XIX Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 4 aprile 2024
Bozza non corretta

INDICE

Pubblicità dei lavori:
Occhiuto Mario , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EQUILIBRIO E I RISULTATI DELLE GESTIONI DEL SETTORE PREVIDENZIALE ALLARGATO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA, ALL'EVOLUZIONE DEL MONDO DELLE PROFESSIONI, E ALLE TENDENZE DEL WELFARE INTEGRATIVO

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'equilibrio e i risultati delle gestioni del settore previdenziale allargato, con particolare riguardo alla transizione demografica, all'evoluzione del mondo delle professioni e alle tendenze del welfare integrativo, di rappresentanti di Confindustria.
Occhiuto Mario , Presidente ... 2 
Albini Pierangelo , Direttore lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria ... 3 
Occhiuto Mario , Presidente ... 14 
Magni Tino  ... 14 
Camusso Susanna Lina Giulia  ... 16 
Occhiuto Mario , Presidente ... 19 
Albini Pierangelo , Direttore lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria ... 19 
Occhiuto Mario , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MARIO OCCHIUTO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna, per la parte relativa all'audizione, sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'equilibrio e i risultati delle gestioni del settore previdenziale allargato, con particolare riguardo alla transizione demografica, all'evoluzione del mondo delle professioni e alle tendenze del welfare integrativo, di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di Confindustria, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'equilibrio e i risultati delle gestioni del settore previdenziale allargato, con particolare riguardo alla transizione demografica, all'evoluzione del mondo delle professioni e alle tendenze del welfare integrativo.
  Per la Confederazione è oggi presente il dottor Pierangelo Albini, direttore lavoro, welfare e capitale umano, accompagnato dal dottor Luca Del Vecchio, direttore delle politiche per il digitale e filiere, scienze della vita e ricerca, dall'avvocata Camilla Sciacca, direttore rapporti istituzionali, e dall'avvocata Giulia Dongiovanni, advisor ammortizzatori sociali, area lavoro, welfare e capitale umano.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione, do la parola al dottor Pag. 3Albini per lo svolgimento di una relazione, che raccomando di contenere in circa venti-trenta minuti, per dare modo ai commissari che lo richiedano di poter intervenire successivamente. Grazie.

  PIERANGELO ALBINI, Direttore lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, innanzitutto un ringraziamento non scontato per aver offerto a Confindustria l'opportunità di rappresentare alcune considerazioni in ordine a questa indagine che state svolgendo sul settore della previdenza allargata.
  In premessa dico che nella documentazione che è stata inviata ieri è contenuto anche il testo di un'audizione che era stata effettuata, sempre da Confindustria, nell'aprile dello scorso anno presso la Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato e previdenza sociale del Senato, nella quale, sostanzialmente, sono illustrate con maggiore dettaglio le osservazioni e le posizioni di Confindustria con riferimento alla parte della previdenza e della sanità complementare. Lì ci sono anche diverse proposte, diverse considerazioni su ciò che, a nostro avviso, è opportuno tenere in attenzione quando si parla della parte complementare del nostro sistema di welfare. Ho ritenuto, quindi, opportuno integrare questa memoria anche con quella dello scorso anno. Questo mi risparmia, oggi, il compito di annoiarvi, almeno su questa seconda parte.
  Faccio due considerazioni preliminari ancora, poi penso di occuparvi una quindicina di minuti, lasciando, infine, lo spazio per le domande. Anche perché il documento è stato trasmesso, quindi in qualche modo ne avete preso visione.
  Le due considerazioni di fondo sono queste. Come Confindustria, siamo particolarmente preoccupati guardando al sistema di welfare. Lo guardiamo in una duplice prospettiva. Lo guardiamo, innanzitutto, come un elemento identitario del Pag. 4nostro sistema sociale ed economico, quindi un elemento che, al pari della democrazia, innerva la società e il tessuto economico e anche, per certi versi, legittima ulteriormente il ruolo delle imprese nell'economia e nella società italiana. Di fatto, come dirò, una buona parte delle risorse che vengono destinate alla costruzione del welfare derivano dalla capacità del sistema produttivo ed economico del Paese di produrre.
  La seconda considerazione, la seconda preoccupazione per cui facciamo volentieri questa audizione è che, naturalmente, come nel mandato che la Commissione si è data, di indagine, vediamo davanti a noi accadere alcune situazioni, di cui poi dirò più nel dettaglio, che sicuramente mettono in grande difficoltà il nostro sistema di welfare. Il nostro sistema di welfare è stato costruito in presenza di un tessuto sociale, di un andamento demografico e, soprattutto, di una struttura economica che era fatta su altre basi e su altri presupposti. Così come oggi ci interroghiamo sulla capacità del sistema regolatorio del mondo delle imprese e del lavoro di affrontare le transizioni, Confindustria si interroga sulla capacità di adattamento che ha il nostro sistema di welfare. Non è solo un problema – come dirò nell'audizione – di sostenibilità del sistema di welfare. È soprattutto, a nostro avviso, un problema di ridisegno, perché l'equità complessiva del sistema di welfare italiano non ci pare adeguatamente capace di rispecchiare il tessuto economico che genera le ricchezze e il tessuto sociale che, in qualche modo, è destinatario di queste attenzioni del sistema di welfare.
  Le preoccupazioni non sono improntate, a nostro giudizio, a un approccio miope, egoistico della ripartizione dei costi del sistema di welfare, ma è una preoccupazione che riguarda la tenuta.
  Venendo un po' al merito delle questioni, direi rapidamente tre cose sugli ambiti per i quali chiedete anche a noi una Pag. 5riflessione. Il primo è sicuramente quello dell'inverno demografico. Sappiamo già molto, perché tutti i dati della demografia, tutte le indagini, tutti i rapporti demografici dicono che abbiamo una situazione molto preoccupante. Da questo punto di vista, segnalo solo due dati. Il primo è il progressivo impoverimento della popolazione. Non un impoverimento economico, ma un impoverimento quantitativo. Nel 2013 in Italia c'erano 60 milioni di residenti. Abbiamo la prospettiva di arrivare a 45 milioni nel 2080. Una progressione, quindi, che ha visto in dieci anni perdere quasi 1,5 milioni di abitanti. Vediamo, però, che nei decenni successivi le accelerazioni saranno maggiori. Quello dell'inverno demografico è sicuramente il primo elemento di grande preoccupazione.
  Specularmente a questo dato, nella nostra audizione ne abbiamo segnalato un secondo, che è il cosiddetto «indice di dipendenza», cioè la relazione che esiste tra la popolazione attiva, quella compresa tra i 15 e i 64 anni, e la popolazione over 64 anni, quindi tendenzialmente pensionata. Oggi abbiamo un rapporto del 38 per cento. Però, se andiamo a vedere cosa succede nel 2035, avremo sostanzialmente un rapporto «uno a uno», per arrivare, poi, nel 2042 ad avere un rapporto addirittura del 60 per cento della popolazione con più di 60 anni e del 40 per cento in attività lavorativa.
  Questo, naturalmente, dimostra la necessità di considerare con molta attenzione il tasso di fecondità e l'invecchiamento della popolazione.
  Il secondo elemento che preoccupa è quello che riguarda le transizioni. Qui sarò estremamente sintetico. A mio giudizio, le transizioni green e digitali avranno impatti enormi. Per quello che riguarda il welfare, questi impatti si tradurranno, molto probabilmente, in una trasformazione radicale delle strutture fondamentali nei modelli organizzativi delle imprese, il crescere Pag. 6di una prospettiva di lavoro che va sempre più verso il lavoro autonomo rispetto al lavoro subordinato, quindi processi che richiedono di essere accompagnati, anche perché, dal nostro punto di vista, almeno nella prima fase, in una fase congiunturale, abbiamo pochi strumenti e abbiamo anche, forse, poche strategie per accompagnare la trasformazione del tessuto economico e produttivo di questo Paese, che poi sarà la base per sostenere il welfare. Quindi, interrogarsi su come cambierà la composizione del tessuto economico e produttivo è un fatto che richiamiamo nella nostra memoria. Unitamente al terzo, e ultimo, che è quello della progressiva terziarizzazione. Questo è l'elemento su cui credo vada fatta una riflessione più attenta.
  Il processo di terziarizzazione dell'economia è un processo molto significativo. Il Paese ha sicuramente una spina dorsale manifatturiera, ma i regimi di costruzione del welfare che abbiamo fatto, pensando soprattutto a un Paese che aveva una manifattura industriale di un certo tipo e con certi volumi occupazionali, vanno ripensati. La manifattura perde i numeri, a vantaggio di un terziario. I sistemi di protezione sociale che abbiamo congegnato, sia con la legge, ma anche con la contrattazione collettiva, devono essere ripensati.
  Queste, secondo noi, sono le tre riflessioni fondamentali che vanno fatte. Qui entro un attimo nel merito della questione. Abbiamo costruito un sistema di welfare che oggi attinge in maniera significativa anche dalla fiscalità generale.
  In sintesi, la questione può essere riassunta da pochi numeri, che, però, danno il senso della gravità del fenomeno. Se noi consideriamo i tre capitoli principali del nostro sistema di welfare, la parte di previdenza, sanità e assistenza – anche l'ultimo rapporto presentato da parte di Itinerari previdenziali lo indica in maniera abbastanza evidente – è costata al sistema italiano 540 miliardi nell'anno 2022, e 540 miliardi all'anno Pag. 7sono la metà della spesa pubblica italiana, sono un terzo di quello che produce il PIL, quindi il prodotto interno lordo del Paese.
  Se si guarda dove si vanno ad attingere queste risorse e si guarda l'ambito privilegiato di questa osservazione, che è il bilancio dell'INPS, si vede che il bilancio dell'INPS, sostanzialmente, per prestazioni istituzionali, dettagliate meglio nella memoria che abbiamo presentato, fa 400 miliardi all'anno. Se si guarda da dove vengono le entrate, si scopre che 250 miliardi vengono dalle contribuzioni, ma 170 miliardi vengono dalla fiscalità generale. Il 40 per cento viene dalla fiscalità generale.
  Queste due considerazioni portano a dover fare una riflessione su due aspetti fondamentali, che nella memoria abbiamo cercato di sintetizzare al massimo. Anche andando a guardare le gestioni, si scopre che l'INPS, in realtà, che noi molto spesso consideriamo un'unità unica, in realtà è la sommatoria di 30 gestioni, di cui alcune – quelle del fondo lavoro dipendente, quelle legate alla gestione delle prestazioni temporanee, quelle delle para-subordinazioni, anche il FIS – presentano saldi positivi, ma tutte le altre presentano saldi negativi. Presentano saldi negativi che, guardandoli anche nella prospettiva della matematica attuariale, continueranno a essere in sensibile peggioramento.
  Ci sono gestioni che, di fatto, quindi, si accollano gli oneri di altre gestioni. Questa logica della mutualità e della solidarietà può reggere, ma quando si spinge oltre certi limiti ed è destinata ad aggravarsi ulteriormente pone un problema non solo di sostenibilità, ma anche di equità.
  Andiamo a considerare quello che è, invece, il 40 per cento delle risorse che vengono attinte dal sistema della fiscalità generale. Credo che tutti abbiamo in mente benissimo com'è fatta la ripartizione della torta che riguarda i 41 milioni di Pag. 8soggetti che versano le imposte in questo Paese. Il 41 per cento dichiara meno di 15 mila euro di reddito lordo all'anno, il 43 per cento tra 15 mila e 35 mila e c'è una quota marginale che paga il resto delle contribuzioni, della fiscalità generale. Quindi, ci sono 13 milioni di contribuenti sotto i 20 mila euro di reddito l'anno, che rappresentano il 56 per cento dei contribuenti che pagano più o meno il 10 per cento dell'IRPEF. Dopo ci sono 5,7 milioni di contribuenti sopra i 35 mila euro, che sono il 14 per cento del totale, che pagano il 60 per cento dell'IRPEF.
  Quindi, c'è un problema. C'è un problema di sostenibilità, ma c'è soprattutto un problema di equità, che poi si può tradurre in termini di costo del lavoro, per il lato delle imprese, ma si deve tradurre, naturalmente, anche in una riflessione sulla tenuta complessiva e la ripartizione dei processi di solidarietà.
  Nella memoria non lo trovate, però alcuni riferimenti si possono fare anche a situazioni che attualmente sono fuori dal perimetro dell'INPS, ma che sono destinate a rientrarvi o che vi sono rientrate, che devono essere processate con adeguata attenzione, altrimenti succede che fondi o casse che stanno fuori dal perimetro dell'INPS, nel momento in cui vi dovessero rientrare, magari anche in maniera parziale, come è successo recentemente per l'INPGI, finiscono per scaricare sulle gestioni attive dell'INPS e sui soggetti che pagano l'IRPEF gli oneri di queste operazioni.
  Il monitoraggio attento di quello che succede dentro queste 30 gestioni, che di fatto hanno un controllo meramente contabile, è importante, ma anche quello che sta succedendo fuori, in prospettiva, deve essere in qualche modo vigilato. Magari ne parleremo, se ci saranno curiosità e dibattiti. Si rischia veramente anche di non essere preparati a un destino che mi sembra, per certi fondi e per certe casse, ineludibile. Forse Pag. 9occorre anche prepararsi, fissare delle regole perché non ci si trovi in determinate situazioni, che diventerebbe doppiamente iniquo dover affrontare.
  Da ultimo, la parte che a me interesserebbe di più, per imparare più che per dire che cosa sarebbe opportuno fare, è quella che riguarda quello che nel profilo di indagine della Commissione è il cosiddetto «welfare contrattuale». Io faccio solo due sottolineature. Il documento è un po' più esplicito rispetto alle cose che adesso dirò magari in maniera sintetica, per non sforare i tempi che mi sono stati concessi.
  Confindustria gestisce, direttamente o indirettamente, 57 contratti collettivi nazionali. Sono circa 5,5 milioni i lavoratori regolati da questi contratti. Confindustria è anche responsabile del fenomeno della contrattazione di secondo livello. Sostanzialmente, la contrattazione di secondo livello, quella che avviene nelle aziende, si fa nelle aziende più strutturate, più grosse. Queste sono quelle di Confindustria.
  Confindustria, da tempi immemorabili – qui ci sono persone che, naturalmente, ne sanno anche più di me di queste cose – ha sempre cercato di regolare in maniera ordinata la contrattazione, regolando anche gli assetti e i compiti degli assetti. Naturalmente, oggi si parla molto del contributo che la contrattazione collettiva può dare per accompagnare questi processi di transizione e anche accompagnare e sostenere il processo relativo all'equità e alla sostenibilità del sistema di welfare.
  Due sono le considerazioni basiche che faccio io. La prima è questa. Nell'ultimo accordo interconfederale che abbiamo fatto, anche se non tutti ne hanno apprezzato fino in fondo le finalità, c'era un ragionamento che portava a distinguere i trattamenti economici minimi dai trattamenti economici complessivi. Questa operazione si iscrive dentro un processo più Pag. 10ampio che porta a dire che lo strumento del contratto collettivo, quello buono, andrebbe salvaguardato, perché, a nostro modo di vedere, se la contrattazione collettiva non funziona, come è noto, accadono due fatti. Il primo è che il Parlamento è costretto a interrogarsi sulla necessità di fissare un salario minimo per legge, un equo compenso. Il secondo è che il magistrato interviene, come è successo in alcuni ambiti, come quello della vigilanza privata, e stabilisce lui qual è il sindacato di tariffa.
  Noi siamo convinti che la contrattazione collettiva debba funzionare, e debba funzionare regolarmente e bene. Per questo abbiamo posto da anni il tema della misura della rappresentanza, ai fini di individuare quale sia, in ogni singolo settore, «il» contratto di riferimento e non, come dice il documento conclusivo del CNEL, «i» contratti. «Il» contratto di riferimento. Dal nostro punto di vista, nell'industria metalmeccanica dovrebbe essere possibile individuare quale contratto prendere a riferimento.
  Tutti sappiamo che, per la mancata attuazione dell'articolo 39, non si può imporre a nessuno l'applicazione di un contratto. Se, però, fosse possibile individuare qual è il contratto di riferimento, sarebbe possibile stabilire sia qual è il TEM sia qual è il TEC, sia, cioè, qual è il salario proporzionato giusto dell'articolo 36 della Costituzione (il TEM), ma anche il trattamento economico complessivo che quel contratto garantisce ai lavoratori di quel settore.
  Per arrivare al punto di fondo, noi riteniamo che sia arrivato il momento di riservare qualunque tipo di beneficio, in termini di sgravi contributivi e fiscali, solo ed esclusivamente a coloro che applicano integralmente il contratto collettivo di riferimento. Altrimenti si finisce per concedere, in termini di agevolazioni anche sul welfare, benefici della fiscalità generale (che, Pag. 11come ho detto prima, attingono alle tasche di alcuni, ma non di tutti) anche a coloro che hanno contratti collettivi che non sono analoghi per contenuto al contratto di riferimento. Non vi è il problema di applicare quel contratto, ma di garantire quei trattamenti. Altrimenti, se cominci a garantire sgravi e benefici anche sul welfare contrattuale a coloro che applicano trattamenti economici inferiori a quello che dovrebbe essere il contratto di riferimento, dai benefici della fiscalità a danno di chi paga le imposte e della concorrenza leale tra le imprese. Prima considerazione.
  Seconda considerazione. Stamattina ho fatto questo esercizio poco prima di venire qui. Ho consultato uno di quei motori di ricerca dell'intelligenza artificiale e gli ho chiesto due cose: se secondo lui il sistema di welfare italiano fosse regolato e sufficientemente chiaro, e mi ha risposto di sì (era uno di quei sistemi che cita esattamente le fonti, quindi tutte le cose sono chiare); poi ho chiesto se fosse equo, e lui mi ha risposto che, per essere equo, bisognerebbe fare una serie di verifiche su come effettivamente funzionano le cose. Questa è la ragione dell'indagine.
  Sapevo benissimo che, nonostante la risposta sia stata immediata e sufficientemente ragionevole, perché questo è uno di quei motori che ti dice da dove prende le informazioni per costruirti in un nanosecondo un ragionamento di questo tipo, ho capito che mancava un elemento, che era un elemento di valore.
  Sinceramente, parlando di welfare, penso si possano fare due ragionamenti. Si può dire che noi abbiamo una grande preoccupazione per tener su un sistema di welfare nella sua sostanza. Quello che costa 540 miliardi all'anno, il sistema della sanità, della previdenza e dell'assistenza sociale. Poi, naturalmente, esistono le piattaforme con cui si fanno, nella contrattazionePag. 12 di secondo livello, delle operazioni per customizzare sui bisogni delle persone delle misure, il cosiddetto «welfare contrattuale». Siamo arrivati al punto in cui bisogna fare delle scelte, secondo noi, e dare delle chiare indicazioni attraverso le misure che vanno a premiare fiscalmente o contributivamente queste scelte.
  I fondi sanitari e i fondi pensione sono una struttura fondamentale del nostro sistema. Se le parti sociali nei loro 57-58 contratti devono essere indirizzate a fare qualcosa, è il legislatore che in qualche modo deve indicarlo.
  A questo punto – e qui poi davvero mi taccio per lasciare spazio alle domande – credo sia arrivato il momento di determinare delle priorità. Non è solo il fatto di dire che non si possono più dare benefici a pioggia a chiunque, ma bisogna cominciare a incanalare dei percorsi in maniera coerente verso quelle logiche che noi riteniamo condivisibili. Nel nostro ordinamento costituzionale c'è un ruolo del contratto collettivo. Non di qualunque contratto collettivo, ma funzionale a garantire l'integrazione delle due cose. In questo senso, bisogna dare, poi, anche alle parti sociali delle indicazioni, che sono quelle che dobbiamo costruire adesso che noi, come Confindustria, ci stiamo interrogando se abbiamo la strumentazione adeguata ad affrontare quelli che saranno i costi occupazionali delle transizioni. Alla fine, quando costruisci un sistema di previdenza integrativo che consente una flessibilità nel pensionamento, che consente di anticipare dei pensionamenti, quando devi costruire un sistema di politiche attive, devi poterlo fare avendo il riconoscimento – non i vantaggi, ma il riconoscimento – da parte dell'ordinamento giuridico di quello che stai facendo a supporto del welfare pubblico.
  La logica con cui in questo momento ci interroghiamo si basa sulla necessità di costruire in forma mutualistica e solidaristica,Pag. 13 nell'ambito, naturalmente, del mondo che siamo in grado di affrontare. Noi possiamo certamente fare un fondo previdenza per 1,5 milioni di metalmeccanici, però possiamo costruire un fondo sanitario – come lo abbiamo costruito – per 1,5 milioni di metalmeccanici e le loro famiglie.
  La necessità che voglio manifestarvi è questa. Quello che sta accadendo in questo momento ci porta a dover considerare tutti e due gli ambiti. Uno è quello che riguarda il grande investimento che va fatto sul capitale umano, perché queste transizioni richiedono uno sforzo enorme. Noi abbiamo i fondi interprofessionali che lavorano in questa logica, ma siamo anche disponibili a potenziare ulteriormente questo strumento, nella logica di costruire davvero un sistema di politiche attive che aiuti non solo a formare le persone che già lavorano, ma anche le persone che devono entrare nel mondo del lavoro, gestendo le crisi occupazionali non dopo tre-quattro anni di cassa integrazione, ma sin dall'inizio, come stabilisce l'accordo interconfederale del 1° settembre 2016 fatto tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL, che è rimasto inattuato.
  Da questo punto di vista, il ragionamento che tendo a fare è questo. Ci sono strumenti che possiamo valorizzare e potenziare in questa logica anche per gestire le transizioni, anche per gestire in maniera più flessibile le uscite e i processi di outplacement. Non credo siano necessari degli incentivi. Penso che, però, si debba riconoscere a queste iniziative la stessa natura che avrebbero le contribuzioni obbligatorie, se finalizzate per integrare le funzioni del welfare.
  Credo che, in questo momento di grande transizione, un'indicazione anche a chi gestisce la contrattazione e può potenziare questi sistemi che ci sono di carattere bilaterale possa essere utile.
  Grazie per l'attenzione.

Pag. 14

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Albini. Ringraziamo Confindustria per questa relazione, che credo sia stata abbastanza esaustiva e interessante. Questa indagine conoscitiva, ovviamente, la stiamo portando avanti proprio perché anche noi siamo preoccupati riguardo alla tenuta del sistema e all'adattabilità, alla capacità di adattamento del sistema rispetto alle difficoltà che ci saranno nel futuro. Condividiamo tutte le preoccupazioni di Confindustria. Ne abbiamo discusso in questa sede.
  La ringraziamo anche per le riflessioni su alcuni degli strumenti che potrebbero consentire di superare in futuro o, comunque, di affrontare queste difficoltà legate all'inverno demografico, di cui lei parlava, all'indice di dipendenza, alla transizione digitale, all'avanzamento del terziario. Come si può comprendere, quindi, in futuro ci sarà uno stravolgimento complessivo del sistema, non solo economico, ma anche di quello che riguarda la previdenza, la sanità e l'assistenza, che rappresenta la voce più importante del nostro bilancio e anche del bilancio dell'INPS.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di contenere le domande in un tempo ridotto, in modo tale da poter chiudere a breve, perché in Senato ci sono, come sapete, altre Commissioni.

  TINO MAGNI. Ringrazio anche per la chiarezza dell'esposizione. Sembrerà strano, però sono molto d'accordo su una serie di questioni poste, che meriterebbero una discussione molto più approfondita, servirebbe più tempo.
  Cito tre questioni, sostanzialmente. Mi pare che lei abbia posto prima di tutto – e mi pare corretto – qual è la prospettiva di questo Paese dal punto di vista anagrafico, sostanzialmente. Qui bisognerebbe avere il coraggio – ma non voglio fare Pag. 15polemica – di affrontare, da una parte, la questione della natalità e, dall'altra, la questione dell'emigrazione. Questo è un altro dato fondamentale. Noi continuiamo a girare intorno a questo problema, però le imprese hanno bisogno di lavoratori, i lavoratori vanno formati, va ringiovanito anche il sistema. Tutti noi lo sappiamo. Io vengo dalla Lombardia. Se uno va a vedere il bilancio dell'INPS in Lombardia si rende conto di quanti sono i lavoratori che avranno questo beneficio tra 35-40 anni, circa un milione di persone.
  Basterebbe evitare di continuare a fare le polemiche che vediamo anche in questi giorni. Questo tema, quindi, va affrontato. Credo sia corretto da parte di Confindustria porre con più forza questa questione, perché forse è più credibile di noi, è più forte di noi su questo terreno.
  Secondo problema: la questione dell'equità. La solidarietà, la giustizia sociale è una cosa che ci appartiene, però, giustamente, non possono essere sempre gli stessi a pagare. È già avvenuto in passato. Nelle casse dell'INPS sono arrivati quelli che avevano grandi benefici, con fondi – come tutti noi sappiamo – che erano in deficit. Quello, però, era un momento di espansione. Va bene. Questo è il dato.
  Vorrei sottolineare – lo faccio in questa sede – che noi abbiamo sentito anche altri soggetti: tutti chiedono una cosa sola. L'unica cosa uguale per tutti è la defiscalizzazione.
  Penso che, per correttezza, se vogliamo garantire lo stato sociale le tasse vanno pagate. Tutti chiedono di defiscalizzare, chi verso un euro e chi di più, ma non funziona. Chi dice questa cosa, quindi, va controcorrente. Se non si pagano, però, si verifica questo dato. Non è che qualcuno deve pagare per tutti.
  Arrivo all'ultimissima questione, che ho volutamente posto alla fine. Giustamente a me pare un ragionamento che, se fossi un sindacalista, in questo caso vorrei discutere e costruire con Pag. 16voi. Mi pare una cosa molto intelligente, che quindi è necessario registrare. È stato posto il problema che la transizione, che è inevitabile, libererà lavoro, per cui bisogna attivare un processo di accompagnamento di questi lavoratori. Noi l'abbiamo già fatto in anni passati, quando si parlava di prepensionamenti, per gestire alcune grandi imprese in fuoriuscita. Adesso non voglio parlare di prepensionamenti, ma voglio parlare di un fondo che accompagni i lavoratori, perché non è affatto semplice riconvertire una persona che ha lavorato per trentacinque anni. Vi faccio l'esempio di mia moglie: ha lavorato per quarantun anni e mezzo in una fabbrica metalmeccanica, dopodiché quando si è parlato di ristrutturazione era terrorizzata. Si dice che bisogna riconvertire. È facile dirlo a parole, ma è più complicato farlo nei fatti. Quei lavoratori vanno accompagnati, nello stesso tempo bisogna preparare con grande capacità le persone che li dovranno sostituire.
  C'è un tema: i fondi sia previdenziali che sanitari, ad esempio i meccanici, come vengono investiti? Dico questo perché molto spesso per mantenere inalterato il valore e avere un rendimento questi fondi vengono investiti, molti non in Italia. Allora, il problema è dare avvio a un confronto tra il legislatore e le parti sociali rappresentative. E qui viene fuori la questione della rappresentanza. Bisogna arrivare a un punto. È ineludibile. Però, qui bisogna avere il coraggio dal punto di vista politico di fare delle scelte.
  Grazie.

  SUSANNA LINA GIULIA CAMUSSO. Signor presidente, ringrazio il dottor Albini. Mi è sembrato di fare un tuffo a qualche anno fa. Credo che quello sulla struttura della contrattazione sia stato l'ultimo accordo che ha firmato Confindustria negli ultimi anni. Questo denota che la crisi è vasta.Pag. 17
  Posso dire che una proposta di legge sulla rappresentanza io l'ho presentata, perché continuo a pensare che, se non sciogliamo quel nodo, continuerà a persistere una debolezza del sistema contrattuale sempre più forte. Ma questa è una strana stagione, in cui l'attenzione alle cose fondamentali non c'è.
  Molte cose le ha già dette il senatore Magni, quindi non le riprendo. Ho una curiosità rispetto allo schema che ci è stato proposto, perché nel definire la transizione il dottor Albini giustamente ha detto che questo cambierà profondamente i metodi di governo del sistema delle imprese. In parte l'abbiamo già visto. Qualche flash ci è arrivato, per esempio, durante la pandemia dal punto di vista dell'organizzazione. Quindi, prevarrà uno schema di lavoro autonomo rispetto ai modelli di subordinazione a cui siamo abituati nel sistema tradizionale.
  Ovviamente, questo è un grande tema anche rispetto alla contrattazione, non è solo un tema rispetto ai sistemi esistenti. Da questo punto di vista, per esempio, una delle iniquità del nostro sistema – parlo di INPS, parlo di primo pilastro – è la distanza che c'è tra i fondi previdenziali e i lavoratori dipendenti e la cosiddetta «gestione separata», che è un primo ostacolo che determina un'iniquità innanzitutto generazionale, ma anche, ovviamente, di rendimenti a prestazioni. Quindi, è come se lei ci avesse proposto – io la capisco così – un tema di ridefinizione di che cos'è lavoro subordinato o meno, qual è il nesso tra forme organizzative e considerazione della subordinazione.
  La precedente discussione nel nostro Paese su questo tema non è finita benissimo, però si può sempre migliorare. Anche se io penso che il salario minimo non sia solo legato a questa cosa, ma è anche legato alla scarsità di retribuzione in generale, perché i tribunali intervengono in ragione del fatto che si Pag. 18pagano troppo poco i lavoratori. Ma questo è un altro ragionamento.
  Un secondo tema che mi interesserebbe approfondire è il ragionamento che il dottor Albini faceva sui fondi interprofessionali, di cui io, a differenza di tanta genericità che normalmente si utilizza nel definirli, ho grande stima, ma ho sempre avuto una critica di corporativismo, dettata dal fatto che tendenzialmente le aziende riutilizzano le risorse che versano. Giustamente voi li rappresentate, però il limite vero dei fondi interprofessionali è quello di essere costruiti su una dimensione che è molto poco di mercato del lavoro in generale e molto di più di formazione delle proprie maestranze o di ciò che c'è intorno. Però, non c'è dubbio che, se i processi di digitalizzazione sono quelli che ci si immagina, come anche i processi di sostenibilità ambientale, perché anch'essi avranno degli effetti di trasferimento, questa dimensione di lettura dei fondi che sono in qualche modo i miei e che continuo a utilizzare solo per me non regge, perché il tema della mobilità della manodopera cambia soprattutto dal punto di vista professionale.
  Io penso, però, che questo richieda una discussione su quanto è interno al sistema delle imprese, in questo caso al sistema contrattuale, perché i fondi interprofessionali sono regolati anche dalla contrattazione, e su quanto, invece, va connesso alle politiche attive. Ma senza aprire questo capitolo, credo che ci sia un grande tema di determinare che cosa è compito nazionale e che cosa è compito europeo. Penso che noi non possiamo mettere mano al sistema della difesa, del sostegno e della tutela dell'occupazione e della riconversione dell'occupazione, oppure a sostegno della disoccupazione, se questo non diventa un meccanismo europeo. Alcune premesse c'erano, lo strumento SURE era stato un esempio in questa direzione, ma lo si è perso di vista. Tuttavia, poiché penso che quei processi Pag. 19non avranno base nazionale, il non avere base nazionale deve essere anche il tipo di risposta che poi proviamo a dare.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori richieste di intervento da parte dei colleghi, ne approfitto per farle una brevissima domanda, collegandomi a un passaggio che ha fatto precedentemente il senatore Magni su un punto che lei, dottor Albini, non ha trattato nella sua relazione. Si parla tanto di investimenti in economia reale da parte degli investitori istituzionali. A vostro avviso, che impatto hanno questi investimenti nei settori che rappresentate? Che cosa potrebbe essere fatto, che cosa ancora è necessario fare, anche a livello legislativo, perché questi investimenti in economia reale riguardino prima di tutto l'Italia, magari anche il sud Italia, che è la parte più sottosviluppata, e poi il resto del mondo, come diceva anche il senatore Magni?
  Do la parola al nostro ospite per la replica.

  PIERANGELO ALBINI, Direttore lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria. Vi ringrazio per le domande che mi avete posto, perché mi consentono di riprendere e approfondire alcuni aspetti. Cerco di seguire l'ordine con cui sono state poste le questioni e di dare alcune risposte.
  La prima questione è quella relativa ai fenomeni migratori. Il problema che abbiamo oggi, che è evidente, è la presenza di un mismatch importante: c'è un problema di carattere congiunturale e c'è un problema di carattere strutturale. Il problema di carattere congiunturale va affrontato nella logica della congiunturalità. Ci sono, credo, 150 mila persone che sono nelle strutture che una volta si chiamavano SPRAR e che adesso si chiamano CAS e che sono già presenti sul territorio nazionale rispetto alle quali si deve avviare un progetto. Noi stiamo Pag. 20lavorando con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministero dell'interno e con il Ministero dell'istruzione e del merito alla realizzazione di un progetto per capire in questi ambiti come è possibile attivare queste persone e attraverso il lavoro integrarle e regolarizzarle.
  Ci sono aspetti sostanziali non di poco conto da tenere in considerazione, però chiaramente occorrerà un supporto normativo, perché queste persone sulle quali si fa un investimento in mezzo a un processo, che è magari quello della richiesta di asilo, nel momento in cui si investe, vengono formate e inserite regolarmente nel mondo del lavoro, ma bisogna anche integrarle dal punto di vista formale con una cittadinanza attiva, che è meglio di una situazione di incuria, a cui oggi sono un po' condannati.
  Si possono fare cose di tipo congiunturale sia in Italia che all'estero. Con il cosiddetto «decreto Cutro» sono state avviate alcune sperimentazioni, ci stiamo lavorando, però giustamente è una cosa sulla quale bisogna avere un doppio respiro, ossia avere un'idea di politica industriale di quello che serve al Paese per essere attrattivi rispetto a ciò che vogliamo costruire, sulla base del presupposto che vogliamo mantenere una spina dorsale manifatturiera in questo Paese, e considerare che esiste un problema di carattere congiunturale, su cui sicuramente Confindustria si sta impegnando e, come auspicava il senatore Magni, magari si farà anche sentire.
  Vengo alla seconda questione. Mi sembra che siamo d'accordo che il tema dell'equità non presuppone la defiscalizzazione, presuppone il fatto che ciascuno paghi il giusto. Se abbiamo da gestire delle transizioni e queste transizioni spostano la composizione del tessuto occupazionale italiano, una riflessione va fatta. Oggi abbiamo sostanzialmente 24 milioni di occupati, di cui 5 milioni (più o meno il 25 per cento) sono Pag. 21lavoratori autonomi, 3 milioni e mezzo sono lavoratori pubblici e 18 milioni sono lavoratori subordinati. Ma se le composizioni di queste fasce cambiassero, ci troveremmo a dover fare i conti con livelli di fiscalità completamente diversi. Non lo scopriamo qui questa mattina che, se si introduce per il lavoro autonomo una flat tax che arrivi fino a 80 mila euro, l'istigazione a delinquere diventa molto forte, in processi che, fra l'altro, facilitano questo tipo di transizione da lavoro subordinato a lavoro autonomo. Quindi, ci sono livelli di fiscalità e livelli di contribuzione molto diversi.
  In questa logica, ricollegandomi alla considerazione che faceva la senatrice Camusso, è chiaro che noi vediamo che con la digitalizzazione – non sarà una situazione per tutti, ma lo diventerà per molti – si creerà una situazione in cui tu, non vedendo più, non avendo più le due caratteristiche tipiche del lavoro subordinato, vale a dire lo spazio inteso come luogo di lavoro e il tempo inteso come orario di lavoro, ti orienti ad avere un apprezzamento di ciò che fanno le persone sulla base del risultato, che è tipico della distinzione del diritto romano fra la locatio operis e la locatio operarum. Quando studiavo all'università – ahimè, sono passati tantissimi anni, purtroppo – già circolavano i testi di Alain Supiot, che spiegava che non avrebbe più avuto senso in prospettiva distinguere fra una persona che fa un lavoro subordinato e una persona che fa un lavoro autonomo.
  Alcune battaglie che noi facciamo per ricondurle dentro la categoria giuridica del lavoro subordinato, forme di lavoro che lì dentro non si possono più piegare, hanno molto meno senso che non approcciare l'idea per cui il lavoro è il lavoro e, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che gli diamo, gli va dato un sistema di protezione uniforme.Pag. 22
  Del resto, se andiamo a vedere quello che è stato fatto recentemente dal Governo Renzi sulla parasubordinazione, notiamo che si è fatta un'operazione che nella sostanza – adesso magari la brutalizzo, spero che i giuslavoristi non si offendano di questa sintesi estrema – dice: al di là di come lo chiami, lo devi trattare come lavoratore subordinato, more or less.
  È chiaro, quindi, che la digitalizzazione offre straordinarie opportunità e presenta, naturalmente, anche grandi processi di trasformazione, noi però non possiamo processare questo travaso di funzioni, per poi trovarci, come all'epoca del Governo Monti, a dover processare un tema, che era rappresentato dalle false partite IVA. I modelli di organizzazione delle imprese che oggi sono consentiti dalla digitalizzazione favoriscono questi tipi di processo, per cui l'uniformità regolatoria sia in termini di tutele, sia in termini di fiscalità, sia in termini di contribuzione va fatta. Anche perché adesso, nel pensare su come costruire un ragionamento di sviluppo della bilateralità dei fondi, è chiaro che noi non abbiamo più in testa la fortuna che ha avuto il dottor Albini di essere assunto per sbaglio in Confindustria nel 1987 e di essere qui ancora a parlare per Confindustria.
  Carriere di questo tipo per cui una persona inizia a lavorare in un posto e finisce a lavorare in quello saranno sempre più eccezionali. Oggi addirittura, per quello che vedo io nei giovani, c'è sicuramente una difficoltà a stabilizzare, ma c'è anche meno interesse. Vedo succedere oggi quelle cose che quindici anni fa, quando frequentavo gli ambiti di confronto europeo, vedevo che negli altri Paesi era molto più diffuso, ovverosia l'incentivazione a far fare alle persone esperienze diverse in realtà diverse, piuttosto che avere una storia lavorativa che comincia in un posto e finisce in quel posto.Pag. 23
  Dobbiamo costruire, in un contesto che va, per mille ragioni, in questa direzione, un sistema di protezione più adeguata. Per questo dico che noi abbiamo sistemi regolatori sul lavoro vecchi, perché tendiamo a mettere a tutti la tuta blu, come diceva Bruno Manghi, e a ripiegare tutto dentro lì, anziché pensare di dare un sistema di tutele uniforme a prescindere da come poi si configura questo tipo di lavoro. D'altronde, al di là di quelle che sono le professioni ordinistiche, tutto il resto finisce per essere un grande ectoplasma, che va regolato anche sotto il profilo delle protezioni giuridiche e di altro genere.
  In questo senso dico che certamente c'è un tema di questo tipo che va anche sulla contrattazione. Tant'è che vedo sempre più frequentemente la contrattazione collettiva avventurarsi anche nella regolazione delle forme di collaborazione coordinata e continuativa, che vengono inserite nei contratti collettivi. Anche qui c'è un tema di rappresentanza e di regolazione, perché ormai lo strumento del contratto collettivo non può più essere quello che è stato fino adesso, ma deve diventare un'altra cosa, deve diventare uno strumento con cui le parti fanno le politiche industriali e le politiche occupazionali e costruiscono un sistema di protezione sociale complessivo. Tant'è che dico ai cultori della materia che mi ascoltano che mi sto interrogando sul fatto che questa dimensione di regolare con il contratto collettivo di settore anche gli aspetti della bilateralità non regge più. Questo perché la frantumazione della contrattazione collettiva porta ad avere coorti sempre più ridotte, sulle quali non puoi costruire un sistema di sanità integrativa o di previdenza integrativa che sia autonomo. Quindi, dobbiamo cominciare a ragionare – qui naturalmente mi rivolgerei idealmente almeno alle principali organizzazioni sindacali, con cui siamo soliti parlare di questo tema – su come un universo, che già è parziale, di 5 milioni e mezzo di lavoratori debba tutelare Pag. 24meglio le proprie ragioni, costruendo un sistema che, a questo punto, deve essere un sistema integrato, che deve integrarsi perfettamente con il primo pilastro, ma che deve vedere un patto di leale collaborazione anche – lo dico apertamente – con le banche e con le assicurazioni. Insomma, va fatto un disegno nuovo per costruire un sistema di welfare nuovo, altrimenti le transizioni non riusciremo a regolarle.
  Dico le ultime cose, sperando di avere, anche se disordinatamente, risposto alle provocazioni. Rispondendo alla senatrice Camusso, vorrei dire che io processo i temi del welfare nella prospettiva europea, perché il welfare state nella dimensione in cui lo conosciamo noi è un patrimonio comune dell'Europa. Magari non di tutti i Paesi, però è destinato a essere consolidato su questa cosa. L'esperienza del programma SURE è stata un'esperienza positiva. Dovessi parlare in termini da carpentiere, direi che vanno costruite regolazioni normative con i ferri di richiamo per potersi innestare su strumenti che verranno costruiti a livello europeo, perché inesorabilmente andiamo in quella logica. Il programma SURE è stata una grande esperienza positiva, bisogna cominciare a ragionare in quest'ottica, guardando a un orizzonte più ampio e, quindi, costruendo un sistema di protezione moderno.
  Relativamente agli investimenti nell'economia reale, io penso, non essendo, peraltro, un esperto di finanza, che qui si debba tutelare prioritariamente il risparmio previdenziale. Sono dell'idea che gli investitori debbano garantire il miglior rendimento possibile a questa forma di risparmio, che è un risparmio necessario. Se non si riesce a essere attrattivi, non si può obbligare nessuno a investire dove non c'è redditività. Diversamente, la logica diventerebbe questa: se mi costringi a investire lì, mi devi garantire nel caso in cui vada incontro a delle perdite. Abbiamo visto che cosa è successo recentemente sulla Pag. 25finanza. Sono rischi che gli investitori sanno di dover correre. Tuttavia, un investitore, come possono essere i fondi di previdenza complementare, deve essere un investitore molto prudente, perché tutela un interesse che diventerà sempre più importante.
  Da ultimo, non vorrei esagerare, però un'idea compiuta di come debba evolvere il sistema della bilateralità, che Confindustria ha costruito con CGIL, CISL e UIL in questi ultimi anni, penso di averla ben presente. In questo senso, rispondendo alla provocazione sui fondi interprofessionali, dico che i fondi interprofessionali nascono per fare la formazione continua delle persone occupate. Fondimpresa, che è il principale fondo, che gestisce circa 430 milioni di euro, la metà del gettito complessivo dello 0,30 per cento che attraverso l'INPS poi viene riportato su base volontaria nei fondi, gestisce questi soldi, però in termini in parte mutualistici.
  C'è un 80 per cento di questo 0,30 per cento che ogni impresa versa all'INPS che ritorna sul proprio conto aziendale e che l'impresa può gestire, in accordo con i sindacati, facendo la formazione agli occupati, ma c'è un 20 per cento che va sulla mutualità, che viene utilizzata attraverso gli avvisi, che vengono fatti appositamente, perché le imprese più piccole e meno strutturate accumulano meno risorse e hanno bisogno degli avvisi.
  Abbiamo spinto i fondi interprofessionali, che sono i fondi bilaterali in quella che io chiamo la quarta fase evolutiva dei fondi, poiché vengono creati, poi c'è un decennio in cui nessuno se ne occupa, accumulano risorse, allora a questo punto tutti se ne occupano perché vedono le risorse, infine c'è il momento in cui, se sopravvivi a questa fase, che oggi, ad esempio, è la fase che interessa i fondi sanitari – è per questo che ho portato con me il dottor Luca Del Vecchio, lui si occupa proprio di questa Pag. 26materia – fase in cui tutti guardano con cupidigia quello che stai accumulando, devi entrare nella quarta fase e devi renderti utili al sistema di welfare pubblico. Questa è la tua legittimazione. Chiaramente adesso si stanno accelerando moltissimo i processi.
  I fondi interprofessionali li abbiamo utilizzati intanto per fare un investimento per la ricollocazione dei cassintegrati e li stiamo usando sugli avvisi sui cassintegrati. Siamo già al terzo avviso che facciamo per i disoccupati, dove di fatto diciamo: forma un disoccupato, ti finanzio se tu impresa lo assumi, se su dieci che ne formi ne prendi almeno nove.
  Stiamo lavorando per fare, attraverso i fondi interprofessionali, quello che il sistema non riesce a fare in termini di politiche attive. Abbiamo, da dieci anni almeno, l'idea di essere aiutati dal legislatore a costruire dentro i fondi interprofessionali una gestione separata – è quello a cui facevo prima riferimento – che può essere su base volontaria alimentata dalla singola impresa, con cui fare questo tipo di investimento sull'outplacement e la gestione delle transizioni. Questo sempre con la stessa logica, dicendo all'impresa: quello che accantoni lì per l'80 per cento è tuo, per il 20 per cento lo uso per la mutualità generale, per gestire le transizioni, per gestire le politiche attive, per aiutare le persone non semplicemente a scivolare verso le pensioni, come potevamo fare quando avevamo l'indennità di mobilità, che dopo tre o quattro anni di cassa ti dava altri tre o quattro anni al sud di scivolo verso la pensione. Quindi, tu avevi uno scivolo complessivo di dieci anni.
  Poi, questo scivolo è stato segato, dal momento che è stata tolta l'indennità di mobilità ed è stato spostato anche il «bordo della piscina» (come dico io) perché con la riforma Fornero è stato allontanato di cinque anni. Quindi, di fatto non si può più gestire nella logica dello scivolo, bisogna gestire nella logica Pag. 27delle politiche attive e aiutare le persone ad avere una maggiore longevità professionale, cosa che naturalmente non si può costruire da zero a cento dopo quarant'anni di lavoro alla catena di montaggio in un'azienda metalmeccanica, ma bisognerà costruire gradualmente e il prima possibile.
  Credo di aver soddisfatto tutte le richieste che sono state fatte, quindi se non c'è altro mi zittirei.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare nuovamente il dottor Albini anche per queste risposte esaustive e per i chiarimenti dati ai commissari, il dottor Del Vecchio e gli altri rappresentanti di Confindustria, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.