contenute nella legge n. 300 del 1970, dei principi espressi dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000/C 364/01), dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (2016/679);
g) la previsione di apposite disposizioni a sostegno della parità di genere, con particolare attenzione alla tutela di lavoratori e lavoratrici in relazione agli eventi di maternità e paternità;
h) la creazione di condizioni effettive per una maggiore autonomia e responsabilità dei lavoratori nella gestione dei tempi di lavoro e nel raggiungimento di risultati obiettivamente misurabili, anche nell'ottica di promuovere la mobilità sostenibile tramite la riduzione degli spostamenti casa-lavoro e viceversa;
i) il progressivo e costante monitoraggio della valutazione dei risultati conseguiti;
l) un programma triennale per la valorizzazione degli immobili in uso da realizzarsi prioritariamente attraverso la creazione di spazi di coworking;
m) l'eventuale riduzione delle locazioni passive, oltreché la cessione degli immobili di proprietà non più necessari;
n) l'utilizzo degli immobili che meglio soddisfano le esigenze di efficientamento energetico, dell'accessibilità dell'utenza e della mobilità del personale;
o) la destinazione di una quota parte degli eventuali risparmi conseguiti, non inferiore al sessanta per cento, all'incremento della dotazione tecnologica e digitale ai pubblici dipendenti preposti allo svolgimento di prestazioni lavorative in modalità agile, prevedendo altresì che l'eventuale restante quota sia destinata al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
(1-00520) «Baldino, Alaimo, Azzolina, Brescia, Maurizio Cattoi, Corneli, De Carlo, Dieni, Giordano, Francesco Silvestri, Elisa Tripodi».
(24 settembre 2021)
La Camera,
premesso che:
con il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il Governo ha esteso a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni l'obbligo di possedere e di esibire, dal 15 ottobre 2021, per l'accesso al luogo di lavoro, la certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass), escludendo da tale obbligo i soli soggetti esentati dalla campagna vaccinale per motivi sanitari;
estendendo l'obbligo della certificazione verde COVID-19 anche ai lavoratori del settore pubblico, il Governo incrementa l'efficacia delle misure di contrasto al fenomeno epidemiologico e consente, tramite il rientro in presenza dei pubblici dipendenti, di incrementare l'efficienza delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un passaggio indispensabile per sostenere le esigenze dei cittadini e delle imprese, in particolar modo di quelle impegnate nelle attività connesse all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
ci sono dunque le premesse per superare l'utilizzo del lavoro agile quale strumento di contrasto al fenomeno epidemiologico e ripristinare, ai sensi dell'articolo 87, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni che è quella svolta in presenza, al fine di supportare cittadini ed imprese nell'affrontare le importanti sfide della ripresa economica e dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr);
l'Aran e le organizzazioni sindacali, nel solco del patto sociale Governo-sindacati del 10 marzo 2021, stanno disciplinando, nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale in corso, per la prima volta, il lavoro agile,
impegna il Governo:
1) nelle more della definizione della disciplina del lavoro agile da parte della contrattazione collettiva, ad adottare le iniziative di competenza, anche normative, per:
a) realizzare, dal 15 ottobre 2021, per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il superamento dell'utilizzo del lavoro agile emergenziale, nel rispetto delle vigenti misure di contrasto al fenomeno epidemiologico adottate dalle competenti autorità, prevedendo:
1) un'organizzazione delle attività degli uffici che assicuri, da subito, la presenza in servizio del personale preposto alle attività di sportello e di ricevimento degli utenti (front office) e del back office;
2) l'individuazione, anche in relazione alle condizioni dei trasporti pubblici, di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita ulteriori rispetto a quelle adottate, allo scopo di evitare di concentrare l'accesso al luogo di lavoro dei lavoratori in presenza nella stessa fascia oraria e di ingolfare il trasporto pubblico locale;
b) consentire l'accesso al lavoro agile nel rispetto della disciplina previgente alla pandemia e in ottemperanza degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81;
c) prevedere che le amministrazioni assicurino che lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile non pregiudichi o riduca la fruizione dei servizi resi a favore degli utenti;
d) prevedere che le amministrazioni forniscano al dipendente strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore nello svolgimento della prestazione in modalità agile;
e) tutelare i lavoratori fragili – in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita – o quelli che sono stati esentati, a qualsiasi titolo, dalla somministrazione vaccinale contro il COVID-19, e adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile.
(1-00521) «Valentini, Calabria, Zangrillo, Milanato, Paolo Russo, Sarro, Tartaglione, Polverini, Cannatelli, Fatuzzo, Musella, Rotondi».
(24 settembre 2021)
La Camera,
premesso che:
l'emergenza pandemica COVID-19 ha determinato una rivoluzione nell'ambito lavorativo attraverso il ricorso massivo al lavoro agile o cosiddetto smart working, sia nel settore pubblico che privato; riconoscere la possibilità di lavorare da remoto anche a coloro che svolgono lavoro subordinato – il cui luogo di lavoro è generalmente nei locali del datore con orario fisso – è stata individuata come una valida misura per diminuire gli spostamenti delle persone e, di conseguenza, contrastare la diffusione dei contagi;
prima che diventasse funzionale alla gestione dell'emergenza, questo innovativo modello di lavoro faticava a decollare a causa di una mentalità retrograda e ancorata ad una rigida concezione dell'organizzazione di lavoro subordinato; ciò ha ostacolato uno sviluppo che non solo consente di adeguare le modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro dipendente alla rivoluzione tecnologica che c'è stata negli ultimi decenni, ma che responsabilizza anche il lavoratore rispetto agli obiettivi da raggiungere;
si tratta, tra l'altro, di un modello che reca in sé benefìci innanzitutto in termini di welfare, posto che mette in equilibrio i tempi di lavoro e di vita del lavoratore, e, in secondo luogo, in termini di sostenibilità ambientale, considerando che provoca una diminuzione degli spostamenti, e, dunque, del traffico urbano consentendo di abbattere le emissioni inquinanti, vantaggio notevole in un Paese come l'Italia che ha un alto numero di pendolari;
è doveroso però evidenziare che la modalità di lavoro applicata in via emergenziale non è stata propriamente quella del lavoro agile, ma si è trattato di un mero lavoro dal proprio domicilio o comunque da remoto avviato, tempestivamente, con il ricorso ad una serie di deroghe alla legge istitutiva del lavoro agile, che ha di fatto snaturato questo modello di lavoro poiché sono venuti meno elementi essenziali che sono propri dello stesso, tra i quali: la formalizzazione di un contratto, la definizione degli obiettivi, l'individuazione dei dispositivi tecnologici di lavoro, le condizioni di sicurezza sul lavoro, le modalità di esercizio del potere di controllo e disciplinare;
dunque, il lavoro agile applicato in questi mesi è stato «emergenziale» e ha rappresentato una forma di lavoro a distanza, che è solo una delle peculiarità del più articolato ed innovativo modello di lavoro agile che il legislatore ha istituito con la legge 22 maggio 2017, n. 81;
ciò non toglie che questa misura, con i limiti anzidetti, anche nella pubblica amministrazione è stata una valida soluzione per il contrasto alla pandemia e ha consentito ai lavoratori di continuare a svolgere il proprio lavoro in sicurezza, seppure in assenza di tutti gli strumenti e le condizioni necessarie;
al riguardo, un rinnovamento della disciplina sul lavoro agile è intervenuto con l'adozione da parte delle amministrazioni pubbliche del «Piano organizzativo del lavoro agile» (Pola) con il quale le amministrazioni devono regolare le modalità attuative dello smart working per le attività che possono essere svolte da remoto, e individuare gli strumenti per la verifica dei risultati conseguiti per migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa;
a decorrere dal 2021 gli enti pubblici, entro il 31 gennaio di ciascun anno, devono redigere, sentite le organizzazioni sindacali, il Pola, quale sezione del Piano della performance, in conformità all'articolo 263 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020; tale strumento ha dunque un ruolo primario per proseguire un percorso di sviluppo e definizione del lavoro agile nel pubblico impiego;
l'ultimo intervento che ha interessato lo smart working nella pubblica amministrazione è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2021, con il quale è stato stabilito che dal 15 ottobre 2021 la modalità ordinaria di lavoro nella pubblica amministrazione torna a essere quella svolta in presenza;
il Ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha infatti evidenziato che il lavoro da remoto attuato nel pieno dell'emergenza nel settore del pubblico impiego, in mancanza degli strumenti digitali e dell'organizzazione necessaria, non ha sempre garantito adeguati servizi pubblici ai cittadini; pertanto, ritenendo che nell'attuale fase la pandemia sia sotto controllo, è stato disposto il ritorno in presenza;
sul punto, si ritiene che laddove il lavoro da remoto non abbia funzionato dipende, oltre che dalla mancanza di mezzi e condizioni organizzative, anche da un evidente errore di valutazione che è stato compiuto nell'ambito della pubblica amministrazione, nel riconoscere talvolta lo smart working anche per mansioni non compatibili con questa modalità di svolgimento della prestazione di lavoro;
per garantire i servizi pubblici, appare ragionevole un ritorno in presenza dei lavoratori, poiché mancano ancora i presupposti necessari per svolgere il lavoro agile in modo proficuo; tuttavia, non bisogna rinunciare ad una sua implementazione e a uno suo sviluppo, attraverso gli strumenti e un impianto regolatorio che ne consentano un ricorso appropriato, nella consapevolezza che si rivolge ai dipendenti che svolgono mansioni eseguibili a distanza e con flessibilità di orario, senza che vengano compromesse le loro performance lavorative;
su questo presupposto, può essere ragionevole favorire il lavoro agile, ad esempio, con formule miste (un giorno o più alla settimana), dando precedenza a specifiche categorie che hanno più bisogno di flessibilità (ad esempio famiglie con figli minori o disabili);
il Ministro per la pubblica amministrazione ha dichiarato che il dicastero che guida ha come obiettivo quello di disciplinare il lavoro agile nella pubblica amministrazione entro il 2021, e a tale scopo si stanno svolgendo delle trattative tra l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e i sindacati, per pervenire ad un accordo di regolamentazione nell'ambito della contrattazione collettiva,
impegna il Governo,:
1) ad assumere iniziative, anche normative, per consentire un appropriato ricorso al lavoro agile nella pubblica amministrazione, affinché siano valorizzati gli aspetti vantaggiosi di tale modello di lavoro nel pubblico impiego, alla condizione di migliorare e garantire i servizi pubblici erogati alla collettività, in particolare prevedendo:
a) compatibilmente con la situazione epidemiologica, e fatta salva la necessità di iniziative specifiche a tutela dei lavoratori fragili e dei genitori di figli minori, un graduale superamento della modalità di lavoro da remoto emergenziale poiché non conforme alle condizioni richieste per svolgere il lavoro agile come prevede la normativa in materia;
b) ogni iniziativa utile affinché l'accesso a forme di lavoro a distanza, come lo smart working e il telelavoro, avvenga nel rispetto di un'idonea organizzazione del lavoro e fornendo le necessarie tecnologie digitali;
c) un'adeguata definizione degli elementi essenziali dell'accordo di lavoro agile tra i quali: durata dell'accordo; conformità delle prestazioni oggetto del contratto di lavoro; individuazione degli specifici obiettivi e risultati che deve conseguire il lavoratore; luogo di lavoro scelto dal lavoratore e requisiti minimi di idoneità dei locali; fascia oraria entro la quale la prestazione lavorativa deve svolgersi nel rispetto del numero di ore di lavoro previste nel contratto di lavoro; modalità di esercizio del potere disciplinare; modalità di verifica periodica degli obiettivi e risultati da raggiungere; individuazione della strumentazione tecnologica fornita al lavoratore e informativa sull'utilizzo; principio di riservatezza dei dati e delle informazioni in possesso del lavoratore; informativa rispetto alle condizioni di sicurezza sul lavoro;
d) specifiche misure che garantiscano l'adempimento di ogni obbligo a tutela della salute e sicurezza dei dipendenti che svolgono la prestazione in locali esterni, anche per quanto concerne l'obbligo di cooperazione in capo al lavoratore rispetto all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro, come quelle riguardanti l'uso corretto degli strumenti tecnologici e la scelta del luogo in cui svolgere l'attività in modalità agile, secondo l'osservanza di criteri di ragionevolezza;
e) la disciplina del cosiddetto diritto alla disconnessione, per tutelare il lavoratore affinché non sia messo nelle condizioni di essere costantemente reperibile senza limiti di orario;
f) laddove compatibile con le mansioni svolte, l'incentivazione strutturale dell'accesso al lavoro agile a specifiche categorie di lavoratori e lavoratrici che hanno più bisogno di flessibilità rispetto all'orario e al luogo di lavoro, come persone fragili con malattie invalidanti o con disabilità, componenti di nuclei familiari con figli minori e/o persone disabili da assistere;
g) l'adozione di ogni provvedimento necessario per proteggere i dati, in particolare quelli sensibili, di cui dispone la pubblica amministrazione rispetto allo svolgimento della modalità di lavoro agile;
h) misure che garantiscano al lavoratore l'accesso da remoto a dati, informazioni, documenti della pubblica amministrazione, la cui visione è necessaria per adempiere la prestazione di lavoro, mediante canali sicuri e protetti;
i) l'adozione di misure che rendano effettiva la parità di trattamento – economico e normativo – tra i lavoratori che svolgono la prestazione in modalità agile e i loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinaria, anche rispetto al riconoscimento dei buoni pasto laddove siano previsti.
(1-00522) «Rizzetto, Ferro, Bucalo, Zucconi, Galantino, Lucaselli».
(6 ottobre 2021)
La Camera,
premesso che:
l'emergenza pandemica da Sars-CoV-2 ha richiesto alle amministrazioni pubbliche un tempestivo adeguamento dell'organizzazione del lavoro e dei servizi tale da assicurare, al contempo, la continuità dell'azione amministrativa e la riduzione al minimo dei fattori di rischio sanitario. In tale contesto il processo di sperimentazione prima e diffusione poi del cosiddetto smart-working, pur nella diversificata valutazione degli effettivi impatti organizzativi e sociali, ha dato significativa evidenza all'urgenza di accompagnare e portare avanti anche nella vasta e complessa galassia delle pubbliche amministrazioni una compiuta transizione digitale ed ecologica. Transizione, questa appena indicata ed auspicata, che non può certo risolversi nella mera trasformazione tecnologica dei mezzi e delle modalità di produzione dei beni e servizi amministrativi, ma richiede invece l'adozione di più radicali strategie di adattamento sul piano dell'organizzazione del lavoro, delle modalità di erogazione dei servizi alla collettività e della stessa percezione culturale del ruolo costituzionale delle pubbliche amministrazioni e, in esse, del lavoro pubblico, in società complesse ed interconnesse ormai profondamente segnate da una accelerata innovazione digitale;
per queste ragioni, appare oltremodo necessario superare l'approccio emergenziale – che fino ad ora ha configurato le condizioni d'uso del cosiddetto smart-working come strumento di contenimento emergenziale dei rischi pandemici – a favore di una diversa prospettiva che sia capace di innervare il lavoro smart in una organizzazione egualmente smart, emarginando così suggestioni radicali a beneficio di una più realistica considerazione dell'impatto delle innovazione digitale sul lavoro, le sue forme ormai ibride e le sue regole, almeno per quanto riguarda tempi, spazi e luoghi di erogazione della prestazione dovuta, esercizio dei poteri e delle prerogative manageriali, protezione della salute e della sicurezza sul lavoro (e in questo caso, anche del lavoro svolto), senza dimenticare infine il necessario adattamento delle stesse forme di esercizio dell'attività sindacale che una lunga storia ha fin qui configurato come presenza attiva nel luogo di lavoro;
la sperimentazione e diffusione emergenziale del cosiddetto smart-working in epoca pandemica è stata formalmente correlata e in qualche misura anche resa possibile dal rinvio, per quanto non sempre coerente e sistematicamente corretto, alla legge 25 maggio 2017, n. 81, il cui Capo II è interamente dedicato alla disciplina del «lavoro agile» considerato funzionale ad «incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» e formalmente qualificato quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato» nel cui ambito «la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno». L'incertezza nella riconduzione della risposta emergenziale ad una precisa fattispecie astratta di rapporto di lavoro, sia sul piano strutturale che su quello funzionale o degli obiettivi perseguiti, ha trovato un evidente riflesso in una sorta di sinonimia terminologica tra lavoro agile, smart working, lavoro da remoto, lavoro da casa, che pure ha determinato, non poche volte, anche fraintendimenti concettuali e distorte valutazioni critiche, alcune delle quali frutto di evidente pregiudizio;
tuttavia, occorre ricordare che prima ancora della citata legge n. 81 del 2017 ed in attuazione delle previsioni dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha adottato la direttiva n. 3/2017 recante «indirizzi per l'attuazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015 n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti», così avviando la sperimentazione del «lavoro agile» nelle amministrazioni pubbliche nell'ambito della prevista introduzione di più funzionali misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti e di più adeguate modalità di organizzazione del lavoro, basate sull'utilizzo della flessibilità, sulla valutazione per obiettivi, sulla rilevazione dei bisogni del personale dipendente. Si tratta, come appare evidente, di un approccio organizzativo, prima che regolativo, basato sulla flessibilità, l'autonomia, la responsabilizzazione e l'orientamento ai risultati e rappresenta, in quanto tale, un'innovazione radicale rispetto al modello rigidamente burocratico-formale (taylorismo da scrivania, così fu definito) di organizzazione del lavoro e di conseguente valutazione meramente quantitativa delle prestazioni all'interno delle pubbliche amministrazioni;
proprio per queste stesse ragioni, il «lavoro agile» disegnato dalla direttiva del 2017 appare non riconducibile al modello del lavoro a distanza o telelavoro sancito dall'articolo 4, comma 1, della legge 16 giugno 1998, n. 191 e destinato a «razionalizzare l'organizzazione del lavoro e realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane». A tal fine, la legge del 1998 consentiva alle amministrazioni di installare, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e di autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa. Tali previsioni, espresse con un linguaggio tecnico che oggi potrebbe sembrare quasi arcaico, hanno poi trovato puntuale attuazione con il decreto del Presidente della Repubblica n. 70 del 1999 recante «Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191». Deve però dirsi che tale forma di lavoro a distanza, originata più dalla coeva attenzione comunitaria per la riduzione dei costi diretti e indiretti connessi a fenomeni di accentuato pendolarismo piuttosto che dalle esigenze di riorganizzazione tecnologica dell'attività amministrativa, pur ancora recentemente richiamata dall'articolo 14 della legge n. 124 del 2015 non ha avuto grande fortuna;
a ben vedere, invece, l'impostazione della citata direttiva presidenziale del 2017 ha trovato sistematica conferma nelle previsioni dell'articolo 18, commi 1 e 3, della legge 25 maggio 2017, n. 81, in materia di disciplina del lavoro agile. Di per sé tale disciplina, implementata nel sistema organizzativo delle pubbliche amministrazioni, può rappresentare aspetti di profonda innovazione quali: la valorizzazione e la responsabilizzazione delle risorse umane, potendosi concentrare la loro valutazione sulla base dei risultati piuttosto che su aspetti formali e quantitativi; la razionalizzazione nell'uso delle risorse e aumento della produttività, con risparmi in termini di costi e miglioramento dei servizi offerti; la promozione dell'uso delle tecnologie digitali più innovative e utilizzo dello smart working come leva per la trasformazione digitale e per lo sviluppo delle conoscenze digitali; l'abbattimento delle differenze di genere; la riduzione delle forme di «assenteismo fisiologico»; la valorizzazione del patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione, grazie alla riprogettazione degli spazi;
deve rilevarsi, tuttavia, che prima della fase di emergenza pandemica e della conseguente riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni che ha originato il ricorso allo smart working semplificato quanto alle procedure e illimitato quanto alla platea dei beneficiari, solo 1,7 per cento dei dipendenti pubblici risultava impegnato con tale tipologia di prestazione lavorativa, connessa d'altronde più agli obiettivi da raggiungere e meno alla necessaria e cautelativa assenza dall'ufficio. Deve egualmente rilevarsi che solo in una fase successiva l'esecuzione a distanza della prestazione lavorativa, inizialmente pensata come strumento di contrasto alla diffusione epidemica, è stata ricondotta in una logica più ampia e di sistema disponendosi l'obbligo, in capo alle amministrazioni di elaborare un annuale Piano organizzativo per il lavoro agile (Pola), successivamente sostituito e integrato nel Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) configurato in guisa tale da riportare in una cornice unitaria anche i diversi piani relativi alla performance, alla promozione della parità di genere e all'implementazione della disciplina di contrasto alla corruzione. In relazione al lavoro agile a tale strumento risulta ora affidato il compito di pianificare le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative. Tuttavia, sulla base di quanto risultante da una prima verifica sull'attuazione delle suddette previsioni organizzative emerge che solo 54 delle 162 amministrazioni statali monitorate hanno pubblicato i relativi Pola entro la scadenza del 31 gennaio 2021;
l'obiettivo di meglio correlare lavoro e organizzazione tramite le nuove tecnologie digitali, nella prospettiva del miglioramento dei servizi resi ai cittadini, chiama in causa la Missione n. 1 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che propone, in linea con le raccomandazioni della Commissione europea, un programma di innovazione strategica della pubblica amministrazione nel cui ambito una specifica linea progettuale persegue l'obiettivo della digitalizzazione e della modernizzazione della pubblica amministrazione, con interventi specifici anche per rafforzare l'organizzazione e incrementare la dotazione di capitale umano, secondo una stretta complementarietà e un'articolata strategia di riforma, che, secondo quanto previsto nella proposta, potrà contare su ingenti risorse finalizzate agli investimenti nel capitale umano, nel quadro di un investimento complessivo nella digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione pari a 9,75 miliardi di euro;
come rilevato dallo stesso Pnrr, nell'ultimo decennio l'evoluzione della spesa pubblica per la parte relativa al personale, con il blocco del turn over, ha generato una significativa riduzione del numero dei dipendenti pubblici nel nostro Paese, con un'incidenza sull'occupazione totale largamente inferiore rispetto alla media dei Paesi Ocse e con un'età media di 50 anni e con solo il 4,2 per cento di età inferiore ai 30 anni. Un fattore questo che ha «contribuito a determinare un crescente disallineamento tra l'insieme delle competenze disponibili e quelle richieste dal nuovo modello economico e produttivo disegnato per le nuove generazioni», evidenziando inoltre come la carenza delle competenze sia stata determinata «dal taglio delle spese di istruzione e formazione per i dipendenti pubblici. In dieci anni, gli investimenti in formazione si sono quasi dimezzati, passando da 262 milioni di euro nel 2008 a 164 milioni nel 2019: una media di 48 euro per dipendente»;
fra gli obiettivi perseguiti con le linee di investimento del Pnrr vi è quello di rafforzare la conoscenza e le competenze del personale, dirigenziale e non dirigenziale, della pubblica amministrazione mediante azioni specifiche: introduzione di meccanismi di rafforzamento del ruolo, delle competenze e delle motivazioni dei civil servant, attraverso percorsi di valorizzazione della professionalità acquisita e dei risultati raggiunti, anche tramite la previsione di progressioni di carriera basate su percorsi non automatici ma selettivi di sviluppo e crescita; introduzione di un nuovo modello di lavoro pubblico, anche attraverso strumenti normativi e contrattuali, con valutazione e remunerazione basate sul risultato e valorizzazione economica delle risorse umane aventi caratteristiche di eccellenze professionali; introduzione di meccanismi di rafforzamento del ruolo e delle competenze dei dirigenti pubblici, riservando particolare attenzione al tema dell'accesso delle donne a posizioni dirigenziali; riforma del sistema di formazione; lavoro agile e nuove forme di organizzazione del lavoro pubblico;
l'efficace evoluzione delle misure di contrasto della pandemia messe in campo dal marzo 2020, che ha visto una svolta con l'avvio di una massiccia campagna di vaccinazione della popolazione e, da ultimo, con le misure che hanno esteso l'obbligo della certificazione verde COVID-19 consentono un progressivo e controllato ritorno alla normalità sociale e lavorativa, tanto che il 23 settembre 2021 è stato adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale si sancisce, che a decorrere dal 15 ottobre, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa presso le amministrazioni pubbliche è quella in presenza. Alla luce di tale ultima deliberazione, cessando dunque il regime straordinario del lavoro agile o cosiddetto smart-work, si rende necessario ripristinare la condizione ordinaria di disciplina delle relazioni di lavoro e quindi dare corso alla regolamentazione prevista dall'articolo Modella citata legge n. 124 del 2015, che sulla base della recente novella dispone quanto segue: «Il Pola individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 15 per cento dei dipendenti possa avvalersene, garantendo che gli stessi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera, e definisce, altresì, le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati». Giova al riguardo precisare almeno che l'articolo 14 testé citato impone di differenziare il telelavoro dal lavoro agile, suggerendo di fatto che, mentre il primo – il solo originariamente previsto dalla legge n. 124 – ha riguardo soltanto alle modalità estrinseche di esecuzione del lavoro da remoto, il secondo – aggiunto invece dalle novelle ultime – attiene invece alla stessa configurazione intrinseca della prestazione di lavoro conformata da obiettivi di lavoro e dalla responsabilità per il conseguente raggiungimento. Proprio per queste ragioni deve escludersi che la finalità prima del lavoro agile sia da individuare nella sola promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come recita la rubrica originario dell'articolo 14 citato, dovendosi viceversa tenere debito conto di più stringenti finalità di miglioramento organizzativo e di riqualificazione dell'offerta ai cittadini di beni e servizi amministrativi. In questa prospettiva, è ragionevole ritenere il lavoro agile alla stregua di modalità ordinaria di svolgimento della prestazione, secondo le esigenze definite dall'assetto organizzativo dell'amministrazione interessata e, com'è ovvio, soltanto per le attività che possono essere svolte in modalità agile. Resta comunque ferma l'esigenza di assicurare sempre la massima cautela possibile dal punto di vista sanitaria atteso che la condizione epidemica non è del tutto risolta. Ciò in concreto significa che devono ritenersi essenziali per lo svolgimento delle prestazioni lavorative in condizioni di sicurezza sanitaria le indicazioni e le prescrizioni stabilite con i protocolli per la sicurezza COVID-19;
coerentemente con il patto sociale Governo-sindacati del 10 marzo 2021, la disciplina del rapporto di lavoro in modalità agile presso le pubbliche amministrazioni è oggetto del confronto tra l'Aran e le organizzazioni sindacali e dovrà contemplare la possibilità di stipulare accordi individuali nel rispetto di un quadro di riferimento unitario di garanzie definite dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, è necessario tenere conto che il sistema delle pubbliche amministrazioni non consente una reductio ad unum dei modelli organizzativi e pertanto ogni disciplina di carattere generale non può che operare come regolazione di cornice, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali, valorizzando poi la contrattazione integrativa per la disciplina delle diverse modalità di esecuzione del rapporto di lavoro agile, con e senza vincoli di tempo, anche assicurando la previsione di adeguate forme partecipative e di confronto sulle scelte organizzative connesse alle attività e ai servizi che le pubbliche amministrazioni sono chiamate a realizzare, per favorire il consenso e coinvolgimento dei lavoratori per accompagnare i cambiamenti dell'organizzazione del lavoro e dei servizi;
in ogni caso, l'introduzione di ordinarie forme di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni deve tenere in considerazione anche gli effetti sociali esterni derivanti da tale modalità di erogazione della prestazione lavorativa, quali ad esempio: l'incidenza sui sistemi economici locali, la rivitalizzazione di comuni periferici, la riduzione dei costi (diretti e indiretti) di trasporto, la razionalizzazione degli spazi utilizzati e altri potrebbero dirsi. Esempi, questi, che evidenziano come il lavoro agile si ponga al centro di un complesso sistema di relazioni, organizzative, economiche e sociali, che operano dentro e fuori dal contesto amministrativo e che devono tutte essere ricondotte ad unità armonica nella prospettiva prioritaria del miglioramento quali-quantitativo dei servizi ai cittadini. D'altronde, già durante la fase emergenziale e del ricorso illimitato allo smart working, sono state comunque adottate buone pratiche che, seppure per mere esigenze sanitarie, hanno consentito all'utenza di fruire da remoto dei servizi richiesti grazie alle tecnologie telematiche. Una innovativa soluzione che non può essere dispersa con il ritorno al lavoro prevalentemente in presenza, fermo restando la differenza concettuale e operativa tra l'erogazione da remoto di servizi al cittadino e l'organizzazione del lavoro da remoto per i dipendenti;
conseguentemente, una moderna organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, incentrata sull'autonomia, sulla responsabilizzazione e l'orientamento ai risultati al posto del modello rigidamente burocratico-formale dovrà comportare un parallelo e radicale cambiamento della cultura, della visione e del ruolo della dirigenza pubblica, in linea con le esperienze più avanzate che si stanno consolidando nelle realtà produttive più dinamiche. Al riguardo, l'Osservatorio smart working del Politecnico di Milano ricorda come tale modalità organizzativa e lavorativa comporti «una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati». Addirittura, secondo il World Economic Forum, il ricorso massiccio allo smart-working ha portato negli Usa ad un incremento della produttività del lavoro pari al 4,6 per cento, mentre un recente studio di Pwc stima che, se tutte le mansioni potenzialmente eseguibili da remoto venissero effettivamente svolte in modalità agile, questo darebbe al nostro prodotto interno lordo una spinta dell'1,2 per cento. Come indicato dalla Commissione europea, gli Stati membri dovrebbero concentrarsi sulle riforme e sugli investimenti che migliorano la connettività, promuovendo e agevolando la diffusione su vasta scala di reti ad altissima capacità, in tutte le aree geografiche, zone urbane e rurali, assicurando ai cittadini, alle imprese e alle amministrazioni locali la connessione a tali reti in maniera efficiente e stabile,
impegna il Governo:
1) ad adottare, nel rispetto del ruolo delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e tenuto conto anche delle opinioni delle organizzazioni di rappresentanza degli utenti, ogni iniziativa utile per migliorare, modernizzare e riqualificare, nella prospettiva della transizione digitale ed ecologica, l'attività e l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, in guisa tale da rendere possibile una effettiva ed utile implementazione del lavoro agile, operando al contempo per superare logiche procedurali di tipo formale a beneficio di modalità organizzative orientate agli obiettivi di lavoro da conseguire e favorendo l'autonomia responsabile degli addetti, anche attraverso la promozione di micro-team professionali capaci di operare su piattaforme condivise, al fine principale di migliorare in modo oggettivamente significativo i servizi ai cittadini;
2) a dare immediato avvio ai programmi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in materia di digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione, con particolare riguardo agli investimenti sul capitale umano per l'adeguamento all'innovazione e alla digitalizzazione;
3) a favorire, per quanto di competenza, che, nella definizione del confronto tra l'Aran e le organizzazioni sindacali per la disciplina del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, vengano individuate soluzioni che inseriscano gli accordi individuali in un quadro di regole certe e di garanzia individuate dalla contrattazione collettiva, a cominciare dai diritti alla formazione, alla non discriminazione, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, dalle esigenze dei lavoratori con disabilità o che assistono congiunti con patologie, dai diritti alla sicurezza e alla parità di genere, dai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in relazione alla nascita dei figli, dal rispetto della protezione dei dati personali e dalla regolamentazione del diritto alla disconnessione, assicurando anche un adeguato spazio alla contrattazione integrativa, al fine di consentire il migliore adattamento delle esperienze di lavoro agile ai diversi contesti organizzativi di riferimento, sulla base di un'adeguata e coerente valutazione dei dirigenti responsabili, tenendo in debito conto che il lavoro agile non può determinare conseguenze negative ed anzi deve generare conseguenze positive sull'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa nell'interesse prioritario degli utenti, e più in generale dei cittadini;
4) ad adottare le opportune iniziative di competenza per definire indirizzi affinché, anche con il superamento della fase emergenziale e il ritorno in presenza quale modalità ordinaria di prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni, siano proseguite e, anzi, incrementate le positive esperienze che hanno consentito l'assolvimento degli obblighi burocratici in capo a cittadini e imprese con modalità telematiche ma siano anche assicurate adeguate modalità per consentire lo svolgimento in presenza delle attività per tutti quei cittadini che non possono agevolmente fruire, per condizioni soggettive od oggettive, dei servizi da remoto;
5) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere e a supportare le pubbliche amministrazioni affinché ognuna di esse adotti il «piano organizzativo per il lavoro agile» (Pola), nei termini previsti dalla legge;
6) a monitorare ed analizzare, anche con esperti indipendenti, gli effetti del ricorso al lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni ai fini di un più razionale utilizzo degli spazi lavorativi, che porti all'eventuale riduzione delle locazioni passive o a dismissioni di immobili pubblici non più indispensabili, coerenti con la programmazione urbanistica definita dalle amministrazioni comunali;
7) a dare la più rapida attuazione ai progetti previsti dal Pnrr volti ad assicurare che tutte le amministrazioni pubbliche, così come, i cittadini e le imprese delle aree interne, delle aree montane e delle piccole isole possano essere connessi tramite reti telematiche efficienti e sicure.
(1-00523) «Viscomi, Mura, Carla Cantone, Gribaudo, Lacarra, Lepri, Madia, Bruno Bossio, Fiano, Berlinghieri».
(11 ottobre 2021)
La Camera,
premesso che:
l'emergenza pandemica COVID-19 ha comportato il ricorso massivo al lavoro agile o cosiddetto smart working, sia nel settore pubblico sia privato, determinando una rivoluzione nell'ambito lavorativo la cui diffusione generalizzata ha evidenziato la necessità di portarlo a regime con regole adeguate per il dopo crisi;
secondo una ricerca congiunta dell'università di Pittsburgh e la Bocconi italiana, il lavoro da remoto e flessibile avrebbe un influsso positivo sulla pianificazione delle politiche familiari poiché consente di organizzare le esigenze della vita privata con quella lavorativa in modo più duttile, con un alto grado di collaborazione tra uomini e donne, specie per le lavoratrici di alta formazione;
lo smart working, pertanto, potrebbe ribaltare l'assioma del XX secolo: la proporzionalità inversa tra grado di istruzione e fertilità;
occorre quindi considerare che, attraverso la diffusione dello smart working, si sta imponendo il digital divide della fertilità in aggiunta ad altre variabili economiche e sociali, come la formazione e la remunerazione, che influiscono in modo decisivo sulla decisione di avere figli;
secondo una recentissima analisi della Banca d'Italia, nella prima parte del 2020, i dipendenti privati in smart working sono arrivati al 14 per cento, contro l'1,5 per cento di fine 2019, mentre i pubblici sono passati dal 2,4 per cento al 33 per cento;
svolgere la propria prestazione lavorativa da remoto si è rivelata essere una efficace alternativa al recarsi nelle sedi classiche lavorative con orario fisso – per diminuire gli spostamenti delle persone e, di conseguenza, contrastare la diffusione dei contagi;
si tratta, tra l'altro, di un modello che reca in sé benefici innanzitutto sia in termini di welfare – poiché consente di conciliare i tempi di vita e lavoro del lavoratore – sia in termini di sostenibilità ambientale, in quanto comporta una sensibile diminuzione degli spostamenti nel traffico urbano, consentendo pertanto di abbattere le emissioni inquinanti; si tratta di un vantaggio notevole specie nelle grandi città del nord alle prese con grossi problemi di smog;
un'implementazione e uno sviluppo dello smart working, per le mansioni che sia possibile svolgere a distanza e con flessibilità di orario, può migliorare le performance lavorative specie ricorrendo a formule miste, riconoscendo la priorità nel ricorso a specifiche categorie;
il tema della misurazione e valutazione della performance assume così un ruolo strategico nell'implementazione del lavoro agile anche nella pubblica amministrazione, tale da rendere necessario pianificare le mansioni da svolgere e gli obiettivi da conseguire, nonché il monte ore da dedicare a ciascuna attività, secondo programmi periodici definiti in sede di accordo tra le parti,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative urgenti, anche normative, affinché sia esteso e rafforzato il modello del lavoro agile, in particolare prevedendo di:
a) escludere dall'obbligo di possedere e di esibire, dal 15 ottobre 2021, per l'accesso al luogo di lavoro, la certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass), prevista dal decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il personale delle pubbliche amministrazioni in lavoro agile;
b) promuovere il riordino della normativa in materia di lavoro agile nella pubblica amministrazione, che permetta di adeguare il pubblico impiego alle mutate esigenze dettate dalla pandemia quali: aumento della produttività, maggiore benessere organizzativo, diminuzione dei costi della pubblica amministrazione, prevedendo che lo smart working sia riconosciuto per ogni mansione adatta ad essere svolta nella sua interezza a distanza e con flessibilità di orario, non pregiudicando la qualità dei relativi servizi resi a favore degli utenti;
c) adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile in via prioritaria a: lavoratori fragili – in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, alle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e ai genitori con figli con disabilità grave (ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, ai lavoratori che svolgono funzioni di caregiver familiare; ai lavoratori dipendenti che assistono persona con handicap in situazione di gravità);
d) attuare tutte le misure formative che garantiscano lo sviluppo di competenze digitali trasversali ai diversi profili professionali necessari nel pubblico impiego volte ad abbattere il digital divide e a favorire, con l'adozione delle dovute misure necessarie, la diffusione nella pubblica amministrazione di una cultura organizzativa che concili sia i risultati, sia l'autonomia e la responsabilità delle persone, in un'ottica meritocratica;
e) garantire la fornitura sia della dotazione tecnologica, digitale e di attrezzatura ergonomica, sia di tutti gli strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore del settore pubblico nello svolgimento della prestazione in modalità agile e/o un'integrazione salariale per l'uso della strumentazione tecnologica già in possesso del lavoratore, nonché di un'ulteriore integrazione per la copertura dei costi delle utenze dell'energia elettrica, della telefonia fissa e mobile e della connessione alla rete internet;
f) garantire, anche nel settore pubblico, il diritto alla disconnessione, per tutelare il lavoratore affinché non sia messo nelle condizioni di essere costantemente reperibile senza limiti di orario;
g) garantire l'alternanza tra lavoro agile e lavoro in presenza (forma mista) nelle pubbliche amministrazioni, prevedendo che quest'ultima abbia una durata non inferiore al 40 per cento del monte ore mensile;
h) pianificare regolarmente un piano organizzativo del lavoro agile, che venga adottato dalle amministrazioni pubbliche e dalle società pubbliche o comunque partecipate dalle amministrazioni pubbliche;
i) stabilire la presentazione, da parte dell'Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, istituito dal cosiddetto «decreto Rilancio» (articolo 263, comma 3-bis, del decreto-legge n. 34 del 2020), di periodiche relazioni informative alle commissioni parlamentari competenti sull'andamento dello stesso.
(1-00527) «Costanzo, Colletti, Forciniti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Sapia, Massimo Enrico Baroni».
(11 ottobre 2021)
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
DI STASIO, BERTI, BUFFAGNI, DEL GROSSO, EMILIOZZI, FANTINATI, GRANDE, MARINO, OLGIATI e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il valore doganale delle esportazioni di beni dell'Italia, nel 2020, è stato di 433 miliardi di euro, ovvero il 29,3 per cento del prodotto interno lordo del Paese. La quota di mercato dell'Italia sulle esportazioni mondiali di beni nel 2020 è rimasta stabile rispetto al 2019, ossia pari a 2,85 per cento;
durante la pandemia, quindi – anche in confronto con gli altri Paesi – il contributo dell'export al prodotto interno lordo dell'Italia è decresciuto meno di quello delle altre componenti: consumi e investimenti. Fra i Paesi del G8 l'Italia è stata seconda per minor flessione dell'export e ha performato molto meglio di Francia, Regno Unito e Stati Uniti;
l'Italia, già nei primi sei mesi del 2021, ha registrato una forte ripresa del proprio export, non solo rispetto al 2020, ma anche con riferimento al 2019 che era stato l'anno record delle esportazioni italiane di beni;
nel 2019 (anno pre-pandemia), infatti, nei primi sei mesi erano stati registrati circa 240 miliardi di euro di export di made in Italy nel mondo. Quel dato rappresentava già un record storico per il nostro Paese ma, quest'anno, sono state registrate transazioni per 250 miliardi di euro;
tutto ciò è stato possibile grazie alla grande capacità di reazione del sistema produttivo italiano, coadiuvato dal «Patto per l'export» che ha permesso di catalizzare una significativa dotazione di risorse, pari a 5,4 miliardi di euro dall'inizio del 2020, a favore delle imprese italiane per aiutarle ad esportare;
oggi, dopo le incertezze determinate dal periodo pandemico, le prospettive di ripresa del commercio mondiale appaiono solide e, ad opinione degli interroganti, il sostegno all'internazionalizzazione delle imprese italiane può rappresentare un volano fondamentale per far crescere ancora di più l'economia italiana –:
quali iniziative siano state programmate dal Ministro interrogato, in particolare con riferimento alla dote di risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza attribuite al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed a quelle attribuite al sostegno dell'export nella legge di bilancio per il 2022, per mantenere l'attuale trend positivo di esportazione di made in Italy nel mondo.
(3-02580)
(2 novembre 2021)
MURONI, FIORAMONTI, FUSACCHIA, CECCONI e LOMBARDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'alienazione parentale viene definita in tanti modi – madre adesiva, madre assorbente, madre simbiotica, madre malevola – e, nonostante, va ribadito, non sia ritenuta scientificamente valida, questa teoria è usata nelle separazioni e in giudizio dagli uomini accusati di maltrattamenti per combattere la compagna e ottenere l'affido;
troppo spesso, a parere degli interroganti, i giudici, per valutare la capacità genitoriale di entrambi gli adulti, si affidano alle consulenze tecniche d'ufficio, senza ascoltare i testimoni e prima di tutto la mamma e i bambini. Le consulenze tecniche d'ufficio sono pareri di psicologi e neuropsichiatri infantili a cui i tribunali ricorrono sempre più spesso. E così la valutazione psicologica del consulente tecnico diventa il solo modo per accertare i fatti. Questi esperti, sulla base del principio della bigenitorialità e della madre «alienante», finiscono per essere determinanti nell'allontanamento dei bambini che spesso vengono trasferiti in case famiglia dove rimarranno per mesi o anni;
sulle circa 100.000 separazioni avviate ogni anno in Italia, 20.000 sono giudiziali, ma tra queste non si conosce il numero dei casi caratterizzati da violenza perché il rilievo non è stato mai effettuato. Le donne non vengono credute né ascoltate e la violenza viene derubricata, cioè ridotta a semplice conflittualità di coppia;
nell'ambito della riforma del processo civile, il cui iter è in corso, è stata approvata una norma che va nella direzione auspicata, in quanto stabilisce che, con riguardo alla consulenza tecnica d'ufficio, il consulente «si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica», escludendo quindi il ricorso al costrutto della sindrome da alienazione parentale. Va peraltro considerato che dovranno poi essere emanati entro un anno i decreti attuativi e, a parere degli interroganti, si tratta comunque di un tempo lunghissimo per affermare definitivamente il principio che un uomo violento non può essere un buon padre –:
quali iniziative normative intenda adottare affinché sia immediatamente escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale o conflitto di lealtà o sindrome della «madre malevola» e vengano previste misure pienamente idonee a tutelare donne e minori coinvolti in episodi di violenza domestica, nonché a rendere effettiva l'applicazione del «codice rosso» da parte innanzitutto delle procure, al fine di garantire la celere definizione dei procedimenti penali che riguardano la violenza sul coniuge e sui minori, i cui riflessi sui procedimenti civili sono decisivi.
(3-02581)
(2 novembre 2021)
GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'alienazione parentale, già nota come sindrome da alienazione parentale (Pas) è nata quale disturbo psichiatrico, non riconosciuto dalla comunità scientifica, ma sempre più utilizzato in sede giudiziale – nelle consulenze tecniche d'ufficio – quale causa, talvolta l'unica, per allontanare i minori dalle madri: queste sono definite alienanti, simbiotiche, malevole, manipolatrici;
la sindrome da alienazione parentale è dinamica psicologica disfunzionale, ideata nel 1985 dal medico statunitense Richard Gardner, di controverso fondamento scientifico, cui le consulenze tecniche d'ufficio hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l'effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell'ambito delle patologie cliniche;
fin dal 2013 la consulenze tecniche d'ufficio è stata definita dalla Corte di cassazione come una costruzione psico-forense in virtù della quale un genitore strumentalizza la relazione con il minore a danno dell'altro;
sovente, il concetto di sindrome da alienazione parentale, seppure diversamente definito, emerge proprio nei casi di abusi o maltrattamenti in famiglia, sull'assunto che i minori – testimoni per eccellenza dei reati endofamiliari – siano manipolati dalla madre denunciante;
con reiterati e successivi arresti, la Corte di cassazione ha ribadito l'obbligo del giudice di non limitarsi a recepire le conclusioni dei consulenti tecnici d'ufficio che abbiano accertato la sindrome da alienazione parentale, in quanto patologia non validata scientificamente, ma di valutare l'espressione delle oggettive capacità genitoriali (si confronti in tal senso, Corte di cassazione civile n. 13274 del 2019 e n. 13217 del 2021);
anche la giurisprudenza di merito (corte di appello di Roma, decreto n. 2 del 3 gennaio 2020) si è allineata sulle posizioni del giudice della nomofilachia, ribadendo la necessità per i giudici di confrontare e valutare le diagnosi di sindrome da alienazione parentale, sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero tramite esperti, anche tramite la comparazione statistica di casi clinici, al fine di verificare il fondamento – sul piano scientifico – di consulenze tecniche d'ufficio le cui risultanze non siano riconosciute dalla comunità accademica internazionale, escludendone l'utilizzo in materia di affidamento di minori –:
quale sia la posizione del Ministro interrogato circa quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza, anche di natura normativa, intenda intraprendere volte a escludere l'utilizzo della teoria dell'alienazione parentale ovvero di altre patologie cliniche non riconosciute dalla comunità scientifica in materia di provvedimenti di affido di minori.
(3-02582)
(2 novembre 2021)
MOLINARI, BELOTTI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CARRARA, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FIORINI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GALLI, GASTALDI, GERARDI, GERMANÀ, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, LUCENTINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MARIANI, MATURI, MICHELI, MINARDO, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLIN, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RAVETTO, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SCOMA, SNIDER, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZANELLA, ZENNARO, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:
il 31 maggio 2021 ha debuttato ItsArt, piattaforma digitale promossa dal Ministero della cultura e realizzata da Cassa depositi e prestiti, con l'obiettivo di proporre la cultura italiana dentro e fuori i confini nazionali, mettendo a disposizione gratuitamente e a pagamento contenuti di arte, musica, storia, danza e teatro;
il lancio non è stato supportato da un'adeguata promozione e anche oggi, in mancanza di un'adeguata campagna pubblicitaria, l'iniziativa è pressoché sconosciuta al grande pubblico;
in 5 mesi la piattaforma ha registrato un limitato numero di utenti (ultimo dato disponibile è di 50.000 a settembre 2021, con una limitata crescita rispetto ai 35.000 di giugno 2021): dunque, si sta rivelando un fiasco clamoroso, mentre non sono disponibili dati sugli acquisti effettuati dagli utenti;
il finanziamento dell'operazione ammonta ad una cifra di 30 milioni di euro, di cui 10 da parte del Ministero della cultura e altri 10 da Cassa depositi e prestiti, cui si sommano i contributi dei privati, in particolare Chili Tv che detiene il 49 per cento della piattaforma;
il coinvolgimento di Chili Tv può sembrare uno strano caso di salvataggio aziendale. Selezionata – come si legge sul sito itsart.tv – «per il suo know how industriale e tecnologico», Chili, con un totale di 6 milioni di euro che sono stati dati sotto forma di infrastruttura tecnologica e know-how, affianca il socio di maggioranza Cassa depositi e prestiti (che detiene il 51 per cento), che invece ha versato 6,25 milioni di euro (di cui 5,7 come sovrapprezzo e 510 mila a titolo di capitale). Nessun versamento «cash», dunque, per Chili, che negli ultimi anni ha registrato importanti perdite. Secondo quanto riportato da L'Espresso, il valore di 6 milioni di euro dell'infrastruttura tecnologica e know-how fornito sarebbe stato stabilito da una perizia presentata dalla società stessa e svolta da «una società romana, di non gigantesche dimensioni, che avrebbe dichiarato ricavi per 71.000 euro nel 2019 e 38.000 nel 2018»;
ad avviso degli interroganti il contributo versato dal Ministero della cultura sarebbe risultato molto più utile in un'ottica di redistribuzione lungo tutta la filiera della cultura, fortemente colpita dalle restrizioni imposte dal lockdown durante la pandemia e ancora oggi in forte difficoltà –:
quali criteri siano stati utilizzati per selezionare il partner privato dell'iniziativa e in che modo sia stata strutturata la campagna promozionale di ItsArt, al fine di garantire gli obiettivi prefissati dal Ministero della cultura in termini di utenti iscritti e di contenuti acquistati dal pubblico.
(3-02583)
(2 novembre 2021)
TOCCAFONDI, ANZALDI, NOBILI, FREGOLENT, UNGARO, MARCO DI MAIO, OCCHIONERO e VITIELLO. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:
sono recenti le notizie che «18 app» stia per diventare una misura strutturale: dal 2022 tutti i ragazzi e le ragazze che diventeranno maggiorenni avranno diritto al «bonus cultura» da utilizzare per l'acquisto di libri, ma anche di spettacoli teatrali, concerti, corsi di lingua. La novità del finanziamento permanente sarebbe in arrivo con la prossima legge di bilancio su cui il Governo ha avviato i lavori con l'approvazione del disegno di legge nel Consiglio dei ministri del 28 ottobre 2021;
un modello che è divenuto esempio anche in altri Paesi europei: dopo la Francia, anche la Spagna ha deciso di avviare il «bonus cultura» per sostenere i consumi culturali dei giovani, seguendo così l'esperienza dell'Italia;
uno strumento utile per i ragazzi e le famiglie, soprattutto nel momento attuale alla ripresa delle attività culturali che ha visto alleggerire le misure anti COVID con la riapertura dei musei, spettacoli dal vivo e teatro;
attualmente possono beneficiare del «bonus cultura», un importo pari a 500 euro, fino alla scadenza 28 febbraio 2022 tutti i nati e le nate nel 2002, mentre chi ha compiuto 18 anni nel corso del 2021 attende ancora istruzioni. In entrambi i casi la card di 18app spetta a tutti, a prescindere dal limite di reddito;
introdotta nel 2016 dal Governo Renzi, la «app 18» funziona come dimostrano i dati delle prime edizioni. La percentuale è andata, infatti, aumentando di anno in anno: alla prima edizione i ragazzi partecipanti sono stati 356.273, nella seconda 416.799 e nella terza 429.739 su una platea complessiva di circa 500 mila potenziali fruitori. I ragazzi e le ragazze hanno compreso l'utilità dello strumento e non a caso oltre il 70 per cento viene speso per l'acquisto di libri e ben 430 mila neo 18enni, ovvero l'85 per cento, nel 2019 hanno attivato lo strumento e lo hanno utilizzato nei 6.400 esercizi convenzionati;
da notizie di stampa si apprende che purtroppo si sarebbero registrati dei casi di utilizzo fraudolento del bonus da parte di alcuni esercizi commerciali, che, dietro parziale pagamento della card ai ragazzi e alle ragazze, richiederebbero poi l'intero ammontare di rimborso –:
se sia vero che la app 18 stia per divenire misura strutturale con il prossimo disegno di legge di bilancio, a quanto ammontino le risorse previste e quali misure intenda adottare per contrastare l'eventuale utilizzo improprio del bonus in oggetto.
(3-02584)
(2 novembre 2021)
GRIBAUDO, VISCOMI, MURA, CARLA CANTONE, LACARRA, LEPRI, BERLINGHIERI, LORENZIN e FIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'Inps con il messaggio n. 3495 ha comunicato che l'assegno mensile di invalidità, di cui all'articolo 13 della legge n. 118 del 1971, sarà liquidato soltanto per i soggetti beneficiari per i quali risulti l'inattività lavorativa;
tale determinazione discenderebbe dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale secondo l'Inps «con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell'inattività lavorativa di cui all'articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall'articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d'ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio»;
tale giustificazione fa venire meno la percepibilità del sussidio a prescindere dalla misura del reddito ricavato, che fino ad oggi veniva concesso ai beneficiari con invalidità civile ricompresa fra il 74 e il 99 per cento e con un limite di reddito annuo di 4.931,29 euro, che in una precedente interpretazione dell'istituto veniva considerato un reddito derivato da attività lavorativa non rilevante;
l'Inps applicherebbe così alla lettera l'articolo 13, comma 1, della legge n. 118 del 1971, il quale recita: «Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall'Inps, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l'assegnazione della pensione di cui all'articolo 12»;
a parere degli interroganti, privare di tale assegno una platea di cittadini con invalidità rilevante, che con sforzo e dedizione si impegnano per svolgere un'attività lavorativa anche residuale al fine di una piena partecipazione alla società, come richiamato dal dettato costituzionale agli articoli 3 e 4, rappresenta un grave passo indietro del Paese nella tutela dei diritti dei più deboli e nell'incentivare l'integrazione di chi versa in condizioni di disabilità –:
quali iniziative di competenza si intendano adottare per rendere nuovamente idonei all'assegno di invalidità civile i cittadini esclusi sulla base del citato messaggio n. 3495 del 2021.
(3-02585)
(2 novembre 2021)
FORNARO e DE LORENZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nei mesi scorsi varie imprese hanno comunicato il licenziamento ai lavoratori di numerosi stabilimenti, annunciando altresì la cessazione delle attività dei siti di produzione, tra gli altri: la Whirlpool di Napoli, la Gianetti ruote di Monza e Brianza, la Acc Wanbao di Belluno, la Elica di Fabriano, la Riello di Pescara e la Gkn di Firenze;
questi casi hanno richiamato l'attenzione non solo per le modalità con le quali sono state effettuate, lesive della stessa dignità dei lavoratori – invio di email e/o sms senza alcuna preventiva comunicazione e confronto con le organizzazioni sindacali e i lavoratori interessati – ma anche per essere rappresentative di politiche aziendali dirette alla delocalizzazione delle attività;
il Governo tramite i dicasteri interessati ha avviato tavoli di confronto diretti alla ricerca di soluzioni che salvaguardino l'occupazione e la presenza in Italia di queste attività produttive, in molti di questi casi non colpite da crisi e andamenti sfavorevoli sul mercato interno e globale;
il Governo e i dicasteri interessati hanno inoltre annunciato la volontà di promuovere anche iniziative di natura normativa dirette a contrastare il fenomeno delle delocalizzazioni;
nelle scorse settimane gli organi di stampa e i media hanno riportato varie proposte in corso di esame da parte del Governo;
pur nella consapevolezza che per un efficace contrasto alle delocalizzazioni siano necessarie politiche ed intese congiunte tra i Paesi aderenti all'Unione europea, dirette a tutelare i mercati nazionali e europei dalla sleale concorrenza di Paesi esteri basata sul dumping salariale e fiscale, così come appare necessario contrastare tali fenomeni anche all'interno dell'Unione europea, anche al fine di garantire la dignità del lavoro e del suo equo riconoscimento economico come valore fondante di ogni società, gli interroganti ritengono necessario un intervento legislativo nazionale diretto comunque a contrastare il fenomeno della delocalizzazione;
essendo cessato dal 1° novembre 2021 il cosiddetto blocco dei licenziamenti, che era stato previsto a seguito delle conseguenze economiche della crisi determinata dall'emergenza sanitaria peraltro ancora in corso, appare ancor più necessario, tra l'altro, dotarsi con urgenza di strumenti anche normativi diretti a prevenire e contrastare possibili crisi aziendali conseguenti a scelte imprenditoriali di delocalizzazione di attività presenti nel nostro Paese –:
se il Ministro interrogato confermi la volontà del Governo di assumere con urgenza provvedimenti anche di natura normativa diretti a contrastare le delocalizzazioni di attività produttive presenti nel nostro Paese e, nel caso, quali siano i possibili contenuti degli stessi.
(3-02586)
(2 novembre 2021)
DE GIROLAMO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il reddito di cittadinanza – affiancato dal reddito di emergenza – è stato uno strumento fondamentale durante la pandemia per aiutare milioni di persone in condizioni di grave difficoltà;
occorre rafforzare questo strumento: secondo il rapporto Caritas presentato a luglio 2021, il 56 per cento dei poveri in Italia non fruisce del reddito di cittadinanza, mentre un terzo dei beneficiari non è povero;
l'indagine della Corte dei conti sul «Funzionamento dei centri per l'impiego nell'ottica dello sviluppo del mercato del lavoro», presentata a settembre 2021 e basata sui dati disponibili a ottobre 2020, segnala che sono 352 mila i percettori di reddito di cittadinanza che hanno trovato un'occupazione, a fronte di 1,3 milioni di beneficiari tenuti a sottoscrivere il patto per il lavoro con un centro per l'impiego; tra questi, coloro che hanno avuto almeno un rapporto di lavoro successivo alla domanda di reddito di cittadinanza sono pari a 352.068, mentre 193 mila soggetti conservano tuttora il posto di lavoro;
il 65 per cento dei soggetti ha firmato un contratto a tempo determinato, ma quasi il 70 per cento di questi contratti ha una durata inferiore a sei mesi; solo il 15,4 per cento ha un contratto a tempo indeterminato e il 4,1 per cento un contratto di apprendistato; dall'analisi dei dati risulta evidente la quasi totale assenza di condizioni di occupabilità soprattutto nelle regioni meridionali;
la magistratura contabile ha rilevato, tra le principali criticità, la presenza di eterogenei assetti organizzativi, con approcci, metodologie e sistemi informativi diversificati e sovente non dialoganti tra di loro; ha auspicato misure, interventi e regole di applicazione chiare con adeguati margini di flessibilità nel rispetto delle specificità territoriali e, soprattutto, dei diversi profili di cittadini che hanno diritto ad accedere a tale misura; per garantire servizi omogenei su tutto il territorio nazionale e una maggiore rispondenza dell'operatività dei centri per l'impiego alle esigenze regionali, ha ritenuto, altresì, essenziale, un'azione di coordinamento a livello centrale;
considerato che, su 3.027.851 beneficiari del reddito di cittadinanza, a 123.697 è stato revocato l'assegno a causa di dichiarazioni false, appare altresì necessario prevedere adeguate misure sanzionatorie –:
quali iniziative normative intenda assumere per definire un'adeguata razionalizzazione e revisione della disciplina di questo fondamentale strumento di lotta alla povertà, anche al fine di evitare abusi e garantire la piena inclusione lavorativa, favorendo l'ingresso nel mercato del lavoro dei soggetti beneficiari.
(3-02587)
(2 novembre 2021)
LOLLOBRIGIDA, MELONI, ALBANO, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, DE TOMA, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, GIOVANNI RUSSO, RACHELE SILVESTRI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI, VINCI e ZUCCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il sistema pensionistico italiano è stato duramente scosso dall'introduzione della cosiddetta «legge Fornero», varata dal Governo Monti, anche alla luce delle sollecitazioni della Banca centrale europea, il cui Governatore era allora l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, che con una lettera, firmata insieme al Presidente Jean Claude Trichet, aveva chiesto al Governo italiano una riforma delle pensioni;
con la legge di bilancio per il 2022 si continua a perseverare ad avviso degli interroganti in iniziative previdenziali inadeguate, come appare dal testo varato dal Consiglio dei ministri;
nonostante il Governo abbia dichiarato la necessità di indirizzare le proprie politiche a supporto dei giovani, che non riescono ad accumulare un dignitoso ammontare di contributi previdenziali, sono assenti misure concrete che confermino tale intenzione. Al riguardo, sarebbe stato doveroso, ad esempio, prevedere l'istituzione di un fondo con una dotazione da destinare alle pensioni delle nuove generazioni;
a sostegno delle donne la proroga di «opzione donna», come forma di pensione anticipata, viene disposta aggravando il requisito anagrafico, che viene innalzato di due anni rispetto al regime preesistente. Questa scelta è incomprensibile, considerando che questo regime richiede già una penalizzazione sull'assegno previdenziale che viene calcolato interamente con il sistema contributivo;
ed ancora, il Governo ha deciso di non procedere alla proroga di «quota 100», che viene sostituita solo per il 2022 con «quota 102», i cui requisiti sono: 64 anni di età e 38 di anzianità contributiva. Invece, quale finestra di uscita anticipata sarebbe stato più giusto introdurre la cosiddetta «quota 41», che riconosce ad una platea più ampia il diritto alla pensione con 41 anni di contributi a prescindere da ulteriori requisiti;
il Presidente Draghi, nel commentare questa decisione ha dichiarato che dopo «quota 102» «serve assicurare un graduale passaggio alla normalità». Sembra, dunque, escludere che vi saranno dopo il 2022 ulteriori iniziative per assicurare la possibilità di vedersi riconoscere un trattamento previdenziale anticipato prima del raggiungimento dei 67 anni, ossia l'età ordinaria di pensionamento prevista dalla «legge Fornero». È, dunque, necessario individuare con chiarezza se questa sia la linea politica di questo Governo su un tema centrale come quello delle pensioni, che coinvolge tanti lavoratori e lavoratrici –:
quali siano gli intendimenti del Governo in merito all'annunciato ritorno alla normalità successivo alla fase di transizione prevista con «quota 102» e se si preveda un definitivo ritorno generalizzato all'applicazione delle disposizioni contenute nella «legge Fornero» in materia di pensioni.
(3-02588)
(2 novembre 2021)