XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 36 di Giovedì 4 aprile 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti della Fondazione Libellula:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 
Moretti Debora , presidente della Fondazione Libellula ... 3 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 4 
Moretti Debora , presidente della Fondazione Libellula ... 5 
Semenzato Martina , Presidente ... 10 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 10 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 13 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 13 
Sensi Filippo  ... 14 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 16 
Moretti Debora , presidente della Fondazione Libellula ... 17 
Sensi Filippo  ... 18 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 18 
Minasi Tilde  ... 20 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 21 
Di Rienzo Giuseppe , direttore della Fondazione Libellula ... 21 
Moretti Debora , presidente della Fondazione libellula ... 23 
Semenzato Martina , Presidente ... 23

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Fondazione Libellula.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione dei rappresentanti della Fondazione Libellula.
  Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera ed aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. Ricordo, inoltre, che i lavori potranno proseguire in forma segreta sia a richiesta degli auditi che dei colleghi e delle colleghe sospendendosi in tal caso la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.
  Chiedo ai colleghi, alle colleghe e ai consulenti collegati di tenere chiusi i microfoni.
  A nome di tutte le commissarie e tutti i commissari do il benvenuto a Debora Moretti, presidente della Fondazione, e al direttore Giuseppe Di Rienzo, nonché a Silvia Bolzoni, fondatrice e membro del consiglio di amministrazione della Fondazione. Benvenuti.
  Prima di dare la parola ai nostri ospiti, mi preme segnalare che la Fondazione Libellula, nata nel 2017, porta avanti nelle aziende attività di informazione e sensibilizzazione sui temi della violenza e della discriminazione di genere, nell'obiettivo di Pag. 3incidere concretamente sul terreno degli stereotipi, dell'empowerment, del linguaggio, della managerialità inclusiva e dei servizi di contrasto alle molestie, come nel caso dell'istituto della consigliera di fiducia di cui gli auditi potranno parlarci.
  Dopo un report già pubblicato sulla violenza di genere tra ragazze e ragazzi di età compresa tra i 14 e i 19 anni, la Fondazione ha prodotto di recente un'ulteriore indagine sull'integrazione lavorativa delle donne dopo l'uscita dalla violenza, ed è su questo tema che si concentrerà l'audizione odierna, utile ai fini del filone dell'inchiesta sulla violenza economica.
  Do quindi la parola alla presidente Moretti e successivamente al direttore Di Rienzo. Grazie.

  DEBORA MORETTI, presidente della Fondazione Libellula. Grazie, presidente Semenzato. Saluto i commissari e le commissarie in aula e in collegamento. Mi rendo conto che parlare di violenza di genere alle 8,30 non è esattamente un inizio di giornata facile, ma d'altronde i dati che emergono dalla nostra Survey LEI, acronimo di Lavoro, Equità e Inclusione, ci suggeriscono che per le donne sul lavoro è tutto un po' meno facile. Se, nonostante tutto, ce la fai, quella facile risulti tu.
  Prima di passare ai dati, però, ci tengo a raccontare come e perché è nata la Fondazione Libellula. Nel 2017, per un progetto di responsabilità sociale di Zeta Service di cui sono anche amministratrice, mi sono trovata ad intervistare un carcerato autore di femminicidio. Per descriverlo, usava le stesse parole che oggi ancora leggiamo sui giornali quando si parla di un episodio del genere: «È stato un raptus. Lei mi ha portato a quel punto. Io l'amavo troppo».
  Uscendo da quell'incontro mi sono chiesta se le persone che conoscevano quell'uomo e quella donna avrebbero potuto fare qualcosa al riguardo e poi mi sono chiesta che cosa posso fare Pag. 4io al riguardo. Così è nato il progetto Libellula diventato Fondazione nel 2020, che si occupa di prevenire e contrastare la violenza di genere grazie a un cambiamento culturale che passa necessariamente per la responsabilizzazione collettiva, perché la violenza è un iceberg in cui tutti e tutti abitiamo.
  Su questo lascio la parola a Giuseppe Di Rienzo, direttore generale della Fondazione.

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Grazie, presidente Semenzato, per l'invito. Grazie a voi per l'attenzione che ci state donando oggi.
  Se dico «violenza di genere» dove corre il vostro pensiero? Probabilmente immagino starete pensando all'uomo di cui Debora vi ha parlato poc'anzi, perché violenza di genere spesso è associato al femminicidio, e questo è giusto. Sicuramente il femminicidio è la forma più estrema della violenza di genere. È la punta dell'iceberg, come diceva Debora, ed è sicuramente quello più facile da riconoscere. Tuttavia, se non conosciamo personalmente la vittima e non conosciamo il femminicidio tendiamo a pensare che tutto questo non ci tocchi, ma è violenza anche quella parte sommersa dell'iceberg che si svolge nel nostro quotidiano, come il linguaggio, l'umorismo sessista, le discriminazioni di genere, la minimizzazione della violenza sulle donne.
  Quante di queste cose accadono sul posto di lavoro? Partendo da questa domanda, abbiamo deciso di indagare lo stato dell'equità nelle aziende e nelle organizzazioni con la nostra Survey LEI. Secondo quanto riportato dal rapporto del Parlamento europeo di maggio del 2023, il 50 per cento delle donne vittime di violenza o di molestie le ha sperimentate proprio sul luogo di lavoro, e che dire delle discriminazioni? Ancora oggi essere una donna con un ruolo apicale significa essere percepita come eccezionale o meglio come l'eccezione alla regola.Pag. 5
  Il lavoro è il contesto della convivenza quotidiana dove ci si incontra, dove ci si relaziona per lungo tempo ed è quello che più di tanti altri contribuisce alla costruzione della nostra identità di persone adulte nel nostro benessere e nella nostra autostima. Agire in questo contesto è fondamentale per decostruire la violenza di genere, anche perché qui e spesso la violenza viene ridimensionata a un fatto privato, a una responsabilità individuale, a un caso circoscritto. Se una lavoratrice che, per il suo stesso bene, pensa che sia meglio stare zitta di fronte a una violenza subita, pensa che sia meglio non denunciare, non rischiare la propria reputazione e il proprio posto, significa che il problema è strutturale, significa che il problema è culturale e quindi dobbiamo lavorare sulla cultura aziendale. Poi, naturalmente, c'è anche la società e la politica.
  La Convenzione n. 190 dell'International Labour Organization ha ribadito che la salute non solo fisica, ma anche mentale nei luoghi di lavoro rappresenta un diritto irrinunciabile e non un lusso. Possiamo riconoscere che il benessere psicologico, la sicurezza lavorativa, la lotta alla violenza e alle discriminazioni nei confronti di qualunque forma di differenza rappresentino espressioni di un'unica causa: lavorare per la creazione di luoghi di lavoro dignitosi.
  La Survey LEI che Debora Moretti sta per illustrarvi è proprio l'occasione per aprire un tavolo di lavoro comune, perché siamo convinti che dal principio si devono costruire le prassi, che dai dati empirici si possa produrre cultura e dalla denuncia una nuova consapevolezza collettiva.
  Lascio a Debora Moretti la parola per l'esposizione dei dati.

  DEBORA MORETTI, presidente della Fondazione Libellula. Faccio una premessa. C'è già stata una prima edizione della Survey LEI nel 2022. All'epoca avevano partecipato 4.300 professionisti e ci sembrava già un campione vasto. Quello che Pag. 6andiamo oggi a presentarvi è un campione ancora più vasto perché in un mese e mezzo, tra il 14 dicembre 2023 e il 31 gennaio 2024, sono state 11.201 le donne che hanno risposto al nostro sondaggio. Io sono la 11.201esima e non è giusto che io mi senta fortunata e sollevata di aver potuto rispondere che non ho mai subìto molestie di natura sessuale sul posto di lavoro.
  Questo microfono che ci avete teso oggi è uno strumento prezioso per dar voce a tutti quegli episodi che passano sotto silenzio sotto i nostri occhi giorno dopo giorno, come le osservazioni e le allusioni sul corpo che sette donne su dieci hanno ricevuto a lavoro e le hanno fatte sentire a disagio. Vogliamo dare alle cose il loro nome? Molestie, perché questa è la definizione, secondo la Treccani è «sensazione incresciosa di pena, di tormento, di incomodo, di disagio, di irritazione provocata da persone o cose e in genere da tutto ciò che produce un turbamento del benessere fisico o della tranquillità».
  Non ci sorprende, quindi, che una donna su due modifichi il proprio abbigliamento per la paura di incorrere in commenti o attenzioni indesiderate sul proprio corpo. A farlo sono soprattutto le lavoratrici più giovani, chi non ha partner o figli e figlie e chi si dichiara pansessuale o bisessuale. Come vedete, i commenti non sono solo parole, sono parole con delle conseguenze, come le battute sessiste o volgari che ancora sette donne su dieci devono sorbirsi tra le risatine generali di sottofondo. Non sono battute, sono modi per sminuire le lavoratrici, le loro competenze e la mansione per cui sono lì. Oltre alle parole, oltre alle battute, ci sono i contatti fisici indesiderati perché il 40 per cento delle donne li ha subiti sul posto di lavoro.
  È un dato che rappresenta un aumento significativo rispetto a quanto abbiamo registrato nel 2022, quando solo il 22 per Pag. 7cento delle donne aveva dichiarato di aver subito contatti fisici non richiesti.
  Per questo abbiamo chiamato l'e-book tratto dalla nostra Survey «Ti tocca», e ora che lo sappiamo ci tocca prenderne la responsabilità; la responsabilità di interrompere quelle voci che circolano per cui una donna su due sente ancora dire che in generale sono gli uomini che hanno competenze da leader o che gli uomini sono più competenti.
  Prendiamoci la responsabilità di non contribuire alle chiacchiere che insinuano che una donna che fa carriera ha usato la leva della seduzione per ottenere i suoi obiettivi, perché sì, purtroppo, ancora nel 2024 sei donne su dieci sentono queste insinuazioni. Prendiamoci la responsabilità di non discriminare le madri sul lavoro dato che sette su dieci vedono il loro percorso di crescita rallentato a causa della maternità o sentono allusioni rispetto alle conseguenze negative della maternità per un'azienda. Non sono solo le madri, però, quelle che vengono rallentate nella loro crescita. L'82 per cento delle donne vede gli uomini crescere professionalmente più velocemente e quasi il 60 per cento ha una retribuzione inferiore a quella del collega, a parità di ruolo, responsabilità e seniority.
  Il gender pay gap non riguarda solo la vita lavorativa, perché, come ha indicato l'INPS, uno stipendio più basso si traduce in una pensione più bassa, con conseguenze ovviamente sulla qualità della vita.
  Ancora, il 90 per cento vede gli uomini in posizione di leadership in netta maggioranza. Per citare Gianni Morandi, una su mille ce la fa e arriva ad essere lei la leader. Cosa succede alle donne che sono riuscite ad abbattere il cosiddetto soffitto di cristallo? Che non sono solo a capo, ma sono punto e a capo. Il loro essere donne continua a segnare le loro giornate lavorative e a volte essere in un ruolo apicale peggiora Pag. 8solo le cose. Infatti, se la media ci dice che il 40 per cento delle donne ha ricevuto contatti fisici indesiderati, per le dirigenti il dato sale al 47 per cento, per le imprenditrici al 54 per cento e non è l'unico dato in cui riscontriamo un aumento rispetto alla media. Il 64 per cento delle imprenditrici ha subito avance esplicite indesiderate a fronte di una media del 43 per cento. Il 51 per cento delle imprenditrici ha ricevuto inviti o richieste ambigue a fronte di una media del 14 per cento. Il 16 per cento delle imprenditrici si è sentita rivolgere ricatti sessuali a fronte di una media del 7 per cento.
  Come mai le molestie sembrano aumentare con l'avanzare della carriera? Mi piacerebbe darvi delle certezze, ma i problemi complessi non hanno mai risposte facili e le discriminazioni di genere sono una questione complessa. Quello che possiamo ipotizzare è che ci sono almeno due possibilità. Una è che le donne imprenditrici, manager o dirigenti, abbiano una maggior consapevolezza sulle varie forme in cui si manifesta la violenza. L'altra è che vengano punite per occupare dei posti storicamente a loro negati, per essere eccezionali o, come diceva prima il direttore Di Rienzo, l'eccezione alla regola.
  In ogni caso, c'è molta strada da fare ed è questo il motivo per cui realizziamo i nostri report di monitoraggio, non per farci annichilire dai dati negativi, ma per individuare possibili soluzioni al problema. Questo significa spostarsi dalla logica della colpa e immettersi in una logica di responsabilizzazione collettiva del fenomeno della violenza e della discriminazione di genere. Questo significa che oggi siamo tutte e tutti chiamati a rispondere alla domanda «cosa posso fare nel mio quotidiano, partendo dal mio posto di lavoro per contribuire a una cultura del rispetto».
  Come dicevo poco fa, non ci sono risposte facili ai problemi complessi. Ecco perché dobbiamo agire in maniera strutturale Pag. 9e strutturata, imparare a riconoscere gli stereotipi, i pregiudizi, in primis quelli dentro di noi. Abbiamo cura del linguaggio che usiamo così come dei nostri atteggiamenti. Supportiamo la genitorialità condivisa per sollevare le madri dalla doppia discriminazione di dover lavorare come se non avessero figli o figlie, ma al tempo stesso essere al servizio della famiglia come se non avessero anche un lavoro. Ricordiamo che la dipendenza economica è uno dei fattori che impediscono l'uscita da relazioni abusanti.
  In Fondazione Libellula abbiamo messo a disposizione delle lavoratrici il primo sportello nazionale che fornisce loro gratuitamente ascolto e orientamento su episodi di discriminazioni o molestie sul luogo di lavoro. È composto da un servizio di accoglienza e ascolto e prevede il sostegno psicologico e una consulenza legale. Si chiama «sportello LEI», proprio in risposta ai dati della nostra Survey LEI. Per agire in maniera strutturata e strategica non pensiamo solo ad aiutare le lavoratrici, aiutiamo anche le aziende a munirsi di policy e strumenti per contrastare le molestie e creiamo percorsi e progetti formativi per rendere i posti di lavoro sani, equi e sicuri.
  Ora mi rivolgo a voi, perché chi più di voi può aiutarci? Chi più di voi ha in mano il potere di cambiare questi dati? Chi più di voi può prolungare il congedo paterno? Chi più di voi può rendere operativa la legge n. 4/2021 per eliminare la violenza di genere sul lavoro? Chi più di voi ha il proprio posto di lavoro sotto i riflettori dell'Italia e può insegnare a non restare indifferenti di fronte a battute o frasi sessiste?
  Fondazione Libellula ha creato il primo network in Europa formato da oltre cento aziende, che hanno deciso di prendere una posizione netta contro la violenza di genere. Sapete come abbiamo chiamato queste aziende? Aziende coraggiose.Pag. 10
  Le aziende coraggiose, però, hanno bisogno di istituzioni coraggiose e oggi vi chiediamo di prendere una posizione insieme a noi.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Innanzitutto, vorrei capire come avevate individuato il campione con il quale avete fatto questo monitoraggio, quali professioni e quali livelli aziendali avete esplorato.
  La seconda domanda, che forse è consequenziale alla conoscenza dell'associazione, è se voi seguite anche le aziende che inseriscono donne vittime di violenza all'interno del loro organico, e come le inserite, perché poi abbiamo anche tantissime aziende virtuose che si rendono partecipi del percorso di rinascita di queste donne attraverso il lavoro.
  Terza domanda. Lei ha indicato che avete queste cento aziende. Quali tipologie e quali metodologie voi fornite a queste aziende in tema di parità di genere? Si parte dalle certificazioni di genere, immagino, ma quali percorsi e quali buone pratiche suggerite in queste cento aziende che poi potrebbero essere replicate? Fattivamente e materialmente qual è l'attività che viene fatta con queste aziende? Grazie.

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Parto dal campione.
  Fondamentalmente abbiamo creato il questionario e poi lo abbiamo veicolato alle aziende partner. Lo abbiamo fatto in realtà circolare tra tutte le donne in età lavorativa. Il campione che abbiamo presentato è davvero vario e vasto, ha una rappresentatività di tante professioni, quindi partiamo dalle operaie, sino ad arrivare alle insegnanti, sino ad arrivare al campo Pag. 11della sanità. Ci siamo trovati, in realtà, poi un campione molto ampio sulle donne manager. Per cui, tutto il dettaglio che Debora vi raccontava prima è perché all'interno del nostro campione una parte rappresentativa era data da donne che occupano una posizione di rilievo. Questo ci ha permesso di fare un approfondimento e di poter avere una differenziazione tra quella che è la media delle donne che lavorano e la media delle donne che, invece, occupano una posizione di rilievo. Devo dire che il campione ha proprio una rappresentatività.
  Se andiamo a vedere all'interno della Survey abbiamo proprio la suddivisione su che tipo di professioni fanno queste donne, poi vi lasciamo anche il documento, naturalmente.

  PRESIDENTE. Avviso i colleghi e le colleghe che ovviamente l'indagine, che è molto più approfondita e non si esaurisce nel tempo di una audizione, viene lasciata alla Commissione in modo che poi, come sempre, possiamo approfondirne gli aspetti.

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. È scaricabile gratuitamente anche dal nostro sito. Abbiamo un settore «altro», che è un generico 27,82 per cento, in cui c'è davvero di tutto: comunicazione, marketing, pubblicità, risorse umane, area commerciale, amministrazione e finanza, area dei sistemi informativi, uffici tecnici, servizi generali, produzioni, area legale. In «altro», come vi dicevo prima, abbiamo sanità, istruzione e tutta la classe operaia. C'è davvero una grande rappresentatività.
  Passo alla seconda domanda, se lavoriamo con aziende che inseriscono donne vittime di violenza. Lei prima ha utilizzato l'espressione «rinascita delle donne». Il nostro programma di inserimento lavorativo si chiama proprio «Rinascita». Quello che facciamo con le aziende è lavorare innanzitutto sul creare un contesto capace di accogliere questa vulnerabilità, perché Pag. 12accogliere una donna vittima di violenza comunque richiede un lavoro preparatorio. Questo lo facciamo a prescindere poi dall'inserimento, proprio per sensibilizzare l'intera popolazione aziendale e soprattutto il management nel creare le giuste condizioni per un luogo di lavoro equo. Quello che noi facciamo è partire dall'azienda e individuare quali sono i bisogni dell'azienda e poi lavorare con le donne per far sì che possano acquisire le competenze richieste dall'azienda, ma soprattutto trovare nel luogo di lavoro una realizzazione di quelle che sono le proprie aspirazioni personali. Cerchiamo, quindi, di «matchare» queste due istanze. Una volta fatto l'inserimento, quindi fatto conoscere la donna e l'azienda, seguiamo questo inserimento per un anno. Questo per due fini. Il primo è quello di andare a sciogliere eventuali nodi che si possono generare nella relazione tra la donna e i colleghi, le colleghe e l'azienda tutta, attraverso dei momenti strutturati con pedagogiste e psicologhe; il secondo per dare anche all'azienda tutti quegli strumenti che sono necessari anche lì per andare a sciogliere eventuali nodi prima che diventino dei grovigli poi difficili da lavorare.
  Vado alla terza domanda sui percorsi e le buone pratiche. Come vi raccontava prima Debora, abbiamo creato questo network, che oggi conta più di cento aziende, ma in realtà il lavoro che facciamo con le aziende è anche più ampio, nel senso che le aziende, anche se non entrano all'interno del network, comunque possono collaborare con la Fondazione.
  Quello che facciamo con le aziende è lavorare per creare un luogo di lavoro equo, partendo da due diversi punti di vista. Ci piace chiamare l'azienda «luogo di cura», un luogo in cui le donne trascorrono la maggior parte della loro giornata lavorativa, togliendo le ore di sonno. All'interno di questo luogo, se le persone stanno vivendo una situazione difficile fuori dal Pag. 13contesto lavorativo, se l'azienda è ben formata, se le persone sono sensibilizzate e formate bene, possono diventare alleate e alleati per sostenere e aiutare una persona, una donna che si trova in difficoltà a risolvere quella difficoltà. Quindi, azienda come luogo di cura, azienda come luogo di ascolto, azienda come luogo di orientamento e quindi di aiuto. Quello che facciamo è innanzitutto dare gli strumenti alle aziende per poter svolgere questo ruolo.
  In secondo luogo – e purtroppo i dati della nostra Survey ce lo confermano – le aziende sono luoghi di lavoro, relazioni di potere e quindi anche luoghi in cui agiscono molestie e in cui agiscono violenze. Quello che facciamo su questo secondo punto è lavorare sulla prevenzione, quindi dare alle aziende tutti quegli strumenti che possono aiutare a prevenire determinate situazioni e, laddove si presentano, gestirle nel migliore dei modi. Qui possiamo mettere in campo diversi tipi di strategie.
  Partendo dal primo punto, quest'anno formeremo più di 150 Ambassador, dipendenti di aziende che avranno competenze per poter aiutare le proprie colleghe e, perché no, anche i propri colleghi, se si trovano in una situazione di difficoltà, violenze e molestie che succedono fuori dal luogo di lavoro, a gestirle bene. Quindi, non è più il consiglio dato da una persona di buon cuore, ma diventa una persona che ha le conoscenze e le competenze per poter ascoltare ed orientare.

  PRESIDENTE. Sono persone generali o che hanno a che fare specificatamente con l'ufficio del personale?

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Dipende dalla scelta dell'azienda, ma non è detto che facciano parte dell'ufficio del personale. Li sceglie l'azienda, anche un po' strategicamente, rispetto a delle qualità di tipo relazionale che ha questa persona. Alcune volte, forse è meglio se non sono Pag. 14delle risorse umane, perché dovrebbero già svolgere una funzione di questo tipo. Noi facciamo proprio una formazione teorico/pratica, con tante esercitazioni, in maniera tale che non sia solo un sapere, ma sia soprattutto un saper fare che poi si trasforma in un saper essere.
  Questo, come dicevo, è collegato al primo punto. Andando, invece, al secondo punto, che cosa può fare un'azienda nel momento in cui le molestie si presentano all'interno del luogo di lavoro, offriamo il servizio di consigliera di fiducia.
  La consigliera di fiducia è una persona esterna all'azienda, quindi una persona di Fondazione Libellula, solitamente una psicologa o una psicoterapeuta, che come soggetto terzo riceve le segnalazioni delle dipendenti delle aziende in maniera naturalmente anonima e può agire sia come ascolto e orientamento della vittima delle molestie, sia agire proprio sull'azienda per capire come andare a gestire questo tipo di situazioni.
  La consigliera di fiducia si avvale anche della consulenza di un avvocato. Quindi, quello che mettiamo insieme è la competenza psicologica e la competenza legale. Oltre naturalmente a tutto questo, ci sono una serie di percorsi formativi che noi andiamo a realizzare. Proprio l'altro giorno stavo sistemando i materiali di Fondazione. Ad oggi contiamo più di settanta moduli formativi su diverse tematiche.
  Rispetto a quello di cui stiamo parlando, uno dei percorsi più significativi è quello di safe work, in cui andiamo a dare alle aziende tutti quegli strumenti utili e necessari per rendere il luogo di lavoro sicuro.

  FILIPPO SENSI. Vorrei ringraziare la Fondazione Libellula per questa audizione. Sono rimasto molto colpito da alcuni dei dati che avete illustrato. In particolare, mi ha colpito molto il fatto che sia più che raddoppiata la consapevolezza e la denuncia dei contatti fisici indesiderati in soltanto due anni. Tra Pag. 15l'altro, se non ho capito male, il range della Survey, è tra fine 2023 e inizio 2024, quindi anche meno di due anni. Siamo a un raddoppio di questo singolo tipo di molestia.
  Mi colpisce molto il dato di quelle sette donne su dieci che subiscono le allusioni sul corpo. Sono molto grato alla dottoressa Moretti per averle connotate come molestie.
  Volevo chiedere due cose. La prima è se nella idea di best practice alle quali ci richiamava la presidente con il suo intervento, abbiate pensato anche a delle linee guida per gli uomini, rivolte agli uomini nelle aziende, cioè a delle azioni positive nei confronti degli attori di questo tipo di pressione e di violenza, fatta di battute e di allusioni eccetera. Tra l'altro, incidentalmente, mi colpisce molto anche il dato che avete rilevato sulla modifica dell'abbigliamento da parte di una donna su due, se non ho capito male, e in particolare le donne più giovani, con anche la tipizzazione.
  Volevo capire se avete pensato o se ci sono nella vostra cassetta degli attrezzi delle linee guida per gli uomini e in che modo voi ritenete il coinvolgimento degli uomini utile per il vostro obiettivo.
  Scusatemi se mi dilungo, forse non è una domanda, ma c'è dentro anche una domanda. Quando avete rilevato la questione delle avance o degli inviti, delle richieste, dei ricatti sessuali nei confronti di imprenditrici e dirigenti, e avete detto che i numeri sono superiori nella Survey anche rispetto a livelli «inferiori» dal punto di vista gerarchico, mi colpisce molto perché sembra che le donne in azienda siano colpite da una sorta di doppio nodo, di double bind: se sono a livelli di carriera inferiori subiscono, spesso in silenzio, il rapporto gerarchico anche, probabilmente, non so, nella vostra esperienza; se arrivano al livello superiore, vengono – mi ha molto colpito quello che ha detto la dottoressa Moretti – punite, come se le avance sessuali, Pag. 16i ricatti, gli inviti, le richieste e i contatti indesiderati fossero un modo maschile per ricordare che sei una donna, che quella eccellenza è un'eccezionalità e dunque sei una abusiva, sei dove non dovresti stare, cioè al posto tuo, cioè sotto. Questo mi colpisce molto, perché dà un'idea abbastanza disperante di questa interazione.
  Chiedo ancora quanto conti il rapporto gerarchico in questo tipo di relazione, nella relazione uomo-donna in azienda. Quanto pesa dentro questo tipo di abusi che voi avete rilevato?
  Infine, lei, dottor Di Rienzo, ha parlato della consigliera di fiducia, di questa figura. Volevo sapere se avevate dei numeri o comunque delle esperienze vostre, che potete restituire alla Commissione, per le quali questa istituzione, cioè di una persona con cui poter parlare, a cui poter affidare questo tipo di disagio e di denuncia, abbia funzionato, funzioni. Che tipo di conseguenze, che tipo di risultati effettivi e positivi voi rilevate di questo istituto che voi caldeggiate e sostenete? Grazie.

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Grazie a lei.
  Provo a rispondere a tutto. Se dimentico qualcosa, magari mi aiuta a ricordare.
  Parto dalle linee guida per gli uomini. Uno dei lavori che facciamo è quello della sensibilizzazione nelle aziende. Uno dei risultati dell'opera di sensibilizzazione si traduce concretamente nella creazione di policy, che poi danno un'idea dell'operatività e quindi di ciò che è lecito e di ciò che non lo è all'interno di un luogo di lavoro.
  Il tipo di policy che viene realizzato, naturalmente, dipende anche dal livello di consapevolezza che l'azienda raggiunge. La tematica del maschile sicuramente a noi è molto cara. L'intera campagna di comunicazione che abbiamo condotto l'anno scorso, nel mese di novembre, era tesa proprio a responsabilizzare noi Pag. 17uomini, perché se esiste il fenomeno della violenza esiste perché noi uomini la agiamo. Quindi, questo è il presupposto molto semplice, ma empiricamente non si può che partire da questo. Quante aziende decidono di lavorare sul maschile? Non sono tantissime al momento. Noi stiamo andando sempre di più in questa direzione, stiamo spingendo sempre più in questa direzione. Mi sento di dire che abbiamo visto un cambiamento nell'ultimo anno, lavorando con le aziende, e sempre una maggiore apertura da parte delle aziende a ragionare su che cosa gli uomini possono fare. Vediamo anche un'apertura da parte degli uomini a mettersi in gioco e a voler discutere di questo.
  La cosa complessa è che i dati che noi abbiamo rilevato dalla Survey partono da alcuni comportamenti che, purtroppo, sono connaturati da un punto di vista culturale: la battutina, «che male sto facendo?», «non sai stare allo scherzo» eccetera, eccetera.
  Questo tipo di atteggiamento è difficile da smontare, passatemi il termine, proprio perché prima si deve fare il lavoro di riconoscere che quell'atteggiamento è una molestia. Purtroppo, il tema della goliardia, la battutina – passatemi il termine – da bar, è insito in noi, ce l'abbiamo proprio connaturato. Quello che stiamo promuovendo è proprio un lavoro di destrutturazione. Costruire delle linee guida per gli uomini: non l'abbiamo ancora fatto, però sicuramente può essere uno spunto interessante da portare anche alle aziende.

  DEBORA MORETTI, presidente della Fondazione Libellula. Volevo aggiungere che proprio ieri sera è partito a Milano un nuovo percorso nel nostro Spazio Libellula. Spazio libellula è il primo spazio fisico che abbiamo costruito, un luogo di incontro, un'antenna sul territorio per riconoscere anche i casi di vulnerabilità, dove facciamo percorsi di empowerment per le Pag. 18donne, dove c'è uno sportello di ascolto con psicologhe e avvocate, dove lavoriamo anche con i bambini e gli adolescenti nei laboratori e facciamo dei laboratori legati alla genitorialità condivisa, dove partecipano anche gli uomini a percorsi pre e post parto.
  Il percorso dedicato agli uomini si chiama «Empowerman». Avevamo quattrodici uomini all'interno del nostro spazio, e non è grande. Già vedere quattrodici uomini per me è stato veramente motivo di orgoglio, essere riuscita a portare queste persone all'interno di questo spazio nato circa un anno fa. Hanno lavorato sulla relazione con il potere delle donne, l'espressione delle emozioni, la cura all'interno del nucleo familiare. È uno spazio dedicato soltanto a loro, proprio per iniziare a portare gli uomini a quello che per me e per la Fondazione Libellula è un obiettivo, ovvero creare alleanze tra uomini e donne, non cercare divisioni, quindi lavorare insieme per combattere la violenza sulle donne.

  FILIPPO SENSI. Chiedo scusa, se posso, sulla consigliera di fiducia, avete dei risultati che vi dicono che va nella direzione giusta?

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Sì, tant'è che anche la creazione dello sportello LEI, di cui parlava prima la presidente Moretti, va in quella direzione. Lo strumento della consigliera di fiducia è adottato da un po' di aziende ormai, soprattutto quelle di medie o grandi dimensioni. È un po' più complesso con le piccole, anche se mi sento di dire che sono quelle che forse ne hanno più bisogno, perché spesso sono a gestione familiare e quindi nel momento in cui si verifica una molestia è proprio difficile individuare la persona con cui parlarne e soprattutto una persona che possa esserne esterna.
  Riceviamo, purtroppo, diverse segnalazioni settimanali su questo tema. Ci occupiamo innanzitutto dell'ascolto della personaPag. 19 attraverso la psicologa e psicoterapeuta, per poi passare all'approccio legale. La consigliera di fiducia funziona in quanto, essendo terza, ha la possibilità innanzitutto di capire e aiutare le donne a rendersi conto se quella che stanno vivendo è una molestia. Infatti, la prima domanda con cui arrivano le donne è: «mi succede questa situazione, non capisco se sono io esagerata o se effettivamente sto vivendo una situazione di molestia», perché nei luoghi di lavoro soprattutto parliamo di molestie. Un primo supporto che viene dato è quello di aiutare a comprendere il fenomeno. In secondo luogo, anche attraverso il supporto legale, si riesce a lavorare sia con l'azienda per trovare la migliore risoluzione possibile all'episodio, sia con la donna per accompagnarla eventualmente in denunce o percorsi legali che possono essere attivati.
  Questo tipo di percorso, come vi dicevo prima, ha portato alla creazione di uno sportello LEI, partendo proprio dall'osservazione che le aziende più piccole non si dotano di questo tipo di strumento. L'abbiamo messo noi a disposizione delle lavoratrici di tutta Italia. Ogni giorno, purtroppo, arrivano segnalazioni. La richiesta spesso proviene dalla classe operaia, da ruoli un po' inferiori, come li aveva chiamati lei, a livello gerarchico.
  Anche qui la domanda è la stessa: un aiuto a capire e a comprendere quello che si sta vivendo e un aiuto a comprendere quali sono le azioni che possono essere messe in campo per poter gestire al meglio questo tipo di situazione. C'è poi da dire che le molestie sul lavoro – anche questa è un'ovvietà, ma purtroppo i risvolti poi non lo sono – si portano all'interno del contesto familiare e quindi poi ricadono sui bambini e le bambine, sui figli e le figlie che si hanno a casa. Il benessere della persona ricade naturalmente all'interno del contesto familiare. Il discorso delle molestie sul lavoro, quindi, diventa più Pag. 20ampio, motivo per cui offriamo anche un supporto psicologico gratuito alle donne che arrivano al nostro sportello.
  Non so se ho dimenticato qualcosa.

  TILDE MINASI. Grazie per la vostra relazione. Ovviamente, il fenomeno, lo sappiamo, è abbastanza importante ed è difficile da quantificare, perché, come avete già sottolineato voi, non tutte le donne sono disponibili a denunciare, sia per paura di subire conseguenze sul posto di lavoro, ma anche perché non ci sono oggi abbastanza tutele, perché non è prevista nel codice una forma di reato ad hoc. Volevo solo mettervi al corrente. Fino ad oggi gli strumenti a disposizione per chi denuncia una molestia sono stati il codice delle pari opportunità e, di volta in volta, la giurisprudenza che ha assimilato le molestie, a seconda della gravità, alle varie fattispecie di reato, ma non una norma ad hoc.
  Come Commissione 10a abbiamo già incardinato, in congiunta con la Commissione Giustizia, un progetto di legge che prevede l'introduzione nel codice penale, fra i delitti contro la libertà morale, il reato di molestie sessuali. Ovviamente, oltre a questo, la legge prevede una serie di responsabilità che vanno in capo al datore di lavoro, che deve costruire un ambito lavorativo che sia comunque rispettoso dell'integrità fisica e morale e della dignità delle lavoratrici, anche con l'avvalimento dei Comitati unici di garanzia.
  Credo che questo possa essere un modo per incentivare maggiormente le donne a denunciare, ma risponde anche al bisogno di giustizia che oggi viene richiesto, perché fino ad oggi non c'era una tutela prevista. Magari potete anche darci una mano in questo campo, quando riprenderemo in mano il progetto di legge, che comunque è incardinato, ma su cui ancora non abbiamo lavorato.

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  SARA FERRARI. Buongiorno. Ringrazio i nostri ospiti perché ci hanno aperto uno sguardo molto preciso sulla situazione.
  Vorrei chiedere un chiarimento, proprio perché loro hanno un osservatorio privilegiato in quello che fanno, rispetto alla certificazione di genere delle aziende, che in molti ci dicono spesso essere più di forma che di sostanza. Si è un po' aggirato l'obiettivo facendo una certificazione, che poi, di fatto, non è generatrice di benessere aziendale e di vera situazione di pari opportunità. Chiedo se avete riscontri positivi o negativi.
  Inoltre, rispetto alle aziende che intercettate per farle aderire o per proporre loro l'adesione al vostro network, dando per certo che chi ha fatto l'adesione a questo network evidentemente ha maturato una consapevolezza di quanto sia importante questo tipo di operazione, cosa riscontrate, invece, in chi non comprende, non aderisce? Quali sono le resistenze? Come affrontate le resistenze di chi ancora minimizza e non comprende l'importanza di questo tipo di lavoro che va fatto all'interno dei contesti lavorativi? Ovviamente, mi sto riferendo all'ambito privato in questo caso.
  Grazie.

  GIUSEPPE DI RIENZO, direttore della Fondazione Libellula. Grazie a lei per la domanda. Rispetto alla certificazione di genere, noi lavoriamo con l'accompagnamento delle aziende alla certificazione di genere e poi le aiutiamo ad orientarsi per riuscire a mantenere e a migliorare gli standard che vengono richiesti.
  In merito alla sua domanda, se tutto questo è generatore di benessere aziendale, mi viene da dire «dipende», come un po' in tutti i casi. In alcune aziende vediamo che davvero si crea una messa in discussione, quindi davvero si creano dei movimenti di cambiamento, che non sempre sono veloci. Stiamo parlando di cambiamenti culturali e sappiamo tutti e tutte che Pag. 22i cambiamenti culturali comunque richiedono un tempo. Però, vediamo sicuramente un movimento verso il miglioramento su queste tematiche. Altre, ma qui poi entra anche il nostro lavoro, sicuramente lo fanno per forma. Quello che noi cerchiamo di fare è portarle naturalmente sulla sostanza. Quindi, anche se fosse un tentativo di farlo per forma, io lo vedo sempre come un qualcosa di positivo, perché comunque ti permette di entrare e nell'entrare portare degli stimoli e cercare di portare quel seme di cambiamento che speriamo possa germogliare e produrre dei frutti di benessere per tutti e tutte.
  Rispetto alle aziende che aderiscono nel network, sicuramente sono aziende che riconoscono l'importanza della tematica. Ci piace sottolineare che non sono aziende perfette, sono aziende che però hanno scelto di fare un percorso, di fare un cammino; un cammino che può essere di alti e bassi, di cadute, di sollevamenti e di ripartenze. Però, sicuramente hanno accettato di mettersi in discussione. Nel momento in cui si aderisce a Fondazione Libellula viene accettato un manifesto; un manifesto che ha dieci punti e che porta a prendersi degli impegni.
  La nostra campagna di comunicazione dello scorso novembre si chiamava «Prendo un impegno» ed era rivolta agli uomini. In realtà, questo prendere un impegno è un nostro slogan, quello che chiediamo alle aziende quotidianamente di fare: prendersi degli impegni.
  Perché alcune aziende decidono di non aderire? I motivi sono vari e possono essere diversi. Non è detto che stiano minimizzando la questione, non è detto che non comprendano la questione. Magari non si sentono pronte a iniziare un percorso che comunque le mette davanti a delle sollecitazioni e che chiede loro un processo di cambiamento.

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  DEBORA MORETTI, presidente della Fondazione libellula. Nel 2020 le aziende all'interno del network erano quindici, nel 2024 sono oltre cento e abbiamo richieste quotidianamente di aderire al network o di fare progetti. Io sono ottimista da questo punto di vista.
  Il progetto Libellula è nato proprio con l'obiettivo di dire che le aziende devono prendersi una responsabilità. Le aziende comunicano con le persone, trasmettono i loro valori, fanno tanta formazione. È giusto ed è corretto che le aziende si prendano una responsabilità, perché le persone passano la maggior parte del loro tempo all'interno del contesto lavorativo. Di conseguenza, è corretto che l'azienda prenda parte, insieme alle istituzioni, insieme ai centri antiviolenza, insieme a tutto quello che è attorno a questo tema. È giusto anche che le aziende, soprattutto le aziende che stanno andando bene, si prendano la responsabilità di generare valore per la società in cui si trovano.
  Io davvero sono ottimista da questo punto di vista. Le aziende stanno crescendo, stanno prendendo molta consapevolezza. Non è sempre facile. Ovviamente, ci sono delle resistenze, soprattutto quando chiediamo di indagare il fenomeno al loro interno, perché questo potrebbe far emergere dei dati a cui poi bisogna dare delle risposte.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, chiedo ai nostri auditi di condividere, in maniera informatica, la relazione, avendo cura, visto che l'acquisizione dei dati è sempre molto importante per questa Commissione, di indicare il criterio metodologico con cui sono stati acquisiti, se la risposta è stata estratta a campione, in modo che capiamo l'indagine metodologica, perché per noi è molto importante, come Commissione, capire lo strumento con cui si indagano i dati. Tutti Pag. 24i dati ci servono per comporre le relazioni che questa Commissione, in quanto Commissione d'inchiesta, deve fornire.
  La tecnica metodologica per noi è importante. Ho visto lì anche un numero nutrito di aziende che partecipano ai lavori. Quindi, vi chiedo se, assieme ai materiali che ci lasciate, ci date anche evidenza di come vengono acquisiti i dati e con quale metodologia di indagine.
  Ringrazio gli auditi, la dottoressa Moretti, il dottor Di Rienzo e anche la fondatrice, la dottoressa Bolzoni. Ringrazio anche i colleghi e le colleghe.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.