XIX Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 7 febbraio 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MADE IN ITALY: VALORIZZAZIONE E SVILUPPO DELL'IMPRESA ITALIANA NEI SUOI DIVERSI AMBITI PRODUTTIVI

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Coldiretti.
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 
Scordamaglia Luigi , capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia ... 3 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 5 
Scordamaglia Luigi , capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia ... 6 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 6 
Cavo Ilaria (NM(N-C-U-I)-M)  ... 6 
Scordamaglia Luigi , capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia ... 6 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 7 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Legacoop:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 7 
Ottolenghi Francesca , responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop ... 7 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 7 
Ottolenghi Francesca , responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop ... 7 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 8 
Ottolenghi Francesca , responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop ... 8 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 8 
Ottolenghi Francesca , responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop ... 8 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 10 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Confcoperative:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 10 
Daconto Giuseppe , responsabile Area analisi economica e sviluppo Centro Studi Fondosviluppo/Confcooperative ... 10 
Pierangelini Gianluca , responsabile Settore lattiero caseario Confcooperative FedAgriPesca ... 12 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 13 
Pierangelini Gianluca , responsabile Settore lattiero caseario Confcooperative FedAgriPesca ... 14 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 14 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi):
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 14 
Napoli Antonio , direttore generale della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi) ... 15 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 17 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentati di Unione italiana vini:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 17 
Tinelli Nicola , responsabile Ufficio politico di Unione italiana vini ... 17 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 19 
Tinelli Nicola , responsabile Ufficio politico di Unione italiana vini ... 19 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 20 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Federvini:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 20 
Pallini Micaela , presidente di Federvini ... 20 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 22 
Pallini Micaela , presidente di Federvini ... 22 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 23 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio):
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 23 
Panizza Roberto , presidente dell'Associazione Palatifini ... 23 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 25 
Panizza Roberto , presidente dell'Associazione Palatifini ... 25 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 25 
Cavo Ilaria (NM(N-C-U-I)-M)  ... 25 
Panizza Roberto , presidente dell'Associazione Palatifini ... 25 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 26 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 26 
Bernini Lucio , direttore responsabile del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP ... 26 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 27 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Unione italiana food:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 27 
Ragaglini Luca , vice direttore, di Unione italiana food ... 27 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 27 
Ragaglini Luca , vice direttore di Unione italiana food ... 27 
Laurenza Luigi Cristiano , responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food ... 28 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 30 
Laurenza Luigi Cristiano , responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food ... 30 
Ragaglini Luca , vice direttore di Unione italiana food ... 30 
Laurenza Luigi Cristiano , responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food ... 30 
Ragaglini Luca , vice direttore, di Unione italiana food ... 31 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 31 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione liutaria italiana (ALI):
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 31 
Frignani Lorenzo , presidente dell'Associazione liutaria italiana ... 31 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 34 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti di Coldiretti ... 35 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti di Legacoop ... 37 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti di Confcoperative ... 40 

Allegato 4: Documentazione depositata dai rappresentanti della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi) ... 55 

Allegato 5: Documentazione depositata dai rappresentanti di Unione italiana vini ... 58 

Allegato 6: Documentazione depositata dai rappresentanti di Federvini ... 61 

Allegato 7: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio) ... 65 

Allegato 8: Documentazione depositata dai rappresentanti del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP ... 81 

Allegato 9: Documentazione depositata dai rappresentanti di Unione italiana food ... 83 

Allegato 10: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione liutaria italiana (ALI) ... 106

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI

  La seduta comincia alle 10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione televisiva diretta sulla web tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Coldiretti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Coldiretti, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Luigi Scordamaglia, capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, nonché Consigliere delegato Filiera Italia, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  LUIGI SCORDAMAGLIA, capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia. Buongiorno, grazie per l'invito. Cercherò di toccare sinteticamente alcuni punti pur essendo molto ampio l'oggetto.
  Se è vero che lo straordinario successo, la creatività delle imprese, soprattutto PMI italiane, ha creato questo straordinario brand di unicità, distintività, di stile di vita imitato dappertutto in generale, per il settore agroalimentare che noi rappresentiamo è ancora più vero.
  Non lo diciamo noi, lo dicono i numeri. Solo nel 2022, in uno dei più difficili anni di commercio internazionale, abbiamo superato il record assoluto da sempre di esportazioni agroalimentari di 60 miliardi, e non è eccessivo pensare di raddoppiare questa cifra in cinque o sei anni visto che il tasso di crescita costante degli ultimi anni è stato dal 18 al 20 per cento, verso tutti i Paesi e per tutti i settori dell'agroalimentare.
  Ci chiedete se è strategico il settore nell'indagine. Beh, che lo è non lo dicono solo i numeri. I numeri sono un quarto del PIL, 580 miliardi è il valore dell'agroalimentare dalla produzione agricola fino alla distribuzione, 4 milioni di persone con un sistema di PMI. Sono infatti 740 mila le imprese agricole e oltre 70 mila quelle di trasformazione. Dopo le crisi però è diventato centrale anche il valore geopolitico del cibo, se pensiamo che su 120 giorni di stock globale al mondo che esiste di grano oltre 100 sono già stoccati in Cina. Quindi questo ha riportato il cibo come valore geopolitico rimettendo al centro anche la produzione, l'autoapprovvigionamento del Paese da noi da sempre sostenuta.
  Oggi non esportiamo solo prodotti, esportiamo un modello. Un modello agroalimentare che fa valore aggiunto, 65 miliardi è il valore aggiunto dell'agroalimentare italiano record in Europa, con il livello più basso dei nostri concorrenti di emissioni di CO2. Pag. 4Quindi non siamo sostenibili nelle idee ma siano sostenibili con numeri che poi vi trasmetteremo.
  Ostacoli alla competitività. In passato è stato molto difficile mettere in fila tutti gli attori che ci portano a vincere sui mercati globali dell'agroalimentare, oggi siamo sulla buona strada. Abbiamo un sistema di ambasciate straordinariamente efficace al nostro fianco, abbiamo istituzioni finanziarie che vanno dalla CDP cooperazione alla Farnesina stessa, a SACE, che ci aiuta. Dobbiamo imparare a fare, e stiamo sperimentando, delle missioni in cui in passato non riuscivamo ad andare come sistema: oggi lo facciamo. Cito ad esempio solo uno dei prossimi casi che verrà realizzato in Egitto, dove le principali imprese private del settore agroalimentare, e della tecnologia connessa a questa filiera, andranno insieme, appunto, ai referenti istituzionali. È questo che vogliamo fare.
  Ovviamente per crescere abbiamo bisogno di rafforzarci come competitività complessiva. Lo si fa in due modi: garantendo un margine a tutte le fasi della filiera, siamo i primi sostenitori dei contratti di filiera; la voce contratti di filiera del PNRR prevedeva 1,2 miliardi di investimenti ammessi, soltanto come Coldiretti Filiera Italia ne abbiamo presentati da soli oltre 2 miliardi, quindi il rafforzamento della filiera è oggi un dato di fatto.
  Questo strumento dei contratti di filiera assicura da un lato agli agricoltori un long-term commitment che consente di sapere come, una volta diventati più efficaci e avendo investito, piazzare sul mercato i propri prodotti ad un prezzo garantito, perché senza marginalità gli agricoltori chiudono, ma consente anche alle piccole, medie e anche grandi imprese dell'alimentare italiano di contare su una filiera consolidata. Oggi vinci a livello globale se consolidi la filiera e il prodotto, e non se saltelli da un Paese all'altro a comprare della materia prima agricola, soprattutto in uno scenario mutato, in cui 73 Paesi nel 2002 hanno messo divieti all'export, non all'import, trasformando la disponibilità di cibo in un fattore di controllo geopolitico.
  Ovviamente abbiamo un gap infrastrutturale importante da colmare – da qui, anche in questo caso, l'importanza del PNRR: paghiamo ogni anno circa 13 miliardi di costo di una bolletta di logistica incompleta. Non competiamo con la Spagna o con nessuno se continuiamo a fare andare l'85 per cento dei nostri prodotti su gomma, e anche in questo senso abbiamo proposto una serie di interventi nell'ambito delle iniziative del PNRR insieme a diversi porti per facilitare il rinnovamento logistico.
  A livello complessivo abbiamo bisogno di superare, di sconfiggere quella che è la piaga dell'italian sounding, della contraffazione. Lo facciamo con delle proposte ben precise, che sono già parzialmente in fase di implementazione: uno, è raccontare al consumatore internazionale quello che siamo, al di là e al di dietro di una semplice bandiera imitabile. Stiamo descrivendo i nostri territori, un tutt'uno con i nostri brand. Ormai andare alle fiere internazionali con degli stand in cui metti solo i prodotti serve poco, abbiamo già sperimentato al Fancy Food come andare come Filiera Coldiretti con le grandi aziende ma con i propri agricoltori, allevatori ed espressioni di territori, è un nuovo modo che parlando attraverso la stampa e ai consumatori internazionali consente di far capire la vera distintività.
  Ovviamente l'italian sounding si vince anche con accordi bilaterali ben fatti. Gli accordi bilaterali internazionali ben fatti devono basarsi su due principi: la tutela delle denominazioni, faccio un esempio, oggi stiamo negoziando come Unione europea con l'Australia, non possiamo accettare che siano tutelati solo i nomi specifici, per intenderci Parmigiano Reggiano, e vengano poi lasciati nomi generici come Parmesan al libero mercato. In questo senso abbiamo indicazioni ben precise, abbiamo proposto la clausola del grandfather, cioè in cui solo prodotti già registrati hanno un determinato periodo di tempo per poi scomparire e tutelare anche il nome generico.
  Negli accordi internazionali e nella tutela della competitività serve reciprocità. È un continuo di nuovi fitofarmaci, sostanze, Pag. 5contaminanti che vengono autorizzati in prodotti che vengono importati in Europa, l'ultimo è il triciclazolo nel riso. Non possiamo più accettare che si importino prodotti non coerenti con le norme comunitarie, anche perché la grande disuguaglianza economica del nostro Paese farebbe sì che i prodotti con standard inferiori venissero indirizzati a famiglie meno abbienti, e questo non è ovviamente possibile.
  Altro problema importante è anche quello delle barriere non tariffarie: non esportiamo per diversi miliardi di euro perché non siamo riusciti a rimuovere barriere sanitarie e fitosanitarie che purtroppo in Europa non sono armonizzate a livello centrale, ma ogni Stato negozia unilateralmente. Con la Francia che magari esporta in Cina, perché gli ha fatto costruire dei pezzi di Airbus, la carne bovina da decenni prima di noi.
  Quindi anche qua serve un rafforzamento delle nostre strutture, comprese quelle delle pubbliche amministrazioni e delle ambasciate. Cito un dato: nella rappresentanza permanente di Bruxelles ci sono 60 dipendenti, la Germania ne ha quasi il triplo; e soltanto per citare una grande multinazionale dell'alimentare, che certo non fa gli interessi della distintività italiana, questa ha 180 dipendenti presso le istituzioni parlamentari europee. Quindi anche qua occorre rafforzare.
  Un no deciso dobbiamo dirlo, senza se e senza ma, a questo tentativo di omologare l'alimentazione complessiva, perché se si lasciano passare i cibi sintetici ultratrasformati il nostro export si riduce a zero.
  L'energia è un altro di quei fattori determinanti – e mi avvio a chiudere nei 10 minuti: abbiamo delle enormi potenzialità in materia di biogas, di biometano, di fotovoltaico senza consumo di suolo, di feedstock per la produzione di biofuel, secondo modelli che però devono, e noi l'abbiamo in Italia l'expertise, non competere con la produzione di cibo, di food o di feed.
  Stiamo avviando un importante processo di modernizzazione, digitalizzazione, precision farming, che è contenuto all'interno del PNRR in maniera importante. Abbiamo però chiesto, perché la grande disponibilità di investire delle nostre filiere ha superato le risorse disponibili, di portare da 5 a 10 miliardi i finanziamenti degli investimenti ammessi direttamente o indirettamente al settore agroalimentare possibilmente prendendo anche dai Fondi di coesione.
  Chiedete anche un pronunciamento su quelle che sono le potenzialità del turismo. Il turismo enogastronomico è fondamentale: 12 miliardi l'indotto, 25 mila le aziende agricole, 14 milioni di presenze all'anno, quindi anche qui favorire gli agriturismi al massimo.
  Cosa non bisogna fare? Non bisogna continuare con un'Europa che vuole rispondere all'importante sfida competitiva che riguarda anche l'agricoltura degli Stati Uniti, che mettono nelle proprie imprese 370 miliardi per transizione verde, noi rispondiamo invece con aiuti di Stato penalizzanti per chi ha meno spazio fiscale. Dei 480 miliardi dati in aiuti di Stato ricordiamo che il 53 per cento è andato alle imprese tedesche, il 24 alle francesi e solo il 4 alle italiane.
  Non vogliamo un marchio made in Italy: non si può semplificare con uno stellone, una bandierina qualcosa che contraddistingue la distintività, che va spiegata perché annullerebbe anche il valore aggiunto di DOP, IGP, DOC, i nostri vini. Noi vogliamo diete omologanti e se possibile costituiamo un tavolo interministeriale che affronti con le varie amministrazioni coinvolte, perché sono diverse, la competitività della nostra filiera.
  Sono stato nei dieci minuti e sono a disposizione per rispondere alle domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo ai colleghi se vi siano delle domande. Nessuna domanda. Allora gliene faccio una io.
  Lei prima ha parlato dei collegamenti con le ambasciate. Ecco, io volevo capire come si esplica questo collegamento con le ambasciate, se può essere migliorato visto che abbiamo ambasciate un po' in tutto il mondo e se c'è un analogo collegamento con i consolati; inoltre, se anche su questi temi relativi alla politica estera – ma anche, in questo caso, alla valorizzazione del made in Italy all'estero – vi sono spazi di Pag. 6miglioramento e quali siano eventualmente le proposte. Grazie.

  LUIGI SCORDAMAGLIA, capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia. Diciamo che la nostra rete di ambasciate si è trasformata nell'ultimo decennio, una volta parlare di business e di sviluppo di business con degli ambasciatori era assolutamente inutile, invidiavamo i nostri concorrenti esteri perché gli esperti agricoli, gli addetti agricoli erano i principali concorrenti delle nostre imprese per quanto si impegnavano nell'apertura di nuovi mercati.
  Negli ultimi anni è cambiato, la diplomazia economica del sistema delle ambasciate italiane sta sempre più diventando realtà. Gli ambasciatori e le ambasciate sono portavoce anche del nostro stile di vita, di prodotti, di modelli che esportiamo fuori.
  Vanno rafforzate. Vanno rafforzate nel senso che se la rappresentanza permanente di Bruxelles del nostro Paese ha la metà o un terzo dei referenti tedeschi o francesi, è chiaro che il presidio dei singoli dossier non può avvenire con la stessa cura perché servono risorse.
  Così come bisogna rafforzare presso le ambasciate gli experts tecnici. Si è cominciato, abbiamo chiesto e ottenuto come agricoltura di avere esperti agricoli nelle ambasciate principali, bisogna metterle anche nelle ambasciate non solo dei quattro Paesi e mercati principali al mondo, perché gli esperti tecnici in questioni sanitarie e fitosanitarie aprono i mercati.
  Sempre sulla diplomazia economica, importante un cambio di passo, solo avviato, da parte della nostra cooperazione. Noi abbiamo dei legami sempre più forti con Paesi che sono oggetto di cooperazione: Nordafrica, Africa subsahariana, Balcani. Verso questi Paesi in passato la nostra cooperazione si è limitata ad interagire con ONG, pensando che la cooperazione fosse solo assistenzialismo. Non è così, oggi questi Paesi vogliono joint venture, vogliono approcci congiunti con le nostre imprese; e anche qua si è avviato, da parte della Farnesina, un processo nuovo di trasformazione (che la Francia e gli altri fanno da tempo arrivando con i soldi e con le proprie imprese in quei Paesi), e quindi speriamo venga accelerato anche in questo caso il processo di trasformazione sostanziale.

  PRESIDENTE. Bene. Se non ci sono altre domande, io la ringrazio. Chiede di intervenire l'Onorevole Cavo collegata da remoto. Prego.

  ILARIA CAVO. Grazie. Chiedevo se poteva esplicitare un concetto che ha detto un po' velocemente in chiusura. Cioè del perché voi non volete tanto la promozione di un marchio made in Italy. L'ha detto velocemente terminando l'intervento e mi sembrava un concetto importante da spiegare e da argomentare. Grazie.

  LUIGI SCORDAMAGLIA, capo Area mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti, Consigliere delegato Filiera Italia. Devo dire che in passato qualche Governo fa è stato proposto di mettere uno stellone a identificare in generale il made in Italy, trasversalmente a tutti i settori.
  I settori del made in Italy non sono uguali, andiamo da settori in cui ci limitiamo a trasformare, ad assemblare dei prodotti importati – e quindi in quel caso lo stellone veniva proposto soltanto per assemblaggi fatti in Italia senza considerare la provenienza dei singoli componenti – a settori in cui lo stellone veniva dato solo a chi fa trasformazione, l'ultima trasformazione doganale.
  Nel settore agroalimentare noi riteniamo che semplificazioni di questo tipo danneggiano, non consentono di evidenziare la vera distintività, per esempio laddove il prodotto è fatto di 100 per cento di materia prima italiana. Quindi il settore agroalimentare ha oggi sviluppato (come nei vini) dei marchi identificativi di eccellenza (pensiamo a DOCG, DOP, eccetera) che verrebbero sottovalutati, perderebbero gli investimenti fatti, essendo assimilati ad una generica prevalenza «del Paese Italia».Pag. 7
  Quindi ogni sforzo per rendere veri i dati e trasparenti in etichetta, quindi un sistema tipo blockchain, che garantisca la veridicità dei dati ben venga. Un sistema semplificativo che metta chi ha fatto l'ultimo metro in Italia rispetto a chi invece ha cominciato dalla coltivazione, non riteniamo che sia un valore aggiunto per il nostro Paese.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre richieste di intervento, ringrazio il rappresentante di Coldiretti intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di Coldiretti (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Legacoop.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Legacoop, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Francesca Ottolenghi, responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  FRANCESCA OTTOLENGHI, responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop. Intanto ringrazio per l'invito a questa audizione che ci permette di confrontarci su questa tematica del made in Italy, che è fondamentale per le nostre 10 mila imprese cooperative rappresentate da Legacoop. Sottolineo che sono attive in tutti i settori economici, hanno tutte le dimensioni, ma particolarmente sono piccole e medie imprese e hanno ovviamente anche posizioni geografiche diverse.

  PRESIDENTE. Scusi dottoressa, non si sente bene la sua voce.

  FRANCESCA OTTOLENGHI, responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop. Provo ad avvicinarmi al microfono. Grazie. Intanto mi preme ringraziare per gli sforzi che in questi anni sono stati fatti dai Governi che si sono succeduti, per promuovere il made in Italy, particolarmente nell'ottica dell'export.
  Accogliamo per esempio con piacere la recente campagna del BeIT (Italy is simply extraordinary: beIT), che è stata lanciata dal MAECI e dall'ICE per la promozione del made in Italy a sostegno delle esportazioni italiane e dell'internazionalizzazione del sistema economico nazionale.
  Questa campagna, di cui saremmo anche interessati a conoscere più nel dettaglio i risultati, può rivelarsi particolarmente utile soprattutto in quei mercati ad alto potenziale per le nostre esportazioni, dove sono sempre più frequenti i casi di italian sounding. Su questo particolarmente sono colpite le nostre imprese, da questa competizione in vari Paesi del mondo che stanno in qualche modo copiando dei marchi o dei prodotti che sono legati al made in Italy.
  È importante infatti calibrare queste campagne di comunicazione verso quei mercati che generano già maggiori valori dell'export. Sicuramente il mercato europeo e il mercato nordamericano, ma anche quei mercati che stanno emergendo come gli Emirati Arabi Uniti, il Giappone, la Repubblica di Corea o l'Arabia Saudita.
  Su questi mercati queste campagne di comunicazione non possono che essere un elemento complementare a una pluralità di azioni che vanno dalle promozioni dirette verso i Paesi esterni, come la grande distribuzione organizzata, alle azioni continue di assistenza alle imprese offerte dal sistema Italia, particolarmente le ambasciate e le sedi dell'ICE. Su questo vorrei sottolineare un ruolo strategico delle ambasciate, dove Pag. 8si potrebbe anche potenziare la collaborazione con il sistema di imprese in Italia, perché sono sedi sempre di potenziale valorizzazione, di scambio, ma anche con un approccio win win sul made in Italy.
  Anche gli accordi di libero scambio siglati dall'Unione europea con i Paesi terzi, che sicuramente consentono una maggiore tutela delle indicazioni geografiche nei mercati dove storicamente si registra una forte tendenza all'italian sounding, un'azione che non può essere non accompagnata anche da un costante monitoraggio delle barriere non tariffarie incontrate dalle imprese.

  PRESIDENTE. Scusi dottoressa, l'audio si sente molto male. Vedo dal monitor che ha due profili aperti: provi chiuderne uno perché così onestamente è molto difficoltoso comprenderla ed è un dispiacere anche perché immagino l'impegno che ha messo per prepararsi a questa importante audizione.

  FRANCESCA OTTOLENGHI, responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop. Sono riuscita a chiudere un profilo. Adesso mi sentite meglio?

  PRESIDENTE. Direi di sì. Continui pure.

  FRANCESCA OTTOLENGHI, responsabile Ufficio relazioni internazionali e politiche europee di Legacoop. Chiedo scusa. Allora riprendo un attimo da dove ci eravamo lasciati. Stavamo parlando quindi delle ambasciate, del ruolo appunto strategico delle ambasciate, e come dicevo con un approccio sicuramente win win nella valorizzazione anche appunto di tutte quelle che possono essere le imprese che possono quindi organizzare e valorizzare tutto il sistema delle ambasciate in giro per il mondo, con delle complementarietà di azioni una delle quali è quella di un costante monitoraggio delle barriere non tariffarie incontrate dalle imprese, riportate in ambito anche europeo nel Market Access Advisory Committee.
  Tra le varie iniziative di promozione sicuramente è fondamentale per le nostre imprese il sostegno alla partecipazione a fiere di settore e l'organizzazione anche di B2B rappresentano ancora un asse principale del lavoro da affiancare al crescente sostegno e supporto alla presenza di imprese nel mercato digitale, con piattaforme proprie oppure con possibilità di accesso ai principali market place, in cui promuovere anche soluzioni che garantiscano al consumatore l'autenticità del made in Italy. Questo lo sta facendo anche l'Agenzia ICE nell'Italian Pavilion.
  Rispetto al supporto della presenza delle imprese sulle piattaforme digitali internazionali, richiamiamo tuttavia un'attenzione sulla necessità di garantire condizioni eque di accesso per le imprese, garantendo anche una trasparenza nella proprietà dei dati. In questo senso può essere positivo anche il supporto a piattaforme proprietarie che aggreghino l'offerta di prodotti made in Italy, restando anche nel controllo delle imprese che vi aderiscono.
  Altra iniziativa molto utile è quella di formare personale dedicato alla promozione dell'export, anche risposta a necessità di staff specializzato che è stata correttamente identificata anche dal documento preparatorio fatto circolare dalla Commissione in vista di questa audizione. Questo è funzionale anche alle piccole e medie imprese per poter accedere alle misure che già esistono per il supporto all'export, attraverso anche strumenti finanziari che sono messi a disposizione da SIMEST e da SACE, che certamente possono essere rafforzate.
  Nel supportare le imprese è fondamentale il ruolo degli organismi intermedi, pertanto confermiamo la disponibilità ovviamente della nostra associazione Legacoop, anche in seno all'Alleanza Cooperative Italiane, a collaborare in maniera diretta con le istituzioni, con le agenzie del sistema Italia, nel facilitare ovviamente l'accesso delle singole imprese alle opportunità offerte.
  Quello che poi vorremmo sollecitare sono anche iniziative che possano facilitare l'aggregazione dell'offerta, per permettere anche alle imprese di rispondere in maniera collettiva alle difficoltà che possono incontrare nell'accesso ai mercati esteri, come Pag. 9per esempio nella gestione della logistica. Su questo siamo disponibili anche a mettere in qualche modo a valore l'esperienza cooperativa per lo sviluppo di strumenti consortili ad hoc.
  Un'altra cosa che vorrei sottolineare è che, contemporaneamente al competere di mercati internazionali, alcune imprese hanno scontato nel 2022 uno svantaggio competitivo legato al costo dell'energia. In questo caso le imprese cooperative, che hanno sempre al centro le persone e il lavoro davanti al profitto, hanno quindi adottato soluzioni organizzative anche molto impegnative (come i turni notturni adottati per esempio dalla Cooperativa Ceramiche Noi, che è stata citata dalla presidente della Commissione europea von der Leyen nel discorso dell'Unione, piuttosto che ovviamente interrompere la produzione). Criticità che piano piano sta un pochino rientrando con l'abbassamento dei costi dell'energia, ma sicuramente, oltre a lasciare il peso sui bilanci dell'anno appena terminato, è necessario che per il futuro siano definiti i meccanismi europei che evitano quindi che politiche nazionali differenti, in risposta a shock macroeconomici globali, si traducano in vantaggi competitivi solo per alcuni Paesi, quindi ciò, insomma, rappresenta una differenza sulla possibilità della competizione.
  Naturalmente nell'ambito del made in Italy all'interno del nostro movimento cooperativo il settore agroalimentare è particolarmente rilevante. L'Italia è il primo produttore europeo come numero di prodotti a identificazione geografica, quindi DOP, IGP e IGT. In Legacoop abbiamo circa mille imprese cooperative impegnate lungo tutta la filiera, quindi dalla produzione primaria alla trasformazione e alla commercializzazione.
  Abbiamo eccellenze che vanno dal vino ai prodotti caseari, in particolare i formaggi, dai salumi ai prodotti ortofrutticoli anche ittici, solo per citarne alcuni. A questi si aggiungono anche numerose cooperative di lavoro che trasformano prodotti agroalimentari, dal caffè ai dolciumi, creando lavoro e crescita inclusiva.
  Il movimento cooperativo estende l'eccellenza anche in molti settori in cui il made in Italy ha un carattere distintivo sui mercati esteri. Dalle macchine per l'industria, settore ove sono presenti diverse imprese cooperative che già realizzano export verso Paesi europei ed extraeuropei, al settore della ceramica che ho anche citato prima, alla progettazione, alle costruzioni, all'arredamento, al tessile, pensando anche alle imprese che producono prodotti di sartoria attraverso l'integrazione di soggetti svantaggiati. Solo per farvi anche un esempio, abbiamo anche una cooperativa, Progetto QUID, che avendo delle priorità di riciclo, riuso, di diminuire in maniera evidente l'impatto anche ambientale, è stata pluripremiata anche dalle Nazioni Unite, ha creato quindi un proprio circuito di linea di prodotti di moda e l'ha fatto coinvolgendo soggetti particolarmente svantaggiati, come donne che hanno subito violenza. Quindi la distintività del made in Italy viene anche dall'impatto sociale.
  Ci sono poi tantissimi esempi sulla comunicazione di prodotti e servizi a cui è riconosciuta la distintività del made in Italy, sicuramente anche campagne di comunicazione più efficaci che puntino all'italian lifestyle. Tra queste sono cruciali le sinergie, come avete ben sottolineato nel vostro rapporto, dell'export nel settore del turismo, coinvolgendo anche le piccole e medie imprese, non solo agroalimentari ovviamente, anche agroalimentari ma non solo. Noi abbiamo circa 900 imprese cooperative associate nel settore del turismo e della cultura e media, che sono settori cruciali per la promozione del made in Italy. Sono imprese che offrono offerta turistica e culturale valorizzando i territori, gestendo e valorizzando anche i grandi poli museali, così come territori di aree interne, anche aree periferiche, con centri visita, attività ricettive e ricreative, gestione di teatri, solo per citare alcune realtà.
  In questo senso è anche possibile promuovere lo stesso modello di gestione dei beni culturali e di offerta turistica, che coinvolge i territori tramite le imprese cooperative. Tra l'altro si tratta di imprese che hanno resistito durante la pandemia e Pag. 10dalla chiusura di ogni attività, garantendo anche presidi del territorio, e con la possibilità ora ovviamente di tornare a generare reddito.
  Con questo concludo dicendo che cogliamo l'occasione che al di là del settore produttivo lo stesso modello cooperativo è riconosciuto nel mondo come momento distintivo del made in Italy. Abbiamo numerose delegazioni ministeriali e cooperative che ogni anno ci visitano (dal continente americano, Canada, Corea, Giappone, Turchia e centro Europa e tanti altri Paesi) che vogliono proprio studiare le esperienze di eccellenza, così come anche il movimento delle cooperative sociali o i casi di eccellenza dei workers buyout che hanno risolto numerose crisi aziendali, esperienze di consorzi cooperativi o anche recentemente l'esperienza delle cooperative di comunità.
  Quindi quello che vogliamo sottolineare è che la comunicazione dell'eccellenza del made in Italy passi anche attraverso le strutture sociali, che sono anche le storie di vita dietro ogni prodotto. Questo ci teniamo anche a sottolinearlo.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio la rappresentante di Legacoop intervenuta. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dalla rappresentante di Legacoop (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Confcooperative.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Confcooperative, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Giuseppe Daconto, responsabile Area analisi economica e sviluppo Centro studi Fondosviluppo/Confcooperative, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  GIUSEPPE DACONTO, responsabile Area analisi economica e sviluppo Centro Studi Fondosviluppo/Confcooperative. Buongiorno presidente e grazie dell'invito. Buongiorno a tutte e tutti gli onorevoli presenti a questa seduta. Vi ringrazio perché è per noi prezioso partecipare a questa indagine conoscitiva per la valorizzazione del made in Italy in tutti gli ambiti produttivi e tra tutte le imprese italiane.
  Vorrei fare un ragionamento abbastanza sintetico con due premesse, un po' di inquadramento di contesto economico per le cooperative aderenti a Confcooperative più interessate dal tema, quindi export-oriented o comunque delle filiere principali del nostro made in Italy. Poi vorrei darvi qualche indicazione dei suggerimenti di policy, di rafforzamento di politiche sul tema, e sul finale ci concentreremo sull'agroalimentare.
  Intanto a Confcooperative sono associate oltre 16 mila cooperative, il giro d'affari è di 70 miliardi, oltre 500 mila occupati, che fanno parte dell'economia sociale italiana e che è parte del tema della valorizzazione del made in Italy.
  Vorrei fare un po' questo passaggio per dire sostanzialmente che se siamo un'eccellenza riconosciuta a livello internazionale, appunto il made in Italy, lo siamo anche perché al made in Italy è associato un wellbeeing, un benessere, uno stare bene che non è solo economico ma anche di qualità della vita, di relazioni di socialità, maggiore felicità direbbero alcuni. E questo è anche frutto reso possibile grazie al lavoro del tessuto imprenditoriale vario e variegato del nostro sistema, che contiene anche, appunto nella biodiversità imprenditoriale, le cooperative che mantengono legame con i territori, scopo mutualistico, democrazia economica, inclusività e quindi rispettano un po' i territori. E quindi c'è Pag. 11anche un tema del «chi» made in insomma delle cooperative che sono collegate al fare e al fare anche in un modo diverso e non lucrativo.
  Seguendo questo ragionamento ecco il contesto economico. Le cooperative di Confcooperative sono trasversali a tutte le filiere produttive indicate dal Ministero delle imprese e del made in Italy, principalmente nella filiera della sanità, dell'agro-business ma anche nelle costruzioni, nel turismo, nei beni culturali. Ovviamente dal punto di vista della dimensione economica la metà del fatturato, quindi il grosso della dimensione economica, è nell'agroalimentare. Ma senza la valorizzazione di tutto questo indotto, delle filiere, anche appunto si diceva prima dell'attrattività turistica e culturale del nostro Paese, non ci sarebbe appunto l'eccellenza finale riconosciuta nel resto del mondo.
  Per quanto riguarda le cooperative export-oriented, facciamo delle analisi ad hoc, che sono principalmente agricole e concentrate nel Nord, ma non mancano le cooperative di lavoro e servizi e anche le cooperative sociali. Segnalo, dalle ultime indagini, che il panel ha raggiunto i livelli di fatturato prepandemia nel 2021, quindi c'è sempre convenienza e crescita nella partecipazione ai mercati esteri. Sono in gran parte piccole e medie imprese e quindi anche un profilo finanziario un po' più rischioso, vulnerabile, seguendo un po' le analisi delle classifiche del merito creditizio del Fondo centrale di garanzia. Sostanzialmente quelle che hanno un fatturato dipendente dall'estero superiore al 50 per cento sono ancora il 10 per cento, cioè abbiamo ancora molti margini di miglioramento, di crescita per questo panel di imprese.
  E, segnalo anche questo aspetto che riprenderò poi nelle policy, quelle che sono strutturate in consorzi di fatto hanno una quota di fatturato all'estero, principalmente mercati europei ma non solo, più elevata.
  Per quanto riguarda la guerra in Ucraina e le sanzioni imposte, e quindi il nuovo scenario dal febbraio 2022, di fatto da un'indagine del maggio le cooperative grandi imprese export oriented interessate o connesse a quei mercati sono veramente poche. L'indagine appunto su dati Cerved ci suggeriva di attenzionarne il 10-12 per cento, quindi una quota molto minima di imprese che avrebbero cambiato il loro status economico per via della guerra.
  Di fatto siamo in un'era di alta inflazione, in una nuova era di alta inflazione e tassi di interesse elevati e, per le ragioni che vi dicevo anche prima, occorre stare molto attenti anche rispetto al tema del costo dell'energia che nel breve termine è un po' migliorato, ma è sempre un gap di riduzione, un gap per la nostra competitività Paese, come si è detto anche precedentemente. Per cui occorre non esaurire l'attenzione e le risorse in campo a gestire la crisi del caro energia.
  E su questo un inciso: segnaliamo anche la necessità di modificare la norma sugli extra profitti che equipara le cooperative elettriche storiche, e quindi dell'arco alpino che autoconsumano e autoproducono energia da fonti rinnovabili, alle imprese che fanno utili. Ma di fatto se fanno utili queste cooperative li ristornano ai soci, quindi non c'è un extra profitto.
  Come policy, e vado appunto alle policy, figlie anche un po' di queste analisi che vi suggeriamo – probabilmente manderemo una nota scritta con maggior dettaglio: punto primo, rilanciare politiche incentivi alle reti, alle aggregazioni, anche con strumenti finanziari ad hoc, perché abbiamo visto che l'aggregazione dell'offerta e l'aggregazione anche dei servizi per l'internazionalizzazione facilita l'export e quindi la valorizzazione del made in Italy.
  C'è un altro tema, noi siamo di fatto concentrati come Italia su tre mercati come export, Germania, Stati Uniti e Francia, ma sicuramente ci sono tanti altri mercati nuovi da attenzionare, quindi anche utilizzando le missioni internazionali si potrebbe diversificare maggiormente l'export italiano.
  Terzo tema, bisogna qualificare le strutture aziendali e quindi maggiori competenze manageriali e forza lavoro, export manager, soprattutto per un sistema imprenditoriale di piccole dimensioni, quindi Pag. 12strutture aziendali più adatte ad affrontare i mercati esteri.
  Quarto tema il credito. A Confcooperative sono anche associate le banche di credito cooperativo, banche di prossimità, di comunità, che garantiscono un quinto degli impieghi bancari in agricoltura e nell'artigianato in Italia, spesso sono l'unico sportello bancario in molti comuni, principalmente delle aree interne. Quindi le banche di prossimità sono un partner, così come dovrebbe essere il credito un partner di sostegno alle eccellenze italiane, ma è importante anche che i sistemi bancari leggano diversamente, adattino le loro letture col sistema di rating anche alle cooperative, quindi a business non uguali agli altri.
  Ultimo punto, che richiama anche po' ciò che diceva prima Francesca, la collega di Legacoop. In molti settori del made in Italy – penso al design, all'artigianato – abbiamo tante esperienze di worker buyout, quindi questa forma di imprese rigenerate dai soci lavoratori che appunto accettano il protagonismo e rilanciano un'impresa magari in crisi. È una legge dell'85 con la Finanziaria Marcora rilanciata poi nel tempo e, di fatto, questo pacchetto normativo potrebbe essere parte del quadro di valorizzazione del made in Italy.
  Lascerei ora la parola al collega Gianluca Pierangelini del settore lattiero caseario di FedAgriPesca, responsabile del settore, che magari fa l'approfondimento sull'agroalimentare.
  Grazie.

  GIANLUCA PIERANGELINI, responsabile Settore lattiero caseario Confcooperative FedAgriPesca. Grazie. Buongiorno a tutti. Nel contesto economico di Confcooperative di cui vi parlava finora il dottor Daconto, e quindi un giro d'affari di 70 miliardi di euro, il settore agroalimentare è sicuramente uno dei principali comparti con un fatturato complessivo che si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Questa rilevanza non fa altro che tradurre la fotografia del sistema Paese. Il settore agroalimentare per l'economia italiana è sicuramente e indubbiamente un settore strategico cruciale, e lo è soprattutto per quel che riguarda la valorizzazione del made in Italy nel mondo.
  In questo senso il settore agroalimentare nel 2022 raggiungerà – non abbiamo ancora i dati definitivi, ma si stima – un fatturato estero di 60 miliardi di euro: fatturato generato al netto di tutte le difficoltà che le imprese hanno dovuto sostenere nel corso del 2022, il riferimento che si faceva prima alla crisi Russo-Ucraina, piuttosto che gli strascichi della pandemia, l'inflazione dei costi di produzione. Quindi questo dimostra la grande potenzialità che il settore agroalimentare ha nei mercati esteri.
  In questo senso Confcooperative ritiene che l'investimento sul made in Italy e sulla valorizzazione del made in Italy sia un investimento necessario da perseguire e da rafforzare. Investimento che però deve essere concentrato, a nostro avviso, su prodotti che siano frutto di una filiera tutta italiana al 100 per cento made in Italy, quindi partendo dalla materia prima fino alla fase di trasformazione.
  Da questo punto di vista appunto noi riteniamo che il vero made in Italy sia il frutto di una filiera totalmente italiana e in questo senso riteniamo opportuno che gli investimenti siano destinati principalmente a questo genere di prodotti. Investimenti che a nostro avviso, e qui vengo alle policy, devono essere nel settore agroalimentare concentrati su alcuni elementi di carattere strategico.
  Il primo riguarda la logistica, ne faceva menzione anche la collega di Legacoop prima. È opportuno che l'Italia, anche utilizzando fondi del Piano nazionale di riprese e resilienza, investa in una piattaforma logistica che consenta ai prodotti agroalimentari italiani, soprattutto quelli a shelf-life ridotta, di arrivare nei mercati internazionali più lontani. Quelli in cui la domanda è più dinamica, soprattutto di eccellenze tipiche del settore agroalimentare italiano, ma che le imprese italiane fanno fatica a soddisfare proprio per questioni legate a complicazioni logistiche, di costi oggettivamente elevati. E in questo senso concentrare l'offerta, concentrare i bisogni, le necessità delle imprese – ricordiamo essere il tessuto imprenditoriale più che altro composto da piccole e medie Pag. 13imprese – è un elemento strategico essenziale.
  Un altro elemento utile è sicuramente stimolare una riflessione accurata del sistema Paese sul sistema fieristico. Noi in Italia abbiamo diverse manifestazioni di carattere internazionale relative al settore agroalimentare, sarebbe a nostro avviso opportuno fare una riflessione per ottimizzare il più possibile gli investimenti. Quindi creare un polo fieristico unico a livello nazionale, che competa con manifestazioni a livello internazionale come può essere per esempio il SIA (Salon Agriculture) di Parigi, piuttosto che l'Anuga (Allgemeine Nahrungs- und Genussmittel-Ausstellung – fiera alimentare e delle bevande) di Colonia, che sono manifestazioni molto importanti, catalizzano l'attenzione dei buyer mondiali e che creano anche un indotto sostanziale per l'economia di quei Paesi. Quindi dovremmo cercare di razionalizzare l'assetto fieristico nazionale per creare un unico appuntamento sul quale è opportuno che le imprese investano.
  Altri elementi invece di carattere più politico-strategico sono, a nostro avviso, l'urgenza, la necessità che le istituzioni italiane coinvolte nella politica commerciale internazionale dimostrino maggior coordinamento per quel che riguarda gli aspetti di carattere meramente tecnico.
  Mi spiego, il sistema Paese può investire su campagne di comunicazione, può stimolare la sottoscrizione di accordi di libero scambio e quant'altro, ma se non ci sono come sistema Italia dei contesti nei quali le imprese sono in grado di trasferire tutte le difficoltà che quotidianamente affrontano sui mercati esteri, tutte quelle potenzialità offerte dalle campagne di comunicazione, di promozione, dagli accordi di libero scambio, potrebbero essere vani. Perché sono proprio quelle difficoltà di carattere tecnico-operativo, che le imprese affrontano costantemente, che impediscono l'accesso nei mercati esteri, anche in quelli in cui è previsto un accesso preferenziale dei prodotti, magari appunto favorito o generato dagli accordi di libero scambio.
  Quindi in questo senso, dal nostro punto di vista, è essenziale che i Ministeri competenti, a partire dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale che ha competenze per la politica estera commerciale internazionale, ma anche il Masaf (Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), il Ministero per le imprese per il made in Italy, il Ministero della salute, riprendano un dialogo costruttivo e continuativo con le organizzazioni di rappresentanza su problematiche relative a barriere tariffarie e barriere non tariffarie, che complicano la vita quotidiana delle nostre imprese.
  Un altro elemento di carattere politico-strategico su cui a nostro avviso il sistema Paese dovrebbe puntare è quello di rendersi promotore a livello comunitario della ricerca di nuovi mercati internazionali con la sottoscrizione di nuovi accordi di libero scambio, magari partendo da quelli la cui discussione si è fermata. Penso ad esempio a Mercosur, adesso con l'elezione di Lula a presidente del Brasile probabilmente questo accordo vivrà una nuova era. Penso agli accordi con l'Australia e con la Nuova Zelanda, dove l'Italia ha più che altro delle esigenze di carattere difensivo piuttosto che offensivo. Ma penso anche alla ricerca di nuovi mercati che sono essenziali per creare una valvola di sfogo utile alle nostre potenzialità esportative.
  L'altro aspetto, e concludo, su cui ritengo opportuno che l'Italia dovrebbe rendersi protagonista a livello comunitario, è il controllo della reale e corretta applicazione degli accordi di libero scambio in essere. Le imprese italiane hanno giovato di accordi come l'Economic partnership agreement con il Giappone, ma è indispensabile che si monitori la corretta applicazione di questi accordi in termini di tutela delle indicazioni geografiche che sono per noi un asset strategico, piuttosto che la corretta attuazione della progressiva liberalizzazione degli scambi. E, soprattutto, la non proliferazione di potenziali barriere non tariffarie che possono sfuggire al quadro normativo relativo agli accordi di libero scambio. Grazie.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi se vi siano domande? Allora ne faccio una io. Lei ha parlato di difficoltà tecniche operativePag. 14 per affrontare i mercati esteri, eccetera. Può essere un po' più specifico? Oppure approfondire tali aspetti quando ci mandate la relazione, perché poi, alla fine, sono queste le cose che ci interessano: cioè quali siano le difficoltà tecniche, operative, burocratiche, le complicazioni che devono affrontare le aziende per penetrare i mercati esteri e farsi conoscere, e quindi quali vincoli, quali limiti, quali barriere il legislatore deve cercare di rimuovere, di semplificare per far sì che le nostre imprese, le nostre attività produttive possano penetrare i mercati esteri. Quindi se si può eventualmente specificare meglio.
  Quindi sarebbe utile se tutte queste difficoltà tecniche e operative che incontrano le aziende associate a Confcooperative fossero specificate nella relazione.

  GIANLUCA PIERANGELINI, responsabile Settore lattiero caseario Confcooperative FedAgriPesca. Sicuramente manderemo un dettaglio relativo alle problematiche affrontate nei mercati esteri, problematiche che sono molto eterogenee e sono numerose, quindi faremmo fatica a sintetizzarle in pochi minuti.
  Sono problematiche che dipendono dalla tipologia di prodotto e dal mercato di riferimento. In alcuni casi si tratta di barriere di carattere non tariffario, parlo ad esempio di complicazioni burocratiche come la registrazione delle imprese negli elenchi degli stabilimenti autorizzati. Immagino in questo senso ai Paesi asiatici, per lo più la Cina che crea una serie di procedure burocratiche molto macchinose e complesse semplicemente per poter registrare uno stabilimento all'interno di un elenco di aziende autorizzate. Questo è un esempio molto pratico e abbastanza conosciuto nel settore agroalimentare.
  Ci sono barriere di carattere non tariffario che riguardano invece aspetti igienico-sanitari, parlo ad esempio dei certificati igienico-sanitari che devono accompagnare la merce insieme alla documentazione doganale. All'interno dei certificati appunto possono essere inserite delle clausole particolari che potrebbero ostacolare le esportazioni di alcuni prodotti. L'India, ad esempio, ha vietato l'utilizzo del caglio di origine animale e quindi questo vincola l'esportazione dei prodotti lattiero-caseari, dei formaggi che utilizzano caglio di origine animale in quel mercato lì. Questi sono soltanto alcuni esempi di difficoltà che incontrano le imprese nei mercati esteri.
  Ripeto, vi manderemo un dettaglio molto accurato sulle difficoltà che ad oggi abbiamo censito tra i nostri soci. Però appunto mi preme sottolineare l'importanza di un coordinamento più istituzionalizzato e più strutturale con le istituzioni di riferimento, perché solo tramite questo scambio costante e questo dialogo costante si riescono a individuare le problematiche ed eventualmente poi a risolverle come sistema Paese, anche con il supporto della rete estera, le ambasciate in primo piano.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio i rappresentanti di Confcooperative intervenuti. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Confcooperative (vedi allegato 3) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Antonio Napoli, direttore generale della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi), ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

Pag. 15

  ANTONIO NAPOLI, direttore generale della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi). Sì grazie mille per l'invito, presidente. Abbiamo provveduto, come suggerito, a consegnare un documento di proposte che mi limiterò ad illustrare.
  È evidente che il settore dell'agroalimentare che noi in parte rappresentiamo, siamo una Federazione nazionale agroalimentare che associa imprese sia primarie che di trasformazione, quindi anche con un'impostazione diversa dalla mera organizzazione di carattere agricolo, rappresenta un pezzo importante del tema made in Italy, accompagna da anni lo studio, l'analisi, dei trend di crescita del mercato globale.
  Ricordo solo che quest'anno abbiamo superato i 60 miliardi come Paese per quanto riguarda l'export dell'agroalimentare, questo nonostante una condizione internazionale particolare molto difficile, dove tra l'altro erano annunciati, o meglio erano paventati, una serie di pericoli derivanti dall'embargo, dalle difficoltà a reperire materiali, eccetera.
  In realtà abbiamo un dato che invece conferma un trend di questi ultimi anni e che fa del nostro Paese un Paese esportatore di prodotti alimentari di qualità.
  Non tutti i comparti e i territori godono di questo risultato e sfruttano appieno questa opportunità. E soprattutto c'è un tema che è centrale, cioè è il valore delle nostre produzioni che è ancora sottostimato; ci sono considerevoli margini di crescita perché ancora oggi non abbiamo una politica attenta di valorizzazione economica dei nostri prodotti, a parte il fatto che molta parte dei guadagni di questa esportazione rimane agli importatori e ai distributori.
  Agrocepi da anni si batte su due temi che consideriamo centrali: l'alleanza tra le imprese, quindi l'esigenza di rompere una rigidità tra settori come quello appunto del settore agricolo e quello del settore della trasformazione, che rientra nel perimetro del settore industriale; e l'impegno a spostare risorse sempre più importanti verso chi fa questa scelta di alleanza, premiare chi condivide le strategie, chi sceglie di investire insieme agli altri.
  Questa, che sembra un'idea stravagante, in realtà oggi è l'esigenza primaria delle imprese nell'agroalimentare e non riguarda soltanto le più evolute e le più grandi. Ultimo esempio in ordine di tempo, il successo del bando sulla logistica agroalimentare (in poche ore ha coperto l'intera cifra che era stata posta a finanziamento del bando), ma soprattutto la risposta eccezionale al quinto bando per le filiere che ha registrato una partecipazione di oltre 6 mila aziende, raccolte in oltre 300 progetti, per un valore complessivo di 10 miliardi di investimento.
  Questa cosa ci porta a dire che in primo luogo le politiche di tutela del made in Italy non ci devono spingere a creare nuovi marchi, nuovi simboli, ma devono coincidere con la tutela dei marchi DOC, IGP e con lo sviluppo di attività di tracciamento e di certificazione per le filiere produttive.
  Molte aziende stanno lavorando da tempo su questo, quindi non hanno bisogno di un ulteriore cappello per poter arrivare sui mercati internazionali e i consumatori riconoscono facilmente e apprezzano questo lavoro che è stato fatto. Citiamo ad esempio il tema dei marchi-ombrello che stanno avendo un successo enorme, quelle che comunemente noi chiamiamo le private label, cioè quello che oggi noi troviamo ad esempio sugli scaffali della GDO e che sono essi stessi strumenti di selezione e di ricerca di prodotti di qualità, eccellenze del territorio, e questo il consumatore lo apprezza sia nel mercato domestico che in quello internazionale.
  Ora, per quanto riguarda lo sviluppo dell'export i temi sono quelli che abbiamo detto: cioè la logistica e la capacità di raggiungere questi mercati a costi accessibili, e questo non si può fare se non insieme. E l'altro è lo sforzo finanziario che è chiesto alle imprese che esportano, e l'esigenza di affiancare allo sforzo finanziario per l'esportazione maggiori risorse destinate all'innovazione tecnologica e alla ricerca.
  C'è un terzo e ultimo aspetto che riguarda l'aumento della capacità produttiva. Bisogna dire che noi come sistema agroalimentare a volte abbiamo un limite Pag. 16fisico alla possibilità di aumentare le produzioni: più il mercato internazionale richiede prodotti più si aprono margini a rischi di invasione di produzioni che non siano garantite e non siano riconducibili al nostro sistema produttivo.
  Da questo punto di vista sarebbe interessante ragionare del made in Italy in un'ottica più ampia, guardando all'insieme dei Paesi del Mediterraneo, dove è possibile incrementare attraverso una co-partecipazione sia in termini produttivi che economici, tale da poter coinvolgere questi Paesi, oggi così importanti nella nostra strategia non solo produttiva e di mercato, in un'operazione più generale di sviluppo.
  Faccio presente che uno dei temi più importanti dell'agroalimentare in questi ultimi mesi è il reperimento di personale qualificato. Molte aziende si stanno orientando proprio in questi Paesi del Nordafrica, dei Balcani a creare strumenti di formazione del capitale umano in questi Paesi. Ovviamente questa scelta poi cozza con un sistema di immigrazione irregolare che ormai ha reso del tutto obsoleto il sistema delle quote.
  L'altro grande tema, come è già scritto nella nota che è a base di questa indagine, per quanto riguarda l'agroalimentare è la ristorazione di qualità e il vino e quanto questo incide sull'attrazione turistica nel nostro Paese. Sappiamo tutti che è cresciuto in questi anni il modello di degustazione in cantina, gli agriturismi, la riscoperta dei borghi antichi, le zone interne abbandonate che possono ritrovare una proiezione in questo campo.
  C'è un tema sopra gli altri, noi l'abbiamo chiamato il society foodies, cioè la possibilità di creare una comunità di amanti del cibo italiano in tutto il mondo. Questo richiede non solo un ruolo delle singole aziende ma anche un impegno del Paese a lavorare per creare un contesto in cui questa relazione diretta e duratura tra produttore e consumatore diventi poi una modalità di vendita di prodotti, che ovviamente è in sintonia con quello che oggi è il sistema dell'e-commerce e del saltare i vari livelli di mediazione che spesso, come ricordavo prima, trattengono molto del nostro valore economico.
  Noi abbiamo fatto negli ultimi anni, anche per esempio durante il periodo della pandemia, alcune esperienze in termini di sostegno all'offerta di prodotti italiani, intervenendo in particolare, ricorderete il Bonus ristorazione. Anche in questo caso si tratterebbe di sviluppare un'intesa tra le filiere agroalimentari e quelle enogastronomiche, aggregandole sia in rete d'impresa che in accordi di filiera, che possono da questo punto di vista diventare il mercato principale delle nostre produzioni a marchio (le DOP, le IGP, le DOC, il biologico e soprattutto come ricordavo i marchi collettivi che sono in grandissimo sviluppo).
  C'è un tema sul made in Italy che deve guidare la nostra azione nei prossimi anni: il made in Italy è vincente se dimostra di essere anche conveniente e non solo accessibile ai consumatori di alta fascia, cioè il principio deve essere «il buono che costa il giusto», non quello che costa oltre il necessario.
  Da questo punto di vista c'è un limite ancora molto forte: le nostre aziende in direzione degli ESG, abbiamo risultati ancora parziali. Noi pensiamo che in questa fase il tema non è confliggere con il resto degli altri Paesi europei, poi soprattutto in una situazione di libero mercato, chiudendoci in difesa e pensando di essere sotto attacco, soprattutto per quanto riguarda la nostra cultura, quella che noi chiamiamo la dieta mediterranea. Qui vi è un problema più ampio di come noi lavoriamo a tutela della nostra reputazione, c'è un tema generale che riguarda le nostre imprese come agiscono in ambito digitale, come gestiscono i loro profili, la loro presenza nella rete e come dialogano e utilizzano e non siano utilizzati da quelli che operano, gli influencer sui social, e orientano il comportamento dei consumatori.
  Qui un'ultima proposta, e ho concluso, sarebbe interessante promuovere una sorta di due diligence sull'identità digitale delle imprese dell'agroalimentare. Scoprirete che molti, la maggioranza, non si occupa di questo tema. Sarebbe interessante offrire a queste aziende anche gratuitamente questa Pag. 17due diligence, un pacchetto di progetti su cui loro poi possono successivamente pensare di poter investire lavorando per promuovere la propria immagine e quindi sviluppare il loro business.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il rappresentante della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi) intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante della Federazione nazionale agroalimentare (#Agrocepi) (vedi allegato 4) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Unione italiana vini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Unione italiana vini, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Nicola Tinelli, responsabile Ufficio politico di Unione italiana vini, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  NICOLA TINELLI, responsabile Ufficio politico di Unione italiana vini. Buongiorno a tutti. Grazie dell'invito, grazie alla X Commissione, al presidente per averci coinvolto in questa audizione.
  Riteniamo molto utile questa iniziativa sul made in Italy e riteniamo molto utile rappresentare le nostre priorità.
  Come prodotto ambasciatore del made in Italy il vino rappresenta circa il 12 per cento dell'export agroalimentare italiano. Nel 2021 il totale dell'export agroalimentare ha superato i 57 miliardi di euro, il vino rappresenta circa 7 miliardi. A questi valori si aggiungono (e riteniamo utile ricordarlo in questa sede) quelli dell'industria delle tecnologie per la produzione e il confezionamento dei vini. Un settore, anche qui profondamente radicato nel nostro Paese, che ci vede leader mondiale. In effetti l'export di questi prodotti ha superato 2 miliardi di valore nel 2021. Il fatturato complessivo invece del settore vitivinicolo ammonta a circa 13 miliardi di euro tra consumi nazionali e consumi invece esteri, quindi vendite nazionali e vendite estere.
  A livelli occupazionali il settore fornisce occupazione in Italia a circa un milione e 300 mila persone, tra quanti sono impegnati direttamente in vigna, in aziende e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse come il turismo, e questo sarà un tema sul quale avremo piacere di tornare.
  Per quanto riguarda la situazione attuale sicuramente questi sono numeri importanti che ci danno evidenza di un settore che complessivamente è in salute, tuttavia ci sono delle sfide importanti sulla competitività che vogliamo subito segnalare. In primis il tema dell'aumento dei costi energetici, i costi delle materie prime, in particolare il vetro. Dal primo gennaio 2023 è stato segnalato un nuovo aumento del 20 per cento del vetro, dopo un più 58 per cento di aumento dei costi nel 2022. Quindi questo è un tema molto importante, molto attuale per le imprese, che effettivamente mette degli ostacoli alla loro competitività.
  Quindi come primo spunto che vorremmo rappresentare a questa Commissione vi è certamente l'importanza di misure specifiche di contenimento dei costi dell'energia e delle materie prime, quindi sostegni a questo tipo di intervento.
  Finora ci sono state da parte del Governo delle iniziative soprattutto per quanto riguarda i settori cosiddetti energivori, e il vetro è uno di questi settori, ma tuttavia questo tipo di interventi non ha generato una sterilizzazione dell'aumento dei costi per il settore vitivinicolo. Quindi riteniamo che questa sia una delle priorità sulle quali il Governo dovrebbe intervenire.Pag. 18
  Il vino è un po' tra l'incudine e il martello, da un lato ha questi aumenti di costi importanti delle materie prime, ma dall'altro non può, o è molto difficile, scaricare sul consumatore, e quindi sulla GDO o sui retail, questo importante aumento dei costi. Quindi sul tema della competitività questo è il primo elemento che sottolineiamo.
  Secondo elemento, come è stato evidenziato nella relazione della Commissione, se dobbiamo affrontare il tema normativo certamente, come settore del vino, sarebbe importante affrontare il tema della revisione o di un miglioramento della norma quadro che regola la produzione e la commercializzazione del vino in Italia, il cosiddetto Testo unico del vino, legge n. 238 del 2016.
  Qui avremmo interesse ad approfondire alcuni temi come una migliore gestione del sistema delle denominazioni, delle nostre DOC e IGT, un più efficace sistema dei controlli e della tracciabilità (soprattutto per quanto riguarda i vini a IGT) e una modifica di questa medesima legge per inserire le nuove categorie di prodotti a basso tenore alcolico, i cosiddetti vini dealcolizzati, in un momento nel quale a livello UE e a livello internazionale c'è effettivamente un aumento dell'interesse dei consumatori verso questo nuovo tipo di prodotto.
  Quindi come norma nazionale dobbiamo allineare il nostro Testo unico alle nuove disposizioni dell'UE per consentire anche ai produttori italiani di poter rispondere a queste richieste del mercato.
  Per quanto riguarda invece il capitolo competitività sui mercati internazionali, il vino italiano è chiamato a una sfida molto importante che è quella della diversificazione. In effetti oggi cinque mercati internazionali rappresentano circa il 65 per cento delle nostre esportazioni, quindi è sì importante, da una parte, consolidare i mercati oggi conquistati, ma è altresì importante il tema della diversificazione. Da questo punto di vista è fondamentale a nostro avviso l'individuazione di un piano pluriennale di promozione istituzionale per il vino, coordinato e promosso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dall'ICE, disegnato e implementato mediante una cabina di regia unica co-partecipata dalle imprese per rafforzare l'immagine istituzionale del vino italiano nei principali mercati target, per l'internazionalizzazione del nostro prodotto, quali gli Stati Uniti, il Canada, la Cina e il Giappone.
  Secondo elemento importante di questo progetto sulla competitività internazionale è il tema della promozione della dieta mediterranea, nella quale il vino ha un ruolo molto importante anche a seguito delle note vicende che stiamo vivendo a livello europeo e degli attacchi al nostro modello di consumo. Quindi riteniamo che affianco della promozione dei nostri brand, delle nostre DOP, delle nostre IGP, bisogna individuare uno spazio importante per la promozione del nostro modello di consumo, che è quello cosiddetto modello mediterraneo.
  Infine il tema a livello europeo della politica commerciale e degli accordi di libero scambio.
  Le imprese vitivinicole italiane hanno necessità di competere alle stesse condizioni dei propri competitor (Australia, Sudafrica, Cile, Argentina e Stati Uniti) nei mercati internazionali. Quindi riteniamo che lo strumento degli accordi di libero scambio sia fondamentale per consentire alle imprese di raggiungere questo tipo di condizione.
  Gli accordi di libero scambio funzionano, lo abbiamo visto con il Canada, lo abbiamo visto con il Giappone dove accordi sono stati stipulati ed entrati in vigore, e questo ha dato una spinta all'export dei nostri prodotti in questi mercati. Da questo punto di vista pertanto questa strada va proseguita, vanno negoziati nuovi accordi con nuovi Paesi (penso all'Australia, penso all'India) e vanno ratificati gli accordi conclusi dalla Commissione europea (penso alla Nuova Zelanda, penso al Mercosur).
  Da ultimo, e chiudo su questo punto, il tema del turismo.
  Nel 2019 il turismo vitivinicolo, l'enoturismo italiano, ha registrato circa 14 milioni di visite in una situazione pre-Covid, per un giro di affari di circa 2,5 miliardi. Pag. 19Dopo il Covid, ovviamente, c'è stata una situazione un po' di stallo ma, diciamo, il 2022 ha certamente confermato queste ottime performance.
  Quindi riteniamo, da un punto di vista normativo, prima di tutto di armonizzare la norma dell'enoturismo a livello delle singole regioni, perché questa è una materia delegata alla competenza regionale, e quello che abbiamo notato è una disarmonizzazione di come viene applicata la norma dalle singole regioni rispetto a quali operatori possano esercitare le attività di enoturismo. Al contempo anche qui sottolineiamo l'importanza di un piano istituzionale per il turismo. Traduco: in qualsiasi iniziativa istituzionale, che riguarda appunto la promozione del turismo italiano, riteniamo necessario che il messaggio del turismo enogastronomico sia al centro di queste campagne promozionali, perché le riteniamo in assoluto lo strumento più efficace per far conoscere i nostri prodotti, le nostre denominazioni e i nostri territori, le nostre eccellenze.
  Quindi grazie e sono a disposizione per qualsiasi ulteriore richiesta di chiarimento.

  PRESIDENTE. Chiedo se vi siano interventi. Nessuno chiedendo di intervenire, lo faccio io.
  Se può essere un po' più specifico su quali siano le proposte volte a contrastare il fenomeno della contraffazione, perché il vino è una delle tante eccellenze italiane e sicuramente è vittima, soprattutto nei mercati esteri, di questo fenomeno. Se magari riesce a entrare un po' nel merito e, eventualmente, indicare proposte per tutelare maggiormente il settore.

  NICOLA TINELLI, responsabile Ufficio politico di Unione italiana vini. Certo, rispondo su questo tema, presidente.
  Due spunti: il primo che riguarda la tutela e la protezione delle DOP e IGP; il secondo tema che riguarda più un'attività di cooperazione bilaterale con i singoli Paesi esteri.
  Per quanto riguarda il primo tema sappiamo che gli accordi con i Paesi terzi, quindi i Paesi extra UE che proteggono le nostre denominazioni e le nostre indicazioni geografiche, sono fondamentali. Esistono alcuni Paesi terzi che ancora non riconoscono il nostro sistema delle denominazioni e pertanto in questi Paesi è più facile che ci siano degli episodi di evocazione delle nostre denominazioni.
  Faccio un esempio: l'Australia, con la quale l'Unione europea negozia attualmente un accordo di libero scambio, consente l'utilizzo del termine Prosecco per vini di varietà originarie dell'Australia. Quindi, in assenza di un accordo di libero scambio tra UE e Australia, nel quale si chiarisce che Prosecco è un toponimo, è una denominazione protetta nell'Unione europea e pertanto può essere utilizzato solo dai produttori italiani di Prosecco, gli australiani continueranno a produrre il loro Prosecco, nonostante questo termine sia protetto nella stragrande maggioranza dei mercati internazionali.
  Quindi il primo tema è un tema di protezione e di accordi tra Unione europea e Paesi terzi.
  Il secondo invece è un tema di contraffazione e c'è un tema molto importante soprattutto per quanto riguarda il web. Sappiamo che ormai i consumatori acquistano e si informano tramite i moderni canali digitali e il controllo delle nostre autorità pubbliche su questi canali è certamente più difficile rispetto agli altri canali. Per questo motivo è importante moltiplicare gli accordi, soprattutto con le grandi piattaforme di vendita on-line dei prodotti. Penso che ci siano già stati degli accordi tra il nostro Governo e Amazon o eBay e così via.
  Noi riteniamo fondamentali questo tipo di accordi, perché ci consente di monitorare cosa succede a livello internazionale rispetto alla vendita dei nostri prodotti.
  E poi ci sono ovviamente tutte le forme di cooperazione bilaterale tra le nostre autorità di controllo nazionali e quelle internazionali. Queste giustamente vanno promosse in particolare in quei mercati dove i nostri vini sono maggiormente presenti e dove ci sono delle forme di tutela pubblica meno consolidate e meno solide: rinvio ai casi già citati prima.

Pag. 20

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il rappresentante di Unione italiana vini intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di Unione italiana vini (vedi allegato 5) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Federvini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Federvini, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Micaela Pallini, presidente di Federvini, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  MICAELA PALLINI, presidente di Federvini. Buongiorno. Innanzitutto grazie dell'attenzione che state dando al made in Italy. Giusto perché abbiamo poco tempo sarò sintetica.
  Federvini è l'associazione che aderisce a Confindustria e che rappresenta i produttori di vini, di spiriti (quindi liquori, aperitivi, distillati e aceti). Come tali, componenti della nostra vita giornaliera, quindi sicuramente iconici del made in Italy in quanto componenti della nostra tavola sia in Italia che all'estero.
  Per quello che riguarda il valore del comparto, avrete sentito prima di me Unione italiana vini, il vino rappresenta sicuramente un comparto assolutamente importante: 12,2 miliardi di fatturato, di cui oltre il 50 per cento all'estero. Gli spiriti 4 miliardi e gli aceti un miliardo.
  Negli aceti vale la pena ricordare l'Aceto Balsamico di Modena, che è una delle più antiche denominazioni di origine riconosciute e sicuramente una delle più delicate. In questo momento abbiamo varie questioni aperte per la sua difesa, ma ci torneremo dopo.
  Quindi i nostri comparti sicuramente rappresentano una bandiera del made in Italy. Come dicevamo le esportazioni sono più del 50 per cento del valore, noi rappresentiamo come settore la fetta principale dell'export dell'agroalimentare italiano, e quindi è un settore che sicuramente va tutelato, protetto ed aiutato a crescere per quanto possibile.
  È sicuramente un settore in cui possiamo dire che i fenomeni della contraffazione o dell'italian sounding sono all'ordine del giorno. In particolare nel mondo dei liquori e dei distillati non godiamo della protezione che invece il vino, con le denominazioni di origine che sono collegate al territorio, perché come immagino saprete, anche per esperienza personale, un vino si caratterizza dall'essere una DOC, una DOCG, un IGT – insomma varie denominazioni –, che si legano al territorio di origine e quindi deve provenire chiaramente da quel territorio. Nel caso invece dei liquori, degli aperitivi, dei distillati questo non c'è, per cui si può trovare un limoncello, una grappa magari con un nome italiano perché un emigrato italiano è andato in Nuova Zelanda piuttosto che in Canada, piuttosto che il Sudafrica, per citare alcuni Paesi con cui abbiamo avuto dei problemi specifici, che fanno credere che il prodotto possa essere di origine italiana, mettendo magari un cognome italiano o una bandiera italiana, traendo così in inganno il consumatore che lo crede prodotto italiano.
  Per rispondere un po' alle domande che erano nella descrizione dell'audizione di oggi: che cosa può fare, che cosa può chiedere il nostro comparto a difesa, a protezione e per aiutarci a sviluppare ancora?
  Anzitutto il nostro settore ha dei problemi sull'accesso al mercato. Che significa? Semplificazione burocratica, perché spesso e volentieri ci vengono richieste analisi, ci vengono richieste documentazioni molto complesse, ci vengono richiesti tempi Pag. 21molto lunghi per l'approvazione e l'ingresso in un mercato.
  Proprio ultimamente la Colombia ha disposto il possesso di una documentazione molto complessa: quindi, chiaramente, sono delle barriere all'ingresso ma nascoste. La Cina per esempio due anni fa ha richiesto alle aziende esportatrici alcuni codici doganali, delle registrazioni molto complesse in dogana. Devo dire che in questo la diplomazia italiana c'è stata d'aiuto, ha aiutato le aziende a risolvere i problemi dove ci sono stati, ma comunque è un ulteriore passaggio di complessità.
  Che cosa aiuta il nostro settore a crescere? Sicuramente gli accordi di libero scambio, gli accordi tra Paesi e devo dire che ultimamente l'Italia in questo sta facendo dei passi avanti. Per esempio si sta lavorando anche in Australia, che è un Paese che per il nostro settore sta crescendo moltissimo e che quindi è per noi di grande interesse.
  Chiaramente, nell'ambito di accordi di libero scambio, è essenziale il riconoscimento e la protezione delle indicazioni geografiche perché per noi sono assolutamente importanti e vitali, proprio per difendere le nostre produzioni.
  Il sostegno all'internazionalizzazione è assolutamente da implementare, e anzi aumentare.
  L'ICE, che ci aiuta e ci sostiene in una serie di operazioni, deve assolutamente continuare in quello che fa, soprattutto per quello che riguarda le fiere, operazioni di incoming e operazioni che ci permettano di esportare i nostri prodotti all'estero.
  Altre cose sono sicuramente sulla parte di semplificazione amministrativa, perché i nostri settori hanno moltissimi adempimenti, soprattutto anche nel vino a livello agricolo, e da tempo noi chiediamo degli aiuti che ci possano quindi alleggerire il lavoro quotidiano.
  Un'altra menzione che varrebbe la pena fare è a livello di commercio europeo sull'e-commerce, ovvero sul commercio elettronico.
  I nostri prodotti (non gli aceti ma vini e spiriti) sono sottoposti ad accisa, quindi devono pagare accisa, ovvero la tassa sull'alcol, nel Paese in cui vengono immessi in consumo, pertanto è vietata la vendita on line tra Paesi dei nostri prodotti. Noi da tempo chiediamo che venga creato un intermediario unico a livello europeo, che possa permettere, quindi anche alle aziende più piccole sul territorio, di procedere a questa vendita. Questo intermediario unico dovrebbe poi in qualche maniera espletare gli obblighi, quindi pagare l'IVA e le accise del Paese di destinazione, non a carico del consumatore finale, e così aiutare le aziende. Questa è una richiesta che facciamo da tempo, è molto complessa da raggiungere ma sarebbe per il nostro settore un bel risultato da ottenere.
  Le proposte di Federvini e le nostre richieste. Anzitutto per noi è vitale invitare i nostri clienti. Noi diciamo sempre che il turismo, e quindi la possibilità di venire a visitare il nostro Paese, in qualche maniera è la nostra prima fonte di esportazione: perché uno prova un prodotto, lo assaggia, ne gode della bellezza in un panorama magari meraviglioso del nostro Paese, e poi in qualche maniera riporta l'esperienza a casa e ricerca il prodotto.
  È essenziale nel nostro lavoro poter invitare e poter avere i nostri ospiti, anche proprio per ampliare le nostre gamme e per poter far fare delle esperienze autentiche. Purtroppo la defiscalizzazione di queste spese in Italia è molto molto limitata, quindi questo sarebbe per le nostre aziende e credo per tutto il settore del made in Italy assolutamente auspicabile: riuscire ad aumentare la quota di quello che è deducibile, che al momento le spese di rappresentanza e di ospitalità non lo sono. Quindi questa per noi è una richiesta veramente importante perché, come credo potrete immaginare e come sarà capitato a ciascuno di voi, toccare con mano direttamente la bontà dei nostri prodotti là dove nascono coinvolge in un'esperienza totale.
  Un altro punto per noi molto importante è quello della lotta alla contraffazione contro il made in Italy e sicuramente promuovere ancora di più le interazioni con il MAECI, quindi con l'ICE, con le Camere di commercio all'estero, che possono essere un supporto importante, e anche tutta la Pag. 22parte diplomatica e delle ambasciate, che possono aiutare le nostre aziende anche fornendo informazioni puntuali sul territorio e su quelli che possono essere degli operatori oppure aiutare a risolvere dei problemi nel caso in cui questi ci siano.
  L'ultimo punto e poi mi taccio.
  Il nostro settore in questo momento – anche se questo non riguarda solo il made in Italy – sta attraversando una bufera a livello globale: si è abbattuta una lotta sul consumo dell'alcol. Noi abbiamo bisogno del supporto di tutte le strutture a qualunque livello per ricollocare questa lotta contro l'abuso e non il consumo tout-court, per cui anche a livello di prodotti per noi è importante il sostegno di tutto il Governo anche in questo frangente.
  Penso di aver riassunto tutto, spero di non aver fatto troppa confusione. Abbiamo preparato il nostro paper che manderemo, e che riassumerà quello che abbiamo detto oggi magari anche più nel dettaglio.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo se vi siano colleghi che vogliono intervenire. Non vi sono. Faccio io una domanda.
  Allora, prima lei ha parlato di documentazioni complesse per esportare: barriere all'ingresso e semplificazioni amministrative da fare. Ecco chiederei che nel vostro position paper, eventualmente, possiate essere molto specifici su questi punti, perché se vogliamo in qualche modo aiutare con un documento parlamentare il made in Italy, anche ai fini di un possibile futuro disegno di legge in materia, dobbiamo essere messi in grado di indicare al Governo tutte le criticità sentite dagli operatori, anche specificando il più possibile in modo che si possa arrivare a definire le opportune semplificazioni (cosa sempre molto difficile).
  Se adesso vuole intervenire lo può fare ma la invito comunque a specificare le vostre proposte migliorative finalizzate a rendere meno complessa la documentazione, meno problematica l'esportazione e più semplice, dal punto di vista amministrativo, la spinta alla conoscenza all'estero di quelle eccellenze che sono appunto i nostri vini. Grazie.

  MICAELA PALLINI, presidente di Federvini. Brevemente. Per quello che riguarda le barriere, quindi si parla di analisi, di complessità di documenti, di registrazione anche di ricette, insomma ci sono alcune aree del mondo, per esempio l'America Latina o la Cina, in cui si richiedono analisi, quantità di analisi, documentazione, firme notarili, e su questo vi faremo avere un esempio. Chiaramente tutto questo rallenta il processo di esportazione e la vendita. E soprattutto è a detrimento, in particolare, delle aziende medio-piccole perché, chiaramente, le aziende più strutturate possono accedere più facilmente alla documentazione, parlano le lingue chiaramente, quindi è più facile e questo è un problema. La Cina ad esempio ci richiede su alcuni prodotti delle analisi e applicano dei limiti su alcuni componenti dei nostri prodotti che non applicano ai loro prodotti, quindi in qualche maniera è una barriera all'ingresso.
  Semplificazione. Le faccio un esempio molto semplice di una semplificazione amministrativa che noi chiediamo da tempo e che dovrebbe essere secondo noi abbastanza semplice. Ovverosia, nella produzione del vino esistono vari schedari, cioè quello della vigna e quello della cantina, tanto per chiarirvi in soldoni l'idea. Questi due registri se potessero parlare in automatico l'un con l'altro, quello che viene prodotto in vigna e si trasferisce in cantina sarebbe un processo automatico e in più una semplificazione. Ecco, sarebbe un miraggio riuscire a ottenere questa cosa. Anche la parte delle spese promozionali per noi sarebbe una cosa importante.
  Per quello che riguarda la protezione invece (non l'ho detto, ma lo scriveremo meglio), è essenziale per noi la protezione delle nostre denominazioni. Vi faccio due casi: uno è il famoso caso Prošek, quello con la Croazia, che vuole riconosciuta la denominazione Prošek, quindi di un vino loro, richiesta che invece noi stiamo combattendo vista l'assonanza con il Prosecco. Ricordo che il Prosecco nell'ambito del vino è un fenomeno mondiale che è cresciuto a dismisura rappresentando economicamente dei valori importantissimi e la Pag. 23nostra difesa si basa sul fatto che questo vino Prošek diventerà poi un vino spumante, è un vino molto simile al Prosecco, creando confusione all'estero nei consumatori che non conoscono la differenza.
  Aceto Balsamico di Modena. Qui abbiamo delle tensioni molto forti con la Slovenia e con altri Paesi dell'Unione europea che stanno cercando di utilizzare la denominazione «balsamico», che è molto interessante in molti Paesi.
  Quindi per noi la difesa delle nostre denominazioni è assolutamente essenziale per lo sviluppo dei nostri prodotti.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio la rappresentante di Federvini intervenuta. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dalla rappresentante di Federvini (vedi allegato 6) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Roberto Panizza, presidente dell'Associazione Palatifini, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  ROBERTO PANIZZA, presidente dell'Associazione Palatifini. Buongiorno presidente. Buongiorno a tutti.
  Parlo a nome appunto dell'Associazione Palatifini che organizza dal 2007 il Campionato mondiale di pesto al mortaio, che è diventato poi di proprietà della Camera di Commercio di Genova dal 2019 in seguito alla donazione che ne è stata fatta.
  Il Campionato nasce appunto nel 2007, è un evento sostanzialmente di comunicazione che prevede 100 concorrenti che si sfidano nella preparazione del pesto al mortaio.
  È un qualcosa di molto locale per certi versi, ma che sta riscontrando un interesse a livello mondiale, grazie anche al fatto che il mortaio è uno strumento diffuso in tutti i continenti.
  I concorrenti provengono da tutto il mondo, siamo arrivati a 33 concorrenti stranieri che arrivano da 18 Paesi diversi, oltre a quelli europei dagli Stati Uniti, dalla Nuova Zelanda, dalla Russia, dall'Africa, dal Giappone. Abbiamo avuto veramente partecipazioni da tutti i continenti.
  Sono 30 i giudici che governano poi l'assaggio e la degustazione dei prodotti presentati e proclamano il vincitore.
  Il Campionato mondiale di pesto al mortaio è stato appunto donato nel 2019 alla Camera di commercio proprio perché, pur avendo lavorato l'Associazione sempre con un profilo istituzionale, abbiamo preferito che fosse un'istituzione appunto ad occuparsi del prosieguo dello sviluppo del Campionato, sempre con il nostro supporto naturalmente.
  Nel biennio che intercorre tra un'edizione e l'altra si svolgono le gare eliminatorie, che danno continuità all'evento e che consentono di promuovere il Campionato e i suoi contenuti nel mondo. Le ultime gare che sono state realizzate sono state fatte a Milano, a Genova, ad Alicante, a San Francisco, a Niamey in Niger nel corso della settimana della cucina italiana nel mondo. La prossima gara sarà a fine mese a Cape Town in Sudafrica.
  Il ruolo del Campionato è quello di mantenere memoria della ricetta del pesto e dei suoi ingredienti attraverso un'operazione di comunicazione, perché il pesto non è tutelabile tra le salse che possono essere tutelate da IGP o da DOP, quindi è Pag. 24soltanto la comunicazione che può distinguere da quelle che sono poi le imitazioni e le modifiche che questa salsa, che ormai ha un valore globale, subisce nel tempo.
  Questa operazione sta avendo successo ormai da molto tempo, l'ultima manifestazione che abbiamo incontrato è proprio quella dell'interesse della CNN che ci ha inserito in un suo programma televisivo che si chiama Searching for Italy, che è andata in onda a novembre sulle reti di CNN e BBC. Per cui diciamo che il panorama globale è stato veramente ampio e abbiamo focalizzato appunto quella che è la ricetta e la tradizione del pesto al mortaio.
  Ma perché è importante? Perché il pesto, oltre a essere un prodotto finito che rappresenta la tradizione e la cultura italiana, è anche una piattaforma per moltissimi prodotti della nostra produzione gastronomica (basti pensare all'olio extravergine di oliva, al parmigiano, al basilico), quindi non è soltanto un prodotto finito a sé ma è anche un veicolo di altri prodotti.
  Si è diffuso autonomamente e spontaneamente negli ultimi trenta/quarant'anni grazie proprio alla sua salubrità e alla sua modernità, proprio perché è un piatto moderno nella sua tradizione.
  Il pericolo che corre da questa diffusione nel mondo è quello di una banalizzazione, di un'alienazione, quindi da prodotto simbolo della cucina italiana rischia di trasformarsi in altro. Per esempio abbiamo visto che il termine «genovese» sta a poco a poco scomparendo dalle etichette dei prodotti commercializzati e prodotti nel mondo. Perché una volta che viene assimilato come prodotto locale questo suo aspetto tra virgolette esotico viene a mancare, ma per noi diventa una diminuzione della nostra rilevanza, anche per le aziende che poi producono e distribuiscono il pesto nel mondo. Ed è proprio per questo che il Campionato lavora proprio sulla tradizione della genovesità, ma insomma dell'italianità perché poi per lo straniero le distanze si attutiscono, e anche della ricetta proprio perché per noi è importante che il pesto genovese sia fatto con materie prime italiane e non con materie prime qualsiasi, diciamo industriali straniere.
  È un evento flessibile, nel senso che può essere riportato in situazioni piccole e mirate, per esempio siamo stati ospiti della Camera di commercio di Belfast, dove abbiamo parlato dei nostri prodotti e delle nostre tradizioni nell'ambito di un piccolo evento ovvero di eventi come quello ultimo di Alicante o di Columbus in Ohio, città gemellata con Genova, dove invece il pubblico che assisteva era composto da migliaia di persone. Quindi c'è questa flessibilità che consente di dosare anche lo sforzo in base alla quantità e il numero di spettatori che sono presenti.
  Sono innumerevoli anche le partecipazioni a programmi televisivi italiani e stranieri, basti pensare che siamo stati ospiti a Columbus dell'Abc, che è una tra le più importanti rete nazionali degli Stati Uniti.
  Il lavoro che sta facendo l'Associazione Palatifini è proprio quello di mantenere salda la tradizione, l'italianità del pesto, e di mantenere salda la ricetta del pesto al mortaio.
  Cosa serve all'Associazione Palatifini per proseguire in questo suo discorso? Al di là dell'appoggio importante della Camera di commercio di Genova che è sempre stata al fianco dell'Associazione Palatifini, e oggi a maggior ragione ne ha la titolarità. Sarebbe utile secondo noi essere coinvolti in eventi nazionali e internazionali che servono a promuovere quello che è il made in Italy, proprio perché l'evento si presta a promuovere non soltanto il pesto in quanto tale ma a promuoverne gli ingredienti come prima cosa, e poi è proprio un faro che illumina qualsiasi tipo di evento perché è un qualcosa di leggero, tra virgolette, per quello che poi invece va a comunicare, che sono i valori profondi della nostra tradizione.
  Qualche anno fa l'Associazione ha promosso anche la domanda all'Unesco per fare della tradizione del pesto al mortaio patrimonio immateriale dell'umanità. Riteniamo che anche questa può essere un'azione da proseguire, proprio perché in mancanza di altre forme di tutela comunque un riconoscimento di questo tipo non sarebbe altro che utile alla filiera e al sistema.
  Grazie.

Pag. 25

  PRESIDENTE. Intanto faccio i complimenti per l'informazione che avete dato sulla vostra Associazione. A parte la partecipazione a eventi, magari nel position paper che ci inviate, o se magari vuole aggiungere qualcosa, se può fornire qualche suggestione su quelle che potrebbero essere le attività per valorizzare all'estero, penetrare maggiormente i mercati esteri, oppure per contrastare la contraffazione o in qualche modo l'utilizzo improprio di questa eccellenza italiana e in particolare ligure.

  ROBERTO PANIZZA, presidente dell'Associazione Palatifini. Diciamo che purtroppo il pesto in quanto tale è difficilmente tutelabile perché ormai è diventato un termine di uso comune, e da nome proprio di salsa è diventato proprio un nome che definisce qualsiasi salsa vegetale venga proposta e confezionata. Questo sicuramente è un problema.
  Ed è proprio qui la chiave secondo noi, abbiamo forse un po' precorso i tempi proprio lavorando sulla comunicazione. Perché la coscienza dei consumatori, che in Italia sta crescendo e si sta facendo sempre più attenzione alle materie prime e agli ingredienti, che devono essere sempre di maggiore qualità nella produzione del pesto, è la chiave di lettura.
  Non ci si può difendere con una legislazione, perché per esempio le salse non sono previste nell'elenco degli alimenti tutelabili da una DOP o da una IGP, e questo è un limite ma fa parte proprio della legislazione europea.
  Sapevo che era stata fatta in passato una richiesta, oppure era stata immaginata una richiesta insieme alla Francia che voleva tutelare la senape di Digione, ma poi questa cosa è stata abbandonata. Per cui riteniamo che proprio soltanto la comunicazione sia la chiave che possa quantomeno dare un'identità, un primato al pesto prodotto in Italia e alla salsa italiana e ai suoi ingredienti. Questa è un po' la mia visione della situazione, è difficile intervenire a mio parere in altri modi.
  Però questa operazione sta riuscendo. Adesso mi sono permesso di sintetizzare molto, magari nel documento che invieremo saremo più dettagliati, ma abbiamo molti segnali che ci dicono che questa azione sta avendo successo. Perché c'è sempre una maggiore attenzione da parte dei consumatori, o ancora meglio da parte dei buyer delle grandi catene internazionali, all'originalità del pesto. Per dire, una grande catena inglese, la seconda catena della distribuzione inglese che è Sainsbury's, ha nel suo assortimento a proprio marchio due salse chiamate pesto: uno è il Basil Pesto e l'altro è il Genoa Pesto. Nel Genoa Pesto sono inseriti gli ingredienti giusti (il pecorino, il parmigiano reggiano), che invece nel Basil Pesto non ci sono, e con due prezzi anche diversi. Quindi vuol dire che in Inghilterra ormai dieci anni fa una persona si è resa conto che il pesto può essere qualcosa di più di un composto verde che si può utilizzare per la pasta e non solo, ma c'è un contenuto da rispettare, un contenuto culturale e gastronomico da rispettare.

  PRESIDENTE. Grazie. C'era l'onorevole Ilaria Cavo che voleva intervenire. Prego.

  ILARIA CAVO. Grazie presidente. Ho una domanda molto rapida. Perché chiaramente Roberto Panizza rappresenta sia il Campionato mondiale del pesto, che è un grande evento che valorizza chiaramente il pesto, ma anche, sostanzialmente, il pesto in quanto grande prodotto di eccellenza a livello nazionale.
  La domanda è: di che cosa sostanzialmente c'è bisogno per sostenerli entrambi, sia il pesto in quanto prodotto di eccellenza sia l'evento in quanto occasione internazionale che può essere importante veicolo del made in Italy?

  ROBERTO PANIZZA, presidente dell'Associazione Palatifini. Grazie. Sicuramente abbiamo bisogno di un riconoscimento sempre maggiore da parte delle istituzioni nazionali, da parte dei consorzi, da parte di tutti coloro che fanno parte di questa filiera del pesto.
  Il Campionato: un uomo di marketing francese l'ha definito un grilletto, un piccolo oggetto che fa partire una grande Pag. 26esplosione. Quindi è una scusa di per sé, non è fine a se stesso, ma può essere utilizzato proprio per promuovere tutto quello che ruota intorno al made in Italy. Per cui sicuramente il fatto di poter godere di spazi, di supporto a livello nazionale e internazionale non farebbe altro che poi portare acqua buona al mulino del made in Italy nel suo complesso.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre richieste di intervento, ringrazio il rappresentante dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio) intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante dell'Associazione Palatifini (Campionato mondiale del pesto genovese al mortaio) (vedi allegato 7) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Lucio Bernini, direttore responsabile del Consorzio, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  LUCIO BERNINI, direttore responsabile del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP. Grazie presidente. Grazie per l'opportunità che ci date per spiegare ciò che rende necessario lo sviluppo di quello che è il nostro prodotto e il nostro territorio.
  Noi abbiamo ottenuto nel 2015 una tutela europea IGP molto particolare. Perché inizialmente noi abbiamo voluto tutelare il nostro territorio, ovvero abbiamo voluto difendere quella che è l'identità della nostra città, Recco, perché dagli anni Novanta si verificava un'espansione incontrollata del prodotto che non corrispondeva alla qualità servita e offerta nella nostra città.
  Da questo è partita una richiesta IGP, che è molto particolare perché anziché rivolgersi e cercare di conquistare i mercati e cercare di trovare una collocazione nell'ambito della globalizzazione, noi invece vogliamo offrire l'opportunità di trovare un made in Italy in Italia: cioè nel senso di trovare il vero prodotto che risponde alla tradizione e alla storicità nei luoghi dove è nato ed è diventato famoso.
  Abbiamo ottenuto l'IGP grazie alla rinomanza del nostro prodotto e nell'arco del tempo abbiamo visto che comunicando a livello internazionale siamo riusciti a crescere, a crescere in maniera molto positiva.
  Presidente, tenga conto che Recco è nata dopo i bombardamenti della II Guerra Mondiale e si è creata un ambito, che è quello della capitale gastronomica della riviera ligure, grazie al fatto che la focaccia col formaggio ha consentito al ristoratore di diventare grande imprenditore nel settore della ristorazione e fare in modo che questa diventasse una attrattiva in un territorio di alta valenza turistica.
  Che cosa succede e che cosa possiamo chiedere?
  Essendo un piccolo Consorzio, che è composto da attività produttive che non rientrano nell'ambito di quelle che sono i PSR (Piani di sviluppo rurale), siamo dei trasformatori e pertanto, purtroppo, non siamo inclusi tra i titolari del diritto a quelli che sono i sostegni, gli aiuti e le possibilità di promozione che ottengono normalmente il settore vinicolo, agricolo, olivicolo. Pertanto abbiamo visto che c'è una leggera lacuna in quello che si tratta proprio per quelle che sono le attività produttive, i trasformatori.
  Noi siamo un gruppo di trasformatori e chiaramente la possibilità di partecipare a Pag. 27bandi o di avere i sostegni per promuovere il «made in Italy», noi abbiam detto, perché certamente dobbiamo difenderci dalle imitazioni, dall'italian sounding; però anche quando dobbiamo avere in Italia l'ospite straniero, specialmente se particolarmente esperto del settore, bisogna offrire un prodotto che sia originale e all'altezza di quello che deve essere la fama e il merito del made in Italy.
  Ecco, diciamo che la nostra richiesta è solamente di essere vicini a quelli che sono i trasformatori.
  Noi dal 2017 promuoviamo un'iniziativa del Consorzio che si chiama Fattore Comune, e stiamo cercando di creare una sorta di rete tra questi produttori di focaccia di Recco, i Campofilone, Roccaverano eccetera, per fare in modo di avere un'imitazione di quello che già viene proposto quando in Italia si fa ad esempio Cantine Aperte.
  In Liguria abbiamo iniziato e collaboriamo attivamente anche al fianco del Consorzio Riviera Ligure DOP nella promozione di uliveti aperti. Noi però, e penso che qui ci sia l'unicità del nostro consorzio, siamo composti prevalentemente da ristoranti, cioè siamo uno dei pochi Consorzi che può vantare all'interno del sodalizio un numero consistente di ristoranti.
  Questo è quello che noi vorremmo chiedere alla Commissione: avere un'attenzione e un riguardo verso quello che può essere la comunicazione e la promozione verso l'estero, verso i Paesi dai quali proviene, in particolare, un turismo di qualità. Siamo in una zona di alta valenza turistica, siamo frequentati da tedeschi, americani, russi – anche se in questo difficile momento questi ultimi non sono presenti.
  Diciamo che abbiamo trovato una lacuna riguardo alla promozione in Italia per questi prodotti fatti da trasformatori, da attività produttive.
  Direi che ho concluso il mio intervento.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il rappresentante del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante del Consorzio Focaccia di Recco col formaggio IGP (vedi allegato 8) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Unione italiana food.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti di Unione italiana food, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Luca Ragaglini, vice direttore di Unione italiana food, ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  LUCA RAGAGLINI, vice direttore, di Unione italiana food. Chiedo di poter fare una veloce introduzione per poi passare la parola al nostro esperto, avvocato Cristiano Laurenza.

  PRESIDENTE. Bene, proceda pure.

  LUCA RAGAGLINI, vice direttore di Unione italiana food. Innanzitutto, anche a nome del nostro presidente Marco Lavazza e del vicepresidente Paolo Barilla, vi ringrazio per averci voluto ascoltare e per il lavoro che state facendo per valorizzare le industrie italiane non solo in Italia ma anche all'estero, visto che si parla di made in Italy.
  Permettetemi pochi secondi solo per introdurre l'associazione, che è un'associazione nuova, di recente costituzione, ma che fonde tre storiche associazioni: l'Unione italiana pastai, pasta simbolo del made in Italy, l'Associazione dolciaria e la milanese, perché era l'unica con sede a Milano, AIIPA – Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari, che aveva tutta Pag. 28una serie di produzioni, dai caffè, surgelati, quarta gamma eccetera.
  Tenete presente che noi rappresentiamo venti comparti merceologici, siamo la prima associazione in termini di rappresentanza non solo a livello nazionale ma anche europeo. Abbiamo 550 aziende associate, con 45 miliardi di fatturato, 900 marchi. Per farla breve, se voi entrate in un supermercato il 70 per cento dei prodotti che vedete a scaffale sono rappresentati da noi.
  Ha un'altissima vocazione all'export 15 miliardi quasi di fatturato sono dedicati a questa importante fetta di mercato. E le devo dire che anche all'interno dell'Unione europea, ma non solo all'interno dell'Unione europea, siamo il secondo Paese esportatore dopo la Germania a livello mondiale. Quindi siamo una realtà grazie alle nostre imprese, che ci onoriamo di rappresentare, molto importante.
  Vado subito a introdurre un paio di criticità, sicuramente ne hanno parlato già le associazioni che ci hanno preceduto.
  Primo l'italian sounding, che è veramente una mannaia che abbiamo, un grosso problema che ci frena sull'export. Tenete presente, veniamo adesso dalle feste natalizie, panettone e pandoro sono prodotti italiani per eccellenza, la punta dell'iceberg della tradizione dolciaria italiana: abbiamo in Brasile un produttore che in termini di numero di pezzi è il più alto produttore al mondo, e stando in Sud America sul mercato americano dà parecchio filo da torcere ai nostri imprenditori che invece adottano un disciplinare ben preciso, che rispetta la tradizione, con prodotti che assomigliano ma non hanno nulla a che fare. Questo è solo un esempio, ma ne abbiamo tantissimi.
  Altro tema che ci sta particolarmente a cuore, che è una minaccia e tutti ne parlano, anche i giornali e le emittenti televisive, è quello dell'etichettatura fronte pacco.
  Ovviamente anche noi, in linea con la posizione governativa, abbiamo fortemente supportato un sistema che è di tipo informativo, che non dà un giudizio buono-cattivo – semaforo rosso-semaforo verde – ai prodotti, proprio al fine di consentire al consumatore di migliorare anche la conoscenza ma poi scegliere sulla base della propria dieta che, ovviamente, è personalizzata.
  Sugli altri elementi di criticità passo la parola al nostro avvocato Cristiano Laurenza, per una sua sintesi. Poi siamo a disposizione per le domande.

  LUIGI CRISTIANO LAURENZA, responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food. Grazie presidente. Prima di passare agli altri punti critici volevo fare una piccola digressione ulteriore sull'aspetto relativo all'italian sounding, che veramente rappresenta per noi un problema serio. Immaginate prodotti come la pasta, esportati in tutto il mondo, siamo i maggiori esportatori al mondo e ci troviamo di fronte competitor che scimmiottano i nostri prodotti e quindi l'italianità di questi prodotti, prospettando al consumatore locale ma anche al cliente locale prodotti a base di pasta che sostanzialmente non sono italiani, attraverso raffigurazioni grafiche e pittoriche che evocano l'italianità (musei italiani, paesaggi italiani e quant'altro).
  Per quanto riguarda la pasta noi siamo il primo Paese esportatore al mondo, esportiamo addirittura il 62 per cento della produzione interna, e quando andiamo nei mercati esteri il consumatore locale o il distributore locale è confuso effettivamente circa l'origine del prodotto, perché molti produttori esteri presentano il loro prodotto con riferimenti grafici e pittorici che evocano l'italianità quando questi prodotti italiani non sono.
  C'è anche il fenomeno addirittura della contraffazione che riguarda brand storici della nostra produzione. Ieri ero in un'azienda di prodotti dolciari e di distillati, e loro nella loro bacheca riportavano tutta una serie di imitazioni che hanno raccolto negli anni. È veramente impressionante il numero di queste imitazioni.
  Quindi sono fenomeni che secondo noi vanno fortemente contrastati attraverso mirate politiche di informazione e promozione al consumatore estero. Dobbiamo cercare di spiegare ai consumatori esteri quali sono le caratteristiche dei nostri prodotti, dal punto di vista nutrizionale e dal punto Pag. 29di vista produttivo, e dobbiamo cercare di avviare una pianificazione di medio e lungo termine che ci consenta appunto di far conoscere questi prodotti e di organizzare le nostre campagne. Sarebbero altresì auspicabili misure ispettive efficaci che consentano appunto di individuare chi effettua queste contraffazioni o chi si rende protagonista di queste imitazioni.
  Per quanto riguarda gli altri problemi, segnalo che ci sono altre criticità. In particolare abbiamo criticità relative agli ostacoli al commercio verso i Paesi terzi, e questi ostacoli sono rappresentati sia dalle barriere tariffarie sia dalle barriere non tariffarie.
  Le barriere tariffarie: ad esempio abbiamo una tassazione sul tonno in olio verso gli USA del 35 per cento, quando l'Unione europea ha una tassazione del 24. Quindi, ecco, rispetto a queste situazioni richiediamo degli interventi atti ad armonizzare anche la tassazione.
  La pasta: dal 1996 abbiamo dazi antisovvenzione e antidumping che sono lì in essere e che procurano un grave danno alle nostre esportazioni. Ho rappresentato prima quanto sia importante l'esportazione di pasta negli Stati Uniti, nel 2024 è ora prevista la sunset review, che è una revisione amministrativa quinquennale e noi speriamo che il MAECI ci dia un grande supporto in quell'occasione per contrastare questa tassazione. In un mercato per noi strategico, perché gli Stati Uniti dopo Germania, Francia e UK rappresenta il principale Paese di sbocco. Io sto parlando della pasta, ma questo riguarda anche tanti altri prodotti alimentari che sono rappresentati dall'Unione italiana food.
  Quindi è auspicabile un rafforzamento degli accordi di libero scambio. Sappiamo che il periodo della pandemia ha rallentato un po' questo processo, ma sono stati ripresi degli accordi, soprattutto con i Paesi area Asia, Pacifico e America Latina, che ci lasciano ben sperare per il futuro.
  Per quanto riguarda le barriere non tariffarie, queste sono dovute molto spesso a una cattiva o non corretta interpretazione degli accordi ricompresi negli accordi GATT. E sostanzialmente, se pensiamo ad esempio ai prodotti notificati al Ministero della salute, gli integratori alimentari, i prodotti addizionati di vitamine e sali minerali, i prodotti destinati ai celiaci, tutti questi prodotti molto spesso vengono accompagnati da un certificato sanitario che non viene riconosciuto alle dogane e quindi viene bloccata l'esportazione. Il Ministero della salute deve emettere un certificato di libera circolazione, però effettivamente tutto questo rappresenta un problema molto importante.
  Abbiamo anche situazioni in cui ci è addirittura negato l'accesso al mercato: pensiamo agli ingredienti a base di carne bovina contenuti nei prodotti (tortellini ripieni di carne o lasagne o prodotti pronti per il consumo), che vengono esportati ad esempio negli Stati Uniti che non accetta questo tipo di prodotti. Anche in questa prospettiva abbiamo bisogno quindi di un maggior coordinamento tra le istituzioni, l'inclusione del Ministero della salute all'interno del Comitato interministeriale per il made in Italy, perché il Ministero della salute ha una competenza specifica in materia e può dare un supporto valido in questa prospettiva.
  E poi sarebbe auspicabile un rafforzamento delle sedi diplomatiche in tutti i Paesi presso i quali siamo presenti e degli uffici ICE in tutto il mondo, che lavorano bene – ci lavoriamo bene da tanti anni –, ma è importante sostenere una tenuta del sistema in modo tale da favorire anche l'interscambio di informazioni e di attività.
  L'ultimo aspetto, e poi penso siano esauriti i minuti a nostra disposizione, riguarda gli ostacoli burocratici. Questo è un tema ormai annoso, un tema ricorrente. Noi sappiamo da un rapporto della Banca mondiale, il Doing Business 2020, che nella facilità di fare impresa l'Italia si colloca al 58° posto su 190 Paesi, ed è al di sotto di tutta la media europea: riteniamo che abbiamo invece bisogno di poche regole chiare che vengano fatte rispettare.
  In questa prospettiva la semplificazione degli atti e delle procedure della pubblica amministrazione genera e sviluppa sicuramente un effetto positivo sull'attività economica, e anche una facilitazione dei rapportiPag. 30 tra le amministrazioni esistenti va nella stessa direzione.
  Quindi queste sono un po' le criticità e gli auspici, in un contesto in cui per noi il made in Italy è un asset fondamentale, l'italianità e gli stili di vita che noi esportiamo in tutto il mondo, che sono soprattutto poi il portato del saper fare degli imprenditori italiani.

  PRESIDENTE. Chiedo se vi siano interventi tra chi è collegato. Non vi sono interventi, allora intervengo io.
  Ha parlato prima delle ambasciate e il loro rafforzamento, cosa già evidenziata anche da altri auditi. Ma oltre al rafforzamento che cosa possono fare ambasciate e consolati all'estero? Devono magari crearsi delle strutture per spingere le eccellenze italiane? Collegarsi alle camere di commercio? Cioè, dal punto di vista pratico quali sono le proposte? Perché ovviamente la rete delle ambasciate e dei consolati, tra virgolette, può essere una macchina propulsiva del sistema Italia molto importante.
  Poi sulla questione delle complicazioni e quindi della necessità di semplificare, se si può eventualmente essere più specifici con degli esempi di interventi pratici: per esempio sui vini, precedentemente, ci è stato prospettato un caso. Dopodiché nei contributi scritti che eventualmente ci consegnerete sarebbe utile puntualizzare questi aspetti. Segnalo, infatti, che in realtà questa indagine conoscitiva dovrebbe essere propedeutica a un disegno di legge sulla valorizzazione del made in Italy e la tutela del made in Italy, e che, quindi, maggiori e circostanziati sono gli spunti pervenuti più efficace è il contributo che la Commissione può fornire per aiutare il Governo a legiferare nel senso giusto, quindi anche nel senso della semplificazione. Grazie.

  LUIGI CRISTIANO LAURENZA, responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food. Per quanto riguarda il rafforzamento delle sedi diplomatiche, quello che noi vediamo è che rispetto a un problema che si può verificare in un Paese, con il quale abbiamo un rapporto commerciale, quello che manca forse è un maggior coordinamento tra uffici ICE e sede diplomatica, ma soprattutto un dialogo tra la sede diplomatica locale e la politica locale che consenta un abbattimento delle problematiche. Questo sia in fase reattiva, cioè c'è un problema e lo vado a risolvere, sia in fase proattiva: vado ad avviare un dialogo per risolvere un problema che so essere o potenziale o reale.
  Per quanto riguarda il tema della burocrazia, devo dire che è un aspetto che sì riguarda il mondo dell'alimentazione – ad esempio noi ci siamo fortemente battuti con successo per l'abolizione dei registri di carico e scarico delle paste alimentari, quindi del grano e delle sostanze zuccherine, che creavano non pochi problemi nella tenuta contabile e nella gestione generale delle aziende, e questo è un esempio positivo di qualcosa che è stato risolto attraverso la semplificazione – però è chiaro che fare impresa in Italia ha tutta un'altra serie di problematiche che credo riguardino anche altre produzioni e che pone l'imprenditore in una condizione deteriore rispetto a suoi colleghi stranieri. È chiaro che è un tema molto delicato che va approfondito, e senz'altro se avremo l'occasione riusciremo, anche con altre rappresentanze, a fornirvi qualche elemento di dettaglio. Però sostanzialmente è questo.

  LUCA RAGAGLINI, vice direttore di Unione italiana food. Tenete presente che in termini di controlli, anni fa facemmo un'indagine, un'azienda alimentare subisce dai 25 ai 28 controlli di enti diversi (cioè dalla polizia municipale, l'ASL, la Finanza, i carabinieri del Nas del Nac). Cioè, va benissimo, però anche lì una razionalizzazione è auspicabile: vengono, controllano, un ente e tutto, e anche per l'azienda significa essere più efficiente. Poi magari saremo più precisi. Ripeto: facemmo proprio un'indagine, ovviamente per cercare di razionalizzare anche i controlli che sono propedeutici anche alla qualità e alla sicurezza.

  LUIGI CRISTIANO LAURENZA, responsabile dell'Area economia ed internazionalizzazione di Unione italiana food. Ci sono tra i 15 e i 21 organi di controllo, negli altri Paesi non è così.

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  LUCA RAGAGLINI, vice direttore, di Unione italiana food. Diversi tra loro e alcuni che si aggiungevano, quindi è una cosa abbastanza complessa da affrontare.

  PRESIDENTE. Questo è importante: se inserite questo aspetto nella relazione è cosa utile per individuare in qualche modo dove si può riuscire a sburocratizzare e semplificare per dare una mano all'impresa e consentire loro di occuparsi più del core business piuttosto che degli aspetti burocratici.
  Non essendoci richieste di intervento, ringrazio i rappresentanti di Unione italiana food intervenuti. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Unione italiana food (vedi allegato 9) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione liutaria italiana (ALI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione liutaria italiana (ALI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi. Invito chi interviene a volerlo fare sinteticamente, in modo da lasciare più spazio possibile alle domande dei commissari, riservando gli ulteriori approfondimenti ad un eventuale contributo scritto che verrà volentieri acquisito ai lavori della Commissione.
  Do la parola a Lorenzo Frignani, presidente dell'Associazione liutaria italiana (ALI), ricordando che il tempo complessivo a disposizione per l'intervento è di circa dieci minuti. Grazie.

  LORENZO FRIGNANI, presidente dell'Associazione liutaria italiana. Parto da una premessa, contenuta nell'invito che mi avete trasmesso via mail, cioè che l'Italia è il paese delle eccellenze: quindi la cucina, la moda, il design, l'artigianato, i paesaggi, i beni architettonici eccetera. Sostanzialmente una biodiversità che non ha pari nel mondo, e questo direi che è una questione poco discutibile.
  Bene, a questo aggiungo la musica, la sua tradizione vocale e strumentale, che attraverso i suoi rappresentanti storici ha convinto, nella qualità delle proposte e nei contenuti, tutto il mondo.
  Il made in Italy è conosciuto a livello globale come espressione di eccellenza, ma dobbiamo fare attenzione a non rischiare di usare il verbo essere al passato: cioè è stato un qualcosa di eccellenza se non verranno attuate le giuste direttive sia ministeriali in primis che regionali di salvaguardia di questa preziosa risorsa che è l'artigianato italiano d'arte, a cui è collegato anche il mondo della musica.
  Venendo al settore strumenti musicali, dove io appunto vengo a rappresentare l'Associazione liutaria italiana, che è una delle associazioni presenti sul territorio, la liuteria è uno di quegli ambiti di artigianato artistico dove l'Italia ha un ruolo guida dovuto a una storicità che non ha eguali. «Chitarrai e violinai», come venivano definiti all'epoca, che attraverso le botteghe storiche che ne definiscono le caratteristiche costruttive già dal cinquecento, sostengono questa tradizione fino ai giorni nostri, grazie alle botteghe e alle figure di artigiani valenti e coscienziosi. Grazie anche alle strutture storiche di gestione della qualità artigianale, alle «congregazioni» di arti e mestieri, che come nella pittura e nella scultura, sostenevano e procacciavano lavoro distribuendolo in base alle rigorose capacità artistiche delle botteghe riconosciute.
  È una tradizione che parte 500 anni fa nelle zone del bresciano, poi si estende a Cremona, zona che molti di noi e molti di voi conoscerete, perché quando io cito le parole Stradivari, Guarneri eccetera, sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, cioè di quelle che sono state figure estremamente rappresentative di quella che è l'arte nell'ambito della quale svolgo da tanti anni la mia attività professionale.
  Arrivando poi anche in ultima analisi a quella che è stata la tradizione emiliana Pag. 32che dalla dinastia di una famiglia definita dei Fiorini, attraverso la donazione di cimeli derivati dalla bottega di Stradivari alla città di Cremona all'inizio del Novecento, ha fatto sì che proprio in questa città partisse una tradizione che ancora oggi ha un rilevante impatto sull'economia di questa città.
  La realtà odierna. Oggi come allora la liuteria italiana è la più ricercata al mondo, questo sia per la produzione contemporanea che per la produzione storica. Il mercato europeo, ma in particolare il mercato oltre oceano (americano e asiatico in particolare), hanno come riferimento la produzione italiana e a seguire quella più genericamente europea. Questo ha dato origine a scuole di formazione più o meno professionali, che dagli anni Settanta-Ottanta si sono promosse per la formazione delle nuove generazioni di liutai.
  Cito in ordine di memoria ma non di importanza un elenco di realtà formative attualmente presenti sul territorio nazionale. Abbiamo appunto Cremona con l'Istituto Stradivari, Milano con la Scuola Civica di liuteria, Gubbio in provincia di Perugia con la scuola dei maestri liutai di Gubbio, Torino con l'Accademia di liuteria piemontese San Filippo, Sesto Fiorentino con la Scuola di liuteria Fernando Ferroni, Pieve di Cento con la Scuola di artigianato entro il quale c'è il corso di liuteria, Noceto (Parma) con l'Accademia Scrollavezza di liuteria.
  A queste realtà si affiancano anche realtà associative che promuovono culturalmente e commercialmente il manufatto italiano. L'ALI, di cui sono rappresentante oggi, l'Associazione liutaria italiana che è nata nell'80 e che oltre a un folto numero di appassionati vanta un centinaio di soci professionisti, una rivista semestrale «Liuteria-Musica-Cultura» e uno statuto deontologico di ammissione alla sessione professionisti e promotrice di eventi nazionali e internazionali (in Giappone, Corea del Sud, Australia, Cina e America per citarne appunto alcuni).
  Il Consorzio Liutai «Antonio Stradivari» Cremona nato nel 1996 allo scopo di promuovere e valorizzare la liuteria contemporanea cremonese. L'ANLAI, associazione nazionale liuteria artistica italiana (costituita nel 2000 e formata soprattutto di appassionati del settore e promotrice di eventi nazionali).
  A queste realtà commerciali di promozione del manufatto italiano si affiancano anche Cremona Mondomusica, che negli ultimi anni è l'unica manifestazione europea rimasta in vita nella promozione degli strumenti musicali a tutto tondo (dagli strumenti ad arco, a pizzico, a fiato, a tastiere eccetera) che si tiene a Cremona. Il REG Roma Expo Guitars, che ha contribuito a far conoscere a livello internazionale gli artigiani liutai italiani di strumento artistico, che ora sono presenti nelle vetrine più prestigiose e rappresentative al mondo, grazie anche al supporto dell'Istituto del commercio estero di Roma.
  Queste sono alcune delle realtà che hanno portato oggi ad avere in Italia circa 300 botteghe ufficiali di liuterie professionali, delle quali quasi la metà residenti nella sola città di Cremona, città ormai storicizzata dopo il 1937, che vanno comunque a rappresentare un made in Italy prestigioso e riconosciuto in tutto il mondo.
  Qualche dato: un articolo di Prima Cremona dell'11 luglio del 2019 riportava la stima del giro d'affari della sola Cremona di circa 7,7 milioni di euro lordo. Non è poca cosa per un settore di nicchia come quello della liuteria.
  Veniamo alla concorrenza internazionale. In Europa e nel mondo esistono anche altre realtà formative che si sono costituite negli ultimi decenni, attraverso le quali sono cresciute figure professionali che operano nel mondo della liuteria: in Germania, in Francia, in Finlandia, in Polonia, in Inghilterra, ma soprattutto in Cina su iniziativa e progetto di ex allievi della scuola cremonese. Da circa 25 anni, prima in sordina e poi in un continuo crescendo, il prodotto cinese si è insinuato nel mercato europeo forte di un basso costo. Inizialmente era calmierato da una bassa qualità del prodotto. Man mano crescendo, sia dal punto di vista qualitativo che dal rapporto qualità-prezzo, oggi il prodotto cinese copre buona parte delle aree di mercatoPag. 33 con un rapporto qualità-prezzo sempre più convincente e su una scala di numeri di produzione impressionante.
  A questo fenomeno si affianca la produzione proveniente dall'Est Europa, in particolare Romania e Ungheria, famosi luoghi per l'approvvigionamento dei legni di acero, molto usati soprattutto, anche storicamente, per la costruzione in particolare degli strumenti ad arco.
  Ma quali sono le difficoltà che si aggiungono a queste questioni?
  Sono le difficoltà relative ai materiali e alle leggi di protezione internazionale. Infatti a complicare i già delicati equilibri del settore della liuteria sono giunte le leggi di restrizione e protezione dei legni pregiati, provenienti in particolare dalle problematiche di protezione e conservazione delle specie in via d'estinzione.
  La convenzione CITES (Convention on International Trade of Endangered Species), ovvero la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, è una Convenzione internazionale firmata a Washington nel 1973, allo scopo di regolamentare il commercio internazionale di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione. Questione sacrosanta. Ma l'applicazione di queste restrizioni, per quanto giuste nel concetto, hanno causato una ricaduta burocratica che ha congelato per diverso tempo l'utilizzo di materie prime, come ad esempio i palissandri utilizzati per parti accessorie e anche per parti costitutive importanti e fondamentali degli strumenti musicali. Così come anche altri componenti, come l'avorio e alcuni tipi di madreperle, materiali spesso presenti nei manufatti storici.
  Di recente l'utilizzo e l'approvvigionamento del pernambuco, utilizzato principalmente per la costruzione degli archi degli strumenti ad arco, ha creato problematiche molto pesanti, almeno in prospettiva.
  Ora, immaginate i musicisti di tutto il mondo andare in giro con le orchestre o singolarmente tutti armati di permessi temporanei di esportazione a fini artistici, e file di persone agli uffici di rappresentanza del CITES a richiedere codesti permessi e tutti gli accessori burocratici perché si possiede una chitarra o un violino o un arco per suonare musica, come se si trattasse di spaccio di specie in via d'estinzione. Sarebbe un caos totale.
  Comunque dopo lunghe e difficoltose trattative con le commissioni internazionali, tramite uffici appositamente sovvenzionati dalle associazioni internazionali di categoria dei liutai, grazie anche a un accurato lavoro svolto in prima persona dall'ALLIANCE, che è un'associazione che si è occupata in prima persona di raccogliere le problematiche e le relative ricadute sulla questione degli strumenti, abbiamo ottenuto una provvisoria liberatoria di libera circolazione per gli utenti (musicisti professionisti e appassionati) per i prossimi tre anni. Dopodiché la questione sarà di nuovo ridiscussa, col rischio di ritrovarsi nella difficile situazione di dover documentare la lecita provenienza delle materie prime protette con cui sono costituiti gli strumenti sia nuovi che antichi.
  Proviamo a immaginare la mole di burocrazia che ne potrebbe seguire. Per non parlare delle difficoltà di regolamentare il possesso e le forniture di materia prima lavorata e non grezza. Quanto a livello europeo, quando si trattò di dichiarare agli uffici di competenza la quantità, al fine di regolamentarle, successe che purtroppo, per i tempi di un cambio di Governo e di conseguenza il riassetto delle figure ministeriali, slittò il termine dei tre mesi che era stato concesso per regolamentare il tutto. A questo si è sommato il fatto che la polizia forestale, l'organismo deputato a questo compito, è stato incorporato dai carabinieri con i relativi tempi di riassetto dell'organico, per cui almeno in Italia non siamo riusciti a inserire le quantità e le tipologie di legni da bonificare in sanatoria bonaria. Per fortuna che nel frattempo qualche specie lignea è stata riconsiderata regolare a vantaggio dell'attività liutaria. Ma il problema e la complessità in prospettiva sussistono ancora.
  Su questo argomento andrebbe aperto un tavolo di discussione e sensibilizzazione ministeriale prima della riunione triennale internazionale della Commissione CITES.Pag. 34
  Modalità e sostegno di progetti supportati da finanziamenti, eventualmente europei. Si consideri per iniziare il potenziale del turismo culturale che nasce da questa tradizione: abbiamo strutture museali come il Museo del Violino di Cremona, che raccoglie anni di storia della liuteria cremonese, ospita i «Friends of Stradivari», gli amici di Stradivari. Ovvero, a rotazione il museo ospita i prestigiosi strumenti musicali di questo importante liutaio storico provenienti da proprietà sia pubbliche che private, organizzandone anche momenti di ascolto e ricerca storica.
  Ma la musica e il suo strumentario lo troviamo rappresentato anche a Modena, Firenze, Milano, Roma e in molte altre città ove sono presenti importanti collezioni della storia della musica degli strumenti musicali.
  Un patrimonio che andrebbe digitalizzato in un progetto aperto di collaborazione fra le istituzioni sia museali pubbliche che le collezioni private. Queste ultime non dovrebbero essere troppo osteggiate da questioni burocratiche, ma invitate in maniera costruttiva a far parte di un progetto sociale e culturale condiviso. Questo faciliterebbe la fruizione e lo scambio dell'informazione, stimolando la mobilità turistica a visitare luoghi di rappresentanza con positiva ricaduta di quello che possiamo definire appunto il turismo culturale.
  Inoltre, promozione e sostegno alla creazione di sistemi di identificazione del prodotto made in Italy con sistemi di attribuzione certa dell'origine, attraverso per esempio un sistema di catalogazione in banche dati consultabili e/o all'ausilio di microchip inseriti negli strumenti musicali, come le carte di credito contengono le informazioni di attribuzione certa. Questo è un discorso ad esempio che sta iniziando a essere in corso d'opera e vi ho messo nell'allegato i riferimenti di progettualità che stanno nascendo con questa prospettiva.
  Istituzione di commissioni di controllo qualitativo regionali potrebbe essere una cosa molto utile per verificare il manufatto musicale. Il problema dei falsi ad esempio è nel nostro settore una piaga che va in qualche modo gestita e monitorata.
  Finanziamenti di sostegno a progetti regionali, finalizzati alla salvaguardia di questo patrimonio strumentale, e sostegno governativo alle scuole di formazione che devono essere implementate e stimolate e creare nuove risorse occupazionali.
  Per finire, promozione e sostegno a progetti di catalogazione e divulgazione digitale e cartacea della cultura musicale strumentale; sostegno alla creazione di progetti europei della carta del restauro, nota da tanto tempo e man mano sempre più perfezionata; e progetti di sensibilizzazione del significato di conservazione della tradizione storica e organologica degli strumenti musicali.
  Concludendo, revisione del percorso formativo con maggior spazio nei programmi anche educativi scolastici della cultura musicale e organologica.
  Vi ringrazio per il tempo che mi avete dato a disposizione.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento, ringrazio il rappresentante dell'Associazione liutaria italiana (ALI) intervenuto. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante dell'Associazione liutaria italiana (ALI) (vedi allegato 10) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.15.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

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ALLEGATO 4

  INDAGINE CONOSCITIVA SUL MADE IN ITALY
  COMMISSIONE X – CAMERA DEI DEPUTATI
  Audizione di AGROCEPI – Federazione Nazionale Agroalimentare
  7 febbraio 2023

  L'esigenza di tutelare le produzioni del Made in Italy accompagna da anni l'analisi e lo studio sui trend di crescita del mercato agroalimentare globale. Anche quest'anno il nostro settore si avvia a registrare un incremento a due cifre, portando l'export a oltre 60 miliardi. Il valore di questa cifra va ovviamente comparato con i gravi problemi internazionali legati alla guerra in Ucraina, all'embargo e alle difficoltà – almeno annunciate – di reperire materie prime e prodotti destinati alla produzione agricola (fertilizzanti). Questo quadro indica una tendenza positiva, ma che segnale anche le potenzialità non pienamente sfruttate.
  In particolare, l'export non riguarda tutti i comparti e tutti i nostri territori. Non tutte le nostre aziende riescono a sfruttare le opportunità e il valore (soprattutto economico) delle nostre produzioni ha ancora considerevoli margini di crescita, considerato che spesso i guadagni più significativi vengono fatti dagli importatori e dai distributori.
  Da anni Agrocepi si batte su due temi che consideriamo decisivi: a) l'alleanza tra le imprese che producono e che trasformano, attraverso lo sviluppo di filiere e reti d'impresa rompendo una rigidità tra settori produttivi oggi davvero incomprensibile; b) l'impegno a spostare risorse verso chi si aggrega, premiando chi condivide strategie e investimenti per lo sviluppo.
  Ormai sono politiche che incontrano le esigenze di tutte le imprese, non solo quelle più evolute. Ultimo esempio in ordine di tempo il successo del bando per la logistica agroalimentare e soprattutto la risposta eccezionale al V bando per le filiere, che ha registrato la partecipazione di più di 6.000 aziende raccolte in oltre 300 progetti, per un valore complessivo di oltre 10 miliardi di investimenti.
  In primo luogo, le politiche di tutela del Made in Italy devono coincidere con la tutela dei marchi Doc e Ipg e con lo sviluppo delle attività di tracciamento e di certificazione di tutte le filiere produttiva. Molte aziende si stanno da tempo organizzando attraverso modelli sempre più efficienti di tracciamento e di sistemi di qualità, che i consumatori ormai riconoscono facilmente e apprezzano. Valga per tutti il successo dei «marchi-ombrello», quello che oggi vengono definite le «private lablel», che incontrano il favore dei consumatori (ad esempio sugli scaffali della Gdo), soprattutto quando valorizzano prodotti di zone riconosciute come luoghi di eccellenza.
  Il secondo aspetto riguarda la capacità di accesso ai mercati e il sostegno pubblico all'internazionalizzazione. In gran parte i temi si concentrano intorno a due questioni prevalenti, da un lato la logistica e la capacità di raggiungere i mercati a costi accessibili, dall'altro lo sforzo finanziario richiesto alle imprese che esportano e il sostegno all'innovazione tecnologica e alla ricerca.
  Il terzo e ultimo aspetto riguarda l'aumento della capacità produttiva che ovviamente non è illimitata. I dati relativi allo sviluppo di Pag. 56alcuni mercati (il vino, i formaggi come il Parmigiano e il Grana Padano, la pasta e i prodotti da forno, l'olio e molti altri) ci spingono a guardare allo sviluppo di una rete di produttori primari in molti paesi che affacciano sul Mediterraneo e che hanno per storia e tradizione affinità profonde con il nostro modo di produrre e di trasformare. In questo senso bisognerebbe incominciare a ragionare di «produzioni mediterranee» e coinvolgere paesi oggi per noi strategici, e non solo per la nostra crescita produttiva e di mercato. Non sottovalutiamo, ad esempio, il trend di questi ultimi anni che ha visto molte aziende agroalimentari italiane investire in formazione del capitale umano di questi paesi e alla conseguente crescita del numero delle richieste di immigrazione regolare, che ha reso il sistema delle «quote» ormai obsoleto.
  L'altro grande tema che ci preme sottolineare in questa sede è come la componente agroalimentare (ristorazione di qualità e vino) è essenziale per l'attrazione turistica del nostro Paese. È cresciuto in questi anni – anche attraverso un'offerta specifica – la cultura della visita dei luoghi dove questi prodotti vengono realizzati. Il modello della degustazione in cantina, la crescita degli agriturismi, la riscoperta di borghi antichi, ha consentito in questi anni lo sviluppo di una clientela internazionale. La cura di questa fetta di mercato (potremmo definirla la societing foodies) dovrebbe avere l'obiettivo di creare una comunità di amanti del cibo italiano in tutto il mondo, e costruire una relazione diretta e duratura tra produttori e consumatori.
  È nostra convinzione che sarebbe utile ragionare del Made in Italy sia sul fronte dell'export, sostenendo le imprese intervenendo sul cuneo fiscale, condizione essenziale per essere più competitive rispetti alle altre imprese non italiane; sia sul fronte del mercato domestico, intervenendo in particolare sulla rete horeca e della ristorazione di qualità, a cui dovrebbe essere riconosciuto un credito d'imposta per aver privilegiato il Made in Italy, sulla falsariga di quello che è stato fatto durante la pandemia e che andò sotto il nome di «bonus ristorazione». In quella occasione fu riconosciuto il ruolo positivo di diversi soggetti (in particolare le filiere agroalimentari ed enogastronomiche aggregate in Rete d'Impresa e in Accordi di filiera) impegnati nella distribuzione di produzione a marchio DOP, Igp, Doc, Biologico e Marchi collettivi.
  Il Made in Italy può essere un modello vincente se dimostra di essere anche conveniente e non solo accessibile ai consumatori di alta fascia: «Il buono che costa il giusto».
  In questo senso i passi in avanti compiuti dalle nostre aziende in direzione degli ESG presentano dati ancora parziali e che comunque devono essere estesi all'intera comunità delle imprese agroalimentari. Ciò è ancora più importante se consideriamo che dobbiamo sostenere un confronto permanente oltre che sulla bontà anche sulla salubrità della dieta mediterranea. In questo quadro le vicende del «Nutri-Score» e la questione della etichettatura del vino offrono l'occasione per discutere di una strategia più ampia superando semplicemente l'idea di una difesa ad oltranza della «dieta mediterranea».
  In effetti abbiamo un problema più ampio di come le nostre imprese operano in ambito digitale, gestiscono i loro profili e la loro Pag. 57reputazione, utilizzano le possibilità offerte dalla rete e dall'influenza dei social sui comportamenti dei consumatori.
  Anche in questo caso pensiamo che occorra un progetto di ampio respiro in grado di offrire a tutte le aziende del settore di ottenere – a costi contenuti o addirittura nulli se pensiamo alla mole di dati che possiamo raccogliere – una «due diligence» sulla propria identità digitale, su come si è percepiti e su quello che andrebbe fatto per promuovere la propria immagine e sviluppare coerentemente la propria impresa.

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