TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 108 di Martedì 15 gennaio 2019

 
.

INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

A) Interpellanza

   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   da un articolo di stampa, pubblicato il 18 giugno 2018 dal giornale «La Nuova Sardegna» dal titolo «Alla scuola sottufficiali ritornano i corsi per allievi nocchieri», si apprende dell'esistenza di un accordo secondo cui verrebbero trasferiti circa 700 allievi da Taranto e La Maddalena divisi in quattro incorporamenti annuali da 160/180 giovani tra Marina militare e Capitaneria di porto, appartenenti alla categoria di nocchieri di porto e tecnici di macchine, di conseguenza potrebbero aversi 4 cerimonie di giuramenti ogni anno di giovani appartenenti a tali categorie;

   appare, da una breve disamina dell'operazione, che essa avvenga al fine di avere un'importante ricaduta sul territorio sardo, sia per il turismo che per l'economia ad essa legata;

   inoltre, dall'articolo risulterebbe che l'accordo sia stato probabilmente il frutto di «buoni rapporti instaurati a suo tempo» tra il Ministero della difesa e l'ente locale interessato; non risulta peraltro, a quanto consta all'interpellante, che siano stati precedentemente interpellati o informati gli amministratori locali tarantini che avrebbero saputo il tutto solo attraverso stampa, come dichiarato nei giorni scorsi da alcuni consiglieri comunali di maggioranza della città;

   è, quindi, così evidente come a Taranto non si avrebbe più un afflusso di 700 famiglie in occasione dei giuramenti con una forte ricaduta sull'economia locale (operatori culturali, commercianti, albergatori, ristoratori e altro);

   le 700 famiglie provenienti per la maggior parte dal Sud Italia, in occasione dei giuramenti, dovranno affrontare un viaggio lungo e costoso per assistere ad uno dei momenti più importanti nella carriera del loro familiare;

   basta ricordare che circa 4 anni fa fu presa la decisione di trasferire i corsi dei volontari in ferma prefissata di un anno e i successivi giuramenti dall'allora Maricentro Taranto a Mariscuola, al fine di razionalizzare le spese ed oggi si parla di spostare anche i 700 allievi annui sull'isola de La Maddalena dove lo stesso Co.Ce.R. Marina fu in visita pochi anni fa, rilevando l'esistenza di inidonee condizioni infrastrutturali e logistiche;

   il comprensorio ex Maricentro potrebbe ospitare tranquillamente i 700 allievi distribuiti in 4 corsi qualora le scuole sottufficiali di Taranto non fossero idonee ad ospitare di militari stranieri. Basti ricordare che solo 15 anni or sono, prima dell'abolizione della leva obbligatoria, il centro ospitava regolarmente oltre 1.200 militari;

   sembrerebbe, quindi, logico che una maggiore presenza di militari sull'isola de La Maddalena comporti il trasferimento di qualche decina di militare in servizio permanente e rispettive famiglie. Tale possibilità sta creando forte preoccupazione per il personale della Marina, in quanto andrebbe ad incidere sull'economia familiare notevolmente, essendo l'isola ad alta vocazione turistica;

   i militari che dovrebbero sostenere i corsi sarebbero quelli del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera, che dipendono funzionalmente ed economicamente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Tali risorse potrebbero tranquillamente essere investite a Taranto, creando anche strutture logistiche e di affiancamento a Maricentro e contribuendo in qualche misura all'economia locale;

   infatti, la popolazione di Taranto, come tutti sanno, sta vivendo una crisi economica molto importante da molto tempo, come conseguenza delle condizioni ambientali e sanitarie più volte oggetto di vari atti di sindacato ispettivo;

   è parere dell'interpellante che togliere altre risorse al Territorio tarantino non giova né all'economia, né alle condizioni sociali dei cittadini di Taranto e provincia –:

   se quanto riportato della stampa circa il trasferimento delle 700 unità di volontari in ferma prefissata di un anno corrisponda al vero;

   quali chiarimenti intendano fornire circa l'assenza di informazione e coinvolgimento delle amministrazioni locali e quali siano i motivi;

   se non si ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa, di riaprire e ristrutturare Maricentro, anche attingendo da risorse del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ciò anche in considerazione delle dichiarazioni del Co.Ce.R. Marina in merito alle carenti condizioni strutturali delle scuole sottufficiali de La Maddalena;

   se ad oggi siano avvenuti interventi per colmare le carenze strutturali sull'isola, quali siano i costi sostenuti e quanti siano gli alloggiamenti disponibili e/o da ristrutturare;

   se sia in previsione l'ampliamento dell'organiche del personale in servizio permanente, non dirigente, nei prossimi 12 mesi sull'isola de La Maddalena e di quali categorie e grado;

   se non si ritenga di riconsiderare tale trasferimento soprattutto in riferimento al danno economico che ne deriverebbe per l'intera provincia tarantina a seguito della mancanza del flusso di 700 famiglie l'anno, considerando che i cittadini hanno ospitato per oltre 150 anni gli appartenenti alla Forza armata nel pieno centro della città, circostanza che li ha privati delle zone più belle, e che oggi con l'eventuale trasferimento dei 700 volontari in ferma prefissata di un anno si vedrebbero oltraggiati ulteriormente.
(2-00050) «Labriola».

(13 luglio 2018)

B) Interrogazione

   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il presidio ospedaliero «Costa d'Amalfi» di Castiglione di Ravello è plesso dell'azienda ospedaliera universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno. La struttura è stata identificata con decreto del commissario ad acta n. 8/2018 pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Campania n. 12 del 12 febbraio 2018 come ospedale di «zona disagiata», ai sensi del decreto ministeriale n. 70 del 2015. Tale decreto del commissario ad acta è stato anche recepito nell'atto aziendale dell'azienda ospedaliera universitaria Ruggi, ove vengono conteggiati i posti letto previsti;

   in tale qualifica sono previsti infatti 20 posti letto di medicina con annessa funzione di day surgery e one day surgery, nonché la funzione di pronto soccorso-osservazione breve intensiva con i servizi indispensabili di laboratorio analisi e radiologia ed il personale di supporto (rianimatore, cardiologo);

   da organi di stampa si apprende che, ad oggi, risulta essere attivo il solo pronto soccorso, con il laboratorio analisi e radiologia e le figure di supporto. Manca, invece, l'osservazione breve intensiva e soprattutto nessuna iniziativa è stata intrapresa per la realizzazione dei 20 posti di medicina, nonché per la riattivazione della sala operatoria, esistente e disattivata da 3 anni. Anzi, è stato disattivato l'ambulatorio di chirurgia, sebbene vi sarebbero 6 chirurghi di pronto soccorso disponibili a svolgerlo in orario ordinario. Inoltre, è stata soppressa anche la reperibilità del rianimatore per i trasferimenti di rianimazione, situazione ancora più grave e pericolosa, considerando che il presidio spesso rimane oltre 3 ore senza rianimatore: a giudizio dell'interrogante, un vero attentato alla sicurezza di pazienti ed operatori;

   pertanto, non essendo stato fatto nulla in concreto, secondo quanto deliberato all'interno del decreto del commissario ad acta n. 8, sembrerebbe all'interrogante che la regione non voglia mettere in pratica quanto previsto per soddisfare le legittime aspettative dei cittadini della costiera amalfitana, creando disagio, disservizio e grave pericolo per la salute della popolazione che usufruisce delle cure del presidio ospedaliero –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, considerata la gravità degli stessi quali urgenti iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per far sì che il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari concretizzi quanto precedentemente previsto nel decreto del commissario ad acta n. 8 e se non ritenga opportuno accertare e verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità per i ritardi nella realizzazione di quanto previsto.
(3-00425)

(15 gennaio 2019)
(ex 4-01274 del 3 ottobre 2018)

C) Interpellanza e interrogazione

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:

   il 2 maggio 2018 la Commissione europea ha proposto per il quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea (QFP-2021-2027) un programma di 1,279 miliardi di euro in impegni, pari all'1,114 per cento del reddito nazionale lordo dei 27 Stati membri e che prefigura, nel nuovo contesto di minori entrate a causa della «Brexit», una preoccupante riduzione per taluni capitoli di bilancio con un impatto considerevole su taluni comparti produttivi italiani;

   i tagli più rilevanti riguardano la politica agricola comune: la proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea contempla una dotazione complessiva che passa da 408 a 365 miliardi di euro, con una riduzione pari a 43 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea i finanziamenti per la politica agricola comune subirebbero complessivamente un taglio del 5 per cento; mentre secondo il Parlamento europeo i tagli ammonterebbero complessivamente al 15 per cento;

   risulterebbero ridotti, infatti, sia i pagamenti diretti (da 303 miliardi a 286 miliardi di euro), sia le dotazioni del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale (Feasr) (da 95,5 a 78,8 miliardi di euro);

   dunque, l'Italia con il nuovo bilancio dell'Unione europea potrebbe perdere 2,7 miliardi di euro, pari a una riduzione del 6,9 per cento e, secondo Confagricoltura, i tagli colpirebbero soprattutto le aziende di maggiore dimensione del nostro Paese;

   il 18 giugno 2018, in sede di Consiglio agricoltura, i Ministri hanno espresso preoccupazione in merito ai tagli proposti dalla Commissione europea per il bilancio della politica agricola comune in generale e dello sviluppo rurale in particolare. Nel corso di tale Consiglio è stata inoltre resa nota una dichiarazione congiunta siglata da Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia in favore del mantenimento dell'attuale budget per l'agricoltura anche per il periodo 2021-2027. Nella stessa sede anche l'Italia si è espressa contro il taglio alla spesa per la politica agricola;

   la decisione sul futuro bilancio a lungo termine dell'Unione europea spetta al Consiglio che delibera all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo;

   il recente Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, nelle sue conclusioni ha preso atto del pacchetto di proposte sul quadro finanziario pluriennale, per il periodo 2021-2027, presentato dalla Commissione europea il 2 maggio 2018 e dunque anche delle previsioni di riduzione in questione –:

   se non ritengano di doversi attivare, nelle competenti sede europee e in accordo anche con altri Paesi membri penalizzati dalle riduzioni delle risorse del bilancio pluriennale Ue 2021-2027 riguardanti la politica agricola comune, al fine di respingere le ipotesi di taglio che incidono fortemente sull'agricoltura italiana per 2,7 miliardi di euro, tali da mettere in pericolo il ruolo determinante della politica agricola anche nelle sfide sui cambiamenti climatici, sulla messa in sicurezza del territorio e sulla salute dei cittadini europei.
(2-00049) «Rossello, Nevi, Battilocchio, Pettarin, Ruggieri, Elvira Savino, Cosimo Sibilia, Vietina, Anna Lisa Baroni, Brunetta, Caon, Fasano, Sandra Savino, Spena».

(12 luglio 2018)

   INCERTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il pacchetto di riforma della politica agricola comune presentato dalla Commissione europea nel mese di giugno 2018 vale 365 miliardi di euro e si struttura su tre proposte di regolamento: una proposta di regolamento volta a strutturare i piani strategici della politica agricola comune; una proposta di regolamento riguardante il finanziamento, la gestione e il monitoraggio della politica agricola comune; una proposta di regolamento relativa all'organizzazione comune di mercato dei prodotti agricoli;

   nella riunione del Consiglio Agrifish, svolta il 18 giugno 2018 a Lussemburgo, il Ministro interrogato, in qualità di rappresentante dell'Italia, ha espresso una valutazione complessivamente negativa in merito alle proposte legislative della Commissione europea relative alla riforma della politica agricola comune post 2020;

   l'Italia, infatti, si è dichiarata non soddisfatta delle proposte presentate dalla Commissione europea, in quanto non risultano all'altezza della tutela degli agricoltori, sia a causa dei tagli al budget destinato alla politica agricola comune secondo le proposte riguardanti il quadro finanziario pluriennale post 2020, sia a causa della mancata tutela da parte delle recenti proposte legislative della Commissione europea dei settori dell'agricoltura più esposti alla volatilità dei prezzi;

   in particolare, i tagli alla politica agricola comune previsti dal nuovo budget europeo vanno a colpire direttamente il sostegno al reddito previsto per gli agricoltori: il 28 per cento del reddito degli agricoltori italiani dipende dal diretto sostegno dell'Unione europea e questa media si alza al 38 per cento nell'Unione europea;

   il taglio alla politica agricola comune che viene proposto, inoltre, se si tiene conto dell'inflazione, ammonta a circa il 15 per cento in media (–11 per cento nel primo pilastro e –25 per cento nel secondo), e non al 4-5 per cento come sostiene il Commissario Hogan;

   a questo poi si aggiunge il fatto che la proposta di bilancio della Commissione europea dovrà passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo dove difficilmente la previsione di taglio non sarà aumentata. Perché per quadrare i conti la Commissione europea ha proposto che le entrate siano accresciute fino a rappresentare l'1,114 per cento del reddito nazionale lordo degli Stati dell'Unione europea. Un aumento consistente rispetto al presente. Bisogna poi tenere anche conto che, per compensare i minori fondi allo sviluppo rurale e alla politica di coesione, si è proposto di chiedere agli Stati membri un aumento del cofinanziamento nazionale e regionale. Si tratta, ad avviso dell'interrogante, di un modo indiretto di chiedere fondi per finanziare le politiche comunitarie;

   sarebbe sufficiente ricordare, poi, che nel 2013 il bilancio settennale fu tagliato, non aumentato. E da questo punto di vista non sembrano esserci le condizioni oggi per un'inversione di rotta. Così appare concreto il rischio che sulla politica agricola comune si effettuino ulteriori tagli;

   di fronte alla necessità di far quadrare i conti, infine, tutte le politiche saranno ulteriormente passate al vaglio del cosiddetto «valore aggiunto europeo», cioè dell'efficienza e dell'efficacia della spesa. Ed è noto che la politica agricola che si propone è ancora più centrata sui pagamenti diretti, attirando, non senza buone ragioni, pesanti critiche –:

   quali iniziative, in ambito europeo, il Ministro interrogato intenda adottare per difendere, rafforzare e migliorare la dotazione finanziaria, il funzionamento e l'efficacia per il sistema agroalimentare italiano della politica agricola comune post 2020.
(3-00426)

(15 gennaio 2019)
(ex 5-00609 del 3 ottobre 2018)

D) Interrogazione

   GALLINELLA, CASSESE, MAGLIONE, CILLIS, LOMBARDO, PARENTELA, PIGNATONE, GAGNARLI, L'ABBATE, DEL SESTO e CIMINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 15, paragrafo 1.ter, del regolamento (CE) n. 1967/06 (cosiddetto regolamento «Mediterraneo»), come modificato dal regolamento (UE) n. 812/2015, prevede che gli Stati membri mettano in atto misure volte a facilitare l'immagazzinamento delle catture di esemplari sotto taglia sbarcati a terra o a trovare loro delle opportunità di smercio, come, ad esempio, il sostegno agli investimenti per la costruzione e l'adattamento dei luoghi di sbarco e dei ripari di pesca o il sostegno agli investimenti per la valorizzazione dei prodotti della pesca;

   tale norma è idonea a venire incontro alle reali esigenze dei pescatori, quando, loro malgrado, si ritrovano tra il pescato catture indesiderate, in particolare esemplari sotto taglia delle specie di cui all'allegato III del regolamento «Mediterraneo», da destinarsi esclusivamente ad uso non umano;

   il Feamp (regolamento (UE) n. 508/2014), dal canto suo, all'articolo 43.2, prevede la possibilità di finanziare investimenti nei porti, nelle sale per la vendita all'asta, nei luoghi di sbarco e nei ripari di pesca, proprio al fine di facilitare l'osservanza dell'obbligo di sbarcare tutte le catture ai sensi dell'articolo 15 del regolamento (UE) n. 1380/2013, nonché di consentire la valorizzazione della parte sottoutilizzata del pesce catturato;

   tuttavia, nonostante quanto previsto dalle citate norme unionali, l'amministrazione italiana non ha, fino ad oggi, ritenuto di dover attribuire fondi al capitolo relativo al citato articolo 43.2 del Feamp, con conseguente pregiudizio per tutte le imprese di pesca che dal 1° gennaio 2019 si troveranno a dover applicare l'obbligo di sbarco/divieto di rigetto di tutte le catture di sotto taglia;

   non sono infatti programmate e stanziate risorse che permettano un'attuazione della disposizione regolamentare in coerenza con le proprie finalità, che sono insieme economiche e di sostenibilità: si potrebbe pensare, infatti, all'utilizzo degli esemplari sotto taglia per la cosmesi, la farmaceutica, il pet food;

   poter contare a terra di strutture atte alla raccolta autorizzata, per il successivo utilizzo con le predette finalità, diverse dal consumo alimentare umano, di catture sotto taglia o comunque indesiderate (per le quali è vigente l'obbligo di sbarco) sarebbe estremamente importante per le imprese di pesca, che, in mancanza, non potranno far altro che reperire a proprie spese la corretta via di smaltimento o di utilizzo con i relativi e conseguenti costi;

   un progetto finanziato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nel 2015 ha tentato di valutare la possibilità di uso dei sotto taglia sbarcati (in tale caso di piccoli pelagici nel Nord Adriatico) per la trasformazione in farine di pesce; ne è emerso che sia i bassi quantitativi, sia le difficoltà logistiche rendono difficile questa strada;

   un approfondimento urgente di questo tema in sede ministeriale, con il diretto coinvolgimento dell'autorità di gestione del Feamp, è quanto mai opportuno, anche in vista dell'approssimarsi del 1° gennaio 2019, data di avvio dell'obbligo di sbarco per tutte le specie di cui al citato allegato del regolamento «Mediterraneo» –:

   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se il Ministro interrogato intenda approntare iniziative che consentano, al 1° gennaio 2019, alle imprese di pesca di adeguarsi all'obbligo comunitario, senza dovere fare fronte, a proprie esclusive cure e spese, al reperimento di idonee e corrette modalità di utilizzo e di smaltimento delle catture sotto taglia, anche in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità economica ed ambientale che la normativa regolamentare sottende.
(3-00427)

(15 gennaio 2019)
(ex 5-00918 dell'8 novembre 2018)

E) Interpellanza e interrogazioni

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   nella serata di lunedì 24 settembre 2018 si è sviluppato un incendio protrattosi nei giorni successivi, di grandissime proporzioni, sul Monte Serra, la montagna più alta che divide le province di Pisa e di Lucca, che ha prodotto la distruzione di una superficie di circa 1.400 ettari di territorio tra bosco e coltivazioni, nonché centinaia di ettari di oliveti, oltre a un danno economico di oltre 11 milioni di euro almeno per l'agricoltura e i privati;

   quattro sono i comuni coinvolti, con conseguenze pesantissime per Calci (832 ettari ricadono nel suo territorio) e per Vicopisano. Negli stessi giorni un secondo rogo, distinto ma più limitato, ha interessato i vicini comuni di Vecchiano e San Giuliano Terme;

   il 25 settembre 2018, con decreto del presidente della giunta regionale, è stato dichiarato lo stato di emergenza regionale, prevedendo lo stanziamento di 850 mila euro per i primi interventi;

   l'incendio, oltre a distruggere ettari di bosco, vigneti e castagneti, nonché ulivi, anche secolari, ha prodotto settecento sfollati nella prima fase e danni per milioni di euro al patrimonio ambientale e paesaggistico;

   dodici case sono andate distrutte, per tre milioni e 100 mila euro di danni complessivi. Da qui la necessità di sostenere fin da subito le spese di soccorso e prima somma urgenza e a ristoro dei danni agli immobili privati, dando così risposta a coloro che nell'incendio hanno perso l'abitazione;

   l'incendio ha avuto pesanti effetti anche sul piano ambientale, per via della perdita di biodiversità, tra animali morti e la distruzione di vastissime aree di bosco e di vegetazione;

   inoltre, con questo incendio saranno impedite per anni tutte le attività umane tradizionali, come la raccolta della legna, delle castagne e dei piccoli frutti;

   superata l'emergenza occorrerà intervenire rapidamente per far ripartire le attività produttive, anche con interventi straordinari per il reimpianto delle coltivazioni. La Coldiretti ha, altresì, sottolineato che «occorrerà inoltre aver presente che, oltre ai costi necessari per ripristinare la produzione, andranno aggiunti i danni per le mancate produzioni»; in sostanza «bisognerà tener conto della sopravvivenza delle aziende di questi territori, che vivono di agricoltura»;

   sono stati definiti circa 800 ettari di monte a corona della parte andata distrutta, dove la caccia sarà vietata totalmente sino al 31 gennaio 2019, esclusa quella dedita agli ungulati, soprattutto cinghiali;

   con specifico riferimento ai danni subìti dal comparto agricolo, il 29 novembre 2018 la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione conclusiva (n. 8-00008), sottoscritta dai rappresentanti di tutti i Gruppi, con la quale si impegna il Governo ad adottare tutte le iniziative di competenza per il sostegno finanziario alle imprese agricole danneggiate; per garantire la corretta progettazione e gestione del reimpianto delle colture perse nell'incendio; per tutelare e incentivare la secolare e tradizionale produzione agricola e olivicola dei Monti Pisani, nonché risorsa naturale e rurale qualitativamente elevata del territorio toscano;

   da una stima dei danni e del costo di una prima bonifica, si valuta che per ogni ettaro occorrano 5.000 euro;

   nonostante che il 10 ottobre 2018 il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, abbia ufficialmente avanzato al Governo la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per l'incendio sul Monte Pisano, l'Esecutivo non ha ritenuto di riconoscere alcunché;

   è indispensabile un efficace intervento per la messa in sicurezza del Monte, soprattutto con l'inverno e l'aumento delle piogge, posto che con un terreno cotto, privo di vegetazione, con massi in bilico, c'è il rischio di nuove emergenze per le aree sottostanti pedemontane;

   è necessario avviare e finanziare interventi per contenere rischi idrogeologici, soprattutto a valle delle aree percorse dal fuoco, per limitare la possibilità di eventuali frane, nonché per il reticolo idraulico e la piena bonifica e ricostruzione sui Monti pisani –:

   se non intendano adottare iniziative al fine di sostenere fin da subito le spese di soccorso e di ristoro dei danni agli immobili privati, per quanto di competenza del Governo, dando così un'indispensabile positiva risposta prioritariamente a chi nell'incendio ha perso l'immobile;

   se non si ritenga di adottare le iniziative di competenza per sospendere tutti i pagamenti di tributi, contributi e utenze per quei soggetti che sono stati colpiti, siano essi persone fisiche o aziende;

   quali iniziative si intendano avviare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di consentire l'avvio del necessari indispensabili interventi di difesa del suolo e di contenimento dei rischi idrogeologici, soprattutto a valle delle aree percorse dal fuoco, per limitare la possibilità di eventuali frane, nonché per consentire la piena bonifica e ricostruzione sui monti colpiti;

   quali e quante siano le risorse che si intendono destinare alla riqualificazione e al recupero della suddetta area montana e dei territori di cui in premessa, quale contributo per ricostruire le zone devastate dall'incendio.
(2-00221) «Mazzetti, Cortelazzo, Gagliardi, Giacometto, Labriola, Ruffino, Casino, Bergamini, D'Ettore, Mugnai, Ripani, Silli, Nevi, Anna Lisa Baroni, Brunetta, Caon, Fasano, Sandra Savino, Spena, Occhiuto, Carrara».

(Presentata l'11 gennaio 2019)

   MAZZETTI, NEVI, CORTELAZZO, BERGAMINI, D'ETTORE, MUGNAI, RIPANI, SILLI, CASINO, GAGLIARDI, GIACOMETTO, LABRIOLA, RUFFINO, ANNA LISA BARONI, BRUNETTA, CAON, FASANO, SANDRA SAVINO e SPENA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 25 settembre 2018 si è sviluppato un incendio di grandissime proporzioni sul Monte Serra, la montagna più alta che divide le province di Pisa e di Lucca, che, secondo le stime locali, ha prodotto la distruzione di una superficie pari a 1.388 ettari di territorio, oltre a un danno economico di oltre 11 milioni di euro almeno per l'agricoltura e i privati, come recentemente comunicato dal sindaco di Calci (Pisa);

   l'incendio ha mandato in fumo oltre mille ettari tra bosco e ulivi, settecento sfollati nella prima fase, danni per milioni di euro al patrimonio ambientale e paesaggistico, almeno dieci case devastate dal fuoco a Montemagno;

   la Coldiretti ha stimato «il danno per oltre 1.000 ettari di vegetazione» e ha sottolineato: «Le fiamme hanno distrutto 10.000 piante di ulivo, anche secolari. Ulivi che dovranno essere ripiantati e ci vorranno almeno cinque anni prima che si torni a produrre». Il fuoco, inoltre, «ha colpito anche vigneti e castagneti. Per il settore agricolo la stima dei danni è salita a 6 milioni di euro». L'incendio avrà «pesanti effetti anche sul piano ambientale, per via della perdita di biodiversità, tra animali morti e la distruzione di ampie aree di bosco»;

   sempre secondo la Coldiretti, saranno inoltre impedite per anni tutte le attività umane tradizionali, come la raccolta della legna, delle castagne e dei piccoli frutti, ma anche quelle di natura hobbistica, come la cerca dei funghi;

   superata l'emergenza occorrerà intervenire rapidamente per far ripartire le attività produttive, anche con interventi straordinari per il reimpianto delle coltivazioni. Sempre la Coldiretti ha sottolineato che «occorrerà inoltre aver presente che, oltre ai costi necessari per ripristinare la produzione, andranno aggiunti i danni per le mancate produzioni»; in sostanza «bisognerà tener conto della sopravvivenza delle aziende di questi territori, che vivono di agricoltura»;

   sono stati definiti circa 800 ettari di monte a corona della parte andata distrutta, dove la caccia sarà vietata totalmente sino al 31 gennaio 2019, esclusa quella dedita agli ungulati, soprattutto cinghiali;

   l'assessore all'ambiente del comune di Cascina (Pisa), Luciano Del Seppia, ha comunicato che è in corso la stima dei danni e del costo di una prima bonifica, partendo dal fatto che per ogni ettaro occorrono 5.000 euro: emerge con chiarezza l'altissimo costo che ne deriverà;

   saranno, inoltre, da valutare le modalità di intervento per la messa in sicurezza del Monte in vista dell'inverno e delle prime piogge, posto che con un terreno cotto, privo di vegetazione, con massi in bilico, c'è il rischio di nuove emergenze per le aree sottostanti pedemontane –:

   quali siano gli intendimenti del Governo al riguardo, per quanto di competenza, e quale sia il piano strategico di sviluppo immediato per il ripristino degli oltre 1.300 ettari di terreno andati distrutti;

   quali siano i fondi destinati alla riqualificazione della suddetta area montana e da dove essi provengano, considerata la necessità di reperire risorse con assoluta certezza e rapidità per ricostruire la zona devastata dal rogo, viste le stime che ammontano a 40 milioni di euro;

   se il Governo non ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per adottare iniziative volte a nominare un commissario straordinario che segua costantemente la ricostruzione, tenendo informati tutti i livelli istituzionali e operando di concerto con le comunità locali e la regione Toscana;

   se, nell'ambito dell'attivazione di tutte le procedure necessarie per la tutela ambientale, idrogeologica e forestale, non sia opportuno e urgente adottare le iniziative di competenza per dichiarare lo stato di emergenza nazionale, come proposto dal presidente della regione Enrico Rossi;

   se non si ritenga di adottare le iniziative di competenza per sospendere tutti i pagamenti di tributi e utenze per coloro che sono stati colpiti, siano persone fisiche o aziende.
(3-00423)

(15 gennaio 2019)
(ex 5-00832 del 25 ottobre 2018)

   CIAMPI, CECCANTI e CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da lunedì 24 settembre 2018 un terribile incendio sta devastando un ampio territorio nei comuni di Vecchiano, Buti, Calci e Vicopisano (provincia di Pisa). Ad oggi, mercoledì 26 settembre 2018, gli ettari devastati sarebbero alcune centinaia;

   l'incendio ha causato feriti lievi e danneggiato alcuni edifici, provocando l'evacuazione di circa 700 persone dalle loro abitazioni e la chiusura temporanea dell'aeroporto di Pisa;

   soltanto l'intervento tempestivo di numerose unità di vigili del fuoco provenienti dalla Toscana e dall'Emilia-Romagna, con il supporto della Protezione civile, di numerosi volontari e l'utilizzo di Canadair ed elicotteri antincendio ha impedito conseguenze ancora più tragiche;

   l'incendio ha colpito particolarmente il Monte Serra, luogo di particolare pregio paesaggistico e naturale, la cui cima ospita alcune delle postazioni radiotelevisive più importanti d'Italia: infatti, il segnale dei ripetitori copre gran parte della Toscana, parte della Liguria ed alcuni comuni dell'Umbria e Piemonte;

   è in corso il censimento dei danni ai privati ed alle aziende. Le fiamme hanno distrutto centinaia di ettari di oliveti e produzioni di pregio dal punto di vista agricolo e paesaggistico, con ripercussioni inevitabili per ambiente, economia, lavoro e turismo;

   il Monte Serra e le zone limitrofe sono spesso interessate da incendi; nella stessa area era divampato un rogo solo pochi giorni prima;

   dalle prime indiscrezioni stampa trapela che l'incendio potrebbe essere di natura dolosa;

   il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha il firmato il decreto che attiva lo stato di emergenza regionale. Con il provvedimento sono stati anche stanziati 200 mila euro per coprire le spese di soccorso e assistenza;

   lo stesso Enrico Rossi ha ribadito l'urgenza di programmare urgenti interventi di bonifica: «spento l'incendio – ha dichiarato – bisogna togliere tutti gli alberi bruciati, togliere gli accumuli di cenere e soprattutto ricostruire un quadro idrogeologico che impedisca che alle prime piogge la montagna dilavi sui paesi e poi verso la piana con una velocità dell'acqua che potrebbe essere potenzialmente anche distruttiva» –:

   se il Governo intenda deliberare al più presto lo stato di emergenza per i territori interessati dall'incendio;

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative per stanziare risorse apposite anche a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio, anche al fine di contrastare il dissesto idrogeologico;

   se il Governo non intenda promuovere un maggiore e più efficace controllo del territorio del Monte Serra, colpito da numero incendi nel corso degli anni, al fine di prevenire altri atti di natura dolosa.
(3-00424)

(15 gennaio 2019)
(ex 5-00534 del 26 settembre 2018)

F) Interrogazione

   ASCARI, DAVIDE AIELLO, AMITRANO, BILOTTI, CIPRINI, COSTANZO, CUBEDDU, DE LORENZO, GIANNONE, INVIDIA, PALLINI, PERCONTI, SEGNERI, SIRAGUSA, TRIPIEDI, TUCCI e VIZZINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Italpizza s.p.a. è una società con sede a San Donnino (Modena), specializzata nella produzione e commercializzazione di pizze surgelate sia in Italia che all'estero, con interessi in oltre 50 Paesi;

   in nove anni ha incrementato il fatturato da 33,4 milioni di euro a quasi 120 milioni di euro, con un aumento del 248 per cento, mentre l'utile netto, nello stesso periodo, è passato da 2,2 milioni di euro a poco più di 8 milioni di euro, con un incremento del 262 per cento; dall'altra parte, invece, il numero degli occupati diretti della società nel medesimo lasso temporale è diminuito, passando da 110 a 94;

   secondo quanto denunciato dal sindacato Si.Cobas, l'azienda starebbe attualmente impiegando la quasi totalità dei dipendenti tramite cooperative: infatti, solo un centinaio di dipendenti amministrativi e dirigenti sarebbe direttamente assunto dalla società, mentre i restanti, circa 600, lavorerebbero tramite due cooperative, che secondo i sindacati sarebbero «spurie»;

   la differenza nei contratti sarebbe ampia: il costo orario lordo sarebbe nettamente inferiore, circa 13 euro l'ora lordi per il personale assunto nelle cooperative contro i circa 30 per gli assunti diretti dall'impresa; vi sarebbero minori tutele dei diritti, turni di lavoro stremanti, lavoro straordinario e festivo non retribuito;

   come descritto in un articolo del 10 agosto 2018 de Il Manifesto, in queste cooperative avverrebbe una «compressione delle condizioni delle condizioni di lavoro (...) turni massacranti che sarebbero la causa di innumerevoli incidenti sul lavoro», di cui l'ultimo avvenuto pochi giorni prima ai danni di una giovane lavoratrice investita da un muletto;

   secondo altri articoli, infatti, i dipendenti di queste cooperative lavorerebbero anche fino a 200 ore al mese, inclusi festivi e turni notturni, per paghe che non arrivano a 1.100 euro mensili;

   i sindacati denunciano minacce, ricatti continui e contratti irregolari;

   i dipendenti verrebbero pagati per circa 171 ore mensili ordinarie, più del limite massimo disposto dal contratto;

   mentre gli straordinari non sarebbero retribuiti;

   alcuni di questi lavoratori negli anni sono passati alle dipendenze di varie cooperative, della stessa Italpizza o a lavoro somministrato di altre società, pur continuando a lavorare all'interno degli stabilimenti di Italpizza;

   sarebbero state attuate politiche antisindacali, con lavoratori iscritti al sindacato Si.Cobas spostati arbitrariamente e senza giustificazione ad altre mansioni: ciò è, infatti, possibile grazie al fatto che le cooperative a cui si appoggia Italpizza sarebbero classificate come multiservizi, che nulla hanno a che vedere con la produzione alimentare, consentendo di spostare un lavoratore dalla produzione di pizze alla pulizia di vetri o di scarichi;

   l'impiego di lavoratori tramite cooperative garantirebbe a Italpizza ingenti risparmi sul costo del lavoro, mentre le agevolazioni fiscali e contributive garantite alle cooperative assicurerebbero guadagni alle cooperative stesse, in danno dei lavoratori: ciò potrebbe generare concorrenza sleale nel mercato verso aziende che invece inquadrano i lavoratori direttamente nella propria azienda; molti di questi lavoratori sarebbero immigrati e per questo secondo gli interroganti facilmente ricattabili, essendo il permesso di soggiorno legato all'avere un contratto di lavoro;

   l'ispettorato del lavoro di Modena ha recentemente diramato una comunicazione in cui annuncia «Accertate violazioni, addebitati contributi omessi, irrogate sanzioni amministrative» a seguito di un accertamento partito da una segnalazione della Flai/Cgil nel 2016 e finito nel 2018 su Evologica soc. coop. e Logica.Mente soc. coop. (quest'ultima sostituita nel frattempo dalla Cofamo) operanti in appalto nell’Italpizza di Modena –:

   quali sanzioni siano state comminate in relazione a quanto esposto in premessa;

   quali ulteriori iniziative intenda intraprendere il Governo nei confronti di Italpizza e delle cooperative di cui in premessa;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda attivare, anche di tipo normativo, al fine di contrastare e prevenire il suddetto fenomeno.
(3-00405)

(28 dicembre 2018)

G) Interrogazione

   DONZELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la cooperativa Cft, colosso della logistica con sede al mercato ortofrutticolo di Novoli a Firenze, ha un fatturato da circa 300 milioni di euro l'anno: oggi ha un bilancio da 16 milioni di euro di rosso e 108 milioni di euro di debiti accumulati. Secondo un articolo pubblicato dalla cronaca fiorentina del quotidiano la Repubblica in data 11 ottobre 2018, vive una pesante crisi finanziaria. Secondo il bilancio 2017, inoltre, Cft ha un debito con l'erario di 14 milioni di euro per Iva non pagata. Il colosso avrebbe concordato, secondo quanto riferisce il quotidiano, un piano di rientro pluriennale dal debito. Alla cooperativa lavorano circa 5.500 dipendenti, messi a rischio dalla situazione critica che vive il colosso –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;

   se il Governo, nell'esercizio dei poteri di vigilanza sulle cooperative, non ritenga di avviare, per quanto di competenza, un'ispezione presso la Cft per verificare la situazione a tutela della legalità e delle migliaia di dipendenti che ci lavorano;

   se esista un piano di rientro pluriennale con l'erario e cosa prevede nel dettaglio.
(3-00320)

(13 novembre 2018)

H) Interrogazione

   PELLICANI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   ha destato molta indignazione e una grande eco mediatica il grave atto vandalico che ha interessato il Leoncino di marmo di San Marco a Venezia, nonché di un ponte, imbrattato anch'esso con vernice rossa;

   l'atto vandalico è accaduto in piena notte e i responsabili sono stati già individuati;

   purtroppo non è la prima volta che accadono episodi simili e che la città è oggetto di atti di vandalismo non solo nei confronti dei monumenti, ma anche di attività economiche ed esercizi commerciali;

   da tempo si pone un problema di sicurezza complessiva per quel che riguarda la tutela del patrimonio artistico-monumentale e del contrasto al degrado, che vengono considerati una priorità da parte dei residenti e delle associazioni di categoria;

   il tema è stato rilanciato con forza anche dal primo procuratore di San Marco, che ha lanciato un vero e proprio grido d'allarme condiviso dall'interrogante circa la pesante situazione che vive Venezia, che mette a rischio la tutela dei monumenti, particolare in Piazza San Marco, nell'area della Basilica;

   una preoccupazione comune, esplicitata anche dall'Associazione di Piazza San Marco, che chiede interventi urgenti e non più rinviabili per il ripristino del decoro in città;

   è fondamentale che i responsabili di tali atti vengano non solo puniti, ma anche vincolati alle azioni di ripristino come risarcimento nei confronti della città –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, al fine di provvedere a tutelare maggiormente il patrimonio artistico della città e contrastare in maniera più efficace, in particolare nella zona di Piazza San Marco, il continuo ripetersi di atti vandalici, rafforzando i presidi di sicurezza e dei corpi specializzati delle forze dell'ordine;

   anche in considerazione della specialità del patrimonio culturale di Venezia, se intendano assumere iniziative normative per aggravare le pene relative a siffatti episodi di vandalismo, con l'obiettivo di un'effettiva deterrenza.
(3-00206)

(1° ottobre 2018)