TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 125 di Mercoledì 13 febbraio 2019

 
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MOZIONI CONCERNENTI LA REALIZZAZIONE DELLA SEZIONE TRANSFRONTALIERA DELLA NUOVA LINEA FERROVIARIA TORINO-LIONE

   La Camera,

   premesso che:

    la rilevanza della tratta dell'alta velocità ferroviaria Torino-Lione è consolidata non solo in numerosi voti del Parlamento italiano, ma anche nel comune sentire delle popolazioni locali che, già in occasione delle elezioni politiche del 2018, ma anche recentissimamente, con manifestazioni cui hanno partecipato decine di migliaia di cittadini e centinaia di amministratori locali dell'area interessata dai lavori o dalle ricadute dell'opera, hanno chiaramente mostrato di appoggiarne la realizzazione;

    per la realizzazione della nuova linea Torino-Lione, l'Italia ha sottoscritto il 30 gennaio 2012 un accordo con la Francia, ratificato da entrambi i Paesi (per l'Italia con la legge 23 aprile 2014, n. 71). Per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea il 24 febbraio 2015 Francia e Italia hanno sottoscritto un altro accordo, ratificato con la legge del 5 gennaio 2017, n. 1;

    il progetto definitivo italiano è stato approvato con la delibera del Cipe del 20 febbraio 2015, n. 19; con decisione ministeriale del 2 giugno 2015, anche la Francia ha approvato il proprio «progetto di riferimento»;

    l'Unione europea ha deciso di cofinanziare tale opera nell'ambito del programma Connecting Europe facility (CEF), lo strumento finanziario dell'Unione europea diretto a migliorare le reti europee nei settori dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni, con un finanziamento, fino all'anno 2019, pari al 40 per cento dell'ammontare delle opere;

    il costo del tunnel transfrontaliero, i cui lavori dovrebbero entrare a pieno regime a inizio 2019, è di 8,6 miliardi di euro (costo certificato da un ente terzo), di cui il 40 per cento, come detto, a carico dell'Unione europea, il 35 per cento a carico dell'Italia (circa 3 miliardi di euro), il 25 per cento della Francia. Il costo totale della Torino-Lione a carico dell'Italia, quantificato dalla delibera del Cipe 28 febbraio 2018, è di circa 6 miliardi di euro, di cui circa 3 già disponibili. Entro il 2019 è prevista l'assegnazione degli appalti per 81 bandi di gara (43 in Italia), per un totale di 5,5 miliardi di euro. Questo procedimento è al momento bloccato in quanto la società Tunnel Euralpin Lyon Turin (Telt, promotrice della sezione transfrontaliera), che avrebbe dovuto pubblicare il bando di gara internazionale per 2,3 miliardi di euro entro l'estate 2018, ha deciso di non farlo, in attesa dell'analisi costi-benefici prevista dal Governo che avrebbe dovuto essere pronta già a novembre 2018, due mesi dopo la dead line fissata nel planning dei lavori concordato con l'Unione europea per la concessione dei finanziamenti, con rischio di perdita, in tutto o in parte, degli stessi. Talune fonti stimano in 3,4 miliardi di euro il costo per lo Stato del blocco definitivo della Tav, considerando gli oneri per la rescissione dei contratti, gli appalti già avviati, il ripristino degli scavi e le penali;

    gli enti territoriali del Piemonte e le comunità locali della Valle di Susa e del Torinese, interessati dal passaggio della nuova linea Torino-Lione, hanno da tempo sviluppato proposte programmatiche, nell'obiettivo di assicurare il miglior raccordo tra la nuova opera ed il sistema socioeconomico locale; in particolare, nel progetto Smart Susa valley (SSV), approvato nell'ottobre del 2013, sono raccolte le proposte di valorizzazione e sviluppo del territorio interessato dalla nuova linea Torino-Lione. Le ipotesi di lavoro connesse al documento sono state condivise nelle linee iniziali con tutti sindaci del territorio, compresi quelli contrari al progetto, in una riunione plenaria svoltasi in regione il 18 giugno 2012, alla presenza dei presidenti di regione e provincia;

    la regione Piemonte, la società Tunnel Euralpin Lyon Turin (Telt, promotrice della sezione transfrontaliera) ed il commissario di Governo hanno proposto nel maggio 2017 un protocollo d'intesa chiamato «patto del territorio», dando attuazione alla legge regionale n. 4 del 2011, denominata «cantieri, sviluppo, territorio», per la gestione delle misure compensative connesse all'opera in favore della Val di Susa. Tale patto prevede:

     a) la realizzazione di opere di mitigazione previste e prescritte nel progetto a carico della Telt, destinate, tra l'altro, a ridurre gli impatti territoriali, ivi compreso l'interramento degli elettrodotti e la rinaturalizzazione delle aree asfaltate;

     b) gli interventi di accompagnamento al cantiere, a carico della regione ai sensi della legge regionale n. 4 del 2011, destinati a intercettare in sede locale le opportunità di lavoro e sviluppo prodotte dai cantieri, in particolare in relazione alla qualificazione e all'impiego dei lavoratori locali e all'utilizzo di imprese locali. Questa parte del progetto prevede anche il miglioramento della ricettività locale per gli operai dei cantieri, mediante ripristino del patrimonio edilizio locale;

     c) gli interventi definiti di «compensazione ambientale, territoriale e sociale» posti in essere dalla regione, anche per il tramite della Società di committenza della regione Piemonte (SCR) o di Finpiemonte, e quantificati nelle deliberazioni del Cipe, che hanno come obiettivo lo sviluppo sostenibile e durevole del territorio;

    nel documento condiviso del dicembre 2017, redatto dall'Osservatorio per l'asse ferroviario Torino-Lione, sono raccolti e sintetizzati gli interventi di valorizzazione territoriale e di mitigazione dell'area della Val Di Susa, previsti sulla base delle risorse disponibili a quella data. Con la delibera n. 67 del 7 agosto 2017, il Cipe ha stanziato ulteriori 57,26 milioni di euro per le opere compensative per i territori interessati dai lavori, portando così a 100 milioni di euro le risorse complessive per le misure di accompagnamento alla nuova linea Torino-Lione. A tale cifra fa riferimento il documento condiviso redatto dall'Osservatorio nel dicembre 2017;

    Telt prevede il coinvolgimento di 20 mila imprese, tra appalti e subappalti, e di 8.000 lavoratori (diretti e indotto). In tale ambito il patto per il territorio, prevede particolare attenzione alle imprese e alle maestranze locali:

     a) per quanto riguarda le imprese, il patto, in attuazione della citata legge regionale n. 4 del 2011, prevede di favorire le aggregazioni di impresa per aumentare la loro competitività in termini di capacità e qualificazione ad aggiudicarsi gli appalti anche riuniti in consorzio o in associazione temporanea di imprese. Pur non potendo inserire premialità esplicite nei capitolati, il patto prevede accorgimenti a vantaggio delle aziende del territorio. Ad esempio, nelle offerte sarà valutato positivamente tutto ciò che «saprà riqualificare oltre che costruire»; inoltre, le spese per vitto e alloggio dovranno essere conteggiate dall'impresa all'interno dell'offerta economica;

     b) per quanto riguarda l'occupazione locale, il patto prevede che si dovranno formare, e in parte sono già formati, operai e tecnici in grado di rispondere ai profili richiesti, per creare, tramite la regione, un albo ufficiale di lavoratori dotati di specifiche qualificazioni al quale anche le aziende esterne al territorio potranno attingere, con priorità di coloro che, residenti nell'area interessata dall'opera, hanno perso la propria occupazione o sono in cerca di prima occupazione. A tal fine si è costituito, già dai primi mesi del 2016, un tavolo di confronto con le associazioni datoriali in merito al sistema della formazione professionale e alle opportunità di occupazione derivanti dalla realizzazione dell'opera;

    giova affermare, condividendo quanto accertato da innumerevoli analisi e confermato dall'Osservatorio, che le compensazioni di carattere ambientale, territoriale e sociale connesse alla realizzazione della Torino-Lione non costituiscono il risarcimento di un danno ambientale, la cui insussistenza viene garantita dal progetto approvato e dal controllo operato sulla sua esecuzione. La natura di tali compensazioni ha invece a che fare con l'impegno del territorio, con i disagi connessi alla presenza pluriennale dei cantieri;

    l'irrilevanza e la strumentalità della questione ambientale posta dagli oppositori della Torino-Lione è evidenziata da diversi elementi:

     a) dal 1997 ad oggi la quota di traffico merci su tir che utilizza le autostrade tra Italia e Francia è passata dal 77 per cento al 93 per cento, con un forte impatto sull'ambiente lungo questa parte dell'arco alpino. I dati sono contenuti nel rapporto «Verifica del modello di esercizio per la tratta nazionale lato Italia», redatto dall'Osservatorio per l'asse ferroviario Torino-Lione. Nel 2016 l'arco alpino occidentale è stato attraversato da 42,5 milioni di tonnellate di merci, con quasi 2 milioni e 800 mila tir. I valichi svizzeri sono attraversati da 40,4 milioni di tonnellate di merci, ma i tir sono meno di un milione, perché il 70 per cento delle merci viaggia su treno. Dopo il calo dei volumi di traffico tra il 2007 ed il 2013, dal 2014 gli scambi sono di nuovo in crescita (+6,6 per cento in tre anni). Il dato annuo complessivo del 2017 registra al tunnel autostradale del Fréjus un +4,83 per cento di traffico pesante rispetto al 2016, pari a 344.141 mezzi in direzione Italia, 396.453 in direzione Francia, per un totale di 740.594 mezzi all'anno. Con tutte le conseguenze ambientali che ne derivano! Nel solo mese di gennaio 2018 al Fréjus sono transitati 29.421 mezzi pesanti in direzione Italia, 35.439 in direzione Francia, per un totale di 64.860 tir, pari a circa 2.092 mezzi al giorno, con un +12,14 per cento rispetto al mese di gennaio 2017 (fonte Sitaf spa). Secondo i dati relativi al 2017 pubblicati dal Governo francese, il totale degli scambi solo fra Francia-Italia (import + export) nel 2017 ha raggiunto il livello record di 76,6 miliardi di euro, in aumento dell'8,3 per cento rispetto al 2016. Il deficit bilaterale Italia-Francia risulta essere in favore del nostro Paese per 6,3 miliardi di euro (+4,1 per cento rispetto al 2016);

     b) il traffico sull'attuale linea ferroviaria continua a diminuire e questo per gli oppositori della Tav è argomento sufficiente per dimostrare l'inutilità della nuova linea Torino-Lione. La verità è che la linea attuale ha caratteristiche infrastrutturali tali da non consentire di reggere la concorrenza della strada e delle linee più moderne come quelle svizzere: in particolare, ha forti pendenze che richiedono di usare due o addirittura tre locomotrici per trasportare treni con capacità di carico minore di quelli che passano dalla Svizzera. Per essere competitivo il mercato ferroviario oggi richiede: sagome maggiori dei vagoni (P/C80), treni lunghi (750 metri) e pesanti (1600-2000 tonnellate). Perciò sono necessari tracciati meno tortuosi e pendenze ridotte: lo standard europeo per linee promiscue di treni viaggiatori e treni merci è al 12,5 per mille, il sistema promiscuo di alta velocità italiano accetta pendenze fino al 21 per mille, ma non supera il 18 per mille;

     c) i lavori durati 8 anni (2003-2011) per adeguare il vecchio tunnel alla sagoma P/C45 sono costati 380 milioni di euro (200 all'Italia e 180 alla Francia), ma non sono riusciti a rendere la linea adeguata agli standard (e ai costi) richiesti dal mercato. La galleria del Fréjus, inoltre, non risponde agli standard di sicurezza contemporanei, previsti dalle normative europee. A causa di ciò la capacità effettiva della galleria risulta di 94 treni al giorno, di cui 60 destinabili alle merci (circa 6 milioni di tonnellate annue), contro i 200 treni (di cui 150 per le merci) previsti già nel 2007. Per fronteggiare questa grave carenza si dovrebbe progettare l'adeguamento della vecchia tratta di valico. I costi dell'adeguamento della sola galleria sono stimati nell'ordine dei 1,4-1,7 miliardi di euro e i tempi previsti sono lunghi. Tuttavia, non potendosi modificare l'acclività e i raggi di curvatura della vecchia linea, rimarrebbe la sua intrinseca non competitività. Che oggi costa circa 10 milioni di euro l'anno a Francia e Italia in sussidi agli operatori che scelgono di utilizzare comunque la linea storica. Tali sussidi si dimostrano insufficienti ad evitare la continua emorragia di traffico e comunque dovrebbero rimanere nei prossimi anni;

     d) quando sarà operativa la Tav sarà nettamente più competitiva del trasporto su gomma, generando come effetto una rilevantissima riduzione dei carichi inquinanti e del traffico stradale. La sezione transfrontaliera si estende per circa 66 chilometri tra Saint-Jean-de-Maurienne in Savoia e Susa/Bussoleno in Val Susa (Piemonte). L'elemento fondamentale della sezione è la galleria a doppia canna di 57,5 chilometri (45 chilometri in Francia e 12,5 chilometri in Italia circa). Questa galleria ha una pendenza massima del 12,5 per mille, trasformando la linea esistente di montagna (linea Torino-Bardonecchia-Modane-Lione), in una linea di pianura. Vengono così superati i dislivelli che oggi comportano un costo energetico di attraversamento per i treni merci del 40 per cento in più;

     e) un documento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla «territorializzazione» dell'opera (gennaio 2013), redatto quindi prima della revisione in riduzione dell'opera, effettuata dal Governo nel 2016, esplicita l'evidenza che il consumo totale di suolo previsto per l'intera sezione transfrontaliera della Torino-Lione (lato in Italia) è meno di un decimo del consumo medio di suolo dei comuni della valle;

    da quanto sopra esposto appare evidente che la nuova linea Torino-Lione è un'opera di elevatissima valenza, in quanto riesce a coniugare sviluppo economico, ammodernamento delle reti di collegamento nazionali e continentali e, contestualmente, rilevantissima riduzione degli impatti ambientali di solito connessi a queste attività. Senza considerare il deciso incremento della sicurezza generale;

    il quadrilatero produttivo italo-francese, che si colloca grosso modo a sud e ad ovest delle Alpi, pesa in Europa di più che il potente meridione della Germania, il doppio della grande Londra, 1,7 volte i Paesi Bassi e più di due Svezie o di due Polonie. I numeri parlano chiaro: il Nord Ovest Italia ha un prodotto interno lordo di 549 miliardi di euro, il Nord Est Italia di 387 miliardi di euro, il Rodano-Alpi di 217 miliardi di euro e l'Alvernia di 39 miliardi di euro. L'area economica che va da Trieste a Lione, passando per Treviso, Padova, Verona, Bologna, Milano, Novara, Torino e Grenoble, nel 2016 ha generato un prodotto interno lordo di 1.191 miliardi di euro, più grande di quello della Spagna (1.118 miliardi di euro) e della somma di due colossi come il Baden-Württenberg e la Baviera (1.049 miliardi di euro insieme). La macroregione subalpina del Nord Italia e del Centro-Est della Francia è uno snodo cruciale dell'economia continentale e come tale necessita di tutte le opere infrastrutturali, Tav in primis, che possano rendere quest'area più competitiva, rilanciando l'economia di quei territori, in ritardo di sviluppo o in declino, che da queste opere sono interessati;

    va, quindi, colta come irripetibile l'occasione di rilancio economico che si presenta alla Val di Susa e, più in generale, a tutta questa parte del Piemonte, Torino compresa. Va, altresì, colta come irripetibile l'occasione di sviluppo che si offre all'intero Paese e alle sue imprese in termini di generazione di prodotto interno lordo incrementale, di lavoro, di miglioramento della dotazione infrastrutturale, di ingresso a pieno titolo nelle grandi reti di collegamento europeo, nel caso in questione, di quella che va Lisbona a Kiev e che si collega, idealmente e materialmente, con la «Via della Seta», fino al cuore della Cina;

    nel corso di questi mesi lo scontro sociale e tra le forze politiche, anche interne alla stessa maggioranza di Governo, sulla nuova linea Torino-Lione si è ulteriormente acuito, anche a causa del sistematico utilizzo di prassi dilatorie poste in essere con l'intento di procrastinare le decisioni, che si risolvono, tuttavia, in danno dello sviluppo economico delle aree interessate e generale, delle imprese e della credibilità internazionale del Paese. La stessa ipotesi referendaria tra le popolazioni interessate, sia pure benvenuta in termini di chiarezza, comporta ulteriori impegni temporali,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per consentire lo sblocco delle gare per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, ottemperando agli impegni internazionali assunti dall'Italia con gli accordi con la Francia del 30 gennaio 2012, ratificato con la legge 23 aprile 2014, n. 71, e del 24 febbraio 2015, ratificato con la legge del 5 gennaio 2017, n. 1, nonché con il relativo protocollo addizionale, con allegato, fatto a Venezia l'8 marzo 2016, con annesso regolamento dei contratti adottato a Torino il 7 giugno 2016;

2) ad adottare iniziative per rafforzare l'intervento in favore delle aree e delle popolazioni interessate dalla realizzazione dell'opera, valutando la possibilità di incrementare sino a 150 milioni di euro l'impegno a carico dello Stato per le opere compensative destinate ai territori interessati dalla realizzazione dell'alta velocità Torino-Lione, vincolando una parte non inferiore ad un terzo di tale quota incrementale allo sviluppo delle attività economiche e dell'occupazione della Valle di Susa sulla base delle ulteriori proposte di intervento presentate dalle amministrazioni locali, nonché dalle associazioni datoriali e di categoria;

3) ad adottare iniziative per prevedere ulteriori incentivi e defiscalizzazioni, quale ulteriore forma di compensazione territoriale, dando corso alle progettualità esposte in premessa e valutando altresì la possibilità di istituire una zona franca nell'area geografica interessata dalle opere compensative per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, col fine di favorire l'insediamento di nuove imprese e lo sviluppo del tessuto imprenditoriale già presente sul territorio.
(1-00103) «Porchietto, Ruffino, Napoli, Rosso, Giacometto, Pella, Sozzani, Zangrillo, Occhiuto, Cannatelli, Fiorini, Mulè».

(15 gennaio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    in data 30 gennaio 2012, l'Italia ha firmato un accordo con la Francia, ratificato dai due Paesi (l'Italia con legge 23 aprile 2014, n. 71), per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione;

    il suddetto accordo ha previsto che la ripartizione dei costi dell'opera è fissata nella misura del 57,9 per cento a carico dell'Italia e del 42,1 per cento a carico della Francia, detratto il contributo europeo e la parte finanziata dai pedaggi versati dalle imprese ferroviarie, fino al valore del costo certificato a valore gennaio 2012;

    il 24 febbraio 2015 Francia e Italia hanno sottoscritto un altro accordo «per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino Lione»;

    il 2 marzo 2016 la commissione intergovernativa ha licenziato il testo di tale protocollo addizionale. La firma del protocollo addizionale, avvenuta l'8 marzo 2016 in occasione del vertice bilaterale italo-francese di Venezia, e la successiva validazione del regolamento dei contratti, avvenuta il 7 giugno 2016 da parte della commissione intergovernativa, hanno completato l’iter procedurale;

    il suddetto accordo risulta ratificato con la legge n. 1 del 5 gennaio 2017, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 9 del 12 gennaio 2017, ed è in vigore dal 1o marzo 2017;

    la sezione transfrontaliera si estende per circa 66 chilometri tra Saint-Jean-de-Maurienne in Savoia e Susa/Bussoleno in Val Susa (Piemonte). L'elemento fondamentale della sezione è la galleria a doppia canna di 57,5 chilometri (45 chilometri in Francia e 12,5 chilometri in Italia circa), che, con una pendenza massima del 12,5 per mille, trasforma la linea esistente di montagna (linea Torino-Bardonecchia-Modane-Lione) in una linea di pianura, superando le limitazioni che oggi penalizzano fortemente la linea storica, che comporta un costo energetico di attraversamento per i treni merci del 40 per cento in più rispetto a una linea senza dislivelli;

    con riferimento alla sezione transfrontaliera nel 2015 si sono conclusi gli iter autorizzativi nei due Paesi:

     a) in Italia il progetto definitivo è stato approvato con la delibera del Cipe del 20 febbraio 2015, n. 19 (pubblicata in Gazzetta ufficiale il 6 agosto 2015);

     b) in Francia il «progetto di riferimento» è stato approvato con decisione ministeriale del 2 giugno 2015;

    la sezione transfrontaliera costituisce la prima fase di realizzazione del collegamento tra Torino e Lione, che si pone l'obiettivo di migliorare e potenziare la capacità tecnica e funzionale del collegamento tra Francia e Italia per le persone e per le merci, realizzando una componente fondamentale del corridoio mediterraneo;

    l'Unione europea ha deciso di cofinanziare tale opera nell'ambito del programma Cef 2014/20, attraverso la sottoscrizione il 1o dicembre 2015 del Grant Agreement con un finanziamento, fino all'anno 2019, pari al 40 per cento dell'ammontare delle opere;

    il protocollo addizionale firmato l'8 marzo 2016 ha per oggetto la validazione del costo certificato del progetto e la definizione dei criteri di attualizzazione monetaria e di evoluzione dei costi dei fattori di produzione dei lavori, in attuazione dell'articolo 18 dell'accordo del 2012, richiamato nell'articolo 3 dell'accordo del 2015;

    il costo certificato del progetto, inclusivo delle alee e degli imprevisti, è stato definito a valuta gennaio 2012 e nel protocollo sono, altresì, definiti i criteri di presa in conto dell'attualizzazione monetaria per tutti gli anni fino alla fine dei lavori; tali elementi sono contenuti nell'articolo 2 del protocollo medesimo;

    il richiamato protocollo prevede, altresì, la lotta comune di Italia e Francia contro ogni pratica mafiosa nella realizzazione della sezione transfrontaliera in attuazione del principio generale affermato all'articolo 2 dell'accordo del 2015, dove si afferma la volontà degli Stati per «attuare delle disposizioni esigenti nel quadro della stipula degli appalti pubblici e della loro esecuzione». Tale volontà trova attuazione nell'articolo 3 del protocollo addizionale;

    la Francia ha sottoscritto il finanziamento del programma di appalti 2018 per la realizzazione della sezione transfrontaliera della Torino-Lione, in particolare l'accordo è del consiglio di amministrazione dell'Afitf, del Ministère de la transition écologique et solidaire e di Telt;

    sul versante italiano, nel marzo 2018 il Cipe ha approvato la variante per la cantierizzazione del futuro scavo del tunnel di base, l'ultimo passaggio formale nell’iter del progetto per la tratta internazionale dell'opera;

    la suddetta variante è stata predisposta dal Governo pro tempore proprio per una razionalizzazione dei costi e del percorso, anche raccogliendo una serie di indicazioni provenienti dal territorio;

    le dinamiche sull'opera innescatesi al seguito delle elezioni del 4 marzo 2018 e dell'insediamento del Governo attualmente in carica hanno provocato gravi incertezze sul futuro dell'opera in questione, sollevando la preoccupazione di soggetti istituzionali, economici e sociali e in un ampio movimento di opinione favorevole alla realizzazione dell'opera, che ha visto due manifestazioni, di cui l'ultima sabato 12 gennaio 2019, partecipatissime dal punto di vista popolare;

    le confuse dichiarazioni relative all'analisi costi/benefici, la cui commissione appare già in partenza fortemente orientata in una direzione ostile all'avanzamento dell'opera, hanno ulteriormente accresciuto le richiamate preoccupazioni;

    in attesa della definizione della volontà politica sul futuro dell'opera, la società Telt è stata costretta a bloccare la pubblicazione del bando per la realizzazione del tunnel della Torino-Lione;

    la fase di stallo rischia di avere costi economici e sociali elevatissimi per l'Italia e per la mobilità di persone e merci per l'intero continente europeo, finendo per privilegiare irrazionalmente il trasporto su gomma,

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza per autorizzare Telt alla pubblicazione dei bandi di gara per la realizzazione del tunnel di base sotto il Moncenisio.
(1-00104) «Delrio, Lupi, Paita, Bruno Bossio, Cantini, Gariglio, Giacomelli, Nobili, Pizzetti, Andrea Romano, Toccafondi».

(15 gennaio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    le reti di trasporto trans-europee (in acronimo Ten-T, dall'inglese transeuropean networks-transport) sono un insieme di infrastrutture di trasporto integrate, previste per sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle merci e delle persone e rafforzare la crescita, l'occupazione e la competitività dell'Unione europea;

    la revisione della mappa Ten-T avviata nel 2009 ha condotto ad un nuovo quadro legislativo, entrato in vigore dal 1o gennaio 2014, che definisce lo sviluppo della politica dei trasporti fino al 2030/2050, costituito dagli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti di cui al regolamento (UE) n. 1315/2013 e il Connecting Europe facility (CEF) di cui al regolamento (UE) n. 1316/2013;

    i nuovi orientamenti dell'Unione europea per lo sviluppo della rete Ten-T prevedono la creazione di una rete articolata in due livelli: una rete globale (da realizzarsi entro il 2050), che mira a garantire la piena copertura del territorio dell'Unione europea e l'accessibilità a tutte le regioni, e una rete centrale a livello europeo (da realizzarsi entro il 2030) basata su un «approccio per corridoi», che dovranno includere almeno tre modalità differenti di trasporto; attraversare almeno tre Stati membri e prevedere l'accesso ai porti marittimi;

    la rete centrale è articolata in nove corridoi principali, quattro dei quali interessano l'Italia: il corridoio Mediterraneo che attraversa il Nord Italia da Ovest ad Est, congiungendo Torino, Milano, Verona, Venezia, Trieste, Bologna e Ravenna; il corridoio Reno-Alpi che passa per i valichi di Domodossola e Chiasso e giunge al porto di Genova; il corridoio Baltico Adriatico, che collega l'Austria e la Slovenia ai porti del Nord Adriatico di Trieste, Venezia e Ravenna, passando per Udine, Padova e Bologna; il corridoio Scandinavo-Mediterraneo, che parte dal valico del Brennero e collega Trento, Verona, Bologna, Firenze, Livorno e Roma, con i principali centri urbani del Sud come Napoli, Bari, Catanzaro, Messina e Palermo;

    tali corridoi comprendono: 9 nodi urbani (Roma, Bologna, Cagliari, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo); 11 aeroporti della rete centrale (Milano Linate, Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Bergamo-Orio al Serio, Bologna-Borgo Panigale, Cagliari-Elmas, Genova-Sestri, Napoli-Capodichino, Palermo-Punta Raisi, Torino-Caselle e Venezia-Tessera); 14 porti marittimi della rete centrale (Ancona, Augusta, Bari, Cagliari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Napoli, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia); 5 porti fluviali (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia) e 15 interporti: Jesi (Ancona), Marcianise (Napoli), Nola, Bologna, Cervignano, Pomezia nodo di Roma, Vado (Genova), Milano smistamento, Novara, Orbassano (Torino), Bari, Prato (Firenze), Guasticce (Livorno), Padova, Verona;

    il completamento delle suddette infrastrutture di collegamento risulta essenziale per ridurre il deficit infrastrutturale italiano, sostenere la competitività delle imprese italiane e favorire una maggiore integrazione tra Nord e Sud del Paese, nonché per garantire l'integrazione dell'Italia nello sviluppo europeo;

    oggi la priorità a livello europeo è quella di assicurare la continuità dei corridoi, realizzando i collegamenti mancanti, assicurando connessioni tra le differenti modalità di trasporto ed eliminando i colli di bottiglia esistenti;

    il nuovo asse ferroviario ad alta velocità (Tav) tra Italia e Francia e, più nello specifico, tra Torino e Lione, rientra nel corridoio Mediterraneo;

    i principali obiettivi dei promotori della Tav sono sia di tipo economico, per rendere più competitivo il treno per il trasporto di persone e merci, sia di carattere ambientale, per ridurre il numero di tir dalle strade, sia di carattere sociale, per connettere meglio tra loro e valorizzare aree diverse;

    secondo un documento della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2012, tra i principali vantaggi della Torino-Lione ci sarebbero «il dimezzamento dei tempi di percorrenza dei passeggeri, l'incremento della capacità nel trasporto merci e la riduzione del numero di camion – circa 600 mila in meno – su strada nel delicato ambiente alpino»;

    nel complesso, degli oltre 42 milioni di tonnellate di merci passate tra Francia e Italia nel 2016, appena il 7,7 per cento (circa 3,3 milioni di tonnellate) è stato trasportato sui treni e dove è in progetto la costruzione del tunnel di base – sotto il Moncenisio –, circa 10,5 milioni di tonnellate di merci sono circolate su strada (il 78,3 per cento), mentre poco meno di 3 milioni di tonnellate invece hanno attraverso il confine sui binari a bordo dei treni (il 21,7 per cento);

    i dati più recenti dicono che ogni anno, tra Italia e Francia, passano circa tre milioni di mezzi pesanti e se le previsioni dell'Osservatorio sull'impatto della nuova linea fossero rispettate, dopo otto anni dalla sua apertura, si assisterebbe a un trasferimento di venti milioni di tonnellate da strada a rotaia e di trentotto milioni dopo trent'anni;

    in quella data, se il flusso di merci tra Italia e Francia rimanesse stabile ai valori di oggi, vale a dire intorno ai quaranta milioni di tonnellate, potrebbe essere assorbito al 95 per cento dalla ferrovia, determinando una riduzione di circa tre milioni di camion che attraversano il confine;

    per la realizzazione della nuova linea Torino-Lione, il 30 gennaio 2012 l'Italia ha sottoscritto un accordo con la Francia, sottoposto a ratifica parlamentare da entrambi gli Stati (l'Italia con la legge 23 aprile 2014, n. 71);

    il 24 febbraio 2015 Francia e Italia hanno sottoscritto un ulteriore accordo per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea, ratificato con la legge del 5 gennaio 2017, n. 1;

    il progetto definitivo italiano è stato approvato con la delibera del Cipe del 20 febbraio 2015, n. 19; il successivo 2 giugno 2015, anche la Francia ha approvato il proprio progetto;

    la regione Piemonte, la società Tunnel Euralpin Lyon Turin (Telt, promotrice della sezione transfrontaliera) ed il commissario di Governo hanno proposto nel maggio 2017 un protocollo d'intesa per la gestione delle misure compensative connesse all'opera in favore della Val di Susa;

    lo Stato ha dovuto far fronte alla recrudescenza delle manifestazioni da parte di gruppi e movimenti «No Tav», via via sempre più connotatisi come espressioni dell'antagonismo di sinistra, con una crescente militarizzazione del cantiere della Maddalena di Chiomonte (Torino) ed ingente dispendio di risorse pubbliche per la sicurezza, che, tuttavia, non ha potuto impedire, negli anni, il ripetersi di episodi violenti ai danni delle forze dell'ordine e degli operai al lavoro nel cantiere;

    l'Unione europea ha deciso di cofinanziare tale opera nell'ambito del programma Connecting Europe facility (CEF), lo strumento finanziario dell'Unione europea diretto a migliorare le reti europee nei settori dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni, con un finanziamento, fino all'anno 2019, pari al 40 per cento dell'ammontare delle opere;

    il costo del tunnel transfrontaliero, i cui lavori dovrebbero entrare a pieno regime a inizio 2019, è di 8,6 miliardi di euro (costo certificato da un ente terzo), di cui il 40 per cento, come detto, a carico dell'Unione europea, il 35 per cento a carico dell'Italia (circa 3 miliardi di euro), il 25 per cento della Francia; il costo totale della Torino-Lione a carico dell'Italia, quantificato dalla delibera del Cipe 28 febbraio 2018, è di circa 6 miliardi di euro, di cui circa 3 già disponibili;

    entro il 2019 è prevista l'assegnazione degli appalti per 81 bandi di gara (43 in Italia) per un totale di 5,5 miliardi di euro, ma questo procedimento è al momento bloccato in quanto la società Telt, che avrebbe dovuto pubblicare il bando di gara internazionale per 2,3 miliardi di euro entro l'estate 2018, ha deciso di non farlo, in attesa dell'analisi costi-benefici prevista dal Governo che avrebbe dovuto essere pronta già a novembre 2018, due mesi dopo la scadenza fissata nel cronoprogramma dei lavori concordato con l'Unione europea per la concessione dei finanziamenti, con rischio di perdita, in tutto o in parte, degli stessi;

    talune fonti stimano in 3,4 miliardi di euro il costo per lo Stato italiano del blocco definitivo della Tav, considerando gli oneri per la rescissione dei contratti, gli appalti già avviati, il ripristino degli scavi e le penali;

    la mancata realizzazione imporrebbe, infatti, la messa in sicurezza degli oltre 26 chilometri già scavati e l'adeguamento del tracciato del Fréjus;

    il «no» alla Tav obbligherebbe a gestire circa tre milioni e mezzo di tir che attraversano la pianura padana, con 44,1 milioni di tonnellate di merci che continuerebbero a essere trasportate verso la Francia su gomma;

    un blocco unilaterale dei lavori sulla Torino-Lione non esclude la possibilità di una messa in mora dell'Italia, che potrebbe vedersi privata per un periodo di cinque anni dei finanziamenti europei sulle altre opere transfrontaliere non ancora in fase avanzata;

    l'interruzione dei lavori sulla Torino-Lione avrebbe, quindi, una ricaduta negativa sulla realizzazione di tutte le infrastrutture di cui l'Italia ha bisogno, impedendo lo sviluppo del territorio e peggiorando una situazione già critica che vede la nostra nazione arretrata rispetto ad altri Stati europei dove gli investimenti sono superiori;

    l'Italia sarebbe tagliata fuori dalle vie dello sviluppo europee, a vantaggio di vie di collegamento a nord delle Alpi, e, analogamente, i porti di Trieste e Genova sarebbero a rischio di veder deperire i loro traffici, perdendo l'occasione di un collegamento vitale con i mercati dell'Europa centro-settentrionale;

    il coordinatore della commissione ministeriale per l'analisi costi-benefici, professor Marco Ponti, ha consegnato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la relazione della commissione, evidenziando a stretto giro come il lavoro svolto debba considerarsi parziale ed incompleto;

    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha dichiarato che l'analisi costi-benefici consegnata al Governo dal professor Ponti deve intendersi come una bozza che necessita di ulteriori approfondimenti;

    il commissario di Governo per la Tav Torino-Lione, architetto Paolo Foietta, in audizione alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati il 16 gennaio 2019, ha dichiarato di sentirsi «in una situazione surreale ed imbarazzante» perché per mesi dopo le elezioni del 4 marzo 2018 ha cercato di interloquire con il Governo senza alcun successo, aggiungendo di aver interloquito con il professor Ponti soltanto in occasione di dibattiti pubblici, ma mai in audizione presso la commissione per l'analisi costi-benefici;

    dall'audizione dell'architetto Foietta sono emersi ulteriori elementi tecnici a supporto della necessità di concludere l'opera nei tempi previsti, sbloccando definitivamente i cantieri e dando attuazione agli investimenti programmati e concordati;

    le incertezze governative sul destino dell'opera hanno portato alla nascita di un vasto movimento di opinione, composto dalle categorie economiche maggiormente rappresentative a livello piemontese e nazionale, nonché da numerosi amministratori locali, che hanno manifestato a più riprese il massimo sostegno alla realizzazione dell'opera;

    nei giorni scorsi fonti governative e di stampa hanno accreditato l'ipotesi di un'ulteriore revisione del progetto, che mantenga il tunnel di base e riveda in forma restrittiva gli interventi sul tracciato a valle Susa-Bussoleno, di competenza di Rete ferroviaria italiana;

    nelle ore immediatamente successive anche questa ipotesi di lavoro sembra aver subito uno «stop» da parte dei vertici del MoVimento 5 Stelle, riportando la posizione dello stesso su una più netta contrarietà alla Tav Torino-Lione;

    la Tav Torino-Lione rientra in un accordo internazionale tra Italia e Francia, ratificato dai rispettivi Parlamenti nazionali, e una rinuncia all'opera o una sua modifica sostanziale devono essere sottoposte a nuova approvazione parlamentare,

impegna il Governo:

1) a rendere pubblica integralmente l'analisi costi-benefici redatta dalla commissione ministeriale incaricata;

2) ad adottare le iniziative di competenza affinché possa tenersi, sussistendone i presupposti di legge, un referendum consultivo sulla realizzazione del progetto Tav Torino-Lione nella stessa data nelle regioni interessate dalla tratta nazionale del «corridoio Mediterraneo» (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia);

3) ad adottare tutte le iniziative che consentano alla società concessionaria Telt di procedere immediatamente con la pubblicazione dei bandi di gara per la realizzazione del tunnel di base.
(1-00108) «Lollobrigida, Meloni, Montaruli, Fidanza, Foti, Rotelli, Trancassini, Butti, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Mollicone, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Silvestroni, Varchi, Zucconi».

(25 gennaio 2019)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A VIETARE L'UTILIZZO DEI PESTICIDI E DEI DISERBANTI NELLE PRODUZIONI AGRICOLE, FAVORENDONE LO SVILUPPO CON METODO BIOLOGICO

   La Camera,

   premesso che:

    il nostro Paese è fra i maggiori consumatori di pesticidi a livello europeo: dall'ultimo report dell'Agenzia europea per l'ambiente risulta che il consumo di principio attivo nell'Unione europea è mediamente di 3,8 chili per ettaro, ma in Italia sale a 5,7;

    nel 2016 in Italia sono stati venduti 125 milioni di chilogrammi di prodotti fitosanitari; per acquistarli è stato speso quasi un miliardo di euro (per la precisione 950.812.000 euro), ancora di più per i fertilizzanti: 1.572.341.000 euro;

    secondo il rapporto 2018 «Cambia la Terra», promosso da FederBio, con il sostegno di Legambiente, Wwf, Lipu e Isde, la quasi totalità delle sovvenzioni europee e nazionali va all'agricoltura convenzionale, che utilizza pesticidi, diserbanti e fertilizzanti sintetici;

    su un totale di fondi europei e italiani di circa 62,5 miliardi di euro, al biologico risulta ne vadano solo 1,8, pari al 2,9 per cento delle risorse;

    studi e ricerche internazionali dimostrano che l'uso dei pesticidi comporta costi socio-sanitari, per la contaminazione delle acque, per il degrado del suolo e per la perdita della biodiversità naturale. La ricerca Pimentel 2005 valuta questi costi per gli Usa in circa 10 miliardi di dollari l'anno;

    come si evince dal «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, edizione 2018» curato dall'Ispra, i cosiddetti pesticidi in Italia sono presenti nel 67 per cento delle acque superficiali e nel 33 per cento delle acque sotterranee e superano i limiti rispettivamente nel 23,9 per cento e nell'8,3 per cento dei casi, con un preoccupante aumento rispetto alle precedenti indagini nazionali. Nelle falde, anche a causa del lento ciclo delle acque sotterranee, permangono anche sostanze chimiche ormai bandite da decenni;

    come si legge in un articolo di Marco Angelillo, pubblicato su La Stampa dell'11 maggio 2018, nei 35.353 campioni analizzati dalle agenzie regionali attraverso quasi 2 milioni di analisi realizzate nel biennio 2015-2016 sono state trovate 259 sostanze: prevalgono gli erbicidi perché utilizzati in grandi quantità, soprattutto in primavera, quando le piogge più frequenti facilitano la dispersione nell'ambiente;

    nelle acque superficiali il glifosato, insieme al suo metabolita Ampa, è l'erbicida che presenta il maggior numero di casi di superamento dei limiti degli standard di qualità ambientale nel 24,5 per cento dei siti monitorati, percentuale che sale al 47,8 per cento per il metabolita;

    in molti campioni sono stati riscontrati neonicotinoidi, erbicidi con una grandissima persistenza recentemente vietati dall'Unione europea perché letali per le api. E ancora, a 25 anni dalla revoca, è stata rilevata la presenza di atrazina e dei suoi metaboliti, assieme a pericolose miscele di sostanze che si formano, in modo del tutto casuale, nei fiumi e nelle falde e i cui effetti non sono sempre prevedibili;

    è poi da considerare il fatto che non vi è omogeneità dei campionamenti: nelle regioni del Nord sono stati realizzati più del 50 per cento dei monitoraggi, mentre dal Meridione, ad esempio dalla Calabria, non è arrivato nessun dato; pochissimi dati sono pervenuti dalla Puglia. Esiste, come detto, un problema di diffusione e standardizzazione dei monitoraggi e il Mezzogiorno risulta in forte ritardo, con alcune eccezioni, quali Ragusa e il Lazio;

    secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo si registrano oltre 26 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi all'anno e 258.000 decessi. Uno studio europeo del 2015 ha poi valutato che l'esposizione prenatale a organofosfati (composti base di molti pesticidi ed erbicidi) fa perdere ogni anno 13 milioni di punti di quoziente intellettivo e provoca 59.300 casi di ritardo mentale, con un costo annuo valutabile tra i 146 e i 194 miliardi di euro;

    l'agricoltura chimica richiede poi maggiori quantità di energia e particolarmente di idrocarburi: secondo i dati pubblicati dal Rodale Institute nel 2011, i sistemi di agricoltura biologica utilizzano il 45 per cento in meno di energia rispetto a quelli convenzionali e producono il 40 per cento in meno di gas serra rispetto all'agricoltura basata su metodi convenzionali;

    secondo il quinto rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change, «le anomalie climatiche potranno provocare una riduzione della produttività agricola su scala globale compresa tra il 9 e il 21 per cento, da qui al 2050». Viceversa, è ormai un fatto appurato che l'agricoltura biologica è un importante strumento per la lotta ai cambiamenti climatici, dato il ruolo fondamentale che riveste nel sequestrare anidride carbonica dall'ambiente e nel restituire la fertilità ai suoli, combattendo attivamente fenomeni come la desertificazione, l'erosione dei suoli e l'effetto serra (Greenreport del 10 settembre 2018);

    uno studio Usa del 2014 («Environmental and economic costs of the application of pesticides») ha valutato in 284 milioni di dollari l'anno il solo danno diretto dell'uso dei pesticidi per la scomparsa delle api e degli altri insetti impollinatori. Lo sterminio di altri insetti e dei parassiti predatori naturali degli insetti e degli organismi dannosi costa invece, complessivamente, 520 milioni di dollari l'anno, considerando anche la spesa del ricorso a trattamenti fitosanitari;

    la sensibilità dei cittadini è cresciuta negli ultimi mesi anche in seguito alla recente sentenza emanata dalla Corte federale di San Francisco, la quale ha condannato la Monsanto a pagare un risarcimento milionario dollari a favore di uomo che ha denunciato l'azienda, affermando che un suo prodotto, contenente glifosato, usato come erbicida, ha contribuito a farlo ammalare di un tumore rivelatosi terminale;

    da anni i pesticidi e i diserbanti, in particolare il glifosato, sono al centro di un aspro dibattito in Europa e in Italia in relazione al suo uso;

    il 18 febbraio 2018 il Parlamento europeo, dopo aver approvato l'autorizzazione all'uso di glifosato fino al 2021, ha avviato i lavori di una commissione speciale per studiare gli effetti del glifosato e le procedure per autorizzare l'uso dei pesticidi;

    l'Italia già adotta disciplinari produttivi che limitano l'uso del glifosato a soglie inferiori del 25 per cento rispetto a quelle definite in Europa, al fine di portare il nostro Paese all’«utilizzo zero» del glifosato entro il 2020;

    questi limiti di legge, tuttavia, non appaiono adeguati a tutelare efficacemente la salute umana, principalmente perché non considerano gli effetti cumulativi dei pesticidi e dei diserbanti, delle interazioni dei pesticidi e dei diserbanti con altri inquinanti e della diversa suscettibilità individuale legata all'esistenza di particolari polimorfismi genici, all'età, a particolari condizioni fisiologiche o patologiche;

    la direttiva 2009/128/CE impone che gli utilizzatori professionali di pesticidi adottino le pratiche o i prodotti che presentano il minor rischio per la salute umana e l'ambiente tra tutti quelli disponibili per lo stesso scopo;

    dopo la sentenza di San Francisco il Vice Presidente del Consiglio dei ministri Di Maio ha preso posizione e con toni particolarmente duri ha dichiarato: «Questa sentenza ci dà tristemente ragione: dobbiamo combattere l'invasione sul nostro mercato di questa sostanza, una minaccia che si concretizza con mostruosi accordi commerciali sottoscritti solo in nome del profitto»;

    nella fase attuale non servono più aggiustamenti e modifiche di dettaglio, ma un vero e proprio cambio di mentalità e d'approccio, attraverso il quale nei processi di valutazione e autorizzazione all'uso dei pesticidi vengano sempre messi al primo posto la salute dei cittadini e lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico;

    i dati di crescita del biologico nel nostro Paese e a livello globale indicano in modo chiaro che i cittadini stanno modificando le loro scelte alimentari verso prodotti che offrono maggiori garanzie per la salute e per il rispetto dell'ambiente, facendo crescere il mercato dei prodotti biologici;

    i dati forniti in occasione del 30o salone internazionale del biologico confermano questa tendenza: 1,9 milioni di ettari di terreni a coltura «bio» (+6,3 per cento sul 2016, il 15,4 per cento sul totale), più di 1.400 punti vendita specializzati e la grande distribuzione organizzata;

    va ricordato, però, che gli agricoltori biologici sono penalizzati da altri costi, come quelli per la certificazione iniziale e per il mantenimento. Va poi considerata la maggior incidenza del costo del lavoro nei campi «bio», dato che per raggiungere l'obiettivo di ridare fertilità alla terra occorre più lavoro rispetto ai casi in cui si usa la chimica, con un maggior costo stimato nel 30 per cento;

    alcuni enti territoriali hanno già dichiarato la volontà di emanare provvedimenti specifici per limitare l'utilizzo del glifosato: la regione Toscana ha annunciato, ad esempio, una norma per escludere dai premi del piano di sviluppo rurale le aziende che ne fanno uso;

    è stata presentata il 4 dicembre 2018 presso la Camera dei deputati la petizione on line lanciata dal gruppo «No pesticidi» – già sottoscritta da più di 25 mila persone – finalizzata a stimolare interventi normativi che tutelino le persone maggiormente esposte alle patologie collegate all'uso di pesticidi e diserbanti, ovvero coloro che vivono in zone rurali, i bambini e le donne in gravidanza;

    inoltre, la petizione chiede che vengano adottate misure di sicurezza non solo per tutelare le popolazioni che vivono in zone rurali, ma anche le coltivazioni biologiche dalla contaminazione accidentale, come ha dichiarato Malia Grazia Mamuccini, portavoce della campagna «Cambia la Terra» e della campagna «Stop glifosato». È assurdo che oggi siano gli agricoltori del biologico a doversi difendere da chi usa prodotti chimici. L'agricoltore che adotta le tecniche della coltivazione biologica deve avere una fascia di sicurezza per evitare il rischio contaminazione che gli farebbe perdere la certificazione. La fascia di rispetto è una tutela importantissima che deve essere a carico di chi usa prodotti chimici;

    la petizione è nata da un'esigenza: quella di essere tutelati. Esigenza di persone comuni che non hanno scelto di vivere in un ambiente costantemente avvelenato da sostanze chimiche, ormai notoriamente dannose, ma che ci si sono comunque trovate immerse, come spiegano i promotori dell'iniziativa, che hanno anche dato vita a un gruppo Facebook, «No pesticidi»;

    il gruppo è aperto a tutti e ne fanno già parte agronomi, apicoltori, esponenti politici attivi e propositivi, medici, giornalisti, sindaci di comuni virtuosi che si sono distinti per aver attuato normative contro l'uso dei fitofarmaci, nonché, loro malgrado, malati di sensibilità chimica multipla, che conducono una vita estremamente complicata;

    infine, va ricordato il convegno «Terre libere da pesticidi» tenutosi il 31 gennaio 2017, promosso da Legambiente a cui hanno partecipato esperti scientifici e istituzionali, tra i quali Daniela Sciarra di Legambiente e Licio Cavezzoni, che hanno discusso delle buone pratiche agroambientali e dell'impatto dell'uso agricolo dei prodotti fitosanitari sulla salute e sul benessere dei consumatori. Nel corso del convegno è stato presentato «Pesticidi nel piatto», il rapporto di Legambiente sulla sicurezza alimentare;

    dalla lettura del rapporto di Legambiente si evince che la quantità dei residui di pesticidi che le Agenzie per la protezione ambientale e Istituti zooprofilattici sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2 per cento nel 2015, erano lo 0,7 per cento del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4 per cento del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9.608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2 per cento). La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo invece, in leggero rialzo rispetto al 58 per cento del 2014, si attesta al 62,4 per cento;

    tra i casi eclatanti, i prodotti di provenienza extra Unione europea come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l'uva con 9 principi attivi;

    la frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità. Ma il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull'ambiente. Nuove molecole e formulati sono stati immessi sul mercato senza un'adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell'ambiente. Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli;

    infine, il rapporto evidenzia che tra le sostanze attive più frequentemente rilevate ci sono: il Boscalid, il Penconazolo, l’Acetamiprid, il Metalaxil, il Ciprodinil, l’Imazalil e il Clorpirifos, sostanza riconosciuta come interferente endocrino, cioè capace di alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e dannoso per l'organismo;

    tutti questi prodotti chimici non sono solo un pericolo per la salute umana e l'ambiente, ma sono anche la causa principale dell'aumento della mortalità delle colonie di api mellifere. Tra i principali accusati è il glifosato;

    la diminuzione delle api è un fenomeno sotto osservazione da anni: secondo la rivista Nuova Ecologia, almeno dal 2006 ha cominciato ad avere proporzioni vistose. Sono sotto accusa alcuni pesticidi di cui si fa largo uso in zone a prevalente monocoltura, come sono appunto molti territori del Nordest;

    secondo l'Efsa, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare, il 9,2 per cento della popolazione delle api sarebbe a rischio di estinzione; la stessa agenzia nel 2013 ha detto che esiste un «elevato rischio» di correlazione tra il calo degli insetti e l'uso di alcune sostanze chimiche. È importante ricordare che il 27 aprile 2018 l'Unione europea ha imposto il divieto all'uso di tre neonicotinoidi, ma non il glifosato, proprio perché nocivi per le api,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative a livello nazionale, oltre che iniziative in sede di Unione europea, volte a vietare, in maniera permanente, l'utilizzo dei pesticidi e dei diserbanti, in particolare il dannoso glifosato, in ambito agricolo, al fine di salvaguardare l'ambiente, la biodiversità, nonché la salute pubblica;

2) ad assumere iniziative normative per favorire lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico;

3) ad assumere iniziative normative, a partire dalla revisione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari di cui al decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, affinché venga introdotta chiaramente e inderogabilmente la fascia di sicurezza per evitare il rischio di contaminazione chimica delle colture biologiche, delle abitazioni e degli spazi fruiti dalla popolazione e affinché sia stabilito l'obbligo di avvisare i residenti prima di ogni trattamento chimico, in modo da garantire, anche per chi vive in zone agricole, la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e dell'ambiente, prevedendo l'introduzione di adeguate sanzioni per chi non rispetti i suddetti obblighi;

4) ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per uniformare le metodiche di analisi delle acque in tutta la penisola, stante il fatto che nelle acque nazionali, e dunque in tutto l'ambiente e nella catena alimentare, stanno aumentando i residui di sostanze tossiche, anche in concentrazioni infinitesimali, e per bandire l'utilizzo di erbicidi, come il glifosato;

5) ad avviare un'indagine, attraverso l'Ispra e l'Istituto superiore di sanità, per verificare il potenziale rischio per le api e gli insetti pronubi derivante dall'utilizzo indiscriminato dei pesticidi, in particolare il glifosato, e dei diserbanti;

6) ad emanare nuove linee guida per l'uso del glifosato in agricoltura e, in particolare, per quanto riguarda l'esposizione delle api, alla luce del grave danno economico per migliaia di produttori di miele;

7) in considerazione del fatto che l'attuale sistema premia l'agricoltura che sostiene scelte ad alto impatto ambientale e sanitario, ad assumere iniziative per cambiare la destinazione di una significativa quota di risorse pubbliche al fine di sostenere un modello agricolo più sicuro, più sano e più equo, come quello biologico, a partire dalla redazione del piano strategico nazionale per l'utilizzo delle risorse della politica agricola comune dell'Unione europea.
(1-00100) «Muroni, Fornaro, Occhionero, Conte, Soverini».

(18 dicembre 2018)

   La Camera,

   premesso che:

    secondo i dati Istat, sia per i fitofarmaci che per i fertilizzanti di sintesi chimica il trend dei quantitativi d'impiego dal 2006 ad oggi è in diminuzione, mentre in un meccanismo di compensazione è aumentato l'uso di fertilizzanti di origine organica;

    l'Italia, a differenza di altre agricolture europee, è caratterizzata dalla presenza di un'ampia varietà di produzioni ortofrutticole, per le quali la lotta ad avversità e malattie richiede un maggior ricorso all'uso di prodotti fitosanitari;

    l'Italia è la prima nazione in Europa per numero di produttori biologici e il secondo per superficie investita a biologico e conserva un primato in termini di biodiversità agricola ed ambientale;

    l'evoluzione del modello italiano di agricoltura va verso una sostenibilità ambientale sempre più spinta;

    le ragioni sono dovute, come evidenziato anche dai rapporti Istat sull'uso dei mezzi di produzione, dall'ampia adesione degli agricoltori alle misure agroambientali della politica agricola comune, all'introduzione di tecniche agronomiche innovative meno impattanti sull'ambiente, all'entrata in vigore del piano per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (di attuazione della direttiva 2009/128/CE) ed all'attuazione della direttiva nitrati per i fertilizzanti;

    l'adozione di buone pratiche agronomiche ha contribuito a ridurre l'impiego di tali prodotti, nel loro complesso;

    in ogni caso l'uso di tali mezzi di produzione in termini quantitativi è legato alle specifiche condizioni climatiche, anche stagionali, territoriali ed ambientali, e alla specificità delle colture rispetto alle quali viene esercitata l'attività agricola;

    l'Unione europea, ormai da anni, riserva al tema dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari una grande attenzione, come evidenziato dall'adozione della direttiva 2009/128/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi, applicata in Italia con il piano nazionale in corso di aggiornamento;

    proprio in questa settimana iniziano gli incontri del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo di consultazione con le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative del settore, per confrontarsi sulle modifiche che si rendono necessarie a distanza di qualche anno dalla sua applicazione;

    il 16 gennaio 2019 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sulla procedura di autorizzazione dei pesticidi, in cui si prevede che: siano resi pubblici gli studi utilizzati nella procedura di autorizzazione di un pesticida, compresi tutti i dati e le informazioni a sostegno delle domande di autorizzazione; i richiedenti siano tenuti a registrare tutti gli studi regolamentari eseguiti in un registro pubblico e che la procedura di autorizzazione consenta un «periodo per le osservazioni», per tenere conto di tutte le informazioni pertinenti prima che sia presa una decisione; sia rivalutata la cancerogenicità del glifosato, fissando livelli massimi di residui per i suoli e le acque superficiali; la Commissione europea svolga uno studio epidemiologico sull'impatto reale dei prodotti fitosanitari sulla salute umana; l'Unione europea stimoli l'innovazione e promuova la commercializzazione di pesticidi a basso rischio; la Commissione europea assegni la valutazione delle domande di rinnovo dell'autorizzazione di un pesticida ad uno Stato membro diverso da quello responsabile delle precedenti valutazioni;

    la risoluzione del Parlamento europeo evidenzia, inoltre, la necessità di garantire la responsabilità politica dell'adozione degli atti di esecuzione nell'ambito della cosiddetta «procedura di comitatologia» e la Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero, quindi, fornire resoconti dettagliati e rendere pubblici i loro voti;

    già con il regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE, è stabilito che non possono più essere immessi in commercio prodotti fitosanitari che siano cancerogeni, mutageni, tossici per la riproduzione, privi di proprietà d'interferente endocrino, a meno che l'esposizione degli esseri umani a tale sostanza attiva, antidoto agronomico o sinergizzante presente in un prodotto fitosanitario, nelle condizioni realistiche d'uso proposte, sia trascurabile, vale a dire che il prodotto sia utilizzato in sistemi chiusi o in altre condizioni che escludono il contatto con esseri umani (ad esempio, per l'agricoltore tramite l'uso di dispositivi di protezione individuali indicati sull'etichetta del formulato) e in cui i residui della sostanza attiva, dell'antidoto agronomico o del sinergizzante in questione negli alimenti e nei mangimi non superino il valore di default stabilito dalla legislazione vigente;

    il cambiamento climatico in atto sta, però, portando nuovi parassiti ed una maggiore aggressività di alcune patologie delle piante, come si riscontra osservando la situazione nel nostro Paese con gli attacchi di Drosophila suzukii e della cimice asiatica, tanto per citare qualche esempio;

    nel contempo, non si possono escludere dal mercato sostanze attive senza individuare delle alternative percorribili per le imprese agricole, creando dei vuoti nella difesa fitosanitaria, e lasciare le colture esposte ad avversità e parassiti con danni economici rilevanti;

    l'obiettivo semmai è quello di sostituire progressivamente le sostanze attive di sintesi chimica, per quanto possibile, con sostanze attive di origine naturale (cosiddetti bio based products) che vadano ad arricchire la «cassetta degli attrezzi» della produzione integrata e dell'agricoltura biologica nel difendere le colture,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per finanziare un programma di ricerca di lungo periodo che consenta di avere i dati sperimentali necessari, perché le società produttrici di prodotti fitosanitari abbiano interesse a registrare nuove molecole a basso impatto ambientale e per la salute umana, anche di origine naturale;

2) a richiedere, in sede europea, una maggiore trasparenza nelle procedure di autorizzazione dei prodotti fitosanitari, anche mediante l'adozione di un registro pubblico che renda accessibili i dati degli studi sperimentali effettuati per la registrazione dei fitofarmaci;

3) a porre in essere iniziative volte a sostenere la promozione dei consistenti controlli di qualità a cui sono sottoposti i prodotti italiani, garanzia di qualità a paragone delle altre filiere agroalimentari europee, nel quadro di una promozione del settore agroalimentare italiano e del sistema del made in Italy che contempli efficaci controlli sull'uso dei prodotti fitosanitari;

4) ad assumere iniziative volte a rafforzare e potenziare i controlli nell'ottica di una maggiore tutela del consumatore finale;

5) ad assumere decisioni volte alla tutela del cittadino, nella piena considerazione delle più evolute conoscenze scientifiche disponibili, basandosi su pareri di autorità preposte e prendendo le distanze da possibili influenze ideologiche;

6) a rafforzare ulteriormente i controlli sui prodotti di importazione per tutelare la filiera produttiva e garantire alti standard di qualità.
(1-00109) «Luca De Carlo, Lollobrigida, Caretta, Ciaburro, Butti, Foti, Trancassini, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Cirielli, Crosetto, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Meloni, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Varchi, Zucconi».

(25 gennaio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    i fitofarmaci detti anche «pesticidi» sono intesi dagli agricoltori e dai tecnici come rimedi per difendere le piante dai loro nemici e pertanto da utilizzare nelle giuste dosi, solo quando necessari e rispettando i tempi di carenza e cioè il periodo intercorrente fra il trattamento e l'uso alimentare delle piante trattate. Vengono utilizzati sia nell'agricoltura tradizionale, che in quella biologica. I limiti di legge sui residui di fitofarmaci presenti negli alimenti sono oggi fissati in modo molto prudenziale;

    secondo una recente indagine condotta da Vsafe, spin off dell'Università Cattolica del sacro Cuore sulle filiere di melo, pomodoro da industria, uva da tavola e da vino, olivo, frumento, riso e insalate di IV gamma, la completa eliminazione degli fitofarmaci da tali filiere porterebbe alle seguenti conseguenze: (a) la produzione annua scenderebbe da 8,9 a 2,6 miliardi di euro (-71 per cento), (b) anche surrogando con prodotti di origine estera, l'industria agro-alimentare vedrebbe il proprio fatturato scendere da 34,8 a 7,8 miliardi di euro (-78 per cento) e (c) le esportazioni si ridurrebbero di 6,8 miliardi di euro, mentre le importazioni aumenterebbero di 3 miliardi di euro;

    il sistema europeo di autorizzazione e di controllo degli agrofarmaci è il più stringente al mondo e questo comporta che, se un fitofarmaco è regolarmente in commercio nell'Unione europea, vuol dire che dal sistema di analisi europeo non è emerso alcun elemento concreto che ne giustifichi la messa al bando;

    i controlli effettuati da Efsa (Autorità europea per la sicurezza agroalimentare) a livello comunitario su 48.000 campioni indicano che il 97,2 per cento dei prodotti alimentari analizzati (valore che sale al 98,6 per cento per l'Italia) presenta valori dei residui al di sotto delle soglie di legge e, pertanto, sono da ritenersi sicuri per il consumatore;

    l'Italia dispone di una legislazione molto restrittiva circa l'autorizzazione e l'impiego dei fitofarmaci, caratterizzata soprattutto da norme che ne impongono l'uso limitato a quanto strettamente necessario per garantire la sicurezza alimentare ed elevati standard quantitativi e qualitativi delle produzioni agroalimentari;

    relativamente ai controlli ufficiali sull'immissione in commercio e sull'utilizzazione dei prodotti fitosanitari, opera anche il dipartimento dell'ispettorato centrale per la tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf). L'ispettorato, infatti, effettua sistematicamente verifiche finalizzate alla corretta commercializzazione dei mezzi tecnici utilizzati in agricoltura (fertilizzanti, sementi e fitofarmaci), attraverso controlli ispettivi e l'esame dei dispositivi di etichettatura e dei relativi sistemi di tracciabilità, nonché mediante il prelievo di campioni che vengono sottoposti alle analisi chimico-fisiche per la verifica della rispondenza merceologica dei prodotti agli standard di legge;

    il piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), adottato con decreto ministeriale 22 gennaio 2014 in attuazione del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 che recepisce la direttiva 2009/128/CE, evidenzia significative criticità in ordine alla necessità di una più attenta individuazione degli obiettivi quantitativi, dei tempi per la riduzione dei rischi e dell'impatto dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente;

    la scarsa efficacia dell'impianto sanzionatorio, l'inadeguatezza delle misure di contrasto biologiche agli organismi nocivi, unitamente alle criticità di cui sopra, suggeriscono una rivisitazione generale dell'impostazione stessa del piano e una migliore definizione degli interventi di lotta integrata obbligatoria, necessari a limitare l'uso dei fitofarmaci;

    le regioni e le province autonome, al fine di rilevare la presenza e gli eventuali effetti derivanti dall'uso di prodotti fitosanitari nell'ambiente acquatico, effettuano i monitoraggi dei residui di prodotti fitosanitari nelle acque, tenendo conto anche degli indirizzi specifici che sono stati forniti dall'Ispra;

    la presenza di pesticidi nelle acque italiane, sia superficiali che sotterranee, è fonte di allarme da parte degli stessi istituti di ricerca; Ispra, nell'ultimo rapporto sui pesticidi nelle acque evidenzia: «Nel complesso, salgono a quasi 400 le sostanze ricercate in Italia. La situazione è differente tra regione e regione ed è indispensabile incrementare il monitoraggio riguardo a nuove sostanze indicate dalle linee guida dell'Ispra. In generale, sono 35.353 i campioni di acque superficiali e sotterranee analizzate in Italia nel biennio 2015-2016, per un totale di quasi 2 milioni di misure analitiche e 259 sostanze rilevate (erano 224 nel 2014). Nel 2016, in particolare, sono stati trovati pesticidi nel 67 per cento dei 1.554 punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 33,5 per cento dei 3.129 punti delle acque sotterranee, con valori superiori agli SQA nel 23,9 per cento delle acque superficiali e nell'8,3 per cento delle acque sotterranee. Gli erbicidi, in particolare, rimangono le sostanze riscontrate con maggiore frequenza principalmente per le modalità ed il periodo di utilizzo che ne facilita la migrazione nei corpi idrici, ma aumenta significativamente anche la presenza di fungicidi e insetticidi»;

    la copertura del territorio nazionale, tuttavia, è ancora incompleta, soprattutto nelle regioni centromeridionali, in quanto o non sono stati inviati i dati o ne sono arrivati pochissimi e, in generale, la standardizzazione del sistema di rilevazione nel Mezzogiorno presenta forti ritardi;

    in particolare, in merito alle sanzioni disciplinate dall'articolo 24 del citato decreto legislativo, la maggior parte delle penalità interessa la materia della distribuzione e della formazione professionale e trascura quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e sullo stoccaggio dei prodotti fitosanitari e sul trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, e soprattutto all'articolo 19 relativamente all'applicazione dei princìpi generali della difesa integrata obbligatoria;

    ad oggi mancano ancora importanti misure applicative quali in particolare: le norme sulla trasmissione, da parte delle regioni, delle informazioni rilevanti sulla tossicità, l'eco-tossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari relativi ai prodotti in commercio mediante l'utilizzo di apposite banche dati (punti A 5.2, A 5.8.1 del Pan); le norme volte a disciplinare la vendita dei prodotti fitosanitari attraverso i canali alternativi, come la vendita on-line (articolo 10, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012); la definizione di programmi di informazione e sensibilizzazione della popolazione sui rischi e sui potenziali effetti acuti e cronici per la salute umana (punto A 2.1 del Pan); la rete di collegamento tra le iniziative di ricerca in essere e l'attivazione di nuovi progetti e le misure da adottare nelle aree di influenza delle acque di balneazione (Punto D del Pan);

    sono noti i casi in cui il reiterarsi quasi automatico delle emergenze per le quali si è autorizzata l'immissione in commercio di un prodotto fitosanitario in base all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, trasforma queste deroghe in prassi ordinaria generando un utilizzo pressoché costante di alcuni principi attivi su colture o avversità diverse da quelle su cui erano normalmente autorizzati, spesso approvati ma non presenti in prodotti fitosanitari autorizzati in Italia, ovvero in corso di approvazione (nuove sostanze), oppure non ancora approvati ai sensi del citato regolamento;

    le eventuali introduzioni di antagonisti naturali, indispensabili per la lotta biologica, debbono seguire le indicazioni previste dallo standard EPPO PM 6/1(1) – First import of exotic biological control agents for research under contained conditions e PM 6/2(1) – Import and release of exotic biological control agents;

    lo stesso articolo 22 della direttiva 92/43/CEE detta anche «direttiva habitat» indica chiaramente che gli Stati membri «controllano che l'introduzione intenzionale nell'ambiente naturale di una specie non locale del proprio territorio sia disciplinata in modo da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora selvatiche locali, e, qualora lo ritengano necessario, vietano siffatta introduzione»;

    il legislatore italiano, nel recepimento di tale direttiva, con decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, aggiornato e coordinato con il decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120, non ha tuttavia previsto alcuna possibilità di deroga e non ha delineato nessun percorso autorizzatorio, bloccando di fatto ogni intervento di lotta biologica con utilizzo di antagonisti naturali introdotti da altri areali;

    il disposto di cui all'articolo 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica si limita, infatti, a vietare la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone, specificando i termini di «introduzione» e «di non autoctona»;

    la rete nazionale di monitoraggio degli alveari segnala gravi fenomeni di apicidio a seguito di approvvigionamento da parte delle api di acqua utilizzata per fertirrigazione contenente insetticidi impiegati sulla coltura di pomodoro, per trattamenti di colture intensive di agrumeti in presenza di forte essudazione di melata che, in ambienti con scarsa disponibilità di piante nettarifere, è utilizzata dalle api per la produzione del miele;

    l'Unaapi afferma, sebbene non ci sia certezza sulle molecole che hanno provocato tali conseguenze che, oltre ai neonicotinoidi, è assai probabile che si sia accentuato un uso pervasivo e irresponsabile di altre molecole neurotossiche, come il piretroide deltametrina o il famigerato insetticida clorpirifos, o il fungicida tebuconazolo, che esplica effetti nocivi sulle popolazioni di api, non previsti e non valutati, o che vengano comunque utilizzati illegalmente neonicotinoidi;

    gli agricoltori sono sempre più professionali nell'uso dei fitofarmaci e lo si deduce dalla graduale diminuzione nei quantitativi totali utilizzati (-1,8 per cento l'anno in Italia dal 2003 al 2016), diminuzione che in parte si deve alla disponibilità di nuove molecole ad impatto ambientale sempre più ridotto ed attive a dosi sempre più basse (decine di grammi per ettaro contro i chilogrammi per ettaro di cui si parla per composti del rame);

    un'agricoltura sostenibile è un'agricoltura che mira non solo a garantire la sicurezza alimentare attraverso una maggiore produzione, ma aiuta gli agricoltori a soddisfare le loro aspirazioni socio-economiche e culturali e a proteggere e preservare le risorse naturali per soddisfare le generazioni future. Il settore agricolo ed agroalimentare italiano diventerà tanto più competitivo quanto più sarà in grado di essere sostenibile;

    la riduzione del rischio per la salute umana e per l'ambiente si persegue attraverso un quadro di azioni per l'impiego sostenibile della chimica e lo sviluppo delle tecniche di agricoltura integrata e di approcci e tecniche alternative a quella tradizionale;

    in virtù della nuova normativa gli agricoltori dovranno utilizzare con maggiore attenzione i fitofarmaci, con l'obiettivo di ridurre significativamente l'uso di agenti chimici in agricoltura, incrementando proporzionalmente l'adozione di sistemi alternativi di difesa delle colture (mezzi agronomici, genetici, igienici, impiego di organismi utili, utilizzo di agrofarmaci selettivi e a minor rischio possibile, dosi ridotte e ridotto numero di trattamenti e altro),

impegna il Governo:

1) a potenziare il sistema dei controlli sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura, in particolare rivolto ai prodotti agroalimentari importati dai Paesi terzi per i quali è possibile dimostrare che siano stati trattati con il glifosato oltre la soglia permessa in ambito europeo;

2) a vigilare, per quanto di competenza, affinché il monitoraggio del livello di contaminazione da pesticidi nelle acque sia omogeneo su tutto il territorio nazionale e affinché tutte le regioni si dotino di un piano per la tutela delle acque, al fine di assicurare un alto livello di protezione della salute umana, animale e dell'ambiente;

3) a prevedere iniziative volte ad un utilizzo più responsabile dei fitofarmaci perché l'agricoltura è un settore importantissimo dell'economia ed è importante che possa svilupparsi e continuare a farlo in un'ottica di qualità e di salvaguardia della salute, sia dei consumatori che degli operatori;

4) a porre in essere iniziative volte a sostenere l'utilizzo di buone pratiche agricole che possano essere sempre più sostenibili, in un quadro complesso anche in termini ambientali, allo scopo di raggiungere l'obiettivo di ridurre sempre più nel tempo l'uso dei fitofarmaci, contribuendo a realizzare la maggior protezione possibile di tutte le acque dall'inquinamento;

5) ad intraprendere ogni utile iniziativa volta a rivedere e migliorare il piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), attraverso la ridefinizione degli obiettivi quantitativi, le misure e i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dei pesticidi sulla salute e sull'ambiente, prescritti dalla direttiva europea n. 2009/128/CE, all'articolo 4, paragrafo 1;

6) ad emanare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal Pan non ancora adottati, per i quali risultino scaduti i termini o per i quali non sia stata stabilita alcuna scadenza;

7) ad assumere ogni utile iniziativa finalizzata alla promozione di programmi di ricerca su sistemi produttivi agroalimentari sempre più sostenibili e che prescindano dall'utilizzo di fitofarmaci dannosi per la salute umana;

8) ad assumere iniziative per rivedere urgentemente il quadro normativo vigente al fine di introdurre deroghe che consentano, ancorché in modo da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali interessati né alla fauna né alla flora selvatiche locali, interventi mirati di lotta biologica con l'utilizzo di antagonisti naturali provenienti da altri areali;

9) ad assumere iniziative in relazione ai trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api, al fine di salvaguardarne l'azione pronuba, non solo durante il periodo di fioritura, ma anche in quello di melata, nonché a promuovere, in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, una capillare azione di controllo e vigilanza per la repressione dell'uso, durante i trattamenti chimici in agricoltura, di fitofarmaci e principi attivi vietati o non autorizzati a livello nazionale ed europeo, perché pericolosi per i pronubi;

10) a valutare l'opportunità di:

   a) assumere iniziative per rendere più efficace il quadro sanzionatorio, come previsto dall'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, introducendo misure conseguenti all'inosservanza di tutte le prescrizioni e delle indicazioni previste dalle norme sull'uso sostenibile dei pesticidi;

   b) limitare il più possibile il ricorso alle autorizzazioni in deroga consentite dall'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009 e rilasciate dal Ministero della salute, ai soli casi realmente necessari al fine di garantire che tale possibilità sia utilizzata esclusivamente nella sua più classica accezione di prassi straordinaria e limitata nel tempo;

   c) attivare, mediante la definizione di un protocollo in collaborazione con la Guardia di finanza, controlli finalizzati alla verifica delle modalità di vendita dei prodotti fitosanitari, compresa quella che avviene on line, al fine di contrastare fenomeni di elusione delle norme sulla distribuzione e vendita di tali prodotti;

   d) intervenire, presso le competenti sedi unionali, al fine di introdurre a livello europeo un divieto definitivo, e non solo parziale e temporaneo, dei neonicotinoidi e di altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi.
(1-00110) «Molinari, D'Uva, Viviani, Parentela, Bubisutti, Cadeddu, Coin, Cassese, Gastaldi, Cillis, Golinelli, Cimino, Liuni, Del Sesto, Lolini, Gagnarli, Lo Monte, Gallinella, L'Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Marzana, Pignatone, Zolezzi, Panizzut, D'Arrando, Bologna, Menga».

(28 gennaio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari-agrofarmaci o fitofarmaci, definiti impropriamente «pesticidi»; in applicazione dell'articolo 6 del predetto decreto legislativo è stato predisposto il piano di azione nazionale (Pan) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il piano è stato adottato in data 22 gennaio 2014 a seguito dell'emanazione del decreto interministeriale Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo – Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 35 del 2014; il Pan si propone di ridurre i rischi associati all'uso dei prodotti fitosanitari, promuovendo un processo di cambiamento delle tecniche di utilizzo dei prodotti verso forme più compatibili e sostenibili in termini ambientali e sanitari;

    la legge n. 132 del 2016, «Istituzione del sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra)», mette a sistema la rete informativa nazionale ambientale, dando vita alla rete nazionale dei laboratori accreditati e istituisce i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (Lepta);

    l'Ispra, sulla base delle rilevazioni regionali, ha il compito di realizzare il rapporto nazionale pesticidi nelle acque, nel rispetto del Pan. Nonostante si registri una crescente attenzione sull'utilizzo e i controlli dei prodotti fitosanitari dal «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, edizione 2018» curato dall'Ispra si evince che residui di agro farmaci in Italia sono presenti nel 67 per cento delle acque superficiali e nel 33 per cento delle acque sotterranee e superano i limiti, rispettivamente, nel 23,9 per cento e nell'8,3 per cento dei casi, con un preoccupante aumento rispetto alle precedenti indagini nazionali. Nelle falde, anche a causa del lento ciclo delle acque sotterranee, permangono anche sostanze chimiche ormai bandite da decenni. Negli oltre 35.000 campioni analizzati dalle agenzie regionali attraverso quasi 2 milioni di analisi realizzate nel biennio 2015-2016 sono state trovate 259 sostanze in gran parte erbicidi;

    il rapporto dell'Ispra evidenzia due ulteriori elementi che destano preoccupazione:

     a) che non vi è omogeneità dei campionamenti: nelle regioni del Nord sono stati realizzati più del 50 per cento dei monitoraggi, mentre dal Meridione, ad esempio dalla Calabria, non è arrivato nessun dato; pochissimi dati sono pervenuti dalla Puglia. Esiste un problema di diffusione e standardizzazione dei monitoraggi e il Mezzogiorno risulta essere in forte ritardo, con alcune eccezioni, quali Ragusa e il Lazio. Un monitoraggio efficace dei pesticidi nelle acque richiede un impegno in termini di pianificazione, di strumentazione, di risorse umane, difficile da sostenere senza risorse aggiuntive;

     b) si legge dal dossier dell'Ispra che: «... nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L'Uomo, gli altri organismi e l'ambiente sono, pertanto, esposti a un “cocktail” di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l'assenza di dati sperimentali...»;

    al fine di tutelare la salute umana e l'ambiente, il Pan definisce obiettivi e strategie da perseguire ai fini di un uso più corretto e sostenibile dei prodotti, attraverso la riduzione del rischio connesso all'utilizzo degli stessi. Gli obiettivi riguardano la formazione degli operatori di filiera, con l'introduzione di «buone pratiche» di manipolazione, i controlli funzionali sulle macchine per la distribuzione, l'adozione di misure specifiche per la tutela delle acque, l'informazione e la sensibilizzazione alla popolazione, nonché misure specifiche per la riduzione dell'uso dei fitofarmaci;

    esistono inoltre le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e al decreto legislativo n. 106 del 2009, che prevedono anche di evitare danni a persone terze, ad esempio vietando l'ingresso nell'area di un cantiere o di disperdere nell'ambiente sostanze potenzialmente tossiche. Queste procedure possono variare da azienda ad azienda e possono essere sottoposte a verifica da parte degli uffici competenti delle aziende sanitari locali, Asl;

    il regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente i livelli massimi di residui (Lmr), di fitofarmaci nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale o animali e che modifica la direttiva n. 91/414/CEE del Consiglio, applica i nuovi limiti di residui di antiparassitari negli alimenti. Ai sensi della legislazione comunitaria vigente l'utilizzo di prodotti fitosanitari in agricoltura deve sottostare a parametri e limitazioni d'uso che escludano, nei limiti delle conoscenze disponibili, la presenza di rischi per la salute del consumatore. In particolare, la direttiva del Consiglio n. 414/91/CEE, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, stabilisce che possono essere usate solo sostanze di cui sono valutati i rischi possibili per i consumatori attraverso un insieme di studi tossicologici a breve-lungo termine;

    la normativa sui prodotti fitosanitari è quindi molto stringente riguardo alla loro immissione in commercio, alle modalità di vendita e di stoccaggio dei prodotti, ai residui negli alimenti, alla previsione di periodi di divieto di trattamenti, mentre appare ancora carente sulle modalità di esecuzione dei trattamenti;

    con decreto interministeriale 10 marzo 2015 sono state approvate le «Linee guida d'indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi nei Siti Natura 2000 e nelle aree naturali protette». Sono quindi esplicitamente vietati solo i trattamenti in prossimità dei pozzi, mentre per i trattamenti in prossimità di abitazioni e giardini esistono alcuni regolamenti comunali e delibere che valgono naturalmente solo sul territorio del comune che li ha emanati, nonché le disposizioni del codice civile e del codice di procedura penale, in riferimento a danni a persone o cose determinati da modalità operative sconsiderate o comunque da negligenza nell'uso. Tuttavia, non vi è esplicito divieto o una normativa nazionale uguale per tutti i comuni, né una reale campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell'agricoltore per espletare, idoneamente, i trattamenti e non recare danno alla popolazione immediatamente prossima ai terreni agricoli;

    quanto alle distanze di sicurezza per evitare il rischio di contaminazione, va precisato che qualcosa in merito lo si ritrova solo nel regolamento (CE) n. 889/2008 inerente alla produzione biologica, che fra l'altro, non indica una distanza specifica di sicurezza;

    è in corso la revisione nazionale del Pan (nuovo piano di azione 2019-2024), che sarà fondamentale per l'individuazione di obiettivi quantitativi in termini di riduzione del rischio e dell'uso dei prodotti fitosanitari, richiesti dalla Commissione europea. Sono finora cinque gli Stati membri che hanno definito obiettivi misurabili. Uno dei problemi sul tavolo delle autorità competenti riguarda la disciplina della vendita on line dei prodotti fitosanitari, secondo modalità che ne garantiscano tracciabilità e controllo delle vendite;

    la procedura di autorizzazione dell'Unione europea per i prodotti fitosanitari è una delle più rigorose al mondo. Ciò nonostante, è costante lo sforzo per accrescere la disponibilità di prodotti fitosanitari a basso rischio e accelerare l'attuazione della difesa integrata negli Stati membri. Nel febbraio del 2018 il Parlamento ha istituito una Commissione speciale per indagare sulle procedure di autorizzazione europee per l'uso di pesticidi. Nel dicembre del 2018 il Parlamento ha votato a favore di un aggiornamento della legislazione alimentare che comprende la sicurezza del cibo in tutti gli stadi della catena alimentare. Il 16 gennaio 2019 il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione (2018/2153(INI)) nella quale si invitano la Commissione europea e gli Stati membri a:

     a) creare un efficace sistema di vigilanza successiva all'immissione sul mercato, per monitorare sistematicamente l'impatto reale dell'uso dei prodotti fitosanitari sulla salute umana e animale e sull'ambiente nel suo complesso;

     b) rafforzare la ricerca sulle alternative ai prodotti fitosanitari, compresi i metodi non chimici, e sui pesticidi a basso rischio, al fine di presentare agli agricoltori nuove soluzioni per l'agricoltura sostenibile;

     c) in merito alle procedure di autorizzazione dei pesticidi, a rendere pubblici gli studi utilizzati, compresi tutti i dati e le informazioni a sostegno delle domande di autorizzazione, attualmente poco trasparente;

     d) riesaminare sistematicamente di tutti gli studi disponibili sulla cancerogenicità del glifosato e delle formulazioni a base di glifosato, al fine di valutare se sia opportuno riesaminare l'approvazione di questo erbicida, peraltro ampiamente usato, nei Paesi dove è possibile, per accelerare la maturazione delle colture cerealicole e di leguminose;

    l'agricoltura italiana è tra le più green d'Europa, non solo grazie al maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp, ma anche in termini di biodiversità, con 55.600 specie animali pari al 30 per cento delle specie europee e 7.636 specie vegetali; il Paese, può contare su 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei francesi, su 533 varietà di olive contro le 70 spagnole. Con l'azione di tutela dell'ambiente, l'Italia si è portata al vertice della sicurezza alimentare mondiale, con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4 per cento), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4 per cento) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5 per cento);

    ha conquistato anche il primato green, con quasi 50 mila aziende agricole biologiche in Europa ed ha fatto la scelta di vietare le coltivazioni Ogm a tutela del patrimonio di biodiversità. Tuttavia, oggi la narrazione del biologico teorizza un ritorno al passato, a «pesticidi zero». Giova osservare che la stessa agricoltura biologica di pesticidi ne fa un uso sistematico, elencandoli in appositi disciplinari. La contrapposizione tra pesticidi (o per meglio dire agrofarmaci) di sintesi e non di sintesi è vincente in termini di marketing, ma, in termini di sostenibilità, non è funzionale a evitare un maggior inquinamento. Il rame, ad esempio, uno dei più antichi, utilizzati e «naturali» pesticidi «bio» della storia, è un metallo pesante che inquina molto di più ed è molto più dannoso per uomini e animali di alcuni prodotti di sintesi con funzioni analoghe. Le evidenze scientifiche, infatti, ne dimostrano tossicità e persistenza nel suolo per tempi indefiniti. Il suo profilo tossicologico è superiore a quello del glifosato;

    la Camera ha approvato nel dicembre 2018 disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell'acquacoltura con metodo biologico, che, pur essendo apprezzabili in termini di sviluppo della filiera, non affrontano adeguatamente il tema dei controlli, in particolare sulle importazioni, nonostante il fatto che la domanda interna non riesca a soddisfare la domanda nazionale complessiva di prodotti biologici. Carenze sono state evidenziate anche nell'ambito dei controlli diretti sulle aree agricole coltivate a biologico. Non affrontando questi temi, si rischia di fare un danno allo stesso settore biologico. Né è accettabile l'equazione che tutto ciò che non è biologico è contaminato: la produzione italiana è per l'80 per cento convenzionale e questa contrapposizione fa un danno anche all'economia italiana;

    all'agricoltura biologica non può, allo stato, essere considerata la soluzione ai problemi di approvvigionamento alimentare dell'Unione, in quanto ha una resa molto bassa. Per mais, frumento, riso e soia, il biologico produce fino al 50 per cento in meno. Per portare solo prodotti «bio» sulle tavole, ci sarebbe bisogno del doppio della terra da coltivare. Ma questo significa anche moltiplicare le emissioni di gas serra, per effetto dei dissodamenti generalizzati. Ipotizzare una massiccia conversione delle terre a biologico, per aumentare l'attuale 15,4 per cento delle superfici coltivate in Italia, comporterebbe un consumo di suolo enormemente maggiore per avere rese paragonabili alle attuali. Senza contare che circa la metà dei terreni certificati «bio» (e riceventi sussidi come tali), a oggi, è costituita da prati e pascoli nella cui gestione il biologico non si differenzia dal convenzionale;

    l'alternativa c'è ed è già «in campo»: è l'agricoltura integrata, degli imprenditori che innovano, che integra tutti gli strumenti di protezione delle colture (agronomici, fisici, biologici, chimici) secondo uno schema razionale per produrre quanto più possibile con le risorse disponibili, usate nel modo più efficiente possibile. Un'applicazione di tale metodologia, peraltro mutuata dai disciplinari dell'agricoltura biologica, è contenuta nei vincoli imposti con la nuova politica agricola comunitaria (Pac-greening), nell'ambito della quale viene stimolata tramite la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo le monocolture, con molteplici benefici ambientali, quali il miglioramento della struttura e della fertilità del terreno e la riduzione dell'impiego di fertilizzanti di sintesi e di prodotti fitosanitari;

    l'alternanza di colture cerealicole e di colture miglioratrici ha assicurato un pagamento supplementare di circa 100 euro/ettaro dal 2010, che nel Sud Italia può trasformarsi in un pagamento accoppiato aggiuntivo di circa 20 euro/ettaro. Nella Pac-greening è prevista la presenza un'area di interesse ecologico (Ecological Focus Area-EFA), che obbliga gli agricoltori con oltre 15 ettari, a destinare una quota del 5 per cento delle superfici dell'azienda a finalità ecologiche: le superfici occupate da colture che fissano l'azoto assolvono tale impegno;

    la produzione integrata è quella che «... utilizza tutti i mezzi produttivi e di difesa delle produzioni agricole dalle avversità, volti a ridurre al minimo l'uso delle sostanze chimiche di sintesi e a razionalizzare la fertilizzazione, nel rispetto dei principi ecologici, economici e tossicologici». La legge 3 febbraio 2011, n. 4, istituisce (articolo 2) il «Sistema di qualità nazionale di produzione integrata (SQNPI)», finalizzato a garantire una qualità del prodotto finale agroalimentare significativamente superiore alle norme commerciali correnti;

    gli ambiti di applicazione dei principi dell'agricoltura integrata sono principalmente quattro: fertilizzazione, lavorazioni del terreno, controllo delle infestanti, difesa dei vegetali. L'obiettivo dell'agricoltura integrata è quello di ottimizzare il compromesso fra le esigenze ambientali e sanitarie e le esigenze economiche. Sussistono in tale ambito alcune esperienze regionali in Emilia, Abruzzo, Marche, Lazio e Veneto; il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, attuativo della direttiva 2009/128/CE, contiene peraltro i principi della difesa integrata delle colture. Oltre che con tale direttiva, i disciplinari di produzione integrata sono funzionali a quanto previsto dai programma di sviluppo rurale (Psr) 2014-2020 di cui al Reg. (UE) 1305/13;

    conclusivamente, è necessario osservare che più che di finanziamento dell'Unione europea all'agricoltura tradizionale, contrapposto al finanziamento dell'agricoltura biologica, sarebbe opportuno parlare di finanziamento agli imprenditori agricoli: in particolare, il sostegno comunitario equivale mediamente a circa il 28 per cento del reddito dell'agricoltore italiano,

impegna il Governo:

1) in sede di revisione del piano di azione nazionale (Pan) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari:

   a) a dare corso, in ambito nazionale, a quanto richiesto dalla risoluzione (2018/2153(INI)) del Parlamento europeo del 16 gennaio 2019;

   b) ad assumere iniziative urgenti per uniformare le metodiche di analisi delle acque in tutta la Penisola, stante il fatto che è fondamentale tenere sotto controllo i residui di fitofarmaci che si rinvengono nelle acque sia sotterranee che di superficie, e dunque in tutto l'ambiente e nella catena alimentare, incrementando la dotazione di risorse nazionali;

   c) a rafforzare gli strumenti di controllo sulla vendita on-line di prodotti fitosanitari al fine di individuare le corrette procedure da seguire nel rispetto dei criteri di cui al decreto legislativo n. 150 del 2012;

   d) ad adottare iniziative per introdurre precise disposizioni in materia di utilizzo dei prodotti fitosanitari, con particolare riferimento alle fasce di sicurezza per evitare il rischio di esposizione delle popolazioni e di contaminazione chimica delle colture biologiche e di agricoltura integrata;

2) ad adottare iniziative per rafforzare gli strumenti di sostegno dell'agricoltura integrata, come definita dalla legge 3 febbraio 2011, n. 4, tenendo conto delle esperienze già maturate in ambito regionale, con particolare riferimento allo sviluppo del Sistema di qualità nazionale di produzione integrata (Sqnpi), promuovendo normative per favorirne lo sviluppo e la competitività;

3) a rafforzare i controlli sull'agricoltura biologica, tenendo conto delle criticità emerse in sede di discussione del provvedimento di riforma del settore citate in premessa, con particolare riferimento all'importazione di prodotti biologici da Paesi terzi.
(1-00111) «Nevi, Spena, Occhiuto».

(28 gennaio 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    secondo i dati elaborati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) nel 2016, l'Unione europea ha utilizzato 368.588 tonnellate di pesticidi, pari all'11,8 per cento del consumo globale;

    l'evoluzione legislativa dell'Unione europea per un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari utilizzabili per difendere le colture agricole da attacchi di parassiti, funghi e insetti ha introdotto, riconoscendone l'impatto negativo sull'ambiente e sulla salute, come evidenziato da recenti ricerche condotte anche dall'Organizzazione mondiale della sanità e da numerosi enti di ricerca e associazioni, criteri sempre più restrittivi di valutazione, determinando una riduzione delle sostanze attive autorizzate che sono passate da circa un migliaio a poco meno della metà;

    la Politica agricola comunitaria nell'incentivare un modello di agricoltura sostenibile ha contribuito a ridurre in modo drastico l'impiego di prodotti fitosanitari, e la nuova Pac attualmente in discussione ha evidenziato la necessità di un impegno ulteriore su questo fronte da parte degli Stati membri attraverso lo strumento del Piano strategico, dando così agli Stati membri la responsabilità di intervenire incentivando il più possibile la transizione verso il biologico e produzioni sostenibili;

    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 nel recepire la direttiva ha previsto l'Istituzione del Piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, con l'obiettivo generale di ridurre i rischi associati all'impiego dei prodotti fitosanitari. Particolare rilevanza all'interno del Piano riveste l'azione di monitoraggio volta a verificare i progressi compiuti e ad evidenziare le criticità, anche per consentire alle Amministrazioni coinvolte di effettuare, nell'ambito delle proprie competenze, la revisione delle misure adottate;

    l'indagine Istat, sull'utilizzo dei prodotti fitosanitari nelle coltivazioni agricole, svolta in conformità alle disposizioni del Regolamento CE n. 1185/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di poter disporre di dati relativi all'uso di pesticidi, ha rilevato che, nel 2016, in Italia sono stati venduti 125 milioni di chili di prodotti fitosanitari; per acquistarli è stato speso quasi un miliardo di euro (per la precisione 950.812.000 euro). Ancora di più per i fertilizzanti: 1.572.341.000 euro. Cifre decisamente in crescita: nel 2006 la somma impiegata per l'acquisto di pesticidi ammontava a 693.577.000 euro, quella per i fertilizzanti a circa un miliardo di euro;

    in Italia i monitoraggi condotti sulle acque superficiali e profonde evidenziano una contaminazione diffusa e cumulata, soprattutto a causa della persistenza di alcune sostanze. Secondo i dati più recenti forniti da Ispra nel rapporto «Pesticidi nelle acque» (aggiornamento 2018) risultano inquinati da pesticidi più di due terzi dei punti di monitoraggio delle acque superficiali: per 370 di questi punti (quasi un quarto del totale), le concentrazioni sono superiori ai limiti di qualità ambientale; nelle acque sotterranee registrano tale superamento 276 punti su 3.129 (Ispra 2018). È in aumento nelle falde acquifere anche il multiresiduo: in unico campione sono state infatti rilevate anche 55 diverse sostanze (48 nel precedente rapporto);

    la scorsa legislatura ha visto l'approvazione di normative importanti, anticipando in modo virtuoso i contenuti delle direttive comunitarie in materia di impatto sostenibile delle produzioni, responsabilità sociale di impresa e raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per citare alcuni esempi, la legge sulla biodiveristà, il contrasto ai reati ambientali, la legge sullo spreco alimentare. Nella corrente legislatura, la Camera ha approvato in prima lettura a larga maggioranza la proposta di legge in materia di produzioni con metodo biologico, che coglie e mette a sistema l'esperienza condotta nei territori e valorizza la crescente attenzione dei cittadini e delle amministrazioni comunali e regionali relativamente all'impatto sulla salute, e sull'ambiente delle produzioni. La proposta di legge in materia di agricoltura biologica pone le basi giuridiche per un piano strategico nazionale in grado di incentivare i biodistretti, le aggregazioni di prodotto e produttori, e la definizione di fondi assegnati al settore in modo strutturale, dando così forza a un settore sempre più in crescita e dal forte impatto oltre che economico, anche ambientale e sociale;

    sebbene la normativa vigente abbia determinato un maggior esame delle sostanze attive impiegate nelle formulazioni e controlli più stringenti sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura, i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo, in quanto la definizione del limite massimo di residuo consentito per legge negli alimenti, ossia l'Lmr elaborato dall'Autorità per la sicurezza alimentare (Efsa), si basa solo sul singolo principio attivo. In tal modo, si esclude la valutazione degli effetti sinergici che potrebbero derivare dalla presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso alimento, seppur a basse concentrazioni ed entro i limiti di legge. Numerose ricerche, promosse anche dall'Oms, hanno evidenziato il nesso tra alcune sostanze e patologie umane, determinando rischi per la salute connessi ad una presenza massiccia e continuativa di tali sostanze;

    massima attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute che l'impiego di pesticidi determina sull'ambiente, valutando i meccanismi di accumulo nel suolo, le dinamiche di trasferimento e l'impatto a lungo termine nell'ambiente. Studi e pubblicazioni evidenziano, infatti, come vi sia una forte correlazione tra utilizzo della chimica e fertilità dei suoli;

    secondo il citato rapporto Ispra «Pesticidi nelle acque», sulla base dei dati provenienti dalle regioni e dalle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, il glifosate, insieme al suo metabolita AMPA, è l'erbicida che presenta il maggior numero di superamenti rispetto ai parametri consentiti. In particolare sono stati trovati pesticidi nel 67 per cento dei 1.554 punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 33,5 per cento dei 3.129 punti delle acque sotterranee;

    il cambiamento climatico in atto sta determinando effetti dirompenti sulle produzioni, alternando periodi di siccità ed alluvioni. Tale situazione è inoltre aggravata dalla presenza di nuovi parassiti, come ad esempio la Drosophila suzukii e la cimice asiatica, che stanno distruggendo molte produzioni nel nostro Paese;

    alcuni casi di infestazione parassitaria manifestatasi negli ultimi anni – come per esempio il cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus), colpevole di aver in parte pregiudicato la produzione italiana di castagne, e la Xylella fastidiosa, il batterio che ha colpito una percentuale consistente degli olivi del Salento e delle zone limitrofe, – hanno dimostrato l'importanza di politiche volte a monitorare e migliorare la qualità del materiale vivaistico, la cura e manutenzione del territorio, la definizione di protocolli che garantiscano la tracciabilità nei diversi passaggi di filiera, nonché di metodi di contrasto alla diffusione dei batteri e dei vettori;

    l'utilizzo di tecniche di produzione sempre più avanzate è fondamentale per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, ridurre l'impatto della chimica nel suolo e contrastare in modo mirato la diffusione di parassiti. Un importante obiettivo perseguito dal precedente Governo è stata la crescita delle percentuali di superficie coltivata mediante l'agricoltura di precisione;

    lo scopo del regolamento (CE) n. 1107/2009, che detta le regole di immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, è di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e animale e dell'ambiente e di migliorare il funzionamento del mercato interno attraverso l'armonizzazione delle norme relative all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, stimolando nel contempo la produzione agricola;

    la necessità di combattere le avversità sulle produzioni agricole siano esse ortofrutticole o colture estensive, in mancanza di un numero sufficiente di sostanze attive ha comportato la necessità di ricorrere, purtroppo e con frequenza, all'articolo 53 del regolamento CE 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE, e successivi regolamenti di attuazione e/o modifica per compensare la mancanza di mezzi di lotta fitopatologica;

    l'utilizzo e i casi individuati di autorizzazioni di emergenza rilasciate ai sensi dell'articolo 53, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1107/2009 sono in aumento nell'Unione europea; alcuni Stati membri hanno ricorso all'articolo 53 molto più frequentemente di altri; dalla recente valutazione dell'Efsa sulle autorizzazioni d'emergenza di tre neonicotinoidi è emerso che, mentre in alcuni casi tali autorizzazioni erano conformi alle disposizioni legislative, in altri casi non lo erano. Tale situazione necessita pertanto di un maggiore coordinamento a livello comunitario, al fine di evitare di vanificare gli sforzi condotti dall'Unione europea in materia di sviluppo sostenibile e incentivare difformità tra gli Stati membri ed effetti distorsivi sul mercato;

    come rilevato nella risoluzione del Parlamento europeo del 16 gennaio 2019 sulla procedura di autorizzazione dei pesticidi nell'Unione (2018/2153(INI)) è necessario proseguire sulla strada della tutela poiché le decisioni di «autorizzazione sulle sostanze attive recentemente sviluppate e sui prodotti fitosanitari sono invariabilmente adottate in un contesto di incertezza per quanto riguarda l'impatto reale» e che «manca un monitoraggio post-autorizzazione, dati sui quantitativi esatti di ciascun prodotto fitosanitario applicato, sull'attuazione e sull'efficacia delle misure di mitigazione e sui potenziali effetti nocivi per la salute umana e animale e per l'ambiente»;

    la «sostenibilità» è indubbiamente la sfida principale per le aziende agricole e uno strumento di valorizzazione e di leva di vantaggio competitivo nel mercato nazionale e internazionale;

    l'agricoltura è probabilmente uno tra i settori dove ricerca, innovazione e sviluppo tecnologico, giocano un ruolo più rilevante e strategico. Alla già citata agricoltura di precisione, è importante aggiungere la rilevanza connessa all'analisi dei dati ai fini di prevenzione e riduzione dell'utilizzo stesso della chimica nel suolo: l’internet delle cose, i big data & analytics, la sensoristica e i droni, che permettono la raccolta, l'interpretazione, lo scambio e l'analisi di enormi quantitativi di dati provenienti da più fonti e strati informativi a supporto del processo decisionale delle aziende agricole. Grazie all'analisi incrociata di dati ed informazioni di fattori agronomici, ambientali e meteorologici diviene possibile monitorare le diverse attività agricole: a titolo esemplificativo si possono misurare costantemente le proprietà del terreno e quindi stabilire il fabbisogno di fertilizzanti o irriguo di un appezzamento agricolo (o di una parte circoscritta di esso) così come si può osservare lo stato fisiologico delle piante e quindi prevenire le patologie intervenendo in maniera tempestiva al sorgere dei primi «sintomi»;

    la ricerca può quindi fornire un contributo importante per consentire la realizzazione di produzioni agricole sostenibili sempre più affrancate dalla chimica, garantendo al consumatore un'ampia disponibilità di cibo sano e sicuro;

    la catena alimentare italiana è una delle più sicure al mondo e il nostro sistema di monitoraggio e controllo è tra i più evoluti. Misure per la sicurezza alimentare sono state inserite nel corpus della legislazione nazionale. Storicamente, tali misure sono state essenzialmente sviluppate su una base settoriale. Tuttavia, la crescente integrazione dell'economia nazionale con il mercato europeo e mondiale, gli sviluppi dell'agricoltura e della lavorazione degli alimenti e i nuovi sistemi di manipolazione e di distribuzione chiedono sempre nuovi adeguamenti e livelli di attenzione maggiori;

    le imprese agricole nel breve e medio periodo dovranno confrontarsi sempre più con i temi legati alla produttività e sostenibilità, con l'obiettivo di garantire un regolare approvvigionamento di prodotti alimentari, mangimi e biomateriali e nello stesso tempo tutelare le risorse naturali. Non c'è dubbio che non si possa costruire una politica di sostenibilità ambientale senza il contributo attivo degli agricoltori, delle istituzioni locali e dei cittadini. Cibo e paesaggio sono intrinsecamente correlati e le imprese agricole evidenziano il ruolo multifunzionale dell'agricoltura: sociale, ambientale e di sicurezza alimentare. Solo un'agricoltura attiva, competitiva e che produce reddito, sarà in grado di assicurare anche un idoneo presidio del territorio e dell'ambiente;

    è necessario assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e animale e dell'ambiente e di migliorare il funzionamento e la concorrenza del mercato interno attraverso l'armonizzazione delle norme relative all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari;

    la Comunità europea è il più grande importatore/esportatore di prodotti alimentari al mondo e commercia con Paesi di tutto il mondo una gamma sempre più ampia di prodotti alimentari. Tali numeri evidenziano come la sicurezza alimentare debba essere assunta con carattere prioritario;

    molti prodotti agricoli di Paesi terzi presentano un livello inferiore di protezione della salute umana e animale e dell'ambiente per quanto riguarda l'autorizzazione e l'uso di prodotti fitosanitari, nonché per condizioni di lavoro purtroppo lesive della dignità umana; è pertanto necessario garantire che il livello di protezione dell'Unione europea non sia compromesso dalle importazioni di prodotti agricoli da Paesi terzi e che vi sia una politica comune in grado di coinvolgere anche i Paesi in via di sviluppo verso criteri di maggiore sostenibilità ambientale e sociale;

    considerando che sul territorio dell'Unione europea sono purtroppo immessi e sono utilizzati prodotti fitosanitari importati illegalmente, che rappresentano una potenziale minaccia per la salute pubblica e una concorrenza sleale per i prodotti fitosanitari soggetti a una procedura di approvazione in conformità della legislazione europea vigente;

    nella citata risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 16 gennaio 2019 si legge che «vi è una scarsa disponibilità di prodotti fitosanitari a basso rischio; che, su un totale di quasi 500 sostanze disponibili sul mercato dell'Unione europea, soltanto dieci sono approvate come sostanze attive a basso rischio; che la scarsa disponibilità di prodotti fitosanitari a basso rischio rende più difficili l'attuazione e lo sviluppo della difesa integrata; che tale scarsa disponibilità è causata dal lungo processo di valutazione, autorizzazione e registrazione»;

    considerando che al giorno d'oggi è possibile avvalersi di tecniche avanzate, come l'agricoltura di precisione e la robotica, ai fini di un puntuale monitoraggio e dell'eliminazione di piante infestanti e insetti nocivi in fase iniziale; che tali tecniche avanzate sono ancora poco sviluppate all'interno dell'Unione europea e necessitano del sostegno dell'Unione europea e degli Stati membri;

    il progetto europeo Diverfarming, che coinvolge otto Paesi e di cui il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria è il referente per l'Italia, si è dato l'obiettivo di costruire sistemi colturali diversificati a bassi input chimici, in grado di garantire la resa delle colture, aumentare il reddito netto degli agricoltori, ridurre gli impatti ambientali e migliorare l'organizzazione della catena di valore. I ricercatori hanno il compito di valutare gli effetti della diversificazione colturale e delle differenti strategie conservative utilizzate, sui principali parametri fisico-chimici e biologici del terreno, sulle emissioni gassose in campo, nonché sulla biodiversità microbica e funzionale del suolo, attraverso innovativi approcci di studio basati su analisi di genomica e bioinformatica;

    la sostenibilità dei processi di produzione è sempre più un fattore di competitività per le imprese, specie per quelle che intendono rispondere alla crescente richiesta di responsabilità sociale ed ambientale da parte del consumatore. Per questo, la ricerca di modalità per garantire il rispetto delle risorse ambientali è in forte crescita in tutti i settori. Il tema energetico, i cambiamenti climatici, il consumo di acqua, lo sfruttamento del suolo, l'accesso al cibo, sono solo alcuni esempi dei temi destinati ad incidere profondamente sui processi produttivi e sociali nei prossimi anni. Si tratta di una tendenza che sarà ancora più marcata per il settore agroalimentare, sia per la sua specifica vulnerabilità ad alcuni fattori di rischio (vedi quello climatico), sia per la particolare valenza del rapporto di fiducia tra produttori e consumatori, nell'ambito della qualità e della sicurezza delle produzioni agroalimentari. La produzione di alimenti di qualità ottenuta con processi ambientalmente sostenibili, infatti, oggi, oltre ad essere una esigenza dei consumatori, è importante anche per i produttori agricoli, consapevoli che una maggiore attenzione alle problematiche ambientali può portare a consistenti risparmi energetici, di risorse e di materiali, traducendosi in benefici economici. Ecco che, allora, si comincia a discutere su quali potrebbero essere gli strumenti più appropriati, sia per guidare il percorso, interno alle imprese agricole, di rinnovamento dei processi produttivi orientati al miglioramento delle prestazioni ambientali, sia per la possibilità di attribuire ai prodotti un valore ambientale oggettivo, riconoscibile e spendibile sul mercato. In questo contesto, il ricorso ai cosiddetti marchi ecologici risulta funzionale per dimostrare la responsabilità di una impresa nei confronti dell'utilizzo e della gestione ambientalmente sostenibile delle risorse, oltre che un mezzo per comunicare questo impegno ai cittadini,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per incentivare con misure concrete e premialità le pratiche agricole sostenibili e la ricerca, al fine di favorire il percorso di drastica e rapida riduzione dell'uso dei fitofarmaci e favorire la transizione verso un modello di economia circolare sostenibile;

2) a procedere rapidamente alla redazione del nuovo Piano di azione nazionale, con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera produttiva e agroalimentare, stabilendo una definizione quantitativa delle soglie di riduzione per gli agrofarmaci con particolare riferimento a quelli sistemici, la regolamentazione delle macchine irroratrici, e incrementando la superficie agricola utilizzata (Sau) a produzione biologica a partire dalle aree protette e siti Natura2000 deve si potrebbe giungere all'obiettivo di 50 per cento di Sau biologica, considerato che si ritiene fondamentale anche l'accoglimento delle richieste di amministrazioni e cittadini, manifestate anche con imponenti petizioni on line di inserimento nel punto A.5.6 del PAN, in caso di trattamenti con fitofarmaci di adeguate distanze dai confini privati e dalle abitazioni di privati oltre all'obbligo di avviso con relative sanzioni in caso di inadempienza;

3) nell'ambito della nuova Pac, e con particolare riferimento ai piani strategici nazionali, ad assumere iniziative volte ad inserire misure incentivanti e una maggiore corresponsione a sostegno di produzioni maggiormente sostenibili;

4) poiché nella futura Pac il ruolo degli Stati membri sarà importante nella definizione delle condizioni di accesso ai «regimi ecologici» da inserire nei Piani strategici nazionali, ad assumere iniziative volte a favorire pratiche agricole che hanno effetti positivi per la tutela dell'ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, correggendo alcune distorsioni dell'attuale sistema dei titoli storici, prevedendo adeguati strumenti per la valorizzazione e la promozione dell'agricoltura biologica, per la riduzione della presenza di sostanze chimiche di sintesi negli ecosistemi, rispondendo così anche alla richiesta dei cittadini consumatori di cibo sano e di qualità;

5) a predisporre una indagine sul fenomeno del multiresiduo per valutare come sostanze chimiche diverse, presenti negli alimenti, possano interagire tra di loro e nell'organismo e a mettere in atto quanto di propria competenza affinché l'Autorità per la sicurezza alimentare (EFSA), individui una risoluzione del problema applicabile nel territorio dell'Unione europea;

6) a promuovere un coordinamento tra le strutture competenti dei Ministeri delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, al fine di approfondire la relazione tra l'utilizzo dei fitofarmaci, e l'impatto su ambiente e salute, nonché per garantire la trasparenza e l'accessibilità su indagini e risultati;

7) ad intervenire presso le opportune sedi affinché, per la legislazione comunitaria in materia di prodotti fitosanitari e nel rispetto dei livelli minimi di regolazione previsti dalle norme comunitarie vigenti, inizi un percorso di armonizzazione legislativa, tutelando nel mentre, con tutti gli strumenti disponibili e con accordi specifici, le produzioni nazionali dalla concorrenza dei Paesi terzi in cui la minor tutela sanitaria ed ambientale consente un uso più ampio dei fitosanitari;

8) ad assumere iniziative per prevedere nell'ambito del nuovo Piano di azione nazionale che nelle aree agricole e urbane, adiacenti alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, quali abitazioni private, orti privati, parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi all'interno di plessi scolastici, parchi gioco per bambini e superfici in prossimità di strutture sanitarie, sia vietato l'utilizzo, a distanze inferiori di 30 metri dai confini di proprietà, di pesticidi e diserbanti e che, qualora l'utilizzo di fitosanitari avvenga su strade interpoderali che consentono l'accesso ad abitazioni o a terreni privati, sia obbligatorio per gli operatori di tali prodotti comunicare, almeno 24 ore prima, l'avvio del trattamento e di predisporre adeguate barriere contenitive;

9) ad assumere iniziative per finanziare la ricerca del Crea nell'ambito dei prodotti fitosanitari di origine naturale (cosiddetti bio based products) in considerazione della necessità di sviluppare una filiera di principi attivi compatibili con la produzione integrata e l'agricoltura biologica;

10) a rafforzare il ruolo degli esperti del Crea nella ricerca a supporto delle decisioni della sezione consultiva dei prodotti fitosanitari, istituita nell'ambito del Comitato tecnico per la nutrizione e la sanità animale, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 44, concernente «Regolamento recante il riordino degli organi collegiali ed altri organismi operanti presso il Ministero della salute» e del DM 30 marzo 2016;

11) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per la verifica del livello di concentrazione delle imprese produttrici di prodotti fitosanitari a seguito dei processi di fusione in atto sul mercato europeo che rischia di ridurre la concorrenza con effetti negativi in termini di prezzi e diffusione di tali prodotti;

12) a garantire risorse adeguate affinché il monitoraggio compiuto dall'Ispra sullo stato di contaminazione delle acque da prodotti fitosanitari coinvolga i servizi fitosanitari regionali e copra l'intero territorio nazionale con riferimento anche ai prodotti fitosanitari per uso non professionale;

13) a riconoscere l'impegno ed i traguardi raggiunti dall'agricoltura italiana nell'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, supportando adeguatamente gli investimenti delle imprese a favore di una agricoltura rispettosa dell'ambiente e della salute umana;

14) a proseguire il lavoro già positivamente svolto nella precedente legislatura sull'impatto dell'uso dei neonecotinoidi sulle api, verificando ad ampio spettro le conseguenze sugli insetti derivanti dall'uso massivo di fitofarmaci e diserbanti;

15) a dare piena attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo del 16 gennaio 2019 sulla procedura di autorizzazione dei pesticidi nell'Unione (2018/2153(INI)).
(1-00112) «Gadda, Cenni, Braga, Cardinale, D'Alessandro, Dal Moro, Critelli, Incerti, Portas, Buratti, Del Basso De Caro, Carla Cantone, Morassut, Morgoni, Orlando, Pellicani, Pezzopane».

(28 gennaio 2019)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZÓFFILI e ZORDAN. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   ai sensi dell'articolo 5, comma 2-ter, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, sono stanziati 37 milioni di euro per l'installazione di sistemi di videosorveglianza, con l'obiettivo di operare la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, in particolare a vantaggio delle zone maggiormente interessate da fenomeni di degrado;

   in dettaglio, lo stanziamento prevede la spesa di 7 milioni di euro per l'anno 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019;

   nel novembre del 2018, il Ministro interrogato ha firmato il decreto attuativo, che dà il via libera al finanziamento di 37 milioni di euro per il triennio 2017-2019, al fine di realizzare 428 sistemi di videosorveglianza in altrettanti comuni italiani;

   il decreto ha approvato la graduatoria definitiva delle richieste di finanziamento avanzate da parte dei comuni interessati e ha disposto che i progetti siano ammessi a finanziamento secondo l'ordine della graduatoria definitiva e fino a concorrenza della disponibilità delle risorse finanziarie previste;

   l'installazione di sistemi di videosorveglianza si rende indispensabile al fine di garantire la sicurezza dei cittadini, a causa dei persistenti fenomeni di criminalità che interessano, sempre più, diverse realtà italiane, urbane e di provincia, nel Nord come nel Sud del Paese;

   i sistemi di videosorveglianza hanno peraltro un forte effetto deterrente, in quanto prevengono i reati e consentono di risparmiare sui costi derivanti dalla repressione dei crimini –:

   quale sia lo stato di attuazione delle norme richiamate e quali siano, più in generale, le linee programmatiche del Ministro interrogato per tutelare la sicurezza dei cittadini.
(3-00510)

(12 febbraio 2019)

   FUSACCHIA. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   tra il 23 e il 26 maggio 2019 si terranno in tutti gli Stati membri dell'Unione europea le elezioni per i membri del Parlamento europeo;

   almeno 330.000 italiani risultano iscritti all'Anagrafe italiani residenti all'estero come residenti nel Regno Unito e si stima che altri 300.000 vi siano temporaneamente domiciliati;

   nelle precedenti elezioni europee i cittadini italiani residenti nel Regno Unito, come negli altri Paesi dell'Unione europea, hanno potuto esercitare il diritto di voto attraverso la rete dei seggi organizzati nelle sedi consolari;

   l'annunciata uscita del Regno Unito dall'Unione europea priverebbe tali concittadini italiani di questa forma di esercizio dell'elettorato attivo, poiché gli italiani residenti in un Paese extra-Unione europea, sulla base della normativa vigente, non possono votare con questa modalità per il Parlamento europeo e sarebbero tenuti – contrariamente a quanto avvenuto storicamente – a rientrare fisicamente in Italia per votare;

   permane una totale incertezza rispetto ai termini e ai tempi del processo di uscita del Regno Unito dall'Unione europea – tra «uscita senza accordo», proroga dei termini dell'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea e nuovi negoziati tra il Regno Unito e l'Unione europea – cosa che rende a sua volta particolarmente incerto il voto alle prossime elezioni europee per quanto riguarda le sue modalità di esercizio;

   la determinazione delle liste elettorali per consentire in Italia il voto di cittadini residenti nel Regno Unito e gli altri adempimenti necessari comporterebbero un aggravio di oneri amministrativi e organizzativi per gli uffici nazionali competenti;

   il costo del viaggio e l'impegno di tempo conseguente rappresentano per molti connazionali un ostacolo all'esercizio del diritto di voto e, quindi, all'effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla politica europea;

   per mantenere un diritto storicamente esercitato dalla comunità italiana nel Regno Unito non sarebbe necessario che un parziale e temporaneo adeguamento, vista l'obiettiva eccezionalità della situazione, dell'articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 1994, n. 408, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1994, n. 483, per consentire in ogni caso nel 2019 il voto ai cittadini italiani residenti nel Regno Unito attraverso la rete consolare –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare per tutelare gli interessi e garantire pienamente il diritto di elettorato attivo di un numero di italiani complessivamente superiore all'1 per cento del corpo elettorale del nostro Paese, a partire dal necessario adeguamento della suddetta normativa.
(3-00511)

(12 febbraio 2019)

   SANTELLI, OCCHIUTO, SISTO, CALABRIA, RAVETTO, BARTOLOZZI, BATTILOCCHIO, MARROCCO, MUGNAI, RUGGIERI, SPENA e MARIA TRIPODI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   gli innumerevoli episodi di criminalità, violenza, aggressioni, spaccio e accattonaggio molesto mostrano come le città italiane siano sempre più insicure e Roma, con note vicende come l'omicidio avvenuto nei pressi di un asilo nido e la sparatoria davanti ad un locale notturno in cui un giovane atleta è rimasto gravemente ferito riportando lesioni permanenti, ne è la rappresentazione plastica;

   secondo dati Eurispes, quattro italiani su dieci (39 per cento) ritengono di vivere in città «poco» (33,1 per cento) o «per niente» (5,9 per cento) sicure e il numero di coloro che dicono di sentirsi poco o per niente sicuri di uscire da soli nella zona in cui vivono è in crescita: dal 27,8 per cento del 2017 al 44 per cento del 2019 (+16,2 per cento);

   consistente il timore di uscire soli di notte nella zona in cui si vive, passato dal 35,3 per cento del 2017 al 42,4 per cento del 2019 (+7,2 per cento), e anche restare soli in casa fa più paura che in passato: a non sentirsi sicuri sono ben il 46,3 per cento degli italiani, quando erano appena il 27,9 per cento nel 2017 (+18,4 per cento);

   il lavoro svolto quotidianamente dalle forze dell'ordine, in una situazione di grave carenza di personale, è senz'altro encomiabile, nonostante le irrisorie risorse stanziate dal Governo per tutelare un comparto fondamentale del Paese, nonché per garantire una maggiore sicurezza ai cittadini e l'assenza di un coordinamento centrale che privilegi chiare strategie di intervento;

   i fattori che contribuiscono all'aumento di episodi di criminalità sono numerosi e l'immigrazione clandestina è soltanto un segmento, importante ma non unico, di un contesto molto più grande in un Paese dove, purtroppo, la tossicodipendenza produce una media terribile di quasi una vittima al giorno e non si hanno interventi mirati volti a sradicare il diffuso fenomeno dello spaccio;

   ad avviso degli interroganti, nonostante i numerosi proclami del Governo, a cui fino ad oggi non è seguita un'azione concreta, la percezione dei cittadini che vivono nelle grandi e piccole città, come dimostrato dai dati e dai numerosi episodi di criminalità, è quella di vivere nell'insicurezza e di essere continuamente esposti a situazioni di serio rischio –:

   se, in che modo e con quali tempistiche il Ministro interrogato intenda illustrare e rendere esecutivo un chiaro e preciso programma di interventi volti a ridurre gli innumerevoli episodi di criminalità nelle grandi e piccole città al fine di rassicurare i cittadini, riaffermando la primazia delle istituzioni democratiche italiane.
(3-00512)

(12 febbraio 2019)

   EPIFANI e FORNARO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   il settore automobilistico guida il crollo della produzione industriale italiana che, a novembre 2018, è scesa del 2,6 per cento su base annua. Secondo i dati dell'Osservatorio sulla componentistica automotive italiana 2018, nei primi undici mesi del 2018 la produzione è stata inferiore del 5,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017 e, solo a novembre 2018, ha toccato un -19 per cento su base annuale e -8,6 per cento rispetto a ottobre 2018;

   secondo i dati preliminari di Anfia, Associazione nazionale filiera industria automobilistica, a dicembre 2018 la produzione domestica di autovetture ammonta a circa 39.000 unità, in calo del 13 per cento rispetto a dicembre 2017. Gli ordinativi per il settore automotive risultano in calo del 13,6 per cento a novembre 2018 (risultato di una componente interna in calo del 18,7 per cento e di una componente estera in calo del 5,9 per cento). Il fatturato del settore automotive, infine, riporta un calo del 9,5 per cento a novembre 2018;

   Mike Manley, amministratore delegato di Fca, aveva annunciato un piano di investimenti da 5 miliardi di euro in Italia dal 2019 al 2021. Dopo l'introduzione del provvedimento bonus/malus sugli incentivi, che entrerà in vigore dal 1o marzo 2019, Manley ha fatto sapere che il piano verrà rivisto. La norma, penalizzando le auto più inquinanti e premiando chi compra una vettura elettrica o ibrida, per definizione danneggia Fca, che, per ora, non produce nessuna vettura «premiata» e che, invece, ha puntato in passato decisamente sulle vetture «premium», con elevate immissioni di anidride carbonica. Come si legge, infatti, nel documento «il Mestiere dell'auto. Il posizionamento competitivo del gruppo Fca» prodotto da Fiom-Cgil, «l'Italia è il Paese con la più alta presenza di auto con motori a carburante alternativo, gpl e metano, ma con la più bassa di auto elettriche»;

   tutto questo preoccupa molto i sindacati, che prevedono ulteriori posti di lavoro a rischio e che già sono in agitazione in diverse realtà, come, ad esempio, nell'impianto Blutec di Termini Imerese, dove sono in attesa della proroga della cassa integrazione per 564 lavoratori diretti e quella in deroga per altri 300 dell'indotto –:

   quali iniziative intenda assumere in materia di settore automobilistico per rilanciare la produzione anche al fine di salvaguardare i posti di lavoro.
(3-00513)

(12 febbraio 2019)

   MORETTO, BENAMATI, BONOMO, GAVINO MANCA, MOR, NARDI, NOJA, ZARDINI, MARTINA, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:

   quelle che appaiono agli interroganti le sconsiderate affermazioni del Ministro interrogato di un imminente boom economico sono state smentite dall'Istat che, per la prima volta dal 2014, certifica una «recessione tecnica»: nel quarto trimestre 2018, il prodotto interno lordo italiano ha segnato la seconda variazione congiunturale negativa consecutiva;

   in un quadro di marcato peggioramento dell'indice di fiducia delle imprese, che prospetta serie difficoltà di tenuta dei livelli di attività economica, particolarmente colpito è il settore industriale che, sempre secondo l'Istat, nel dicembre 2018 ha ridotto la produzione del 5,5 per cento rispetto al dicembre 2017;

   questi dati mostrano che, come sempre denunciato dal Partito democratico, i principali provvedimenti del Governo sono inutili, ove non dannosi: a partire dal cosiddetto «decreto dignità» che, invece di creare lavoro stabile, sta aumentando precarietà e licenziamenti e risulta inefficace nel contrasto delle delocalizzazioni, per proseguire con la legge di bilancio per il 2019 che ha svuotato le misure di Industria 4.0, aumentato di oltre sei miliardi di euro la tassazione sulle imprese e ridotto di un miliardo di euro gli investimenti pubblici, introdotto l'ecotassa sulle auto che sta determinando effetti negativi sulle decisioni di investimento delle imprese e di acquisto da parte dei consumatori;

   a gennaio 2019 risulterebbero 138 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello sviluppo economico, con circa 210 mila lavoratori coinvolti e situazioni di difficoltà che ormai caratterizzano tutti i settori e interessano l'intero territorio da Nord a Sud, sui quali il Governo sta dimostrando la sua assoluta inadeguatezza;

   emblematica la gestione della crisi riguardante la Pernigotti, perfetta sintesi dello scarto tra le promesse, con relativi slogan e tweet, e i risultati ottenuti nell'azione del Governo: nonostante i cioccolatini mangiati con i lavoratori a Novi Ligure, la vicenda si è tristemente conclusa con la cassa integrazione per 92 dipendenti dell'azienda e l'ipotesi di spostare la produzione in Turchia;

   per la prima volta da anni, sabato scorso gli imprenditori del settore industriale hanno partecipato alla manifestazione unitaria dei sindacati condividendo la stessa preoccupazione per le scelte del Governo –:

   se intenda intraprendere azioni concrete per raggiungere tali obiettivi, quali il pieno rifinanziamento di Industria 4.0 richiesto a gran voce dal mondo imprenditoriale, abbandonando la propaganda e iniziando a fornire al Paese credibili risposte di politica economica e industriale per invertire le tendenze economiche in atto.
(3-00514)

(12 febbraio 2019)

   DONNO, ALEMANNO, ADELIZZI, ANGIOLA, TRIZZINO, BUOMPANE, RADUZZI, D'INCÀ, FARO, FLATI, GUBITOSA, GABRIELE LORENZONI, LOVECCHIO, MANZO, MISITI, SODANO e ZENNARO. – Al Ministro per il sud. – Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2017, ha istituito agli articoli 4 e 5 le zone economiche speciali e la legge di bilancio per il 2018 ha istituito le zone logistiche semplificate;

   il citato decreto-legge è stato recentemente oggetto di modifiche nel provvedimento sulle semplificazioni, un intervento normativo che va ad incidere ulteriormente sulle speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo nelle zone economiche speciali e nelle zone logistiche semplificate;

   con tale modifica normativa, il Governo ha riconosciuto la strategicità di rendere davvero operative le zone economiche speciali e le zone logistiche semplificate, attuando in concreto la semplificazione burocratica per queste zone;

   in particolare, si è deciso di procedere in questo modo, al fine di rendere immediatamente operativa la misura, con l'accelerazione dell'individuazione di misure di semplificazioni nelle aree delle zone economiche speciali e delle zone logistiche semplificate, che, fino ad oggi, non hanno trovato applicazione a causa della previsione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, sicuramente, non rappresentava lo strumento normativo più efficace ma, grazie a questa proposta, si è previsto un nuovo meccanismo di accelerazione per garantire l'accesso agli interventi di urbanizzazione primaria alle imprese insediate nelle aree interessate;

   oltre alle zone economiche speciali, ci sono altri interventi che possono sostenere la ripresa del Sud: la ricognizione delle risorse allocate sul Fondo di sviluppo e coesione, il monitoraggio continuo e la verifica sulla coerenza nell'uso dei fondi strutturali europei, nonché i contratti istituzionali di sviluppo, uno strumento che consente di realizzare investimenti, con la totale partecipazione e l'assunzione di responsabilità dei territori interessati, con l'obiettivo di dare certezza sull'avvio e la conclusione delle opere –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare per sostenere la ripresa, l'attrazione di investimenti produttivi, la creazione di occupazione e il recupero di competitività dei territori del Sud del Paese.
(3-00515)

(12 febbraio 2019)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. – Al Ministro per il sud. – Per sapere – premesso che:

   dal convegno «Rapporto Sud – Emergenze e opportunità per far ripartire il Mezzogiorno», tenutosi il 27 settembre 2018 a Reggio Calabria, sono emersi dati preoccupanti;

   negli ultimi 10 anni, l'area del Mezzogiorno, che copre il 40 per cento dell'intero territorio italiano e in cui vive il 35 per cento della popolazione, ha visto ridursi progressivamente la capacità di spesa e di investimento, sempre più debole rispetto a quella del Centro-Nord;

   secondo i dati Eurostat del 2016, infatti, la rete autostradale del Mezzogiorno si estende per 2.149 chilometri e rappresenta circa il 31 per cento di quella nazionale. Una dimensione che, posta in rapporto alla superficie territoriale, appare sensibilmente inferiore a quella necessaria;

   analoga è la situazione ferroviaria: «l'Italia nel 2016 dispone – secondo i dati Eurostat – di 16.788 chilometri di rete ferroviaria, distribuita per 7.533 chilometri nel Nord, 3.457 nel Centro ed i restanti 5.730 nel Mezzogiorno»;

   la chiave di volta per poter ribaltare il divario tra Nord e Sud risiede nella competitività, da realizzarsi attraverso una progettazione integrata e in grado di valorizzare le risorse di cui il territorio è ricco e, in questa ottica di integrazione e di sviluppo economico, sono le infrastrutture a presentare il fondamento per lo sviluppo;

   la Ministra interrogata, in recenti dichiarazioni, ha sottolineato la necessità di superare e «disincagliare» il Mezzogiorno da una condizione di affanno strutturale;

   la stessa Ministra aveva promesso misure specifiche per il Sud e, in particolare, ha sostenuto che «per quanto attiene alle mie specifiche competenze dirette, il caposaldo resta l'introduzione del 34 per cento degli investimenti ordinari da destinare al Sud», atteso che, attualmente, la percentuale di stanziamenti ordinari in conto capitale non supera il 29 per cento;

   la misura che lega gli investimenti alla popolazione di riferimento (criterio che porta la quota per il Mezzogiorno al 34 per cento) era stata già prevista con la legge di bilancio per il 2017 ma «non attuata»;

   ad oggi nulla di tutto questo è stato realizzato: appare indispensabile ed urgente disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano al Mezzogiorno di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori –:

   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per consentire un adeguato sviluppo infrastrutturale al Sud, destinando quindi alle regioni meridionali il 50 per cento delle risorse destinate agli investimenti pubblici nazionali in luogo del 34 per cento attualmente previsto.
(3-00516)

(12 febbraio 2019)