XIX Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 7 giugno 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Minardo Antonino , Presidente ... 2 

Audizione del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cavo Dragone Giuseppe , Capo di Stato Maggiore della Difesa ... 2 
Minardo Antonino , Presidente ... 7 
Richetti Matteo (A-IV-RE)  ... 7 
Minardo Antonino , Presidente ... 8 
Loperfido Emanuele (FDI)  ... 8 
Minardo Antonino , Presidente ... 8 
Fassino Piero (PD-IDP)  ... 8 
Minardo Antonino , Presidente ... 9 
Bagnasco Roberto (FI-PPE)  ... 9 
Minardo Antonino , Presidente ... 10 
Carrà Anastasio (LEGA)  ... 10 
Minardo Antonino , Presidente ... 10 
Graziano Stefano (PD-IDP)  ... 10 
Minardo Antonino , Presidente ... 11 
Comba Fabrizio (FDI)  ... 11 
Minardo Antonino , Presidente ... 11 
Cavo Dragone Giuseppe , Capo di Stato Maggiore della Difesa ... 11 
Minardo Antonino , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANTONINO MINARDO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone.
  Do il benvenuto all'Ammiraglio Cavo Dragone e ai suoi accompagnatori, Ministro plenipotenziario Michele Esposito, Ammiraglio di divisione Luca Conti e Capitano di Fregata Michele Spada.
  Dopo l'intervento dell'Ammiraglio Cavo Dragone sarà data la parola a un parlamentare per gruppo per un primo giro di interventi e dopo la replica potrà avere luogo un secondo giro di domande da parte di altri colleghi che ne facciano richiesta. Chiedo, dunque, ai colleghi di far pervenire fin da ora al banco della Presidenza la propria iscrizione a parlare.
  Do adesso la parola all'Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone per il suo intervento.

  GIUSEPPE CAVO DRAGONE, Capo di Stato Maggiore della Difesa. Grazie presidente. Presidente Minardo, vicepresidenti Ciaburro e Fassino, onorevoli deputati, vorrei esprimere la mia gratitudine per questa occasione e per questa opportunità di condividere con voi le linee che contraddistinguono il cammino della Difesa in questo periodo e che mi consente di aggiornare le linee programmatiche stesse del mio mandato.
  Siamo a oltre un anno dalla mia prima audizione, era il 22 marzo dell'anno scorso, e qualche mese fa, il 25 gennaio, si è svolta l'audizione del Ministro della difesa in questa stessa sede. Abbiamo avuto un'opportunità di riflessione, e per me è stato davvero importante e vi sono particolarmente grato, in occasione dell'audizione del 18 maggio scorso sulle missioni italiane all'estero. In quell'occasione abbiamo toccato anche aspetti delle linee programmatiche della Difesa, sulle quali non tornerei, fermo restando la mia piena disponibilità ad approfondire qualsiasi argomento ritenuto di vostro interesse.
  Ovviamente, in linea con le indicazioni del Ministro della difesa, lo Stato Maggiore della Difesa, le Forze armate e le altre articolazioni della Difesa, sono oggi impegnate nel far avanzare le 36 linee di azione delineate dal Ministro al fine di dare concreta attuazione a un modello di difesa a 360 gradi, che sia sempre più credibile e autorevole sul piano internazionale ed efficace nel sostenere le istituzioni, i nostri cittadini, l'identità e le ambizioni nazionali. Alla luce di questo, la mia esposizione di oggi si svolgerà secondo un modello narrativo che punterà a offrire alcuni spunti di riflessione partendo da un momento preciso.
  Dove siamo oggi? L'anno appena trascorso è stato certamente un momento di svolta per il mondo della Difesa in Italia e all'estero. L'aggiornamento della dottrina Pag. 3militare è un atto di consapevolezza delle Forze armate, che mette in luce la necessità di dover accantonare modelli operativi sino a ieri ritenuti validi e adeguarsi quanto più velocemente possibile alla nuova realtà da affrontare.
  La neutralità è stata abbandonata dalla Svezia e dalla Finlandia, così come la dottrina militare dei Paesi amici alleati, nonché della stessa NATO, ha subìto sostanziali adeguamenti sotto la spinta della crisi ucraina. Ma anche Paesi neutrali, quali la Svizzera e l'Austria, hanno sentito l'esigenza di riflettere su linee strategiche che consideravano solide e forse immutabili perché ancorate allo status di neutralità, storicamente alla base della loro stabilità.
  Poi, volgendo lo sguardo ai Paesi amici e alleati del cosiddetto Mediterraneo allargato, ho notato come la dottrina di sicurezza abbia subìto una notevole evoluzione, soprattutto nell'area del Golfo Persico e della sponda sud del Mediterraneo; nel senso di una sempre più accentuata flessibilità e diversificazione sul piano dei rapporti e delle forniture strategiche. È un fenomeno che dobbiamo seguire e intercettare per ampliare e rendere sempre più strutturata la cooperazione strategica di questi stessi Paesi con il nostro, le cui capacità, professionalità e risorse sono oggi molto ricercate.
  Io stesso ho varato il mio concetto strategico nel settembre scorso, nella consapevolezza che quanto ereditato dal mio predecessore (anche se estremamente valido) non poteva più essere considerato un tradizionale passaggio di testimone fra due Capi di Stato Maggiore della Difesa in una prospettiva di continuità. Tale documento propone, infatti, una visione di discontinuità rispetto al passato e di proiezione verso nuovi scenari futuri del tutto nuovi a tutti i livelli. Dal modello interforze al multi dominio, dalle missioni all'estero alla politica delle alleanze, dall'ammodernamento dello strumento militare al rapporto con l'industria di settore, dalla proiezione internazionale alla deterrenza, dalla formazione del personale all'adeguamento infrastrutturale. Lo scenario internazionale si evolve a una tale velocità che anche il concetto strategico da me elaborato può apparire forse già superato dagli eventi a cui stiamo assistendo.
  L'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione russa, nonché la conseguente evoluzione dei rapporti politici e strategici tra le realtà globali, hanno segnato un momento di cesura e al tempo stesso di accelerazione di dinamiche, alcune preesistenti e altre nuove, i cui inevitabili riflessi impongono anche al nostro Paese un rafforzamento della politica di difesa e di deterrenza. Le oltre 40 nazioni che partecipano al cosiddetto Gruppo di contatto ucraino sono concentrate sulla fornitura di capacità di difesa all'Ucraina e a fornire un efficace coordinamento del supporto in prospettiva futura, compresi i piani di ricostruzione dopo la guerra. Mentre tale gruppo è concentrato su un unico compito, la Cina e la Russia stanno portando avanti una vasta e deliberata offensiva politica e diplomatica con l'obiettivo di espandere la loro influenza nei Paesi del cosiddetto sud globale, che rappresenta quasi due terzi della popolazione mondiale. Ossia quei Paesi che non hanno condannato l'invasione russa e che mantengono un atteggiamento per così dire neutrale. Mentre entriamo nel sedicesimo mese di operazioni militari in Ucraina, la Cina ha rilasciato un documento in dodici punti che propone un quadro per una soluzione politica al conflitto che infuria in Europa.
  Allo stesso tempo, in Medio Oriente abbiamo osservato i cinesi mediare un accordo tra Arabia Saudita e Iran e la conseguente ripresa delle relazioni diplomatiche. Dopo l'interruzione dei rapporti del 2003, entro questa settimana i due reciproci ambasciatori dovrebbero completare i loro insediamenti a Teheran e Riyad. Allo stesso tempo l'Iran sta cercando di migliorare le sue relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain ed Egitto. Turchia e Siria sono in una fase di riavvicinamento sostenuto da Russia e Iran. Mentre osserviamo queste iniziative, sullo sfondo Siria e Iraq stanno firmando un accordo di sicurezza nell'ottica di stabilizzare le relazioni bilaterali.Pag. 4
  La domanda di sicurezza è aumentata nel Mediterraneo allargato e in molte regioni africane. Ciò è particolarmente vero dove sono attivi il gruppo Wagner, Stati e organizzazioni proxy russi e iraniani e altri attori transnazionali. A tale riguardo dobbiamo essere consapevoli che il terrorismo rappresenta una minaccia ancora cogente e preoccupante, che non possiamo assolutamente sottovalutare anche in ragione del suo dilagare in Sahel.
  Russia e Iran stanno dispiegando ogni possibile sforzo politico e militare nel tentativo di affrancare la strategia cinese, rompere il loro isolamento internazionale allargandone la sfera d'influenza. È evidente che molti di questi sforzi mirano anche ad aprire nuovi fronti per indebolire la nostra volontà di difendere la democrazia e la libertà.
  Come ho avuto modo di sottolineare nel mio recente intervento all'Atlantic Council di Washington, guardando dal cielo la terra sembra una gigantesca scacchiera dove tutti i pezzi sono in pieno continuo movimento.
  La crisi ucraina è chiaramente un terremoto geopolitico di proporzioni straordinarie e sta avendo effetti a catena su tutto il panorama internazionale.
  Sono in gioco gli equilibri in aree cruciali come il bacino del Mediterraneo, il Mar Nero, il Golfo Persico e molte aree strategiche dell'Africa.
  Nell'Indo-Pacifico e nel Mar Cinese meridionale le dinamiche segnano un'escalation dell'interferenza di vari attori interessati all'area.
  Nell'incontro del 31 maggio scorso, il presidente Fassino ha parlato giustamente di una fascia di turbolenza senza precedenti che corre da est a ovest dal Golfo Arabico attraverso Medio Oriente e Nord Africa, ma che si spinge anche a più basse latitudini proprio in questo continente. Penso che dovremmo reagire prontamente per affrontare queste minacce alla pace e alla stabilità internazionale.
  Forse ci stiamo perdendo qualcosa di importante o stiamo trascurando Paesi e aree strategiche per la nostra sicurezza? Credo che questo sia il momento giusto per riflettere sulla nostra strategia attuale.
  Non voglio evocare la nota strategia del presidente Truman, ma la portata globale dei fenomeni che abbiamo evocato evidenzia certamente la necessità di un'articolata strategia di contenimento nei confronti delle attuali minacce alla sicurezza su scala globale.
  Di fronte a questa grave minaccia alla sicurezza internazionale, l'Unione europea ha reagito con determinazione, non solo sul piano dell'assistenza politica e militare all'Ucraina, ma anche facendo avanzare il processo di integrazione nel settore della politica di sicurezza e militare.
  Oggi finalmente affrontiamo concretamente il tema della costituzione di una forza militare europea nell'ambito della bussola strategica. La sovranità nazionale in questo settore strategico è un tema di elevata sensibilità. Ma dobbiamo concepire gli sviluppi della difesa europea come un ulteriore arricchimento delle capacità di difesa dell'Occidente nel suo insieme e soprattutto dei suoi valori fondamentali, in una prospettiva di integrazione con l'Alleanza atlantica. Qui abbiamo ancora molta strada da fare.
  Il vertice NATO di Madrid del giugno 2022 ha sottolineato come la concorrenza strategica sia destinata a crescere velocemente nei prossimi anni alla luce del mutato scenario geopolitico, per la spinta competitiva sviluppata contemporaneamente da Russia e Cina.
  La NATO ha dunque reagito in maniera coesa e determinata per fronteggiare l'aggressione russa in Ucraina. Ha rapidamente aggiornato la sua impostazione strategica adattandola alle nuove minacce. Ha dato immediata disponibilità ad accogliere nuovi membri, come la Finlandia e la Svezia. Ha rivolto maggiore attenzione al fianco sud, dove da tempo proprio noi avevamo evidenziato i segni di una accresciuta instabilità e di una rinnovata necessità di attenzione. L'Alleanza ha altresì da tempo avviato un processo di adattamento strategico e organizzativo, sia nella cosiddetta Command Structure che della Forces Structure, rispondendo concretamente al mutevole scenario geostrategico già da prima della crisi ucraina. Qui vorrei ricordare la Pag. 5linea d'azione menzionata dal Ministero della Difesa nell'audizione del 18 maggio scorso, che sottolinea l'esigenza di contare di più in seno ai meccanismi politico-militari dell'Alleanza atlantica, dell'Unione europea, delle coalizioni e finanche delle iniziative bilaterali, attraverso una maggiore integrazione, assertività e presenza di nostro personale selezionato nelle strutture di vertice.
  Le citate trasformazioni organizzative della NATO sono dunque l'occasione e l'opportunità che dobbiamo cogliere per rivendicare più Italia nelle posizioni di vertice e nei centri decisionali. E questo non solo perché siamo tra i principali contributori alle politiche internazionali di stabilizzazione, ma soprattutto alla luce delle nostre accresciute responsabilità anche al fianco sud.
  Nell'ottica di presidiare ogni possibile scenario di confronto, condivido le attività del Joint Force Command di Norfolk, struttura della Command Structure della NATO, recentemente potenziata e orientata a collegare la sicurezza dell'Atlantico nel Nord Europa e la regione artica. Proprio qui sono evidenti i segnali di una spinta competitiva di alcuni Paesi, Russia su tutti, volto ad assicurarsi posizioni privilegiate in questa arena strategica. Nel medio periodo si prevede l'apertura di nuove vie di comunicazione, il passaggio a nord-ovest, alternative a quelle attuali ed estremamente remunerative, oltre allo sfruttamento del sottosuolo potenzialmente ricco di risorse minerarie ed energetiche.
  Nel nostro precedente incontro del 31 maggio scorso abbiamo toccato il tema di associare alle politiche strategiche anche azioni strutturate di sviluppo per rispondere alla grave crisi economica e sociale dell'Africa e della sponda sud del Mediterraneo, innescata dalla pandemia e resa fuori controllo dal conflitto ucraino. Questi Paesi chiedono non assistenza, ma politiche di cooperazione e sviluppo con trasferimenti di ricchezza sotto forma di know-how, di capacità produttive e industriali. Anche in questo settore tutti sappiamo che i Paesi dell'area Brics stanno offrendo un'alternativa politica di sviluppo ai Paesi emergenti, che mira a fare concorrenza all'offerta delle istituzioni internazionali preesistenti e alle stesse politiche delle Nazioni Unite e dell'Unione europea.
  Il cosiddetto Mediterraneo allargato si è ulteriormente trasformato in un punto di polarizzazione dei contrasti internazionali, ove le crisi e i focolai di tensione sono arrivati in Siria, in Libano, in Israele e ancor più ampiamente in Sahel. È altresì evidente una notevole crescita e persistenza di assetti navali militari russi in tutto il bacino, sono state tracciate fino a un massimo di 18 unità.
  La domanda di sicurezza dello spazio mediterraneo è chiaramente esplosa.
  In questo scenario i canali militari sono preziosi e insostituibili. Tutti noi sentiamo la grande responsabilità di fare ogni cosa possibile per cooperare a distribuire sicurezza verso i Paesi amici e alleati.
  Dalla prospettiva dei Paesi partner, la politica militare dell'Italia è percepita come il battistrada di un sistema Paese capace di proporre non solo addestramento o assetti militari ma anche modelli organizzativi moderni, supporto strategico di ricostruzione delle istituzioni e cooperazione industriale dall'elevato contenuto tecnologico. La capacità di affrontare con successo le sfide alla sicurezza politica economica ed energetica è direttamente legata anche alla nostra determinazione a proiettarci come sistema al di fuori dei nostri confini e ad avviare una cooperazione a tutto campo e senza preclusione con tutti i Paesi di interesse nazionale. La mia percezione è che questo stia avvenendo, potenzialmente foriero di un prossimo possibile cambio di passo nella nostra politica militare.
  In ambito militare questa competizione strategica ha assunto caratteristiche che sommano alle strategie di potenza nei classici domini delle tradizionali operazioni militari (quindi il terrestre, aereo e marittimo) un ricorso crescente a tecnologie emergenti, oggigiorno spesso concentrate nei domini cibernetico e spaziale, sempre più pervasivi e congestionati, anche in ragione dell'alto potenziale strategico ed economico che rappresentano per attori pubblici e privati.Pag. 6
  In questo senso il conflitto russo-ucraino e il correlato impatto della minaccia ibrida, ove la componente cognitiva manifesta i suoi dirompenti effetti, ci ha confermato la necessità di procedere speditamente verso uno strumento militare multidominio, omogeneo, interoperabile, caratterizzato da uno spinto livello di digitalizzazione dei sistemi, con efficaci capacità in tutto lo spettro delle operazioni militari.
  Sul piano organizzativo puntiamo a un modello completamente interforze, che sia integrato con le altre agenzie dello Stato, con i nostri partner europei e dell'Alleanza atlantica, in grado di poter sviluppare sinergie efficaci e strutturate con l'industria nazionale e con il mondo della ricerca e dell'università.
  Sarà indispensabile conseguire la piena interoperabilità tra unità operanti nei cinque domini (terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cibernetico), amplificando inoltre i singoli potenziali oltre a saper coniugare e concentrare gli effetti mirati a un determinato obiettivo, valorizzando anche l'evoluzione della dimensione sommersa. Un vero e proprio dominio operativo, oggi sempre più accessibile e sfruttabile grazie alle nuove tecnologie. Lo sfruttamento degli ambienti informativo ed elettromagnetico consentirà altresì di disporre di un'autonoma ed efficace capacità di analisi e previsione per conseguire un significativo vantaggio strategico, sia in fase di pianificazione che di attuazione. Quanto descritto verrà conseguito anche attraverso la piena implementazione della struttura del Joint Operation Center presso il Comando operativo di vertice interforze.
  La Difesa farà con determinazione la sua parte in ogni circostanza. Tuttavia, ritengo che oggi ancor più di ieri si debba guardare a una chiara strategia di sicurezza nazionale, rispetto a cui ciascun attore istituzionale possa mettere a disposizione competenze e professionalità, come recentemente auspicato dal signor Ministro della difesa.
  La superiorità tecnologica è un elemento chiave per un'efficace e credibile deterrenza. La capacità di preservare la pace deriva dalla capacità di scoraggiare la guerra.
  Dobbiamo anche proteggere la nostra superiorità tecnologica e assicurarci di rimanere un passo avanti nella competizione con i nostri avversari. Abbiamo bisogno di capacità di quinta e sesta generazione per consentire alle nostre Forze di operare efficacemente, anche in presenza di minacce di ultima generazione, soprattutto nel dominio aereo. Per questo motivo l'Italia ha, ad esempio, aderito con il Regno Unito e Giappone al progetto GCAP, con un sistema di sistemi espressamente disegnato per operare in scenari multidominio, i cui discendenti contenuti tecnologici avranno positive ricadute non solo in ambito militare.
  Si collegano alla deterrenza tecnologica alcune riflessioni sul tema dell'industria della Difesa, che mi sta molto a cuore.
  Come voi sapete l'Italia è fra i pochi Paesi al mondo a disporre di un'apprezzatissima industria di settore, che costituisce un comparto essenziale del sistema Paese per i suoi effetti moltiplicativi in termini di crescita economica, tecnologica e occupazionale.
  Per quel che riguarda l'industria della Difesa vorrei sviluppare alcune riflessioni.
  Innanzitutto, l'esigenza di una politica industriale per il settore è sotto gli occhi di tutti; la concorrenza è certamente fondamento del libero mercato e le concentrazioni di impresa sono la sua negazione. Tuttavia, la sfida della deterrenza tecnologica si gioca nel fare massa critica sulle risorse finanziarie e tecnologiche perché, a eccezione degli Stati Uniti, è difficile immaginare quale attore possa raccogliere in solitudine tale sfida gigantesca. Mettere in comune le risorse e le competenze a livello dell'Unione europea e della NATO mi sembra una scelta obbligata.
  Il secondo pensiero. Le Forze armate dovranno ampliare la sinergia con l'industria della Difesa e gli altri attori dell'aerospazio, nel segno di un percorso condiviso per affrontare con successo la sfida della modernità. Tale azione dovrà massimizzare le collaborazioni, la standardizzazione e l'interoperabilità tra le Forze armatePag. 7 e con gli alleati, cogliendo appieno anche le opportunità derivanti dai programmi di cooperazione europei e internazionali.
  Ultimo e terzo punto. Sul piano delle relazioni internazionali occorre sviluppare una strategia coerente e trasparente verso i Paesi amici e alleati. L'industria della difesa e le relative attività di cooperazione contribuiscono in maniera sensibile al posizionamento strategico del Paese e aprono, agli altri settori dell'economia nazionale, importanti prospettive di penetrazione nei mercati esteri. Sarà quindi importante favorire accordi G2G anche nei confronti dei Paesi al di fuori del perimetro europeo e atlantico, valorizzando al massimo gli strumenti giuridici esistenti.
  Dal mio osservatorio un dato è comunque certo e dirimente: la nostra industria deve essere in grado di produrre, in termini qualitativi e quantitativi, quanto prioritariamente richiesto dalle Forze armate, che sostengono sfide tecnologiche e operative ben definite da affrontare in tempi ravvicinati.
  Come ha indicato il Ministero della Difesa, la disponibilità di adeguate risorse umane, sia militari che civili, costituisce il primo requisito affinché le Forze armate possano affrontare con successo l'evidente ampliamento dei propri compiti istituzionali, a cominciare dalle sfide sempre più complesse ed estese sul piano nazionale e internazionale.
  Nei nostri precedenti contatti avevo accolto con grande favore la riforma del modello a 150 mila unità, previsto dalla legge n. 244 del 2012, che punta ad adeguare lo strumento al mutato contesto di riferimento geostrategico, consolidandone anche le capacità di operare efficacemente nei nuovi domini spazio e cyber. Questo però non è più sufficiente.
  Siamo consapevoli che la tutela delle nostre priorità strategiche e la stessa comunità internazionale richiedono al nostro Paese di impegnarsi sempre più a fondo e, desidero sottolinearlo, è nostro precipuo interesse nonché dovere procedere in tale direzione. Essere attrezzati, credibili e determinati sono gli ingredienti di base della deterrenza. Deterrenza che deve essere il vero baluardo per scoraggiare qualsiasi mira aggressiva nei confronti del nostro Paese e delle alleanze di cui facciamo parte. Sulla nostra credibilità si gioca la partita per la pace e la stabilità per l'Italia.
  Assicuro l'incondizionato impegno delle Forze armate e so che assieme al vostro sostegno saremo in grado di raccogliere ogni sfida.

  PRESIDENTE. Passiamo adesso agli interventi dei colleghi. È iscritto a parlare l'onorevole Richetti.

  MATTEO RICHETTI. Grazie presidente. Grazie Ammiraglio, non solo per il quadro puntuale che ci ha fatto e per questa analisi che, credo, aiuti molto la Commissione a mettere a fuoco il lavoro da fare in questa legislatura. Abbiamo tra l'altro alle spalle giornate di celebrazioni che hanno restituito un'idea delle Forze armate come una presenza importante e autorevole della nostra Repubblica.
  Io vorrei solo consegnare due telegrammi, due sollecitazioni per quelli che possono essere i chiarimenti che ci può fornire.
  Lei ha delineato un quadro nel quale il mondo che ci attende è molto diverso da quello che abbiamo alle spalle; ha fatto riferimento a Paesi che stanno emergendo sul piano della strategia geopolitica in maniera nuova e differente e a una trasformazione tecnologica che accompagna il sistema della difesa.
  La domanda che le faccio è se questo processo, al quale ha fatto riferimento anche il Presidente Mattarella in questi giorni, che mira a una difesa unica non tanto in termini di strumento unico quanto di strategia unica europea nell'ambito della nostra presenza nella NATO, può conoscere azioni anche nell'immediato che maggiormente portano a questa integrazione e a questo coordinamento.
  La seconda domanda, che nasce dal fatto che abbiamo davanti a noi il vertice di Vilnius, è se ci sono, in ambito NATO, passaggi fondamentali rispetto alle trasformazioni a cui lei faceva riferimento. Vorrei Pag. 8inoltre sapere se la vicenda del Kosovo secondo lei è a un punto di nuovo equilibrio, anche perché è evidente che i Balcani, come tutto l'asse a destra a cui lei ha fatto riferimento, subiscono in maniera diretta le conseguenze dell'invasione della Federazione russa e rappresentano, io credo non solo nel breve periodo ma anche in un periodo un po' più lungo, un asse di grande delicatezza rispetto al quale il nostro Paese deve guardare con attenzione dentro la strategia NATO.
  Le sarei quindi grato se potesse darci qualche sua valutazione sui due aspetti dell'integrazione europea e della situazione del Kosovo.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Richetti. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Loperfido.

  EMANUELE LOPERFIDO. Grazie presidente e grazie soprattutto al Capo di Stato Maggiore della Difesa.
  Effettivamente, quanto ha detto il collega Richetti esprime non tanto le preoccupazioni, perché siamo abituati a vedere un fronte che cambia rapidamente e la fiducia nei confronti dello Stato, ma ci fa affrontare con maggiore serenità, anche grazie a figure come la vostra, situazioni che probabilmente mai avremmo pensato di vivere negli ultimi anni e che invece ci fanno percepire che siamo in una situazione molto delicata. Allora se da un lato, come ha scritto anche nella relazione, c'è questa volontà (ovviamente condivisa) di valutare un futuro in cui anche dal punto di vista delle forniture delle attrezzature, dei mezzi e della tecnologia, si possa andare verso una sorta di uniformità europea per un'attività più efficace probabilmente, sia nella fornitura sia nella parte dell'addestramento, della fornitura delle parti di ricambio e così via, questo ci potrà consentire di essere più immediati nelle operazioni dove siamo presenti nel mondo.
  Anche quando ha ribadito la posizione espressa dal collega Fassino, abbiamo situazioni veramente complesse e, guardando le cartine, dobbiamo veramente essere pronti a intervenire in moltissime zone. Quindi è bene avere esatta contezza e anche condividerla con noi.
  Mi permettevo di chiedere quali possono essere le prospettive rispetto a un pressing esistente per quanto riguarda l'ingresso dell'Ucraina nella NATO e anche il rapporto con i Paesi dei Balcani rispetto a quanto sta accadendo.
  Dobbiamo essere ulteriormente presenti in quelle zone in cui nelle scorse settimane sono accaduti questi episodi che hanno evidenziato come la situazione sia ancora in fibrillazione? Su questo vorrei una valutazione da parte sua.
  Infine un grande apprezzamento. Detto poi da una persona nata il 4 novembre è ancora maggiore.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Fassino.

  PIERO FASSINO. Grazie Ammiraglio, mi pare che la sua relazione sia non solo completa ma si integri pienamente con la relazione sulle missioni internazionali che abbiamo ascoltato qualche giorno fa da parte sua.
  Naturalmente sono d'accordo con le considerazioni che lei ha avanzato, in particolare il fatto che la guerra in Ucraina ha mutato radicalmente lo scenario. Quindi, c'è da rivedere tutta la strategia di gestione e di governo del sistema delle relazioni internazionali, che porta necessariamente ad affrontare anche il tema di come attrezzarsi sul piano dei sistemi di sicurezza e di difesa, forti del fatto che ormai da tempo siamo tutti consapevoli che compete a ogni Paese di essere produttore di sicurezza e non solo consumatore. Lo siamo stati per un lungo periodo; nell'epoca bipolare tutti consumavamo la sicurezza che garantiva qualcun altro. Adesso siamo tutti chiamati a essere corresponsabili nella produzione di sicurezza.
  Poche cose. La prima, ne abbiamo parlato già nell'altra audizione e lei lo ha richiamato qui. Io penso che lo scenario ucraino cambia radicalmente il rapporto tra est e sud. Perché c'è evidentemente un fortissimo orientamento della NATO e del sistema della sicurezza collettiva che guarda Pag. 9a est, perché lì c'è una guerra che, a mio avviso, non finirà in tempi brevi.
  Io sono d'accordo con tutti quelli che evocano un negoziato. Bisogna sapere che l'oggetto del negoziato non c'è, perché l'oggetto del negoziato è: chi controlla i territori che ha annesso Putin? E siccome Putin li ha annessi vuol dire che non intende restituirli e gli ucraini non intendono rinunciarvi, quindi mi pare che sia complicato. Detto questo, quindi, temo che la guerra si protrarrà a lungo.
  Questo orientamento a est pone un problema di attenzione al Mediterraneo, che mi pare si sta spostando sempre di più sulle spalle dell'Europa. Perché è abbastanza evidente la strategia americana di guardare a est, non l'est immediato ma anche il far est, e questo naturalmente richiama un tema.
  Io penso che sia difficile gestire una situazione così complessa e turbolenta come quella del Mediterraneo senza un salto di qualità nella politica europea. Nessun Paese europeo, né in termini politici né in termini di sicurezza e di difesa, è in grado di contribuire da solo a una stabilizzazione di quell'area. Prova ne sia il fallimento della presenza francese nel Sahel, per fare soltanto un esempio. Quindi c'è la necessità effettivamente, come lei ha detto e io condivido, di un salto che è un salto in termini di politica estera, ma è un salto anche in termini di politica di difesa. Però il salto passa per una questione di cui bisogna essere consapevoli.
  La debolezza dell'Unione europea, come di qualsiasi istituzione sovranazionale, non è un fatto endogeno. La debolezza dell'Unione europea o dell'ONU sta nella gelosia delle nazioni: ogni nazione tende a privilegiare i propri obiettivi e quando quegli obiettivi coincidono con l'istituzione sovranazionale li sostiene, se no si smarca. Faccio l'esempio della Libia per non andare tanto lontano. Adesso sulla Libia c'è una ritrovata intesa tra noi, i francesi e anche i tedeschi, ma c'è stato un lungo periodo in cui quell'intesa non c'era. E l'idea che ciascuno avesse la capacità di stabilizzare la Libia da solo era velleitaria e ha soltanto approfondito la crisi. Quindi, questo vale per la politica ma vale anche per la difesa, come lei ha detto. Però questo richiede che da parte degli Stati nazionali ci sia la consapevolezza che la dimensione nazionale da sola non è sufficiente. È una cosa che – detta così – appare scontata, ma ogni volta che si arriva a una decisione non è poi così scontata. Ogni volta che si doveva decidere anche il trasferimento di un centimetro di competenza dalla dimensione nazionale alla dimensione sovranazionale si apriva una discussione. Quindi, secondo me, questo è il tema e vale anche per tutti i temi della difesa.
  Sono d'accordo con tutte le considerazioni che lei ha fatto sulla necessità di un salto di qualità nella politica di sicurezza, sia nelle strategie della NATO, sia soprattutto nella difesa europea. Però questo passa per una scelta politica, che è molto coraggiosa e che non sempre noi vediamo, tanto per essere chiari.
  Due ultime questioni. Lei ha parlato di una logica di sistema in cui la presenza militare e lo strumento militare devono essere costantemente compenetrati a una politica di cooperazione, a una politica diplomatica, insomma una strategia sistemica. Io sono totalmente d'accordo con questo suo approccio, perché lo strumento militare è in funzione di un intervento politico che non può che essere più largo. E ancora una volta l'esperienza francese nel Sahel lo dimostra: lì la Francia si è affidata essenzialmente allo strumento militare ed è finita come è finita, quindi mi pare che dobbiamo avere chiaro questo aspetto.
  Infine, lei alla fine della sua relazione ha detto che il modello a 150 mila unità non basta più e si è limitato a dire che questo non è più sufficiente. Ne prendo atto. Ci può dire qualcosa di più, cioè come si va oltre questo modello, almeno nelle sue valutazioni e nelle sue opinioni? Ho finito, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei onorevole Fassino. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Bagnasco.

  ROBERTO BAGNASCO. Grazie presidente. Nella relazione, che ho ascoltato con Pag. 10grande interesse, gli elementi e gli spunti per approfondire sono veramente molti e spero che i colleghi della Commissione lo stiano facendo, ognuno per la sua parte.
  Mi soffermerò, quindi, sul tema dell'industria della Difesa, uno dei tanti che ha toccato, che ritengo particolarmente importante e significativo. Al riguardo chiederei al Capo di Stato Maggiore alcune valutazioni. Lei ha parlato, come per altre situazioni, di un cambio di passo, di una discontinuità rispetto a quello che c'era e si pensava solamente fino a pochi mesi fa. Vorrei che andasse un pochino più nello specifico, per quanto possibile, su alcune situazioni dell'industria della Difesa e che, appurato il fatto che per fortuna – come anche lei ha rilevato – l'Italia è tra i pochi Paesi al mondo a disporre di un'apprezzatissima industria del settore, mi dicesse quali sono in questo momento, secondo il suo avviso, le carenze (perché sicuramente qualche carenza c'è anche in questo settore che pure ci vede protagonisti) e quali sarebbero le possibilità di cambiamenti.
  Si parla, poi, di concentrazioni di libertà di mercato (ci mancherebbe altro sono situazioni che conosciamo benissimo) ma quello su cui vorrei che il Capo di Stato Maggiore facesse un'ulteriore riflessione, riguarda quali potrebbero essere concretamente nel prossimo futuro le integrazioni con gli altri Paesi europei che hanno un'industria della difesa importante e quali potrebbero essere i passi in avanti in questo settore.
  Io penso che queste siano essenziali se nel prossimo futuro vogliamo essere in grado di dare quelle risposte che lei giustamente ha chiesto e che la Difesa chiede alla nostra industria. Per chiedere queste risposte bisogna che, al di là della volontà, l'industria sia in grado di dare delle risposte concrete (sappiamo quali sono i settori in cui siamo particolarmente brillanti) e pertanto le chiedo se ritiene che sia giusto che su questi settori si punti in maniera particolare oppure, diversamente, si debba spaziare un po' più ad ampio raggio. La mia opinione personale è che ci sono alcuni settori in cui siamo particolarmente preparati e abbiamo una forte tradizione e credo che dovremmo puntare su quelli, perché ricominciare da capo e metterci in concorrenza su altre situazioni sarebbe una gara in salita con poche speranze di arrivare ad un risultato.
  Mi fermo a queste considerazioni che spero possano essere importanti perché ritengo che, oltre ai bisogni della Difesa del nostro Paese che è quello su cui siamo fondamentalmente portati a discutere, questa industria sia un'industria importante per il nostro Paese anche per tutta un'altra serie di situazioni che non riguardano direttamente la Difesa.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Carrà, prego.

  ANASTASIO CARRÀ. Grazie presidente. Buongiorno Ammiraglio, benvenuto.
  Mi associo a quanto hanno già detto i colleghi per quanto riguarda la sua relazione che è stata puntuale, molto esaustiva e assolutamente brillante.
  Per non essere ripetitivo, le pongo solo un quesito, una mia curiosità. La crisi ucraina è una conferma di come la sicurezza internazionale dell'Italia sia una sfida che si è molto evoluta e, parallelamente, complicata. Accanto agli strumenti tradizionali dell'attività bellica vediamo l'impiego di nuove tecnologie, attacchi ibridi e campagne informative e disinformative sistematiche. Quali sono le strategie che vuole porre in questo campo per un adeguato contrasto?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. È ora iscritto a parlare, l'onorevole Graziano.

  STEFANO GRAZIANO. Grazie Presidente e grazie all'Ammiraglio Cavo Dragone per una relazione abbastanza puntuale su quello che è lo scenario.
  Vorrei partire, da un lato, dal fatto che siamo in un momento abbastanza complicato dell'Europa, nel senso che dopo 70 anni di pace ora siamo un continente che ha sul fianco est quello che vediamo nella vicenda ucraina e in quella del Kosovo, ma da un'altra parte vorrei una sua considerazionePag. 11 più approfondita su tutto quello che succede sul versante sud, cioè in Tunisia e su quella che è la vicenda dell'Africa in generale e quindi anche del Centro Africa, del Sudan, dell'Etiopia.
  Cosa secondo lei possiamo fare per dare una mano? Qual è la sua idea rispetto alla strategia di un Paese che si affaccia sul Mediterraneo (e che difatti è la frontiera sud dell'Europa) sulla quale ovviamente le instabilità dei Paesi (in particolare del Sud) innescano meccanismi molto complicati?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Comba prego.

  FABRIZIO COMBA. Grazie. Chiedo scusa per questo mio ultimo inserimento.
  Mi rivolgo al signor Ammiraglio innanzitutto ringraziandolo per la sua presenza. Mi chiedevo e vorrei chiedere a lei, signor Ammiraglio, se questa instabilità che si è creata (ovviamente anche nel Mediterraneo) e questa guerra che ormai è ritornata ad essere una guerra convenzionale (quella che coinvolge la Russia e l'Ucraina) non debba in qualche maniera portarci a rivedere quello che è l'assetto delle nostre Forze armate. In particolare, se sia necessario passare da quella che era un'impostazione meno pragmatica a un ritorno ad un assetto combat, date le nuove dinamiche che sono sotto gli occhi di tutti e che sono partite da quella che è stata, ed è attualmente, l'instabilità all'interno del Mediterraneo stesso. Quindi una trasformazione, un'evoluzione da quello che era sostanzialmente un metodo di approccio diverso a quello che potrebbe e dovrebbe essere oggi, cioè di fatto un approccio in stile combat.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Se non ci sono altre richieste di intervento do la parola all'Ammiraglio Cavo Dragone per poter rispondere alle vostre domande. Prego.

  GIUSEPPE CAVO DRAGONE, Capo di Stato Maggiore della Difesa. Mi suggeriscono delle cose che non riesco sicuramente a processare, quindi risponderò per quello che so. Poi se c'è qualcosa che non è ben chiaro posso sempre integrare facendovi avere per mail la risposta.
  Onorevole Richetti, grazie. Credo che la strategia europea abbia comunque ricevuto un grosso scossone da quello che è accaduto. Si è notato un cambio di passo, una presa di coscienza un po'più profonda perché, diciamoci la verità, forse fino qualche mese fa questo processo di migrazione verso una difesa europea e un'alleanza che potesse chiamarsi tale languiva un po'. Però questo scossone che ci ha dato lo crisi ucraina ha prodotto questo cambio di velocità, questo cambio di passo e anche dei risultati perché ha dimostrato che tutti i Paesi dell'Unione europea hanno preso coscienza di questa lacuna e, quindi, c'è stata una corale revisione degli approcci.
  La bussola strategica ha definito in maniera abbastanza inequivocabile i filoni su cui dobbiamo muoverci per raggiungere i risultati che vogliamo. La forte spinta che ha avuto la rapid deployment capability, i famosi 5 mila elementi che dovrebbero essere la punta di lancia della Difesa dell'Unione europea capace di proiettarsi in teatri di crisi immediatamente, anche al di fuori dei confini dell'Unione europea stessa, ne è la testimonianza concreta. Credo che questo processo ci abbia dato questa spinta.
  C'è molto ancora da fare e c'è, soprattutto, da disinnescare l'idea che il processo di conseguimento di una Difesa europea compiuta possa essere una duplicazione, un qualcosa che vada a sovrapporsi in maniera non coordinata alla NATO. Dobbiamo, secondo me, capire che la Difesa europea sarà la colonna europea dell'Alleanza, quindi sarà un modulo che va ad aggiungersi, ad aumentare le capacità e a definire in maniera univoca alcune delle capacità dell'Alleanza atlantica. Credo che in questo senso ci stiamo muovendo nella giusta direzione, con la giusta spinta, con la giusta motivazione e la presa di responsabilità che questo debba accadere.
  C'è anche tutto un mondo legato all'industria che deve essere esaminato parallelamente: l'annosa problematica della sovranità, che non deve essere vista come una minaccia alla sovranità, ma come un ampliamento, un accrescimento delle capacità Pag. 12operative, delle capacità di difesa dei Paesi che fanno parte dell'Alleanza e dell'Unione europea.
  Questo secondo me lo stiamo maturando, stiamo raggiungendo, stiamo abbattendo un po' di barriere anche perché, ripeto quello che diceva il Presidente Fassino, nel nostro piccolo si manifesta anche nell'ambito della nostra Difesa.
  Tutto quello che va a confluire nell'interforze, di cui io sono il profeta e il Gran Maestro se vogliamo (almeno ci provo) va un po' a togliere qualcosa alle singole Forze armate. Io vengo da quella parrocchia, fino a due giorni fa battagliavo dall'altra parte della barricata, ed è chiara questa sensazione. Bisogna superarla, bisogna andare un po' oltre quello che è l'immediato, far la derivata seconda invece di far la derivata prima, perché è effettivamente nell'interesse del Paese, delle economie di scala, della capacità operativa e dell'efficacia dello strumento militare.
  Quindi questo succede nel nostro piccolo a livello di interforze di Forza armata e, a maggior ragione pantografato, avviene anche a livello europeo. Si tratta di far toccare con mano e far vedere (e vi dico la verità la crisi ucraina ci ha preso per le orecchie e ci ha fatto vedere veramente quello che forse avremmo dovuto vedere qualche anno fa) eppure, secondo me, siamo nella direzione giusta. Non so se ho risposto alla prima domanda.
  La seconda: Kosovo, punto di equilibrio. Rispetto alle violenze che ci sono state venerdì scorso, mi sembra che la situazione adesso, pur sempre critica, si sia notevolmente calmata. Ci sono dei sit-in pacifici di protesta. La situazione è veramente complessa perché, come diceva il presidente prima, quando vota il 3 per cento della popolazione cosa possiamo dire? È rappresentativo e vogliamo per forza spingere in quella direzione? Forse serve rivedere un po' di cose. Probabilmente si dovrà trovare un punto di equilibrio che va ricercato con la negoziazione. La nostra gente, i nostri uomini lì sono degli abilissimi negoziatori, sanno il loro mestiere, sanno anche difendersi quando c'è necessità di farlo, lo fanno e lo fanno bene. Vale il famoso adagio che si impara a scuola che non bisogna mai fare a botte, ma – se si deve fare – bisogna darle, non bisogna prenderle. Quindi, credo che i nostri giovani in Kosovo incarnino questa concezione. Sicuramente va ricercato un punto di equilibrio.
  Condivido con voi l'impressione che ho avuto quando un mese, un mese e mezzo fa, è venuto in visita ufficiale il Capo di Stato Maggiore serbo. C'è un dialogo quotidiano dei nostri uomini, del generale Ristuccia, con le autorità politiche kosovare. Credo che, a livello dei decisori, non ci sia questa volontà di scontro così marcata come invece si riflette nell'ambito tattico, nell'ambito dei quattro comuni nel nord del Kosovo. La mia interpretazione, se quello che ho percepito è corretto, è che probabilmente quello che accade sul campo è un evento dettato dalle realtà locali, probabilmente con qualche vecchia ruggine, qualcosa da smarcarsi nel passato che dà libero sfogo quando si crea la congiuntura giusta, la chimica giusta per questo tipo di attività. Si tratta di sedarle, di fare in modo che ci sia la possibilità di fermare gli scontri fisici, quello che era avvenuto e cercare (come stanno facendo i nostri, come sta facendo la NATO, come KFOR) di portare i partecipanti attorno a un tavolo. È un po' ciclico: ha dei flussi, dei picchi di violenza, e poi viene fuori la volontà di cooperazione. Dobbiamo cercare di andare sempre di più in questa direzione. Devo dire che i nostri in questo senso sanno fare il loro mestiere. È tanto tempo che sono lì. KFOR ha una forte connotazione italiana per ovvi motivi, quindi io credo che si debba andare in quella direzione e ci stiamo andando. Aspettiamoci magari, in qualche altra occasione, che ci siano questi ritorni di fiamma, però sono qualcosa che dobbiamo saper affrontare il più presto possibile.
  A volte noi non sappiamo quali siano gli atti di terrorismo che non avvengono in un Paese dove c'è Strade Sicure, ci sono i servizi che funzionano, c'è la Polizia negli aeroporti che fa il suo mestiere. Noi non sappiamo quanti atti di terrorismo non sono avvenuti grazie al nostro sistema di sicurezza che funziona. E qui tocco ferro, Pag. 13ma c'è andata decisamente bene. Anche lì ci sono tantissime attività che non sono avvenute o tantissime attività violente che non sono avvenute, perché la nostra gente ha negoziato in maniera opportuna e ha fermato sul nascere, senza che dalle nostre parti ci fosse nemmeno la sensazione che molte cose stanno avvenendo. So che è così perché lavorano tanto e il lavoro che fanno e che ha probabilmente fermato questi scontri sul nascere è principalmente di smussamento degli spigoli, di alta diplomazia militare. Quindi io direi che la nostra gente sta facendo il proprio mestiere.
  I Balcani subiscono gli effetti degli eventi in Ucraina. Se io fossi il presidente Putin cercherei di creare dei momenti di crisi lontano dal fronte di guerra, per distrarre la comunità internazionale anche in questo senso. La comunità internazionale come sapete è estremamente coinvolta nella crisi ucraina, però ci sono dei riverberi; ci sono in Bosnia Erzegovina, ci sono probabilmente in Serbia, ci sono in Kosovo nelle zone di confine. Fa parte del gioco e vanno affrontati con la giusta calma e con la giusta professionalità, però ci sono sicuramente e posso confermarlo. Mi sembra aver risposto a tutto quello che mi ha chiesto.
  Onorevole Loperfido: uniformità europea, anche per addestramento e quant'altro. Anche qui credo che la crisi ucraina abbia dato una spinta notevole con la EUMAM, che sarebbe la missione europea per l'addestramento delle truppe ucraine in Europa, che viene svolta in un paio di centri: uno in Polonia e l'altro mi sembra in Germania e sta funzionando.
  C'è la coesione, c'è stato lo sforzo comune per standardizzare i tipi di addestramento e proporre dei format addestrativi che soddisfino le richieste delle truppe ucraine. Soprattutto bisogna prepararli e bisogna prepararli in maniera abbastanza veloce, perché loro hanno un gettito abbastanza sentito verso il fronte. Però credo che l'Unione europea si sia mossa abbastanza bene in questo senso; ha avuto una reazione che ha rispettato le aspettative e la richiesta formativa che ci hanno chiesto gli ucraini. Io in questo momento non parlerei tanto di ingresso dell'Ucraina nella NATO perché, forse, è meglio aspettare che le acque si calmino, che raggiungano un punto di accordo. Questa è una mia impressione personale. Prima di arrivare a questo, secondo me, ci potrebbe essere uno step intermedio: quello dell'Unione europea. D'altronde non guasta e potrebbe soddisfare anche le richieste dell'Ucraina senza urtare la suscettibilità in maniera abbastanza marcata della Federazione russa, anche proprio nell'immediatezza di una soluzione che tutti noi auspichiamo avvenga. La NATO usa la politica delle porte aperte, però con un certo numero di analisi, di step eccetera. L'accelerazione che c'è stata per Finlandia e Svezia è stata dettata dai tempi attuali. Però quello che io non auspico è un'accelerazione in quell'area, perché sicuramente non sarebbe a favore del consolidamento di un processo di pace che speriamo accada e inizi il più presto possibile, io la vedo un po' in questa maniera.
  Balcani e Kosovo dobbiamo essere presenti? Sì, l'abbiamo dimostrato proprio venerdì scorso. È necessario ci sia una presenza marcata, come è sempre stato, anche al di là delle critiche che a volte ci sono state in Kosovo, di una presenza autorevole e operativamente valida come quella della NATO. Secondo me serve a garantire, con la giusta equidistanza, un processo di normalizzazione dei rapporti fra le due entità. Non è facile perché c'è una nuova entità statuale che è il Kosovo, che ovviamente scalpita per avere riconoscimenti, per avere uno status completo di nazione che va fatto con tutti gli opportuni accorgimenti perché ci sia la possibilità di non urtare più di tanto la politica della Serbia. Credo che in questo senso il processo sia abbastanza lungo ma, ripeto, la gente della NATO sta facendo un egregio lavoro.
  Tornando alla sua domanda, secondo me è necessario esserci stati, che ci siamo e starci ancora per parecchio tempo viste le potenzialità e la criticità che ancora ancora regna in quelle aree e che ci sarà per tanto tempo. Non so se ho risposto.
  Presidente Fassino, è vero che quantunque la crisi ucraina abbia un attimo fermatoPag. 14 la direttrice verso l'Indopacifico degli americani (ne è prova il gruppo portaerei che stava partendo e che poi è rimasto qua e ancora deve fare il suo mestiere qua) sicuramente la partenza o meglio il riorientamento degli americani verso l'Indopacifico ha un suo peso marcato nel Mediterraneo.
  Ci si aspetta che l'Italia... sì, ma secondo me dobbiamo in un certo senso fare massa per essere presenti, per condividere e per distribuire gli sforzi in un'area che è sicuramente molto impegnativa sull'acqua ma anche nelle fasce a sud della costa sud del Mediterraneo. Posso dirle che questa sensazione di abbandono degli americani l'ho rilevata anche nei Paesi del Golfo che hanno percepito questa migrazione dell'America, che si sta riorientando più verso est e questo l'abbiamo rilevato andando giù.
  Questi sono vuoti che vanno riempiti e bisogna arrivarci per primi nel senso che, come abbiamo visto, ci sono delle nazioni che sia tramite un approccio economico, come fa la Cina, sia in maniera un po' più effervescente, come fa la Russia, i Proxy e varie compagnie di ventura colmano i gap che vengono lasciati dall'Occidente, dagli americani ma anche dai francesi. L'abbiano visto nel Sahel, quindi questa è una sfida che dobbiamo raccogliere.
  Quello che dicevo prima, dobbiamo essere attenti a questo tipo di sensibilità. Attenti a questo perché, secondo me, non c'è una seconda chiamata. C'è un appello e l'hanno fatto personalmente a noi e probabilmente anche al Ministro, al Presidente del Consiglio quando sono andati nelle aree del Golfo. C'è questa sensazione, c'è questa necessità.
  Quindi, non soltanto Mediterraneo allargato o approfondito, come diceva lei, perché si stanno creando dei vuoti anche verso i Paesi del Golfo.
  Mi consenta anche di dire che andando in questa direzione, secondo me, si soddisfa anche un'esigenza che deve essere all'attenzione: la crisi va intercettata sul nascere. Cioè, una volta che noi ci troviamo il problema nelle acque del golfo di Sicilia, a casa o, addirittura, nella sponda sud del Mediterraneo, potrebbe essere anche troppo tardi.
  Poi risponderò a questa domanda secondo un'idea che io ho, che è abbastanza scontata, ma secondo me questa è un'attenzione che dobbiamo far risvegliare in noi. Io parlo anche di Francia, Grecia, Turchia, Spagna, Portogallo.
  Ma dirò di più. Credo che anche i Paesi nordici si stiano accorgendo dell'importanza che il fronte sud sta avendo, perché il flusso migratorio va a finire anche là. Quindi, è un qualcosa che piano piano, al di là della crisi che ha dato a tutti quanti un senso di allarme in Ucraina e la potenziale aggressività della federazione, il fronte sud è da tempo da noi percepito e portato su tutti i tavoli e adesso anche le nazioni più a nord si rendono conto che deve essere fatta un po' più di attenzione in quella direzione.
  La politica di difesa secondo noi dovrebbe seguire una politica estera dell'Unione europea. Noi, dal punto di vista della difesa, ci stiamo muovendo con la bussola strategica. Mi auguro che il battistrada, l'apripista sia la politica che crei una strategia di sicurezza europea che possa fare da plafond a tutto quello che poi noi dobbiamo costruirci sopra; non è semplice in effetti, però questo va fatto.
  La debolezza dell'Unione europea è figlia della gelosia delle nazioni? È vero, era un po' l'esempio che facevo anche all'interno delle Forze armate. Sicuramente, va fatto questo salto di qualità, vanno un po' strappate queste aderenze che ci sono, per cercare di conseguire un bene comune. È una missione comune che, purtroppo, necessita di un salto di qualità, soprattutto nella mentalità che noi abbiamo. Io credo che tutto sommato – ripeto, purtroppo in maniera piuttosto cinica – gli eventi che sono accaduti ci hanno dato una spinta notevole; ci hanno messo con i piedi per terra e su questo non dobbiamo mollare. Dico purtroppo perché ci stiamo abituando un po' tutti alla guerra. Quindi tutto quello che era in prima pagina fino a 15 mesi fa adesso è in terza, quarta pagina. Tutto ciò fa parte della nostra natura, però non dobbiamo disattendere e non dobbiamo Pag. 15trascurare i segnali che ci sono stati dati e le reazioni che dobbiamo per forza mettere in campo. Questo sicuramente è un dato di fatto, non so se ho risposto a tutte le sue domande.
  Chiedo scusa c'è anche la domanda sulla logica di sistema che è interessante. Lo abbiamo detto in più sessioni. Io credo che il Governo sia al lavoro per una strategia di sicurezza nazionale, che sarà poi il vademecum per tutte le articolazioni dello Stato, che dovranno far discendere le proprie colonne di lavoro in base a quello che viene detto ovviamente a livello governativo. Credo ci stiano lavorando a livello Presidenza e sarà sicuramente una manna dal cielo che aspettavamo da tanto tempo. Questa logica di sistema sarà, secondo me, frutto della nascita di una strategia di sicurezza nazionale su cui noi dovremo rimboccarci le maniche, ma anche tutte le articolazioni dello Stato dovranno rimboccarsi le maniche e adempiere alle responsabilità che ne discendono. Questo secondo me è qualcosa che sta avvenendo.
  Il modello. Non è sufficiente. Non è sufficiente perché la rivoluzione è stata posticipare il conseguimento del modello a 150 mila unità dal 1° gennaio 2024 al 2033. Questo ci dà più spazio, ma sposta il problema più avanti. Quindi, il problema rimane. Siamo riusciti ad avere un buon gettito d'ossigeno con i più 10 mila che stiamo adesso concretizzando per bene, suddividendolo in categorie, in gradi e quant'altro ma non basta. Perché tutto questo era ancora frutto di un approccio precedente. Noi dal 2020, perché da lì abbiamo cominciato a far rullare i tamburi, abbiamo una situazione che non è più rispondente a quella che era nel 2012. È cambiata la minaccia. Nel 2012 eravamo nel pieno delle lotte asimmetriche contro il terrorismo, eccetera. Abbiamo fatto vent'anni di guerra non convenzionale, abbiamo le forze speciali che sono al top di tutti i Paesi che hanno partecipato alla lotta contro il terrorismo. Però questo rispondeva a una richiesta di quattro, cinque anni fa che gridava a chiare lettere che i 150 mila non erano rispondenti alle esigenze e, quindi, ne servivano 10 mila di più.
  Ora il mondo è cambiato ulteriormente. Abbiamo visto come tutto si sia evoluto. I 150 mila erano frutto di tre domini tradizionali standard: terra, mare e cielo. Adesso si sono aggiunti quello cibernetico, quello spaziale e quello subacqueo (perché sono sei domini nuovi dichiarati dalla NATO) quindi là dobbiamo lavorare.
  Sicuramente, per rimanere nell'ambito del minimo indispensabile io credo che dovremo avere ancora (e cercherò di muovere in questo senso) altre 10 mila unità. Quindi, il modello a 170 mila secondo me potrà, in maniera molto risicata e continuando a stressare in maniera indegna il nostro personale come stiamo facendo adesso, rispondere alle esigenze che il Paese ci chiede e alla missione che ci viene chiesta di assolvere per il nostro Paese e per l'Alleanza di cui siamo un membro a tutti gli effetti.
  Quindi, ce lo chiede anche l'Alleanza, che si sta adeguando alla minaccia. Si sta adeguando alla minaccia terrorismo Russia, si sta adeguando alla assertività della Cina, quindi sta aumentando i suoi numeri e la mia domanda è «perché noi no?»
  Io non posso rispondere alle domande che mi vengono fatte dall'Alleanza, dall'Unione europea. Dobbiamo far tutto e non possiamo far tutto con quello che abbiamo per rispondere, in maniera risicata, alle esigenze di quando ancora le Alleanze non ci chiedevano questo contributo, la situazione non ci chiedeva questo contributo e la gravità e la pericolosità del mondo che circonda le nostre Alleanze e i nostri Paesi non era quello che è adesso. Quindi, faccio uno sforzo grosso a limitarci a una decina di migliaia di persone. Credo, però, che sia innegabile oggigiorno dire che ciò non sia un'esigenza impellente, grave, da affrontare a breve.
  Onorevole Bagnasco: l'industria della difesa e un cambio di passo; quali sono le carenze, quali sono i cambiamenti. Bella domanda. Quanti minuti abbiamo? Casomai rispondo per iscritto. Un cambio di passo ci deve essere e, un po' c'è stato. Ovviamente non è più ammissibile che dei sistemi d'arma abbiano dei tempi di consegna che vanno dall'uno ai tre anni. ProbabilmentePag. 16 si deve produrre di più, mettere di più nei magazzini delle industrie (con un rischio d'impresa ovviamente correlato). Noi dobbiamo comprare di più, auspicando che rimangano nei magazzini e che quindi diventino obsoleti e debbano essere restituiti, ricondizionati, perché questo è quello che vogliamo tutti. Però un punto d'incontro va trovato perché come siamo messi adesso non va bene.
  In maniera un po' più filosofica io chiedo (che l'industria della Difesa) e lo fa già, sia parte integrante del sistema di difesa dell'Italia. Cioè la Difesa dovrà probabilmente assumersi dei rischi di impresa maggiore. Parlo in maniera veramente basilare perché riesco ad arrivare soltanto lì con la mia conoscenza, però probabilmente è necessario che ci si smisti su un nuovo approccio che, invece, di prevedere il ritorno di investimento in tre anni lo preveda in dieci. È un rischio d'impresa ulteriore, però secondo me questo spinge in maniera molto più concreta tutte le industrie della Difesa a far parte della difesa e come i nostri militari condividerne determinati rischi.
  Onestamente i rischi che io impongo ai miei militari sono un pò più intensi di quello che io possa chiedere all'industria della Difesa. Però questo io mi aspetto. Ho risposto in maniera abbastanza brutale a quello che mi ha chiesto?
  Onorevole Carrà: Ucraina sfida evoluta e complicata, nuove tecnologie cognitive, ibride. Qual è la strategia? La strategia è un passo avanti, come dicevo. È un approccio veramente di tecnologia avanzata. Se noi riusciamo a mantenere questo gap di vantaggio possiamo creare quella situazione psicologica nei confronti dell'ipotetico avversario per cui diventa sconveniente attaccarci. Perché quello che lui trarrà, in termini di risposta, è talmente sconveniente dal punto di vista economico, sociale, militare e infrastrutturale che dovrebbe bloccarlo.
  Onorevole Graziano e onorevole Comba, risponderò alle vostre domande con una mail.

  PRESIDENTE. Mi dispiace, ma stanno per iniziare le dichiarazioni di voto in Aula quindi dobbiamo interrompere i lavori.
  Ringrazio ancora il Capo di Stato Maggiore della Difesa, tutti i colleghi presenti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.