TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 512 di Giovedì 20 maggio 2021

 
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MOZIONI IN MATERIA DI INFRASTRUTTURE DIGITALI EFFICIENTI E SICURE PER LA CONSERVAZIONE E L'UTILIZZO DEI DATI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia – allineata con il resto dei Paesi europei – ha avviato già da tempo un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, spesso però fornite da operatori terzi i quali, mettendo a disposizione le loro infrastrutture, diventano indirettamente detentori di dati e informazioni di esclusivo appannaggio delle amministrazioni interessate;

    la costruzione di un e-government «autosufficiente», che veda quale obiettivo principale l'accelerazione dei processi di informatizzazione della pubblica amministrazione, in linea con i principi previsti dall'Agenda digitale sia europea che italiana, dalle Comunicazioni della Commissione europea del 26 settembre 2003 e del 19 aprile 2016, nonché dal Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022, anche mediante la definizione di un sistema pubblico autonomo nello sviluppo e nell'impiego di tecnologie emergenti, rappresenta un passo fondamentale nella creazione di un più efficiente apparato amministrativo, volto a meglio coniugare l'acquisizione di nuove competenze digitali, con la messa a punto di processi di rafforzamento ed efficientamento dell'azione amministrativa;

    in tale contesto, uno degli aspetti più complessi della trasformazione digitale della pubblica amministrazione è dato certamente dalla gestione della vasta e articolata mole di dati che le pubbliche amministrazioni raccolgono e detengono, troppo spesso non ancora in formato digitale;

    questa può essere definita come un vero e proprio «patrimonio informativo pubblico», composto da diverse tipologie di informazioni che necessitano di essere collocate all'interno di una strategia complessiva mirata alla loro condivisione, valorizzazione e diffusione tra le amministrazioni pubbliche, siano esse centrali o periferiche;

    per realizzare i suddetti obiettivi è necessario che si ceda il passo nella pubblica amministrazione al progresso delle Information and communication technologies (Ict), mediante un approccio istituzionale connotato da modalità di gestione più flessibili ed efficaci rispetto al passato;

    il ricorso alle Ict nel settore pubblico può infatti agevolare e rendere più efficiente l'attività della pubblica amministrazione e l'interscambio di dati tra le sue articolazioni. Difatti, la diffusa mancanza di interoperabilità tra le varie banche dati della pubblica amministrazione, da intendersi come la capacità delle singole componenti del sistema pubblica amministrazione di fare rete tra loro e dialogare in forma automatica, scambiando informazioni e condividendo risorse, provoca un rallentamento notevole nella messa in atto dell'azione amministrativa, nonché un aggravio inutile dei costi che gravano sul bilancio pubblico, arrivando cioè a determinare inefficacia e inefficienza della stessa;

    allo scopo di evitare il protrarsi di questa situazione, è necessaria la creazione di un sistema di infrastrutture di in cloud computing per la raccolta e gestione centralizzata dei dati delle pubbliche amministrazioni, che consenta, mediante l'implementazione delle più moderne tecnologie nel settore pubblico – nel rispetto dei principi della trasparenza, efficienza e tutela dei dati personali, così come richiamati dalla normativa europea e nazionale –, di raccogliere, archiviare, elaborare e trasmettere i dati in possesso delle amministrazioni attraverso un cambio di paradigma basato sullo sviluppo di innovative procedure che le tecnologie digitali consentono;

    il cloud computing, infatti, rappresenta il prerequisito per l'erogazione e la fruizione efficiente di processi e attività come l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati, mediante la presenza di servizi diversificati e integrati tra loro, quali i cosiddetti IaaS (Infrastructure as a Service), PaaS (Platform as a Service) e SaaS (Service as a Service), ove la disponibilità dei dati è fornita on demand attraverso la rete telematica internet, a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili;

    sul mercato, esistono numerosi operatori che già permettono ad amministrazioni e aziende, a costi contenuti, di accedere a simili infrastrutture It, prescindendo dal possesso delle strutture a cui vengono materialmente trasferiti i dati. Ciononostante, non può tralasciarsi la necessità, per la pubblica amministrazione, sia di acquisire maggiori competenze in termini di capacità di gestione diretta di siffatte infrastrutture, che di relazione con i principali player attivi nell'offerta di tale categoria tecnologica. Tali circostanze, inoltre, si sommano a dubbi legati alla sicurezza, alla compliance, alla localizzazione e alla proprietà dei dati, oltre a non lasciare indenne l'amministrazione che si volesse avvalere di tali servizi da eventuali ulteriori rischi quali il «vendor lock-in» – ossia la creazione di un rapporto di dipendenza col fornitore del servizio – o il pericolo che fornitori e/o operatori terzi acquisiscano e usino impropriamente dati pubblici. Infine, a fronte dei citati rischi, perdura l'assenza di una reale garanzia in termini di incremento dell'affidabilità dei sistemi, qualità dei servizi erogati e risparmio di spesa;

    pertanto, solo mediante la creazione di un sistema infrastrutturale cloud di proprietà totalmente pubblica, la cui gestione venga affidata ad un ente pubblico dedicato e/o ad un'azienda pubblica dotata di personale altamente qualificato, sarà possibile far sì che le amministrazioni pubbliche non siano costrette ad avvalersi di fornitori privati per la fruizione di servizi di cloud storaging. Ciò, inoltre, permetterà di innescare sinergie virtuose capaci di coniugare, al contempo, una maggiore efficienza dell'azione pubblica con elevati standard di sicurezza e protezione, così come richiesti dal regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679;

    il «Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021» ha previsto il censimento del patrimonio Ict delle pubbliche amministrazioni e la procedura di qualificazione dei poli strategici nazionali (Psn). Secondo la circolare n. 1 del 14 giugno 2019 dell'Agenzia per l'Italia digitale per polo strategico nazionale si intende un soggetto titolare dell'insieme di infrastrutture It (centralizzate o distribuite), ad alta disponibilità, di proprietà pubblica, eletto a polo strategico nazionale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e qualificato da Agid ad entrare ad altre amministrazioni, in maniera continuativa e sistematica, servizi infrastrutturali on-demand, servizi di disaster recovery e business continuity, servizi di gestione della sicurezza It ed assistenza ai fruitori dei servizi erogati. Sulla base dei risultati ottenuti a seguito del censimento dei data center italiani, è emerso che su 1.252 data center censiti, appartenenti a pubbliche amministrazioni centrali e locali, ad aziende sanitarie locali e a università sono solo 35 le strutture candidabili a polo strategico nazionale, 27 sono i data center classificati nel gruppo A ovvero con carenze strutturali o organizzative considerate minori e i restanti 1.190 sono stati classificati nel gruppo B, ossia come infrastrutture che non garantiscono requisiti minimi di affidabilità e sicurezza dal punto di vista infrastrutturale e/o organizzativo o non garantiscono la continuità dei servizi o non rispettano i requisiti per essere classificati nelle due precedenti categorie;

    il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale. In particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei centri per l'elaborazione delle informazioni (ced) destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    con riferimento al rafforzamento della digitalizzazione della pubblica amministrazione, il Recovery Plan propone l'obiettivo di razionalizzare e consolidare le infrastrutture digitali esistenti della pubblica amministrazione, promuovendo la diffusione del cloud computing e rafforzando la cybersicurezza, con particolare attenzione all'armonizzazione e all'interoperabilità delle piattaforme e dei servizi di dati. Nello specifico al fine di dotare la pubblica amministrazione di infrastrutture affidabili e di accompagnare le amministrazioni centrali verso una nuova logica di conservazione e utilizzo dei dati e di fornitura di servizi, si prevede l'attuazione di un sistema cloud efficiente e sicuro. L'obiettivo dell'investimento è, dunque, lo sviluppo sul territorio nazionale di un'infrastruttura affidabile, sicura, efficiente sotto il profilo energetico ed economicamente sostenibile per ospitare i sistemi e i dati della pubblica amministrazione,

impegna il Governo

compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, ad adoperarsi affinché venga creato un sistema di raccolta, conservazione e scambio dei dati della pubblica amministrazione, in precedenza classificati meticolosamente in base alla rilevanza e al livello di sicurezza, mediante lo sviluppo di infrastrutture e sistemi di cloud computing di unica proprietà dello Stato, valutando di affidarne la gestione ad un ente pubblico e/o ad un'azienda pubblica, che ne garantisca la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza.
(1-00424) (Nuova formulazione) «Giarrizzo, Elisa Tripodi, Alaimo, Luciano Cantone, Casa, Scerra, Sodano, Sut, Scanu, D'Orso, Saitta, Rizzo, Penna, Berti, Aresta, Brescia, Maurizio Cattoi, Masi, Alemanno».

(24 febbraio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la sovranità digitale è uno dei temi chiave per affrontare le sfide della contemporaneità ed assicurare tutela e protezione ai dati dei cittadini;

    ovunque si è affermata una compiuta consapevolezza sul ruolo e sul valore dei dati personali prodotti dalle pubbliche amministrazioni e fondati sui dati dei cittadini;

    l'Europa, in considerazione dell'assenza di grandi operatori di cloud continentali, ha adottato politiche di sviluppo e di rafforzamento del cloud europeo;

    in Stati come Francia e Germania le politiche del cloud relativamente ai dati dei cittadini sono non a caso nelle mani dei rispettivi Ministri dell'economia e delle finanze, Bruno La Maire e Peter Altmaier, a conferma della considerazione che nei due Paesi riscuote il settore dei dati personali dei cittadini come patrimonio della nazione;

    le legislazioni di alcuni Paesi prevedono l'obbligo per le loro società nazionali operanti in giro per il mondo di garantire l'accesso alle amministrazioni nazionali per ragioni di sicurezza o di interesse nazionale, come nel caso del «Cloud Act» approvato dal Congresso americano nel febbraio 2018;

    in considerazione di tali legislazioni invasive, alcuni Paesi hanno immediatamente aggiornato le proprie normative sul cloud, come nel caso della Francia, che nel maggio del 2018 ha appositamente modificato la propria legge nazionale sul cloud;

    l'Italia ha un enorme ritardo rispetto agli altri Paesi europei e ad altri Paesi avanzati esterni all'Unione europea, disponendo in modo limitato di infrastrutture cloud nazionali dedicate alla raccolta, custodia e trattamento dei dati;

    appaiono a tutt'oggi deboli le politiche pubbliche nazionali di supporto alla creazione di asset nazionali di cloud sin qui adottate dai precedenti Governi;

    le azioni promosse dall'Agenzia per l'Italia digitale in ambito di sviluppo del cloud non hanno risposto alle originarie aspettative, dal momento che hanno tradito gli stessi obiettivi previsti dal primo piano triennale 2017-2019 della stessa Agenzia per l'Italia digitale e, in particolare, non sono riuscite a rendere operativi i poli strategici nazionali ideati per soddisfare la domanda pubblica di cloud da parte di strutture centrali e periferiche della pubblica amministrazione, purtroppo invece oggi obbligate, in conseguenza di tale grave manchevolezza, a rivolgersi necessariamente ai grandi player privati multinazionali che operano sul mercato;

    lo sviluppo di società italiane nel settore del cloud non è solo un fattore di sovranità e tutela dei dati, ma stimola e sostiene la crescita e la diffusione di competenze digitali nel Paese;

    i dati dei cittadini italiani, raccolti e custoditi da pubbliche amministrazioni centrali e locali, a differenza dei dati dei consumatori, devono poter essere affidati a strutture pubbliche e, in caso di insufficienza di queste, a strutture private di nazionalità italiana e con database su territorio italiano;

    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (...)» e, alla lettera r) del secondo comma, specifica che lo Stato ha legislazione esclusiva sul «(...) coordinamento informativo e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale (...)»;

    l'articolo 117, secondo comma, lettera r), indica il contesto per la realizzazione di un cloud nelle mani dello Stato che tuteli e protegga i dati prodotti dai cittadini, ma che li usi in modo intelligente come supporto alle decisioni assunte nell'interesse pubblico, con l'obiettivo di migliorare la qualità dei servizi e di istituirne di nuovi;

    per adottare tutte le misure, le procedure e le metodologie di uso dei dati come supporto intelligente all'assunzione di decisioni sui servizi destinati ai cittadini, che possono pertanto essere di maggior qualità e di minor costo, occorrono organismi centrali competenti e lungimiranti, attenti alle evoluzioni delle tecnologie e rispettosi delle prerogative di tutela e protezione dei dati personali;

    con l'avvio dei nuovi servizi di 5G e in seguito di 6G, al cloud si affiancherà sempre più l'edge computing, che sarà necessario sviluppare in modo decentrato e dislocato territorialmente in linea con l'architettura di rete del 5G e 6G;

    devono essere adottate con tempestività tutte le misure normative necessarie per assicurare una inversione di tendenza;

    nell'ultima Relazione annuale presentata al Parlamento, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza ha rilevato come l'anno della pandemia da COVID-19 sia stato caratterizzato da una minaccia cibernetica sempre più crescente e sofisticata;

    in merito, il Rapporto Clusit sulla sicurezza Ict in Italia e nel mondo ha rilevato come il 2020 abbia registrato il record negativo degli attacchi informatici: a livello globale: sono stati infatti 1.871 gli attacchi gravi di dominio pubblico rilevati nel corso del 2020, ovvero con un impatto sistemico in ogni aspetto della società, della politica, dell'economia e della geopolitica;

    i dati evidenziano, quindi, un'intensificazione degli attacchi sia in termini qualitativi che quantitativi, complice il contesto della pandemia che ha spinto organizzazioni e professionisti a un rapido ricorso alla digitalizzazione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per istituire un organismo di vigilanza, controllo e gestione delle politiche pubbliche sul cloud e sulla custodia, tutela e protezione dei dati personali raccolti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali;

2) ad adottare iniziative volte a porre tale organismo in condizione di operare e cooperare in sintonia con il Garante per la protezione dei dati personali e con le università italiane che svolgono attività di ricerca in ambito di raccolta e trattamento dei dati in ambito tecnologico e giuridico;

3) a qualificare, nel più breve tempo possibile, la lista dei poli strategici nazionali, da affiancare a Sogei, impartendo precise direttive all'Agenzia per l'Italia digitale, al fine di recuperare le manchevolezze dell'Agenzia sin qui registrate;

4) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a valorizzare le strutture pubbliche di cloud oggi gestite dalle locali società in-house pubbliche di molte regioni italiane, perché hanno grandi competenze e perché rappresentano l'interlocuzione naturale per le strutture di pubblica amministrazione che cercano fornitori di cloud nella stessa regione;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a far sì che le aziende private italiane fornitrici di cloud e oggi qualificate come cloud service provider dalle direttive dell'Agenzia per l'Italia digitale operino nelle loro regioni come riferimenti privilegiati di offerta cloud per le strutture di pubblica amministrazione territoriale, affiancando i poli strategici nazionali;

6) nell'ottica di evitare la concentrazione dell'intero patrimonio informativo pubblico in un'unica infrastruttura, con i conseguenti rischi in termini di sicurezza dei dati e dell'infrastruttura stessa, ad assicurare che i dati oggetto di migrazione verso l'infrastruttura unica siano esclusivamente quelli che vengono classificati come critici e strategici, predisponendo a tal fine un'adeguata politica di catalogazione delle informazioni, che consenta di effettuare valutazioni di impatto, di introdurre un'adeguata etichettatura dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, di operare decisioni sulla dislocazione dei dati sul territorio nazionale e di predisporre un monitoraggio continuo dei dati delle pubbliche amministrazioni;

7) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a tutelare la sovranità digitale e la sicurezza cibernetica, anche attraverso l'istituzione di un'apposita Agenzia, e a migliorare la qualità dell'architettura di sicurezza della nazione, nonché a costituire un'Agenzia per la competitività, al fine di garantire la sicurezza nazionale e incentivare la promozione di tecnologia nazionale, che possa sostenere l'industria nazionale nei processi di produzione di tecnologia avanzata, evitando la dipendenza tecnologica da nazioni ostili;

8) ad adottare tutte le iniziative di competenza nelle sedi europee affinché sia dato seguito agli intendimenti di cui alla dichiarazione congiunta «Building the next generation cloud for businesses and the public sector in the EU», firmata il 15 ottobre 2020 dal Governo italiano e dai Governi di altri 26 Stati europei, assicurando che il progetto per la creazione di un cloud federato europeo (Gaia-X) non sia vanificato attraverso il coinvolgimento di soggetti extra-europei, quali Huawei e Alibaba.
(1-00466) (Nuova formulazione) «Lollobrigida, Meloni, Butti, Mollicone, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, De Toma, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(19 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Agenzia per l'Italia digitale definisce il cloud come «un modello di infrastrutture informatiche che consente di disporre, tramite internet, di un insieme di risorse di calcolo (ad esempio reti, server, storage, applicazioni e servizi) che possono essere rapidamente erogate come un servizio. Questo modello consente di semplificare drasticamente la gestione dei sistemi informativi, trasformando le infrastrutture fisiche in servizi virtuali fruibili in base al consumo di risorse»;

    in Italia i servizi cloud si sono diffusi in tempi abbastanza recenti. La diffusione, all'inizio, è stata condizionata da vari fattori, quali, ad esempio, la dimensione delle aziende e le loro caratteristiche di crescita, la necessità o meno di disporre di dati distribuiti sul territorio, nonché la disponibilità di capacità informatiche interne. Il mercato è però ora in forte crescita, in parte anche in virtù della formidabile spinta venuta, nel 2020, dalla situazione di emergenza scaturita dalla pandemia da COVID-19, che ha richiesto ad aziende e collettività di riorganizzare in modalità «agile» attività e processi. Alla fine del 2020, il 59 per cento delle imprese italiane faceva uso di servizi di cloud computing;

    secondo le stime dell'osservatorio cloud del Politecnico di Milano, nel 2020 il mercato cloud italiano ha raggiunto i 3,34 miliardi di euro, in crescita del 21 per cento rispetto al consuntivo del 2019, pari a 2,77 miliardi di euro. In termini di spesa assoluta i primi tre settori merceologici per rilevanza sono il manifatturiero (24 per cento), il settore bancario (21 per cento) ed il telco/media (15 per cento);

    secondo dati del Ministero per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, il 60 per cento del mercato italiano del cloud è fornito da operatori non europei;

    attualmente, il mercato mondiale dei principali fornitori di infrastrutture cloud è dominato da cinque gruppi societari, quattro dei quali (Amazon, Microsoft, Google, Ibm) hanno la sede principale negli Stati Uniti, il quinto, Alibaba, in Cina;

    la spesa aziendale per le infrastrutture cloud sta crescendo rapidamente e gli esperti si attendono che supererà quella per le infrastrutture di information technology tradizionali entro il 2022;

    il potenziamento del cloud computing occupa quindi il ruolo di tematica strategica per l'immediato futuro. L'obiettivo è quello di realizzare un affrancamento dalle soluzioni che oggi poggiano quasi integralmente su infrastrutture messe a disposizione da fornitori internazionali;

    in un'epoca di costante dematerializzazione dei beni e dei servizi, i dati rivestono un valore fondamentale per individui ed imprese, un valore che può essere economico o semplicemente intrinseco, sia che siano personali o non personali (ad esempio: quelli aziendali);

    affidare questi dati ad un cloud provider significa affidare il proprio universo, sia personale che professionale, ad un soggetto terzo;

    occorre anche considerare la nazionalità del cloud provider, poiché questa può comportare la giurisdizione di Paesi terzi e non europei che possono ritenersi autorizzati ad intervenire sulle proprie aziende, anche con riferimento a dati di cittadini europei da esse custoditi in server localizzati in Europa; pertanto, la collocazione fisica dei server non attenua le cogenze derivanti dalla nazionalità del cloud provider. La fattispecie maggiormente diffusa, quella cioè del cloud provider di nazionalità statunitense, richiede di valutare l'applicabilità della legislazione americana e, in particolare, il cosiddetto «Cloud Act», che può variare a seconda degli accordi assunti con i vari Stati europei. Con altre nazionalità e con Paesi la cui normativa appare molto distante da quella europea, ad esempio la Cina, come altri Paesi dell'Asia, il caso appare ancora più complesso e delicato, per cui la raggiungibilità dei dati affidati in cloud deve essere attentamente valutata;

    la preliminare valutazione della normativa e della giurisdizione applicabili costituisce dunque un passaggio necessario ed irrinunciabile, accanto alle considerazioni economiche e tecnologiche. Le incertezze e i rischi risultanti da tale valutazione possono peraltro essere compensati dalla predisposizione di modelli contrattuali e politiche che disciplinino in anticipo ed in dettaglio il comportamento che il cloud provider deve tenere nel caso di provvedimenti di autorità di Paesi terzi, con riferimento all'accessibilità e alla conservazione dei dati;

    la strategia per la riorganizzazione delle infrastrutture digitali del Dipartimento per la trasformazione digitale, in accordo con la strategia europea, rappresenta il fondamento per razionalizzare le risorse, rendere più moderni i servizi pubblici e mettere in sicurezza i dati;

    la strategia opera una distinzione fondamentale tra: infrastrutture che gestiscono servizi strategici, ovvero un ridotto numero di asset tecnologici (server, connettività, reti e altro) che abilitano funzioni essenziali del Paese, come ad esempio la mobilità, l'energia, le telecomunicazioni; tutte le altre infrastrutture gestite dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali che gestiscono la stragrande maggioranza dei servizi, erogati al cittadino o interni agli enti che permettono il funzionamento di servizi comuni;

    il piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, adottato nell'ambito della «strategia per la crescita digitale del Paese», ha previsto una strategia per l'adozione del cloud computing nella pubblica amministrazione che si articola attraverso tre elementi principali:

     a) il principio cloud first secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono, in via prioritaria, adottare il paradigma cloud (in particolare i servizi SaaS) prima di qualsiasi altra opzione tecnologica tradizionale, normalmente basata su housing o hosting;

     b) il modello cloud della pubblica amministrazione, cioè il modello strategico che si compone di infrastrutture e servizi qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale sulla base di un insieme di requisiti volti a garantire elevati standard di qualità e sicurezza per la pubblica amministrazione. In funzione di questo modello è stata creata un'apposita piattaforma, il Cloud marketplace dell'Agenzia per l'Italia digitale, che consente di visualizzare la scheda di ogni servizio mettendo in evidenza le caratteristiche, il costo e i livelli di servizio dichiarati dal fornitore. Le pubbliche amministrazioni possono così confrontare servizi analoghi e decidere, in base alle loro esigenze, le soluzioni più adatte;

    il programma di abilitazione al cloud (cloud enablement program), vale a dire l'insieme di attività, risorse, metodologie da mettere in campo per rendere le pubbliche amministrazioni capaci di migrare e mantenere in efficienza i propri servizi informatici (infrastrutture e applicazioni) all'interno del modello cloud della pubblica amministrazione;

    a decorrere dal 1° aprile 2019, le amministrazioni pubbliche possono acquisire esclusivamente servizi IaaS, PaaS e SaaS qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale e pubblicati nel catalogo dei servizi cloud per la pubblica amministrazione qualificati;

    grazie al censimento dei centri di elaborazione dati, trentacinque sono stati individuati come eleggibili a poli strategici nazionali; sarebbe quindi sufficiente federarli e convogliare gli investimenti sull'interoperabilità per ottenere i migliori risultati e salvaguardare gli investimenti che i territori hanno fatto sulle proprie società in house;

    è ormai indifferibile la necessità di provvedere alla creazione di una piattaforma nazionale di cloud storaging, nella quale far confluire tutti i dati e le informazioni disponibili e quotidianamente impiegati dalle amministrazioni pubbliche;

    il fine è duplice: da una parte, evitare che le medesime amministrazioni si rivolgano a fornitori privati di servizi di cloud storaging, evitando così il rischio che gli stessi soggetti privati possano detenere ed eventualmente utilizzare per fini diversi una grande mole di dati (sensibili e no) e, dall'altra, garantire la massima interoperabilità tra le amministrazioni pubbliche nell'accesso e nell'impiego dei dati riconducibili ai cittadini italiani per fini espressamente connessi alle loro attività istituzionali,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta all'istituzione di un sistema telematico nazionale ad architettura distribuita per l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati disponibili in remoto a utenti predeterminati e riconoscibili attraverso specifiche caratteristiche, quale una piattaforma basata su più server reali tra loro collegati in cluster, fisicamente collocati presso uno o più data center;

2) ad assumere iniziative di carattere normativo volte ad ampliare le competenze attribuite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni includendovi: il controllo del corretto funzionamento del sistema cloud e la legittima fruizione dei dati archiviati da parte dei soggetti ad essa titolati; la vigilanza sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte delle amministrazioni pubbliche; la segnalazione alle autorità competenti di eventuali illeciti civili, penali o amministrativi commessi dalle amministrazioni pubbliche, dai privati cittadini e dagli enti commerciali e non commerciali nell'accesso e nell'utilizzo del sistema cloud;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa per rafforzare il ruolo dell'Italia sul fronte dell'intelligenza artificiale per quanto riguarda l'offerta formativa delle università italiane e le attività di ricerca, anche in sinergia con attori privati;

4) ad adottare ogni opportuna iniziativa per promuovere attività di formazione, ricerca e sviluppo nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca italiani relativamente a tali tecnologie e a sostenerne le applicazioni rispetto alla produzione industriale e ai servizi civili in imprese consolidate e start up innovative per creare nuovi posti di lavoro per le nuove generazioni.
(1-00467) «Capitanio, Donina, Fogliani, Furgiuele, Giacometti, Maccanti, Rixi, Tombolato, Zanella, Zordan».

(21 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la trasformazione digitale è uno dei driver strategici per lo sviluppo delle moderne economie ed è pertanto essenziale investire nell'evoluzione dei servizi in ottica cloud e di data management;

    per concretizzare l'evoluzione digitale delle attività e dei servizi della pubblica amministrazione italiana è necessario definire un modello operativo di riferimento che assicuri rapidamente l'efficientamento e la messa in sicurezza dei data center della pubblica amministrazione, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio di dati della pubblica amministrazione, la razionalizzazione di costi per lo sviluppo e la manutenzione dei sistemi Ict delle pubbliche amministrazioni;

    secondo il censimento dei data center nazionali curato dall'Agenzia per l'Italia digitale, la stragrande maggioranza dei centri elaborazione dati della pubblica amministrazione non forniscono idonee garanzie di sicurezza, efficienza ed affidabilità;

    l'Italia ha avviato un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, anche alla luce delle recenti modifiche al codice dell'amministrazione digitale operate dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale;

    in particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    nell'ambito della missione 1, componente 1, «Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA», del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 12 gennaio 2021 sono descritti interventi finalizzati a favorire l'adozione e lo sviluppo delle tecnologie cloud nel settore pubblico e, al contempo, a rimuovere gli ostacoli all'utilizzo del cloud da parte della pubblica amministrazione;

    in questo ambito, si prevede lo sviluppo di un cloud nazionale e l'effettiva interoperabilità delle banche dati delle pubbliche amministrazioni, in parallelo e in sinergia con il progetto europeo Gaia-X, dove l'Italia intende avere un ruolo di primo piano. L'investimento mira a favorire l'adozione dei servizi cloud secondo quanto previsto nella strategia cloud first del piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, attraverso lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei data center di tipo B della pubblica amministrazione centrale e il rafforzamento in chiave green dei data center di tipo A candidabili a poli strategici nazionali in base al censimento dell'Agenzia per l'Italia digitale. Si prevede inoltre la realizzazione di un cloud enablement program per favorire l'aggregazione e la migrazione delle pubbliche amministrazioni centrali e locali verso soluzioni cloud e fornire alle stesse pubbliche amministrazioni procedure, metodologie e strumenti di supporto utili a questa transizione;

    come affermato dal Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale nel corso di un'audizione davanti alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, l'obiettivo del Governo è di assicurare che le amministrazioni vengano aiutate a migrare in cloud diversi a seconda del diverso livello di sensibilità dei dati dei quali dispongono e questo implicherà classificare innanzitutto le tipologie di dati in ultrasensibili, sensibili e ordinari, per garantire scelte che tutelino in maniera appropriata cittadini e amministrazioni, come già fatto da molti altri Paesi. In tal senso, per i dati più sensibili si intende creare un polo strategico nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il polo strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati, mentre per le tipologie di dati e applicazioni meno sensibili si prevede la possibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud messi a disposizione da operatori di mercato,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per definire e attuare un modello di infrastrutture digitali di cloud per le pubbliche amministrazioni centrali e locali basato sulla complementarietà, in funzione della tipologia di dati e della loro rilevanza, tra un sistema di fornitori di servizi di mercato qualificati certificati e un polo strategico nazionale a controllo pubblico;

2) ad adoperarsi affinché la gestione del polo strategico nazionale sia affidata a uno o più soggetti pubblici che ne garantiscano la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza e, in tal modo, a favorire l'interoperabilità tra le banche dati delle pubbliche amministrazioni fruitrici dei servizi del suddetto polo strategico nazionale.
(1-00468) «Bruno Bossio, Serracchiani, Gariglio, Cantini, Delrio, Del Basso De Caro, De Luca, Gualtieri, Madia, Morassut, Pizzetti, Andrea Romano».

(21 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    il codice dell'amministrazione digitale (Cad), istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni ha stabilito i principi e le finalità che lo Stato, le regioni, gli enti locali, le società pubbliche e i gestori di servizi pubblici devono perseguire nel percorso di trasformazione digitale della pubblica amministrazione, per assicurare ai cittadini «la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale» (articolo 2);

    a tale scopo è stato istituito un ente ad hoc, l'AgID, che «promuove l'innovazione digitale nel Paese e l'utilizzo delle tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel rapporto tra questa, i cittadini e le imprese» (articolo 14-bis);

    il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione è il documento di indirizzo strategico, redatto da AgID in collaborazione con il dipartimento per la trasformazione digitale, per guidare la transizione digitale del Paese, finalizzata a favorire lo sviluppo di una società digitale attraverso la digitalizzazione della pubblica amministrazione;

    i principi guida del Piano triennale 2020-2022 stabiliscono che il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile; le pubbliche amministrazioni devono realizzare servizi primariamente digitali;

    l'infrastruttura digitale rappresenta un bene strategico per il Paese e necessita di un serio processo di implementazione e rafforzamento nell'ottica di costruire una rete unica, gestita e controllata totalmente dallo Stato;

    attualmente il processo di trasformazione digitale dei servizi della pubblica amministrazione vede ancora l'utilizzo di tecnologie e infrastrutture digitali fornite da operatori terzi, che sono detentori di dati e informazioni di esclusiva proprietà delle pubbliche amministrazioni. È necessario dunque che lo Stato costruisca e gestisca direttamente la propria infrastruttura digitale pubblica, unico modo per eliminare i rischi in termini di sicurezza, affidabilità, autonomia e proprietà dei dati. Al riguardo, il Cad sancisce che «al fine di favorire la digitalizzazione della pubblica amministrazione e garantire il necessario coordinamento sul piano tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica, [...] progettano, realizzano e sviluppano i propri sistemi informatici e servizi digitali» (articolo 13-bis) e prevede «l'adozione di infrastrutture e standard che riducano i costi sostenuti dalle amministrazioni e migliorino i servizi erogati assicurando un adeguato livello di sicurezza informatica» (articolo 14);

    nella transizione digitale della pubblica amministrazione, l'aspetto forse più delicato e complesso è la gestione e condivisione dei dati. In questo contesto, le information communication technology possono svolgere un ruolo importante, snellendo le procedure e aiutando lo scambio di dati. Il problema è cruciale, perché la mancata interconnessione tra le diverse banche dati della pubblica amministrazione rende più lento e farraginoso l'iter burocratico delle pratiche amministrative, senza considerare il costo economico delle inefficienze e i disagi per i cittadini che devono presentare più volte documenti già consegnati ad una pubblica amministrazione;

    il Cad parla di database «di interesse nazionale» (articolo 60), cioè «l'insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza è rilevante per lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle altre pubbliche amministrazioni», che deve possedere «le caratteristiche minime di sicurezza, accessibilità e interoperabilità»;

    l'obiettivo del Piano triennale 2020-2022 è favorire la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le pubbliche amministrazioni e il riutilizzo da parte di cittadini e imprese, aumentare la qualità dei dati e dei metadati e aumentare la consapevolezza sulle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e su una moderna economia dei dati;

    l'importanza strategica del patrimonio informativo pubblico era già stata ribadita nell'articolo 50-quater, che ne prevede la promozione e la valorizzazione, sempre nell'ottica della disponibilità e accessibilità ma anche della massima protezione e sicurezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni (articolo 51);

    per accelerare questo processo, è fondamentale avere un sistema di infrastrutture cloud computing al fine di una raccolta, elaborazione e gestione centralizzata dei dati e di una efficiente trasmissione e fruizione dei dati. Soltanto un sistema di infrastrutture cloud pubblico, a gestione totalmente pubblica e con personale qualificato, può emancipare il Paese dalla dipendenza nei confronti degli operatori di mercato e garantire la sicurezza e tutela dei dati personali dei cittadini, come previsto dal regolamento (UE) 679/2016 per la protezione dei dati;

    i principi guida del Piano triennale 2020-2022 stabiliscono che le pubbliche amministrazioni adottano primariamente il paradigma cloud per i loro servizi (cloud first) e devono prediligere l'utilizzo di software con codice sorgente aperto; nel caso di software sviluppato per loro conto, deve essere reso disponibile il codice sorgente (open source);

    un altro aspetto cruciale è la competenza digitale del personale della pubblica amministrazione. Per il colmare il gap digitale, l'articolo 13 del Cad prevede la formazione informatica dei dipendenti pubblici, stabilendo che le pubbliche amministrazioni attuino «politiche di reclutamento e formazione del personale finalizzate alla conoscenza e all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione [...] per la transizione alla modalità operativa digitale»;

    il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha apportato modifiche al Cad, stabilendo la realizzazione di un cloud pubblico nazionale. Nello specifico il Titolo III reca misure per il sostegno e la diffusione dell'amministrazione digitale: l'articolo 31 prevede di «semplificare e favorire l'offerta dei servizi in rete della pubblica amministrazione, il lavoro agile e l'uso delle tecnologie digitali»; l'articolo 34 prevede la realizzare della piattaforma digitale nazionale dati (Pdnd) per rendere possibile «l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici»; l'articolo 35 prevede che «al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni [...] garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali», il Governo promuove «lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED)»,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi per lo sviluppo di un cloud completamente pubblico, che preveda la proprietà degli impianti e la gestione degli stessi in mano a soggetti pubblici o a totale partecipazione pubblica;

2) a promuovere la massima fruibilità e condivisione del dato tra le varie pubbliche amministrazioni nell'ottica di erogare i migliori servizi al cittadino, sempre nel rispetto della trasparenza e della privacy e sulla base del principio di accessibilità e semplificazione burocratica;

3) ad investire nella formazione del personale delle pubbliche amministrazioni e ad assumere personale con competenze specifiche in ambito digitale.
(1-00479) «Giuliodori, Colletti, Massimo Enrico Baroni, Cabras, Corda, Forciniti, Maniero, Paxia, Paolo Nicolò Romano, Sapia, Spessotto, Testamento, Trano, Costanzo».

(4 maggio 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE NORMATIVE A TUTELA DEL PLURALISMO DELLE FONTI DI INFORMAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    Vivendi S.A. è una società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni. In Italia è il primo azionista di Telecom Italia Mobile (TIM) (23,94 per cento), settimo gruppo economico operante in Italia per fatturato, e detiene una partecipazione rilevante in Mediaset (28,8 per cento), principale operatore radiotelevisivo privato italiano;

    l'articolo 43, comma 11, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, stabilisce che «le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi del settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo»;

    la delibera 178/17/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 18 aprile 2017 ha stabilito che la «posizione della società Vivendi S.A., in ragione delle partecipazioni azionarie detenute nella società Telecom Italia S.p.A. e nella società Mediaset S.p.A., integra una violazione del comma 11 dell'articolo 43», imponendo a Vivendi «di rimuovere la posizione accertata (...) entro il termine di 12 mesi»;

    l'11 aprile 2018 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha preso atto che Vivendi, in ottemperanza alla delibera, ha trasferito alla società indipendente Simon Fiduciaria la titolarità di circa il 19,19 per cento delle azioni di Mediaset;

    la sentenza del 3 settembre 2020 C-719/18 della Corte di giustizia dell'Unione europea si è pronunciata su una serie di questioni pregiudiziali sollevate dal Tar del Lazio nell'ambito del giudizio proposto da Vivendi contro la citata delibera 178/17/CONS, dichiarando che l'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che disciplina la libertà di stabilimento nel mercato interno, osta a una normativa nazionale, quale quella sottesa alla citata decisione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

    con la sentenza n. 13958/2020 del 16 dicembre 2020, il Tar del Lazio ha conseguentemente annullato la delibera 178/17/CONS perché basata sull'articolo 43, comma 11, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 – Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Tusmar), ritenuto dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea parzialmente incompatibile con il diritto comunitario;

    con la sua sentenza, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha potenzialmente smantellato l'intero impianto normativo nazionale a tutela del pluralismo informativo, così come concepito dal legislatore italiano e disciplinato dall'articolo 43 del citato Testo unico;

    gli effetti della pronuncia del giudice europeo possono avere impatti sull'intero sistema delle comunicazioni, prestandosi a possibili interventi strumentali da parte dei più importanti operatori, anche internazionali, sia nel settore delle telecomunicazioni, sia in quello dei servizi media audiovisivi, esponendo l'informazione e l'intera economia italiana a possibili scorrerie che potrebbero ricomprendere anche il settore dei giornali disciplinato per la tutela del pluralismo informativo dallo stesso articolo 43 del Testo unico; un'alterazione delle strutture e del funzionamento dei diversi comparti della comunicazione che finirebbe per non essere sottoposta al sistema dei controlli e dei divieti previsti dalla vigente normativa a tutela di valori e di principi fondamentali per il nostro ordinamento;

    la stessa sentenza non ha però escluso la possibilità di una normativa nazionale a tutela del pluralismo a condizione che detta influenza sia determinata in concreto, evidenziando che comunque possono realizzarsi situazioni suscettibili di dar luogo a «un'influenza tale da pregiudicare il pluralismo dei media»;

    a tal fine, in attesa di una riforma organica del Tusmar in sede di recepimento della direttiva (UE 2018/1808) sui servizi media audiovisivi, il legislatore ha approvato l'articolo 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 125 del 7 ottobre 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2020 n. 159, in cui è prevista una norma transitoria della durata di sei mesi in cui è stabilito che «nel caso in cui un soggetto operi contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso, ricadente nel sistema integrato delle comunicazioni (SIC), anche attraverso partecipazioni in grado di determinare un'influenza notevole ai sensi dell'articolo 2359 del Codice Civile, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta ad avviare un'istruttoria, da concludere entro il termine di sei mesi dalla data di avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo, sulla base dei criteri previamente individuati, tenendo conto, fra l'altro, dei ricavi, delle barriere all'ingresso, nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti, adottando eventualmente, i provvedimenti di cui all'articolo 43, comma 5, del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per inibire l'operazione o rimuovere gli effetti»;

    si tratta di un primo intervento normativo urgente – di portata però transitoria e limitata nel tempo a soli sei mesi – volto a ripristinare lo status di certezza giuridica legato alla tutela del pluralismo informativo, assicurato, sino alla pronuncia in esame, dall'articolo 43 del Tusmar, tenendo altresì conto che in Italia vi è costante giurisprudenza costituzionale che ritiene necessario porre limiti a tutela del pluralismo, considerato un valore fondamentale e primario del nostro ordinamento;

    con la delibera 662/20/CONS del 15 dicembre 2020, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in ragione delle partecipazioni azionarie detenute dalla società Vivendi S.A. nella società Telecom Italia S.p.A. e nelle società Mediaset S.p.A., ha avviato un procedimento finalizzato alle verifiche di cui al citato articolo 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 125 del 2020 ipotizzando anche un'eventuale adozione di provvedimenti di cui all'articolo 43, comma 5, del Tusmar. Oltre a tale procedimento l'Autorità ha avviato istruttorie anche per valutare le situazioni relative a Sky Italian Holding (delibera 663/20 del 15 dicembre 2020), Fininvest S.p.A./Mediaset S.p.A. (delibera 107/21/CONS del 31 marzo 2021) e Telecom Italia S.p.A. (delibera 108/21/CONS del 31 marzo 2021). Dette istruttorie risultano essere in corso;

    la norma transitoria prevista dall'articolo 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 125 del 2020 è ormai prossima alla scadenza e, considerata la tempistica per il recepimento della direttiva Avms, (aggiornata dalla direttiva UE 2018/1808 e recepita dalla legge di delegazione europea approvata in via definitiva dal Senato il 21 aprile 2021) non ci sono i tempi per un intervento legislativo in tale ambito. È quindi improcrastinabile un intervento urgente del legislatore, considerato che in un futuro prossimo i principali soggetti regolati (TLC e Media) avranno l'occasione di concorrere per prendere parte a importanti scelte strategiche aventi un sicuro impatto sull'evoluzione tecnologica del Paese (su tutte, l'infrastruttura della rete unica in fibra ottica attualmente in discussione). Senza tralasciare il tema del peso dei grandi Ott multinazionali sui contenuti di informazione con le conseguenti ricadute sul pluralismo dei media anche in termini di colonizzazione culturale e di marginalizzazione della produzione identitaria nazionale ed europea;

    va peraltro considerato che con il recente decreto-legge 23 aprile 2020, n. 23, convertito dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, è stata estesa l'operatività dei poteri speciali del Governo a tutti i settori strategici individuati dall'articolo 4 del regolamento n. 2019/452/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell'Unione europea, ricomprendendovi anche il settore indicato in detto regolamento alla lettera «e) libertà e pluralismo dei media»,

impegna il Governo:

1) ad adottare con urgenza le iniziative legislative necessarie per evitare un vuoto normativo su un principio cardine della democrazia che è quello del pluralismo delle fonti di informazione, costituzionalmente garantito;

2) a considerare in dette iniziative legislative le mutate condizioni di mercato con la presenza sempre più rilevante delle diverse piattaforme multinazionali;

3) a porre in essere tutte le iniziative legislative volte a scongiurare il rischio di colonizzazione culturale straniera e di marginalizzazione della produzione identitaria nazionale;

4) ad accelerare, come da delega al Governo, il riordino del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici attraverso l'emanazione di un nuovo Testo unico dei servizi di media digitali, da adottare, come già previsto, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
(1-00391) (Nuova formulazione) «Meloni, Lollobrigida, Butti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

(20 ottobre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    con l'adozione del trattato di Lisbona, l'Unione europea si è definita come una comunità di valori il cui cardine è costituito dai diritti umani. La libertà di espressione e di informazione è internazionalmente riconosciuta come uno degli elementi chiave nell'architettura dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ne ha formalmente ampliato la portata, includendo la libertà e il pluralismo dei media nel settore della protezione. Nel loro insieme, tutti questi strumenti rafforzano una precisa responsabilità degli Stati membri e della stessa Unione europea che consiste nel proteggere pienamente tale diritto umano fondamentale e, al contempo, nel porre in essere misure positive per promuoverne il progresso in modo proattivo;

    gli Stati hanno l'obbligo di rispettare, proteggere e promuovere il diritto alla libertà di opinione e di espressione. Non a caso, infatti, l'Unione europea considera la libertà di espressione come una priorità anche per i Paesi candidati e potenziali candidati: i criteri di adesione di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo, contemplano infatti la libertà di espressione e il pluralismo dei mezzi di comunicazione nella loro integralità, il che impone a tutti i Paesi che intendono aderire all'Unione l'assunzione dell'impegno a rimuovere tutti gli ostacoli di natura legale, regolamentare o giudiziaria che possano limitarne l'esercizio;

    nella medesima logica rientra la legge di ratifica della «Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società» cosiddetta convenzione di Faro, approvata dal Parlamento il 23 settembre 2020, con l'obiettivo di stabilire il valore del patrimonio culturale per la società europea, riconoscendo la conoscenza e il patrimonio culturale come diritti dell'essere umano;

    la libertà di manifestazione del pensiero è una pietra angolare della democrazia e di uno Stato di diritto, così come affermato dalla Corte costituzionale più volte fin dalle sue prime sentenze. Infatti, così come affermato dalla Consulta, «è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle [...] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com'è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale» (sentenza n. 9 del 1965): quindi, il diritto di cui all'articolo 21 è forse «il diritto più alto dei diritti primari e fondamentali sanciti dalla Costituzione» – parafrasando quanto affermato dalla Consulta (sentenza n. 168 del 1971);

    il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, rubricato «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», reca all'articolo 3 il principio fondamentale secondo cui «Sono princìpi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione, la tutela dei diritti d'autore e di proprietà intellettuale, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà è dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell'armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto dell'Unione europea, dalle norme internazionali vigenti nell'ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali»;

    la libertà di informazione, si esercita concretamente mediante il godimento di una serie di diritti, quali il diritto di informare, quello ad informarsi e infine quello ad essere informati;

    la nozione di pluralismo informativo deve essere valutata anche alla luce di parametri che sono, contemporaneamente, quantitativi e qualitativi, poiché, per garantire in concreto il pluralismo, è necessario dare conoscibilità alle molteplici e diverse opinioni esistenti. Ma non si tratta solo di garantire ai diversi soggetti e alle diverse idee di essere rappresentati, ma anche e soprattutto di assicurare concretamente al cittadino il diritto di essere compiutamente informato, e di poter avere accesso ai mezzi di comunicazione. A, tal proposito, appare fondamentale valutare le ripercussioni che la diffusione delle nuove tecnologie può determinare, in quanto tale diffusione non necessariamente coincide con una maggiore garanzia di pluralismo, considerato che un pluralismo di programmi non corrisponde automaticamente ad un pluralismo effettivo di idee e opinioni;

    il pluralismo, dunque, come diritto dell'utente ancor prima che come diritto dei soggetti da rappresentare;

    le tecnologie digitali hanno senza dubbio fornito nuovi strumenti di democrazia, ampliando quest'ultima in modo rivoluzionario e consentendo ai cittadini di trasformarsi da utenti in produttori di informazioni e contenuti digitali, in linea con le caratteristiche fondative della rete internet stessa. Le tecnologie digitali della comunicazione presentano, al tempo stesso, alcuni rischi direttamente individuabili nelle volontarie strategie di disinformazione e costruzione di fake news insiti nella diffusione virale dei contenuti Internet, nelle difficoltà e di circoscriverli in tempo utile affinché non arrechino danno, minaccia od offesa a singoli o comunità, con particolare riferimento a quelle che già subiscono forme di discriminazione nel mondo fisico e online. D'altra parte, insiste sicuramente anche il rischio di censura che potrebbe essere esercitato dalle piattaforme di social media e dai giganti della tecnologia, nonché da Stati non democratici in grado di esercitare come propria volontà politica un controllo sul circuito dell'informazione digitale e quindi delle libertà individuali;

    il contrasto delle notizie false è stato un obiettivo fortemente ricercato nell'azione politica degli ultimi anni, che spesso ha richiamato alla necessità di promuovere presso i cittadini una maggiore sensibilità e attenzione alla veridicità delle informazioni e alla qualità delle fonti; al tempo stesso, le testate giornalistiche, le piattaforme e i creatori di contenuti digitali sono stati chiamati a misurarsi con un rischio di diffusione di notizie false quanto mai alto, in un percorso di verifica e approfondimento in grado di far emergere la qualità editoriale e che necessita quindi della valorizzazione e del supporto anche da parte del Governo, soprattutto alla luce della fase emergenziale che si sta vivendo;

    le tecnologie digitali, offrendo nuove possibilità di produzione e diffusione dei contenuti, presentano quotidianamente nuovi rischi ed opportunità, e necessitano di particolare attenzione laddove sussistano particolare forme di asimmetria di potere e visibilità, in grado di generare o rafforzare forme di bullismo digitale e di discriminazione di singoli cittadini o di intere comunità;

    a tal fine, occorre ribadire il carattere fondamentale dell'impegno delle istituzioni a garantire un pluralismo delle fonti e degli strumenti dell'informazione, alimentando un dibattito aperto, trasparente e uniformato al principio del contraddittorio;

    il tema del pluralismo, soprattutto in relazione alla proprietà e alla gestione dei media, ha assunto rilevanza crescente nel nostro Paese, rendendo necessarie nuove politiche pubbliche per guidare l'imponente processo di trasformazione in atto. Lo sviluppo della rete, di internet, da molti è considerato, in modo assiomatico, come un ambiente potenzialmente in grado di ampliare gli spazi di pluralismo, senza considerare il rischio inverso di generare posizioni dominanti che finirebbero col penalizzare l'industria editoriale tradizionale, che pure ha sostenuto negli ultimi anni ingenti investimenti per realizzare processi di integrazione multimediale e che, in mancanza di accordi di sistema, vedrà una sempre più marcata riduzione della remunerazione dell'opera creativa a carattere editoriale a causa del trasferimento verso i cosiddetti over the top;

    secondo l'articolo 2 del citato decreto, il Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) comprende, le attività concernenti: la stampa quotidiana e periodica; l'editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; i radio e servizi di media audiovisivi; il cinema; la pubblicità esterna; le iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; le sponsorizzazioni;

    la normativa attualmente in vigore prevede specifiche limitazioni al fine evitare il determinarsi di posizioni dominanti: i soggetti tenuti all'iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione (costituito in base all'articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge n. 249 del 1997) non possono, né direttamente, né attraverso soggetti controllati o collegati, conseguire ricavi superiori al 20 per cento dei ricavi complessivi del Sic, il cui valore viene determinato annualmente dall'Agcom (articolo 43, comma 9, del decreto legislativo n. 177 del 2005);

    inoltre, le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel Sic ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo secondo l'articolo 43, comma 11;

    la legge di delegazione europea (legge 22 aprile 2021, n. 53), all'articolo 3 contiene princìpi e criteri per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/1808, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato;

    nell'esercizio della delega al Governo, uno dei criteri di revisione riguarda il riordino delle disposizioni del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il che prevede l'emanazione di un nuovo testo unico dei servizi di media digitali, con adeguamento delle disposizioni e delle definizioni, comprese quelle relative ai servizi di media audiovisivi, radiofonici e ai servizi di piattaforma per la condivisione di video, alla luce dell'evoluzione tecnologica e di mercato;

    un ulteriore criterio è rappresentato dalla esigenza di «promuovere l'alfabetizzazione digitale da parte dei fornitori di servizi di media e dei fornitori di piattaforme di condivisione dei video», rendendo maggiormente evidente la sempre maggiore influenza esercitata dalle reti che consente la trasmissione di dati e informazioni rispetto al contenuto;

    recentemente, è stato avviato un complesso processo per la liberazione e la successiva riassegnazione delle frequenze radiotelevisive oggi occupate dal digitale terrestre, conseguente all'assegnazione della banda radioelettrica dei 700 Mhz, allo sviluppo delle nuove tecnologie 5G;

    il profondo mutamento in atto delle tecnologie abilitanti alla fruizione di informazioni, le quali assicurano la possibilità di trasmettere una grande quantità di dati con estrema rapidità e bassissima latenza comporterà ulteriori, profondi e rapidissimi mutamenti del ruolo dei media tradizionali. Infatti, le trasformazioni delle modalità di fruizione dei servizi radiotelevisivi e delle telecomunicazioni porterà al rapido incremento dello sviluppo di piattaforme broadcasting on demand. La rivoluzione digitale, ancora in atto, sta facendo convergere i consumatori di informazione verso un nuovo ecosistema tecnologico, che modificherà il rapporto tra i fornitori di contenuti e i fornitori di infrastrutture, fatto di cui i broadcaster sono ben consapevoli;

    già ora i contenuti radiotelevisivi tradizionali sono fruibili non più solo tramite l'etere, essendo possibile ormai in misura considerevole l'utilizzo anche delle reti mobili per accedervi tramite computer, smartphone, tablet e altri device garantendo in modalità multicasting le stesse opportunità garantite dal broadcasting;

    un aspetto rilevante per chi usufruisce di informazioni tramite i broadcaster, in considerazione della progressiva integrazione tra offerta televisiva e reti che veicolano le offerte stesse, è rappresentato dalla notevole differenza di regolamentazione tra operatori globali over the top e broadcaster tradizionali. Nello specifico, gli operatori globali generano, in molti casi, fatturati riferibili al settore dell'informazione radiotelevisiva ben più alti degli editori tradizionali e radicati sul territorio;

    queste imprese producono un impatto diretto nei mercati dell'audiovisivo e competono per conquistare il tempo e l'attenzione degli utenti. È il caso degli aggregatori e dei contenitori di notizie, delle piattaforme di gaming, che garantiscono la fruizione dei contenuti audiovisivi attraverso device proprietari e non interoperabili per la distribuzione di contenuti in modalità streaming, gratuito o a pagamento, e per la produzione di contenuti originali. Seppure, in una fase iniziale, ciò potrebbe favorire un ampliamento del pluralismo informativo, è realistico pensare che nel tempo, potrebbe condurre all'uniformità, a livello globale, dei contenuti, determinando oggettivamente una contrazione del pluralismo stesso;

    se si osserva da vicino la realtà italiana, si nota che la capacità di recepire nel proprio sistema le reti di informazioni globali, pur senza perdere la capacità di garantire eccellenti produzioni nazionali, ha consentito di non disperdere la specifica e tipica cultura popolare che il sistema dei media ha conservato, attualizzandolo. Nel caso in cui non ci si ponesse l'obiettivo di governare con equilibrio i fenomeni in atto a livello normativo nazionale, europeo e sovranazionale, tale rilevante e strategico patrimonio potrebbe andare disperso, con grave danno per il nostro Paese e per quelli che vertono in condizioni simili;

    le imprese globali, anche in considerazione della loro natura, realizzano una disintermediazione nel rapporto con l'utente non solo a fini pubblicitari, ma anche editoriali, producendo riflessi importanti su vari ambiti dalla struttura del mercato pubblicitario, sulla remunerazione della filiera creativa e, nel settore dell'informazione, sul controllo, la veridicità e la riferibilità delle fonti e delle notizie, ponendo il problema assai significativo delle fake news ricordato in esordio;

    da un punto di vista strutturale, tali imprese globali costituiscono soggetti sostanzialmente apolidi, che possono operare al di sopra delle leggi dal punto di vista fiscale e regolamentare: di imposte, copyright, obblighi di trasmissione, investimenti, norme sui minori. In ragione di ciò, l'Unione europea ha emanato norme di regolazione come il Gdpr, il regolamento (Ue) 2016/679, relativo alla protezione dei dati, che rappresenta un importante passo in avanti nell'omogeneizzazione delle condizioni giuridiche di esercizio;

    in relazione a questo specifico profilo, la raccolta dei dati, fatta dalle principali aziende over the top, produce un bacino importante di risorse economiche grazie ai proventi degli investimenti pubblicitari e al possesso di big data. Questi ultimi rappresentano degli asset centrali per lo sviluppo e l'innovazione, che però avviene principalmente a svantaggio delle imprese audiovisive nazionali le quali, essendo oggetto di una dettagliata e minuziosa regolamentazione, si trovano in una situazione di sostanziale svantaggio competitivo, ferma restando l'esigenza di garantire produzione di informazione professionale e contenuti di qualità;

    per quanto riguarda l'utilizzo dei cosiddetti big data per le finalità della propria attività di produzione di contenuti informativi, è noto che ciò fa ricavare valore aggiunto per l'impresa, sia sotto il profilo dell'analisi in tempo reale delle reazioni al prodotto offerto, sia attraverso l'utilizzo degli strumenti dell'analisi avanzata dei dati, che consentono all'azienda stessa di ottenere informazioni economicamente rilevanti in quanto in grado di far emergere le preferenze dei fruitori di contenuti sulle applicazioni. La conoscenza delle preferenze dei fruitori di contenuti informativi, pur se non commercializzabili, fornisce ai produttori di contenuti un notevole vantaggio competitivo: è noto, infatti, che l'accumulazione di sterminate basi di dati è la capacità di analisi e utilizzo degli stessi rappresenti la maggiore forza economica di questi soggetti. Per questi motivi è auspicabile un intervento volto a migliorare la regolamentazione del rapporto intercorrente tra il gestore dell'infrastruttura tecnologica e le piattaforme di supporto;

    gli over the top, inoltre, contando sulla loro natura sovranazionale sia sotto il profilo regolamentare che fiscale e riescono ad operare con risorse relativamente limitate;

    considerando le nuove modalità di comunicazione legate all'uso della rete digitale, è necessario tenere presente le concrete conseguenze derivanti dalla sussistenza di una formale separazione tra coloro che costruiscono le infrastrutture di comunicazione e coloro che forniscono i servizi di connessione rispetto alla definizione dei contenuti offerti e veicolati, sulle problematiche concernenti la diffusione delle fake news attraverso siti di disinformazione. I contenuti offerti e veicolati, infatti, non possono essere sottoposti a nessun controllo editoriale, in quanto non sono assimilabili giuridicamente né agli editori né ai broadcaster, che, in tal modo, non sono giuridicamente tenuti a un controllo preventivo dei contenuti, né ad assicurare una «linea editoriale»;

    non si può ignorare che per attuare la garanzia del pluralismo dell'informazione non solo in modo formale, ma anche sostanziale, prevedendo di sottoporre a criteri omogenei le distinte fonti di informazione, è necessario considerare che, soprattutto le generazioni più giovani, trovano soddisfacimento al proprio bisogno di informazione ricorrendo a fonti non formalmente e strettamente riconducibili al settore dell'informazione, così da rendere superata la distinzione tradizionale tra operatori di questo settore e soggetti che operano in altri settori o che diventano spesso fonti di informazione sulla base dell'auto-proposizione e che tale nuova modalità di fruizione e acquisizione di notizie richiede una nuova e diversa regolamentazione del settore;

    con la legge di bilancio per il 2019 sono state introdotte modifiche al calendario ed alle procedure per la riassegnazione di tali frequenze televisive, nel periodo transitorio che va dal 1° gennaio 2020 al 30 giugno 2022, solo successivamente al quale i nuovi standard trasmissivi diventeranno operativi;

    in relazione a tale trasformazione, sono stati previsti contributi per l'acquisto di TV e decoder per la ricezione di programmi televisivi con i nuovi standard (il cosiddetto bonus TV);

    nel settore delle radio e delle tv locali, con il nuovo Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, disciplinato dalla legge n. 198 del 2016 e dalle relative norme di attuazione, sono in vigore nuovi criteri per l'assegnazione dei contributi;

    l'articolo 195 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 ha istituito, con uno stanziamento iniziale di 50 milioni, il «Fondo emergenze emittenti locali» per l'erogazione di un contributo straordinario in favore delle emittenti radiotelevisive locali che si impegnano a trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale relativi all'emergenza sanitaria all'interno dei propri spazi informativi;

    la legge di bilancio 2019 ha soppresso, dal 2020, le riduzioni tariffarie relative alle spese telefoniche attualmente riconosciute al sistema dell'emittenza televisiva e radiofonica locale, rispetto alle quali la legge n. 198 del 2016 aveva invece prospettato una riforma;

    con riguardo al servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, dal 2021 è stato previsto un nuovo meccanismo di assegnazione delle risorse provenienti dal versamento del canone di abbonamento alla radiotelevisione, in particolare disponendo che alla Rai spettano tutti i relativi introiti, ad eccezione delle somme destinate con legge a specifiche finalità;

    inoltre, dal 2019 è stato definitivamente fissato l'importo dovuto per il canone di abbonamento alle radioaudizioni e dal 2020 è stata innalzata la soglia reddituale prevista ai fini dell'esenzione dal pagamento dello stesso da parte di soggetti di età pari o superiore a 75 anni;

    il 20 maggio 2021, presso la Commissione cultura della Camera, con l'approvazione unanime della risoluzione di maggioranza n. 8-00075, in considerazione dello stato di emergenza sanitaria connessa alla diffusione del COVID-19, e del ruolo essenziale riconosciuto al sistema della stampa, che ha continuato a svolgere una funzione di pubblico interesse, assicurando ai cittadini un servizio informativo professionale che, oltre a concorrere all'efficacia delle misure di contenimento del contagio, ha concretamente garantito l'esercizio dei diritti di libertà di cui all'articolo 21 della Costituzione, sono stati assunti diversi impegni di sostegno al settore;

    la Commissione cultura ha inoltre più volte valorizzato e promosso impegni sul tema dell'educazione all'uso critico dei media, con particolare attenzione a quelli digitali, al fine di costruire una società consapevole e dotata di senso critico, in grado di discernere e decodificare testi e messaggi prodotti dai mass media e dagli utenti. Ciò ha un particolare valore con riferimento ai minori e agli adolescenti, individuati come categoria particolarmente sensibile in quanto impegnata nel fondamentale percorso di crescita e formazione, e bisognosa di interventi dediti e mirati non solamente alla difesa e promozione, ma all'educazione al senso critico e alla conoscenza delle tecniche e delle strategie di comunicazione, al fine di difenderla da attacchi commerciali o politici che rischiano di travolgerli;

    in questo quadro, si ritiene urgente mantenere alta l'attenzione su un settore di prioritaria importanza per la democrazia del Paese,

impegna il Governo:

1) a dare piena attuazione, nel più breve tempo possibile, al riordino del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, per favorire un vero pluralismo d'informazione quale fondamento della democrazia mutuato sul principio del pluralismo delle fonti di informazione, costituzionalmente garantito, contrastando ogni tentativo di omologazione e uniformità culturale;

2) a promuovere attivamente il pluralismo dell'informazione, anche attraverso i media digitali on line, tutelando al tempo stesso i cittadini da usi manipolativi, dalla costruzione e dalla diffusione intenzionale di fake news, e dalla messa in atto di comportamenti discriminatori verso individui e comunità prevedendo altresì specifiche misure per evitare la diffusione di stereotipi di genere offensivi o messaggi sessisti e violenti;

3) a valutare le mutate condizioni di mercato con la presenza sempre più rilevante delle diverse piattaforme multinazionali, valorizzando l'ampia produzione nazionale di qualità con particolare attenzione alla memoria dell'identità culturale e storica italiana, delle sue ricchezze millenarie e specificità, anche con riguardo agli strumenti di informazione professionale online a carattere locale, garantendo il pluralismo dell'informazione non solo in modo formale, ma anche sostanziale, sottoponendo a criteri omogenei le distinte fonti di informazione;

4) ad adottare iniziative per tutelare tanto il lavoro editoriale quanto quello giornalistico, contribuendo alla creazione delle condizioni per combattere il precariato dilagante, semplificare le possibilità contrattuali di categoria, garantendo maggiori diritti, tutelare i giornalisti e le giornaliste maggiormente esposte, combattere il fenomeno delle querele temerarie;

5) ad adottare iniziative di competenza per procedere, il più celermente possibile all'applicazione della legge 28 dicembre 2015, n. 220, «Riforma della RAI e del servizio pubblico radiotelevisivo» e in prospettiva per procedere a una revisione complessiva del sistema di governance, adottando modelli per le modalità di nomina degli organi e di gestione del servizio pubblico e della concessionaria che ne assicurino l'effettiva indipendenza del condizionamento dei partiti politici;

6) a farsi promotore attivo presso le istituzioni dell'Unione europea della discussione della proposta di legge sui servizi digitali (Digital services act – Dsa: proposta di regolamento COM(2020)825 sul mercato unico dei servizi digitali che modifica la direttiva 2000/31/CE), considerando il rapido mutamento globale in atto che vede l'ibridazione dei soggetti produttori di contenuti, fornitori di rete e infrastrutture tecnologiche, tenendo il fine di evitare un oligopolio globale che annulli le differenze, le peculiarità e le specificità esistenti considerato che il ruolo delle infrastrutture non è neutrale ed è presumibile che sarà sempre più in grado di influenzare i contenuti, in tal modo ostacolando potenzialmente il pluralismo dell'informazione;

7) a considerare la convergenza dei settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione come un sistema interconnesso che deve essere disciplinato da un unico ed efficace quadro normativo, anche al fine di tutelare la diversità culturale e linguistica, per assicurare la difesa del pluralismo dei mezzi di informazione e la protezione dei fruitori dei contenuti;

8) ad adottare le iniziative di competenza per garantire lo sviluppo equilibrato di un mercato concorrenziale, individuando la «quota di mercato significativa» alla luce del mutato contesto tecnologico che ha generato realtà di mercato più complesse rispetto al momento storico in cui sono state emanate le norme regolatorie degli stessi, al fine di garantire la concorrenza effettiva e scongiurare casi di influenze significative in grado di distorcere il mercato stesso, lasciando ai singoli Stati il potere di adottare norme specifiche conformi alla situazione nazionale in modo che si preservi il pluralismo, tutelando anche l'istruzione e la cultura specifica di ogni singolo Paese;

9) ad adottare le iniziative di competenza per perseguire l'obiettivo generale della tutela del pluralismo e della libertà di manifestazione del pensiero, all'interno del circuito dei numerosi mezzi di comunicazione oggi utilizzabili, sulla base di quanto disposto dalla legge di delegazione europea 22 aprile 2021, n. 53, e a fronte delle due istruttorie dell'Agcom in applicazione dell'articolo 4-bis del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito dalla legge 27 novembre 2020, n. 159;

10) ad adottare iniziative per prevedere forme di tutela di bambini e bambine, adolescenti e delle fasce a maggiore rischio di povertà educativa attraverso lo sviluppo di una visione critica (critical thinking) e di miglioramento della media literacy attraverso la creazione di percorsi di educazione all'uso critico dei media, senza i quali sono più facilmente preda di fenomeni di disinformazione a discapito dell'ampliamento degli spazi conoscitivi;

11) a favorire, per quanto di competenza, la formazione continua degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo sul presupposto della considerazione del pluralismo come manifestazione di competenze tematiche, espressive, tecniche, deontologiche come auspicabile negli ecosistemi comunicativi digitali;

12) a favorire, anche attraverso la piena attuazione della legge n. 92 del 2019 sull'educazione civica, l'accesso consapevole dei giovani all'informazione, soprattutto a quella mutuata dalle piattaforme «social», contrastando il fenomeno delle fake news;

13) ad adottare iniziative per tutelare e sostenere il comparto dell'editoria in modo tale che l'informazione pluralistica non soggiaccia esclusivamente a logiche di mercato o algoritmiche;

14) ad adottare tutte le iniziative utili, d'intesa con l'Ordine dei giornalisti, a far sì che l'accesso alla professione di giornalista risulti uniformata a stringenti criteri di competenza, autonomia e formazione, proprio in ragione del ruolo fondamentale rivestito dal giornalismo nell'ottica di inveramento del principio democratico.
(1-00486) «Liuzzi, Capitanio, Lattanzio, Casciello, Marco Di Maio, Fornaro, Angiola».

(19 maggio 2021)