TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 575 di Martedì 12 ottobre 2021

 
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INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   NEVI e D'ATTIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della transizione ecologica. — Per sapere – premesso che:

   il 14 luglio 2021 la Commissione europea pubblicherà la proposta di regolamento che istituisce il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (Carbon border adjustment mechanism – Cbam) meglio conosciuta come carbon border tax. Si tratta di uno dei pilastri fondanti del Green deal e ha lo scopo di proteggere le imprese che sostengono dei costi per raggiungere l'obiettivo della riduzione delle emissioni, salvaguardandole dalla concorrenza straniera ed evitando che le imprese dell'Unione europea si trasferiscano oltre i confini dell'Unione, verso Stati meno rigidi nei riguardi delle emissioni climalteranti;

   sebbene l'Unione europea abbia notevolmente ridotto le sue emissioni interne di gas a effetto serra, le emissioni di gas a effetto serra incorporate nelle importazioni verso l'Unione europea hanno registrato un costante aumento: alle importazioni nette di beni e servizi nell'Unione europea è riconducibile oltre il 20 per cento delle emissioni interne di anidride carbonica dell'Unione;

   il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera intende coniugare esigenze climatiche e obiettivi industriali, tra cui il rientro delle attività economiche e delle supply chain sul territorio europeo. Tuttavia, esso deve essere compatibile con le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio e con gli accordi di libero scambio dell'Unione europea, non deve essere discriminatorio e non deve costituire una restrizione dissimulata del commercio internazionale;

   il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera dovrebbe applicarsi a tutte le importazioni di prodotti e materie prime coperti dal sistema Eu-Ets, anche se integrati in prodotti intermedi o finali. In una fase iniziale (già entro il 2023) e previa una valutazione d'impatto, il meccanismo dovrebbe applicarsi al settore energetico e ai settori industriali ad alta intensità energetica, come quelli del cemento, dell'acciaio, dell'alluminio, della raffinazione del petrolio, della carta, del vetro, dei prodotti chimici e dei fertilizzanti, che continuano a beneficiare di consistenti quote gratuite e rappresentano tuttora il 94 per cento delle emissioni industriali dell'Unione europea;

   attualmente, l'Unione europea fornisce a queste tipologie di industrie una quota di crediti di carbonio gratuiti nell'ambito del suo sistema di scambio di quote di emissioni (Ets). In questo modo, consente alle imprese di produrre gratuitamente una determinata quantità di emissioni; la consultazione sulla carbon border tax ha riguardato anche la possibilità di sostituire con l'imposta alla frontiera le misure di sostegno esistenti;

   l'industria europea dell'acciaio e dell'alluminio ha sottolineato come sia necessario, a fronte della complessità del tracciamento del carbonio nelle catene globali del valore e dei rischi di oneri significativi per i consumatori, mantenere l'assegnazione gratuita di quote di emissioni nell'ambito dell'Eu-Ets fino al 2030, perché una tassa di frontiera non potrebbe affrontare completamente i costi del settore rispetto alle emissioni, derivanti da diversi fattori, quali ,ad esempio, le grandi quantità di elettricità necessarie per tali attività;

   entrando nel dettaglio dei prodotti siderurgici che dovranno sottostare al meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, sono esclusi dall'applicazione del regolamento gli acciai inox e speciali –:

   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative in sede di Unione europea, nell'ambito della fase ascendente relativa all'implementazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, al fine mantenere l'attuale livello di quote gratuite Ets e assicurare uno sconto sull'export;

   se non ritenga opportuno adottare iniziative in sede di Unione europea, affinché gli acciai inox e speciali siano ricompresi nel meccanismo;

   quali strumenti intenda mettere in campo il Governo per valorizzare il settore strategico dell'acciaio già colpito dalle politiche aggressive della Cina e dall'incremento del prezzo delle materie prime.
(3-02377)

(2 luglio 2021)

B) Interrogazione

   ASCARI e GRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   dalla lettura di un articolo di giornale su www.ilfattoquotidiano.it gli interroganti hanno appreso del caso di alcuni lavoratori della cooperativa Prestigio (che si occupa di logistica per la Ferrari) che, secondo il sindacato Si Cobas percepirebbero, «stipendi ridotti, violazione dei protocolli anti-COVID e pagamenti “grigi” in busta paga». Questi lavoratori sono soci della cooperativa Prestigio che ha preso l'attività in subappalto dalla multinazionale della logistica Dsv, fornitore della Ferrari. In Emilia-Romagna, molte aziende si servono di cooperative, rinunciando ad assumere direttamente gran parte dei lavoratori, con evidenti conseguenze negative sul piano dei diritti dei lavoratori;

   il sindacato di base Si Cobas, a cui si sono rivolti alcuni dei lavoratori, denuncia alcuni fatti molto gravi, in particolare: i lavoratori percepirebbero stipendi ridotti per il mancato riconoscimento dei livelli contrattuali corretti; vi sarebbero asserite malattie non pagate, presunta evasione fiscale e contributiva visto che ogni mese ci sarebbero pagamenti «grigi» in busta paga fino a 600-700 euro (da quanto si legge i pagamenti «grigi» sono da intendere nel senso che, in diversi cedolini degli ultimi anni, una parte del compenso è giustificata come «rimborso chilometrico esente», voce su cui la cooperativa non verserebbe imposte e contributi pensionistici) e presunta violazione dei protocolli anti-COVID;

   a tutto ciò si aggiunge il fatto per cui questi soci lavoratori avrebbero ricevuto una lettera che li esorta a non partecipare all'assemblea sindacale del Si Cobas (che non verrebbe riconosciuta come organizzazione legittimata a rappresentare i lavoratori), pena «sanzioni disciplinari». Nello specifico, in un comunicato si legge che: «L'adesione a un incontro che dovesse svolgersi fuori dal contesto legale di un'assemblea sindacale regolarmente costituita comporterà la conseguenza che chiunque si assenti dalla postazione lavorativa, per partecipare al predetto incontro, sarà riconsiderato assente ingiustificato e, pertanto, passibile di sanzioni disciplinari». E, inoltre, si invitano tutti i soci «a denunciare condotte di proselitismo irregolare, tentativi di indebito condizionamento, pressioni psicologiche o violenze fisiche che dovessero subire, rivolgendosi al preposto nonché al presidente, che prenderanno provvedimenti esemplari nei confronti dei responsabili». E infine si legge che: «Chi proseguirà nel promuovere e appoggiare condotte illegittime subirà i più duri provvedimenti disciplinari che la normativa di settore prevede»;

   per il sindacato di base Si Cobas, tutto ciò costituirebbe «esplicite minacce di licenziamento per chi intende anche solo partecipare a un'assemblea sindacale»;

   dalla lettura di un comunicato del Si. Cobas si apprende che questa pratica dei licenziamenti antisindacali sarebbe largamente diffusa presso molte altre aziende operanti in provincia di Modena, tra cui la C&P s.r.l., che avrebbe licenziato quattro lavoratori nel mese di luglio 2021, tra cui due delegati sindacali, con l'esplicita motivazione di aver preso parte ad uno sciopero. A ciò si aggiunge l'ulteriore grave fatto per cui alcuni lavoratori in sciopero sarebbero stati illecitamente sostituiti con altri dipendenti. Tutto ciò in violazione delle disposizioni sancite dall'articolo 28 della legge n. 300 del 1970, che disciplina la procedura volta alla repressione di «comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero». Ad esempio, la giurisprudenza (si veda tribunale di Milano, 13 marzo 2012) ha giudicato come antisindacale «il comportamento del datore di lavoro che sostituisca i dipendenti in sciopero (...)»;

   ai sensi di quanto disposto dall'articolo 15 e dall'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento discriminatorio determinato da motivi sindacali configura tanto un comportamento antisindacale idoneo a pregiudicare l'interesse collettivo del sindacato, quanto un atto illecito da sanzionare su impulso del singolo lavoratore;

   la libertà dell'organizzazione sindacale e il diritto di sciopero, tra i principi fondanti dell'ordinamento costituzionale, al fine del loro pieno ed effettivo esercizio, necessitano di tutele non solo in sede giudiziale, ma anche sul piano della prevenzione in chiave antidiscriminatoria;

   pertanto, sarebbe necessario addivenire alla creazione di figure di garanzia o di tavoli permanenti presso le istituzioni locali che possano intervenire al fine di prevenire e reprimere tali condotte antisindacali da parte delle aziende e i diversi casi di conflitti sindacali, a tutela dei diritti dei lavoratori nonché dell'ordine pubblico –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative ritengano opportuno adottare, per quanto di competenza, al fine di contrastare le presunte pratiche antisindacali che sarebbero diffuse presso alcune aziende della provincia di Modena, anche disponendo un'eventuale attività ispettiva presso le stesse ad opera dell'ispettorato del lavoro, nonché promuovendo iniziative normative volte a una riforma del sistema cooperativo, oggi affetto da scarsità di tutele sul piano dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
(3-02456)

(5 agosto 2021)

C) Interrogazioni

   FERRI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 12 agosto 2017, dopo essere stato ricoverato in condizioni disperate come conseguenza della brutale aggressione, Niccolò Ciatti, un giovane di Scandicci (Firenze), morì, ucciso barbaramente, fulminato da un calcio alla testa sferrato da un giovane ceceno al culmine di un'aggressione subita in una discoteca della località turistica di Lloret de Mar;

   la salma del giovane connazionale è stata rimpatriata il 18 agosto 2017 e la polizia catalana, i mossos d'esquadra, parlarono nel loro rapporto di persone con addestramento paramilitare;

   le immagini diffuse mostrano con terribile chiarezza la violenza, la forza, la cattiveria di tutti e tre i soggetti pericolosi e preparati ad uccidere, tanto che hanno aggredito Ciatti senza motivazione, solo per barbara violenza;

   il presunto responsabile del pestaggio è stato individuato in un cittadino russo di origine cecena, Rassoul Bissoultanov, fermato la mattina successiva dalle locali autorità di polizia insieme a altre due persone sempre di nazionalità russa, queste ultime successivamente rilasciate;

   l'inchiesta ha proceduto estremamente a rilento e lo scoppio della pandemia ha comportato un ulteriore allungamento dei tempi, con inesorabili effetti sul piano processuale, nonostante, nel novembre 2020, l'ambasciatore italiano in Spagna abbia incontrato il Fiscal general del Estado e il Ministro della giustizia italiano allora in carica abbia inviato alla collega spagnola una lettera per sensibilizzarla su uno svolgimento rapido del procedimento penale;

   attualmente, infatti, il principale responsabile è ancora in stato di custodia cautelare in attesa del processo a suo carico innanzi al tribunale di Girona;

   ad agosto 2021, in assenza di una sentenza di condanna, Rassoul Bissoultanov sarà liberato e si potrebbe ravvisare anche una sottrazione all'esecuzione della pena. Non è stata ancora fissata la data di inizio di un processo che sarà necessariamente complesso, visto il numero dei testimoni da citare e le questioni tecniche da affrontare;

   nel corso di questi anni la famiglia e la comunità fiorentina si sono impegnate affinché in Spagna si svolgesse un processo giusto che portasse alla condanna di tutti gli autori della terribile aggressione e del conseguente omicidio;

   non è ancora dato comprendere il motivo per cui gli altri due pericolosi soggetti non siano stati posti in custodia cautelare e sia stato dato loro modo di stare in regime di libertà;

   il profondo dolore della famiglia, fatto proprio dall'intera comunità nazionale, impone di attivare tutte le vie possibili – sia pure nel pieno rispetto per l'indipendenza della magistratura spagnola – affinché i responsabili della morte di Niccolò siano assicurati alla giustizia e condannati, dal momento che, da più di 43 mesi, la famiglia Ciatti sta aspettando l'inizio del processo in Spagna, per lo svolgimento del quale non è stata ancora stabilita una data, come già è stato messo in evidenza dalla famiglia in una lettera alla segreteria del Ministro della giustizia in cui è rappresentata l'urgenza che il processo sia celebrato quanto prima –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere per porre rimedio a questa grave ingiustizia e adoperarsi presso le autorità spagnole affinché i responsabili della morte di Niccolò Ciatti vengano processati e vengano adottate tutte le misure necessarie affinché non possano far perdere le proprie tracce.
(3-02526)

(11 ottobre 2021)
(ex 5-05950 del 6 maggio 2021)

   POTENTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 12 agosto 2017 Niccolò Ciatti veniva ucciso in una discoteca della località spagnola Lloret de Mar, dopo essere stato aggredito barbaramente da tre ventenni di origine cecena;

   a Niccolò, che morì dopo un giorno di agonia in ospedale, fu fatale un colpo violentissimo sferrato da Rassoul Bissoultanov e ripreso dalle immagini di uno smartphone;

   per Bissoultanov, all'epoca 24enne e già con precedenti penali per violenza, ancora non è stato deciso il rinvio a giudizio entro agosto 2021 e, dal momento che il processo dovrebbe iniziare tra ottobre e novembre 2021, sta per scattare la decorrenza dei termini di carcerazione preventiva che gli consentirà di tornare libero a quattro anni dall'omicidio;

   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio ha dichiarato di aver dato «istruzioni alla nostra ambasciata a Madrid perché intervenga presso le autorità spagnole sollecitando una rapida conclusione del procedimento penale», ricordando che l'ex Ministro Bonafede aveva indirizzato una lettera analoga al suo ex omologo spagnolo –:

   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, per adoperarsi presso il Governo spagnolo affinché si pervenga ad una rapida conclusione del procedimento penale di cui in premessa e vengano adottate tutte le misure necessarie affinché i responsabili della morte di Niccolò Ciatti non possano far perdere le loro tracce, considerati i ritardi della giustizia iberica;

   quali risposte siano state fornite dagli omologhi spagnoli alle richieste del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro della giustizia pro tempore Bonafede di cui in premessa, evidenziate in una dichiarazione dall'attuale titolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
(3-02528)

(11 ottobre 2021)
(ex 4-09712 del 2 luglio 2021)

D) Interpellanza e interrogazione

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   la decisione annunciata dalla Commissione europea che ha intenzione di dichiarare ammissibile la domanda croata di registrazione della menzione tradizionale «Prosek» danneggia i produttori di Prosecco made in Italy, perché confonde onomatopeicamente i consumatori, procurando loro gravi danni;

   la richiesta di registrazione del Prosek croato, non per caso, avviene nell'anno in cui si è verificato un record storico dell'export di Prosecco nel mondo, cresciuto del 35 per cento nei primi sei mesi del 2021;

   la decisione della Commissione europea revoca in dubbio l'opposto convincimento della Corte di giustizia dell'Unione europea, espresso in una recente sentenza con la quale ha dichiarato illegittimo l'uso di denominazioni che potrebbero indurre in inganno, perché evocano in modo strumentale prodotti che hanno già vista riconosciuta la denominazione di origine e quindi dovrebbero essere tutelati dalla normativa emanata dall'Unione europea;

   ad avviso degli interpellanti, il Governo dovrebbe agire immediatamente e con decisione, in sede unionale, per opporsi al perfezionamento della decisione, con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, per evitare il formarsi di un precedente pericoloso che non solo, in questa contingenza, danneggia gravemente i produttori italiani, ma che in prospettiva indebolisce l'intera Unione europea quando agisce nei rapporti internazionali e sui negoziati per gli accordi di scambio nei quali occorre tutelare la denominazione prosecco dai prodotti falsi, come nel caso di produzioni provenienti da Argentina e Australia;

   dopo l'eventuale pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, si ricorda che tutte le parti interessate disporranno di un termine di due mesi a decorrere dalla data di pubblicazione per presentare un'obiezione motivata che la Commissione europea analizzerà prima di adottare una decisione finale;

   colpire il prestigioso vino italiano proprio nel periodo in cui registra un notevole incremento nelle vendite mondiali, per effetto della voglia dei consumatori stranieri di tornare a brindare con le bollicine made in Italy dopo la lunga astinenza dovuta alla chiusura dei ristoranti e degli ostacoli alle esportazioni legate alla pandemia, è un comportamento che appare sleale;

   gli Stati Uniti sono diventati il primo acquirente di bottiglie di Prosecco, con un aumento del 48 per cento, ma l'incremento maggiore delle vendite si è verificato in Russia dove gli acquisti sono più che raddoppiati (+115 per cento), mentre in Germania guadagna il 37 per cento, seguita dalla Francia (+32 per cento), il Paese dello champagne in cui le bollicine italiane mettono a segno una significativa vittoria fuori casa. E dopo un inizio d'anno difficile il Prosecco torna a crescere persino in Gran Bretagna con un +3 per cento delle bottiglie stappate, con gli inglesi che restano al secondo posto tra i clienti;

   come detto, l'annuncio della decisione avviene a pochi giorni dalla storica sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che si è pronunciata chiaramente contro l'utilizzo di termini che ricordano prodotti già tutelati o grafiche per richiamare tipicità protette dalle norme dell'Unione europea e, ad avviso degli interpellanti, l'Italia dovrebbe opporsi utilizzando le medesime motivazioni, eventualmente aggiungendone di ulteriori;

   il caso che ha portato alla sentenza è nato dal ricorso del Comité interprofessionnel du vin de champagne (Civc), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne contro una catena di bar spagnoli che usa il nome «champanillo», che in lingua spagnola significa «piccolo champagne», per promuovere i locali, con un supporto grafico raffigurante due coppe riempite di una bevanda spumante;

   i giudici dell'Unione europea hanno giustamente riconosciuto il fatto che il regolamento comunitario protegge le dop da condotte relative sia a prodotti che a servizi e il criterio determinante per accertare la presenza di un'evocazione illegittima è quello di accertare se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa come per lo champanillo, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, proprio la merce protetta dalla dop, nel caso lo champagne. Secondo la Corte, non è necessario che il prodotto protetto dalla denominazione e il prodotto o il servizio contestati siano identici o simili, poiché l'esistenza del nesso tra il falso e l'autentico può derivare anche dall'affinità fonetica e visiva. Dunque, è illegittimo usare un nome o un segno che evocano, imitandolo, un prodotto a denominazione di origine;

   ad avviso degli interpellanti, il Governo dovrebbe opporsi utilizzando le argomentazioni della Corte ed eventualmente di ulteriori, anche perché il prosecco ha già ottenuto tutti i riconoscimenti formali rispetto alla riserva del suo nome, a cui si aggiunge il prestigiosissimo riconoscimento di patrimonio dell'umanità da parte dell'Unesco –:

   quali iniziative di competenza intendano assumere per tutelare in modo permanente la denominazione del «Prosecco» e scongiurare ulteriori attacchi all'integrità dei marchi di tutela nazionali, a partire da quelle raccomandate in premessa.
(2-01327) «Bond, Sandra Savino, Caon, Anna Lisa Baroni, Nevi, Paolo Russo».

(14 settembre 2021)

   BOND, SANDRA SAVINO, CAON, SPENA, ANNA LISA BARONI, PAOLO RUSSO e NEVI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia continua a difendere i propri vini con denominazioni d'origine protette da forme di concorrenza ingannevole approntate da Paesi appartenenti alla Unione europea;

   si teme una riedizione del caso del vino Tokaij, completamente diverso dal Tocai italiano, simile solo nel nome, ma di qualità incomparabile, inferiore e senza la nobile storia vantata dal vino italiano. Nonostante ciò, l'Italia dovette soccombere alle pretese ungheresi e cedere il nome del prestigioso Tocai, che dovette essere rinominato come «Friulano» perché Tokaij è un luogo geografico e, quindi, protetto dalle norme dell'Unione europea, mentre in Italia era «solo» il nome di un vitigno;

   nei giorni precedenti, una delle denominazioni italiane più famose e di successo nel mondo, il Prosecco, ha subito un'operazione simile. Infatti, la Croazia ha presentato la proposta alla Commissione europea di registrazione del nome Prosék. Il Prosecco italiano deve essere tutelato, il Governo italiano ha motivi di doglianza sia in fatto che in diritto e deve respingere il tentativo croato di appropriarsi del nome talmente simile che è facilmente confondibile, dando luogo all'ennesimo caso di imitazione di prodotti italiani, sfruttando poi le vendite derivanti dal fenomeno detto Italian sounding. Sembra l'ennesimo tentativo di danneggiare migliaia di produttori italiani e di raggirare i consumatori;

   i produttori del Nord Est potranno difendersi se le istituzioni saranno efficacemente al loro fianco, visto che la revisione dei disciplinari del 2009 ha introdotto nell'area doc anche il paesino di Prosecco in provincia di Trieste e, quindi, la denominazione è anche un nome geografico;

   la denominazione protetta «Prosecco», una delle più emblematiche del Paese, non deve divenire un caso legalizzato in sede di Unione europea di imitazione e abuso;

   la richiesta croata di tutela di una menzione, il Prosék, che è la mera traduzione in lingua slovena del nome Prosecco, non deve essere accolta poiché il regolamento europeo sull'organizzazione comune dei mercati agricoli stabilisce che le denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette devono essere tutelate da ogni abuso, imitazione o evocazione, anche quando il nome protetto viene tradotto in un'altra lingua;

   il regolamento europeo in materia stabilisce che ogni denominazione di origine debba essere difesa dai tentativi di imitazione, anche attraverso la semplice traduzione linguistica. L'utilizzo in commercio può creare problemi giuridici perché contrasta con il regolamento (CE) n. 1234/2007, quindi la denominazione croata è in conflitto con la protezione della dop italiana Prosecco;

   infatti al momento della adesione all'Unione europea la Croazia non chiese la protezione della denominazione Prosék, perché consapevole che la richiesta sarebbe stata in conflitto con la tutela riservata al nostro Prosecco;

   ad avviso degli interroganti, il Governo dovrebbe attivarsi in sede di Unione europea poiché la richiesta della Croazia prevede un vaglio degli Stati membri. Agire tempestivamente è necessario giuridicamente e politicamente, poiché appare pericoloso consentire di aggirare le protezioni già accordate ai nostri prodotti dop e igp. Appare palese agli interroganti il tentativo di alcuni Stati di aggirare la normativa esistente utilizzando altri schemi, come le menzioni tradizionali. Ciò indebolirebbe la posizione dell'Unione europea stessa nel quadro di negoziati commerciali con Paesi terzi, tra cui quelli in corso con Australia, Nuova Zelanda e Cile, che già si oppongono alla protezione completa del Prosecco –:

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza opportune e necessarie volte alla tutela del prosecco italiano, opponendosi, nelle competenti sedi europee, alla domanda della Croazia di protezione della menzione tradizionale Prosék, al fine di essere efficacemente al fianco dei produttori italiani di qualità, sostenendo il rafforzamento delle indicazioni geografiche protette.
(3-02527)

(11 ottobre 2021)
(ex 5-06358 del 6 luglio 2021)

E) Interrogazione

   DONZELLI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   la soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo ha il compito istituzionale di tutelare il patrimonio nell'ambito del territorio di competenza e di cooperare con la regione e gli enti territoriali per la sua valorizzazione. L'organo periferico della soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo è in grave sofferenza da tempo, perché non riesce ad avere un soprintendente stabile e questo crea disfunzioni all'attività amministrativa. Dall'anno 2018 si sono succedute ben quattro figure nel ruolo di soprintendente di Siena, Grosseto e Arezzo: la dottoressa Di Bene, il dottor Pessina, il dottor Muzzi, la dottoressa Valente. Quest'ultima ricopre il ruolo ad interim, quindi in via temporanea, e, a quanto consta all'interrogante, sembrerebbe essere in predicato di lasciare la sede, che, quindi, diverrebbe di nuovo vacante e non sarebbe dato sapere per quanto tempo;

   il territorio della provincia di Siena comprende ben quattro siti Unesco ed è in larga parte sottoposto al vincolo paesaggistico. Il comune di Siena, oltre ad avere circa il 90 per cento del territorio soggetto a vincolo paesaggistico su decreto, conta molti immobili sottoposti a vincolo monumentale. Il ruolo e la regia della soprintendenza come ente amministrativo è essenziale nel fornire risposte certe e tempestive ai cittadini, per cui non è ammissibile l'assenza della figura apicale. Si pone un ulteriore e gravoso problema inerente alle pratiche di sanatoria paesaggistica di cui all'articolo 167 del codice dei beni culturali ed alle recenti pronunce della giurisprudenza del Consiglio di Stato che rischia di tenere ulteriormente bloccate le numerose richieste da parte dei cittadini di regolarizzare le difformità esistenti. Anche a tal proposito è necessario che la soprintendenza adotti un orientamento chiaro, una linea guida predeterminata per evitare ritardi e inefficienze e rispondere ai criteri che la legge impone alla pubblica amministrazione: efficienza, efficacia, economicità –:

   se sia a conoscenza della situazione sopra illustrata;

   se non ritenga opportuno, con urgenza, provvedere alla nomina di un soprintendente presso la soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo, stabile, in via definitiva, esclusivamente dedicato al territorio di competenza, rispondente ai requisiti di competenza, professionalità e che si insedi stabilmente a capo dell'ufficio, dedicandosi a tempo pieno all'attività amministrativa delle tre province di competenza.
(3-02443)

(2 agosto 2021)

F) Interrogazione

   DI GIORGI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   il Giardino di Boboli è un parco storico della città di Firenze. Nato come giardino granducale di Palazzo Pitti, accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori, è uno dei più importanti esempi di giardino all'italiana al mondo ed è un vero e proprio museo all'aperto, per l'impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XX secolo;

   il Giardino di Boboli rappresenta per i fiorentini, in particolare per gli abitanti dell'Oltrarno, oltre che uno straordinario museo a cielo aperto, un polmone verde, un'area nel centro storico dove poter trascorrere del tempo libero, adatto soprattutto alle famiglie con bambini;

   il decreto-legge cosiddetto «riaperture» ha previsto, per i luoghi di cultura che nel 2019 hanno ospitato più di un milione di visitatori, l'accesso al pubblico di sabato e domenica previa prenotazione effettuata almeno 24 ore prima;

   da quanto si apprende dai maggiori organi di stampa, nelle ultime settimane, in seguito all'approvazione del suddetto decreto-legge, per l'accesso allo storico giardino, in quanto luogo di cultura, è richiesta anche per i residenti la prenotazione obbligatoria e il ticket di 3 euro per l'accesso nel fine settimana;

   nonostante i problemi oggettivi legati allo status del Giardino in quanto museo, l'accesso è stato sempre gratuito per i residenti, una soluzione che ha permesso ai fiorentini di godere di un luogo riconosciuto e vissuto dai cittadini come parco urbano;

   nelle ultime settimane sono diverse le manifestazioni di protesta che hanno coinvolto, oltre ai rappresentanti politici del territorio, le tante famiglie alle quali è stata così negata la possibilità di godere dell'unica area verde del centro storico –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e – in ogni caso – quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di prevedere il libero accesso, nel rispetto delle misure di sicurezza e della salvaguardia del bene ambientale, al Giardino di Boboli per i residenti e, in particolare, per gli abitanti dell'Oltrarno.
(3-02529)

(11 ottobre 2021)
(ex 5-06153 del 4 giugno 2021)

G) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro per la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:

   il Sindacato Itamil Esercito, riconosciuto dal Ministero della difesa con proprio decreto il 2 novembre 2020, attraverso la nota piattaforma «change.org», ha lanciato una petizione, indirizzata alla Camera dei deputati, volta a sostenere la necessità di apportare alcune modifiche alla legge 4 novembre 2010, n. 183, recante: «Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro»;

   in particolare, gli interventi richiesti riguardano l'articolo 19 della predetta legge che riconosce la specificità del ruolo delle Forze armate, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti;

   tra le principali novità che il sindacato vorrebbe fossero apportate alla legge n. 183 del 2010 vi sono: una progressione economica delle carriere che riconosca l'anzianità di servizio all'apice della propria carriera per tutti i ruoli non dirigenti «graduati, sergenti e marescialli»; la revisione di tutte le indennità già presenti nel trattamento economico in vigore; la definizione di una legge quadro nazionale per la concessione di un ticket agevolato a tutti i militari in servizio e alle rispettive famiglie per usufruire dei servizi medici specialistici, nonché per usufruire del trasporto gratuito dei mezzi di trasporto pubblici urbani, extraurbani, traghetti e ferroviari per motivi di servizio;

   inoltre, si ritiene necessario prevedere: la tutela del posto di lavoro dei militari in condizioni di eccesso ponderale ed altre patologie riscontrate nel corso della propria carriera, attraverso l'attribuzione di incarichi tecnico-amministrativi sul modello dei vigili del fuoco; il transito nel ruolo civile della difesa oppure in altre amministrazioni dello Stato a scelta dopo i 27 oppure i 32 anni di servizio, mantenendo i benefici acquisti nel tempo dal proprio status di militare, oltre alla propria naturale progressione economica attraverso il rinnovo dei contratti e la scelta della sede di servizio, nonché la revisione della normativa attuale al fine di garantire la stabilità familiare al militare qualora cessino i requisiti psico-attitudinali, consentendogli di permanere nella sede di temporanea assegnazione decorsi 10 anni senza demeriti;

   si ritiene, infine, necessario modificare la normativa al fine di tutelare l'integrità del nucleo familiare del militare, garantendo la permanenza negli alloggi di servizio assegnati a seguito di trasferimento fino al compimento del sesto anno di età della prole, in luogo degli attuali tre anni –:

   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare al fine di dare seguito alle istanze riportate in premessa.
(2-01308) «Paolo Russo».

(26 agosto 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI LAVORO AGILE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

   La Camera,

   premesso che:

    dal quadro generale fornito dalle «Linee guida sul piano organizzativo del lavoro agile (Pola) e indicatori di performance» (ex articolo 14, comma 1, legge 7 agosto 2015, n. 124, come modificato dall'articolo 263, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), si evince un chiaro e preciso insieme di elementi funzionali per la definizione di un impianto normativo per la regolamentazione del lavoro agile nella pubblica amministrazione, non più rinviabile;

    l'emergenza sanitaria (ancora in corso) ha reso necessario il ricorso, anche nel pubblico impiego, a modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non in presenza, genericamente ricondotte al lavoro agile, finora oggetto di limitate sperimentazioni e timidi tentativi di attuazione;

    le diverse realtà pubbliche hanno fatto ricorso nella fase emergenziale a modelli organizzativi di lavoro disciplinati già da tempo nel nostro ordinamento, scoprendone tuttavia punti di forza e di debolezza che sono stati messi al centro di un ampio e diffuso dibattito tuttora in corso;

    le amministrazioni hanno utilizzato tale modalità nella fase emergenziale, in forma semplificata, anche in deroga alla disciplina normativa (ad esempio, l'accordo individuale, l'adozione di atti organizzativi interni che definiscono le regole per lo svolgimento della prestazione in modalità agile e altro) prescindendo, quindi, da una previa revisione dei modelli organizzativi che dovranno tener conto, oltre che di linee guida generali e nazionali, anche di precise caratteristiche personali e comportamentali del personale coinvolto (affidabilità, capacità di lavorare in autonomia e responsabilmente, capacità di utilizzare in modo autonomo la strumentazione mobile e le applicazioni standard, capacità di problem solving);

    il lavoro da casa durante la fase emergenziale ha fornito un'esperienza a livello nazionale che non può e non deve essere ignorata, perché ha consentito di accendere un «focus» sugli elementi imprescindibili per una futura ed impellente revisione normativa del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, tema peraltro ribadito durante il question time dell'8 settembre 2021 dallo stesso Ministro per la pubblica amministrazione;

    è emerso infatti che focalizzando l'attenzione sul piano organizzativo del lavoro agile (Pola) e sugli indicatori di performance, funzionali a un'adeguata attuazione e a un progressivo sviluppo del lavoro agile, si può ottenere un'applicazione graduale della programmazione del lavoro agile attraverso un'elaborazione del programma di sviluppo nell'arco temporale di un triennio;

    l'attuale organizzazione del pubblico impiego, ripensata per favorire il lavoro agile, impone un diverso approccio organizzativo e richiederebbe anche un ripensamento complessivo della disciplina del lavoro pubblico; infatti, l'attuale disciplina normativa e contrattuale del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche riflette modelli organizzativi basati sulla presenza fisica in ufficio, con la conseguenza che numerosi istituti relativi al trattamento giuridico ed economico non sempre sono compatibili con il cambiamento in atto (si pensi, a titolo di esempio, alla disciplina dei permessi, a quella del lavoro straordinario e altro) richiedendo un'azione di revisione complessiva da porre in essere con il coinvolgimento imprescindibile delle organizzazioni sindacali;

    l'attuale normativa, inoltre, mal si concilia con un'organizzazione che deve essere in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti e non permette di lavorare in una logica incrementale, rispettando e rispondendo alle esigenze dell'utenza, e di valorizzare il ruolo dei team caratterizzati dall'intercambiabilità e dalla flessibilità operativa dei componenti;

    tra i fattori imprescindibili per una nuova visione del modello regolatorio del lavoro agile rivestono un ruolo strategico la «cultura organizzativa» e le «tecnologie digitali» in una logica di «cambio di gestione», ovvero di gestione del cambiamento organizzativo per valorizzare al meglio le opportunità rese disponibili dalle nuove tecnologie;

    le tecnologie digitali sono fondamentali per rendere possibili nuovi modi di lavorare, sono da considerarsi, quindi, un fattore indispensabile del lavoro agile. Il livello di digitalizzazione permette di creare spazi di lavoro digitali virtuali, nei quali la comunicazione, la collaborazione e la socializzazione non dipendono da orari e luoghi di lavoro;

    parallelamente dovrà prevedersi anche il diritto alla disconnessione; la pubblica amministrazione dovrà riconosce al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile i corretti tempi di riposo per garantire il recupero delle energie psico-fisiche, la conduzione della propria vita personale e la libera cura delle proprie relazioni affettive e sociali;

    per rendere tutto ciò più efficace, occorre far leva sullo sviluppo di competenze digitali trasversali ai diversi profili professionali. Tuttavia, la vera chiave di volta, per raggiungere esperienze di successo, è l'affermazione di una cultura organizzativa basata sui risultati, capace di generare autonomia e responsabilità nelle persone, di apprezzare risultati e merito di ciascuno;

    quindi, il tema della misurazione e valutazione della performance assume un ruolo strategico nell'implementazione del lavoro agile, ruolo che emerge anche dalla disposizione normativa che per prima lo ha introdotto nel nostro ordinamento;

    sarà quindi necessario ridefinire i valori sui quali costruire l'auspicato e rinnovato impianto normativo di regolamentazione del lavoro agile nella pubblica amministrazione che tenga conto di una serie di indicatori necessari che dovranno essere adottati per uniformare il pubblico impiego alle mutate esigenze introdotte dalla pandemia: miglioramento dei servizi, aumento della produttività, maggiore benessere organizzativo e diminuzione dei costi della pubblica amministrazione; ciò anche nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 263, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per dare piena attuazione, nel più breve tempo possibile, a un riordino della normativa vigente per la disciplina del lavoro agile nella pubblica amministrazione, che preveda:

   a) la definizione e le modalità di prestazione del lavoro agile alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, contemperando il conseguimento di specifici obiettivi in un arco temporale predeterminato con modalità di organizzazione del lavoro senza vincolo di orario e di luogo di lavoro, prescindendo quindi da obblighi di presenza presso gli uffici, al fine di promuovere l'incremento della produttività e l'efficienza nonché il miglioramento della qualità dei servizi erogati;

   b) la possibilità, per i dipendenti pubblici richiedenti e comunque nella percentuale prevista dai piani organizzativi del lavoro agile individuati dalle diverse pubbliche amministrazioni in misura non inferiore al 30 per cento, di avvalersi delle nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa con la garanzia di non subire penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera;

   c) il potenziamento delle misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro favorendo il benessere organizzativo e individuale;

   d) l'incremento dell'utilizzo delle tecnologie digitali a sostegno della prestazione lavorativa, mediante strumenti di lavoro messi a disposizione dalla pubblica amministrazione o comunque attraverso l'utilizzo di software interoperabili ed idonei a garantire la salute e la sicurezza del personale ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 81 del 2008 e dei dati dell'amministrazione;

   e) la regolamentazione del diritto alla disconnessione;

   f) il rispetto delle norme contenute nella legge n. 300 del 1970, dei principi espressi dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000/C 364/01), dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (2016/679);

   g) la previsione di apposite disposizioni a sostegno della parità di genere, con particolare attenzione alla tutela di lavoratori e lavoratrici in relazione agli eventi di maternità e paternità;

   h) la creazione di condizioni effettive per una maggiore autonomia e responsabilità dei lavoratori nella gestione dei tempi di lavoro e nel raggiungimento di risultati obiettivamente misurabili, anche nell'ottica di promuovere la mobilità sostenibile tramite la riduzione degli spostamenti casa-lavoro e viceversa;

   i) il progressivo e costante monitoraggio della valutazione dei risultati conseguiti;

   l) un programma triennale per la valorizzazione degli immobili in uso da realizzarsi prioritariamente attraverso la creazione di spazi di coworking;

   m) l'eventuale riduzione delle locazioni passive, oltreché la cessione degli immobili di proprietà non più necessari;

   n) l'utilizzo degli immobili che meglio soddisfano le esigenze di efficientamento energetico, dell'accessibilità dell'utenza e della mobilità del personale;

   o) la destinazione di una quota parte degli eventuali risparmi conseguiti, non inferiore al sessanta per cento, all'incremento della dotazione tecnologica e digitale ai pubblici dipendenti preposti allo svolgimento di prestazioni lavorative in modalità agile, prevedendo altresì che l'eventuale restante quota sia destinata al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
(1-00520) «Baldino, Alaimo, Azzolina, Brescia, Maurizio Cattoi, Corneli, De Carlo, Dieni, Giordano, Francesco Silvestri, Elisa Tripodi».

(24 settembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    con il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il Governo ha esteso a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni l'obbligo di possedere e di esibire, dal 15 ottobre 2021, per l'accesso al luogo di lavoro, la certificazione verde Covid-19 (cosiddetto green pass), escludendo da tale obbligo i soli soggetti esentati dalla campagna vaccinale per motivi sanitari;

    estendendo l'obbligo della certificazione verde Covid-19 anche ai lavoratori del settore pubblico, il Governo incrementa l'efficacia delle misure di contrasto al fenomeno epidemiologico e consente, tramite il rientro in presenza dei pubblici dipendenti, di incrementare l'efficienza delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un passaggio indispensabile per sostenere le esigenze dei cittadini e delle imprese, in particolar modo di quelle impegnate nelle attività connesse all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

    ci sono dunque le premesse per superare l'utilizzo del lavoro agile quale strumento di contrasto al fenomeno epidemiologico e ripristinare, ai sensi dell'articolo 87, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni che è quella svolta in presenza, al fine di supportare cittadini ed imprese nell'affrontare le importanti sfide della ripresa economica e dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr);

    l'Aran e le organizzazioni sindacali, nel solco del patto sociale Governo-sindacati del 10 marzo 2021, stanno disciplinando, nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale in corso, per la prima volta, il lavoro agile,

impegna il Governo:

1) nelle more della definizione della disciplina del lavoro agile da parte della contrattazione collettiva, ad adottare le iniziative di competenza, anche normative, per:

   a) realizzare, dal 15 ottobre 2021, per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il superamento dell'utilizzo del lavoro agile emergenziale, nel rispetto delle vigenti misure di contrasto al fenomeno epidemiologico adottate dalle competenti autorità, prevedendo:

   1) un'organizzazione delle attività degli uffici che assicuri, da subito, la presenza in servizio del personale preposto alle attività di sportello e di ricevimento degli utenti (front office) e del back office;

   2) l'individuazione, anche in relazione alle condizioni dei trasporti pubblici, di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita ulteriori rispetto a quelle adottate, allo scopo di evitare di concentrare l'accesso al luogo di lavoro dei lavoratori in presenza nella stessa fascia oraria e di ingolfare il trasporto pubblico locale;

   b) consentire l'accesso al lavoro agile nel rispetto della disciplina previgente alla pandemia e in ottemperanza degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81;

   c) prevedere che le amministrazioni assicurino che lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile non pregiudichi o riduca la fruizione dei servizi resi a favore degli utenti;

   d) prevedere che le amministrazioni forniscano al dipendente strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore nello svolgimento della prestazione in modalità agile;

   e) tutelare i lavoratori fragili – in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita – o quelli che sono stati esentati, a qualsiasi titolo, dalla somministrazione vaccinale contro il Covid-19, e adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile.
(1-00521) «Valentini, Calabria, Zangrillo, Milanato, Paolo Russo, Sarro, Tartaglione, Polverini, Cannatelli, Fatuzzo, Musella, Rotondi».

(24 settembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'emergenza pandemica Covid-19 ha determinato una rivoluzione nell'ambito lavorativo attraverso il ricorso massivo al lavoro agile o cosiddetto smart working, sia nel settore pubblico che privato; riconoscere la possibilità di lavorare da remoto anche a coloro che svolgono lavoro subordinato – il cui luogo di lavoro è generalmente nei locali del datore con orario fisso – è stata individuata come una valida misura per diminuire gli spostamenti delle persone e, di conseguenza, contrastare la diffusione dei contagi;

    prima che diventasse funzionale alla gestione dell'emergenza, questo innovativo modello di lavoro faticava a decollare a causa di una mentalità retrograda e ancorata ad una rigida concezione dell'organizzazione di lavoro subordinato; ciò ha ostacolato uno sviluppo che non solo consente di adeguare le modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro dipendente alla rivoluzione tecnologica che c'è stata negli ultimi decenni, ma che responsabilizza anche il lavoratore rispetto agli obiettivi da raggiungere;

    si tratta, tra l'altro, di un modello che reca in sé benefici innanzitutto in termini di welfare, posto che mette in equilibrio i tempi di lavoro e di vita del lavoratore, e, in secondo luogo, in termini di sostenibilità ambientale, considerando che provoca una diminuzione degli spostamenti, e, dunque, del traffico urbano consentendo di abbattere le emissioni inquinanti, vantaggio notevole in un Paese come l'Italia che ha un alto numero di pendolari;

    è doveroso però evidenziare che la modalità di lavoro applicata in via emergenziale non è stata propriamente quella del lavoro agile, ma si è trattato di un mero lavoro dal proprio domicilio o comunque da remoto avviato, tempestivamente, con il ricorso ad una serie di deroghe alla legge istitutiva del lavoro agile, che ha di fatto snaturato questo modello di lavoro poiché sono venuti meno elementi essenziali che sono propri dello stesso, tra i quali: la formalizzazione di un contratto, la definizione degli obiettivi, l'individuazione dei dispositivi tecnologici di lavoro, le condizioni di sicurezza sul lavoro, le modalità di esercizio del potere di controllo e disciplinare;

    dunque, il lavoro agile applicato in questi mesi è stato «emergenziale» e ha rappresentato una forma di lavoro a distanza, che è solo una delle peculiarità del più articolato ed innovativo modello di lavoro agile che il legislatore ha istituito con la legge 22 maggio 2017, n. 81;

    ciò non toglie che questa misura, con i limiti anzidetti, anche nella pubblica amministrazione è stata una valida soluzione per il contrasto alla pandemia e ha consentito ai lavoratori di continuare a svolgere il proprio lavoro in sicurezza, seppure in assenza di tutti gli strumenti e le condizioni necessarie;

    al riguardo, un rinnovamento della disciplina sul lavoro agile è intervenuto con l'adozione da parte delle amministrazioni pubbliche del «Piano organizzativo del lavoro agile» (Pola) con il quale le amministrazioni devono regolare le modalità attuative dello smart working per le attività che possono essere svolte da remoto, e individuare gli strumenti per la verifica dei risultati conseguiti per migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa;

    a decorrere dal 2021 gli enti pubblici, entro il 31 gennaio di ciascun anno, devono redigere, sentite le organizzazioni sindacali, il Pola, quale sezione del Piano della performance, in conformità all'articolo 263 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020; tale strumento ha dunque un ruolo primario per proseguire un percorso di sviluppo e definizione del lavoro agile nel pubblico impiego;

    l'ultimo intervento che ha interessato lo smart working nella pubblica amministrazione è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2021, con il quale è stato stabilito che dal 15 ottobre 2021 la modalità ordinaria di lavoro nella pubblica amministrazione torna a essere quella svolta in presenza;

    il Ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha infatti evidenziato che il lavoro da remoto attuato nel pieno dell'emergenza nel settore del pubblico impiego, in mancanza degli strumenti digitali e dell'organizzazione necessaria, non ha sempre garantito adeguati servizi pubblici ai cittadini; pertanto, ritenendo che nell'attuale fase la pandemia sia sotto controllo, è stato disposto il ritorno in presenza;

    sul punto, si ritiene che laddove il lavoro da remoto non abbia funzionato dipende, oltre che dalla mancanza di mezzi e condizioni organizzative, anche da un evidente errore di valutazione che è stato compiuto nell'ambito della pubblica amministrazione, nel riconoscere talvolta lo smart working anche per mansioni non compatibili con questa modalità di svolgimento della prestazione di lavoro;

    per garantire i servizi pubblici, appare ragionevole un ritorno in presenza dei lavoratori, poiché mancano ancora i presupposti necessari per svolgere il lavoro agile in modo proficuo; tuttavia, non bisogna rinunciare ad una sua implementazione e a uno suo sviluppo, attraverso gli strumenti e un impianto regolatorio che ne consentano un ricorso appropriato, nella consapevolezza che si rivolge ai dipendenti che svolgono mansioni eseguibili a distanza e con flessibilità di orario, senza che vengano compromesse le loro performance lavorative;

    su questo presupposto, può essere ragionevole favorire il lavoro agile, ad esempio, con formule miste (un giorno o più alla settimana), dando precedenza a specifiche categorie che hanno più bisogno di flessibilità (ad esempio famiglie con figli minori o disabili);

    il Ministro per la pubblica amministrazione ha dichiarato che il dicastero che guida ha come obiettivo quello di disciplinare il lavoro agile nella pubblica amministrazione entro il 2021, e a tale scopo si stanno svolgendo delle trattative tra l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e i sindacati, per pervenire ad un accordo di regolamentazione nell'ambito della contrattazione collettiva,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, per consentire un appropriato ricorso al lavoro agile nella pubblica amministrazione, affinché siano valorizzati gli aspetti vantaggiosi di tale modello di lavoro nel pubblico impiego, alla condizione di migliorare e garantire i servizi pubblici erogati alla collettività, in particolare prevedendo:

   a) compatibilmente con la situazione epidemiologica, e fatta salva la necessità di iniziative specifiche a tutela dei lavoratori fragili e dei genitori di figli minori, un graduale superamento della modalità di lavoro da remoto emergenziale poiché non conforme alle condizioni richieste per svolgere il lavoro agile come prevede la normativa in materia;

   b) ogni iniziativa utile affinché l'accesso a forme di lavoro a distanza, come lo smart working e il telelavoro, avvenga nel rispetto di un'idonea organizzazione del lavoro e fornendo le necessarie tecnologie digitali;

   c) un'adeguata definizione degli elementi essenziali dell'accordo di lavoro agile tra i quali: durata dell'accordo; conformità delle prestazioni oggetto del contratto di lavoro; individuazione degli specifici obiettivi e risultati che deve conseguire il lavoratore; luogo di lavoro scelto dal lavoratore e requisiti minimi di idoneità dei locali; fascia oraria entro la quale la prestazione lavorativa deve svolgersi nel rispetto del numero di ore di lavoro previste nel contratto di lavoro; modalità di esercizio del potere disciplinare; modalità di verifica periodica degli obiettivi e risultati da raggiungere; individuazione della strumentazione tecnologica fornita al lavoratore e informativa sull'utilizzo; principio di riservatezza dei dati e delle informazioni in possesso del lavoratore; informativa rispetto alle condizioni di sicurezza sul lavoro;

   d) specifiche misure che garantiscano l'adempimento di ogni obbligo a tutela della salute e sicurezza dei dipendenti che svolgono la prestazione in locali esterni, anche per quanto concerne l'obbligo di cooperazione in capo al lavoratore rispetto all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro, come quelle riguardanti l'uso corretto degli strumenti tecnologici e la scelta del luogo in cui svolgere l'attività in modalità agile, secondo l'osservanza di criteri di ragionevolezza;

   e) la disciplina del cosiddetto diritto alla disconnessione, per tutelare il lavoratore affinché non sia messo nelle condizioni di essere costantemente reperibile senza limiti di orario;

   f) laddove compatibile con le mansioni svolte, l'incentivazione strutturale dell'accesso al lavoro agile a specifiche categorie di lavoratori e lavoratrici che hanno più bisogno di flessibilità rispetto all'orario e al luogo di lavoro, come persone fragili con malattie invalidanti o con disabilità, componenti di nuclei familiari con figli minori e/o persone disabili da assistere;

   g) l'adozione di ogni provvedimento necessario per proteggere i dati, in particolare quelli sensibili, di cui dispone la pubblica amministrazione rispetto allo svolgimento della modalità di lavoro agile;

   h) misure che garantiscano al lavoratore l'accesso da remoto a dati, informazioni, documenti della pubblica amministrazione, la cui visione è necessaria per adempiere la prestazione di lavoro, mediante canali sicuri e protetti;

   i) l'adozione di misure che rendano effettiva la parità di trattamento – economico e normativo – tra i lavoratori che svolgono la prestazione in modalità agile e i loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinaria, anche rispetto al riconoscimento dei buoni pasto laddove siano previsti.
(1-00522) «Rizzetto, Ferro, Bucalo, Zucconi, Galantino, Lucaselli».

(6 ottobre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'emergenza pandemica da Sars-CoV-2 ha richiesto alle amministrazioni pubbliche un tempestivo adeguamento dell'organizzazione del lavoro e dei servizi tale da assicurare, al contempo, la continuità dell'azione amministrativa e la riduzione al minimo dei fattori di rischio sanitario. In tale contesto il processo di sperimentazione prima e diffusione poi del cosiddetto smart-working, pur nella diversificata valutazione degli effettivi impatti organizzativi e sociali, ha dato significativa evidenza all'urgenza di accompagnare e portare avanti anche nella vasta e complessa galassia delle pubbliche amministrazioni una compiuta transizione digitale ed ecologica. Transizione, questa appena indicata ed auspicata, che non può certo risolversi nella mera trasformazione tecnologica dei mezzi e delle modalità di produzione dei beni e servizi amministrativi, ma richiede invece l'adozione di più radicali strategie di adattamento sul piano dell'organizzazione del lavoro, delle modalità di erogazione dei servizi alla collettività e della stessa percezione culturale del ruolo costituzionale delle pubbliche amministrazioni e, in esse, del lavoro pubblico, in società complesse ed interconnesse ormai profondamente segnate da una accelerata innovazione digitale;

    per queste ragioni, appare oltremodo necessario superare l'approccio emergenziale – che fino ad ora ha configurato le condizioni d'uso del cosiddetto smart-working come strumento di contenimento emergenziale dei rischi pandemici – a favore di una diversa prospettiva che sia capace di innervare il lavoro smart in una organizzazione egualmente smart, emarginando così suggestioni radicali a beneficio di una più realistica considerazione dell'impatto delle innovazione digitale sul lavoro, le sue forme ormai ibride e le sue regole, almeno per quanto riguarda tempi, spazi e luoghi di erogazione della prestazione dovuta, esercizio dei poteri e delle prerogative manageriali, protezione della salute e della sicurezza sul lavoro (e in questo caso, anche del lavoro svolto), senza dimenticare infine il necessario adattamento delle stesse forme di esercizio dell'attività sindacale che una lunga storia ha fin qui configurato come presenza attiva nel luogo di lavoro;

    la sperimentazione e diffusione emergenziale del cosiddetto smart-working in epoca pandemica è stata formalmente correlata e in qualche misura anche resa possibile dal rinvio, per quanto non sempre coerente e sistematicamente corretto, alla legge 25 maggio 2017, n. 81, il cui Capo II è interamente dedicato alla disciplina del «lavoro agile» considerato funzionale ad «incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» e formalmente qualificato quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato» nel cui ambito «la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno». L'incertezza nella riconduzione della risposta emergenziale ad una precisa fattispecie astratta di rapporto di lavoro, sia sul piano strutturale che su quello funzionale o degli obiettivi perseguiti, ha trovato un evidente riflesso in una sorta di sinonimia terminologica tra lavoro agile, smart working, lavoro da remoto, lavoro da casa, che pure ha determinato, non poche volte, anche fraintendimenti concettuali e distorte valutazioni critiche, alcune delle quali frutto di evidente pregiudizio;

    tuttavia, occorre ricordare che prima ancora della citata legge n. 81 del 2017 ed in attuazione delle previsioni dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha adottato la direttiva n. 3/2017 recante «indirizzi per l'attuazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015 n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti», così avviando la sperimentazione del «lavoro agile» nelle amministrazioni pubbliche nell'ambito della prevista introduzione di più funzionali misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti e di più adeguate modalità di organizzazione del lavoro, basate sull'utilizzo della flessibilità, sulla valutazione per obiettivi, sulla rilevazione dei bisogni del personale dipendente. Si tratta, come appare evidente, di un approccio organizzativo, prima che regolativo, basato sulla flessibilità, l'autonomia, la responsabilizzazione e l'orientamento ai risultati e rappresenta, in quanto tale, un'innovazione radicale rispetto al modello rigidamente burocratico-formale (taylorismo da scrivania, così fu definito) di organizzazione del lavoro e di conseguente valutazione meramente quantitativa delle prestazioni all'interno delle pubbliche amministrazioni;

    proprio per queste stesse ragioni, il «lavoro agile» disegnato dalla direttiva del 2017 appare non riconducibile al modello del lavoro a distanza o telelavoro sancito dall'articolo 4, comma 1, della legge 16 giugno 1998, n. 191 e destinato a «razionalizzare l'organizzazione del lavoro e realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane». A tal fine, la legge del 1998 consentiva alle amministrazioni di installare, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e di autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa. Tali previsioni, espresse con un linguaggio tecnico che oggi potrebbe sembrare quasi arcaico, hanno poi trovato puntuale attuazione con il decreto del Presidente della Repubblica n. 70 del 1999 recante «Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191». Deve però dirsi che tale forma di lavoro a distanza, originata più dalla coeva attenzione comunitaria per la riduzione dei costi diretti e indiretti connessi a fenomeni di accentuato pendolarismo piuttosto che dalle esigenze di riorganizzazione tecnologica dell'attività amministrativa, pur ancora recentemente richiamata dall'articolo 14 della legge n. 124 del 2015 non ha avuto grande fortuna;

    a ben vedere, invece, l'impostazione della citata direttiva presidenziale del 2017 ha trovato sistematica conferma nelle previsioni dell'articolo 18, commi 1 e 3, della legge 25 maggio 2017, n. 81, in materia di disciplina del lavoro agile. Di per sé tale disciplina, implementata nel sistema organizzativo delle pubbliche amministrazioni, può rappresentare aspetti di profonda innovazione quali: la valorizzazione e la responsabilizzazione delle risorse umane, potendosi concentrare la loro valutazione sulla base dei risultati piuttosto che su aspetti formali e quantitativi; la razionalizzazione nell'uso delle risorse e aumento della produttività, con risparmi in termini di costi e miglioramento dei servizi offerti; la promozione dell'uso delle tecnologie digitali più innovative e utilizzo dello smart working come leva per la trasformazione digitale e per lo sviluppo delle conoscenze digitali; l'abbattimento delle differenze di genere; la riduzione delle forme di «assenteismo fisiologico»; la valorizzazione del patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione, grazie alla riprogettazione degli spazi;

    deve rilevarsi, tuttavia, che prima della fase di emergenza pandemica e della conseguente riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni che ha originato il ricorso allo smart working semplificato quanto alle procedure e illimitato quanto alla platea dei beneficiari, solo 1,7 per cento dei dipendenti pubblici risultava impegnato con tale tipologia di prestazione lavorativa, connessa d'altronde più agli obiettivi da raggiungere e meno alla necessaria e cautelativa assenza dall'ufficio. Deve egualmente rilevarsi che solo in una fase successiva l'esecuzione a distanza della prestazione lavorativa, inizialmente pensata come strumento di contrasto alla diffusione epidemica, è stata ricondotta in una logica più ampia e di sistema disponendosi l'obbligo, in capo alle amministrazioni di elaborare un annuale Piano organizzativo per il lavoro agile (Pola), successivamente sostituito e integrato nel Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) configurato in guisa tale da riportare in una cornice unitaria anche i diversi piani relativi alla performance, alla promozione della parità di genere e all'implementazione della disciplina di contrasto alla corruzione. In relazione al lavoro agile a tale strumento risulta ora affidato il compito di pianificare le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative. Tuttavia, sulla base di quanto risultante da una prima verifica sull'attuazione delle suddette previsioni organizzative emerge che solo 54 delle 162 amministrazioni statali monitorate hanno pubblicato i relativi Pola entro la scadenza del 31 gennaio 2021;

    l'obiettivo di meglio correlare lavoro e organizzazione tramite le nuove tecnologie digitali, nella prospettiva del miglioramento dei servizi resi ai cittadini, chiama in causa la Missione n. 1 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che propone, in linea con le raccomandazioni della Commissione europea, un programma di innovazione strategica della pubblica amministrazione nel cui ambito una specifica linea progettuale persegue l'obiettivo della digitalizzazione e della modernizzazione della pubblica amministrazione, con interventi specifici anche per rafforzare l'organizzazione e incrementare la dotazione di capitale umano, secondo una stretta complementarietà e un'articolata strategia di riforma, che, secondo quanto previsto nella proposta, potrà contare su ingenti risorse finalizzate agli investimenti nel capitale umano, nel quadro di un investimento complessivo nella digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione pari a 9,75 miliardi di euro;

    come rilevato dallo stesso Pnrr, nell'ultimo decennio l'evoluzione della spesa pubblica per la parte relativa al personale, con il blocco del turn over, ha generato una significativa riduzione del numero dei dipendenti pubblici nel nostro Paese, con un'incidenza sull'occupazione totale largamente inferiore rispetto alla media dei Paesi Ocse e con un'età media di 50 anni e con solo il 4,2 per cento di età inferiore ai 30 anni. Un fattore questo che ha «contribuito a determinare un crescente disallineamento tra l'insieme delle competenze disponibili e quelle richieste dal nuovo modello economico e produttivo disegnato per le nuove generazioni», evidenziando inoltre come la carenza delle competenze sia stata determinata «dal taglio delle spese di istruzione e formazione per i dipendenti pubblici. In dieci anni, gli investimenti in formazione si sono quasi dimezzati, passando da 262 milioni di euro nel 2008 a 164 milioni nel 2019: una media di 48 euro per dipendente»;

    fra gli obiettivi perseguiti con le linee di investimento del Pnrr vi è quello di rafforzare la conoscenza e le competenze del personale, dirigenziale e non dirigenziale, della pubblica amministrazione mediante azioni specifiche: introduzione di meccanismi di rafforzamento del ruolo, delle competenze e delle motivazioni dei civil servant, attraverso percorsi di valorizzazione della professionalità acquisita e dei risultati raggiunti, anche tramite la previsione di progressioni di carriera basate su percorsi non automatici ma selettivi di sviluppo e crescita; introduzione di un nuovo modello di lavoro pubblico, anche attraverso strumenti normativi e contrattuali, con valutazione e remunerazione basate sul risultato e valorizzazione economica delle risorse umane aventi caratteristiche di eccellenze professionali; introduzione di meccanismi di rafforzamento del ruolo e delle competenze dei dirigenti pubblici, riservando particolare attenzione al tema dell'accesso delle donne a posizioni dirigenziali; riforma del sistema di formazione; lavoro agile e nuove forme di organizzazione del lavoro pubblico;

    l'efficace evoluzione delle misure di contrasto della pandemia messe in campo dal marzo 2020, che ha visto una svolta con l'avvio di una massiccia campagna di vaccinazione della popolazione e, da ultimo, con le misure che hanno esteso l'obbligo della certificazione verde Covid-19 consentono un progressivo e controllato ritorno alla normalità sociale e lavorativa, tanto che il 23 settembre 2021 è stato adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale si sancisce, che a decorrere dal 15 ottobre, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa presso le amministrazioni pubbliche è quella in presenza. Alla luce di tale ultima deliberazione, cessando dunque il regime straordinario del lavoro agile o cosiddetto smart-work, si rende necessario ripristinare la condizione ordinaria di disciplina delle relazioni di lavoro e quindi dare corso alla regolamentazione prevista dall'articolo Modella citata legge n. 124 del 2015, che sulla base della recente novella dispone quanto segue: «Il Pola individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 15 per cento dei dipendenti possa avvalersene, garantendo che gli stessi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera, e definisce, altresì, le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati». Giova al riguardo precisare almeno che l'articolo 14 testé citato impone di differenziare il telelavoro dal lavoro agile, suggerendo di fatto che, mentre il primo – il solo originariamente previsto dalla legge n. 124 – ha riguardo soltanto alle modalità estrinseche di esecuzione del lavoro da remoto, il secondo – aggiunto invece dalle novelle ultime – attiene invece alla stessa configurazione intrinseca della prestazione di lavoro conformata da obiettivi di lavoro e dalla responsabilità per il conseguente raggiungimento. Proprio per queste ragioni deve escludersi che la finalità prima del lavoro agile sia da individuare nella sola promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come recita la rubrica originario dell'articolo 14 citato, dovendosi viceversa tenere debito conto di più stringenti finalità di miglioramento organizzativo e di riqualificazione dell'offerta ai cittadini di beni e servizi amministrativi. In questa prospettiva, è ragionevole ritenere il lavoro agile alla stregua di modalità ordinaria di svolgimento della prestazione, secondo le esigenze definite dall'assetto organizzativo dell'amministrazione interessata e, com'è ovvio, soltanto per le attività che possono essere svolte in modalità agile. Resta comunque ferma l'esigenza di assicurare sempre la massima cautela possibile dal punto di vista sanitaria atteso che la condizione epidemica non è del tutto risolta. Ciò in concreto significa che devono ritenersi essenziali per lo svolgimento delle prestazioni lavorative in condizioni di sicurezza sanitaria le indicazioni e le prescrizioni stabilite con i protocolli per la sicurezza Covid-19;

    coerentemente con il patto sociale Governo-sindacati del 10 marzo 2021, la disciplina del rapporto di lavoro in modalità agile presso le pubbliche amministrazioni è oggetto del confronto tra l'Aran e le organizzazioni sindacali e dovrà contemplare la possibilità di stipulare accordi individuali nel rispetto di un quadro di riferimento unitario di garanzie definite dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, è necessario tenere conto che il sistema delle pubbliche amministrazioni non consente una reductio ad unum dei modelli organizzativi e pertanto ogni disciplina di carattere generale non può che operare come regolazione di cornice, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali, valorizzando poi la contrattazione integrativa per la disciplina delle diverse modalità di esecuzione del rapporto di lavoro agile, con e senza vincoli di tempo, anche assicurando la previsione di adeguate forme partecipative e di confronto sulle scelte organizzative connesse alle attività e ai servizi che le pubbliche amministrazioni sono chiamate a realizzare, per favorire il consenso e coinvolgimento dei lavoratori per accompagnare i cambiamenti dell'organizzazione del lavoro e dei servizi;

    in ogni caso, l'introduzione di ordinarie forme di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni deve tenere in considerazione anche gli effetti sociali esterni derivanti da tale modalità di erogazione della prestazione lavorativa, quali ad esempio: l'incidenza sui sistemi economici locali, la rivitalizzazione di comuni periferici, la riduzione dei costi (diretti e indiretti) di trasporto, la razionalizzazione degli spazi utilizzati e altri potrebbero dirsi. Esempi, questi, che evidenziano come il lavoro agile si ponga al centro di un complesso sistema di relazioni, organizzative, economiche e sociali, che operano dentro e fuori dal contesto amministrativo e che devono tutte essere ricondotte ad unità armonica nella prospettiva prioritaria del miglioramento quali-quantitativo dei servizi ai cittadini. D'altronde, già durante la fase emergenziale e del ricorso illimitato allo smart working, sono state comunque adottate buone pratiche che, seppure per mere esigenze sanitarie, hanno consentito all'utenza di fruire da remoto dei servizi richiesti grazie alle tecnologie telematiche. Una innovativa soluzione che non può essere dispersa con il ritorno al lavoro prevalentemente in presenza, fermo restando la differenza concettuale e operativa tra l'erogazione da remoto di servizi al cittadino e l'organizzazione del lavoro da remoto per i dipendenti;

    conseguentemente, una moderna organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, incentrata sull'autonomia, sulla responsabilizzazione e l'orientamento ai risultati al posto del modello rigidamente burocratico-formale dovrà comportare un parallelo e radicale cambiamento della cultura, della visione e del ruolo della dirigenza pubblica, in linea con le esperienze più avanzate che si stanno consolidando nelle realtà produttive più dinamiche. Al riguardo, l'Osservatorio smart working del Politecnico di Milano ricorda come tale modalità organizzativa e lavorativa comporti «una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati». Addirittura, secondo il World Economic Forum, il ricorso massiccio allo smart-working ha portato negli Usa ad un incremento della produttività del lavoro pari al 4,6 per cento, mentre un recente studio di Pwc stima che, se tutte le mansioni potenzialmente eseguibili da remoto venissero effettivamente svolte in modalità agile, questo darebbe al nostro prodotto interno lordo una spinta dell'1,2 per cento. Come indicato dalla Commissione europea, gli Stati membri dovrebbero concentrarsi sulle riforme e sugli investimenti che migliorano la connettività, promuovendo e agevolando la diffusione su vasta scala di reti ad altissima capacità, in tutte le aree geografiche, zone urbane e rurali, assicurando ai cittadini, alle imprese e alle amministrazioni locali la connessione a tali reti in maniera efficiente e stabile,

impegna il Governo:

1) ad adottare, nel rispetto del ruolo delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e tenuto conto anche delle opinioni delle organizzazioni di rappresentanza degli utenti, ogni iniziativa utile per migliorare, modernizzare e riqualificare, nella prospettiva della transizione digitale ed ecologica, l'attività e l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, in guisa tale da rendere possibile una effettiva ed utile implementazione del lavoro agile, operando al contempo per superare logiche procedurali di tipo formale a beneficio di modalità organizzative orientate agli obiettivi di lavoro da conseguire e favorendo l'autonomia responsabile degli addetti, anche attraverso la promozione di micro-team professionali capaci di operare su piattaforme condivise, al fine principale di migliorare in modo oggettivamente significativo i servizi ai cittadini;

2) a dare immediato avvio ai programmi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in materia di digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione, con particolare riguardo agli investimenti sul capitale umano per l'adeguamento all'innovazione e alla digitalizzazione;

3) a favorire, per quanto di competenza, che, nella definizione del confronto tra l'Aran e le organizzazioni sindacali per la disciplina del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, vengano individuate soluzioni che inseriscano gli accordi individuali in un quadro di regole certe e di garanzia individuate dalla contrattazione collettiva, a cominciare dai diritti alla formazione, alla non discriminazione, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, dalle esigenze dei lavoratori con disabilità o che assistono congiunti con patologie, dai diritti alla sicurezza e alla parità di genere, dai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in relazione alla nascita dei figli, dal rispetto della protezione dei dati personali e dalla regolamentazione del diritto alla disconnessione, assicurando anche un adeguato spazio alla contrattazione integrativa, al fine di consentire il migliore adattamento delle esperienze di lavoro agile ai diversi contesti organizzativi di riferimento, sulla base di un'adeguata e coerente valutazione dei dirigenti responsabili, tenendo in debito conto che il lavoro agile non può determinare conseguenze negative ed anzi deve generare conseguenze positive sull'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa nell'interesse prioritario degli utenti, e più in generale dei cittadini;

4) ad adottare le opportune iniziative di competenza per definire indirizzi affinché, anche con il superamento della fase emergenziale e il ritorno in presenza quale modalità ordinaria di prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni, siano proseguite e, anzi, incrementate le positive esperienze che hanno consentito l'assolvimento degli obblighi burocratici in capo a cittadini e imprese con modalità telematiche ma siano anche assicurate adeguate modalità per consentire lo svolgimento in presenza delle attività per tutti quei cittadini che non possono agevolmente fruire, per condizioni soggettive od oggettive, dei servizi da remoto;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere e a supportare le pubbliche amministrazioni affinché ognuna di esse adotti il «piano organizzativo per il lavoro agile» (Pola), nei termini previsti dalla legge;

6) a monitorare ed analizzare, anche con esperti indipendenti, gli effetti del ricorso al lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni ai fini di un più razionale utilizzo degli spazi lavorativi, che porti all'eventuale riduzione delle locazioni passive o a dismissioni di immobili pubblici non più indispensabili, coerenti con la programmazione urbanistica definita dalle amministrazioni comunali;

7) a dare la più rapida attuazione ai progetti previsti dal Pnrr volti ad assicurare che tutte le amministrazioni pubbliche, così come, i cittadini e le imprese delle aree interne, delle aree montane e delle piccole isole possano essere connessi tramite reti telematiche efficienti e sicure.
(1-00523) «Viscomi, Mura, Carla Cantone, Gribaudo, Lacarra, Lepri, Madia, Bruno Bossio, Fiano, Berlinghieri».

(11 ottobre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'emergenza pandemica Covid-19 ha comportato il ricorso massivo al lavoro agile o cosiddetto smart working, sia nel settore pubblico sia privato, determinando una rivoluzione nell'ambito lavorativo la cui diffusione generalizzata ha evidenziato la necessità di portarlo a regime con regole adeguate per il dopo crisi;

    secondo una ricerca congiunta dell'università di Pittsburgh e la Bocconi italiana, il lavoro da remoto e flessibile avrebbe un influsso positivo sulla pianificazione delle politiche familiari poiché consente di organizzare le esigenze della vita privata con quella lavorativa in modo più duttile, con un alto grado di collaborazione tra uomini e donne, specie per le lavoratrici di alta formazione;

    lo smart working, pertanto, potrebbe ribaltare l'assioma del XX secolo: la proporzionalità inversa tra grado di istruzione e fertilità;

    occorre quindi considerare che, attraverso la diffusione dello smart working, si sta imponendo il digital divide della fertilità in aggiunta ad altre variabili economiche e sociali, come la formazione e la remunerazione, che influiscono in modo decisivo sulla decisione di avere figli;

    secondo una recentissima analisi della Banca d'Italia, nella prima parte del 2020, i dipendenti privati in smart working sono arrivati al 14 per cento, contro l'1,5 per cento di fine 2019, mentre i pubblici sono passati dal 2,4 per cento al 33 per cento;

    svolgere la propria prestazione lavorativa da remoto si è rivelata essere una efficace alternativa al recarsi nelle sedi classiche lavorative con orario fisso – per diminuire gli spostamenti delle persone e, di conseguenza, contrastare la diffusione dei contagi;

    si tratta, tra l'altro, di un modello che reca in sé benefici innanzitutto sia in termini di welfare – poiché consente di conciliare i tempi di vita e lavoro del lavoratore – sia in termini di sostenibilità ambientale, in quanto comporta una sensibile diminuzione degli spostamenti nel traffico urbano, consentendo pertanto di abbattere le emissioni inquinanti; si tratta di un vantaggio notevole specie nelle grandi città del nord alle prese con grossi problemi di smog;

    un'implementazione e uno sviluppo dello smart working, per le mansioni che sia possibile svolgere a distanza e con flessibilità di orario, può migliorare le performance lavorative specie ricorrendo a formule miste, riconoscendo la priorità nel ricorso a specifiche categorie;

    il tema della misurazione e valutazione della performance assume così un ruolo strategico nell'implementazione del lavoro agile anche nella pubblica amministrazione, tale da rendere necessario pianificare le mansioni da svolgere e gli obiettivi da conseguire, nonché il monte ore da dedicare a ciascuna attività, secondo programmi periodici definiti in sede di accordo tra le parti,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative urgenti, anche normative, affinché sia esteso e rafforzato il modello del lavoro agile, in particolare prevedendo di:

   a) escludere dall'obbligo di possedere e di esibire, dal 15 ottobre 2021, per l'accesso al luogo di lavoro, la certificazione verde Covid-19 (cosiddetto green pass), prevista dal decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il personale delle pubbliche amministrazioni in lavoro agile;

   b) promuovere il riordino della normativa in materia di lavoro agile nella pubblica amministrazione, che permetta di adeguare il pubblico impiego alle mutate esigenze dettate dalla pandemia quali: aumento della produttività, maggiore benessere organizzativo, diminuzione dei costi della pubblica amministrazione, prevedendo che lo smart working sia riconosciuto per ogni mansione adatta ad essere svolta nella sua interezza a distanza e con flessibilità di orario, non pregiudicando la qualità dei relativi servizi resi a favore degli utenti;

   c) adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile in via prioritaria a: lavoratori fragili – in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, alle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e ai genitori con figli con disabilità grave (ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, ai lavoratori che svolgono funzioni di caregiver familiare; ai lavoratori dipendenti che assistono persona con handicap in situazione di gravità);

   d) attuare tutte le misure formative che garantiscano lo sviluppo di competenze digitali trasversali ai diversi profili professionali necessari nel pubblico impiego volte ad abbattere il digital divide e a favorire, con l'adozione delle dovute misure necessarie, la diffusione nella pubblica amministrazione di una cultura organizzativa che concili sia i risultati, sia l'autonomia e la responsabilità delle persone, in un'ottica meritocratica;

   e) garantire la fornitura sia della dotazione tecnologica, digitale di attrezzatura ergonomica, sia di tutti gli strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore del settore pubblico nello svolgimento della prestazione in modalità agile e/o un'integrazione salariale per l'uso della strumentazione tecnologica già in possesso del lavoratore, nonché di un'ulteriore integrazione per la copertura dei costi delle utenze dell'energia elettrica, della telefonia fissa e mobile e della connessione alla rete internet;

   f) garantire, anche nel settore pubblico, il diritto alla disconnessione, per tutelare il lavoratore affinché non sia messo nelle condizioni di essere costantemente reperibile senza limiti di orario;

   g) garantire l'alternanza tra lavoro agile e lavoro in presenza (forma mista) nelle pubbliche amministrazioni, prevedendo che quest'ultima abbia una durata non inferiore al 40 per cento del monte ore mensile;

   h) pianificare regolarmente un piano organizzativo del lavoro agile, che venga adottato dalle amministrazioni pubbliche e dalle società pubbliche o comunque partecipate dalle amministrazioni pubbliche;

   i) stabilire la presentazione, da parte dell'Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, istituito dal cosiddetto «decreto Rilancio» (articolo 263, comma 3-bis, del decreto-legge n. 34 del 2020), di periodiche relazioni informative alle commissioni parlamentari competenti sull'andamento dello stesso.
(1-00527) «Costanzo, Colletti, Forciniti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Sapia, Massimo Enrico Baroni».

(11 ottobre 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A POTENZIARE IL CONTRASTO AD INFILTRAZIONI MAFIOSE CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA REALIZZAZIONE DEI PROGETTI PREVISTI DAL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

   La Camera,

   premesso che:

    gli ultimi decreti-legge convertiti o in fase di conversione da parte di questo Parlamento presentano un pacchetto complessivo di interventi di circa 221,5 miliardi di euro;

    tanto il Piano nazionale di ripresa e resilienza quanto il Fondo complementare, infatti, sono volti soprattutto a sostenere economicamente gli enti pubblici, le imprese e il mondo del lavoro e a rendere possibili ingenti investimenti infrastrutturali; intercettare una tale immissione di liquidità sarà, con ogni probabilità, il prossimo e primo obiettivo della criminalità organizzata, in particolare quella di stampo mafioso;

    le vicende giudiziarie degli ultimi anni, infatti, hanno ben mostrato come l'economia mafiosa si sia indirizzata verso lo sfruttamento dei contributi e dei fondi di solidarietà di derivazione nazionale ed europea; per questa ragione, a fronte dell'imminente attuazione dei progetti inclusi nel piano nazionale di ripresa e resilienza, risulta ancora più importante procedere ad una supervisione più stringente sull'assegnazione e sulla gestione dei suoi fondi;

    fin dall'emanazione del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, adottato sulla base delle deleghe contenute nella legge 13 agosto 2010, n. 136, la disciplina normativa in materia di lotta alla mafia ha beneficiato di un quadro organico e coerente; la regolamentazione abbraccia, in particolare, tanto le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, in senso stretto, quanto gli aspetti legati alla documentazione, quanto, infine, le attività investigative nella lotta contro la criminalità mafiosa;

    il sistema italiano della prevenzione antimafia, per articolazione delle norme e complessità degli istituti, è pacificamente considerato come la forma di legislazione più avanzata ed efficace per il contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso; il duplice obiettivo dell'impianto di prevenzione consiste nella volontà di trovare un corretto bilanciamento tra due interessi: da una parte, la necessità di ostacolare in modo efficace e inesorabile ogni infiltrazione della criminalità mafiosa nel tessuto economico-produttivo nazionale anche per il nocumento che ciò produrrebbe ai danni delle imprese sane e del libero mercato; dall'altro, il bisogno di salvaguardare il processo di rapida esecuzione dell'opera pubblica o dell'iniziativa economica privata;

    tuttavia, un insieme così complesso di risorse richiede un costante controllo e coordinamento e un significativo stanziamento di risorse economiche a loro supporto;

    ciò vale, in particolare, per gli uffici della direzione investigativa antimafia (Dia) e delle varie direzioni distrettuali, le quali, anche grazie alla complessa attività di monitoraggio sugli appalti, assicurano un presidio di prevenzione insostituibile; la centralità della Dia nel sistema di prevenzione e contrasto delle infiltrazioni criminali nel delicato settore dei pubblici appalti è stata più volte ribadita da molti documenti: i decreti ministeriali del 20 novembre 2018 (Disposizioni urgenti per la città di Genova. Misure amministrative di semplificazione in materia antimafia) e del 15 luglio 2019 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici) hanno recentemente rimarcato la rilevanza della Dia in relazione agli accertamenti preliminari antimafia; l'esperienza maturata ha permesso così agli uffici e alle sezioni antimafia di enucleare le varie e complesse modalità d'infiltrazione praticate dall'impresa mafiosa per aggiudicarsi gli appalti;

    secondo recenti statistiche elaborate proprio dalla stessa Dia, durante il 2020 si è registrato un incremento del 31,3 per cento delle istruttorie per mafia chiuse con esito positivo rispetto al 2019, a dimostrazione dei più intensi tentativi di infiltrazione mafiosa in una economia in seria difficoltà a causa dell'emergenza sanitaria;

    oltre agli aspetti preventivi e repressivi, risulta di estrema rilevanza preservare e implementare il procedimento di follow up: si pensi all'utilizzo dei patrimoni immobiliari e aziendali sottratti ai mafiosi, portato avanti dall'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati, al contrasto al caporalato assicurato dal personale specializzato che opera presso l'ispettorato del lavoro, al sostegno economico e alla protezione per gli imprenditori che denunciano il racket e l'usura; tutti questi strumenti rappresentano modi concreti per indebolire il potere delle cosche e il loro consenso sociale sui territori, rafforzando l'immagine e la credibilità dello Stato;

    oltre a tali fondamentali presìdi, un approccio autenticamente sistematico richiederebbe poi un investimento di risorse anche in campo formativo, informativo e culturale che coinvolga la società civile quale attore attivo nella lotta alla mafia; l'educazione alla legalità dovrebbe passare anche dalla capacità di permettere alle persone, in particolare al Centro-nord, di conoscere i segnali di presenza mafiosa sui territori e nell'economia e così di agire in modo preventivo, fornendo un adeguato e coordinato supporto alle forze di polizia,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza, anche normative, per potenziare l'attività d'indagine e di contrasto delle infiltrazioni mafiose nell'esecuzione dei progetti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e, a tal fine, ad adottare iniziative per utilizzare eventuali avanzi dei fondi stanziati, ovvero altre eventuali risorse per un importo pari a 2 miliardi di euro, in particolare:

   a) rafforzando la dotazione, in termini di mezzi e di personale, della Direzione investigativa antimafia, delle direzioni distrettuali antimafia, dell'ispettorato del lavoro e dell'Ufficio del Commissario di Governo per le attività antiracket e antiusura;

   b) incrementando i fondi per rendere possibile la gestione di beni sia a livello sociale che istituzionale da parte dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati;

   c) rafforzando gli appositi fondi stanziati a livello statale in favore degli imprenditori che denunciano il racket e l'usura;

   d) prevedendo forme di compensazione economica per quelle imprese nei confronti delle quali l'informazione interdittiva antimafia sia stata revocata per assoluta mancanza dei presupposti;

   e) investendo nella formazione di pool investigativi specializzati, composti non solo da appartenenti alle forze di polizia, ma anche da tecnici dotati di diverse competenze, tra cui quelle economico-finanziarie, statistiche, informatiche e di gestione aziendale;

   f) potenziando le banche-dati esistenti creando un programma nazionale di condivisione dei dati in esse contenute, al fine di migliorare sensibilmente la qualità dell'attività investigativa e, conseguentemente, repressiva;

   g) finanziando corsi di formazione per amministratori locali, personale della pubblica amministrazione e della polizia locale per mettere in grado le relative strutture, in particolare al Centro-nord, di conoscere i segnali di presenza mafiosa sui territori e nell'economia;

   h) finanziando programmi, master universitari e corsi di alta formazione che formino persone in grado di attuare progetti antimafia e anticorruzione, sia nel settore pubblico che in quello privato;

   i) finanziando campagne informative, in televisione o su internet, a livello nazionale, che raccontino come operano le mafie sui territori e cosa viene fatto o può essere fatto per prevenire e contrastare il fenomeno.
(1-00498) «Cantalamessa, Molinari, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(30 giugno 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    durante i primi 18 mesi di pandemia sono stati varati una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri per misure di emergenza sanitaria e di sostegno all'economia;

    i provvedimenti, in fase di conversione, sono stati analizzati dalle diverse Commissioni parlamentari anche attraverso specifiche indicazioni pervenute in sede di audizione da rappresentanti istituzionali ed esperti;

    sono stati auditi a più riprese i magistrati che operano nei principali distretti italiani, nonché nelle direzioni distrettuali antimafia, compreso il procuratore della Direzione nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho;

    già in occasione della conversione in legge del decreto-legge «liquidità», il procuratore Cafiero de Raho aveva espresso in Commissione VI finanze preoccupazione per le attività del settore «Ho.re.ca.», per i passaggi di mano di attività o di quote, sottolineando la necessità di una sorveglianza rafforzata anche nella concessione dei mutui, attraverso la trasmissione di dati nelle modalità indicate;

    a tal fine, sarebbe importante anche l'istituzione di banche dati gestite dagli organismi di autoregolamentazione delle categorie professionali e messe a disposizione degli inquirenti, come indicato nella proposta di legge atto Camera n. 2903 depositata da l'Alternativa c'è;

    allo stesso tempo occorrerebbero l'istituzione di nuovi fondi e il rafforzamento di quelli esistenti in favore delle vittime dell'usura, come era stato proposto dall'onorevole Piera Aiello mediante l'introduzione di una norma in via emendativa nel decreto-legge «sostegni bis» atto Camera n. 3132 – decreto-legge n. 73 del 2021, articolo 13-bis;

    va inoltre considerato che, come paventato e come poi appurato dalla magistratura, le mafie hanno già messo le mani su parte delle risorse destinate alla ripartenza ed elargite tramite i decreti emergenziali e il rischio che si rafforzino facendo lo stesso con quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del fondo complementare, mentre il Parlamento ha convertito e si prepara a convertire provvedimenti per circa 221,5 miliardi di euro, è concreto;

    le mozioni presentate da altri gruppi e componenti parlamentari sollecitano condivisibilmente il Governo ad introdurre strumenti finanziari ed operativi volti a potenziare l'operato delle direzioni distrettuali antimafia;

    tale operato rischia, tuttavia, di divenire inefficace a causa della disarticolazione del codice degli appalti determinata dalle disposizioni appena approvate con il decreto-legge «semplificazioni» (atto Camera n. 3146) e dell'introduzione della riforma giudiziaria prevista dal disegno di legge recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello (atto Camera n. 2435 Governo), come segnalato da gran parte degli esperti del settore e dagli stessi magistrati antimafia,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte all'istituzione di un fondo per rilasciare garanzie agli istituti di credito che concedono prestiti, altri finanziamenti e mutui per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, in modifica di quanto previsto dal comma 1-ter dell'articolo 3 della legge 23 febbraio 1999, n. 44;

2) ad adottare iniziative normative volte a rafforzare la disciplina in materia di conservazione di documenti, dati e informazioni da parte degli organismi di autoregolamentazione delle categorie professionali per prevenire il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, in linea con quanto segnalato in premessa.
(1-00506) «Trano, Colletti, Maniero, Giuliodori, Sapia, Cabras, Corda, Spessotto, Vallascas, Forciniti, Testamento, Costanzo, Leda Volpi».

(26 luglio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    nello scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze derivanti dalla pandemia da COVID-19, si rileva un particolare attivismo da parte delle associazioni criminali teso a sfruttare le difficoltà economiche del tessuto produttivo del Paese;

    lo scenario che emerge costantemente dalle indagini è quello di una mafia che, oltre a mirare al controllo del territorio e del mercato degli stupefacenti, punta a infiltrarsi nell'economia legale e a condizionare i flussi finanziari e il libero mercato, allungando i propri tentacoli sui finanziamenti statali ed europei, anche attraverso la collaborazione di professionisti e tecnici asserviti ai propositi criminali delle organizzazioni mafiose;

    al dinamismo imprenditoriale della criminalità mafiosa si contrappone, purtroppo, uno Stato privo della necessaria flessibilità nell'affrontare la sfida e ingessato dentro una legislazione non al passo con i tempi;

    a fronte di tale situazione l'Italia si deve preparare a gestire, nel corso dei prossimi anni, le ingenti risorse stanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, dal Piano nazionale per gli investimenti complementari, dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030, nonché dai fondi strutturali e di investimento europei per gli anni 2021-2027;

    nonostante la diffusa consapevolezza del problema, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma anche il recente decreto-legge n. 77 del 2021, non dedica ad esso una particolare attenzione, richiamando l'applicazione di istituti generici, come i protocolli di legalità, il potenziamento delle strutture amministrative e della magistratura sul territorio e il rafforzamento della filiera dei controlli e della tracciabilità della spesa. Di fatto, nulla di nuovo rispetto a quanto già esistente e senza un preciso cronoprogramma attuativo. Anche per il settore degli appalti non sono state poste in essere particolari misure se non meri rinvii a norme già esistenti che, come sottolineato recentemente dall'Autorità nazionale anticorruzione nella relazione 2021 sulla propria attività, non sono state sufficienti a contrastare lo sviluppo di tale fenomeno che, nel corso del 2020, anno di drastica riduzione dell'attività economica e di restrizioni dovute alla pandemia, contrariamente alle attese, ha registrato un numero di segnalazioni di fatti illeciti quintuplicato rispetto all'anno 2015 (622 contro 125);

    in data 11 maggio 2021 con l'ordinanza n. 97 la Corte costituzionale si è espressa in merito alla questione dell'ergastolo ostativo, affermando che è proprio l'effettiva possibilità di conseguire la libertà condizionale a rendere compatibile la pena perpetua con la Costituzione e che, laddove questa possibilità fosse preclusa in via assoluta, l'ergastolo sarebbe invece in contrasto con la finalità rieducativa della pena di cui all'articolo 27;

    pur non disconoscendo la funzione rieducativa della pena rilevata dalla Corte costituzionale, è, tuttavia, necessario riaffermare e valorizzare anche la funzione social preventiva, retributiva e punitiva della pena, in particolare modo nei confronti di coloro che sono stati condannati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste;

    pur a fronte degli sforzi profusi da ciascuno, le forze dell'ordine e la magistratura necessitano di nuove e maggiori risorse umane, tecnologiche e strumentali per affrontare le sfide della criminalità organizzata,

impegna il Governo:

1) ad assumere urgenti iniziative di competenza, anche normative, per potenziare l'attività d'indagine e contrasto della criminalità organizzata attraverso il potenziamento delle forze dell'ordine e della magistratura, tanto in termini di personale quanto di dotazioni tecnologiche e strumentali;

2) ad assumere urgenti iniziative di competenza, anche normative, per potenziare l'attività di coordinamento e vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione, anche attraverso il rafforzamento del Piano nazionale anticorruzione;

3) ad assumere urgenti iniziative di competenza, anche normative, per potenziare l'attività del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, tanto sotto il profilo delle risorse umane assegnate quanto degli strumenti normativi a disposizione per contrastare la criminalità;

4) ad adottare iniziative per investire sulla maggiore digitalizzazione del procedimento penale, nel rispetto del diritto di difesa, in modo tale da semplificare e rendere più efficiente l'azione della magistratura, prevedendo inoltre l'istituzione di tribunali distrettuali antimafia presso ciascun distretto di corte di appello;

5) ad assumere urgenti iniziative normative, come richiesto dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021, sul regime del cosiddetto carcere duro e dell'ergastolo ostativo, al fine di predisporre interventi volti a contemperare la finalità rieducativa della pena con le inderogabili esigenze di sicurezza della collettività e le esigenze social preventive, introducendo il principio stringente che solo una fondata e argomentata prognosi in ordine alla non reiterazione del reato e alla rescissione di ogni collegamento con ambienti criminosi, con onere probatorio a carico del detenuto, possa consentire una positiva valutazione relativa alla non attualità della pericolosità sociale che giustifica l'ammissione ai benefici;

6) a porre in essere iniziative per ingenti investimenti in materia di edilizia penitenziaria, in particolare per le strutture carcerarie dedicate alla criminalità organizzata e per il contestuale rafforzamento della polizia penitenziaria;

7) ad adottare iniziative per digitalizzare integralmente le procedure di affidamento dei contratti pubblici finanziati a valere sulle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, del Piano nazionale per gli investimenti complementari, del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima e dei fondi europei 2021-2027, in modo tale da garantire la tracciabilità dei procedimenti, anche avvalendosi delle esperienze in materia di e-procurement sviluppate da Consip.
(1-00507) «Lollobrigida, Meloni, Ferro, Delmastro Delle Vedove, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Donzelli, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(26 luglio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    nella presente fase di emergenza relativa al Covid-19 le mafie stanno praticando «un vero e proprio attacco allo Stato»; tale è la denuncia, forte, della Commissione parlamentare antimafia, nella relazione per la prevenzione e la repressione delle attività predatorie della criminalità organizzata durante l'emergenza sanitaria, approvata, all'unanimità, il 22 giugno 2021;

    il documento elenca alcune modalità di tale attacco: «il tentativo di costruire un sistema del credito parallelo», «il sistema di riciclaggio capillare messo in piedi attraverso l'uso di medie e piccole imprese, come anche nel settore dei servizi», «la speculazione fortissima sui DPI, bene primario e strategico», la capacità «di strozzare ulteriormente l'economia e le casse dello Stato accumulando risorse e continuando a esercitare forme multiple di violenza e aggressione»;

    è importante, dunque, per difendere l'economia legale, mettere in campo «operazioni di disvelamento dei modi con cui i gruppi criminali si appropriano delle imprese e aumentano il controllo sociale sulle comunità». Ma è indispensabile, proprio parlando delle imprese in difficoltà preda dell'aggressione mafiosa, «considerare la dinamica dei lavoratori e delle lavoratrici», perché «senza una presa in carico dei diritti e del rischio connesso alla perdita del lavoro, come ai rischi legati allo scivolamento dei lavoratori in nero nell'emisfero dell'illegalità, si rischia di avere una visione parziale». Anche perché – avverte ancora la Commissione – «in queste difficoltà le mafie hanno operato come welfare di prossimità, offrendo sussidi tramite anche la distribuzione di beni essenziali alle famiglie in difficoltà e ottenendo così ulteriore consenso»;

    di fronte a tutto questo, secondo la Commissione, «la politica, attraverso le sue istituzioni, è chiamata ad avere un ruolo importante e nettissimo». Partendo «dalla sensibilità antimafia, finora sostanzialmente apparsa in seconda linea, su ogni singolo provvedimento sul quale si possano manifestare forme di attacco da parte degli interessi mafiosi». E qui la Commissione fa una precisa denuncia: «Non è pensabile un Piano di Rilancio del Paese, che non abbia fra i propri punti di forza il contrasto alle mafie che strangolano il Paese e ne condannano inesorabilmente i cittadini in una situazione di subalternità e povertà crescente»;

    secondo quanto riportato dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) nella relazione sul secondo semestre del 2020 presentata al Parlamento, le mafie potrebbero gestire i fondi europei (oltre 191 miliardi) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in arrivo per l'Italia, al fine di assicurare un tempestivo sostegno economico;

    i finanziamenti pubblici ottenuti dal Governo per far fronte alla crisi da Covid-19 rientrano nel mirino dei clan, decisamente interessati ad utilizzarli per fornire sostegno alle categorie economicamente più colpite dalle conseguenze economiche della pandemia: niente più violenza, ma una silente infiltrazione nell'economia legale, sfruttando l'emergenza Covid-19 e soprattutto quell'area grigia che si muove nel mondo della pubblica amministrazione, della politica, della finanza e delle professioni;

    a dimostrazione di questo cambiamento, ci sono i dati che la Dia riporta nella sua relazione e che rivelano come, rispetto a un anno fa, si registri una crescita evidente di delitti legati alla gestione illecita dell'imprenditoria, alle infiltrazioni in alcuni settori produttivi e all'intercettazione di fondi pubblici; come ha sottolineato più volte il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, da tempo, le organizzazioni criminali hanno capito che «l'indice non serve più per sparare, ma per movimentare denaro»;

    la conferma è nei numeri: rispetto allo stesso periodo del 2019 si registra, da un lato, il calo dei casi di omicidio di tipo mafioso e delle associazioni mafiose (passati, rispettivamente, da 125 a 121 e da 80 a 41) e, dall'altro, un aumento dei delitti connessi con la gestione illecita dell'imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l'accaparramento di fondi pubblici. Gli episodi di corruzione e concussione sono passati da 20 a 27, l'induzione indebita a dare o promettere utilità da 9 a 16, il traffico di influenze illecite da 28 a 32, la turbata libertà degli incanti da 28 a 32;

    si tratta di una strategia criminale che segue due linee ben precise: da un lato, c'è il tentativo di rilevare le imprese finite in difficoltà a causa dell'emergenza (un fenomeno che si registra soprattutto nel nord Italia), e dall'altro, quello di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l'emergenza sanitaria (una pratica che trova, invece, terreno fertile al Sud del Paese);

    l'interesse dimostrato per i finanziamenti pubblici e per gli aiuti economici stanziati dal Governo, allarma la Dia che, nell'ultima relazione, pone l'accento sul rischio che, nei prossimi mesi, le organizzazioni criminali possano mettere le mani anche sui fondi del Pnrr in arrivo per l'Italia;

    effettivamente il quadro generale nel quale si inserisce il Pnrr, ai fini della prevenzione e repressione delle infiltrazioni mafiose, nel nostro Paese, è difficile e complicato. Un esempio recente di un vasto impegno di investimenti, quale Expo Milano, ha presentato molteplici aspetti di criticità di infiltrazioni corruttive, ovvero mafiose;

    come anche sostenuto dal procuratore Gratteri, che ha ribadito il rischio di infiltrazioni della 'ndrangheta e delle mafie nei fondi del Pnrr: «Certamente le mafie sono presenti dove c'è da gestire denaro e potere ed è ovvio che non staranno a guardare e faranno di tutto per appropriarsi di parte di queste risorse della Comunità europea»;

    il presidente dell'Anac, dottor Busia, nel corso dell'audizione sul Pnrr presso la Commissione ambiente e lavori pubblici della Camera, tenutasi il 15 giugno 2021, ha rilevato che la digitalizzazione delle procedure di appalto pubblico e il rafforzamento della Banca dati nazionale dei contratti pubblici, gestita da Anac, sono due priorità che il Pnrr dovrebbe contenere. Le motivazioni evidenziate sono molteplici: 1) garantire assegnazioni più veloci degli appalti pubblici, 2) monitorare lo stato di avanzamento degli investimenti, 3) rafforzare la trasparenza sull'utilizzo dei fondi europei, ai fini del contrasto di pratiche illecite;

    la raccomandazione della Direzione investigativa antimafia è che tutti i Paesi europei diano «risposte corali» al concreto allarme di infiltrazioni: si chiede, in particolare, che gli Stati e le istituzioni europee dedichino a tale rischio la stessa attenzione impiegata per fronteggiare la pandemia;

    la dolorosa esperienza italiana di lotta alle mafie offre al resto d'Europa una chiave di assoluta qualità nell'interpretazione e contrasto del fenomeno suddetto (dal codice antimafia, alle interdittive prefettizie per persone fisiche e società, agli strumenti di sequestro e confisca) reso più complicato in passato dalle differenze legislative nazionali: l'Italia ha incassato il coordinamento del Law Enforcement Forum, il gruppo di lavoro dell'Unione europea che, con la supervisione di Europol, sta mettendo a punto le difese comuni dei 24 Paesi coscienti dei rischi di infiltrazioni criminali e mafiose nella gestione dei 750 miliardi di euro per la ripartenza dal Covid-19, impedendo ai clan italiani di rafforzarsi con attività «pulite» all'estero;

    non può sottacersi, peraltro, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 23 ottobre-4 dicembre 2019, ha dichiarato incostituzionale l'articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo; ciò ha come conseguenza, quindi, che i capi mafiosi, condannati all'ergastolo per stragi e omicidi, potranno ottenere permessi premio, anche se non collaborano con la giustizia;

    in data 11 maggio 2021, la Consulta, con l'ordinanza n. 97, si è anche pronunciata sul ricorso della I sezione penale della Corte di cassazione circa l'esclusione dalla liberazione condizionale, in assenza di collaborazione con la giustizia, per i condannati per reati di mafia;

    ferma restando, e riconoscendo, la funzione rieducativa della pena, è evidente la necessità di un intervento legislativo correttivo della normativa attraverso il quale introdurre adeguati criteri e princìpi per concedere o negare i permessi premio e ogni altro tipo di beneficio ai condannati per reati legati alla criminalità organizzata, peraltro anche oggetto di una proposta di legge presentata nella stessa data (11 maggio 2021) dal Movimento 5 Stelle, d'iniziativa dell'onorevole Ferraresi,

impegna il Governo:

1) ad investire nel potenziamento delle misure e degli strumenti per la prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata, delle mafie e del fenomeno della corruzione per garantire una gestione corretta e trasparente delle risorse, in particolare affinché i fondi europei relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ricevuti dal nostro Paese siano oggetto di un'attenta e sistematica opera di monitoraggio sul relativo utilizzo, con un considerevole aumento di trasparenza su tutte le procedure di gestione ad essi collegate;

2) ad adottare le iniziative di competenza per incentivare il finanziamento di sistemi e tecnologie con riferimento alla Direzione investigativa antimafia (Dia) e alle direzioni distrettuali antimafia, al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato (Sco), al Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri (Ros), al Gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di finanza (Gico), nonché alla struttura e ai mezzi dell'Unità di informazione finanziaria per l'Italia (Uif);

3) ad assumere le iniziative di competenza, anche normative, affinché – a partire dal 2022 – la Cabina di regia del Pnrr, ogni sei mesi, riferisca in Commissione antimafia circa le azioni e i programmi attuati dalla Cabina di regia stessa o da altri organi governativi competenti, ai fini della repressione delle infiltrazioni mafiose;

4) ad adottare iniziative normative per garantire la pubblicazione su internet, da effettuarsi entro la fine del 2022, a cura della Cabina di regia del Pnrr di tutte le imprese aggiudicatrici di opere e lavori, con indicazione dei territori da essi interessati, indicando, altresì, le eventuali ditte di subappalto o di sub-appalto, in modo da render trasparente quali tipi di opere siano in corso di attuazione nei diversi territori, e chi sia il reale esecutore;

5) ad adottare le iniziative di competenza per investire nella formazione di pool investigativi specializzati, composti non solo da appartenenti alle forze di polizia, ma anche da tecnici dotati di diverse competenze, tra cui quelle economico-finanziarie, statistiche, informatiche e di gestione aziendale, nonché nella realizzazione di una stuoia interforze permanente di lingue che, in connessione con le università italiane, ma anche di altri Paesi occidentali, favorisca la formazione di personale di polizia nelle lingue dei gruppi etnici maggiormente rappresentati in Italia, un centro ufficiale di connessione con altre forze di polizia occidentali, sia in fase di indagine, sia in fase processuale;

6) a potenziare le banche-dati esistenti, creando un programma nazionale di condivisione dei dati in esse contenute, al fine di migliorare sensibilmente la qualità dell'attività investigativa e, conseguentemente, repressiva, altresì coinvolgendo, nell'interoperatività delle banche dati e nell'implementazione dei sistemi di sicurezza digitale, anche le forze dell'ordine, attraverso l'istituzione di una piattaforma digitale di collegamento del Registro informatico del Ministero della giustizia con la banca dati Sdi del Ministero dell'interno;

7) a sostenere un intervento normativo per introdurre adeguati criteri e princìpi per concedere o negare i permessi premio, e ogni altro tipo di beneficio, ai condannati per reati legati alla criminalità organizzata.
(1-00526) «Elisa Tripodi, Saitta, Baldino, Ascari, Davide Aiello, Caso, Migliorino, De Carlo, Azzolina, Giordano, Alaimo, Businarolo, Bonafede, Cataldi, D'Orso, Di Sarno, Ferraresi, Giuliano, Perantoni, Salafia, Sarti, Scutellà, Palmisano».

(11 ottobre 2021)