XIX Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 28 febbraio 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MADE IN ITALY: VALORIZZAZIONE E SVILUPPO DELL'IMPRESA ITALIANA NEI SUOI DIVERSI AMBITI PRODUTTIVI

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Confindustria ceramica.
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 
Savorani Giovanni , presidente di Confindustria ceramica ... 3 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 5 
Savorani Giovanni , presidente di Confindustria ceramica ... 5 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 5 

Audizione, in videoconferenza, del prof. Massimiliano Bruni, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 5 
Bruni Massimiliano , associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano ... 5 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 5 
Bruni Massimiliano , associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano ... 5 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 7 
Bruni Massimiliano , associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano ... 7 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 7 

Audizione, in videoconferenza, del prof. Paolo Desinano, docente a contratto di destination management presso Università europea di Roma:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 8 
Desinano Paolo , docente a contratto di destination management presso l'Università europea di Roma ... 8 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 10 

Audizione, in videoconferenza, del prof. Gian Luca Gregori, Rettore dell'Università politecnica delle Marche:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 10 
Gregori Gian Luca , Rettore dell'Università politecnica delle Marche ... 10 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 12 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di InnovUp:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 12 
Ciron Giorgio , direttore di InnovUp ... 12 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 15 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti di Confindustria ceramica ... 16 

Allegato 2: Documentazione depositata dal prof. Paolo Desinano ... 19 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti di InnovUp ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI

  La seduta comincia alle 9.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione televisiva diretta sulla web tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Confindustria ceramica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Confindustria ceramica, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.
  Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Giovanni Savorani, presidente di Confindustria ceramica e ad Armando Cafiero, direttore generale di Confindustria ceramica, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  GIOVANNI SAVORANI, presidente di Confindustria ceramica. Grazie dell'opportunità. Buongiorno a tutti. Noi siamo un settore che giustamente possiamo essere definiti del made in Italy tant'è che siamo 263 aziende che comprendono piastrelle, laterizi, sanitari, stoviglierie e ceramiche tecniche. Esportiamo per il solo settore delle piastrelle, che devo dire è rimasto il vero rappresentante del made in Italy perché gli altri settori nel tempo, purtroppo, hanno dovuto delocalizzare e abbiamo perso in competitività su diversi fronti – parlo di sanitari e stoviglie in particolare – mentre nel mondo delle piastrelle l'anno scorso abbiamo fatturato 6 miliardi e 200 milioni dei quali abbiamo esportato circa l'80 per cento. Di questo 80 per cento 50 lo si può considerare dentro il mercato comune e 30 fuori dal mercato comune europeo.
  Nella nostra vita ci troviamo in questo frangente con alcune problematiche, ma i numeri sono abbastanza chiari: siamo dei forti rappresentanti del made in Italy, rappresentiamo circa 26 mila addetti e se considera tutta la filiera, quindi compresa la tecnologia e le macchine per fabbricare ceramiche, diventiamo circa 50/52 mila.
  Nel mondo la tecnologia della ceramica italiana è vincente, nel senso che non esistono aspetti della ceramica nel mondo dove non si parli qualche parola di italiano perché tutte le macchine, tutte le tecnologie sono nate qui da noi.
  In questo momento viviamo alcune criticità e la prima riguarda le materie prime. La guerra del Donbass ci ha penalizzati molto perché circa 2 milioni di tonnellate di argille bianche di altissima qualità provenivano dal Donbass. Siamo dovuti andare a fare una ricerca a livello mondiale, cui abbiamo partecipato come associazione, hanno partecipato i nostri centri di ricerca, le università e siamo andati a pescare in giro per il mondo dove pure abbiamo potuto trovare argille di eguale qualità, ma con costi che si sono alzati moltissimo. Siamo andati in India, siamo andatiPag. 4 a ripristinare delle cave che avevamo abbandonato circa trent'anni fa in Germania, e che avevamo abbandonate perché erano molto più care e di qualità inferiore rispetto a quelle ucraine.
  Oggi ci troviamo alcune difficoltà che sono insorte, per esempio noi importiamo tutti i feldspati dalla Turchia. Il fatto di aver chiesto ai turchi di darci anche una parte delle loro argille bianche in parallelo con una richiesta europea di antidumping sui loro prodotti ha fatto sì che ci sia stata una ritorsione per cui abbiamo rischiato il blocco anche dei feldspati. Qui la Farnesina, devo dire, ci ha dato una grossa mano e ci ha permesso di mantenere un dialogo aperto. Siamo andati in Turchia, abbiamo parlato con i nostri colleghi, insomma il dialogo è aperto, per il momento non si è ancora verificato nessun blocco, ma abbiamo tremato un po' per questa questione.
  Noi abbiamo anche delle alternative nazionali, in Sardegna abbiamo argille abbastanza buone però gli iter burocratici per aumentare le cave, per sbloccare le quantità che entrano ed escono dai porti, ecc., sono ancora in corso ma il tutto è abbastanza difficoltoso, e quindi non costituiscono risposte immediate alle necessità sentite mentre il blocco derivato dalla guerra in Ucraina è stato una cosa immediata.
  Quindi avremmo bisogno di lavorare un po' sull'iter autorizzativo per dare una risposta più celere alle esigenze che abbiamo e questo è un elemento che mette un po' in crisi il nostro made in Italy.
  La seconda criticità riguarda l'energia. Noi abbiamo avuto un anno, l'anno scorso, che è stato catastrofico dal punto di vista dei costi energetici portando molte aziende in serie difficoltà anche finanziaria. Il problema è che per il momento sono state prese – e devo dire grazie ai Governi che si sono succeduti – misure di carattere emergenziale come il credito di imposta, che indubbiamente ha dato un po' di respiro anche se tenue sollievo. Permettetemi di fare un confronto: noi pagavamo il gas metano intorno ai 20 centesimi al metro cubo per poi trovarci a pagarlo mediamente quasi 2 euro, quindi dieci volte tanto. È chiaro che il beneficio di imposta riduce il problema ma non lo risolve, né penso che potrà durare tutta la vita. In questi primi due mesi dell'anno il prezzo del gas metano è sceso, ma è sceso a 50 centesimi, che è ancora due volte e mezzo quello che era in origine mentre ci troviamo a competere su mercati, come quello statunitense, dove il gas metano (se non sbaglio) è ancora tra i 15 e 20 centesimi.
  Questa è una problematica per la quale noi abbiamo chiesto più volte, e ancora lottiamo per ottenere, una gas release fatta di una maggiore estrazione di gas italiano, dedicato alle industrie gasivore, ad un prezzo che sia vicino al costo di estrazione. In questo modo noi possiamo garantire la competitività sui mercati anche extra europei e mantenere tutto il nostro lavoro.
  Il terzo argomento che volevo suggerire a questa Commissione riguarda le cosiddette autorizzazioni ad emettere Gas ad Effetto Serra (ETS). Fa parte di quel pacchetto Fit for 55 per cento che l'Europa ha varato nella corretta ottica di voler ridurre gli impatti della CO2, ma le misure sono state applicate in un modo disastroso: non riesco a definirlo in altro modo. Perché alla fine, dopo aver pagato un dazio (io lo chiamo solo così) pesantissimo, ci troviamo ad emettere più CO2 di prima in Europa. Questo vuol dire che la legge è disegnata male, vuol dire che qualcosa non sta funzionando. In più, proprio in questi giorni, si sta rincarando la dose e rincarare la dose sempre dalla stessa traiettoria è un vero disastro. Noi abbiamo fatto i conti, le ho detto prima che noi abbiamo fatturato l'anno scorso sei miliardi e duecento milioni: con quello che si sta varando in Europa in questo momento, noi ci troveremo a pagare un miliardo all'anno in più per le quote di CO2 senza risolvere minimamente la riduzione della CO2.
  Vuol dire drenare tutte le possibilità finanziarie per gli investimenti e impedire che poi la vera transizione venga fatta. Noi siamo pronti a fare una transizione anche verso l'idrogeno o verso una maggiore elettrificazione, però abbiamo bisogno che queste energie siano rese disponibili. Senza poi considerare le conseguenze della forza finanziaria,Pag. 5 perché tutto questo gioco è stato messo in mano alla speculazione finanziaria: ieri il prezzo a tonnellata di CO2 è arrivato a 100 euro quando nel 2019 era pari a 19 euro. Ditemi voi se un settore può reggere degli scossoni di questo tipo e mantenere la sua competitività sul piano internazionale!

  PRESIDENTE. La invito a concludere, se possibile.

  GIOVANNI SAVORANI, presidente di Confindustria ceramica. Concludo immediatamente. Ciò che voglio segnalare è che il pannolino caldo della border tax, che riguarderebbe solo l'Europa, per difendere i produttori europei dall'importazione di prodotti per equalizzare le emissioni di CO2 è un discorso che non ha molto senso perché poi questo aggiustamento non funzionerà sui mercati dell'Oltremare e quindi quelli fuori dell'Europa dove noi esportiamo ancora circa il 30 per cento.
  Io vi ringrazio e spero che abbiate compreso quali sono le difficoltà che stiamo cercando di combattere in questo momento. Non vorremmo fare la fine degli articoli sanitari che sono stati tutti esportati in altri Paesi come produzione. Grazie.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio i rappresentanti di Confindustria ceramica intervenuti per l'esauriente esposizione. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Confindustria ceramica (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, del prof. Massimiliano Bruni, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione del prof. Massimiliano Bruni, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.
  Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Massimiliano Bruni, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  MASSIMILIANO BRUNI, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano. Buongiorno io purtroppo non vi sento.

  PRESIDENTE. Noi la sentiamo. Vuole intanto iniziare? Professor Bruni, se vuole iniziare la relazione può farlo che noi la sentiamo.

  MASSIMILIANO BRUNI, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano. Bene, allora prendo la parola, mi è stato detto che riuscite a sentire. Buongiorno, saluto tutti e ringrazio per l'onore di poter contribuire ai vostri lavori così preziosi.
  Seguendo l'impostazione che mi è stata indicata attraverso il programma, io ho scelto di focalizzarmi sulla mia area di principale di studio che è il tema dell'agroalimentare, del made in Italy nell'agroalimentare, come uno dei settori che, come è stato giustamente nella vostra relazione indicato, contribuisce alla percezione del made in Italy. E rispetto al documento che ho letto e a tutte le problematicità che vengono evidenziate, ho immaginato di interloquire con voi su tre principali temi che credo debbano essere oggetto della nostra riflessione.
  Il primo è evidentemente la mancanza di competenze di marketing nelle piccole, micro e qualche volta anche nelle medie aziende delle filiere agroalimentari del Made in Italy agroalimentare.Pag. 6
  Il secondo passaggio, sul quale mi piaceva dare un contributo, è la necessità di ovviare a quella dispersione di focus che c'è stato negli anni attraverso un eccessivo localismo delle iniziative di promozione e sviluppo del made in Italy agroalimentare.
  Il terzo passaggio è la mancanza di risorse, in parte anche finanziarie, a supporto della valorizzazione delle eccellenze del made in Italy agroalimentare sui mercati nazionali e soprattutto internazionali, perché credo che ad essi si debba principalmente guardare per una serie di motivi legati all'andamento economico e demografico del nostro Paese.
  Queste osservazioni evidentemente nascono dalle attività, dalle esperienze di ricerca e di formazione che vengono svolte all'interno della nostra università dove, come immagino saprete, data la specializzazione sulle attività di marketing e comunicazione abbiamo inteso avviare due master. Uno in Marketing e sostenibilità dell'agroalimentare e uno in Food and wine communication e abbiamo anche attivato un centro di ricerca denominato IULM Wine Institute che si avvale sostanzialmente anche di due centri di ricerca uno, lo IULM AI LAB, dedicato allo studio delle opportunità che l'intelligenza artificiale dà alle attività di marketing e comunicazione e il Laboratorio di Neuromarketing.
  In modo particolare c'è una premessa che mi sento di condividere e che è il motivo per il quale, come detto anche nel vostro documento programmatico di avvio di questa interlocuzione con tanti soggetti, il made in Italy dell'agroalimentare italiano è così importante nel vissuto internazionale è che porta con sé tre elementi. Uno è il Life-style e quindi l'espressione di quello stile di vita italiano così tanto apprezzato all'estero; l'agroalimentare porta con sé anche elementi di storicità e tradizione che rendono così affascinante la nostra produzione ma anche autenticità e riferimenti, connessioni con un territorio. E quindi la provocazione intellettuale che mi viene di fare con voi è che sostanzialmente quello che è mancato, che sento l'esigenza di condividere, è un approccio che passi da prodotto alimentare a prodotto addirittura culturale a forte valenza emozionale.
  Per questo mi sono permesso di immaginare alcune possibili linee di intervento, perché la sensazione che ciò che più oggi rileva per la promozione del made in Italy e anche per ovviare a una serie di minacce e di rischi che sono stati individuati nel documento, va verso la valorizzazione dell'eccellenza e della tradizione italiana. E quindi le promozioni sui mercati verso i consumatori, in modo particolare finali, che oggi hanno tutta una serie di istanze molto molto chiare.
  Quindi un primo percorso che abbiamo immaginato di condividere con la vostra Commissione, con i vostri lavori, è la costruzione di un sistema di classificazione dell'eccellenza italiana che riconosca e promuova le categorie e i soggetti più rappresentativi, che siano vera espressione della massima capacità di generare valore del made in Italy agroalimentare.
  Questo attinge evidentemente anche alla tradizione francese, che ha sempre scelto di individuare delle eccellenze che siano da traino a tutto il sistema delle filiere industriali. Noi in Italia credo che abbiamo un esempio molto interessante nella Fondazione Altagamma che potrebbe essere applicata a tanti settori, e quindi un sistema di classificazione dell'eccellenza potrebbe essere un modo perché venga individuato, a livello centrale, ciò che più esprime questa nostra grande capacità di valore e che può essere replicabile nei tanti ambiti e settori di cui il made in Italy si compone.
  Il secondo elemento, che credo sia da portare all'attenzione dei consumatori, è una sorta di sistema di certificazione di filiere originali della qualità sostenibile e questo per contrastare il tema dell'italian sounding, che costituisce una minaccia reale rispetto al quale la singola impresa poco può fare e forse anche i singoli operatori di categorie di prodotto, è un modo per promuovere quel tema della sostenibilità al quale internazionalmente c'è sempre più attenzione ed è anche un modo per operare un esercizio di controllo di questa qualità sostenibile che non sempre è oggettivamente tale.Pag. 7
  Un terzo elemento è il rafforzamento dell'azione in consorzi di tutela che però siano più volti verso la promozione dei prodotti oltre che al riconoscimento dei disciplinari, ma sotto un'opportuna, necessaria, regia centrale. E questo per ovviare il rischio che spesso osserviamo nelle fiere internazionali, nei contesti anche nazionali, cioè una dispersione delle energie e delle risorse per un localismo che finisce per essere più di bandiera che di sostanza e quindi non consente poi in qualche modo di avere l'attenzione di un mercato che è estremamente vario e differenziato.
  Da questo punto di vista una serie di interventi operativi che ci siamo sentiti di portare all'attenzione della vostra Commissione è che si potrebbe costruire appunto un portale delle eccellenze italiane, che sia coerente con quanto detto precedentemente, che possa promuovere efficacemente le tante eccellenze sotto un marchio nazionale che riconosca priorità anche di intervento e di valore. Così come credo che per le piccole e medie imprese, che costituiscono il made in Italy anche agroalimentare, ci possa essere l'utilità ad avere delle piattaforme digitali che siano alimentate dagli strumenti di intelligenza artificiale oggi disponibili e che possano essere messi a supporto della promozione sui mercati nazionali e internazionali ma che possano anche essere a supporto dell'attività di vendita di e-commerce così da aiutare le piccole e medie imprese a superare quei limiti che per dimensioni, per risorse e per competenze hanno, e di cui parlavo all'inizio.
  Un terzo passaggio, che potrebbe essere credo interessante, è quello di costituire un'organizzazione stabile, centrale, coordinata da soggetti preposti, per fornire analisi dei bisogni e degli interessi dei consumatori internazionali che sono quei market consumer insight al quale la piccola e media impresa difficilmente riesce ad accedere, ma che sono invece molto utili poi nella promozione e nella comunicazione, soprattutto digitale, che le piccole e medie imprese possono fare, e che possono fare più efficacemente del passato grazie alla riduzione dei costi di gestione e di investimento.
  Un altro tema che mi sono appuntato, da condividere con voi, è l'attivazione di gruppi di acquisto a controllo statale. Questo perché credo che possa essere da un lato strumento per la difesa del valore economico delle filiere del made in Italy e dall'altro anche per avere quelle dimensioni che la piccola e media impresa da sola non riesce a fare – immaginiamoci la micro impresa! – rispetto ai rapporti commerciali con la grande distribuzione da un lato e, perché no, anche con i grandi operatori dell'e-commerce, le grandi piattaforme: in questo modo questi gruppi d'acquisto potrebbero anche garantire la difesa dei prezzi e dei margini rispetto alle pressioni competitive che gli operatori, a valle della filiera, tendono ad avere sempre di più su tutti i mercati.
  Da ultimo mi permettevo di segnalare – come avevate giustamente rappresentato – la complessità dei temi logistici e distributivi. Si potrebbero immaginare delle infrastrutture e dei servizi per la logistica, su base regionale, che possano essere anche delle piattaforme di relazione con gli altri mercati.
  Queste mie parole, e credo di essere rimasto nei minuti che mi erano stati assegnati, sono oggi contenute nelle slide che volentieri, se ritenete, potrò farvi avere.
  Mi scuso se per lo scarso preavviso di questa audizione non sono riuscito a presentare un documento scritto, formalizzato. Se il presidente e gli onorevoli vorranno sarà mia cura farvi avere nei prossimi giorni.

  PRESIDENTE. Ecco perfetto. Volevo ringraziarla perché ci ha dato numerosi spunti. Sia la proposta per contrastare l'italian sounding, sia adesso questo gruppo di acquisto pubblico. Quindi volevo chiederle, se ne ha la possibilità di mandarci un contributo scritto.

  MASSIMILIANO BRUNI, associato in strategia aziendale presso l'Università IULM di Milano. Le slide sono già pronte e uno scritto è in bozza e glielo farò avere nei prossimi giorni.

  PRESIDENTE. Io volevo veramente ringraziarla perché sono delle proposte veramentePag. 8 utili e che potranno trovare sicuramente spazio nel documento finale della Commissione, che verrà anche utilizzato dal Ministro.
  Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il professore Massimiliano Bruni e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, del prof. Paolo Desinano, docente a contratto di destination management presso Università europea di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione del prof. Paolo Desinano, docente a contratto di destination management presso Università europea di Roma, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.
  Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola al prof. Paolo Desinano, docente a contratto di destination management presso Università europea di Roma, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  PAOLO DESINANO, docente a contratto di destination management presso l'Università europea di Roma. Buongiorno. Grazie a tutti dell'invito. Entro direttamente nel tema dato il tempo disponibile.
  Una premessa molto rapida. Quello che dico naturalmente non deriva da uno studio ad hoc ma da riflessioni e pratiche operative in un settore che frequento da circa quarant'anni. Quindi in relazione a una delle problematiche poste da questa iniziativa conoscitiva, io mi occuperò in questi minuti, di alcune problematiche che io intendo segnalare, ovviamente inerenti al turismo perché questa è la mia disciplina di riferimento, il mio ambito di riferimento. Però naturalmente, per quello che dicevo un attimo fa, non sono forse condivise da tutti come le più importanti, ma sono quelle che io segnalo per mia esperienza, come quelle tra le più critiche.
  Faccio una breve enumerazione. I punti sono cinque e, specificamente, i seguenti.
  Dal turismo di destinazione al turismo di motivazione, c'è un cambiamento di paradigma in corso.
  Il fatto che gli attrattori turistici spesso vengono scambiati con i prodotti turistici creando non poche confusioni.
  Terzo punto che siamo debolissimi come Italia sull'incoming, cioè ci facciamo vendere dagli altri.
  Quarto punto, i dati: ahimè nelle aziende mi può stare bene, ma nella pubblica amministrazione, ahimè, sono sigillati i dati di sistema ed è difficile accedervi; questo per prendere poi decisioni di business.
  Quinto punto il ruolo specifico che le pubbliche istituzioni dovrebbero avere in relazione alle problematiche turistiche.
  Mi avvio ad entrare nelle singole parti.
  Il primo punto, e forse questo non è molto avvertito, è che siamo entrati almeno da una decina d'anni in un cambiamento di paradigma per quello che riguarda il turismo. Prima c'era, come dire, una predominanza nell'immaginario della destinazione. Io scelgo di andare in un determinato luogo per vacanza, oppure sono obbligato a andarci per affari, diciamo così, e questo è un paradigma che è durato, se vogliamo, per quasi mezzo secolo. In realtà si assiste, da almeno una decina d'anni, alla emergenza di una sorta di protagonismo individuale anche del turista come nella vita ordinaria per cui quello che conta innanzitutto è la motivazione. Che vuol dire questo? Che le destinazioni dovrebbero fare in modo di architettare la propria offerta sulla base delle passioni, dei gusti, delle esigenze di vacanza dei turisti e non semplicemente vantando le proprie bellezze, eccetera. Quindi per esempio, per semplificare prima di passare al punto successivo, io non dovrei fare una promozione del tipo «vieni in Italia» punto. Non è quello il messaggio persuasivo, il messaggio persuasivo dovrebbe essere per esempio, come conseguenzaPag. 9 «vieni a sciare in Italia» «vieni a mangiare in Italia», cioè cercare di intercettare quelle che sono le passioni – ripeto: la parola passione forse è quella più adeguata –, del turista e che ne motivano effettivamente lo spostamento, perché poi il turismo questo è.
  La seconda questione che volevo segnalare è quella relativa alla confusione che spesso si fa tra attrattori turistici e prodotti turistici. Qual è il problema? È che noi, soprattutto in Italia, pensiamo che per il solo fatto di avere degli attrattori i flussi turistici sono garantiti e i turisti verranno comunque da noi. In realtà quello che compra il turista non è l'attrattore e basta, compra un prodotto turistico. Questo prodotto turistico è fatto di servizi, accanto agli attrattori, è fatto di infrastrutture. Quindi il servizio di trasporto che mi può garantire, che ne so, un vettore aereo per fare un esempio: poi in realtà l'aereo deve atterrare. Dal punto dell'atterraggio devo raggiungere il luogo dell'attrattore, se io non ho tutto questo insieme di elementi non ho il prodotto turistico, ho solo l'attrattore. Quindi magari qualcuno non ci sceglie perché trova da altre parti dei servizi turistici magari migliori dei nostri, perché magari ragiona, fa un trade-off, mette a confronto gli attrattori e mette a confronto i servizi e non ci accorgiamo neanche che veniamo superati da altri, perché noi riteniamo assolutamente assurdo che qualcuno non ci scelga per le nostre bellezze, eccetera, eccetera. Sono discorsi che io sento da quasi quarant'anni, in realtà per presidiare i mercati turistici noi dobbiamo progettare, costruire e vendere prodotti turistici. L'attrattore, altrimenti, lo impacchetta qualcun altro e se lo vende qualcun altro appunto e non noi.
  Proprio su questa linea, il terzo punto è quello dell'incoming, spesso veniamo venduti da altri. Io naturalmente in questa sede non faccio nomi, però se un italiano vuole comprare un soggiorno in Italia paradossalmente usa per lo più una piattaforma che italiana non è. Adesso non perché i business abbiano una nazionalità tra virgolette in senso stretto, come si poteva intendere qualche decennio fa. Però il problema è che poi una quota del ricavo – diciamo quanto: il 15 per cento circa? – se ne va da un'altra parte. Qui abbiamo un grosso problema di incoming e noi dovremmo cercare di indurre, per esempio, in primo luogo le agenzie di viaggi che soffrono ormai molto con l'outgoing tradizionale, come si era verificato per lungo tempo, a cambiare. E quindi dove potrebbero essere riconvertite a vantaggio dell'intero sistema Paese? Proprio in questa attività di scouting e di pre-packaging, pre-confezionamento del prodotto turistico, poi sì con maggiore potere contrattuale, da vendere a operatori stranieri.
  Quarto punto è quello, come accennavo, dei dati. Io questo lo dico da informatico, perché come formazione sono informatico, io vedo nelle imprese, ma non solo, una scarsa, una insufficiente cultura del dato. Non stiamo sufficientemente attenti a capire prima di tutto qual è il valore che si cela nei nostri dati, e questo si verifica non solo a livello di impresa ma anche nelle pubbliche amministrazioni. E soprattutto qua l'operatore turistico privato cerca dei dati, per esempio sulle destinazioni, quali? Facciamo un esempio, quelli Istat tradizionali che conosciamo arrivi e presenze. Dice «ma ci sono quei dati, sono pubblici» certo, però hanno un livello di aggregazione eccessivamente elevato. Io ho bisogno, come decisore, di avere i dati su base giornaliera, non sul dato aggregato mensile. Sul dato aggregato mensile ci faccio poco. Sappiamo tutti che nei weekend le cose vanno in un modo, nei giorni infrasettimanali vanno in un altro. Quindi l'appello è quello di fare in modo di aprire disperatamente questi dati, perché sono assolutamente vitali. Aggiungo i dati del meteo, dati meteo ex-post naturalmente, eccetera, eccetera.
  Ultimo punto, volevo sottolineare il ruolo delle pubbliche amministrazioni. Spesso anche sul lato del mercato privato, sembra che l'assessore di turno, il referente turistico di turno, il Ministro abbia la bacchetta magica e costruisca lui il turismo. In realtà la Pubblica amministrazione ha un ruolo, per esempio quello sulle infrastrutture di cui parlavo prima, ma il produttore Pag. 10di turismo è l'impresa turistica, non può essere la Pubblica amministrazione. Un Ministro, un assessore, possono anche avere l'idea chiave per innovare, però a loro si chiede altro e si chiede soprattutto la difesa del comparto turistico. Perché spesso, essendo una materia trasversale, la parte del leone la fanno i trasporti, il commercio e il turismo viene visto come residuale, diciamo così, ha un deficit di rappresentanza rispetto agli altri personaggi.
  Qui mi fermo e se ci sono domande naturalmente sono a disposizione. La memoria l'ho già inviata ieri sera.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il professore Paolo Desinano. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professore Paolo Desinano (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, del prof. Gian Luca Gregori, Rettore dell'Università politecnica delle Marche.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione il prof. Gian Luca Gregori, Rettore dell'Università politecnica delle Marche nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.
  Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola al prof. Gian Luca Gregori, Rettore dell'Università politecnica delle Marche ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  GIAN LUCA GREGORI, Rettore dell'Università politecnica delle Marche. Grazie. Buongiorno presidente. Provo allora ad affrontare questo tema.
  In premessa dico che da circa trent'anni mi occupo di made in Italy, con particolare riferimento alle imprese calzaturiere del sistema moda e poi agroalimentari, avendo scritto numerosi articoli e anche libri. In particolare uno si chiama proprio «Made in Italy: una lettura critica tra eredi virtuosi e dissipatori» ed è edito dal Mulino (2016).
  Ho letto il vostro allegato, quindi darò molte cose per scontate. È un allegato ben fatto sull'indagine conoscitiva sul made in Italy, e mi concentrerò in particolare su tre tematiche, per arrivare alla terza che è quella degli interventi possibili.
  Il primo punto l'ho intitolato «Considerazioni non tradizionali sul made in Italy» cercando di fare un ragionamento sul fatto che ci troviamo di fronte, come in ogni brand, a una promessa insita nel made in Italy che consiste nella qualità superiore dei nostri prodotti, sinonimo di garanzia, saper far bene. Il vero fatto è che questo non l'abbiamo creato noi, l'hanno creato le precedenti generazioni, e quello che sta accadendo è che questo brand è utilizzato oggi da tutti gratuitamente, a costo zero, una sorta di rendita di posizione. Ma sappiamo che le rendite di posizione nel lungo periodo non funzionano, soprattutto se non sono oggetto di investimenti o se ci sono, ancora peggio, dei dissipatori che vengono a dare valore negativo a questo brand così importante.
  La seconda considerazione riguarda la complessità del made in Italy e anche il tentativo difficile di semplificare, sia in termini di perimetro geografico ma anche di perimetro settoriale e soprattutto come vedremo negli interventi, di modelli di business.
  E faccio degli esempi per evidenziare questa complessità. Un primo dato è quello del «made in Chitaly», cioè le aziende tessili pratesi di imprenditori cinesi, che dal punto di vista geografico realizzerebbero prodotti made in Italy ma che ovviamente non hanno la cultura, la tradizione, né l'identità del nostro Paese.
  Ancora, i ristoranti che troviamo all'estero che utilizzano brand italiani, espongono prodotti di richiamo italiani, bandiera Pag. 11italiana, ma non hanno né personale, né cuochi, né sono di proprietà di italiani. E allora anche in questo caso, possono essere definiti ambasciatori del made in Italy? Ancora, imprese italiane che giocano al ribasso, cioè che realizzando decentramento produttivo internazionale, e questo purtroppo la normativa europea glielo permette almeno per alcune fasi, realizzano poi prodotti che vengono chiamati made in Italy. Il paradosso, e questo è un altro aspetto a mio avviso molto interessante su cui riflettere, dalle varie indagini che abbiamo realizzato, è che le imprese agroalimentari, soprattutto le più piccole che realizzano effettivamente made in Italy cento per cento, non utilizzano il marchio del made in Italy perché lo danno per scontato. Quindi c'è un paradosso rispetto a chi lo fa e chi non lo fa e chi utilizza il brand e chi non utilizza. Ancora, c'è il fenomeno delle imprese che realizzano il prodotto finito per altri e questi, come vedremo, necessitano di interventi differenti, perché il tema è quello di riportare la produzione in Italia.
  Ancora, numerosi gruppi stranieri che hanno acquistato brand italiani consolidati e continuano a essere percepiti come italiani. E ancora aziende italiane che utilizzano brand internazionali per i prodotti italiani. Quindi da questo punto di vista il quadro è effettivamente complesso.
  Allora andiamo al terzo punto e cioè quali sono gli interventi possibili e le prime due considerazioni, i gruppi di considerazioni, servono proprio per arrivare al tema degli interventi possibili. Innanzitutto va detto che non c'è un intervento unico in quanto riscontriamo situazioni differenti ed obiettivi differenti. Tenendo sempre presente quello che vogliamo fare, perché noi ragioniamo su tre grandi aree: da un lato il country of origin e quindi il Paese di origine, poi c'è il country of manufacturing quindi dove viene realizzata la produzione e poi c'è il country of brand, cioè dove nasce e dove si afferma il marchio. Allora incominciamo a vedere questi interventi. Primo: investimenti a livello di sistema sul made in Italy (e questo nel mondo) in collaborazione con le ambasciate, con le altre istituzioni e strutture governative per ricordare, rafforzare, perché altrimenti andiamo nell'idea di un brand che non costa nulla e che non ha investimenti a livello di sistema.
  Secondo tema: i contributi alle aziende che realizzano effettivamente made in Italy. Qui è necessario fare però delle distinzioni a livello settoriale innanzitutto, perché settori differenti hanno caratteristiche differenti, ma soprattutto a livello di modelli di business diversi, perché imprese che operano nello stesso settore possono avere modelli di business molto diversi fra loro. Faccio degli esempi e prendo in considerazione anche i risultati di indagini che ho fatto, che ho presentato al MICAM Milano (salone internazionale per le calzature) per le aziende calzaturiere. Qui possiamo distinguere imprese che hanno un marchio proprio e che quindi poi vendono con un marchio proprio e imprese che non hanno un marchio proprio e che realizzano prodotti, ad esempio, per le grandi griffe internazionali. Queste imprese sono state, queste ultime, poco protette. Io ho dimostrato, nel caso delle imprese calzaturiere, che se avessimo defiscalizzato le fasi del taglio e dell'orlatura queste non sarebbero state decentrate, soprattutto nei Paesi dell'Est o in Tunisia, con un risultato particolarmente problematico in termini di perdita di know how. È difficile oggi trovare tagliatori o orlatrici proprio perché queste attività sono state decentrate all'estero. Allora gli interventi, dicevo, sono differenti a seconda delle diverse tipologie di settori ma anche di modelli di business. Non possiamo considerare nella stessa maniera settori che hanno una prevalenza di lavoro manuale, di manodopera, rispetto a settori che hanno invece una prevalenza di investimenti in tecnologia. Questo è molto importante da sottolineare, molto spesso ci sono interventi uguali ed omogenei.
  Ancora, interventi che riguardano la tutela della normativa, la tutela in termini normativi delle imprese. Io mi sono occupato di questo, sia a livello nazionale che comunitario, la grande impressione numeri alla mano anche con gli Stati che Pag. 12non ci hanno votato è che qualcosa in più si poteva fare. Oggi abbiamo dei dispositivi legislativi e una normativa che regola l'utilizzo dei marchi che sono la somma di interventi, ma manca un processo sistematizzato, qui direi che bisognerebbe ripartire, avere il quadro della situazione e capire ad esempio con la cooperazione rafforzata a livello comunitario che cosa è possibile fare. Anche la Brexit ci può dare un aiuto da questo punto di vista, in relazione alla diminuzione degli Stati contrari.
  Altro tema riguarda gli interventi per il reshoring. Noi stiamo assistendo a un buon ritorno di fasi di produzione nei nostri mercati, questo è un fatto estremamente positivo, su questo bisognerebbe però capire cosa è possibile fare ulteriormente e intervenire anche, perché no, con degli aiuti.
  Tecnologia, interventi sulla tecnologia. Di questo mi sono occupato perché il tema della tracciabilità è ormai abbastanza chiaro e accettato per i prodotti agroalimentari, molto meno per i prodotti del sistema moda perché qualcuno non lo vuole. Ma questo potrebbe essere interessante per andare a tracciare le diverse fasi di lavorazione e anche i Paesi in cui vengono realizzati.
  Ancora, un altro tema su cui intervenire è un nuovo approccio alla sostenibilità del made in Italy, di questo si parla molto poco. E cioè cominciare ad affiancare il made in Italy al tema dell'economia circolare e in generale della sostenibilità.
  Due ultime considerazioni in termini di metodo. Uno che il made in Italy deve essere affrontato secondo un approccio circolare, vale a dire che c'è un problema sì dal punto di vista tecnico produttivo ma anche che c'è un problema poi di competenze – e quindi le competenze richiamano anche ad altri Ministeri e ad altri interventi che possono essere realizzati –, ma anche che c'è poi il tema dell'internazionalizzazione digitale – il che ci richiama di nuovo ad altre competenze – eccetera.
  L'altra considerazione in termini di metodo è quella di andare a misurare, nella maniera più scientifica possibile, gli effetti che i vari interventi vengono a produrre. Nel caso della defiscalizzazione degli oneri contributivi si andava a dimostrare oggettivamente come quelle fasi di lavorazione che erano state decentrate nei mercati internazionali avrebbero potuto, grazie anche agli altri costi della non qualità, del controllo, di logistica, essere realizzati efficacemente ed efficientemente nel nostro Paese senza disperdere know how. Quindi il tema della misurazione è un tema particolarmente importante.
  Ho concluso.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il professore Gian Luca Gregori e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di InnovUp.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di InnovUp, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.
  Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Giorgio Ciron, direttore di InnovUp, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  GIORGIO CIRON, direttore di InnovUp. Grazie mille presidente, grazie per l'opportunità di essere qui. InnovUp è la principale associazione che rappresenta l'ecosistema italiano dell'innovazione. Abbiamo circa 450 soci che sono per lo più start up, scale up centri di innovazione, quindi incubatori acceleratori, corporate e soggetti che a vario titolo supportano l'ecosistema dell'innovazione.Pag. 13
  L'innovazione, come è noto, nei Paesi sviluppati è uno dei driver imprescindibili per la crescita di queste realtà economiche perché favorisce nuovi investimenti, favorisce la competizione sui mercati internazionali e la creazione di posti di lavoro spesso qualificati. Nel 2022 l'ecosistema italiano dell'innovazione ha raggiunto dei risultati importanti perché per la prima volta è stato superato il record dei 2 miliardi di euro di investimenti in start up high tech, il doppio rispetto all'anno precedente e un valore quasi triplicato rispetto al 2019, con circa 700 milioni di euro investiti.
  Peraltro, degli oltre 2 miliardi, il 50 per cento dei finanziamenti arrivano da fondi internazionali, quindi questo rafforza sostanzialmente l'importanza dell'ecosistema anche a livello di attrazione di investimenti esteri. Un ecosistema che oggi conta 17 mila start up e PMI innovative con un fatturato complessivo di quasi 10 miliardi di euro. Questa crescita degli ultimi anni è stata possibile soprattutto grazie all'ingresso di CDP Venture Capital quale attore importante nell'ecosistema, che ha finanziato nuovi fondi di investimento e nuove realtà innovative e all'apertura da parte delle aziende italiane a pratiche di corporate venture capital open innovation e anche ai diversi stanziamenti previsti dal PNRR.
  Tuttavia nonostante questi risultati siano assolutamente importanti e positivi, anche in controtendenza con quanto successo sui mercati dei capitali a livello internazionale ed europeo che hanno visto una riduzione del 9 per cento di investimenti in start up innovative, bisogna purtroppo segnalare come l'Italia sia ancora molto indietro rispetto ai nostri principali competitor europei e internazionali. In particolar modo rispetto alla Francia, a titolo di esempio, investiamo sette volte di meno considerato che la Francia nell'ultimo anno ha investito 12 miliardi in start up innovative.
  Ma questo gap c'è anche con la Spagna, con la Germania, insomma con i nostri principali competitor. Considerate che l'Italia è al quarto posto tra le economie europee, ma è solo al dodicesimo posto in termini di investimenti in venture capital. Un divario che deve essere per forza colmato perché dagli investimenti nell'innovazione e dalle start up arrivano i posti di lavoro del futuro e quindi dobbiamo investire nel futuro dell'economia del Paese, nel futuro dei posti di lavoro per i giovani.
  In quest'ambito come si colloca il made in Italy? Il made in Italy è sicuramente un tratto distintivo anche del nostro saper fare innovazione. Quindi non è più solamente il bello e ben fatto ma implica anche prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico che distinguono le nostre start up da quelle degli altri Paesi. Noi auspichiamo che si possa ripartire anche da questo concetto per ritrovare quell'alleanza pubblico-privata che nel 2012 ha dato avvio alla normativa delle start up innovative, l'Italian Startup Act, e che oggi dopo dieci anni merita una revisione e un aggiornamento poiché si tratta di una normativa ormai superata.
  Da dove partire per fare questo? Sicuramente da un'apertura internazionale, perché l'interazione con i mercati esteri resta una scelta quasi obbligata per le imprese italiane innovative e non, dettata da un mondo sempre più interconnesso e globalizzato dove le aziende cercano di raggiungere essenzialmente cinque obiettivi.
  Aumentare i loro ricavi, perché il mercato domestico italiano, come sappiamo, è troppo piccolo soprattutto per start up che puntano a crescite esponenziali. Ridurre i costi, soprattutto i costi di acquisizione del cliente che in Italia sono particolarmente elevati per le start up a causa soprattutto del digital divide che contraddistingue ancora culturalmente molte aree del nostro Paese. La possibilità di accedere alle risorse estere, acquisire specifiche competenze e beneficiare di legislazioni più permissive. Peraltro la legge n. 394 del 1981, sulla finanza agevolata, pone le start up e le PMI innovative come efficaci veicoli per affermare il made in Italy oltre i confini nazionali con focus ben specifici relativi al marketing e alle pubbliche relazioni.Pag. 14
  Insomma le start up e le PMI innovative, il nostro saper fare italiano applicato alla tecnologia e all'innovazione possono essere degli strumenti di marketing internazionale molto efficaci.
  Per questo motivo crediamo che sia necessario supportare le start up, gli incubatori, gli acceleratori e in generale gli attori della filiera dell'innovazione nei loro percorsi di competitività, internazionalizzazione e apertura al mercato estero.
  Quali sono però i tre principali vulnus relativi alle imprese che operano in maniera innovativa nel mondo del made in Italy? Sicuramente un gap di competenze che abbiamo ancora per poter attuare una transizione digitale, ecologica della filiera innovazione di successo ed efficace.
  I rischi relativi alla tutela di marchi e brevetti, al fenomeno dell'italian sounding che si ripropongono anche e soprattutto per le start up e le PMI innovative e le difficoltà per le start up e le PMI innovative ad avere una un'apertura ai mercati internazionali.
  Quindi qui abbiamo tre proposte che concludono il mio intervento. La prima per superare, come abbiamo detto e come abbiamo visto questo gap di competenze, è relativa ai talenti. L'Italia è un Paese ricco di talenti, soprattutto ingegneri informatici e programmatori, spesso con retribuzioni minori rispetto a quelle che si trovano sul mercato internazionale, e se questo può essere un vantaggio competitivo per le nostre imprese dall'altra parte ci fa perdere questi talenti che vanno all'estero cercando delle retribuzioni migliori, più in linea con le medie di mercato internazionale.
  Per questo è fondamentale rafforzare la formazione di questi profili, quindi programmatori, industria 4.0, discipline STEM, eccetera, eccetera, e soprattutto introdurre degli incentivi dedicati alle start up innovative, realtà che ancora più delle grosse aziende faticano a trovare e garantire la retention (fidelizzazione N.d.R.) dei talenti. Quindi creare degli incentivi per questo tipo di imprese all'assunzione a tempo indeterminato, o comunque a modalità efficaci dell'utilizzo di stock options eccetera, eccetera, è fondamentale per garantire che questi talenti restino in Italia e supportino la crescita del settore.
  Il secondo punto, che vi ricordo essere la tutela dei marchi e dei brevetti, è molto importante per le start up innovative e per le PMI innovative perché, soprattutto nelle fasi iniziali della vita di un'impresa, molto spesso i brevetti o la tutela dei marchi costituiscono l'asset principale dell'azienda. Da questo punto di vista proponiamo di rifinanziare il «Voucher 3i», investire in innovazione, che è stato un incentivo molto apprezzato dal sistema dell'innovazione e che ha permesso di finanziare oltre 850 start up, con più di 2.300 voucher, e ridurre il gap rispetto ai diversi Paesi europei stimolando l'innovazione di qualità.
  Il terzo punto invece, come ricordavo prima, è il supporto all'internazionalizzazione delle nostre start up che, come dicevo, possono essere un brand commerciale per il marketing del made in Italy all'estero. E come possiamo fare a supportare queste realtà? In due modi essenzialmente: da una parte operando un voucher per i centri di innovazione e per i parchi scientifici e tecnologici, per la formalizzazione, l'istituzionalizzazione di percorsi di accelerazione che iniziano in Italia e si concludono all'estero, quindi aiutando le start up a internazionalizzarsi (e questo peraltro è stato esposto anche durante l'ultima audizione avuta con il Ministero degli affari esteri sul tema) e, dall'altra, ampliare la misura dei programmi di inserimento sui mercati extra-Ue, che consiste nel finanziamento delle spese sostenute per la realizzazione di uffici, negozi, showroom, personale e soprattutto attività di e-commerce e di marketing internazionale, e questo voucher invece va messo a disposizione delle start up delle PMI innovative. Può essere una strada, però in generale l'obiettivo è questo.
  Ricordo, da ultimo, che tutto questo deve essere fatto, e mi piace sottolinearlo di nuovo, per supportare soprattutto i posti di lavoro del futuro che spesso sono qualificati e sono costruiti da queste realtà innovative.

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  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il rappresentante di InnovUp intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di InnovUp (vedi allegato 3) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.30.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

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