TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 150 di Mercoledì 27 marzo 2019

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZÓFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   già con precedente atto di sindacato ispettivo n. 3-00398 del dicembre 2018 il gruppo della Lega plaudiva all'iniziativa del Ministro interrogato di voler procedere alla riforma della dirigenza pubblica e, in particolare, come intendesse contrastare l'inerzia della pubblica amministrazione;

   in sede di risposta il Ministro interrogato ipotizzava un disegno di legge delega in materia di dirigenza pubblica, che affrontasse varie questioni, tra le quali quella della valutazione e degli obiettivi, considerato il punto dolente –:

   come stia procedendo la predisposizione della riforma di cui in premessa.
(3-00644)

(26 marzo 2019)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   in data 26 maggio 2017 sono stati indetti tre concorsi per il reclutamento di un numero complessivo di 1148 allievi agenti della Polizia di Stato;

   ai sensi del bando di concorso i requisiti di partecipazione prevedevano la cittadinanza italiana, il godimento dei diritti civili e politici, il possesso del diploma di scuola secondaria di I grado o equipollente, un'età compresa tra diciotto e trenta anni, le qualità morali e di condotta previste dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e l'idoneità fisica, psichica ed attitudinale all'espletamento dei compiti connessi alla qualifica;

   nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, è stata introdotta una disposizione mediante la quale si è autorizzata l'assunzione di allievi agenti della Polizia di Stato, nel numero massimo di 1.851, mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del concorso pubblico per l'assunzione di 893 allievi agenti bandito il 18 maggio 2017;

   le disposizioni inserite nel decreto-legge, tuttavia, hanno limitato le assunzioni esclusivamente ai soggetti risultati idonei alla prova scritta d'esame, prescindendo totalmente dall'idoneità riportata dai candidati nelle altre fasi previste dal bando – prova di efficienza fisica, accertamenti psico-fisici, accertamento attitudinale – nonostante secondo il medesimo bando il candidato avrebbe dovuto risultare idoneo in tutte le prove;

   inoltre, con le modifiche apportate al decreto-legge n. 135 del 2018, è stato introdotto un limite anagrafico, estromettendo dalla graduatoria tutti quanti coloro che alla data del 1° gennaio 2019 avessero già compiuto il ventiseiesimo anno di età;

   le citate modifiche, apportate ex post rispetto a un bando già emesso e a graduatorie già formate, hanno cambiato, ad avviso degli interroganti, in modo ingiustificato ed irregolare i requisiti indicati per le assunzioni, creando delle gravissime disparità di trattamento tra candidati, violando i loro diritti –:

   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento ai fatti di cui in premessa, al fine di ristabilire equità e rispetto delle regole in favore di tutti i candidati e mettendo fine a quelle che agli interroganti appaiono ingiuste discriminazioni.
(3-00645)

(26 marzo 2019)

   D'ALESSANDRO, PEZZOPANE, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   nel giorno dell'insediamento del nuovo consiglio regionale d'Abruzzo, nel suo discorso programmatico, il neo eletto presidente Marsilio ha comunicato l'intento programmatico di richiedere al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il passaggio, per i porti nazionali di Ortona e Pescara, dall'attuale autorità portuale del Mare adriatico centrale (Ancona) all'autorità portuale del Mar Tirreno centro-settentrionale (Civitavecchia);

   l'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2018, n. 12, «Regolamento recante istituzione di zone economiche speciali (ZES)» prevede che le zone economiche speciali sono attivabili solo ed esclusivamente nelle aree portuali «con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE (TEN T)»;

   il porto di Civitavecchia, a quanto consta agli interroganti, non ha le caratteristiche di cui al regolamento (UE) n. 1315/2015 citato, circostanza che preclude la possibilità di poter attivare la zona economica speciale in Abruzzo –:

   se non intenda attivarsi, per quanto di competenza e d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per evitare che una regione del Sud del Paese possa essere privata della zona economica speciale con le negative conseguenze per l'economia e l'occupazione e se l'uscita dalla zona economica speciale di una regione del Sud non sia in contrasto con la politica del suo dipartimento.
(3-00646)

(26 marzo 2019)

   D'ATTIS, TARTAGLIONE, SISTO, ELVIRA SAVINO e LABRIOLA. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   il Sud sconta un pesante e preoccupante deficit infrastrutturale che ne pregiudica lo sviluppo economico e la capacità di attrarre investimenti tali da rilanciare il mercato del lavoro e abbattere in modo considerevole il tasso di disoccupazione e il divario socio-economico con il resto del Paese;

   dal rapporto Svimez 2018, «la politica infrastrutturale nel Mezzogiorno ha prodotto una dotazione nel complesso più modesta e di minore qualità di quella rilevabile nel resto del Paese», sul piano della mobilità viaria la rete autostradale è nel Sud decisamente meno sviluppata, mentre su quella ferroviaria l'alta velocità (da non confondersi con l'alta capacità) è concentrata soprattutto al Centro-Nord, dove si è proceduto «ad un up-grade qualitativo di tutte le infrastrutture, aumentando in misura più rilevante la dotazione autostradale e concentrando nell'area la gran parte della rete nazionale di alta velocità»;

   secondo il rapporto Pendolaria 2017, nel periodo 2002-2017 i collegamenti quotidiani di eurostar/alta velocità si sono più che quadruplicati al Nord, passando da 63 a 276, mentre il Sud con 122 collegamenti ha una transitabilità giornaliera inferiore alla metà del Nord;

   recentemente il Ministro interrogato ha dichiarato che sull'estensione dell'alta capacità Napoli-Bari fino a Lecce avrebbe chiesto a Rete ferroviaria italiana «di predisporre un apposito studio di fattibilità», aggiungendo «per finanziare l'opera metterò a disposizione le risorse del fondo sviluppo e coesione, di mia competenza», ma non è stato specificato se restano comunque le risorse disponibili anche per i lavori dell'alta velocità Napoli-Bari;

   l'alta velocità Napoli-Bari, più che l'alta capacità, rappresenta un'opera strategica la cui cantierizzazione è di fondamentale importanza, tanto da richiedere una grande velocizzazione dell'opera, cionondimeno, a fronte di questo, resta ancora a parere degli interroganti colpevolmente indietro anche l'adeguamento infrastrutturale della dorsale Adriatica pugliese;

   ad oggi sul versante Adriatico persiste un restringimento della linea ferroviaria caratterizzato dal tratto Termoli-Lesina a binario unico, che produce notevoli ritardi e rende impossibile immaginare qualsiasi progetto di realizzazione di linee ad alta velocità per collegare da lì il Sud al Nord –:

   se intenda intervenire con risorse di propria competenza sulla linea adriatica nel tratto Termoli-Lesina, rispetto all'estensione dell'alta capacità nelle direttrici Bari-Brindisi-Lecce e Bari-Taranto, senza pregiudicare i fondi per l'alta velocità, e in tal senso quale sia lo stato attuale dei lavori dell'alta velocità Napoli-Bari e se siano confermate misura e idoneità dello stanziamento iniziale di 6,2 miliardi di euro per realizzarne tutti i lotti.
(3-00647)

(26 marzo 2019)

   FRATOIANNI e FORNARO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il 25 gennaio 2019, in risposta all'interpellanza urgente n. 2/00231, nella quale si chiedevano notizie in merito alla concessione in uso della Certosa di Trisulti, di proprietà demaniale, all'associazione Dignitatis humanae institute e, in particolare, rispetto alla volontà della stessa, così come più volte dichiarato a mezzo stampa, di utilizzare l'abbazia quale sede di rappresentanza del movimento politico internazionale guidato da Steve Bannon («The Movement»), di stampo cattolico fondamentalista, nazionalista e populista, facendo della Certosa una scuola di formazione politica internazionale per «difendere le radici cristiano-giudaiche dell'Occidente», il Sottosegretario Gianluca Vacca rispondeva testualmente: «Le dichiarazioni del rappresentante legale dell'associazione, asseritamente riportate dalla stampa, comunque, non formano parte dell'offerta presentata e del progetto di valorizzazione allegato e non trovano disciplina alcuna nell'ambito della concessione stipulata»;

   in un'intervista al quotidiano La Verità del 18 febbraio 2019, così come in altri articoli e interviste, Benjamin Harnwell, che dirige il Dignitatis humanae institute, ha affermato di aver menzionato «attività di formazione dei politici» in risposta al bando ministeriale e ribadito l'intenzione di voler fare di Trisulti un'accademia che mira a riaffermare la radice giudaico-cristiana della civiltà occidentale, traducendo questo concetto in politica;

   a parere degli interroganti, tutto ciò nulla ha a che fare con le finalità dell'avviso pubblico per l'individuazione di enti non lucrativi cui affidare la concessione in uso dei beni messi a bando, tra cui la Certosa, volte a garantire lo svolgimento di attività di tutela, di promozione, di valorizzazione o di conoscenza del patrimonio culturale;

   ad avviso degli interroganti, il Ministero per i beni e le attività culturali dovrebbe chiarire definitivamente se può essere consentito che in un monumento nazionale si svolgano attività «private» di formazione politica;

   sempre a parere degli interroganti il Dignitatis humanae institute non avrebbe i requisiti necessari in base al bando ministeriale per la gestione della Certosa di Trisulti, per cui sarebbe opportuno disporre i necessari approfondimenti al fine di riconsiderare la concessione del bene –:

   se il Ministro interrogato, considerato quanto già affermato dal Sottosegretario Gianluca Vacca a nome del Governo in risposta all'interpellanza urgente n. 2/00231, non intenda chiarire quali siano gli orientamenti del Ministero per i beni e le attività culturali in ordine alla revoca della concessione, qualora sia confermata l'intenzione del Dignitatis humanae institute di fare della Certosa di Trisulti la sede di una scuola di formazione politica internazionale di stampo sovranista.
(3-00648)

(26 marzo 2019)

   TESTAMENTO, CARBONARO, ACUNZO, AZZOLINA, CASA, GALLO, VILLANI, TUZI, NITTI, MARZANA, TORTO, BELLA, FRATE, MELICCHIO, MARIANI e LATTANZIO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la legge 22 luglio 2014, n. 110, all'articolo 1, con l'inserimento dell'articolo 9-bis al codice dei beni culturali e del paesaggio, riconosce le figure professionali di archeologo, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, storico dell'arte, antropologo fisico, esperto di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali;

   a quasi cinque anni dall'approvazione della legge, non sono stati ancora redatti i decreti attuativi contenenti i criteri per la definizione dettagliata dei requisiti professionali di ogni categoria. Inoltre, l'evoluzione del settore dei beni culturali ha portato alla nascita di nuove figure professionali, non previste dalla suddetta legge e di fatto ancora ignote al legislatore, ma da diversi anni operative e formate sul campo, come: l'educatore museale, il tecnico museale e divulgatore per i beni naturalistico-scientifici, l'esperto di informatica per i beni culturali, il paleontologo;

   la mancata emanazione dei suddetti decreti attuativi impedisce di fatto la realizzazione degli elenchi nazionali previsti dalla legge, imprescindibili per la regolamentazione delle varie professioni e l'eliminazione delle attuali ambiguità e zone d'ombre. In tal senso gli obiettivi devono essere il riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità, al fine di combattere l'annoso e dilagante precariato nel settore dei beni culturali, nonché garantire un'offerta sempre più qualificata –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e se non ritenga necessario intervenire con urgenza al fine di procedere all'adozione dei decreti attuativi di cui sopra, promuovendo contestualmente il riconoscimento di professioni culturali non previste dalla legge 22 luglio 2014, n. 110, ma che oggi rappresentano una realtà professionale fortemente radicata nel settore.
(3-00649)

(26 marzo 2019)

   FUSACCHIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società, detta la Convenzione di Faro, siglata nel 2005, è entrata in vigore nel giugno 2011 e ad oggi è stata sottoscritta da 23 Paesi aderenti al Consiglio d'Europa e ratificato da 17 Stati;

   l'Italia ha firmato la Convenzione di Faro nel febbraio 2013, ma il processo di ratifica parlamentare si è interrotto nel dicembre 2017 con la fine della XVII legislatura e nella XVIII legislatura risulta ancora in corso;

   la Convenzione di Faro introduce la consapevolezza che la conoscenza e l'uso dell'eredità culturale rientrano fra i diritti dell'individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità e a godere delle arti sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Parigi 1948) e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Parigi 1966);

   l'accessibilità quindi alla cultura e al patrimonio culturale italiano sono fondamentali non solo per lo sviluppo sociale ed economico del Paese, ma anche per contribuire alla creazione di una comunità di valori che favorisca una migliore qualità di vita di tutti coloro che vivono sul territorio italiano;

   la Convenzione è fortemente correlata alla Convenzione Unesco relativa alla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (1972) e alla Convenzione Unesco sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003), perché promuove una nuova visione del rapporto tra patrimonio culturale e le comunità che lo custodiscono;

   tra gli appelli affinché sia ratificata la Convenzione, anche quello di Federculture, che ha già raccolto oltre 3.200 firme –:

   quali iniziative il Ministro interrogato stia adottando o intenda adottare per predisporre gli strumenti necessari all'attuazione della Convenzione citata.
(3-00650)

(26 marzo 2019)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI POLITICA ECONOMICA, ALLA LUCE DEI RECENTI DATI ECONOMICI

   La Camera,

   premesso che:

    sulla base dei dati comunicati dall'Istat il 5 marzo 2019, nel terzo e quarto trimestre 2018 – dopo 14 trimestri di crescita ininterrotta – la variazione congiunturale del prodotto interno lordo è risultata negativa e, nel quarto trimestre, si è azzerata anche la variazione tendenziale rispetto al quarto trimestre dell'anno precedente;

    secondo quanto diffuso dall'Istituto di statistica il 27 febbraio 2019, la fiducia delle imprese è in costante diminuzione dal giugno 2018, passando da un valore indice di 105,2 al 98,3 del febbraio 2019, che rappresenta il punto più basso degli ultimi anni; secondo gli stessi dati, si assiste ad un medesimo fenomeno di inversione del clima di fiducia dei consumatori, passato dal valore indice di 116,2 del luglio 2018 al 112,4 di febbraio 2019;

    il rapido deteriorarsi della crescita del reddito e del clima di fiducia degli agenti economici nazionali sta dando luogo a ripercussioni negative nel mercato del lavoro: i dati diffusi dall'Istat il 1° marzo 2019 evidenziano che, dall'insediamento del Governo Conte (1° giugno 2018) al 31 gennaio 2019, si sono persi 91 mila occupati e, in particolare, 53 mila unità di lavoro dipendente a tempo indeterminato, mentre si osserva un aumento di 32 mila unità di lavoro a tempo determinato;

    da maggio 2018 a dicembre 2018 si è inoltre verificato un deflusso di investimenti di portafoglio esteri dal nostro Paese pari cumulativamente a 109,4 miliardi di euro (di cui 88,1 miliardi relativi a strumenti di debito della pubblica amministrazione), come si osserva nei dati diffusi da Banca d'Italia il 19 gennaio 2019;

    il deciso peggioramento della congiuntura economica – dovuto al peggioramento della domanda interna e non alla componente estera – rende con assoluta evidenza del tutto irrealistico il quadro macroeconomico aggiornato dal Governo il 30 dicembre 2018, e basato su una crescita annua del prodotto interno lordo pari all'1 per cento – da ultimo criticata dall'Ocse, che stima un tasso addirittura negativo, pari a -0,2 per cento – e ad un indebitamento netto nominale pari al 2 per cento del reddito nazionale;

    nonostante gli annunci ripetutamente effettuati dal Governo fin dall'estate 2018, risultano ancora sostanzialmente fermi gli investimenti pubblici, previsti addirittura in calo di più di un miliardo di euro sull'esercizio 2019;

    questi andamenti confermano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'incapacità di programmazione dimostrata dal Governo, aggravata da un'inversione di tendenza nella trasparenza che le diverse fasi del ciclo di bilancio imporrebbero, ai sensi della normativa nazionale ed europea, al processo di condivisione degli obiettivi di finanza pubblica;

    la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2018, che ha costituito il primo documento di programmazione presentato dal Governo in carica, oltre a proporre uno scenario programmatico inattendibile, come già previsto dai più autorevoli osservatori nazionali e internazionali, risultava altresì, per la prima volta, priva di alcuni elementi fondamentali, quali l'analisi di sensitività della dinamica del rapporto debito/prodotto interno lordo alle variabili macroeconomiche che ne determinano l'evoluzione e, nell'annesso relativo alla relazione al Parlamento, il piano di rientro di cui all'articolo 6, comma 3, della legge n. 243 del 2012;

    i documenti programmatici di finanza pubblica svolgono una delicata e importante funzione informativa a livello nazionale, comunitario e internazionale, in grado di rendere pienamente visibili le scelte di policy; previsioni tendenziose e inattendibili possono compromettere notevolmente l'efficacia della programmazione finanziaria,

impegna il Governo:

1) al fine di assicurare la trasparenza e l'affidabilità dei conti pubblici, al servizio del Parlamento e dei cittadini, a delineare al più presto, nell'ambito del prossimo documento di economia e finanza – comunque da presentare alle Camere entro il 10 aprile 2019 – l'effetto sui conti pubblici del deciso peggioramento della congiuntura macroeconomica;

2) a chiarire come intenda rispettare gli impegni di finanza pubblica concordati con la Commissione europea ed esposti nell'aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica del 30 dicembre 2018, al fine di scongiurare una costosa procedura di infrazione;

3) a specificare come intenda evitare il peggioramento del rapporto debito/prodotto interno lordo – inevitabile, dato l'andamento della congiuntura, in assenza di interventi correttivi – che avrebbe pesanti ripercussioni sul costo di finanziamento delle passività dello Stato, innescando un pericoloso circolo vizioso già sperimentato in anni recenti in alcuni Stati membri dell'Unione europea;

4) ad esporre chiaramente quali nuove iniziative di politica economica intenda adottare nel corso del 2019 per contrastare la recessione, sostenere il reddito dei lavoratori e migliorare le condizioni strutturali di competitività e produttività del sistema delle imprese.
(1-00141) «Marattin, Boccia, Boschi, De Micheli, Madia, Melilli, Navarra, Padoan, Enrico Borghi, Fiano».

(13 marzo 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    la legge di contabilità nazionale (legge n. 196 del 2009), come modificata dalla legge n. 163 del 2016, fissa al 10 aprile la data di presentazione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, del principale strumento di programmazione economica e finanziaria nazionale, ovverosia il documento di economia e finanza, al cui interno è contenuto il programma di stabilità e il programma nazionale di riforma;

    la presentazione del documento di economia e finanza nella prima metà del mese di aprile è volta a consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici in tempo utile per l'invio, entro il 30 aprile, al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea del programma di stabilità e del programma nazionale di riforma, che potrà, in questo modo, tener conto delle indicazioni fornite nell'analisi annuale della crescita, predisposta all'inizio di ciascun anno dalla Commissione europea;

    in particolare, nell'ambito del documento di economia e finanza per il 2020, il Governo Conte, alla luce dei contenuti della legge di bilancio per il 2019 (legge 31 dicembre 2018, n. 145), sarà tenuto a fornire delle indicazioni puntuali su come il nostro Paese intenda rispettare gli impegni relativi ai conti pubblici per il 2020 e, in particolare, a spiegare se e come intende disinnescare circa 23,1 miliardi di euro di clausole di salvaguardia previsti nel corso del 2020 e 28,8 miliardi di euro nel 2021, che corrispondono a più di 50 miliardi di euro di aumenti Iva nel biennio, capaci di pregiudicare in modo irreversibile le condizioni economiche già precarie in cui versa il nostro Paese;

    sino ad oggi ancora non si comprende se il Governo eviterà detti aumenti con misure tese ad un innalzamento del livello di tassazione ovvero ad un pesante taglio della spesa pubblica, ovvero ancora con la modifica o abrogazione di alcune norme onerose della legge di bilancio per il 2019, ovvero ancora con non meglio definiti interventi sulla crescita di cui oggi si leggono solo gli annunci, finanziati in deficit o con il taglio delle agevolazioni fiscali (tax expenditures), di cui sono dubbi gli effetti di crescita sull'economia del Paese, senza contare che detti effetti, nella migliore delle ipotesi, potrebbero prodursi solo a partire dall'autunno 2019;

    ma ciò che appare ancor più preoccupante è che, secondo voci circolanti nell'ambiente, il Governo sarebbe intenzionato a presentare ad aprile 2019 un documento di economia e finanza contenente solo un quadro delle stime che rinvia all'autunno 2019, con la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2020, ogni decisione cruciale di natura programmatica che, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità nazionale, dovrebbe essere invece contenuta nel documento di economia e finanza. Rispetto al documento di economia e finanza 2020, infatti, il Governo Conte è obbligato a presentare sia il quadro programmatico sia quello tendenziale relativo alla finanza pubblica;

    occorre, poi, considerare che, oltre ai citati interventi relativi alle clausole di salvaguardia previste dalla legge di bilancio per il 2019, il nostro Paese è a rischio di altri due interventi significativi dal punto di vista finanziario, due manovre economiche per essere precisi. La prima, da 2 miliardi di euro, sarà varata nel mese di luglio 2019, quando il Governo sarà costretto a far scattare la clausola «salva deficit» inserita nella legge di bilancio per il 2019, come voluto dalla Commissione europea nel caso in cui il rapporto deficit/prodotto interno lordo aumenti sopra l'obiettivo annuale del 2,04 per cento concordato nel dicembre 2018: un taglio secco di 2 miliardi di euro che colpirà inesorabilmente le dotazioni dei ministeri, 300 milioni di euro di tagli ai trasporti locali, oltre 100 milioni di euro di tagli per imprese e università e altri alla difesa e alla famiglia. La seconda è, infine, un'ulteriore manovra correttiva, stimata, per quanto risulta, in circa 10 miliardi di euro, volta a compensare l'eccesso di deficit che si viene a generare per effetto del crollo del prodotto interno lordo e dell'entrata dell'economia italiana in recessione;

    non a caso, recentissimamente il Vice Presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha invitato l'Italia a prendere nuove iniziative per ridurre il deficit e il debito pubblico che nel gennaio 2019 ha registrato un nuovo picco (dal Bollettino statistico mensile elaborato da Banca d'Italia si apprende, infatti, che a gennaio 2019 il debito pubblico si è attestato a di 2.358 miliardi di euro, rispetto ai quasi 2.317 miliardi di fine 2018. L'incremento mensile è stato pari a oltre 41 miliardi di euro. Il precedente massimo del debito pubblico italiano risaliva a novembre 2018: oltre 2.345 miliardi di euro). Di fronte a tale richiesta il Governo non potrà permettersi di presentare un documento di economia e finanza composto dal solo quadro tendenziale senza riportare quadro macroeconomico, perché ciò potrebbe innescare uno scontro con l'Unione europea, con conseguenze inimmaginabili sui mercati finanziari e il rischio che le agenzie di rating continuino ad abbassare se non a declassare il rating dell'Italia. A poco varrà ricorrere pure allo stratagemma di presentare un documento di economia e finanza con un quadro programmatico del tutto simile, se non identico al quadro tendenziale per mostrare la poca importanza attribuita al quadro programmatico che potrebbe essere modificato con la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza nell'autunno 2019, facendo leva sul fatto che in passato l'aumento dell'Iva è sempre stato evitato con altre misure che alla fine si sono tradotte nel solito ricorso al maggior deficit e alla maggior flessibilità concessa da parte dell'Unione europea, oltre che da ultimo con la reiterazione delle clausole di salvaguardia con importo maggiorato; alla luce di quanto accaduto durante la discussione del disegno di legge di bilancio per il 2019, questi escamotage non potranno essere più accettati dall'Unione europea che ha già chiarito nel dicembre 2018 che non sarà più possibile concedere ulteriore flessibilità all'Italia;

    va considerato, inoltre, che tutte le previsioni fatte sino ad oggi rilevano che la crescita italiana sarà ben al di sotto dell'1 per cento stimato dal fino ad ora dal Governo;

    l'Ocse ha annunciato che l'anno 2019 si chiuderà in recessione per l'Italia;

    il 20 marzo 2019 Fitch ha tagliato le stime di crescita dell'Italia. In particolare, nel 2019, secondo il «Global economic outlook», il prodotto interno lordo del nostro Paese crescerà solo dello 0,1 per cento, rispetto alla previsione dell'1,1 per cento del dicembre 2018, mentre nel 2020 la crescita attesa si riduce dall'1,2 allo 0,5 per cento;

    l'Italia, dopo la Turchia, è stato il Paese che ha subito la revisione più pesante del prodotto interno lordo 2019, pari a un punto percentuale nel giro di un trimestre;

    già nel mese di febbraio 2019 Fitch aveva tagliato le previsioni di crescita dell'Italia allo 0,3 per cento;

    alla luce di quanto precede, la scelta politica dell'attuale Governo di innalzare la pressione fiscale per le imprese, disincentivando il lavoro e avallando politiche meramente assistenzialistiche, come quelle relative all'introduzione del reddito di cittadinanza, è idonea a produrre, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, effetti catastrofici per la tenuta dei conti pubblici e la situazione economica del Paese;

    un recente rapporto dello studio internazionale Dla Piper ha calcolato che, per effetto della legge di bilancio per il 2019, il peso del fisco sulle imprese è già risalito sopra la soglia del 50 per cento: una percentuale tra le più alte al mondo. Inoltre, la pressione fiscale rischia di aumentare ancora notevolmente nei prossimi mesi;

    l'abolizione o la riduzione di misure agevolative pro-crescita come l'aiuto alla crescita economica, l'iper e super ammortamento e il patent box, infatti, creeranno un nuovo aggravio fiscale proprio sulle imprese, che sono tra le componenti della società che dovranno sopportare maggiormente i costi necessari per finanziare il reddito di cittadinanza e «quota 100». Le misure agevolative abolite avevano sicuramente creato un forte incentivo per le imprese ad investire in beni strumentali (iper e super ammortamento), nella proprietà intellettuale (patent box) e a finanziarsi attraverso il canale dell’equity anziché del debito, risolvendo un atavico problema della finanza d'impresa italiana, quello dell'eccessiva dipendenza dal finanziamento bancario. Senza di queste, le imprese saranno così costrette a ridurre di nuovo questi investimenti, i più importanti, tra le altre cose, per rimanere al passo con le imprese delle altre nazioni;

    il contesto generale appare, dunque, certamente negativo e anche se a gennaio 2019, nel fatturato e negli ordinativi delle aziende, si è assistito ad un'inversione di tendenza, con il +3,1 per cento dei fatturati ed il +1,8 per cento negli ordinativi, permangono settori fortemente colpiti dalla recessione, come quello automobilistico che ha chiuso nel mese di gennaio 2019 con il -21,5 per cento e si trova oggi a fare i conti anche con l'introduzione dell'ecotassa. Tale situazione si evolverà anche in base al modo in cui si concluderà la battaglia sui dazi tra Europa e Stati Uniti. Se, infatti, il Presidente Trump dovesse imporre una tariffa sulle importazioni di automobili europee, il colpo di grazia all'industria tedesca trascinerebbe anche le imprese italiane, che sono fra i maggiori sub-fornitori di quella industria;

    ulteriori effetti recessivi potrebbero prodursi qualora non si intervenga in modo chiaro e deciso sui fattori domestici che sono all'origine del rallentamento economico del Paese, imprimendo un forte rilancio degli investimenti pubblici che, nonostante gli annunci e le rassicurazioni fornite durante la discussione della legge di bilancio per il 2019 e già prima durante la discussione dei provvedimenti hanno affrontato il tema del cosiddetto «bando periferie» e altro, non sono stati avviati, chiarendo in modo definitivo che si intende procedere con la realizzazione del Tav, sgomberando il campo da qualsiasi rischio di adozione di provvedimenti anticoncorrenziali come la chiusura domenicale obbligatoria dei negozi e, ancora, modificando alcune norme del cosiddetto «decreto dignità» (decreto-legge n. 87 del 2018), che rendono, di fatto, impossibile rinnovare i contratti a tempo determinato;

    i dati diffusi dall'Istat il 1° marzo 2019 sul mercato del lavoro evidenziano del resto che, dall'insediamento del Governo Conte al 31 gennaio 2019, si sono persi 91.000 occupati;

    nella giornata del 21 marzo 2019 l'Osservatorio Inps sulla cassa integrazione ha evidenziato come, nel mese di gennaio 2019, siano arrivate 201.267 richieste di sussidio disoccupazione (tra le quali 198.294 domande di Naspi), con una crescita del 13,4 per cento su gennaio 2018: si tratta del dato più alto registrato a gennaio negli ultimi quattro anni. A dicembre 2018 le richieste di disoccupazione erano state 127.162;

    nell'ambito di questo contesto appare chiaro che lo spread sui titoli pubblici che da maggio 2018 frena l'economia non scenderà in modo significativo, fino a quando gli investitori non capiscono come il Governo intende impostare i conti pubblici del 2020, anche alla luce del peggioramento della congiuntura macroeconomica. Permangono, infatti, forti dubbi su cosa sarà previsto nella legge di bilancio per il 2020, che a oggi prevede, come si è detto, un equilibrio di bilancio precario, basato su un'ottimistica crescita 2020-2021 all'1 per cento e soprattutto sull'entrata in vigore di aumenti di imposte indirette per svariate decine di miliardi di euro, che nessuno nella politica e nell'economia italiana vuole, almeno nell'entità immaginata nei documenti ufficiali;

    sotto tale profilo un'attenta definizione del quadro macroeconomico del documento di economia e finanza per il 2020 non può che rappresentare una tappa cruciale in questo particolare momento storico per il nostro Paese, perché il documento di economia e finanza rappresenta «il programma di Governo» su cui puntano gli occhi non solo l'Europa, ma anche i mercati e gli investitori europei e dai cui dipendono le decisioni di investimento e di disinvestimento industriali a tutti i livelli nazionale, europeo e internazionale;

    il nostro Paese sconta un gap di credibilità rispetto ad altri Paesi europei che deve essere assolutamente recuperato,

impegna il Governo:

1) a porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad anticipare la definizione del quadro macroeconomico del documento di economia e finanza per il 2020, che dovrà essere, comunque, presentato alle Camere entro la data del 10 aprile 2019, corredato sia del quadro tendenziale che di quello programmatico della finanza pubblica;

2) a specificare, nell'ambito del documento di economia e finanza per il 2020, come il Governo intenda:

   a) disinnescare i 23,1 miliardi di euro di clausole di salvaguardia previsti nel corso del 2020 e i 28,8 miliardi di euro nel 2021;

   b) scongiurare il rischio di un'ulteriore manovra da circa 10 miliardi di euro, senza incorrere in procedura di infrazione per eccessivo scostamento del deficit;

   c) dare seguito alla revisione del sistema fiscale, in particolare attraverso l'assunzione di iniziative per l'introduzione di una flat tax di cui circolano svariate versioni provenienti da più fonti e con indefinita indicazione della relativa compensazione finanziaria, come rilevato dalle indiscrezioni apparse sulla stampa nazionale;

3) a chiarire quali iniziative intenda assumere per conciliare con il profilo della tenuta della sostenibilità economico-finanziaria l'annunciata adozione di un nuovo decreto-legge d'urgenza cosiddetto «decreto crescita», nell'ambito del quale si intende riattivare l'operatività di misure cancellate o fortemente depotenziate con la legge di bilancio per il 2019;

4) a esporre nel documento di economia e finanza per il 2020 quali saranno le misure di contrasto alla recessione del Paese e per recuperare credibilità nel contesto europeo e internazionale.
(1-00148) «Mandelli, Brunetta, D'Ettore, Occhiuto, Prestigiacomo, Cannizzaro, D'Attis, Pella, Paolo Russo, Martino, Giacomoni, Baratto, Benigni, Bignami, Cattaneo, Angelucci, Battilocchio».

(25 marzo 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    i dati diffusi dall'Istat sull'andamento dell'economia nazionale nel quarto trimestre 2018 hanno certificato una contrazione del prodotto interno lordo pari allo 0,2 per cento, per il secondo trimestre consecutivo di calo dopo il -0,1 per cento del periodo luglio-settembre 2018: è l'ingresso ufficiale dell'Italia in recessione;

    le conseguenze dell'andamento negativo degli ultimi due trimestri del 2018 avrà effetti per almeno tutto il primo semestre del 2019 e, in assenza di una robusta inversione di marcia nella seconda metà del 2019, renderanno inevitabile una manovra correttiva in estate e, comunque, già nel mese di aprile 2019 il Governo dovrà indicare nel documento di economia e finanza come far fronte ai 23 miliardi di euro necessari per bloccare l'aumento delle aliquote Iva previsto dal 1° gennaio 2020;

    l'ultimo bollettino della Banca d'Italia prevede per il 2019 una crescita massima dello 0,6 per cento, smentendo clamorosamente il dato dell'1 per cento fissato dal Governo nella legge di bilancio per il 2019; dato, peraltro, già rivisto al ribasso rispetto all'1,5 per cento stimato a settembre 2018;

    l'impatto negativo della frenata del prodotto interno lordo sui conti pubblici determinerà in automatico l'incremento del deficit nominale e del debito e, se non sarà compensato da massicci investimenti, rischia di avere effetti devastanti;

    mentre, sugli investimenti pubblici si rileva la paralisi dei cantieri che si sta venendo a creare a causa delle numerose fratture interne della maggioranza e che rischia ora di bloccare anche il Tav, spingendo l'Unione europea ad annunciare che si potrebbe chiedere all'Italia di restituire anche i fondi già percepiti, rispetto agli investimenti privati pesano i dati diffusi da Confindustria a gennaio 2019, dai quali risulta che la fiducia delle imprese continua a calare e che peggiorano le valutazioni delle imprese sulle condizioni per investire;

    la Banca d'Italia ha rilevato che gli investimenti delle imprese in beni strumentali, cresciuti del 5,2 per cento nel 2018, caleranno drasticamente nel 2019 e nel 2020, un peggioramento dovuto soprattutto alla legge di bilancio per il 2019, che ha cancellato il super-ammortamento e rimodulato gli incentivi dell'iper-ammortamento in beni tecnologici;

    le imprese italiane continuano a essere vessate da una tassazione abnorme e dal peso di un'eccessiva burocrazia; la fatturazione elettronica si sta rivelando un disastro, mentre diminuiscono le infrastrutture e gli investimenti;

    nell’«Analisi annuale della crescita 2019», elaborata dalla Commissione europea nel novembre 2018, nel confermare che l'economia europea è entrata nel sesto anno di crescita ininterrotta, si ribadisce che «in diversi Stati membri il flebile impulso delle riforme, la bassa crescita della produttività e gli elevati livelli di debito gravano sul potenziale di crescita dell'economia», che vi sono notevoli differenze di produttività tra imprese, settori e regioni dell'Unione europea e che proprio le ampie disparità regionali e territoriali «rimangono un'importante fonte di preoccupazione»;

    nell'analisi si afferma, inoltre, che, nonostante i progressi compiuti, «le sfide e i rischi esterni sono in aumento», tra i quali in primo luogo figurano l'ascesa economica della Cina e il crescente protezionismo commerciale praticato dagli Stati Uniti;

    in particolare, il documento cita, tra le «vulnerabilità persistenti», la bassa crescita della produttività, le persistenti disuguaglianze di reddito e la lenta diminuzione della povertà, le disparità regionali e territoriali, l'elevato debito pubblico e privato e altri squilibri macroeconomici persistenti all'interno della zona euro;

    tra le «sfide a breve termine» figurano, tra le altre, l'aumento del protezionismo e tensioni geopolitiche che incidono sulle relazioni commerciali, l'instabilità sui mercati emergenti e il graduale ritiro dello stimolo della Banca centrale europea, mentre tra le «sfide a medio/lungo termine» sono annoverati anche l'impatto dei cambiamenti demografici e il ruolo delle migrazioni;

    l'azione protezionistica avviata dagli Stati Uniti, con l'introduzione dei dazi su siderurgia e acciaio come reazione al surplus commerciale tedesco, rischia di scatenare una guerra commerciale dagli esiti drammatici per le aziende italiane, oltre ad acuire la crisi di alcune economie emergenti che rappresentano per l'Italia importanti partner commerciali e mercati per le esportazioni;

    le imprese italiane sono già gravemente penalizzate a causa delle sanzioni commerciali imposte alla Russia e che, negli anni in cui sono state in vigore, hanno inflitto perdite al mercato delle esportazioni italiane per tre miliardi di euro ogni anno, colpendo in particolar modo le imprese agroalimentari e il mercato delle tecnologie;

    l'Italia rivela dati nettamente inferiori a quelli della media degli Stati della zona euro anche per quanto riguarda la percentuale di occupati e il tasso fissato come obiettivo nell'ambito della strategia «Europa 2020», che consiste nell'elevamento almeno al 67 per cento per i soggetti della fascia d'età compresa tra i 20 ed i 64 anni, appare lontano dall'essere raggiunto;

    sull'occupazione stabile continua a pesare in modo drammatico il costo del lavoro, che in Italia è del 10 per cento superiore a quello che si registra mediamente nel resto d'Europa, prelevando il 49 per cento «a titolo di contributi e di imposte»;

    ancora peggiore, se possibile, è la situazione delle piccole e medie imprese: il total tax rate stimato per una media impresa equivale a un carico fiscale complessivo superiore di quasi venticinque punti rispetto a quello pagato dalla media delle imprese in Europa, sfiorando il 65 per cento;

    questi due oramai cronici fattori di crisi per l'Italia, cui si aggiunge il basso reddito pro capite, non sembrano aver trovato soluzione nelle politiche economiche e fiscali varate sin qui da questo Governo, che più che puntare al rilancio della produttività si concentra sul versante assistenzialistico;

    anche la ripresa degli investimenti pubblici, alla quale l'ultimo documento di economia e finanza aveva riconosciuto un ruolo chiave per sostenere imprese e occupazione, non sembra ancora trovare attuazione e, anzi, si sta assistendo all'abbandono di progetti deliberati da tempo, quali la realizzazione del Tav, con enormi danni a imprese e lavoratori coinvolti;

   la doverosa riduzione del debito pubblico non può essere realizzata con le cieche politiche di austerità che derivano dall'applicazione di tali regole, che hanno prodotto effetti devastanti sulla mancata ripresa economica, sull'impoverimento dei cittadini, sull'acuirsi delle disuguaglianze sociali, e hanno agito nel senso di una sistematica disintegrazione del sistema di protezione sociale;

   l'obbligo di fatturazione elettronica per tutte le operazioni tra partite Iva e con i consumatori in vigore dal 1° gennaio 2019 sta determinando gravi problematiche nella sua applicazione, con gravi inefficienze del sistema, quali i pesanti ritardi nella gestione telematica della fatturazione elettronica con il rischio che la fattura possa non arrivare in tempi brevi al destinatario, comportando inevitabilmente ritardi nell'esecuzione del dovuto pagamento;

    d'altro lato, conseguenza ancora peggiore dell'obbligo di fatturazione elettronica è il fatto che sta determinando un boom di chiusure tra le attività commerciali di piccole dimensioni, dove in molti casi i gestori, spaventati dalla rivoluzione digitale e in mancanza di ricambio generazionale, hanno «accelerato» il pensionamento per non dover affrontare lo scoglio della nuova fatturazione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per varare con urgenza la cosiddetta flat tax incrementale, volta a realizzare una detassazione sul reddito incrementale per i lavoratori autonomi e per le imprese;

2) a promuovere una riforma del sistema tributario con l'introduzione di un'unica aliquota fiscale (flat tax) per famiglie e imprese con previsione di no tax area e deduzioni;

3) ad adottare iniziative volte a ridurre e semplificare gli adempimenti burocratici a carico delle imprese;

4) a sostenere in sede europea la necessità di scorporare dal calcolo del deficit le spese per investimenti, per la prevenzione dei rischi idrogeologici e sismici e quelle per la sicurezza e ad assumere iniziative volte a introdurre una maggiore flessibilità nell'individuazione delle circostanze eccezionali di cui all'articolo 81 della Costituzione;

5) ad assumere iniziative volte a disporre la sospensione dell'obbligo della fatturazione elettronica a carico delle imprese che occupano fino a duecento dipendenti;

6) ad assumere iniziative per avviare la progressiva riduzione delle accise sulla benzina;

7) ad assumere iniziative per escludere dallo split payment le piccole e medie imprese;

8) a promuovere l'adozione di un piano nazionale di interventi, anche di natura fiscale, finalizzato a contrastare la crisi demografica in atto e incentivare la natalità, con provvedimenti strutturali e permanenti, quali, in primo luogo, la gratuità degli asili nido e gli assegni per i figli;

9) ad assumere iniziative urgenti, anche di carattere normativo, volte a contrastare la concorrenza fiscale sleale tra Stati membri e il fenomeno delle delocalizzazioni intracomunitarie;

10) a realizzare una politica economica basata sulla difesa del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura italiani da concorrenza sleale e, tenuto conto che sussistono normative europee che possono penalizzare l'Italia, volta a sostenere la produzione industriale e agricola riconoscibile come marchio Italia e la graduale riconversione della produzione esposta alla concorrenza indiscriminata;

11) ad adottare politiche industriali efficienti volte a fronteggiare la minaccia all'economia e alla sicurezza del Paese attraverso la tutela delle aziende italiane di rilevanza strategica o ad elevato contenuto tecnologico, spesso permeabili a manovre esterne indirizzate ad assumerne il controllo;

12) ad adottare iniziative volte a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni insulari;

13) ad avviare negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti dal Fiscal compact, al fine di avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, con l'impegno da parte italiana a utilizzare la maggiore flessibilità unicamente in investimenti pubblici e sicurezza.
(1-00149) «Lollobrigida, Meloni, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

(25 marzo 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia è entrata in recessione, in un quadro dell'eurozona segnato da un sempre più intenso rallentamento, fino alla stagnazione;

    le condizioni dell'economia italiana sono conseguenza di nodi strutturali storici, a cominciare dalle carenze di contesto in termini di capitale immateriale (dall'efficienza delle pubbliche amministrazioni, in particolare l'amministrazione della giustizia) e materiale (livello delle dotazioni infrastrutturali, in particolare nel Mezzogiorno);

    sull'aggravamento della congiuntura pesano anche e in misura significativa l'incertezza, le contraddizioni e i pericoli determinati dal quadro politico dove prevale, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, in modo ossessivo e irresponsabile il comportamento elettorale di ciascuno dei partiti della maggioranza;

    le dinamiche del nostro Paese interagiscono e sono profondamente segnate dal mercato unico europeo e dall'eurozona, ambiti condizionati da un estremismo mercantilista sempre meno sostenibili, in quanto foriero di inevitabili reazioni protezioniste;

    appare oramai inconfutabile che tra le debolezze strutturali del sistema-Italia, già fortemente pervaso e provato dalla crisi globale, vi sia anche un'iniqua distribuzione primaria del reddito e della ricchezza, aggravata dai caratteri, sul versante del prelievo fiscale e dei tagli di spesa, del risanamento dei conti pubblici messo in atto dagli ultimi Governi italiani, che ha avuto come attori/destinatari principali i lavoratori dipendenti e i pensionati, che sono stati chiamati a pagarne la maggior parte del costo. Se il ricorso alla leva fiscale ha, infatti, permesso di avviare un processo di risanamento della finanza pubblica, ciò è stato possibile grazie a provvedimenti che non hanno ripartito equamente il carico tributario, ma piuttosto hanno progressivamente innalzato il livello della tassazione reale fino ad un insostenibile 48,8 per cento;

    gli stessi Governi hanno portato gli investimenti pubblici al loro minimo storico, essendosi limitati a concepire corposi interventi «supply side», ossia di ristrutturazione della tassazione d'impresa (si pensi, ad esempio, al cosiddetto Ace, al cosiddetto super ammortamento, alla riduzione di Ires ed Irap) o di riduzione del costo del lavoro (come nel caso dei reiterati sgravi contributivi sulle nuove assunzioni), che scarsamente si sono tradotti in investimenti produttivi capaci di favorire la crescita del prodotto interno lordo e di stimolare l'occupazione «stabile», avendo restituito, in termini di effetti, un dato molto contenuto, considerando la mole di risorse stanziate (circa 35 miliardi di euro nel solo biennio 2015-2016) e un deleterio aggravamento del disavanzo del bilancio statale;

    i medesimi dati Istat confermano il sostanziale fallimento rispetto alle attese iniziali che sul mercato del lavoro hanno prodotto il cosiddetto Jobs Act e il pacchetto di decontribuzione previdenziale di circa 15 miliardi di euro nel triennio: dal gennaio 2015 al luglio 2018 gli occupati a tempo indeterminato sono aumentati di appena 376.000 unità;

    pesanti battute d'arresto si registrano anche sul versante dei consumi e della produzione industriale;

    il Governo in carica continua ad applicare lo stesso impianto «supply side» dei Governi precedenti;

    il 2019 presenta dunque un profilo di finanza pubblica assolutamente insostenibile: gli obiettivi di deficit, affidati in primis a clausole di salvaguardia, specificamente aumenti di Iva e accise nell'ordine di 23-28 miliardi di euro nel 2020, sono controproducenti, soprattutto se venissero ribaltati sul piano di tagli alla spesa pubblica;

    dopo appena un mese dal varo della legge di bilancio per il 2019, la revisione al ribasso delle previsioni di crescita del prodotto interno lordo, dovute a un eccesso di ottimismo, deriva dalle evidenziate difficoltà dell'economia mondiale ed europea e prospetta, secondo una prima valutazione, un maggior deficit pubblico nell'ordine di 5-6 miliardi di euro;

    un aumento di un punto percentuale di prodotto interno lordo all'anno (circa 18 miliardi di euro) per un triennio della spesa per investimenti pubblici destinati alla messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale, alla difesa dell'assetto idrogeologico e ad un piano industriale per la mobilità sostenibile, sarebbe capace di rianimare e qualificare la ripresa economica con effetti positivi sulla sostenibilità del debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo;

    al fine di compensare questo ciclo negativo e dare certezza alle imprese del nostro Paese, il prossimo documento di economia e finanza che il Governo si appresta a presentare al Parlamento non può prescindere anche da una revisione al rialzo degli obiettivi di deficit, al fine di cancellare le clausole di salvaguardia e fare spazio agli investimenti pubblici, da destinare, in particolare, a piccole opere e al Mezzogiorno,

impegna il Governo:

1) a ridefinire gli obiettivi programmatici di politica economica al fine di attuare un'incisiva manovra anti-ciclica concentrata sugli investimenti pubblici, in particolare nel Mezzogiorno, volta ad alimentare la domanda interna qualificata e generatrice di aumenti di produttività totale dei fattori;

2) ad includere nel prossimo documento di economia e finanza una sezione per analizzare gli effetti pro-ciclici del Fiscal compact e le conseguenze di svalutazione interna e di deficit cronico di domanda aggregata indotta dalle scelte di politica economica compiute nell'ultimo decennio nel mercato unico e nell'eurozona.
(1-00151) «Fornaro, Fassina».

(26 marzo 2019)