TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 205 di Martedì 9 luglio 2019

 
.

INTERROGAZIONI

A)

   GADDA, CARNEVALI e CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come si apprende dagli organi di informazione, in queste settimane, in Sicilia i casi di intossicazione alimentare da tonno rosso sono aumentati in maniera rilevante. Solo nell'ultimo mese sono stati circa 60 i ricoveri tra cui alcuni casi gravi a causa di istamina avente origine da pesce avariato. Così come sono aumentate le denunce al Nucleo anti-sofisticazioni dei carabinieri (NAS) e i relativi sequestri di prodotti ittici conservati male;

   le stesse istituzioni preposte ai controlli, Nas, Capitanerie di porto, ispettori e veterinari delle asl, hanno sequestrato nelle ultime settimane circa 12 tonnellate di tonno rosso illegale per un valore di 200 mila euro;

   si tratta di tonnellate di pesce non tracciato, che viene catturato sforando le quote pesca consentite nei mari italiani. Pesce che viene congelato in ritardo, che non rispetta le norme di conservazione e che viaggia su mezzi non idonei al trasporto di alimenti. Una vera e propria filiera illegale che, in assenza di tracciabilità, pone a rischio la salute dei cittadini, oltre a danneggiare la filiera commerciale legale del tonno rosso;

   si fa presente che, dopo diversi anni, nella XVII legislatura l'Italia è riuscita a vedersi riconosciuto un aumento delle quote di tonno con i decreti ministeriali del 20 aprile 2018 (ripartizione dei contingenti nazionali di cattura del tonno rosso per il triennio 2018/2020) e del 4 maggio 2018 (disposizioni urgenti in materia di cattura bersaglio del tonno rosso con il sistema della circuizione);

   per l'anno 2018 si è a 3.894,13 tonnellate, per l'anno 2019 si passerà 4.308,59 tonnellate e, per l'anno 2020 si arriverà a 4.756,75 tonnellate;

   sono cambiate anche la ripartizione per modalità di pesca:

    a) per l'anno 2018 si prevedono i seguenti dati: circuizione 2.886,33 tonnellate; palangaro 527,46 tonnellate; tonnara fissa 328,35 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 18,61 tonnellate; quota non divisa 133,37 tonnellate;

    b) per l'anno 2019 si prevedono: circuizione 3.205,03 tonnellate; palangaro 585,28 tonnellate; tonnara fissa 364,42 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 20,34 tonnellate; quota non divisa 133,52 tonnellate;

    c) per l'anno 2020 si prevedono: circuizione 3.541,45 tonnellate; palangaro 646,68 tonnellate; tonnara fissa 402,66 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 21,60 tonnellate; quota non divisa 144,37 tonnellate;

   l'aumento delle quote è stato di oltre il 50 per cento;

   in questo quadro continua la pesca di frodo del tonno rosso, con tutti i rischi che ne conseguono a partire da quelli per la salute dei consumatori –:

   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare al fine di contrastare la pesca illegale di tonno rosso e attivarsi per un sistema di controlli più efficace a tutela della salute dei cittadini.
(3-00854)

(8 luglio 2019)
(ex 5-00062 del 27 giugno 2018)

B)

   DEIDDA e FRASSINETTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con decreto legislativo n. 95 del 2017 è stata disposta, per il personale militare, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco interessato, la defiscalizzazione dei redditi di importo pari o inferiore a 28.000 euro;

   tale misura è stata introdotta al fine di evitare che l'aumento dei parametri conseguenti al riordino delle carriere, in combinato disposto con la norma contrattuale, determinando maggiori entrate, danneggiasse appunto i redditi più bassi;

   l'introduzione della citata norma ha rappresentato un segnale importante verso i più giovani o comunque verso coloro che ricoprono per lo più i gradi iniziali delle rispettive carriere;

   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 12 aprile 2019, con visto della Corte dei conti del 22 maggio 2019, è stata individuata la misura dell'indennità, sulla base delle coperture finanziare espressamente previste dal citato decreto legislativo n. 95;

   allo stato, appare inammissibile il mancato pagamento, a distanza di due anni dall'approvazione delle norma, delle relative indennità e ciò accade nonostante siano stati assunti tutti i provvedimenti necessari;

   recentemente dalla stampa si è appreso che le somme per il 2018 sarebbero state diversamente impegnate dal Ministero dell'economia e delle finanze, non essendo state spese nell'arco dell'annualità 2018;

   anche al fine di smentire le suindicate notizie, appare necessario procedere con l'effettiva corresponsione dell'indennità in questione –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di consentire il pagamento dell'indennità relativa al 2018 entro le mensilità di luglio/agosto 2019.
(3-00831)

(28 giugno 2019)

C)

   ASCARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   Seta spa (Società emiliana trasporti autofiloviari) gestore unico del trasporto pubblico locale su gomma in provincia di Modena, Reggio Emilia e Piacenza, con partecipazioni detenute dagli enti locali di Modena, Reggio Emilia e Piacenza, e, per parte privata, da Herm-Holding Emilia Romagna Mobilità s.r.l. e da Tper s.p.a. a loro volta controllate da enti territoriali;

   Seta spa annualmente trasporta circa 62,6 milioni di passeggeri, a fronte di 877 mezzi marcianti e un organico di 1.063 dipendenti, per un valore della produzione di 109 milioni di euro;

   recentemente sono avvenuti scioperi per le condizioni di lavoro a cui sono costretti gli autisti che, già sottoposti a condizioni di servizio e responsabilità particolari, dovute alla posizione ricoperta e al contatto con il pubblico che li espone anche a rischi per la propria incolumità e quella dei passeggeri, sarebbero costretti a nastri lavorativi fino a 13,5 ore;

   negli ultimi mesi, alcuni mezzi sono andati in avaria, mettendo a repentaglio l'incolumità dei passeggeri, degli autisti, nonché dei passanti che si trovavano nelle vicinanze dei mezzi;

   le avarie spesso sono state imputate alla vetustà dei mezzi e alla connessa mancata manutenzione straordinaria e ordinaria, anche per mancanza di operatori, tuttavia, non si potrebbero escludere anche altre cause diverse dalle condizioni dei mezzi;

   Seta spa acquisterebbe prevalentemente mezzi usati con anche un milione di chilometri;

   secondo quanto denunciato in un'interpellanza del Movimento 5 Stelle in consiglio regionale dell'Emilia-Romagna, sarebbero diverse le criticità riguardanti la Seta spa la quale, tra l'altro, negherebbe il confronto con i lavoratori ed i loro rappresentanti sindacali e, inoltre, non prenderebbe nessuna misura per diminuire i disservizi ed i disagi per gli utenti;

   nel 2018 l'ispettorato territoriale del lavoro di Modena ha inviato alle rappresentanze sindacali gli esiti degli accertamenti compiuti su Seta spa, comunicando l'accertamento di «violazioni alla normativa sullo straordinario, sul riposo settimanale e sulle ore di guida continuative»;

   secondo quanto denunciato dai sindacati, ai lavoratori verrebbero assegnati straordinari con un preavviso inferiore alle 24 ore in maniera sistematica, senza consenso tra le parti, anche al di fuori di casi imprevisti ed eccezionali e i casi di forza maggiore e di imminente pericolo; i lavoratori che contestano tale situazione, sarebbero minacciati dai diretti superiori gerarchici, con la possibilità di provvedimenti disciplinari;

   questa pratica potrebbe essere in contrasto con l'articolo 2087 del codice civile e con la giurisprudenza di merito (si veda la sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 21 maggio 2008);

   si rileva infine che persiste una situazione di mancata armonizzazione contrattuale fra i tre bacini serviti da Seta con quelle che all'interrogante appaiono evidenti discriminazioni salariali –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, al fine di verificare le condizioni di lavoro del personale rispetto alla legge e ai contratti collettivi nazionali di lavoro, incluse le modalità di turnazione degli autisti, sanzionando i responsabili di eventuali comportamenti illeciti;

   di quali informazioni disponga il Governo circa l'eventualità che l'avaria dei mezzi di Seta spa sia dovuta a cause diverse dalla condizione dei mezzi e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di contrastare tale eventualità.
(3-00790)

(13 giugno 2019)

D)

   ASCARI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   Alcar Uno s.p.a. è una società con sede a Castelnuovo Rangone (Modena), appartenente al gruppo Levoni, specializzata nella macellazione e lavorazione delle carni suine e importante fornitore delle maggiori imprese dell'industria di trasformazione delle carni e di salumifici;

   Alcar Uno ha fatturato, nel 2017, 311 milioni di euro, mentre tutto il gruppo Levoni vanta un volume d'affari di oltre 650 milioni di euro e, tra le aziende controllate, ci sono altre imprese della macellazione delle carni e salumifici, fra cui Globalcarni di Spilamberto (Modena);

   Alcar Uno e Globalcarni, controllate dal gruppo Levoni, risulterebbero destinatarie di un importante investimento di quasi 22 milioni di euro, secondo quanto inserito nell'accordo raggiunto dal Ministero dello sviluppo economico, di cui 7,6 milioni da contributi pubblici, su cui la regione Emilia Romagna è chiamata a dare un contributo di poco più di 1 milione di euro;

   dal comunicato della regione Emilia Romagna del 5 febbraio 2018 si apprende che il contributo pubblico sarà «erogato solo alla preventiva verifica della corretta applicazione dei contratti sia per quanto riguarda il personale diretto che per il personale indiretto»;

   secondo quanto dichiarato in un comunicato del febbraio 2018 dalla Flai Cgil, nelle aziende controllate dal gruppo Levoni sarebbe presente «un sistema di organizzazione del lavoro che vede la presenza di discutibili appalti di manodopera. In particolare, presso l'Alcar Uno di Castelnuovo Rangone, opera, con circa 60 soci-lavoratori, la falsa cooperativa di manodopera “Planet” che fa parte del Consorzio di false cooperative “Job Service” [...]. La falsa cooperativa Planet ha già accumulato un indebitamento di 1,7 milioni di euro (dati al 31 dicembre 2016), composto principalmente da debiti verso lo Stato che, come prevede il meccanismo più volte denunciato dalla Flai, non saranno per nulla saldati, ma che costituiscono di fatto l'abbattimento del costo dell'appalto verso Alcar Uno»;

   secondo Flai Cgil dell'Emilia Romagna, anche nei siti produttivi dell'Alcar Uno e Globalcarni, operano imprese appaltatrici con oltre 400 lavoratori, inquadrati in contratti di lavoro non coerenti con le attività lavorative, ma con costi del lavoro abbondantemente al di sotto dei minimi contrattuali e dalle tariffe di legge per le attività di facchinaggio;

   anche il sindacato Si Cobas ha confermato, con le sue azioni sindacali e le sue denunce pubbliche, quanto sopra descritto;

   entrambe le organizzazioni sindacali denuncerebbero che, all'interno delle aziende controllate dalla famiglia Levoni, sarebbero presenti false cooperative e società di comodo che, attraverso discutibili appalti di manodopera e repentini avvicendamenti, oltre a sfruttare e sottopagare manodopera, approfitterebbero della più favorevole normativa in materia fiscale e previdenziale, oltre a non versare quanto dovuto allo Stato in termini di Iva, Irap, Irpef e contributi previdenziali, generando in questo modo una chiarissima concorrenza sleale fra le aziende del settore –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga necessario valutare se sussistono ancora i presupposti per proseguire il suddetto accordo, a fronte di potenziali irregolarità nella gestione dei lavoratori che operano all'interno del gruppo Levoni;

   quali iniziative, anche promuovendo ispezioni dell'Ispettorato nazionale del lavoro, il Governo intenda intraprendere al fine di verificare la regolarità degli appalti di lavoro all'interno del gruppo Levoni e delle condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori.
(3-00490)

(31 gennaio 2019)

E)

   DONZELLI e FOTI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° ottobre 2018 ha preso avvio il nuovo censimento permanente della popolazione e delle abitazioni. Per la prima volta l'Istat effettua la rilevazione censuaria con cadenza annuale e non più decennale. Ogni anno le famiglie chiamate a partecipare a campione a questa indagine statistica saranno circa un milione e quattrocentomila. Tra le novità più importanti del nuovo disegno censuario c'è l'abbandono dei questionari cartacei. La rilevazione viene infatti effettuata in parte sul web e in parte da un rilevatore porta a porta, munito di tablet;

   dopo un mese dall'inizio di questo nuovo schema operativo si segnalano però non poche criticità;

   il non corretto funzionamento del sistema informatico ha costretto molti rilevatori a stampare dei questionari cartacei e poi a riportare i dati on-line, con conseguente aggravio di tempi;

   gli stessi cittadini conseguentemente hanno visto dilatarsi il lasso di tempo da dedicare alla compilazione del questionario –:

   se corrisponda al vero che alcuni rilevatori avrebbero abbandonato l'incarico per le difficili condizioni di lavoro e, in caso affermativo, di quanti si tratta;

   in caso affermativo, quanti e quali comuni abbiano dichiarato la sospensione dell'attività;

   quali iniziative di competenza abbia intenzione di fare per superare malfunzionamenti e permettere il censimento permanente.
(3-00307)

(7 novembre 2018)

F)

   MURELLI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CAPARVI, LEGNAIOLI, EVA LORENZONI e MOSCHIONI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da gennaio 2019 gli infermieri, al pari di altri ben 300 mila dipendenti pubblici, consultando il cedolino, vedranno uno stipendio inferiore all'anno in corso;

   la busta paga più leggera è il frutto del contratto collettivo nazionale 2016-2018, firmato a seguito dell'accordo Governo-sindacati del 2016 che riconobbe gli 85 euro quale bonus temporaneo, «elemento perequativo» che a gennaio 2019 scadrà;

   ciò per gli infermieri, ad esempio, significa perdere il 21,7 per cento circa dell'aumento, equivalente ad una busta paga ridotta di 20 euro mensili;

   il meccanismo perequativo dell'aumento fa sì che a perdere maggiormente siano coloro che guadagnano meno;

   per rifinanziare tali importi si stima un costo di circa 500 milioni di euro per tutto il settore pubblico, sanità ed enti territoriali inclusi;

   al di là della necessità di reperire le dovute risorse, vi è poi anche l'ostacolo del rinnovo contrattuale, considerato che l'elemento perequativo è stato previsto – appunto – dai contratti collettivi nazionali e, pertanto, sarebbe necessario sottoscriverne ulteriori a prescindere dai rinnovi veri e propri di ciascun comparto –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se ed in che termini intenda porre rimedio a quella che agli interroganti appare come una stortura operata dal Governo pro tempore Renzi.
(3-00855)

(8 luglio 2019)
(ex 5-00477 del 18 settembre 2018)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO
DEL COMPARTO CEREALICOLO

   La Camera,

   premesso che:

    ancorché l'agroalimentare rappresenti un settore di estrema rilevanza per l'economia nazionale, come continuamente confermato dai dati positivi delle esportazioni, alcuni comparti, in particolare quello cerealicolo, mostrano difficoltà che rischiano di compromettere l'effettiva operatività di moltissime aziende, sia della produzione che della trasformazione;

    tra le criticità strutturali, specie con riferimento al grano duro, si segnalano senza dubbio l'obsolescenza del sistema degli impianti di stoccaggio, un'eccessiva polverizzazione dell'offerta, con moltissime aziende di piccole dimensioni e la necessità di migliorare la qualità tecnologica del grano duro sia in termini di valore molitorio, ovvero di resa in semola, sia di valore pastificante, ovvero di proprietà della pasta, anche in considerazione di un processo industriale che richiede un elevato tenore di proteine della materia prima;

    le suddette criticità, unitamente ad un'estrema variabilità delle condizioni di mercato sul mercato internazionale e le sfavorevoli condizioni climatiche che hanno interessato la penisola italiana, imponendo l'aumento delle importazioni, evidenziano la gravità della situazione in cui versano le imprese agricole nazionali, con intere aree votate alla produzione di grano diventate a scarsa redditività, con riflessi negativi sull'intera filiera della pasta nella quale, come noto, si riversa la quasi totalità della produzione di grano duro;

    il comparto cerealicolo opera, inoltre, in un contesto globale altamente specializzato e competitivo, la cui forte volatilità dei prezzi spesso non risulta strettamente correlata alla sola legge della domanda e dell'offerta, ma anche alle speculazioni finanziarie, all'andamento del costo del petrolio, alle oscillazioni delle valute, tutti elementi che causano distorsioni nella filiera e che danneggiano in modo significativo i produttori esposti, più degli altri anelli della catena, a repentine perdite di reddito;

    nel 1967 in Italia si producevano 1,4 milioni di tonnellate di pasta, quasi tutta destinata al consumo del mercato interno; oggi la produzione è più che raddoppiata, con 3,4 milioni di tonnellate circa, e per la metà è destinata all'esportazione: con ciò che ne consegue in termini di redditi e livelli occupazionali;

    è, pertanto, indispensabile intervenire con urgenza per predisporre misure adeguate a sostegno del comparto cerealicolo nazionale, attraverso interventi volti a tutelare il reddito dei produttori e a migliorare la qualità tecnologica del prodotto, specie del grano duro, anche al fine di soddisfare le esigenze dell'industria di trasformazione, i cui prodotti si collocano ai primi posti tra gli alimenti di eccellenza presenti nei mercati internazionali;

    l'attività di controllo è fondamentale per la tutela del made in Italy e per la certezza della qualità di ciò che arriva sulle nostre tavole e perché sia efficace è primario salvaguardare la nostra agricoltura,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere, con urgenza, ogni utile iniziativa volta a rimuovere le criticità che caratterizzano il comparto della cerealicoltura nazionale, anche alla luce di dinamiche internazionali di mercato spesso sfavorevoli che, incidendo negativamente sui fattori di debolezza strutturale, peggiorano le condizioni economiche ed occupazionali delle aziende cerealicole;

2) ad attivare gli interventi previsti dal Piano cerealicolo nazionale, nonché a mettere a punto una sua revisione alla luce delle mutate condizioni di mercato, dotandolo di adeguate risorse finanziarie;

3) a sostenere e incentivare lo strumento dei contratti di filiera, al fine di tutelare il reddito dei produttori e di promuovere una più equilibrata distribuzione della produzione sul territorio nazionale;

4) ad adottare iniziative per rafforzare la tutela e la protezione delle produzioni nazionali di grano duro di qualità, che costituiscono alcune delle più note eccellenze del made in Italy a livello globale;

5) ad incentivare il ricorso alla contrattazione tra le imprese e la premialità delle produzioni sulla base della qualità ottenuta, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro composto da rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative, al fine di individuare percorsi condivisi volti a favorire tutte quelle soluzioni idonee a migliorare l'equilibrio di mercato e la trasparenza nella rilevazione e nella formazione di prezzi;

6) a fronteggiare l'inadeguatezza del sistema produttivo nazionale del grano duro attraverso il sostegno alla ricerca scientifica finalizzata al miglioramento della qualità nella fase della coltivazione, nonché alla realizzazione di impianti idonei a consentire uno stoccaggio corretto e differenziato in funzione della qualità della materia prima;

7) a valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre misure di agevolazione fiscale, anche per un periodo transitorio, vista la situazione emergenziale determinatasi, volte a consentire alle aziende cerealicole di recuperare quei margini di redditività minimi che ne giustifichino la continuità operativa;

8) a valutare l'opportunità di porre in essere iniziative volte a sostenere la promozione dei controlli di qualità del sistema del made in Italy che contempli più efficaci controlli sulla provenienza del grano da Paesi terzi, anche nell'ottica di una maggiore tutela del consumatore finale e al fine di tutelare la filiera produttiva italiana e garantire alti standard di qualità;

9) ad assumere iniziative affinché non sia messo a rischio un prodotto simbolo del made in Italy a causa del ribasso dei prezzi del grano e dell'invasione dei prodotti stranieri a volte anche di scarsa qualità e privi di controllo, al fine di garantire reddito agli operatori del settore cerealicolo.
(1-00213) (Nuova formulazione) «Cillis, Viviani, L'Abbate, Parentela, Cadeddu, Lombardo, Del Sesto, Bella, Cassese, Cimino, Gagnarli, Gallinella, Maglione, Alberto Manca, Marzana, Pignatone, Bubisutti, Coin, Gastaldi, Golinelli, Liuni, Lo Monte, Lolini, Loss».

(26 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è il primo produttore in Europa di grano duro, con oltre 200 mila imprese agricole coinvolte. Eppure molti agricoltori, schiacciati dall'andamento dei prezzi della materia prima, non considerano più conveniente investire nella semina di questo cereale. In alcuni areali (Lazio, Toscana e Sicilia e Basilicata) si regista una perdita di superfici di quasi il 50 per cento negli ultimi dieci anni. La Sardegna in 14 anni ha perso i quattro quinti (-78 per cento) di terra investita a grano, passando dagli oltre 96 mila ettari del 2004 agli appena 20.600 del 2018;

    nonostante il miglioramento che si sta registrando nella campagna 2018-2019, il comparto nazionale del grano duro lavora ai limiti del sottocosto ormai da anni. Dai 300 euro mediamente pagati al produttore alla tonnellata nel 2014 si è scesi a 270 euro l'anno successivo. La «guerra del grano» del luglio 2016 ha portato nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta a perdere il 43 per cento del valore fino a 180 euro a tonnellata. Le quotazioni sono risalite attorno ai 210 euro nel 2017 e 2018, ma lo scorso anno in taluni casi si è scesi ulteriormente fino 150-160 euro alla tonnellata a causa delle continue piogge che hanno compromesso la qualità del prodotto;

    secondo il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea) la semina del grano duro per la campagna 2018-19 è stata pari a circa 1,20 milioni di ettari, cioè il 6,5 per cento in meno rispetto alla campagna precedente. È particolarmente significativo il calo delle superfici al Nord (-25 per cento) e al Centro (-15 per cento), mentre tengono il Sud e le Isole. Crescono del 5 per cento le superfici a grano «bio». Il raccolto previsto per il 2019 è di circa 4 milioni di tonnellate, in calo rispetto all'anno scorso;

    ogni anno l'industria molitoria nazionale individua e seleziona circa 5,6 milioni di tonnellate di grano duro che trasforma in semola per il settore della pasta. La produzione interna di grano duro è sufficiente a coprire solo il 70 per cento del fabbisogno dei pastai. Ma non sempre e non tutti gli anni il grano italiano raggiunge gli standard qualitativi previsti dalla legge per la pasta. Secondo una analisi del Crea (periodo 2011-2016) circa il 30 per cento del grano italiano è poco adatto alla pastificazione, mentre solo il 35 per cento è di alta qualità. In particolare, una parte del grano duro italiano difetta nel contenuto proteico minimo necessario per ottenere semola di qualità (minore del 13 per cento);

    oltre che per il consumo (23 chilogrammi a testa), l'Italia è prima nel mondo per produzione (3,6 milioni di tonnellate annue) ed export di pasta (2 milioni di tonnellate), ma questo primato è a rischio per diversi motivi:

     1) la produzione di grano italiano è penalizzata da una eccessiva polverizzazione delle imprese produttive e la mancanza di strutture di stoccaggio adeguate rende difficile la valorizzazione e la classificazione della materia prima. La polverizzazione rende più difficile raggiungere la redditività minima. Quanto allo stoccaggio, le strutture, circa un migliaio su tutto il territorio nazionale, sono state modernizzate solo nelle regioni dove le superfici seminate a grano duro sono rimaste quasi invariate, come in Puglia e nelle Marche;

     2) il sostegno al settore da parte del sistema Paese in Italia non è stato sufficiente e ha sensibilmente concorso nel tempo a scavare un solco, in termini di competitività, crescita e sostegno all’export rispetto alla crescente concorrenza internazionale. Paesi come Turchia ed Egitto, pur con un prodotto di qualità inferiore, stanno erodendo quote di mercato alla pasta italiana, forti anche del supporto dei rispettivi Governi. Cresce anche la produzione di Usa e Brasile;

     3) è in costante calo l'impiego delle sementi certificate, il cui uso è diminuito del 12 per cento rispetto al 2018 (fonte: Crea). Le uniche aziende che hanno l'obbligo dell'uso del seme certificato sono quelle che hanno un contratto di filiera con i più importanti pastifici nazionali. Tutte le altre, circa l'80 per cento sono libere di usare anche semi non certificati, pratica vietata fino a qualche anno fa: per accedere ai contributi Pac occorreva produrre la fattura d'acquisto di seme certificato. Tal pratica colpisce anche le imprese sementiere che richiedono, per fare ricerca, la possibilità di incassare royalty sui semi che hanno costituito. In molti casi l'uso di sementi non certificate ha abbassato il livello qualitativo delle nostre produzioni;

    si registrano peraltro alcuni segnali favorevoli:

     1) il crescente sviluppo di contratti di filiera dove gli attori, ognuno per la propria specificità di ruolo, contribuiscono al miglioramento della competitività e a una più equilibrata distribuzione del valore; dal protocollo d'intesa per migliorare il grano dura italiano firmato nel dicembre 2017 dall'Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi), le associazioni agricole e l'Italmopa, Associazione industriali mugnai d'Italia (complessivamente poco meno della metà di tutta l'agroindustria italiana, per un valore di circa 60 miliardi di euro e per quanto riguarda il mondo agricolo, oltre 3 milioni di associati e 1,1 milioni di imprese), si sono sviluppati numerosi accordi, sino ai recentissimi «salva cerealicoltori» tra Coldiretti Sardegna e il Gruppo Casillo o all'accordo siglato da Filiera agricola italiana e il pastificio Casa Milo di Bitonto per la fornitura già da quest'anno di grano 100 per cento pugliese, che permetterà di produrre pasta secca e fresca certificata da Fdai (Firmato dagli Agricoltori italiani);

     2) grazie all'entrata in vigore dalla fine del 2017 dell'obbligo di indicare sui pacchi di pasta in etichetta l'origine della materia prima, si è assistito alla rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l'origine italiana al 100 per cento del grano impiegato. Il consumatore oggi è in grado di influenzare la grande distribuzione organizzata, poiché le sue scelte creano «imposizioni» al trasformatore e, a ritroso, all'agricoltore. Secondo Coldiretti è cresciuto di conseguenza del 20 per cento il valore del grano duro in Italia;

     3) sono stati positivi gli effetti del fondo di sostegno per la sottoscrizione dei contratti di filiera di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge n. 113 del 2016 successivamente rifinanziato dalla legge di bilancio 2017. il «Fondo grano duro» si è rivelato indubbiamente uno strumento valido per sviluppare e incentivare le relazioni contrattuali all'interno della filiera. Nella prima campagna 2016, il premio previsto è stato di 100 euro a ettaro agli agricoltori in contratti di filiera almeno triennali. La misura ha coinvolto 100 mila ettari e circa 9 mila aziende. La seconda campagna ha visto domande in linea con la prima ma con contributo raddoppiato, 200 euro. Si registrano però ritardi nei pagamenti;

     4) la ricerca italiana è sempre stata un'eccellenza soprattutto per i miglioramenti genetici. Il recente annuncio del completamento del genoma del grano duro (un progetto internazionale con a capofila Crea, Cnr e Università di Bologna e Salerno) avrà effetti importanti per il settore: l'industria sementiera potrà lavorare per nuove varietà più resistenti a malattie come le ruggini e la fusariosi. L'industria della trasformazione potrà, a medio termine, avere una materia prima sempre più calibrata e funzionale alle proprie esigenze produttive e ai gusti del consumatore. I ricercatori, in tempi più lunghi, avranno modo di riconoscere e tutelare le biodiversità, grazie al riconoscimento su basi genetiche delle diverse tipologie di frumento duro, sia esso farro, grano antico o moderno;

     5) quanto all'ammodernamento degli stoccaggi, nelle regioni dove i livelli produttivi sono stati mantenuti gli imprenditori hanno innovato. Con le nuove metodologie lo stoccaggio viene effettuato sia in silos metallici di nuova concezione sia in silobag sottovuoto. Il raccolto viene differenziato per tipologia (convenzionale e biologico) e per classi proteiche, colore, peso specifico e bianconatura. La differenziazione stimola gli agricoltori a coltivare grano di qualità. In Alta Murgia, nel 2018 ai produttori che hanno sottoscritto il contratto Grano Armando sono andati 285 euro/tonnellata più le premialità, sulla base della scala proteica. Anche per il Gruppo Santacroce, uno dei cui silos è stato recentemente oggetto di attentato, si è passati dallo stoccaggio indifferenziato alla separazione delle partite di grano duro e il successo non è tardato ad arrivare;

    va sfatato il falso mito della superiorità del grano estero per la pasta di qualità. I produttori nazionali sono in grado di realizzare semole con contenuto proteico sopra il 14 per cento. La scelta di grano coltivato sul territorio nazionale è una garanzia per la tutela della salute dei consumatori, perché in Italia è vietato l'utilizzo del glifosato sul grano in preraccolta, a differenza di quanto accade per quello straniero proveniente da Usa e Canada, dove ne viene fatto un uso intensivo per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato;

    in base ad una specifica normativa europea (Regolamento (UE) 1881/2006), il deossinivalenolo (Don), una micotossina del grano duro non trasformato è ammessa dalla Unione europea fino a 1750 ppb (parti per miliardo). Le micotossine sono sostanze dannose alla salute prodotte da alcuni funghi che albergano nelle derrate alimentari. La loro presenza negli alimenti è consentita solo entro certi limiti. Per la maggior parte dei Paesi del mondo i valori massimi del Don nei cereali sono compresi fra i 750 e 1000 ng/. Questo consente l'importazione di grano duro che in altri Stati dovrebbe essere considerato rifiuto. Dagli studi si apprende che nel meridione d'Italia, grazie al clima arido, le percentuali di Don sono al di sotto di 100 ppb se non assenti;

    per quanto riguarda gli effetti della speculazione sulle commodity alimentari, le previsioni per il 2019 prevedono prezzi stabili sui mercati internazionali. Quanto all'oscillazione delle valute, gli unici grani duri pagati in valuta estera sono l'americano, il canadese e kazaco per i quali le quotazioni sono espresse in dollari. Gli altri grani hanno origini comunitarie, quindi sono pagati in euro. La sola differenza consiste nei costi di produzione differenti tra i vari Paesi dell'Unione europea (vedi Grecia, Spagna, Francia, per non parlare dei Paesi dell'Est Romania, Bulgaria, Ungheria). Occorre invece considerare l'enorme incidenza del costo dei carburanti, che si abbattono sulla produzione e sui trasporti: costa più trasportare il grano da Catania a Foggia su gomma che da Vancouver a Bari su nave;

    nella riunione di fine dicembre 2018 tra il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e le organizzazioni agricole, le associazioni industriali e sementiere e i rappresentanti della distribuzione, il Ministro ha avanzato diverse proposte: 1) mantenimento nel 2020 e 2021 della dotazione del «Fondo filiera grano duro»; 2) sblocco immediato pagamenti 2019, nel limite degli aiuti de minimis, su contratti di filiera; 3) trasparenza sui prezzi realizzata mediante creazione di una commissione unica nazionale per il grano duro per favorire il dialogo interprofessionale e rendere più trasparente la formazione del prezzo; 4) promozione della pasta italiana di qualità sul mercato interno e internazionale. Impegni ripetuti nel tavolo di filiera grano duro-pasta tenutosi presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo il 27 giugno 2019,

impegna il Governo:

1) ad adottare, con urgenza, le iniziative necessarie a rimuovere le criticità che caratterizzano il comparto della cerealicoltura nazionale, al fine di incrementare la produzione nazionale anche per metterla al riparo dalle dinamiche internazionali di mercato e dalla concorrenza di Paesi terzi ed in particolare:

   a) a incentivare la disponibilità di grano duro nazionale di qualità e prodotto in modo sostenibile per venire incontro alle esigenze dell'industria molitoria e della pasta, mediante lo sviluppo e la generalizzazione degli accordi di filiera, prevedendo premi di produzione legati al raggiungimento di standard qualitativi del grano;

   b) a rafforzare gli interventi previsti dal piano cerealicolo nazionale, rivedendone i contenuti alla luce delle mutate condizioni di mercato, dotandolo di adeguate risorse finanziarie, promuovendo l'innovazione nella filiera italiana grano-semola-pasta e prevedendo la velocizzazione dei pagamenti e la sburocratizzazione delle procedure;

   c) a promuovere specifiche misure per il miglioramento e la modernizzazione e ove occorra, la concentrazione dei centri di stoccaggio, tenendo conto delle esperienze già maturate, con particolare riferimento ai siti di stoccaggio collegati ai contratti di filiera;

   d) a stimolare e sostenere il settore della ricerca nazionale sul grano duro, anche prevedendo che i diversi centri di ricerca adottino specifici orientamenti e piani di ricerca, al fine di renderla una eccellenza assoluta a livello internazionale;

   e) a promuovere e difendere, a livello nazionale e internazionale, in maniera coesa un'immagine forte della filiera della pasta italiana, garantendone la sicurezza anche attraverso la tracciabilità informatica dei vari passaggi dalla filiera al consumatore finale;

   f) a costituire in tempi rapidi la Commissione unica nazionale per il grano duro di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge n. 51 del 2015, al fine di consentire ai produttori di collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi;

   g) a valutare la possibilità di adottare iniziative per introdurre misure di agevolazione fiscale, anche per un periodo transitorio, con il fine di consentire alle aziende cerealicole di recuperare i margini di redditività minimi, prevedendo una riduzione delle accise sul gasolio agricolo e un aiuto al rimodernamento del parco mezzi meccanici aziendali, anche per garantire la sicurezza dei lavoratori e la diminuzione degli oneri contributivi;

2) a valutare la possibilità di modificare, in sede di attuazione dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 135 del 2018 e con le modalità ivi previste, l'articolo 3 del decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 26 luglio 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 17 agosto 2017, n. 191, prevedendo che, per l'apposizione sull'etichettatura della pasta della dicitura «Italia e altri Paesi UE o non UE» la miscela utilizzata debba contenere almeno il 60 per cento di grano coltivato sul territorio nazionale, al fine di aumentare la richiesta di prodotto nazionale;

3) a mettere in moto tutte le iniziative utili per rivedere con la massima urgenza e determinazione, a difesa della salute dei consumatori italiani e del lavoro degli agricoltori italiani, il Regolamento (UE) 1881/2006, grazie al quale l'Unione europea permette la presenza di micotossine nel grano duro non trasformato fino a 1750 ppb (parti per miliardo), fatto che consente l'importazione di grano duro che in altri Stati dovrebbe essere considerato rifiuto, favorendo in tal modo la produzione di grano duro nel Meridione d'Italia, che, grazie al clima arido, presenta percentuali di micotossine al di sotto di 100 ppb o addirittura assenti.
(1-00218) «Spena, Nevi, Brunetta, Occhiuto, Labriola».

(8 luglio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è di gran lunga il primo Paese produttore di grano duro in Europa e, con una produzione che nel decennio 2008-2018 ha oscillato stabilmente tra 4 e 5 milioni di tonnellate, è arrivata a contendersi su base annuale il primato mondiale con il Canada;

    oltre il 65 per cento della produzione e più del 70 per cento delle superfici coltivate a grano duro nel nostro Paese, sono localizzate nelle regioni meridionali e nelle isole;

    il grano duro, in Italia, contribuisce in maniera significativa al miglioramento economico e sociale di vaste aree rurali, con un ruolo importante anche per la difesa, sotto il profilo dell'assetto idrogeologico, del territorio e la valorizzazione del paesaggio;

    da diversi anni si registrano dinamiche di mercato che determinano una crescente instabilità dei prezzi delle commodity agricole, incidendo in maniera rilevante sulla struttura della filiera cerealicola e sulle imprese del comparto;

    le filiere cerealicole sono influenzate nella formazione del prezzo da fattori esogeni, come l'andamento climatico, la variabilità del prezzo del petrolio e dei tassi di cambio;

    le quotazioni del grano duro si attestano spesso al di sotto dei costi di produzione senza portare nessun vantaggio per i consumatori considerato che i prezzi della semola e della pasta restano stabili se non in aumento;

    il settore cerealicolo del grano duro italiano mostra una complessità e una valenza strategica che emerge facilmente quando si valutano: la complessa articolazione della filiera; la primaria importanza nell'alimentazione, qualificandosi come matrice originaria del made in Italy; il ruolo e il peso dell'industria e dell'artigianato a valle del sistema produttivo primario; il ruolo agronomico – paesaggistico derivante dal carattere estensivo delle colture;

    in un contesto di prezzi bassi, determinati a livello globale da «guerre» commerciali tra grandi potenze e concorrenza con metodi produttivi meno costosi, per l'agricoltura italiana è decisivo poter gestire in maniera efficiente anche il post raccolta, cercando di soddisfare il più possibile la domanda per spuntare un prezzo soddisfacente;

    la capacità, la localizzazione e la qualità dei centri di stoccaggio per i cereali e, in particolare, per il grano duro rappresentano un vincolo strategico per l'ottimale valorizzazione del prodotto agricolo e, più in generale, per la razionalizzazione della filiera;

    l'organizzazione della filiera cerealicola, soprattutto per ragioni esterne, non sempre risulta essere in grado di garantire un'equa ripartizione del valore generato in tutte le fasi, comprimendo la redditività soprattutto degli anelli più deboli;

    il settore cerealicolo, considerato uno dei punti di forza dell'agroalimentare nazionale, ha sempre avuto grandi benefici da un forte investimento sia nella ricerca in campo agronomico e genetico per sviluppare sistemi colturali più efficienti e ottenere un costante miglioramento qualitativo delle produzioni, sia per quanto riguarda l'individuazione di procedure e tecniche di monitoraggio che garantiscano qualità e salubrità al prodotto lungo l'intera filiera;

    l'impiego di sementi certificate ha richiamato negli ultimi decenni l'interesse della ricerca pubblica e privata verso il settore cerealicolo, con la costituzione di numerose nuove varietà dotate di caratteristiche di pregio sia sotto gli aspetti qualitativi, per la produzione di pane e pasta, sia sotto gli aspetti quantitativi e produttivi;

    la stessa agricoltura di precisione si sta dimostrando una strada straordinaria e obbligata per ridurre i costi, migliorare l'ambiente, valorizzare la qualità e rendere più competitivo il settore cerealicolo, anche se ad oggi in Italia solo l'1 per cento dei terreni è coltivato con tecniche di agricoltura di precisione;

    il maggior punto di forza della filiera del frumento duro è rappresentato dall'immagine consolidata del prodotto «pasta», attorno al quale negli anni è stata costruita un'elevata cultura della produzione industriale e del consumo;

    nonostante una parte significativa delle materie prime utilizzate per la produzione della pasta sia di provenienza estera, l'immagine a livello mondiale di questo prodotto è legata in maniera indissolubile al made in Italy;

    l'industria italiana della pastificazione è infatti prima nel mondo per produzione, potenzialità produttiva installata, consumo nazionale e consumo pro-capite, esportazione;

    la pasta, per la rilevanza dei numeri che rappresenta, è considerata la portabandiera per eccellenza del «made in Italy», vantando una tradizione produttiva ultrasecolare, che unisce a ricerca tecnologica e sperimentazione, diffusa su tutto il territorio nazionale;

    l'esportazione ha superato il 55 per cento dell'intera produzione nazionale anche perché i valori nutrizionali e gastronomici della pasta sono considerati dagli esperti unici e frutto di una rigorosa politica di qualità;

    la pasta è, infatti, universalmente riconosciuta come il pilastro della dieta mediterranea; dietologi e medici nutrizionisti concordano nell'assegnare alla pasta un elevato contenuto dietetico e salutistico e ulteriori specificità del valore della pasta consistono nella gran quantità di formati diversi, che si prestano a molteplici preparazioni culinarie e che rappresentano il know how artigianale e industriale dei produttori pastai nazionali;

    nonostante i tentativi in alcuni Paesi esteri (ad esempio, Francia, Usa, ma anche alcuni Paesi del Sudamerica) di realizzare un'industria della pasta, l'Italia mantiene una leadership indiscutibile;

    l'industria italiana della pasta ha potuto raggiungere questa leadership mondiale anche per una politica di filiera sempre più disponibile a supportare il settore agricolo italiano e i produttori di grano duro attraverso il perfezionamento di accordi di filiera, che garantiscono l'acquisto di grano duro italiano con un'adeguata remunerazione e meccanismi premiali in presenza di parametri qualitativi prestabiliti;

    permangono diverse criticità all'interno della filiera del frumento duro, comuni a tutte le filiere cerealicole a partire dalla polverizzazione produttiva con la maggior parte delle aziende coltivatrici di frumento duro che non superano le dimensioni minime per garantire un minimo di redditività aziendale, la debolezza produttiva e di coltivazione;

    le strutture di stoccaggio oggi non sono in grado di immagazzinare il frumento duro in strutture separate secondo le caratteristiche qualitative, per questo il prodotto migliore viene spesso miscelato a quello di bassa qualità, provocando una perdita di spazio sul mercato;

    in questi anni è cresciuta, sostenuta dalla spinta della domanda, la produzione di grano biologico e, in alcune regioni italiane stanno tornando ad essere coltivati i cosiddetti «grani antichi» con diverse iniziative di ricerca e sperimentazione orientate a recuperare, conservare e valorizzare questi genotipi locali di frumento;

    negli scorsi anni, va riconosciuto il merito dei Governi di centrosinistra nel corso della XVII legislatura che hanno saputo affrontare una fase di crisi notevole per l'intera filiera cerealicola con il crollo dei prezzi e la perdita di valore della materia prima agricola, ponendo in essere, d'intesa con le organizzazioni di categoria del mondo agricolo e della trasformazione, un piano organico di tutela delle produzioni;

    con il decreto ministeriale 16 novembre 2017, n. 4259, recante criteri e le modalità di ripartizione delle risorse del fondo di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, sono state poste le basi per affrontare le questioni attinenti al ribasso del prezzo del grano che non poche difficoltà aveva creato al comparto cerealicolo italiano e, in particolare, a quello meridionale;

    il decreto era il risultato di un impegno, finalizzato a porre un argine strutturale alle speculazioni sul prezzo del grano e assicurare un sostegno ai coltivatori;

    l'obiettivo era quello di sostenere l'aggregazione e l'organizzazione economica dei produttori di grano duro e dell'intera filiera produttiva e favorire le ricadute positive sulle produzioni agricole, valorizzando i contratti di filiera nel comparto cerealicolo, puntando al miglioramento e alla valorizzazione della qualità del grano duro attraverso l'uso di sementi certificate, nonché favorendo investimenti per la tracciabilità e la certificazione della qualità del grano duro;

    gli accordi di filiera, infatti, rappresentano adesso una realtà già funzionante ed efficace proprio perché frutto di una negoziazione tra le parti con la funzione statale di controllo che si traduce in reciproci benefìci di qualità e commerciali in un patto tra produttori di grano duro e industria della trasformazione;

    le risorse del fondo di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, da assegnare nel quadro dell'applicazione del citato decreto ammontano a 10 milioni di euro per l'anno 2018 e 10 milioni di euro per l'anno 2019;

    questo tipo di provvedimenti hanno reso possibile puntare alla certificazione e alla etichettatura finale dei prodotti della filiera cerealicola, come elemento di unicità in Europa;

    il conseguimento degli obiettivi prefissati dal piano cerealicolo nazionale, per la loro complessità ed articolazione, necessita di una ulteriore e aggiuntiva dotazione di risorse finanziarie in maniera particolare per quanto concerne le specifiche misure che riguardano il comparto del grano duro,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere iniziative volte a tutelare gli agricoltori operanti nel settore dei cereali e a valorizzare il grano duro di origine italiana, anche attraverso iniziative dirette ad aggiornare il piano cerealicolo nazionale secondo le seguenti linee guida:

   a) tutelare attraverso i contratti di filiera gli interessi economici degli agricoltori e fornire con continuità materia prima all'industria molitoria, con caratteristiche certificate, concordate e funzionali ad ottenere un prodotto di qualità;

   b) stimolare l'ottimizzazione delle strutture logistiche per migliorare la distribuzione e i trasporti;

   c) rinnovare e potenziare la rete dei siti di immagazzinamento e promuovere lo stoccaggio differenziato per partite omogenee di prodotto di qualità, attraverso strumenti di sostegno agli investimenti finalizzati all'ammodernamento e all'aumento della capacità di stoccaggio del frumento duro nella fase della produzione;

2) ad individuare, attraverso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e in coordinamento con il Ministero dello sviluppo economico, le azioni utili per affiancare le aziende italiane in un percorso di consolidamento e di rilancio;

3) a sostenere gli investimenti strutturali delle aziende del settore, in particolare nelle regioni del Sud, attraverso l'utilizzo delle risorse del Programma di sviluppo rurale;

4) a sostenere progetti di ricerca che mirano a sviluppare tecniche agronomiche a basso impatto per il controllo delle avversità e la riduzione degli input chimici;

5) a promuovere e finanziare la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica per il miglioramento genetico del frumento duro, sia in termini di produttività sia di qualità e di resistenza alle fitopatie;

6) a favorire la coltivazione e la produzione di varietà di frumenti con elevate caratteristiche nutrizionali e salutistiche;

7) a sostenere l'aumento di competitività delle aziende agricole di montagna e di alta collina attraverso la valorizzazione dell'agro-biodiversità cerialicola e la coltivazione di grano duro biologico;

8) ad adottare iniziative per sviluppare strategie di aggregazione a livello agricolo e sinergie nell'ambito della filiera – come si è già provveduto a fare con la sottoscrizione del protocollo di dicembre 2017 tra parte agricola, cooperazione e industria — per favorire lo sviluppo di un comparto di qualità che ha potenzialità importanti e potrebbe divenire tra i più redditizi della nostra agricoltura;

9) a sviluppare politiche di sistema in grado di favorire processi di innovazione e di adeguamento delle strutture logistiche (agricoltura 4.0) capaci di rendere più competitive le imprese agricole del settore;

10) a perseguire l'obiettivo della massima trasparenza delle borse merci con un ruolo maggiore dei rappresentanti degli agricoltori;

11) a valorizzare i grani antichi e quelli biologici perché dispongono di una nicchia di mercato in continua espansione;

12) a sostenere la competitività dell'intera filiera con l'individuazione di percorsi di concentrazione dell'offerta e di valorizzazione e incentivazione di frumento duro di qualità, nell'ottica di favorire una produzione di materia prima nazionale che tenda a riequilibrare la bilancia commerciale del settore attraverso il soddisfacimento in termini quantitativi e qualitativi della domanda di grano duro da parte dell'industria italiana della pasta;

13) a valutare, d'intesa con le regioni e con gli operatori della filiera cerealicola, l'inserimento nei piani di sviluppo rurale del sostegno a interventi di cooperazione per la diffusione dell'innovazione nella filiera cerealicola;

14) a rafforzare, con il coinvolgimento del Ministero della salute, i controlli nei principali porti italiani al fine di contrastare l'arrivo da Paesi terzi di grano di bassa qualità;

15) ad individuare un percorso condiviso con gli attori della filiera finalizzato ad aumentare la produzione di grano di alta qualità idoneo alla pastificazione, sviluppando modelli di contrattazione premiali, che tengano conto anche delle differenti condizioni di coltivazione sul territorio;

16) a prevedere campagne di promozione e valorizzazione della pasta italiana nel mondo, attraverso l'implementazione di una strategia di sostegno all’export e la costituzione di un tavolo di lavoro dedicato;

17) ad attivarsi presso le sedi europee affinché vengano definite norme comuni che rendano obbligatoria l'indicazione dell'origine del frumento duro sulle confezioni di pasta, anche al fine di contrastare dumping e forme di concorrenza sleale tra i vari Stati europei.
(1-00219) «Incerti, Gadda, Cenni, Critelli, D'Alessandro, Dal Moro, Portas, Enrico Borghi».

(8 luglio 2019)