XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Venerdì 12 gennaio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Senza Veli Sulla Lingua APS»:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 3 
Scotto Di Santolo Patrizia , vicepresidente dell'associazione Senza veli sulla lingua ... 3 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 5 
Ascari Stefania (M5S)  ... 5 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 6 
Scotto Di Santolo Patrizia , vicepresidente dell'associazione Senza veli sulla lingua ... 6 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 6 

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Questacittà Odv-Centro Antiviolenza "Spazio Donna"»:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 6 
Mainardi Maria Pia , presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna» ... 6 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 7 
Mainardi Maria Pia , presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna» ... 7 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 7 
Mainardi Maria Pia , presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna» ... 7 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 8 

Audizione di Vittoria Doretti, direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 8 
Doretti Vittoria , direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa ... 8 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 11 
Maiorino Alessandra  ... 11 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 11 
Valente Valeria  ... 11 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 11 
Doretti Vittoria , direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa ... 11 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII», in videoconferenza:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 13 
Simoncelli Laila , responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII» ... 14 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 16 
Simoncelli Laila , responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII» ... 16 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 16 
Ciambezi Irene , coordinatrice dei progetti anti-tratta e anti-violenza dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII» ... 16 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 18 
Leonardi Elena  ... 18 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 18 
Maiorino Alessandra  ... 18 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 19 
Sensi Filippo  ... 19 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 19 
Zanella Luana (AVS)  ... 19 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 19 
Simoncelli Laila , responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII» ... 20 
Ciambezi Irene , coordinatrice dei progetti anti-tratta e anti-violenza dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII» ... 20 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 21 

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Differenza Donna APS», in videoconferenza:
D'Elia Cecilia , Presidente ... 21 
Ercoli Elisa  ... 21 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 25 
Ascari Stefania (M5S)  ... 25 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 25 
Valente Valeria  ... 25 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 26 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 26 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 26 
Ercoli Elisa  ... 26 
Ascari Stefania (M5S)  ... 26 
Ercoli Elisa  ... 26 
D'Elia Cecilia , Presidente ... 29

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
CECILIA D'ELIA

  La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Senza Veli Sulla Lingua APS».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno, che è molto fitto, reca lo svolgimento dell'audizione di rappresentanti dell'associazione di promozione sociale Senza veli sulla lingua APS, avente sede a Milano ed impegnata nel contrasto alla violenza di genere e per fornire servizi gratuiti alle vittime. Segnalo che è stata trasmessa, per posta elettronica, a tutta la Commissione della documentazione di presentazione dell'associazione fornita dalle nostre audite. Sono anche stati trasmessi materiali relativi all'impresa sociale Freedom Power a favore dell'indipendenza lavorativa di cui le nostre audite potranno parlarci. Tale documentazione è anche disponibile sull'applicazione GeoCamera. A nome di tutti i commissari e le commissarie do quindi il benvenuto alla vicepresidente Patrizia Scotto Di Santolo, e alla dottoressa Marina Mattera. Nel ringraziarle per la disponibilità di intervenire ai nostri lavori, segnalo loro l'esigenza di contenere l'intervento illustrativo entro i dieci minuti per assicurare un congruo tempo per il dibattito con i commissari e le commissarie presenti o collegati da remoto. Do quindi la parola alla vicepresidente Scotto di Santolo.

  PATRIZIA SCOTTO DI SANTOLO, vicepresidente dell'associazione Senza veli sulla lingua. Grazie presidente, grazie spettabile Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere.
  L'associazione Senza veli sulla lingua nasce nel 2013 e quest'anno ha compiuto dieci anni di attività. Presente su scala nazionale attraverso sedi in tutta Italia, può contare su una squadra efficiente e consolidata di professionisti con una fitta rete di volontari sempre operativi nelle diverse sezioni. Per quanto riguarda la sua attività, nei dieci anni di vita ha dato aiuto e supporto a cinque mila donne e qualche volta anche sostegno economico.
  L'impegno e l'obiettivo dell'associazione Senza veli sulla lingua è quello di contrastare la violenza di genere in tutte le sue forme e manifestazioni, in modo particolare sulle donne, impegnandosi con un sostegno psicologico gratuito in tutte le fasi, quindi prima, durante e dopo, oltre a fare formazione sul territorio, nelle scuole, anche attraverso camminate di sensibilizzazione ed eventi mirati.
  L'Associazione Senza veli sulla lingua è consapevole, innanzitutto, che la famiglia è l'istituzione primaria da cui tutti apprendiamo cultura e modi di vivere, però riconosce il compito alla scuola di dover preparare i giovani di oggi, che saranno gli adulti di domani, e di formarli anche dal punto di vista emotivo. Dunque fondamentale è trovare il più possibile un equilibrio in modo da far crescere future generazioni consapevoli di poter gestire le proprie emozioni sapendo interpretarle e viverle; al contempo educare loro all'empatia in primo luogo verso se stessi, perché troppo spesso Pag. 4si leggono fatti di cronaca che riflettono la mancanza di un percorso emozionale.
  Quindi informare, prevenire e la formazione con e per i giovani è il cuore pulsante di Senza veli sulla lingua, attraverso professionisti, come avvocati, psicologi, magistrati, mediatori, linguistici, mediatori culturali ed interculturali. Vengono organizzati eventi, convegni, formazioni mirati con testimonianze dirette, casi pratici, laboratori, coinvolgendo tutti gli ordini scolastici dalle elementari alle università.
  Sul contrasto alla violenza di genere, proprio su questo tema l'associazione Senza veli sulla lingua è stata la prima realtà onlus che ha promosso, nel 2017, un format originale di prevenzione sentimentale, che si è tenuto nelle scuole superiori, patrocinato dal comune e dalla provincia di Prato, dal titolo «L'azione della rete nel contrasto alla violenza di genere, l'importanza del lavoro di rete». Ha coinvolto in diverse giornate, a partire da novembre fino a marzo, più di mille studenti in presenza. Un'esperienza che è stato un progetto pilota che poi è stato esportato in tutta Italia perché ritenuta percorso informativo e formativo per riflettere sui vari tipi di violenza, prima di tutto quella domestica.
  Sono seguiti poi, anche nel periodo del Covid, quindi nel 2021 e nel 2022, incontri on-line con gli studenti delle scuole medie superiori, arricchiti chiaramente da una serie di programmazioni che analizzavano dati statistici della violenza contro le donne per spiegarne le cause e i suoi effetti. La novità, proprio perché chiaramente si era on-line, è che l'associazione, per attirare l'attenzione dei ragazzi e far loro comprendere tutti i segnali da cogliere nel caso in cui si trovassero di fronte a vittime di violenza, propose loro, non soltanto un caso pratico di cronaca, ma fu consegnato agli studenti un questionario per capire esattamente quanta percezione essi avessero del fenomeno della violenza sulle donne e se ne comprendessero l'importanza.
  L'associazione Senza veli sulla lingua guarda anche agli operatori, è sensibile alle sollecitazioni degli operatori, che sono chiaramente le sentinelle chiamate ad operare nella prima emergenza. E quindi ha promosso, ad ottobre 2022, insieme alle forze dell'ordine (prefettura, questura, comando provinciale dei Carabinieri, il CIPM il Centro Italiano per la Mediazione Familiare) il mese della prevenzione, dal titolo «La prevenzione è la cura, i diritti delle vittime», una serie di ben cinque incontri per affrontare il tema della violenza in tutte le sue parti. Non soltanto sulle donne, ma che coinvolgeva anche i minori.
  Quindi si è partiti dal quadro normativo a livello nazionale sulla violenza contro le donne, la normativa penale a tutela delle fasce deboli (necessaria ma non sufficiente). La violenza assistita, altro tema, quando la violenza è vista dagli occhi dei bambini. Il fenomeno della violenza di genere e la presa in carico dell'autore di reato, la presa in carico degli orfani di femminicidio e il protocollo Zeus.
  Sulla base di questo a Milano, nel 2023, è partito, presso la regione Lombardia, un progetto pilota, anche questo formativo, perché dopo il periodo del Covid, era necessario presentare ai ragazzi dei modelli positivi a cui ispirarsi, perché i ragazzi, gli studenti in generale, erano caratterizzati da alienazione da distanza forzata, quindi dovevano ritrovare la voglia di sognare, creare, imparare, attraverso esempi di donne e uomini italiani che in un passato recente avevano creato progresso e conoscenze del sapere. Quindi è venuta fuori l'eccellenza al servizio dei giovani con figure di riferimento quali Gae Aulenti, Alda Merini e Arrigo Castelli. Questo progetto ha fatto sì che dal mese di ottobre di quest'anno, insieme all'Assessorato alla sicurezza e all'Assessorato all'università di Milano Ricerca e Innovazione, è stata avviata una rassegna culturale che ha affrontato concretamente tematiche calde, come il bullismo, le baby gang, il Codice Rosso, i diritti delle vittime. E sono in cantiere già altri quattro eventi da presentare da gennaio a maggio.
  Comunque l'associazione Senza veli sulla lingua non è soltanto formazione e informazione, supporta leggi, disegni di legge, fa parte di tavoli tecnici.
  Per quanto riguarda una nostra iniziativa, ne segnalo una al Parlamento europeo, Pag. 5nella sala di Palazzo Campanari a Roma, dove si è svolto il 2 dicembre di un paio di anni fa un convegno promosso sempre dalla nostra associazione per discutere delle politiche europee e nazionali sulla violenza di genere e metodi di contrasto. Relatori giudici, giornalisti, avvocati penalisti e civilisti, medici, ma anche donne politiche impegnate nelle varie commissioni d'inchiesta sul femminicidio alla Camera, unitamente a rappresentanti delle forze dell'ordine che rivestono ruoli chiave nel RACIS (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche). Abbiamo appoggiato la legge Saman, e quindi il DDL dell'onorevole Stefania Ascari, che prevedeva l'inserimento del reato all'induzione al matrimonio forzato nel Testo Unico del Codice dell'immigrazione, nonché la possibilità per la donna che denuncia di cambiare cognome a seguito di denuncia. Inoltre l'onorevole Stefania Ascari, che ringraziamo, aveva impegnato il Governo, in occasione del 25 novembre, con una mozione unica su due disegni di legge proposti dall'associazione, il database e l'eliminazione dello scopo di risarcimento del danno nella costituzione di parte civile della vittima. L'associazione Senza veli sulla lingua è stata poi udita in forma scritta il 5 ottobre 2023, dalla Commissione Giustizia della Camera presso il tavolo tecnico in ambito della violenza di genere, quindi sul disegno di legge del DDL Roccella. Poi, il 15 giugno 2023, in presenza dalla II Commissione Giustizia della Camera dei deputati nell'ambito dell'esame riguardante la modifica al decreto legislativo del 20 febbraio 2006.
  L'associazione Senza veli sulla lingua, tra l'altro, ha partecipato come relatore a un convegno promosso dal notariato Comitato Pari Opportunità e Banca d'Italia sull'educazione finanziaria delle donne in stato di fragilità, perché l'uso del denaro e l'accesso all'impiego sono usati come mezzi di sopraffazione. Ecco perché le donne hanno minore accesso degli uomini al mercato del lavoro. Questo è un tema particolarmente sentito dall'associazione Senza veli sulla lingua, tanto che l'associazione guarda al futuro attraverso Freedom Power, l'impresa sociale che effettivamente è un passo in più, un passo in avanti perché bisogna in tutti i modi dare la possibilità alle donne di essere aiutate a ritrovare la loro autonomia dopo un percorso di violenze e sopraffazioni, soprattutto se non hanno una propria indipendenza economica. Freedom Power è chiaramente un'impresa sociale. Prima di Freedom Power la Sartoria Sociale è stato, diciamo, il progetto pilota, di cui abbiamo allegato anche il link, che in un certo qual modo ha fatto da apripista per quanto riguarda Freedom Power, perché le donne dell'associazione Senza veli sulla lingua si sono cimentate ad elaborare vestiti, abiti attraverso l'utilizzo di scampoli, avanzi e scorte di magazzino, hanno creato o ricreato dei vestiti meravigliosi e questa è stata per noi una grande soddisfazione. Sono a disposizione per le vostre domande, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, anche per la precisione dei tempi. Prego le colleghe e i colleghi commissari, presenti e connessi da remoto, di intervenire per porre quesiti nel modo più possibile sintetico e conciso. Ci sono interventi? Onorevole Ascari, prego.

  STEFANIA ASCARI. Grazie presidente. Io volevo innanzitutto ringraziare veramente l'associazione Senza veli sulla lingua per l'importante contributo che ha portato, ma soprattutto ringraziarla perché è stata una delle ideatrici della legge Saman Abbas, che consente di tutelare le vittime di costrizione al matrimonio forzato, dando loro la possibilità di avere un permesso di soggiorno immediato e quindi essere autonome e indipendenti da subito. Volevo mettere a conoscenza della Commissione questo importante lavoro fatto dall'associazione, che continua ancora oggi con questi nuovi progetti verso l'indipendenza economica. Quindi un ringraziamento particolare alla dottoressa Patrizia Scotto Di Santolo e alla presidente Ebla Ahmed.
  Se possibile, presidente, gradirei che l'associazione fornisse dei documenti, dei dati sulla statistica delle vittime che hanno modo di seguire, anche per dare a noi un quadro più completo della situazione. Ancora grazie per il lavoro che fate e che avete fatto.

Pag. 6

  PRESIDENTE. Grazie onorevole. Non ci sono altri interventi, non so se vuole aggiungere altro, è stata così esauriente.

  PATRIZIA SCOTTO DI SANTOLO, vicepresidente dell'associazione Senza veli sulla lingua. La ringrazio. Sono contenta, mi ha fatto molto piacere avere questa possibilità e non ho altro da aggiungere.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Chiaramente siamo ben contenti di ricevere, oltre a quanto ci avete già fornito, tutto il materiale e i dati che vi ha chiesto ora l'onorevole Ascari. Vi ringrazio, arrivederci.

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Questacittà Odv-Centro Antiviolenza "Spazio Donna"».

  PRESIDENTE. I nostri lavori proseguono con l'audizione dei rappresentanti dell'associazione Questacittà OdV-Centro Antiviolenza «Spazio Donna», sportello gratuito avente sede a Bassano del Grappa, membro della rete D.i.Re, che dal 2007 si occupa di prevenire e contrastare ogni forma di violenza fisica, psichica, sessuale o economica, e ogni discriminazione praticata nei confronti delle donne e dei loro figli minori.
  A nome di tutti i commissari do il benvenuto alla presidente Maria Pia Mainardi. Nel ringraziarla per la disponibilità a intervenire ai nostri lavori, segnalo l'esigenza di contenere l'intervento illustrativo entro i dieci minuti per assicurare tempi congrui al dibattito. Do quindi la parola alla presidente Mainardi.

  MARIA PIA MAINARDI, presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna». Buongiorno e grazie per l'invito. Noi abbiamo questo centro da quindici anni. È nato da una associazione in questa città ed era inizialmente sui diritti umani in senso lato, ma poi abbiamo deciso di rivolgere la nostra attenzione al problema delle donne, che erano abbastanza sole. Sono quindici anni che lavoriamo, lavoriamo in rete, abbiamo una rete in tutto il distretto, quindi lavoriamo con ventitré comuni attraverso diversi protocolli che poi, se credete, vi lasceremo. Protocolli che abbiamo firmato col prefetto, con il direttore dell'ULSS e con le forze dell'ordine, quindi è una iniziativa riconosciuta. Lavoriamo con tutte le assessore e adesso stiamo affrontando questi problemi dell'intesa, problemi molto specifici per noi, molto duri, soprattutto l'articolo 2.2. Noi abbiamo avuto un'esperienza di reperibilità per sette mesi, dataci dell'ULSS a mezzo dei finanziamenti del consultorio dell'ULSS, abbiamo quindi questa esperienza abbastanza gravosa. Ci pagavano 2 euro all'ora, quindi era una cosa piuttosto indecente, per stare in allerta notte e giorno, H24. Sappiamo cosa vuol dire lavorare ventiquattrore al giorno. Ora noi rispondiamo solo per le ore di giorno e un'altra associazione per le ore di notte e i festivi, però con queste economie non si può andare avanti.
  Le psicologhe hanno anche un altro lavoro, quindi non è possibile richiedere a 2 euro all'ora un servizio di questo genere, è indecente secondo noi. C'è il 1522, ci sono le forze dell'ordine, devono adeguarsi a questa possibilità di lavorare anche loro.
  E poi c'è il problema dei posti letto per queste donne, dei bed & breakfast con i quali noi ci allarmiamo perché proprio in questi giorni abbiamo molte richieste. Si sono quasi duplicate quest'anno rispetto all'anno scorso. Il caso di Giulia ha creato veramente molto allarme. Il posto letto per noi è determinante, come anche i finanziamenti per il centro antiviolenza.
  Noi abbiamo ricevuto l'avviso che c'erano i finanziamenti 2023-2024, però non abbiamo neanche ricevuto gli anticipi del 2023. Gli ultimi giorni di dicembre e i primi giorni di gennaio ci hanno dato solo l'anticipo di 12.000 euro per l'autonomia delle donne che avevamo nella casa rifugio, però tutto il centro praticamente non ha ricevuto un soldo nel 2023. Non è possibile andare avanti così, è un problema per la dignità del lavoro ed è un problema per la dignità delle nostre operatrici, la retribuzione che diamo loro.
  Tanto per capire su che numeri lavoriamo, con ventitré comuni l'anno scorso Pag. 7ne abbiamo accolte 214, quest'anno ne abbiamo accolte 241, sono quasi una trentina in più rispetto all'anno scorso. Sono donne dai diciotto agli ottant'anni, abbiamo anche molte donne anziane, dai sessantuno in poi, che vengono per verificare la loro vita precedente, perché hanno tenuto testa tanto tempo agli uomini. Di nazionalità italiana sono 142, contro le 43 straniere. E poi, come sapete, tutte le cose avvengono nell'ambito familiare.
  Questi sono i nostri problemi più grandi. I finanziamenti che non ci sono, cioè che ci dicono ci saranno, ma noi li dobbiamo ancora vedere. Non si può programmare, non c'è programmazione seria quindi, e non c'è neanche una retribuzione adeguata per i professionisti che lavorano con noi. Ci sono poi altri centri che hanno solo volontarie, chiedere le ventiquattrore, con la retribuzione che sappiamo ci mette veramente in difficoltà e lo diciamo.
  Noi lavoriamo con i comuni nella stessa linea di D.i.Re, che non ha seguito questa uniformità di richiesta dell'articolo 2.2. Siamo tutti in crisi anche nel Veneto. So che la nostra regione continua a risentire le altre regioni per capire come si stanno muovendo, però marzo 2024 ormai è domani e vorremmo capire come programmarci e cosa fare nei mesi venturi.
  Finora non abbiamo ricevuto risposte più precise in questo. Le disponibilità delle risorse sono molto poche. Qualche funzionario ci ha detto: «Ricordatevi che non potete sempre pensare che ci siano contributi pubblici, quindi dovete impegnarvi a trovare dei contributi privati». Con tutti i femminicidi che si verificano di giorno in giorno ci chiediamo se questa è una risposta da dare per la dignità del nostro lavoro. Un lavoro difficile, continuativo, un lavoro che si porta anche a casa perché è emotivamente coinvolgente.
  Quindi chiediamo più responsabilità nel pensare che lavoro stiamo facendo e soprattutto chiediamo di tener conto che c'è una rete di accoglienza e una rete che noi abbiamo costruito alla quale, però, va data formazione di anno in anno. Dal primo momento, quando abbiamo formato la rete, il primo protocollo, c'è stata una formazione abbastanza alta della regione. Però adesso, sia i pronto soccorso, sia le caserme, che si sono rinnovate, praticamente abbiamo una rete che non è formata sufficientemente. Teniamo molto alla formazione, quindi bisognerebbe rispondere a questo cambio in maniera adeguata tutti assieme.

  PRESIDENTE. Grazie presidente. Prego le colleghe e i colleghi commissari, presenti e connessi da remoto, di intervenire per porre eventuali questioni.
  Volevo intanto porne una io. Lei ha fatto riferimento ai finanziamenti e ai funzionari. Voglio capire se stiamo parlando della regione o sono i finanziamenti nazionali da pari opportunità, e se la regione rafforza questi finanziamenti con dei fondi suoi. Poi se la questione della reperibilità H24 è un problema di tutta la regione Veneto, perché in altre regioni si è risolto con il 1522, cioè attraverso il 1522 si garantisce. Io so che questo tema dei fondi è stato anche oggetto di una delle relazioni della scorsa legislatura. Comunque voi mettete il problema dell'intesa in relazione con la reperibilità?

  MARIA PIA MAINARDI, presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna». Sì, alla reperibilità e soprattutto alle case rifugio. Anche alle case rifugio perché noi provvediamo attraverso bad & breakfast, ma non sarebbero i luoghi più adatti per donne nel lungo periodo. Poi nei bad & breakfast non hanno mai il pranzo e quindi bisogna ottenerlo a mezzo della Caritas o a mezzo di qualcun altro, non è possibile questa cosa, bisogna essere più attrezzati. Vi lascio un po' di documenti.

  PRESIDENTE. C'è qualche collega che intende intervenire? Io ringrazio la presidente, non so se vuole dire qualcosa in replica.

  MARIA PIA MAINARDI, presidente dell'associazione Questacittà Odv-Centro Antiviolenza «Spazio Donna». Direi che i casi sono sempre più numerosi e questo ci mette in difficoltà per produrre una rispostaPag. 8 immediata. Spesso non è possibile. Magari la domenica abbiamo cinque donne in pronto soccorso che aspettano, noi siamo abilitati in un certo senso, perché il Rotary ci ha dato una stanza particolare all'interno del pronto soccorso, quindi abbiamo una stanza viola e la donna può restare lì qualche ora. Per settanta ore può rimanere al pronto soccorso. Queste settanta ore, che proprio sono un limite, ci permettono di provvedere alla donna. Ma provvedere se abbiamo le possibilità di provvedere, quello che dicevo prima. Quindi non sono sempre da casa rifugio, sono anche da tenere lontano dall'uomo.
  Sappiamo l'ultimo caso di Castelfranco, questa donna che è stata uccisa da un uomo che sapevamo tutti essere molto crudele, non si lascia una donna sola in quei giorni in cui la Procura deve ancora decidere. Se c'è uno stalker da solo nel paese piccolo bisogna custodire la donna in maniera adeguata o la casa rifugio o trovare dei parenti che non siano conosciuti da lui, ma non si può lasciare una donna sola. Noi siamo stati molto angosciati da questa situazione, che si poteva evitare. Conosciamo lo stalker, sappiamo che non dirime mai dal ricercare la donna, non si può lasciare una donna in casa. Era a casa dal lavoro ed era incinta, non si può lasciare una donna sola con lui che gira. Non è possibile, questo non deve avvenire più.

  PRESIDENTE. Grazie presidente. La Commissione bicamerale esiste anche per questo, per monitorare come vengono applicate le norme e anche che si faccia la necessaria formazione degli operatori e delle operatrici, non solo dei centri, ma anche delle persone che devono applicare le norme. Ancora oggi non riusciamo a prevenire dei reati che potrebbero essere prevenuti. La ringrazio molto e dichiaro conclusa l'audizione. Grazie.

Audizione di Vittoria Doretti, direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa.

  PRESIDENTE. I nostri lavori proseguono con l'audizione della dottoressa Vittoria Doretti, medica specialista in cardiologia ed anestesia e rianimazione, esperta in bioetica e direttrice dell'area dipartimentale e promozione etica della salute, Diversity Equity and Inclusion Manager, e presidente del Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità, per la valorizzazione del benessere sul lavoro e per il contrasto alle discriminazioni presso l'azienda USL Toscana Sudest. La dottoressa Doretti è anche responsabile della Rete Regionale Codice Rosa regione Toscana, un percorso di accesso al pronto soccorso riservato in particolare alle donne, bambini e vittime di crimini di odio. A nome di tutti i commissari e delle commissarie do anche il benvenuto alla dottoressa Sabrina Lelli che la accompagna. La dottoressa Doretti ci ha lodevolmente trasmesso in anticipo una memoria sui temi che tratterà, che è stata inoltrata per posta elettronica a tutta la Commissione, oltre a essere disponibile sull'applicazione GeoCamera. Come già segnalato nelle precedenti audizioni, nel ringraziare la dottoressa per la disponibilità ad intervenire ai nostri lavori, segnalo l'esigenza di contenere l'intervento illustrativo entro i dieci minuti per assicurare un tempo congruo al dibattito con la Commissione. Do quindi la parola alla dottoressa Doretti.

  VITTORIA DORETTI, direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa. La ringrazio vice presidente e ringrazio tutta la Commissione, lo staff della Segreteria in primis. È la prima cosa che voglio fare, sono stati gentilissimi veramente, la dottoressa è stata eccezionale, un'ottima organizzazione. Quindi io, la dottoressa Lelli e tutta la squadra siamo veramente onoratissimi e felici di essere qui.
  Vi devo confessare che mi sento un po' a casa, nel senso che ho collaborato negli ultimi dieci anni, ma anche nella precedente legislatura, con la Commissione, quindi sono ben consapevole dell'alto valore del lavoro che state facendo e sono felicissima. Ho preso qualche minuto, scusatemi, ma era veramente di cuore.
  Noi abbiamo inviato una memoria, che abbiamo elaborato in modo molto sintetico, e restiamo a disposizione anche successivamentePag. 9 per qualsiasi informazione. La prima cosa da dire è che noi non siamo un'associazione. Codice Rosa è semplicemente la sanità pubblica che, come medici, infermieri, amministrativi cioè come Stato, si adopera in presenza di una donna vittima di violenza, ma anche per i minori.
  Il Codice Rosa non è un colore. Voi sapete che i colori per noi sono sacri, quindi non è proprio un colore. I colori dell'emergenza sono ben determinati. Da vecchia anestesista rianimatrice – o come dice mio figlio lavoravo tanto per strada e mi divertivo tanto – il simbolo era una rosa bianca.
  Perché nasce Codice Rosa? Nasce oltre dieci anni fa, nel 2009, da un atto di grande umiltà, perché quello che appariva evidente in questa piccola provincia – e nella memoria avete i dati, abbiamo riportato i dati di questa provincia – era che noi, come sanità pubblica, quindi gli ospedali in rete di questa provincia, avevamo avuto soltanto due accessi in tre anni per violenze contro le donne, mentre nella stessa zona, nella stessa provincia, i centri antiviolenza parlavano di oltre duecento donne che si rivolgevano ogni anno ai loro centri di ascolto. Ma soprattutto la Procura della stessa provincia, con cui poi è nata la squadra, aveva ogni anno circa sessanta fascicoli inerenti alle violenze sessuali. Ovviamente potreste dirmi tutti: «Dottoressa, ma non tutte le violenze sessuali passano in pronto soccorso». Vero, però un dato incontrovertibile del Viminale all'epoca – si parla del 2009 – stimava una percentuale orientativa del 5 per cento. Quindi se sessanta erano le denunce, in quella provincia sessanta era il 5 per cento. E molte di loro, così come molte donne che si rivolgevano ai centri antiviolenza, avevano referti, erano state in pronto soccorso.
  Quindi c'è voluto un atto di grande umiltà per capire che, anche se noi avevamo ottime procedure, ci mancava qualcosa che ci permettesse di vedere quella realtà. Questo è stato l'inizio, è bastato veramente fare un passo indietro, cominciare a lavorare. Io ho preso spesso sette in condotta, quindi mi perdoni presidente se anche oggi sarò ribelle, nel senso ci sono tante reti, già anche all'epoca c'erano. Qual è la provincia che non ha una rete antiviolenza? Il problema è che alle reti dobbiamo dare corpo, anima ed essere convinti che sono temi di serie A, starci dentro. Non basta una firma.
  Noi abbiamo costituito una squadra molto forte all'inizio con le procure, la polizia giudiziaria, in profonda sintonia e sinergia con i centri antiviolenza. Che cosa è successo? Che il primo anno – come potete vedere – siamo passati a trecento casi di attivazioni di Codice Rosa in provincia di Grosseto. Il secondo anno oltre cinquecento. Quindi quella provincia bucolica – dove, ad esempio, io avevo scelto di far crescere i miei figli, visto che poi li portavo in giro per il mondo in zone di guerra per lavoro – non si è all'improvviso riempita di uomini delinquenti. C'era solo una fortissima capacità, anche nel posto più oscuro, meno adeguato, che è il pronto soccorso, di identificarli.
  Codice Rosa è stata definita una grande rivoluzione, perché poi si è diffusa in tutta la Toscana. In Toscana abbiamo fatto una rete addirittura tempo dipendente. Esattamente come la rete sull'ictus. Da questo, insieme ad altre esperienze, sono arrivate le linee guida, cioè dal gennaio del 2018 in GazzettaUfficiale sono uscite le linee guida, per cui tutte le aziende sanitarie territoriali dovrebbero applicare determinate metodologie, tra cui la stanza riservata, l'accesso prioritario e soprattutto il rapporto forte con la procura e i centri antiviolenza.
  Cosa è successo? Ad esempio in Toscana, attualmente, da quando tutte le aziende sono in rete e il protocollo è stato firmato con tutte le Procure di tutta la regione, abbiamo attivato oltre 28.000 Codici Rosa, dove nella stessa giornata abbiamo una percentuale molto bassa, fra le più basse d'Italia, di ritiro della denuncia. È molto semplice, da una parte, addestrare il personale a fare uno scrub sub ungueale. La linea forense, che è preziosissima, va ben eseguita. Poi ne parleremo, se volete, con le domande dopo.
  È molto più difficile – ci ha messo a dura prova anche il Covid e abbiamo risposto molto bene – continuare a pensare Pag. 10che anche in pronto soccorso, nel posto meno adeguato, dobbiamo avere una forza culturale per non far passare questo come un tema di serie B, tenerlo al centro della nostra attenzione, mutuando quello che dicono anche i centri antiviolenza: la donna al centro. Non è semplice, non è facile, eppure è un dovere. Le linee guida ci impongono di farlo. Poi sulle domande saremo disponibilissime.
  Abbiamo attivato un forte collegamento con il territorio. Rapporti sempre più stretti. Quando vi dicevo dare vita ai rapporti e a quella rete territoriale. Per esempio, la dottoressa Lelli si sta attivando moltissimo, come regione, per attivare le settantadue ore. Questo discorso delle settantadue ore è importante perché, voi sapete benissimo, quanto mancano i posti, ad esempio, nelle case rifugio, anche se per una donna andare in una casa rifugio è una scelta difficile, dolorosa, talvolta anche per i figli. In pronto soccorso facciamo un test molto rapido, che noi abbiamo proprio a livello nazionale, per capire che possibilità di recidiva c'è. Non è proprio una valutazione del rischio, ma qualsiasi collega in pronto soccorso lo può eseguire. Se è alta la possibilità di recidiva noi dobbiamo proporre immediatamente alla donna un'alternativa. In questo senso, con la dottoressa Lelli e in regione, ma anche a livello nazionale e in molti altri posti, abbiamo attivato delle situazioni «sollievo», dove la donna può andare al momento in cui esce dal pronto soccorso, se vuole, e stare settantadue ore o anche qualcosa in più. Qui poi prenderà la decisione se andare in una casa rifugio, se parlare con gli assistenti sociali, se fare la denuncia. Quindi è un po' come un momento che si prolunga. Infatti, lo finanziamo noi come sanità in quel momento, per poi poter essere presa in carico e in cura successivamente o da un centro antiviolenza o da assistenti sociali o altro. Non c'è tempo per raccontarvi molte sfaccettature, ma mi preme parlarvi anche del processo culturale.
  Codice Rosa è stato forse importante come esperienza, ripeto, di pubblico, di Stato, perché ha evidenziato due temi. Il primo è stato quello che non ci è bastato che qualcuno dicesse: «Benissimo Grosseto, bravi l'USL Toscana Sudest, dottoressa Doretti, un luogo di eccellenza». Su un tema come questo non ci può essere un luogo di eccellenza. Io ho lavorato spessissimo con la dottoressa Kustermann, conosciamo tutti la Mangiagalli, grandi ospedali, con grandi storie. Quello che, invece, Codice Rosa ha fatto e detto in modo molto forte è che ogni ospedale, anche il più piccolo, deve avere un perimetro di azione facile, perché le donne vengono violentate, picchiate anche a Cerignola, anche a Orbetello, anche a Sessa Aurunca, anche a Fivizzano.
  Quindi l'idea della rete e anche delle linee guida, su cui abbiamo indagato. Se volete nelle domande vi posso raccontare quella che è stata l'inchiesta sulla sanità e dove siamo arrivati. Comunque l'avete nel report. L'inchiesta non è stata conclusa ovviamente, ma ci ha evidenziato alcune criticità a macchia di leopardo e questo è quello che ancora c'è.
  Ogni pronto soccorso deve essere in grado di rispondere in modo adeguato, anche il più sperduto. Questo è un fatto. Sarebbe un po' come dire se arriva un arresto cardiaco in piazza Duomo a Firenze viene trattato in un modo, se c'è un arresto cardiaco nella spiaggia di Maratea, non viene trattato.
  Vi farò fare un sorriso. Diversi anni fa, già collaboravo con il Ministero della Sanità, sono andata a fare una conferenza in un grande ospedale, importante, dove c'è un grande primario di pronto soccorso, noto. Dopo aver sentito la mia relazione – io in quel momento ero anche sotto scorta tra le altre cose – si è alzato con imponenza – lo dico pubblicamente perché fa parte ormai della storia di Codice Rosa – e mi ha detto: «Dottoressina», e già qui si definisce bene come il linguaggio può essere, anche nel mondo del lavoro, abbastanza discriminante «fa molto piacere vedere una giovane collega così appassionata, ma sa, noi in pronto soccorso ci occupiamo di cose serie». Io mi sono alzata, in tutto il mio metro e cinquantacinque, l'ho ringraziato e gli ho detto: «Ti ringrazio caro perché hai perfettamente ragione, prima di Pag. 11tutto la passione è un lusso che per chi fa il nostro lavoro, te la puoi permettere solo se hai una grande professionalità, quindi ti ringrazio nell'averla riconosciuta. Secondo, hai perfettamente ragione, noi in pronto soccorso ci occupiamo di cose serie, mi risulta un po' difficile pensare una cosa più seria di un crimine contro l'umanità».
  Però mi ha dato una grande forza. Casualmente poi quel pronto soccorso ha avuto una visita, perché Codice Rosa è una cartina tornasole per capire la funzionalità di alcuni servizi sanitari ed esprime anche il livello culturale di attenzione che c'è in quell'ospedale, in quella azienda sanitaria. Ci è servito tanto perché noi lo abbiamo rivissuto e non parlo della Toscana. Io ho avuto vari ruoli anche a livello nazionale, anche durante il Covid, c'è sempre qualcosa di più importante. Quindi vi ringrazio per essere qui perché vuol dire tenerla, invece, al centro della nostra attenzione. Scusatemi, ho fatto solo dei piccoli flash.

  PRESIDENTE. Assolutamente perfetta anche nei tempi. Grazie presidente. Prego le colleghe e i colleghi commissari, presenti e connessi da remoto, di intervenire per porre eventuali quesiti. La senatrice Maiorino, prego.

  ALESSANDRA MAIORINO. Buongiorno. Grazie presidente e grazie alla dottoressa Doretti, sempre puntuale ed estremamente disponibile. Ormai collabora con la Commissione femminicidio da parecchio tempo, c'era anche nella scorsa legislatura. Le chiederei, dottoressa Doretti, di chiarire a questa Commissione se le procedure del Codice Rosa abbiano una diffusione anche a livello nazionale e quale sia la formazione che occorre, l'importanza della formazione per poter svolgere correttamente queste procedure e quindi per individuare la violenza laddove si presenti in quello che lei ha definito il luogo meno indicato, il pronto soccorso, dove, però, abbiamo visto quanto sia importante saperla riconoscere e saperla anche trattare poi. Grazie.

  PRESIDENTE. Raccoglierei le domande. La senatrice Valente.

  VALERIA VALENTE. Volevo chiedere alla dottoressa Doretti, con la quale avevamo avviato un lungo percorso e elaborato insieme una relazione nella scorsa legislatura, se ci sia ancora un margine di ampliamento. Se può indicare quali sono ancora, secondo lei, i pezzi di lavoro mancanti per una mappatura puntuale e precisa, quante e quali sono le procedure, le buone prassi adottate alla luce proprio di quello che diceva la senatrice Maiorino da ultimo.
  Noi abbiamo visto che il Codice Rosa ha contribuito a costruire le linee guida, insieme anche ad altre prassi e buone esperienze diffuse sul territorio, anche se un po' diversificate. Siamo arrivati alle linee guida, poi abbiamo visto che non in tutte le regioni queste linee guida vengono adottate in maniera puntuale e precisa. Soprattutto abbiamo visto e registrato insieme la resistenza di alcune regioni non solo a interloquire con noi, ma anche a rispondere e a verificare sul campo quali e quante sono.
  Da ultimo una domanda che si collega a una delle ultime audizioni che abbiamo fatto, l'impegno dei medici di base, dei medici di prossimità, dei medici del 118, cioè di quei medici che sono i primi a intervenire. Vista la sua preziosissima e lunga esperienza, credo anche unica da un certo punto di vista, grazie anche alla professionalità e alla passione messe insieme, che cosa, secondo lei, oggi possiamo ancora fare con questa parte di medici ancora tanto resistente a essere effettivamente protagonista nella lettura e nella prima percezione del fenomeno? Secondo noi, esiste una parte nel mondo della sanità ancora un po' resistente ad assumersi una quota parte di responsabilità o comunque a collaborare su questo fronte e in questo percorso.

  PRESIDENTE. Grazie. Io non vedo altri interventi, quindi darei la parola alla nostra audita per un intervento di replica.

  VITTORIA DORETTI, direttrice Area Dipartimentale Azienda USL Toscana Sudest e responsabile Rete Regionale Codice Rosa. Ringrazio, saluto la presidente Valente, saluto la senatrice Maiorino, veramente grazie,Pag. 12 sono felicissima di rispondere a queste domande molto interessanti.
  Partirei dal tema della mappatura. Quando come Commissione d'inchiesta abbiamo fatto una richiesta, con vari solleciti, dopo un anno solo otto Regioni avevano risposto, fra l'altro a macchia di leopardo, dicendo: «Se le linee guida nazionali» e non Codice Rosa, perché giustamente, come ricordava la presidente Valente, poi le Regioni hanno anche sanità di tipo diverso. Diciamo che Codice Rosa presenta, insieme alle linee guida, un po' quel perimetro minimo su cui poi le esperienze delle regioni possono variare, anche in base alle loro necessità. Quindi eravamo abbastanza preoccupati.
  Il Ministero della Sanità – l'abbiamo presentata a novembre quest'anno – questa volta, sulla scia della mappatura della Commissione d'inchiesta, ha agito in modo puntuale chiedendo ai singoli ospedali. La risposta è stata buona, direi un po' sopra il 50 per cento, nel dire che – le linee guida sono in Gazzetta Ufficiale dal gennaio del 2018 – le avevano recepite. Però fra recepire e applicare c'è un mondo. Tant'è che, ad esempio, ci sono stati dei femminicidi importanti dove non è stato segnalato l'accesso della vittima precedente di ventiquattrore all'omicidio. E sono stati proprio ospedali che avevano risposto in modo positivo, che avevano recepito le linee guida. Quindi la mappatura va assolutamente rifatta, va soprattutto attualizzata. Io ringrazio tutta la squadra, ringrazio il mio direttore generale che saluto e che avrebbe voluto essere qui con noi. Tra l'altro uomo illuminato, il dottor D'Urso, ma tutta la regione, Cristina Manetti, a livello regionale e anche dal punto di vista della comunicazione. Prima di tutto sono linee guida. Nessun medico penserebbe di disattendere alle linee guida su un'intubazione, perché invece su questo no? Perché questo è un tema di serie B? Guardate il Covid non ha portato via la violenza, ha abbassato l'attenzione della sanità e per sanità non intendo solo medici, infermieri o infermiere, ostetriche: è il mondo. Il ringraziamento al mio direttore generale, D'Urso, e a molti altri direttori, alla regione Toscana e a molte altre Regioni, ma non mi preoccupa solo la sensibilizzazione e la formazione della collega di pronto soccorso – l'ho detto anche al Ministero vi devo dire la verità –, va fatta al top management della sanità, vanno sensibilizzati i direttori. Ad esempio, quest'anno nella mia azienda, nella scheda di budget dei direttori generali c'è la frequenza al corso sulla salute, medicina di igiene e sul Codice Rosa.
  Quindi la formazione – in parte è anche la domanda della senatrice Maiorino – va estesa nella sanità, conditio sine qua non, ma va esteso anche il processo culturale. Momenti come questi devono essere sottolineati e dobbiamo essere molto duri, perché le linee possono anche essere recepite, ma per renderle efficaci vanno fatte vivere e dobbiamo dare con forza il segno che questo non è un tema di serie B. Non sapete quante volte tuttora me lo sento dire.
  Ad esempio, una delle prime cose che è sparita nei pronto soccorso a causa del Covid, e molti pronto soccorso non l'hanno riattualizzata, è la stanza rosa. Io ho dovuto in Italia inaugurare, ahimè, alcune stanze dipinte di rosa. Lo dico con sofferenza, perché non era quello il senso. Poi magari abbiamo tagliato il nastro e dopo detto «sì però rimbianchiamo». Guardate che è questo che fa la differenza, per questo noi siamo passati da due casi a trecento. Dare un luogo dove viene rispettata e tutelata la donna. Non è una cosa impossibile. Quella donna entra in questa stanza e poi non dovrà viaggiare nell'ospedale. Saranno gli altri specialisti ad andare lì. Questo fa parte della formazione.
  Ad esempio, una volta mi è stato chiesto quanto costa. Costa quanto costa un lettino ginecologico da tenere in una stanza del pronto soccorso. La stanza rosa è questo, è un luogo dove in pronto soccorso la donna trova tutto, dove rispettiamo i suoi tempi, perché le donne arrivano in pronto soccorso anni, decenni prima di andare in un centro antiviolenza. Quando abbiamo incrociato i dati abbiamo visto che solo il 5 per cento di loro aveva già chiesto aiuto in qualche modo e magari lo ha chiesto anche Pag. 13anni dopo. Quindi il costo è bassissimo, è un fatto culturale.
  L'altra domanda, i punti oscuri. Le linee guida vanno attualizzate. Noi l'abbiamo fatto con un grosso processo, con tutte le Procure, e ci siamo messi in rete perché, ripeto, non si deve lasciare solo il piccolo ospedale. Tutti gli ospedali. E per fare questo con tutte le Procure noi abbiamo deciso, insieme ai centri antiviolenza, le procedure. Quindi questo va fatto. Ricordo che a partire dalle linee guida sono entrate in vigore molte leggi. Faccio un esempio e con questo chiudo, presidente. Scusatemi, però è un esempio classico. Le linee guida prevedevano per la donna che subiva una violenza sessuale sei mesi di tempo. Sappiamo che da allora ci sono state molte leggi, adesso c'è un anno di tempo per la donna. Questo vuol dire, lo dico con un esempio molto pratico, che la ragazza che ha subìto una violenza sessuale arriva in pronto soccorso; noi dobbiamo essere bravissimi, se lei acconsente e non ci sono procedibilità d'ufficio, a prendere tutta la campionatura, tutta la parte forense, perché in questo modo poi, durante il processo, non subirà un'ulteriore vittimizzazione con domande. Dovremo quindi fornire – di questo abbiamo parlato tantissimo anche con la presidente – un set fotografico esatto, così eviteremo di scrivere «segni di ecchimosi» o «segni di digitopressione». Quindi già quelle foto potranno aiutare, ma anche la campionatura. Ora passando da sei mesi a un anno, se la donna acconsente, vuol dire che noi come aziende sanitarie siamo obbligate a prendere quei campioni e a tenerli in custodia in modo ISO forense per oltre un anno. Noi abbiamo messo nelle nostre procedure regionali due anni. Questo vuol dire che le aziende sanitarie si devono attrezzare per avere dei luoghi dove mantenerle. Si immagini cosa vuol dire se dopo un anno una donna decide di fare una denuncia e noi non abbiamo mantenuto bene le prove.
  Un'ultima considerazione sull'adeguamento. L'Istat raccoglie dati, io ho lavorato tantissimo con Linda Laura Sabatini, vi ho messo in memoria – con umiltà l'abbiamo fatto – i dati fino ai sessantacinque, ora sono settant'anni. Bene, nella civilissima Toscana da sempre abbiamo fatto da zero ai cento, devo dire perché non ci abbiamo nemmeno pensato, ma in una regione, dove c'è ancora molta rete familiare, noi abbiamo delle percentuali importanti di violenze tra gli ultrasettantenni. Questo vuol dire che, io ho sessantatré anni, se fra sette anni qualcuno mi violenta o mi picchia io non conto niente, io non vengo riportata. Eppure da noi oltre l'8% sono donne sopra i settant'anni. Quindi io credo e chiedo con forza alla Commissione. Scusatemi, è una promessa che ho fatto lavorando nell'Osservatorio per la disabilità. Le donne sono sottoposte spesso a discriminazioni multiple, le donne anziane, le donne con disabilità, io continuo a lavorare con loro, da loro ho imparato tanto, le ringrazio. Basta comprare un lettino ginecologico che si alzi e si abbassi per cambiare la vita non solo nella violenza, ma anche nello screening per donne con disabilità. Scusate.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Doretti anche per le indicazioni di lavoro. Abbiamo ancora due audizioni, sicuramente sia il materiale che le cose che lei ha detto sono state molto incisive e importanti. Quindi la ringrazio e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII», in videoconferenza.

  PRESIDENTE. Buongiorno. Facciamo un'inversione dell'ordine dei lavori che proseguono adesso con l'audizione in videoconferenza dei rappresentanti dell'associazione internazionale Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata nel 1968 da Don Benzi ed impegnata nel contrasto alla povertà ed emarginazione, nonché contro la tratta. A nome di tutti i commissari do il benvenuto all'avvocata Laila Simoncelli, responsabile del Servizio Diritti Umani e Giustizia e alla dottoressa Irene Ciambezi giornalista e coordinatrice dei progetti antitratta e antiviolenza della comunità. Do quindi la parola all'avvocata Simoncelli e successivamente alla dottoressa Ciambezi. Prego.

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  LAILA SIMONCELLI, responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII». Grazie. Un ringraziamento alla presidenza e alla vicepresidenza, noi siamo molto grati di questo invito. Vogliamo portare in questa sede anzitutto i nostri dati, alcune considerazioni di percorsi, e anche qualche proposta.
  Parto subito con i nostri dati. L'associazione è presente in quarantatré Paesi nei cinque continenti, gestisce diverse centinaia di centri, oltre cinquecento, in tutto il mondo per persone vulnerabili, tra cui anche centri per l'accoglienza di donne vittime di violenza. In Europa abbiamo collaborato in diversi progetti con diverse ONG, istituzioni sulla violenza di genere, per il contrasto, e dal 2006 siamo accreditati anche con la nostra rappresentanza alle Nazioni Unite con lo status consultativo speciale. Nell'anno 2022 in Italia abbiamo accolto, nelle nostre strutture, novecentonove donne, di cui duecentottantasette minori, oltre a diverse migliaia di prese in carico, di supporto e di aiuti esterni in vari ambiti.
  Riguardo la violenza contro le donne, dal 1996 siamo impegnati nel servizio antitratta a favore delle vittime di sfruttamento sessuale con un approccio di genere, intersezionale, interculturale. Dal 1997 con il servizio maternità e vita per la difesa delle donne in stato di gravidanza. Questi servizi li svolgiamo attraverso ventidue équipe di strada e due équipe di primo contatto indoor per la tratta, attraverso la gestione di un numero verde di aiuto e di ascolto per le donne in gravidanza. In questi ambiti noi operiamo essenzialmente per l'accoglienza, quell'accoglienza che tante volte non è possibile neppure nell'immediato. Ce ne facciamo carico e operiamo poi per l'indirizzamento in case famiglia o in case rifugio dando assistenza di vario tipo (sanitaria, psicologica, legale, linguistica, professionale, integrazione, anche educazione finanziaria). In più, siamo impegnati in numerose iniziative nelle scuole ed anche nell'università per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere.
  Nel 2022 abbiamo attivato novantacinque percorsi di assistenza con l'équipe antitratta. Nel 2023, con il numero di ascolto verde Non Sei Sola, abbiamo avuto circa seicentosettanta contatti di aiuto. Tra quelli che siamo riusciti ad approfondire, perché molti sono dei gridi di aiuto attraverso WhatsApp, abbiamo avuto ben cinquantuno casi di violenza come costrizione all'aborto, che sono stati avviati nei percorsi di assistenza.
  In questa sede vogliamo oggi con voi nello specifico sottolineare due aspetti, che riteniamo importanti per arginare le epidemie di violenza contro le donne, le epidemie di femminicidi e che riguardano la nostra esperienza diretta. Vi faremo anche qualche proposta, che ovviamente non vuole essere semplicistica rispetto a problemi complessi, ma che noi riteniamo oramai indispensabile come percorso di cambiamento.
  Crediamo, infatti, che per intaccare i femminicidi e l'epidemia di violenza sia imprescindibile affrontare i due bubboni, come due bubboni sulla pelle che sono il sintomo più evidente di un'infezione. Nello specifico affrontare direttamente l'industria della prostituzione e della tratta a scopo sessuale, con la pornografia che è il suo braccio di propaganda. Ricordiamo qui che tra i femminicidi più crudi ci sono quelli delle donne prostituite. Anche questo dato non emerge dalle statistiche in maniera adeguata come se queste donne fossero ancora figlie di un Dio minore, anche rispetto ai femminicidi. Ricordiamo qui solo recentemente le tre donne uccise a Roma.
  L'altro aspetto è che riteniamo sia essenziale affrontare un tipo di violenza, che forse non è adeguatamente considerata o quanto meno non si è così consapevoli: quella che si accanisce contro la donna che porta nel grembo una creatura. Bisogna tenere molto presente che questa creatura che cresce nel grembo spesso, proprio perché è assolutamente indipendente, non sotto il controllo di nessuno, diventa il massimo scandalo per la persona o il familiare violento, perché è un qualcosa che non riesce assolutamente a controllare, e costituisce esso stesso elemento che scatena la violenza o la inasprisce.Pag. 15
  Riguardo la prostituzione e la tratta crediamo che la tolleranza, giuridica, sociale e anche politica, all'acquisto di prestazione sessuale a pagamento e del male che l'accompagna sulla tratta, comporta e sta comportando una sempre maggiore interiorizzazione dell'oggettivazione di corpi. Il loro uso, abuso e consumo deforma e corrompe anche quello che è il sano rapporto della relazione fra i sessi, soprattutto nelle nuove generazioni.
  Questo difetto di comprensione trasforma queste relazioni anche in maniera molto violenta. I giovani, per la nostra esperienza e per quello che ascoltiamo, fanno sempre più fatica a decifrare correttamente la realtà delle relazioni tra i sessi. Soprattutto nei giovani più fragili si manifestano delle importanti distorsioni cognitive relazionali, che sono spesso nascoste e che si esprimono con deflagrazioni di situazioni spesso drammatiche.
  Inoltre, sono ormai assodate le correlazioni che esistono tra il consumo di atti sessuali a pagamento e la pornografia, con quella che è un'esposizione maggiorata alle sexual offenses. Soprattutto questo comporta un'interiorizzazione sociale, anche nelle giovani generazioni, di misoginia patologica sessista e una totale desensibilizzazione verso la violenza di genere. Questa maggiorata esposizione costituisce un fattore criminogeno. Tra l'altro, va tenuto presente che, non a caso, nel nostro Paese, se si fa una statistica – e noi l'abbiamo fatta per verificare –, moltissimi autori di femminicidi avevano intercorsi di prestazioni sessuali a pagamento.
  È sorprendente poi per noi e per chi opera sul campo in questo settore vedere come ancora ci sia poca sensibilità politica. Qualcuno ancora ha la visione della prostituzione come un'occupazione di scelta o ne ha una visione romanticizzata. Per noi è abbastanza sorprendente vedere che c'è ancora una sensibilità politica che vuole sostenere la creazione di quadri giuridici che permettano questa degradazione delle donne come prodotti a buon mercato.
  Rispetto alla costrizione all'aborto vogliamo sollevare il velo verso questa violenza, senza ideologismi, ma questo tipo di violenza esiste e non è ancora sufficientemente emersa. Viene ancora taciuta. Esiste questa violenza contro la vita in divenire e contro la donna che la porta nel grembo. Il fatto che la donna sia più vulnerabile e abbia una minore autonomia emotiva e finanziaria, può essere vissuto dal partner o dai familiari violenti come un'opportunità.
  Questa costrizione all'aborto avviene nel silenzio, nell'inconsapevolezza dell'opinione pubblica, anche politica e giuridica. Questo rende ancora più carenti quelli che sono specifici percorsi di protezione di sostegno a questa tipologia di donne vittime.
  Da una valutazione ponderata dei nostri dati, nel corso degli anni, possiamo affermare che da quelle che sono le attività di ascolto del numero Non Sei Sola, abbiamo almeno il 15 per cento di casistica di IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) che possono essere avvenuti a seguito di costrizioni in senso stretto. Qui parliamo di violenza in senso stretto, quindi violenza psicologica, fisica, economica, estorsioni sessuali eccetera. Dati tra l'altro confermati dalle più recenti statistiche a campione, anche britanniche e statunitensi. Non va poi trascurato che questo tipo di violenza è sistematicamente e orribilmente praticata nel sistema prostituente nei confronti delle vittime di prostituzione, che quindi subiscono violenze multiple gravissime.
  Tralasciamo qui – quindi parliamo proprio di violenza in senso stretto – la violenza sistemica sociale che è quella che non ha bisogno di un attore per essere agita.
  Vi offriamo alcune proposte di lavoro su questi due aspetti. Innanzitutto su quella che è la prostituzione il rapporto OSCE del 2021 incoraggia gli Stati Membri a rivedere le loro risposte in materia penale per quanto riguarda il contenimento della domanda di prestazione sessuale a pagamento. La strategia europea per l'eradicazione della tratta al 2025 indica nella punibilità dell'acquisto delle prestazioni sessuali a pagamento, nel modello neoabolizionista, o modello svedese, uno strumento di importante prevenzione. I parlamentari europei hanno definito esemplare l'approccio svedese che prevede il divieto di acquisto di servizi sessuali Pag. 16a pagamento, così come la raccomandazione del 2014 del Parlamento europeo, la risoluzione Honeyball, e la recente risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2023. Al Forum del G7 del 2019 anche consulenti indipendenti hanno identificato, tra le leggi più efficaci nel mondo e progressiste per promuovere l'uguaglianza di genere tra i sessi, il modello nordico. La Francia nel 2016 ha approvato il divieto di compravendita di sesso con la seguente motivazione: «La prostituzione è violenza fisica, psicologica e sessuale, un affronto alla dignità umana, una violazione del principio di uguaglianza tra uomini e donne». Tre anni dopo 2650 acquirenti di sesso sono stati puniti e 271 uomini hanno partecipato a programmi rieducativi.
  Come associazione Giovanni XXIII, tra l'altro, nelle nostre Comunità Educanti con i Carcerati, le CEC, da tempo ci occupiamo degli autori vittime di violenza sulle donne e di reati sexual offenses, con pene alternative al carcere, con percorsi rieducativi tout-court, cioè che prevedono un lungo percorso approfondito di giustizia educativa.
  La punibilità dell'acquisto di sesso a pagamento crediamo sia una scelta di civiltà e di prevenzione, che anche il nostro Paese può compiere in coerenza con i risultati dell'indagine conoscitiva sul fenomeno della prostituzione.

  PRESIDENTE. Mi scusi, le chiederei di avviarsi alla conclusione. Grazie.

  LAILA SIMONCELLI, responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII». Comprendo e la ringrazio. Concludo. Quindi noi chiediamo la punibilità dell'acquisto di sesso a pagamento e che si adotti questo approccio.
  Per quanto riguarda la violenza verso le donne in gravidanza proponiamo che vengano potenziati tutti i tipi di supporto alle donne in gravidanza vittime di violenza, con uno specifico stanziamento di fondi da parte del Dipartimento delle Pari Opportunità agli enti che le tutelano e le accolgono, anche nelle more dei percorsi di accoglienza presso case rifugio. Che vengano potenziate le case rifugio sostenendo queste donne economicamente, in modo più corposo e prolungato nel tempo. Un vero reddito di libertà fino alla reale autonomia della donna. Che vengano individuati nei consultori meccanismi di referral per le induzioni e costrizioni al consenso informato che viene dato in ambito sanitario, che non possono essere sicuramente lasciate ad una firma apposta su un foglio. Dietro ai consensi informati all'IVG ci sono spesso violenze indicibili, di cui noi siamo testimoni e che possono essere anche testimoniati, delle quali le donne in gravidanza non si possono liberare e quindi ci sono uccisioni non volute del bambino prenatale. Inoltre, crediamo sia importantissimo che vadano riviste le norme penali che puniscono l'aborto privo di consenso e studiata una nuova tipologia di reato idonea a punire chi esternamente induce e costringe le donne a prestare solo un'apparente consenso informato all'interruzione volontaria di gravidanza. Ancora, percorsi di protezione immediata anche senza denuncia, perché noi avviamo tantissimi percorsi di assistenza anche nelle more della denuncia, qualora questa segnalazione avvenga da parte di enti autorevoli ed accreditati.
  Non ci possiamo esimere dal ribadire come sia necessario che il Ministero dell'Istruzione introduca, in maniera strutturale, l'educazione alla non violenza nella programmazione dei curricula scolastici. Un forte impegno a livello pedagogico ed educativo. Le nuove generazioni attendono da noi un mondo adulto adeguato, anche giuridico, rispetto a questi due aspetti e una preparazione scientifica strutturale ai principi della non violenza. Grazie, lascio la parola ad Irene.

  PRESIDENTE. Le chiederei di essere davvero telegrafica, perché avevate dieci minuti. Grazie.

  IRENE CIAMBEZI, coordinatrice dei progetti anti-tratta e anti-violenza dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII». Grazie di questo invito, provo a sintetizzare.Pag. 17 Oggi siamo qui e abbiamo accolto volentieri questo invito per portare la voce di donne accolte nelle nostre case, nelle nostre famiglie, che sono ancora vive, sono sopravvissute. E anche la voce, ahimè, di quei figli orfani di femminicidio, che talvolta ci affidano i servizi sociali. Già il GREVIO sottolineava di affrontare il più possibile le forme di violenza che subiscono gruppi vulnerabili, che noi tocchiamo con mano ogni giorno stando a fianco di donne migranti, rom, sinti, donne disabili, perché sono comunque proprio le donne migranti, rifugiate asilo, le donne più vulnerabili e più esposte alla violenza, sono le più dimenticate e le più a rischio. Quando si tratta di bambine, donne e ragazze è richiesto ancora più impegno, competenza e lavoro di squadra. Tanto più quando sono intrappolate – prima ne parlava già la dottoressa Simoncelli – nello sfruttamento sessuale indoor (al chiuso) o nella prostituzione di strada. Sono le più dimenticate, sono proprio le ultime da vive e persino da morte. Penso ad Arietta, una giovane donna ungherese di origine rom, conosciuta in strada e uccisa brutalmente da un cliente italiano, dimenticata per diversi mesi in obitorio. Penso a Venetita e a Lioara uccise a Verona presso un distributore di benzina, anche loro costrette a prostituirsi. Penso a Cristina assassinata a Bologna, in una rotonda frequentatissima, quella del Camionista. Sono tra le vittime di femminicidio che la nostra associazione annualmente ricorda in eventi pubblici in occasione del 25 novembre e che, in alcuni casi, abbiamo tentato di accompagnare a una degna sepoltura, a volte anche con il rientro in patria della salma. Nell'ultimo anno non possiamo dimenticare le donne del quartiere Prati assassinate, i trans assassinati a Sarzana, i due tentati omicidi di prostitute rumene a Torino. Ognuna aveva un nome, un volto, aveva una storia, aveva una famiglia di origine e sogni che sono ormai spezzati per mano dei loro stessi clienti.
  Noi conosciamo quelle strade, le strade dove sono rimasti inermi per sempre, e dove, ahimè, ancora ci sono corpi in vetrina. E allora cosa fare? Cosa abbiamo come rimando dai racconti, dalla vita spesa accanto a queste donne? Come agire? In parte alcuni aspetti li aveva sottolineati già la dottoressa Simoncelli, sarò telegrafica su tre punti. Chi di noi, come operatore o come psicologo o mediatore culturale, viene in contatto con queste vittime ha a cuore la prevenzione. Come associazione noi già andiamo negli istituti superiori, incontriamo tanti studenti, ma molte volte ci rendiamo conto che non è sufficiente incontrare gli studenti se poi a casa c'è un padre maltrattante o comunque una figura maschile che trasmette quell'idea che la donna non abbia una sua dignità, propri diritti, ma al contrario ci sia da sempre un diritto di proprietà che l'uomo può esercitare sulla donna. Allora occorre proprio scalfire questi stereotipi.
  Penso ad alcune frasi che ritornano nei racconti delle donne che ascoltiamo e che accogliamo, quando l'uomo maltrattante, o chi comunque pensa di poter esercitare dominio su di loro, gli ripeteva «se funzioni sei solo mia, ma se non funzioni ti posso anche eliminare». Sono rimandi che ascoltiamo da tempo e che ci richiamano ad una propensione più capillare. Bisogna ripartire quindi non solo dai giovani, bisogna ripartire dalle famiglie, bisogna avere il coraggio di incontrare i genitori.
  Poi occorre programmare percorsi di prevenzione, come già noi facciamo, in modo competente sì, ma anche a partire da esperienze sul campo che rimangano impresse nella mente di chi ascolta e partecipa a questi percorsi.
  Poi l'aspetto della protezione. Se penso ad Aurora, accolta a sedici anni, che ora è terrorizzata perché fra poco suo padre uscirà dal carcere. Se penso a Victoria, che è stata violata da un gruppo di neomaggiorenni alla fine di un puttantour, quindi in strada, nella prostituzione, uno stupro di gruppo, non prestazioni sessuali a pagamento. Se penso ancora a Deborah, incontrata alcune settimane fa, vittima di stalking dal suo ex compagno che la tradisce con un'altra donna, ma che vuole continuare a controllarla perché non rompa i suoi piani. Cosa provano tutte queste donne? Angoscia, si guardano ogni giorno alle spalle, frustrazione perché sentono di non essere Pag. 18credute, provano disistima perché sono umiliate da chi ha agito violenza fisica, psicologica o economica. E ancora oggi, a tutti i livelli, molte volte queste donne sono invitate a non esagerare, a portare pazienza, a non provocare. Quindi la visione dominante del maschio nelle relazioni interpersonali assoggetta, aliena, soprattutto nelle relazioni intime. Anche di fronte a comportamenti disfunzionali rimane questa frase: «Sei tu sbagliata, sei tu che non funzioni, sei tu che devi tacere, sei tu che non fai come dico io e puoi essere quindi eliminata».
  Terzo aspetto, dopo prevenzione e protezione, risorse e rete. Le risorse e le reti sempre più debbono funzionare perché da una parte non si abbia vergogna prima di aver sviluppato comportamenti disfunzionali a rivolgersi a specialisti. Sempre di più bisogna incentivare la possibilità che le persone accedano a servizi di sessuologi, psicoterapeuti di coppia e così via.
  E poi ancora una domanda che ci tormenta e concludo. Funzionano i centri per uomini maltrattanti? Come facciamo a migliorare per prevenire femminicidi se ci capita di indirizzare – a me personalmente è capitato e anche alle mie colleghe – una persona straniera che abbia una dipendenza possibile o un possibile disturbo mentale? Come vi può accedere se ha un problema per via della lingua? Allora bisogna riflettere su questi percorsi di recupero, che siano sempre più riabilitativi, strutturati e organizzati per essere accessibili a tutti.
  Da ultimo, importantissimo, queste risorse e la rete, tra organizzazioni, privato e pubblico, deve passare dalla comunicazione dei media. È indispensabile collaborare con chi ha la responsabilità di pianificare programmi televisivi che possono da una parte dare spazio a campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere e contro il femminicidio, ma dall'altra anche, di fatto, incentivare sempre più l'idea che l'uomo possa esercitare un diritto di proprietà sulla donna. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'onorevole Leonardi e poi alla senatrice Maiorino. Vi chiedo di essere molto contenute nei vostri interventi. Grazie.

  ELENA LEONARDI. Grazie. Ringrazio le nostre audite per l'intervento, importante. Sono certa che contribuiranno anche con del materiale scritto oltre a quello che è stato illustrato. Volevo chiedere un approfondimento rispetto al tema dell'induzione all'aborto, all'interruzione di gravidanza, per capire se questa raccolta dati vi arriva dalle persone che si sono rivolte a voi, da un incontro o da quello che avviene con i consultori. Per capire anche le dimensioni del fenomeno, se riguarda e quanto riguarda prioritariamente le donne che sono sfruttate sessualmente e costrette alla prostituzione e quanto riguarda, invece, altre situazioni, magari familiari, nelle quali altre condizioni, appunto di un marito, di un compagno prevaricante, le costringa poi a praticare un aborto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Senatrice Maiorino.

  ALESSANDRA MAIORINO. Grazie presidente. Grazie all'associazione Papa Giovanni XXIII per il lavoro che svolge costantemente. Grazie alle nostre audite per questo prezioso contributo. Io credo che questa audizione apra, per così dire, un vaso di Pandora. Io mi sono molto battuta già nella scorsa legislatura perché il tema della tratta, soprattutto della tratta al fine di sfruttamento sessuale, rientrasse tra i temi oggetto d'indagine di questa Commissione perché evidentemente è una delle forme più barbariche e crudeli di cui sono vittime le donne. Ricordiamo che le vittime di tratta sono nella stragrande maggioranza proprio le donne.
  Quindi io attraverso di lei, vicepresidente, mi spiace che oggi non sia presente la presidente, ma spero che questo appello venga riportato, rinnovo il mio invito perché questa volta la tratta e la prostituzione, che ne è il movente principale, rientrino tra gli oggetti di indagine di questa Commissione, in quanto violazione dei diritti umani in generale e dei diritti umani delle donne in particolare.Pag. 19
  Io mi permetto di aggiungere ai documenti brevemente elencati dalla dottoressa Simoncelli, anche la sentenza della Corte costituzionale 141/2019, che riguarda un noto caso delle cronache italiane, in cui la Corte si esprime su quello che è il punto nodale per cui ci si paralizza di fronte a questo tema e non si ha il coraggio di legiferare nella direzione in cui l'Europa, invece, si sta muovendo, ossia la volontarietà. Ci si nasconde dietro la volontarietà dell'intraprendere l'attività prostitutiva, ove invece è il gesto dell'acquisto quello che bisogna mettere a fuoco. Io faccio un appello anche alle colleghe e ai colleghi presenti. Smettiamo di pensare alla volontarietà o meno di mettersi in prostituzione, ma pensiamo al gesto di acquistare, cosa c'è di più oggettificante che acquistare prestazioni sessuali, che è un modo edulcorato per dire acquistare un corpo. È proprio l'apice dell'oggettificazione.
  Di fronte a questo io credo che – mi permetto di fare un parallelismo che a me spiace personalmente, ma che trovo ciononostante calzante – se chi ha la sensibilità di stigmatizzare la gestazione per altri come qualcosa di inaccettabile, anche qualora sia volontario, io credo che con lo stesso criterio mentale si dovrebbe pensare che la prostituzione, acquistare un corpo, è qualcosa che non è accettabile dal punto di vista non soltanto etico, ma proprio dal punto di vista del diritto umano. È irrilevante se sia volontaria o meno, comunque è una percentuale minima quella che si potrebbe eventualmente davvero definire volontaria, semmai vi sia.
  Quindi la mia domanda all'associazione e alle nostre udite è se hanno proposte concrete in questo senso, se possono fornirci eventuali modifiche normative concrete. Sia la dottoressa Ciambezi che Simoncelli, sanno che io proposi una legge nella scorsa legislatura; se eventualmente sia possibile lavorare insieme a questa Commissione per una modifica normativa che possa andare nella direzione del modello nordico, che è stato citato. Grazie.

  PRESIDENTE. Scusate, si sono iscritti anche il senatore Sensi e l'onorevole Zanella, io vi chiederei di essere rigorosi nei tempi. Penso si sia aperta una discussione che poi rinnoveremo in Commissione. È una discussione molto importante, ma non credo che un'audizione possa essere il luogo in cui affrontarla in modo approfondito. Senatore Sensi, prego.

  FILIPPO SENSI. Grazie presidente. Ringrazio le audite dell'associazione Giovanni XXII. Per me personalmente è stata una delle audizioni più importanti che ho sentito in queste settimane, in questi mesi di lavoro.
  Vado al punto sul tema dei centri per uomini maltrattanti. Siccome ricorre la critica nei confronti di come oggi questi centri sono strutturati, su come lavorano, volevo chiedere alle audite se la critica è strutturale e radicale. Traduco: i centri per uomini maltrattati sono una perdita di denaro e non riescono in nessun modo a dare dei risultati utili o apprezzabili? Oppure se, invece, il vostro suggerimento sia quello di riformare o di dare una diversa architettura, dal punto di vista dell'offerta dell'intervento, a questi centri per farli funzionare o per farli funzionare meglio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Zanella.

  LUANA ZANELLA. Grazie presidente. Anch'io volevo ringraziare per questa audizione molto interessante, ma anche le precedenti, e sarò brevissima. Volevo comunicare, anche da parte mia, l'interesse rispetto sia alla proposta che alla domanda – che quindi non rifaccio – della collega Maiorino, perché penso che l'intreccio tra violenza sessuale e le pratiche presenti della prostituzione siano un incrocio che va indagato e va assolutamente tenuto in considerazione. È chiaro che non è questo, come diceva la presidente pro tempore, ora il luogo per l'approfondimento, ma invito la Commissione, l'Ufficio di presidenza in particolare, a tenerlo in adeguata considerazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, do ora la parola alle nostre audite per l'intervento di replica.

Pag. 20

  LAILA SIMONCELLI, responsabile servizio Diritti umani e giustizia dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII». Grazie. Rispondo subito alla domanda dell'onorevole Leonardi. Dunque, i dati che abbiamo raccolto riguardo le costrizioni all'aborto sono dati suddivisi in due ambiti. La metodologia di raccolta dati e la statistica più precisa è quella che noi abbiamo raccolto attraverso il numero verde Non Sei Sola. In questo caso abbiamo delle statistiche, perché sono contatti che teniamo direttamente attraverso il numero verde, ci occupiamo di ascoltare, poi avviare percorsi di assistenza e infine discernere le modalità di intervento. Questi sono dati molto precisi che noi teniamo dal 2014.
  Fino al 2019 c'era maggior possibilità di approfondimento di questi contatti con le donne incinte che si rivolgevano al numero verde, i dati sono molto precisi perché non c'erano WhatsApp e internet. Le cito le percentuali di casi di costrizione all'aborto, tra cui quasi tutti riguardano costrizioni alla prestazione del consenso informato per l'IVG. Sono testimonianze molto forti, bisogna qui prescindere dall'ideologia, è una realtà che veramente questo avvenga. Per esempio, arriviamo dal 2014 al 19 per cento di casi di costrizione sulle persone audite, fino al 2017 con il 24 per cento di casi di costrizione all'aborto. Poi dal 2019, in cui è entrata la messaggistica WhatsApp, moltissimi di questi gridi non si sono riusciti a portare all'ascolto, perché poi dopo questi contatti o questi gridi di allarme la persona non sempre ci ricontatta o ci dà la possibilità di ascoltare questo messaggio. Nel 2023 su seicentosettanta contatti di donne incinte abbiamo avuto una percentuale del 7,6 per cento su circa la metà di quelli approfonditi. Addirittura forse – perché i dati sono fino a settembre – quasi il 60 per cento di questi seicentosettanta contatti non sono stati approfonditi. E di quegli approfonditi il 7,6 sono le percentuali. Quindi quando parliamo di costrizione e di induzione all'aborto sono contatti diretti, testimonianze dirette che noi possiamo portare, e che porteremo poi anche in altre sedi.
  Per quanto riguarda il discorso delle costrizioni all'aborto nell'ambito del sistema prostituente, l'emersione di questa casistica con dei dati e una metodologia di raccolta puntuali non è possibile, perché si parla di rapporto sommerso. Tuttavia nella nostra pratica, con le unità di strada, ne abbiamo registrate molte con testimonianze terribili e drammatiche. Però qui la statistica non può essere raccolta con una metodologia che può raggiungere una precisione scientifica. Non so se Irene vuole aggiungere, voi che siete sulle strade, quante casistiche vedete. Ma veramente questa è sistematica nell'ambito della prostituzione.

  IRENE CIAMBEZI, coordinatrice dei progetti anti-tratta e anti-violenza dell'associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII». Sì, è chiaro che non è facile la raccolta dei dati. In generale, tenete conto che la Comunità Papa Giovanni ha unità di strada che incontrano potenziali donne vittime di tratta e sfruttamento, ma si sta occupando anche di indoor, come tantissimi altri enti del numero verde nazionale antitratta. Quindi le telefonate – e penso a una delle ultime che ho ricevuto – ci riportano situazioni anche molto gravi in questo senso.
  Volevo, però, riprendere il tema avviato dalla senatrice Maiorino: sì, la Comunità Papa Giovanni volentieri continuerà a collaborare, come ha iniziato il nostro fondatore Don Oreste Benzi, nell'ottica di un modello neoabolizionista, nell'ottica della sanzione al cliente. Come ho già detto precedentemente, queste esperienze di annullamento della persona, nel grande contenitore della violenza di genere, questo assoggettamento nel corso di quella che noi riteniamo una prestazione sessuale a pagamento in cui c'è una sorta di consenso tra due parti, in realtà non è mai un atto totalmente libero, come ha stabilito anche la sentenza della Corte costituzionale. In quei quindici minuti può veramente accadere di tutto, finanche il femminicidio, come ho già detto, perché comunque chi decide è l'uomo per il fatto stesso che ritiene di avere un diritto. Io lo dico spesso perché è quello che ci riportano le donne che incontriamo. Quindi, andrebbero fatte delle riflessioni in quest'ottica dell'acquisto della Pag. 21prestazione sessuale rispetto al cliente, che diventa un uomo maltrattante: occorrerebbe un lavoro più strutturato e più serio a livello nazionale, come altre esperienze che ci sono in Europa. Ricordo che l'indagine conoscitiva a cui abbiamo partecipato – ringraziamo anche di averci invitato – in quel contesto ha comunque avuto un esito in questa direzione. Quindi è da lì che bisogna ripartire e noi ci saremo, come altre associazioni che stanno continuando a collaborare in questo senso.
  Da ultimo, per quanto riguarda i centri per uomini maltrattanti, volevo dire che possiamo parlare veramente solo di persone che incontriamo, persone che ascoltiamo al telefono, e quindi di uomini che vorrebbero fare dei percorsi, però non è chiaro da dove partire. Io parlavo infatti di risorse e rete. Servono risorse economiche, ne parlo in modo costruttivo ovviamente, non era una provocazione, ma voleva essere anche un resoconto di vicende accadute realmente pochi mesi fa, prima di Natale l'ultima. Ecco, le risorse finanziarie, ma anche la rete, perché di fatto noi operatori ci troviamo poi a mettere insieme i pezzi – per essere molto concreti – tra i Sert, i centri per la salute mentale e il privato perché comunque molto spesso il pubblico non arriva.
  Voi sapete che c'è un momento di grandissima crisi per quello che riguarda la salute mentale delle persone e questo comporta l'impossibilità di accedere a quei percorsi riabilitativi che potrebbero aiutare a non arrivare ai femminicidi. Sono stati fatti tanti talk-show sul caso di Giulia Cecchettin, ma chi di noi è con le mani in pasta tutti i giorni sa che se anche una persona volesse fare un percorso, se c'è un potenziale disturbo mentale, oppure si ravvisa che c'è una dipendenza, poi c'è un'altra struttura di competenza e queste strutture non si incrociano. Quando si parla di rete vuol dire provare a guardare alle strutture create, come il centro per uomini maltrattati, ma la rete ci deve essere, perché chi lavora nei centri per uomini maltrattanti, presentando i servizi, già possa dire a chi si rivolgono e a quante casistiche non possono rispondere. È proprio un presentare quello che oggi il centro può e le persone che invece non possono accedervi. Se non vi possono accedere bisogna fare rete con gli altri servizi perché non se ne esce altrimenti.

  PRESIDENTE. Grazie. Vi devo chiedere di concludere. Noi siamo qui, quindi potete mandare materiale sui centri per uomini maltrattanti ad arricchire quanto già detto durante l'audizione. Ringrazio l'avvocata Simoncelli e la dottoressa Ciambezi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Differenza Donna APS», in videoconferenza.

  PRESIDENTE. I nostri lavori proseguono con l'audizione, in videoconferenza, delle rappresentanti dell'associazione di promozione sociale Differenza Donna, avente sede a Roma, impegnata dal 1989 nel contrasto alla violenza di genere, e cofondatrice della Rete D.i.Re. A nome di tutte le commissarie e i commissari do il benvenuto alla presidente Elisa Ercoli, che ringrazio per la disponibilità. Segnalo l'esigenza di contenere l'intervento illustrativo entro i dieci minuti per assicurare un tempo congruo al dibattito con la Commissione. Prego presidente Ercoli.

  ELISA ERCOLI, presidente dell'associazione «Differenza Donna». Salve. Spero che mi seguiate bene, come vedete, sono in una scuola a Pontecagnano, in provincia di Salerno, dove stiamo facendo una formazione di secondo livello agli assistenti sociali.
  Rappresenterò in generale il fenomeno di questo momento, possiamo dare degli elementi molto utili sia come accoglienza nei centri antiviolenza, dove noi ospitiamo all'incirca 2.500 donne l'anno, sia come 1522, dove noi siamo gestore del numero nazionale antiviolenza e stalking della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità. Sicuramente stiamo vivendo un periodo di grande cambiamento e di aumento della consapevolezza generale. Vi dico che nei centri antiviolenza che noi gestiamo come nel Pag. 22numero 1522, c'è un aumento di richieste di sostegno e di aiuto, che non sono solo direttamente eseguite da donne in uscita dalla violenza, ma anche da genitori di giovanissime donne, spaventati dal tipo di relazione che stanno vivendo le proprie figlie, riconoscendo quei campanelli di allarme sui quali, per fortuna, c'è una grande consapevolezza dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Gli audio che sono stati resi pubblici in cui si sentiva Giulia Cecchettin nel periodo prima del femminicidio hanno chiarito quali sono i segnali che possono far riconoscere ad una donna, a una giovanissima donna, di essere in una situazione di violenza che sta avendo un'escalation. I genitori, ma anche gli amici di donne e di giovani donne, ad esempio colleghi universitari, ma anche colleghi di scuola superiore, ci chiamano, sia nei centri antiviolenza che nel 1522, proprio perché riconoscono quelli che sono stati ormai chiariti essere campanelli di allarme. I campanelli di allarme sono avere un grande stress all'interno della relazione, in cui si sente di non poter godere della propria autonomia, della propria libertà. Questi sono gli elementi che caratterizzano quella disparità di potere che ci racconta la Convenzione di Istanbul essere la definizione della violenza, cioè quella disparità di potere in cui le donne, proprio essendo vittime di violenza o di minaccia di violenza, vivono una situazione di controllo, di non libertà, di non poter scegliere nella propria vita e di sentire che nel momento in cui scelgono di uscire da quella relazione, è il momento in cui l'uomo, il partner, l'ex partner mette in atto un aumento del controllo, che viene attuato sia con una minaccia diretta di violenza, sia con la minaccia di farsi del male lui, sia con un iper controllo.
  Dai dati generali noi vediamo che c'è sicuramente un aumento delle violenze sessuali tra le giovanissime, quindi di quelle violenze sessuali che arrivano da parte di conoscenti, di amici di scuola. Ovviamente rimane solido il dato del maltrattamento in famiglia e il dato delle persecuzioni a fine della relazione.
  Quali sono i problemi che noi abbiamo nel sostenere le donne in uscita dalla violenza? Sicuramente l'assenza di formazione, di formazione continua e sistemica per tutta la rete antiviolenza. Oggi sappiamo che soprattutto per realizzare e implementare le norme importanti che abbiamo nel nostro sistema normativo nazionale, quindi parlo sia dell'applicazione della Convenzione di Istanbul, che è ormai legge nel nostro Stato da dieci anni, sia dell'ultimo DL, che è stato approvato all'unanimità nel Parlamento, noi abbiamo bisogno di pezzi della rete antiviolenza, che siano nelle condizioni di realizzare quello che c'è scritto nelle norme. Quindi, ad esempio, con riguardo ai tribunali abbiamo un problema di sovraccarico a causa dei tempi stretti del Codice Rosso e dell'ultimo decreto-legge Roccella, l'impossibilità di lavorare tutte queste pratiche nei tempi giusti. Ma abbiamo anche un problema di formazione. Sia le forze dell'ordine, sia i servizi sociali, sia gli operatori sociosanitari, non godono di una formazione continua che possa mettere loro nelle condizioni di implementare le norme e anche abbattere quei pregiudizi e quegli stereotipi che sappiamo essere il principale ostacolo per la piena implementazione delle norme.
  Perché questi pregiudizi e stereotipi sono così ostacolanti la piena applicazione delle norme e l'obbligo che l'Italia ha assunto ratificando la Convenzione di Istanbul? Perché gli stereotipi e i pregiudizi minimizzano la gravità della violenza, banalizzano la gravità della violenza e mettono la donna in una condizione di corresponsabilità. La percezione che noi abbiamo, stereotipata e pregiudizievole nei confronti delle donne, è proprio quella di pensarle corresponsabili della violenza che subiscono. Al contrario, noi dobbiamo assolutamente inquadrare i reati di genere come reati e la protezione delle donne, delle bambine e dei bambini in uscita dalla violenza come obbligo dello Stato. Quindi per realizzare questo la formazione diventa uno strumento importantissimo, ma anche mettere la rete antiviolenza nelle condizioni di realizzare, con attenzione, tutti i sistemi di protezione.Pag. 23
  Noi come Differenza Donna, tra l'altro, stiamo ultimando la rielaborazione degli strumenti SARA. Abbiamo importato gli strumenti di valutazione di recidiva degli uomini violenti nel 2003 dal Canada, appunto lo strumento SARA. Oggi, anche collaborando con l'Università la Sapienza, lo abbiamo completamente stravolto secondo quelle che sono le multiple discriminazioni. Quindi adeguare lo strumento SARA, non solo alle discriminazioni che le donne subiscono in quanto donne, quindi all'interno della violenza che è la forma di discriminazione di genere più grave e più diffusa, ma abbiamo bisogno di declinare anche gli strumenti di protezione e la valutazione del rischio nelle donne che subiscono multiple discriminazioni. Quindi donne, ma anche donne migranti, donne ma anche donne con disabilità, donne che vivono altre forme di discriminazione. Questo è molto importante e su questo faremo la nostra parte per diffondere questi strumenti e aumentare la consapevolezza degli operatori della rete antiviolenza.
  Un altro elemento fondamentale. Noi sappiamo che ci sono stati, per fortuna, questi 40 milioni aggiuntivi rispetto alle risorse da destinare ai centri antiviolenza, alle case rifugio e alla formazione. Quello di cui siamo molto preoccupati sono i tempi di questa governance. Nei territori in cui noi lavoriamo ci dicono che sono riusciti solo ultimamente ad accedere ai fondi 2021 e 2022, i fondi 2022 sono arrivati proprio da pochissimo alle Regioni e le Regioni li stanno passando ai territori. Questo aumento deve andare a colmare quelle che sono le maggiori esigenze. Le maggiori esigenze sono sicuramente un'omogeneità di presenza sul territorio nazionale italiano dei centri antiviolenza, ma anche una maggiore copertura di posti letto in casa rifugio, che è molto, molto, molto, al di sotto del necessario. Abbiamo una copertura che non arriva al 3 per cento di quello che è lo standard stabilito all'interno dell'Unione Europea, che parla di un posto letto ogni 10.000 abitanti. Questo surplus, questi fondi strutturali che abbiamo per il 2024 e poi per il 2025, quindi molto importanti, dobbiamo fare in modo che vadano a colmare questo gap.
  In questi giorni di formazione in tutta Italia le forze dell'ordine, ma anche i servizi sociali, ci stanno dicendo che hanno bisogno di posti letto, perché nel caso in cui valutino un alto rischio di vita delle donne e delle bambine e dei bambini non hanno posti dove collocare. Pertanto, si finisce per collocare in strutture che non hanno quella specializzazione che è propria dei centri antiviolenza e che non svolgono quella funzione che è stata riconosciuta a noi centri antiviolenza nelle varie norme, dalla legge 119 cosiddetta del «femminicidio» sino ad arrivare a tutte le altre norme, come pezzo importantissimo della rete antiviolenza, che offre questa accoglienza alle donne ma anche tempi e luoghi come soggetti non istituzionali. Ricordo che i centri antiviolenza svolgono una funzione fondamentale, perché sono un pezzo ormai riconosciuto dalle istituzioni e facente parte della rete antiviolenza, ma che godono di non essere istituzioni e quindi di garantire alle donne, alle bambine e ai bambini dei tempi e un luogo ventiquattro ore su ventiquattro, come le case rifugio, dove potersi ricostruire la memoria traumatica della violenza che si è subita che, come sappiamo, è una memoria non lineare. Voi capite bene quanto è importante avere un'accoglienza nei centri antiviolenza, nelle case rifugio, perché non si tratta solo di depositare una denuncia querela, ma di depositare, se la donna vuole, una denuncia querela che sia realmente rappresentativa della storia di violenza che si è subita. Per fare questo c'è bisogno di un luogo dedicato, di relazioni dedicate e di tempo, che ovviamente è differente a seconda delle condizioni individuali, perché non scordiamoci che le donne non sono una categoria, ma ognuna ha vissuto una vita che è unica e irripetibile. Questa donna per ricostruire la memoria storica traumatica ha bisogno di una relazione di fiducia che le permetta veramente di recuperare pezzi di memoria traumatica e ciò è possibile solo ove questa relazione di fiducia lo permetta.
  Quindi l'elemento più importante che voglio portare – ringrazio davvero di questaPag. 24 audizione con la Commissione e spero ci potremo vedere presto anche in presenza, in riunioni che ci permettano uno scambio più dialogato – è una fotografia del momento, che è una fotografia di grande cambiamento. Il grande cambiamento, che è stato molto forte, inerisce un aumento della paura, la sensazione di non sicurezza rispetto alle relazioni. Questo è sicuramente qualcosa di importante che ci viene consegnato. Questa è anche una grande opportunità. Questa opportunità va utilizzata. Manca un accompagnamento, nella nostra società, di evoluzione culturale. Quindi parlo di campagne che accompagnino la cittadinanza in un cambiamento culturale rispetto alle relazioni intime e al riconoscimento della violenza.
  Io faccio sempre un esempio molto pratico, su come l'Italia ha accompagnato la cittadinanza alla consapevolezza dei danni del fumo. Sono state fatte campagne che hanno sortito l'effetto di cambiare radicalmente il nostro comportamento. Mio padre, come tutti quanti, era abituato a fumare nei luoghi pubblici, dal cinema all'aereo, alla macchina, magari con dentro anche noi quando eravamo piccole, io e mia sorella; oggi questo è un comportamento che non terremmo più e che anzi è stigmatizzato dalla società ed è giusto che sia così.
  La stessa cosa dobbiamo fare per conseguire un cambiamento globale della percezione di ciò che è veramente una relazione amorosa, sapendola distinguere nettamente da una relazione in cui, invece, c'è violenza. Questo va fatto, come la Convenzione di Istanbul ci ha insegnato, mettendo insieme prevenzione, protezione e persecuzione.
  La prevenzione sì, certo, è l'intervento nelle scuole, sul quale ovviamente noi siamo assolutamente d'accordo. Per noi intervento nelle scuole significa parlare e accompagnare le bambine e i bambini, gli adolescenti e anche le persone in formazione nelle università; ma significa anche parlare con le famiglie, con i genitori, parlare con i docenti e con chiunque accompagni nella crescita le bambine e i bambini, gli adolescenti e le adolescenti. Sicuramente servono delle campagne globali, delle campagne che aiutino la nostra popolazione, la nostra cittadinanza in questo cambiamento.
  Questi tre assi devono essere portati avanti in maniera sistemica e programmati in un breve, in un medio e in un lungo periodo. Noi speriamo veramente che ci si attrezzi sempre di più, spingeremo perché sia fatto e collaboreremo perché ci si attrezzi nel miglior modo possibile, perché questi tre assi strategici siano portati avanti.
  Quindi prevenzione fatta con campagne e con formazione; protezione fatta anche mediante prevenzione dalla rete antiviolenza, che implementa le sue capacità e quindi collabora sempre più con i centri antiviolenza; persecuzione, ossia i reati di genere devono sempre più essere considerati dalle forze dell'ordine, dalla magistratura, ma anche dalla popolazione, dalla società civile, come reati gravi. Come ci dice la Convenzione di Istanbul, sono gravi violazioni dei diritti umani, quindi delle violazioni davvero importanti, in cui sia netto il riconoscimento della responsabilità degli autori di violenza e in cui tutte le importanti norme che abbiamo servano davvero a fermare questi comportamenti violenti che, come purtroppo continuiamo a vedere in Italia, possono portare ad un'escalation della violenza, soprattutto in ambito di separazione.
  I campanelli di allarme ormai sono chiarissimi, aiutiamoci in collaborazione perché chiunque svolga un ruolo fondamentale nel sostegno alle donne nella persecuzione e nel fermare gli uomini autori di violenza possa veramente realizzare quello che, in maniera molto sapiente, abbiamo elaborato nelle norme che ormai abbiamo a nostra disposizione. Per proteggere le donne abbiamo bisogno che la consapevolezza della rete antiviolenza, la formazione e la specializzazione siano veramente diffuse.
  Un altro elemento che sottopongo è considerare che tutti gli ambiti giudiziari hanno bisogno di una magistratura non dedicata, ma specializzata. Questo significa che sentiamo parlare di pool antiviolenza in una Procura, ma dobbiamo sapere che troppo Pag. 25spesso questo pool è formato da soggetti dedicati a quel tema, ma non specializzati su quello. Questo ovviamente rende molto più difficile la piena realizzazione della protezione delle donne, perché per proteggere davvero le donne, le bambine e i bambini bisogna avere una formazione che dia gli strumenti per non confondere la violenza con il conflitto, per non minimizzare la gravità della violenza, per non banalizzarla e quindi per mettere poi in atto gli strumenti che abbiamo a disposizione. Quindi anche per applicare le norme c'è bisogno di tantissimo lavoro precedente perché quelle norme siano comprese e applicate secondo quella che è l'importante costruzione di teoria scientifica, realmente scientifica, sulla violenza, e quindi applicate per il loro meglio. Se avete domande sono a disposizione, ma ho finito il mio intervento.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Ercoli. Si è già iscritta a parlare l'onorevole Ascari, a cui lascio la parola.

  STEFANIA ASCARI. Grazie. Innanzitutto grazie alla dottoressa Ercoli per l'importantissimo contributo che ci ha dato e per gli spunti.
  Due domande. La prima, cosa pensa dell'introduzione di percorsi di educazione affettiva e sessuale in modo sistemico e continuativo per sradicare dall'origine il patriarcato sociale e gli stereotipi insiti ovunque, dal momento che è stata massacrata una mamma di tre bambini a Trento proprio ieri, alla luce della separazione recente in atti.
  In base alla sua esperienza pratica all'interno dei tribunali, vorrei una sua valutazione in merito alla sindrome da alienazione parentale (PAS), se ritiene che venga adesso utilizzata la conflittualità tra coniugi, diciamo la PAS, per addebitare la responsabilità alla donna, mettendola sempre sul banco degli imputati. Ci sono casi in cui addirittura si arriva a denunciare la donna per maltrattamenti in famiglia sulla base di questa pretesa conflittualità. Vorrei conoscere la sua esperienza sul campo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Si sono iscritte a parlare la senatrice Valente e l'onorevole Ferrari. La senatrice Valente, prego.

  VALERIA VALENTE. Grazie alla presidente Ercoli. Grazie innanzitutto per il lavoro prezioso che svolgete come una delle principali reti di centri antiviolenza presenti nel nostro Paese e anche per avere contribuito a costruire finalmente una narrazione e una rappresentazione del fenomeno della violenza più corretto e rispondente a verità. Grazie, inoltre, per averci aiutato, nel corso del tempo, anche a focalizzare l'attenzione sulle maggiori effettive criticità. Credo che contributi e relazioni del genere con le istituzioni, quindi con la Commissione Antiviolenza, ma con tutte le forze che si occupano di violenza sul territorio siano veramente preziose. Quindi grazie.
  La mia domanda è questa. Anche alla luce di quello che diceva la presidente Ercoli, considerando che Differenza Donna gestisce il numero 1522, io continuo a essere sempre più convinta che sul tema degli stereotipi e dei pregiudizi forse noi, insieme a tutto il percorso, a cui pure si faceva riferimento, formazione e specializzazione, dovremmo investire risorse imponenti, costanti, soprattutto su grandi campagne di sensibilizzazione, sulla lettura corretta del fenomeno della violenza. Prima ancora di una specializzazione, forse adesso dovremmo provare a toccare le corde di una cultura, o meglio di una subcultura ancora drammaticamente diffusa, e farlo in maniera radicale. Quindi, per capirci, il 1522, insieme a una campagna di sensibilizzazione non può essere promosso solo in occasione del 25 novembre, bisogna metterci tante, tante risorse. Promuovere sia il 1522, ma insieme, ripeto, a campagne e a messaggi chiari trecentosessantacinque giorni all'anno, perché io so, avendo visitato anche il 1522, che nelle giornate in cui si promuove di più arrivano tantissime telefonate in più. Questo però dimostra che il fenomeno c'è e c'è trecentosessantacinque giorni all'anno e che quando lo promuovi arrivano più telefonate. Quindi è evidente che per fare emergere questo fenomeno, ma soprattutto diffondere la consapevolezza, Pag. 26da parte di chi la subisce la violenza e da parte di chi l'agisce, del grande disvalore sociale, secondo me ci vuole un impegno maggiore. Volevo capire se su questo la presidente, alla luce della sua esperienza, concorda e pensa che questa possa essere una priorità per la politica, anche per il lavoro di questa Commissione.

  PRESIDENTE. L'onorevole Ferrari.

  SARA FERRARI. Grazie presidente. Ringrazio la dottoressa Ercoli perché è stata decisamente esaustiva. Io vivo l'angoscia a Trento dell'evento che è successo ieri, è l'ennesimo sul nostro territorio, che pure è un territorio nel quale tutto ciò di cui lei oggi ha parlato, dalla formazione degli operatori ai percorsi scolastici, è stato fatto a tappeto.
  I percorsi scolastici, ahinoi, in realtà, sono stati bloccati politicamente cinque anni fa, quindi si è persa quella continuità di percorso educativo e culturale sulle nuove generazioni. Però, come diceva lei, è anche la circostanza nella quale si intercettano degli adulti, che sono gli educatori e che sono i genitori. Quando abbiamo fatto questi percorsi noi abbiamo avuto la percezione che ci sono ambiti, anche geografici, magari di aree più interne, culturalmente ancora restii ad accettare questo tipo di ragionamento. In questo caso l'evento di ieri era in uno di questi territori, ma in realtà non solo loro. Detto questo, è proprio lì che vorrei incentrare la domanda. Lei ha parlato di campagne di informazione; anch'io sono convinta che anche sul caso di ieri si tratta di un bisogno di riconoscere che non c'è una accettazione nelle separazioni, che l'amore non è eterno e ha una sua fine senza che per questo debba finire la vita delle donne. Non è facile far passare, in maniera massiccia, questa idea, che non c'è necessariamente una responsabilizzazione da parte della vittima di quanto succede, ma che c'è un preciso responsabile. Questa spesso è una delle cose più difficili da far passare anche nell'opinione pubblica che sta nel contorno di questi contesti.
  Lei ha fatto prima un bellissimo esempio sul fumo e lo comprendo. Lì ci sono state anche delle leggi che hanno vietato che si potesse fumare nei luoghi pubblici, che ovviamente hanno avuto il loro grosso ruolo in quelle campagne. L'impressione è che tutto quanto stiamo facendo ancora non sia in grado di fare vera prevenzione se non riusciamo in questa prevenzione primaria culturale. Quindi le chiedo davvero di aiutare, con la sua esperienza, anche prossimamente, questa Commissione, di darci delle idee su come possiamo suggerire queste campagne e su come magari possano partire su iniziativa stessa della Commissione, che pure ha altri ruoli, ma che può spingere in questa direzione in termini propositivi. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, presidente Ercoli, le lascio la parola per l'intervento di replica.

  ELISA ERCOLI, presidente dell'associazione «Differenza Donna». Grazie delle domande. Per rispondere alla prima domanda, rispetto ai percorsi educativi affettivi, non ho capito se si riferiva in ambito scolastico o si riferiva ai CUAV.

  STEFANIA ASCARI. Mi riferivo in ambito scolastico, avvocata, proprio partendo ad educare dai primi banchi di scuola.

  ELISA ERCOLI, presidente dell'associazione «Differenza Donna». Sì, va bene. Ci tengo a dire che io non sono avvocata, sono specializzata in diritti umani, ma il mio percorso è di Scienze Politiche e Cooperazioni Internazionali. Come presidente di Differenza Donna, mi vedete molto presente nei tribunali perché noi ci costituiamo parte civile. Come rappresentante legale dell'associazione rappresento il danno che ogni situazioni di violenza, poi arreca in situazioni così importanti, come nel processo Saman. Sono presente proprio perché vengo audita anche nell'ambito processuale.
  Comunque assolutamente sì, riteniamo molto importanti i percorsi educativi affettivi in ambito scolastico, non solo nella scuola secondaria. Noi, ad esempio, li stiamo iniziando in questo territorio dove mi trovo Pag. 27adesso, quindi in provincia di Salerno, anche nell'asilo nido. Quello è davvero un intervento di prevenzione, perché nell'asilo nido si parla anche con i genitori, con strumenti molto semplici, che sono le favole prive di stereotipi di genere, e si discute insieme di come si indirizzano le bambine e bambini anche con i giochi, quindi a come i giochi veicolano la consapevolezza di quelle che sono le proprie attitudini e il proprio ruolo sociale. Quello è veramente un intervento importante. Noi lo riteniamo importante a tutti i livelli, quindi dall'asilo nido sino all'università.
  Questo significa accompagnare le ragazze e i ragazzi, ma soprattutto gli adulti che stanno intorno alle ragazze e ai ragazzi, perché pensate quanto è fuorviante che noi interveniamo con le ragazze e i ragazzi, che acquisiscono consapevolezza, poi tornano a casa, o nell'ambito scolastico, e trovano invece un approccio contrario a quello che loro hanno sviluppato come nuova consapevolezza. Questo non lo possiamo fare, confondiamo invece di rafforzare. Quindi anche in ambito scolastico ricordiamoci di avere un intervento sistemico, multilivello che tocca tutti i target che dobbiamo toccare. Quindi assolutamente fondamentali, assolutamente da sistematizzare, assolutamente da promuovere.
  Riguardo all'altra domanda, benché sia scomparso il termine PAS, in che modo questa cultura ascientifica sta continuando a lavorare, noi lo sappiamo molto bene. Penso però che sia tutto presente nelle relazioni della Commissione Femminicidio precedente, che ha fatto su questo un lavoro enorme, anche condiviso con noi. È stato ottenuto, in maniera molto facile, di considerarla una sindrome, ma questa è una questione tecnica, quindi è stata di facile risoluzione. Noi, invece, abbiamo ancora nei tribunali tutto un portato diretto di questa cultura ascientifica, che utilizza come primo strumento la confusione tra conflitto e violenza, perché apre la porta alla possibilità di obbligare le donne, in uscita dalla violenza, a sottostare a degli strumenti, che sono degli strumenti punitivi e di vittimizzazione. Se in una situazione di violenza, non riconoscendola pensiamo a un conflitto, utilizzando poi come strumento la mediazione familiare, o comunque richiediamo alla donna di essere collaborativa in maniera eguale all'autore di violenza, non considerandolo autore di violenza, ma considerando soltanto i due genitori dei loro figli, quindi anzi in una condizione in cui devono collaborare, noi stiamo sottoponendo le donne a vittimizzazione secondaria.
  Noi come Italia stiamo lavorando tantissimo in tal senso e stiamo anche evidenziando e facendo emergere tutte le contraddizioni che ci sono in tribunale. Non posso non parlare delle consulenze tecniche d'ufficio, che sono sempre più richieste in ambito civile dai giudici a supporto delle loro decisioni in ambito di affidamento dei figli e di separazione.
  Io non smetterò mai di dire che un sistema giustizia che obbliga le donne in uscita dalla violenza ad essere sottoposte a consulenza tecnica d'ufficio, in primo luogo attua una vittimizzazione secondaria e quindi proprio da condanna, perché non sono le donne in uscita dalla violenza a dover essere valutate, bensì devono essere sostenute. Noi, Paese Italia, con le nostre istituzioni, abbiamo l'obbligo di protezione. Quindi non è semplicemente un piccolo errore, è proprio qualcosa di fondante che impedisce la protezione e noi non ce lo possiamo permettere se diciamo che ormai abbiamo tutte e tutti raggiunto la consapevolezza di voler veramente sradicare questo fenomeno.
  Non possiamo giustificare le azioni violente e non possiamo soprattutto inserire degli elementi che sono anche classisti in ambito giudiziario. La CTU è a pagamento; come fa un sistema di giustizia, che prevede addirittura forme di gratuito patrocinio per tutte le donne vittime di violenza, ad inserire poi uno strumento che è a pagamento e che quindi deve essere pagato dalle donne e dagli uomini? Anche lì si aggiunge un'ulteriore disparità di potere, perché le donne sono più povere e questo è scientifico, lo sappiamo proprio dati alla mano, quindi gli uomini pagano in maniera più facile anche le CTU e pagano anche quelli che sono considerati i più potenti e Pag. 28più quotati che costano molto di più come CTP. Avere l'obbligo di CTU significa che bisogna recuperare subito una CTP, cioè una consulenza tecnica di parte.
  Per molte donne questo diventa un indebitamento talmente forte che la disparità di potere diventa assoluta, per cui diventa insostenibile liberarsi dalla violenza. Questo è proprio il contrario della protezione che lo Stato deve dare. Quindi come inserirsi in questo ambito? Stiamo facendo tanti tentativi, dalle indicazioni sempre più precise su questo, anche sui quesiti che vengono dati all'interno delle CTU. Addirittura abbiamo il paradosso che per tantissimi anni abbiamo avuto quesiti che obbligavano i servizi, quindi le psicologhe, le psicoterapeute o comunque gli operatori specializzati che sarebbero andati a occuparsi della CTU, a prescindere dalla violenza subìta. Quindi c'è un problema enorme, cioè l'alienazione parentale, e quella punizione che si voleva far vivere alle donne, come corresponsabilità. Occorre, invece, procedere con altri strumenti che dovrebbero essere puliti di questo impatto che poi impedisce la piena applicazione della protezione, il pieno riconoscimento della grave violazione dei diritti umani delle donne.
  Passando, invece, alle domande che faceva la senatrice Valente, sicuramente la promozione del 1522 è uno strumento importante che va accompagnato. Il dato di dicembre è che i numeri di contatti sono triplicati, quindi quell'effetto post 25 novembre, che ci vedeva ritornare a dicembre in una situazione di ritorno alla media bassa, che è di 5.000 contatti mensili, non c'è stato, ma addirittura abbiamo avuto un incremento rispetto a novembre. Quindi a ottobre 5.000 contatti, 9.800 a novembre e 13.000 a dicembre. Al momento stiamo godendo di un aumento. Ovviamente, noi dobbiamo renderlo sistemico. Promuovere e avere un successo così importante per il 1522 significa avere dati, molti dati a disposizione per lo Stato italiano, per l'Istat, che si indirizzerà sempre meglio nelle politiche. Quindi dobbiamo sfruttarli bene questi dati. Questi dati significano anche che noi stiamo chiedendo ai centri antiviolenza di tutta Italia di fare il loro ruolo. Io vi dico però che questo ruolo è molto difficile così come stanno oggi le cose. Perché vi dico questo? Perché, ad esempio, noi come Differenza Donna adesso siamo molto al sud, siamo presenti con i nostri centri antiviolenza in Campania e in Basilicata, e posso dirvi che la Basilicata ha come fondi ripartiti – e noi sappiamo che la Conferenza Stato-regioni ripartisce i fondi in base alla popolazione femminile nel territorio – 5.000 euro a centro antiviolenza. Al momento ha due centri antiviolenza e noi ne stiamo aprendo con fondi nostri, non con i fondi del riparto. È difficile.
  Aumentiamo l'attività del 1522, quindi impattiamo, perché la nostra funzione come 1522 è accoglienza, fornire orientamento e strumenti adeguati alle donne in uscita dalla violenza, renderle responsabili del rischio reale che stanno vivendo, ma ovviamente in seguito il nostro obiettivo è mandarle sui centri antiviolenza territoriali. Secondo me un lavoro da farsi è dire: ma i centri antiviolenza, anche quelli mappati, hanno la sostenibilità per svolgere la funzione importante che giustamente hanno affidata? Economicamente ancora non è così. Questi 40 milioni sicuramente aumentano la possibilità che questo si sviluppi, ma noi dobbiamo fare un'analisi molto importante perché poi se un centro antiviolenza ha solo 5.000 euro l'anno, come è possibile che lì ci siano donne nelle condizioni di assumersi un carico così importante, di svolgere un lavoro fondamentale e di avere quei requisiti minimi che stabilisce la Conferenza Stato-regioni? Ovviamente non venga in mente a nessuno di dire che abbassiamo i requisiti. Dobbiamo aumentare la sostenibilità e la possibilità che tutti i centri antiviolenza in Italia possano davvero svolgere quella importante funzione.
  Poi l'ultimo intervento, per il quale ringrazio, si chiedeva come realizzare una prevenzione che sia una vera prevenzione. Capisco anche questo sbigottimento rispetto a: «Ma come, noi abbiamo messo così tante risorse, ci siamo impegnati così tanto e la situazione è in questo modo?» Io l'ho detto proprio in un'intervista rilasciata giovedì a Uno Mattina, noi non dobbiamo cogliere le tragedie, che continuiamo a vederePag. 29 nel 2024, come un insuccesso dell'aumento di impegno che abbiamo avuto nel 2023 e negli anni precedenti. Noi dobbiamo sapere che questo è un fenomeno millenario, che questa cultura non la possiamo sradicare in breve tempo e per questo noi dobbiamo diventare sempre più brave a programmare e ad avere una programmazione di breve, di medio e di lungo periodo.
  Questo significa passare dagli interventi spot agli interventi sistemici. Passare agli interventi sistemici significa non solo avere soldi, ma spenderli. Spenderli, perché uno dei problemi della governance è anche spendere bene e nei giusti tempi i soldi e significa anche capire, oltre ai fondi del riparto, quali sono i fondi a cui lo Stato, e quindi le sue derivazioni locali, devono poter accedere. Faccio un esempio. Se Roma capitale non avesse avuto i fondi europei non avrebbe potuto aprire così tanti centri antiviolenza, che sono anche così giustamente finanziati. Quindi non si accontenta di dare, ad esempio, quello che è considerati il minimo, che tra l'altro il minimo per la regione Lazio è uno standard molto alto economicamente, ma aggiunge ulteriori fondi, che significa garantire anche le azioni di prevenzione.
  Ovviamente l'intervento della senatrice Valente non era soltanto per la promozione del 1522, ma anche l'accompagnamento a un biasimo sociale nei confronti della violenza. Questo lo riteniamo assolutamente molto importante, perché la giustizia non si svolge soltanto nelle aule dei tribunali. La cosa più importante per contrastare la violenza maschile contro le donne è la giustizia sociale. Non perché la giustizia nei tribunali non serve. Serve, ma ci si arriva bene quando c'è una base di consapevolezza e di condanna che riconosca la violenza maschile contro le donne davvero come un reato nei confronti del quale tutte e tutti abbiano un biasimo e una condanna sociale. Grazie. Spero di aver risposto a tutte, altrimenti sono qui a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie presidente Ercoli. Sicuramente ci saranno occasioni anche in presenza per lavorare insieme. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.35.