CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 24 aprile 2024
295.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO
Pag. 174

ALLEGATO 1

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XII Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione» (C. 1665 Governo, approvato dal Senato),

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 175

ALLEGATO 2

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI FURFARO, CIANI, GIRELLI, MALAVASI, STUMPO

  La XII Commissione,

   in sede di esame del disegno di legge recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

   premesso che:

    dalle numerose audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione Affari costituzionali, è emerso un quadro fortemente critico del disegno di legge in esame con specifico riferimento al rispetto del sistema delle fonti, al trasferimento delle funzioni e al relativo finanziamento, alla determinazione dei LEP e al ruolo degli enti locali;

    un primo ordine di criticità – sollevato dalla quasi totalità dei costituzionalisti auditi – attiene all'adeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, fornendo una cornice alle successive leggi di approvazione delle intese. In primis, poiché la legge ordinaria può essere modificata o abrogata da qualunque legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa;

    lo strumento adeguato a dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, sarebbe stato una legge costituzionale, così come previsto da un disegno di legge del Gruppo del Partito Democratico, secondo cui il percorso che può condurre all'attribuzione ad alcune regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe essere disciplinato da una cornice di livello costituzionale, approvata ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione;

   considerato che:

    l'articolo 2, comma 2, primo periodo, del disegno di legge in esame prevede che «L'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni»;

    tali disposizioni contrastano con l'articolo 116, terzo comma, e con l'articolo 117, commi secondo e terzo della Costituzione, poiché prevedono il trasferimento alle regioni di intere materie attribuite dalle citate norme costituzionali alla competenza concorrente tra Stato e regioni e non solo, secondo la ratio dell'articolo 116, terzo comma, di ambiti di materie ovvero di singole funzioni «concernenti» le stesse;

    l'articolo 116, terzo comma, prevede, infatti – così come la procedura di cui al primo comma – l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia ma, a differenza del primo comma, precisa che esse «concernono» le materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e singoli casi di competenza esclusiva e sono dunque da individuare all'interno di esse;

    nel caso in cui l'articolo 116, terzo comma, consentisse l'integrale trasferimento di intere materie di competenza concorrente alle regioni, verrebbe meno uno dei principali criteri distintivi tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. Si violerebbe perciò il principio che presiede all'ordinamento dell'autonomia regionale previsto dal titolo V e stabilito dallo stesso articolo 116, primo comma, che dovrebbe essere invece cardine e norma pilota nella interpretazione dell'intero articolo 116. Si modificherebbe in forma tacita,Pag. 176 graduale e surrettizia l'intero sistema dell'autonomia regionale delineato dal titolo V che prevede un impianto duale tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario; il terzo comma diventerebbe una norma dissolutoria di quanto stabilito al primo comma dello stesso articolo 116 con evidente antinomia e necessità di una diversa interpretazione;

   considerato inoltre che:

    secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), nell'audizione durante l'esame del provvedimento al Senato, «il trasferimento alle regioni di competenze quali, ad esempio, le grandi reti di trasporto, i porti e gli aeroporti potrebbe generare, nel caso di interessamento di due o più regioni o di una minore efficienza nella gestione locale rispetto a quella nazionale, esternalità negative con effetti potenziali sull'intero paese. Peraltro, un'attenzione particolare meriterebbe il fatto che tra le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata vi è la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, una materia di particolare interesse strategico nazionale e cruciale a fronte delle sfide che si pongono in merito alla transizione energetica. (.) Il trasferimento di funzioni e delle necessarie risorse dovrebbe pertanto essere preceduto da un'analisi da cui emerga un effettivo miglioramento complessivo della gestione pubblica. La stessa Regione che voglia ottenere maggiori competenze in alcune materie dovrebbe, a monte, motivare la richiesta indicando i benefici che ne deriverebbero rispetto alla situazione centralizzata. Il complesso di queste informazioni dovrebbe poi essere reso disponibile al Parlamento per istruire l'eventuale approvazione.»;

    inoltre, come sottolineato da molti dei soggetti auditi, la possibilità che «le norme generali sull'istruzione», possano essere oggetto di autonomia differenziata appare quantomeno problematica da ipotizzare e rischia, in ogni caso, di dar luogo a una grave e irreversibile frammentazione del sistema scolastico; il venir meno del «carattere nazionale» dell'istruzione e la conseguente regionalizzazione della Scuola rischia di minare, alla radice, le basi del diritto allo studio e di creare un vulnus profondo alla stessa identità culturale del Paese; regionalizzare le norme generali sull'istruzione significa, potenzialmente, mutare il volto della Scuola italiana, con inevitabili ripercussioni sui diritti in essa agiti;

    tra le altre pronunce, tra cui la sentenza n. 200 del 2009, il giudice costituzionale ha chiarito come si pongano negli «artt. 33 e 34 della Costituzione le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative: a) alla istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (articolo 33, secondo comma, Cost.); b) al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (articolo 33, terzo comma, Cost.); c) alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni (articolo 33, quarto comma, Cost.); d) alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (articolo 33, quinto comma, Cost.); e) all'apertura della scuola a tutti (articolo 34, primo comma, Cost.); f) alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore (articolo 34, secondo comma, Cost.); g) al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (articolo 34, terzo comma, Cost.); h) alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (articolo 34, quarto comma, Cost.)», aggiungendo che, «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali sull'istruzione”»;

    con tale ampia descrizione, la Corte intendeva chiarire come il legislatore costituzionale avesse assegnato «alle prescrizioni contenute nei citati artt. 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di Pag. 177essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla “autonomia delle istituzioni scolastiche”, facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione»;

    analogamente al comparto istruzione, anche per il sistema universitario si potrà prevedere, a seconda delle diverse regioni, l'assunzione di rilevanti competenze in materia di finanziamenti, programmazione e personale. Il percorso che si vuole intraprendere porterà, inevitabilmente e in poco tempo, alla definitiva disgregazione del già agonizzante «sistema nazionale» universitario, già oggi fin troppo frammentato; infatti, pur nell'ambito dell'autonomia riconosciuta alla ricerca, il rischio sarà quello di accelerare il processo di rafforzamento delle prerogative regolamentari e di drenaggio di risorse dagli atenei meno forti a quelli più forti, che in quest'ultimo decennio ha amplificato le differenze tra gli atenei e indebolito il sistema universitario nel suo complesso;

   rilevato che:

    con riferimento al procedimento di approvazione dell'intesa – come delineato dal disegno di legge in discussione – sono state sollevate, dai costituzionalisti e non solo, in modo quasi unanime, critiche sull'insufficiente coinvolgimento del Parlamento nel procedimento, in particolare, sulla legge di approvazione dell'intesa quale legge di mera approvazione, senza possibilità per il Parlamento di emendare e modificare il testo;

    il disegno di legge prevede che il Parlamento, in un primo momento, si limiti ad approvare atti di indirizzo sullo «schema» dell'intesa, di cui non è chiarita l'effettiva portata vincolante, mentre non viene mai prevista per il Parlamento la possibilità effettiva di decidere sul contenuto delle intese, relegando così il procedimento di differenziazione dell'autonomia – con tutte le conseguenti implicazioni costituzionali e in materia di effettività dei diritti fondamentali – a una trattativa tra esecutivo nazionale ed esecutivi regionali, che rischia di spogliare il Parlamento della propria potestà legislativa;

   rilevato inoltre che:

    le intese devono intendersi rigorosamente tutte all'interno del sistema di competenze previsto dalla Costituzione per le regioni a statuto ordinario. Grazie alle intese e alla legge ordinaria che le approva, lo Stato può attribuire alle regioni singole funzioni, ma non rinunciare al proprio titolo di competenza concorrente o esclusiva e pertanto deve considerarsi in contrasto con l'articolo 116, comma 3, la possibilità di richiedere intese per l'attribuzione di intere materie;

    il procedimento previsto dall'articolo viola le disposizioni degli articoli 70 e 72 della Costituzione sulle modalità di esercizio della funzione legislativa da parte delle Camere e la riserva di regolamento parlamentare stabilita dallo stesso articolo 72 per la ulteriore disciplina della materia;

   considerato altresì che:

    nonostante il procedimento per la determinazione dei LEP sia ora stato rimesso all'adozione di decreti legislativi, desta grande preoccupazione il permanere della previsione dello stesso articolo 3 che ai commi 9 e 10 stabilisce che «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi (...), ai fini della determinazione dei LEP» continuino ad applicarsi le norme previste dalla legge di bilancio 2023, ovvero il ricorso a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e che sia «fatta salva la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard», svolta ai sensi delle suddette norme, alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi;

Pag. 178

   considerato altresì che:

    specifiche preoccupazioni sono state infine espresse dagli enti locali che temono che i processi di differenziazione possano condurre a un nuovo «centralismo regionale» senza, peraltro, prevedere il coinvolgimento degli enti locali (sia nei processi di differenziazione, sia nel procedimento di determinazione dei LEP) riguardo all'impatto del trasferimento di funzioni sulle funzioni fondamentali delle province e dei Comuni;

   considerato altresì che:

    l'articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione, che a sua volta pone una norma cardine nel nostro ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale, mentre al comma 5 stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;

    come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, il disegno di legge in esame, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso;

    in particolare è emerso un quadro fortemente critico del disegno di legge in esame con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite: esso prevede, infatti, una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

    la stessa clausola di neutralità finanziaria pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie;

    particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate, e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;

    l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;

    la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3 laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate;

    inoltre, con particolare riferimento alle materie riguardanti la XII Commissione, si rileva che la maggior parte dei soggetti auditi ha evidenziato come l'autonomia differenziata – così come concepita dal disegno di legge in esame – ha ripercussioni molto negative sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale, già fortemente compromesso;

    il SSN vive una gravissima crisi di sostenibilità, sia per il sotto-finanziamento sia per la mancata attuazione di riforme strutturali perdendo di fatto le sue caratteristiche di equità e universalismo;

    la mancanza di un reale SSN condiziona la vita quotidiana di tutte le persone,Pag. 179 in particolare delle fasce socio economiche più deboli: interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all'impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria;

    la legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, pone tra i suoi obiettivi il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese e l'articolo 32 della Costituzione dispone che i cittadini siano uguali nella esigibilità del diritto alla salute;

    a fronte di un SSN ispirato, al momento della sua istituzione, dai princìpi fondanti di universalità, uguaglianza, equità, oggi già ci ritroviamo 21 sistemi sanitari regionali profondamente diseguali, con i residenti nella maggior parte delle Regioni meridionali a cui non sono garantiti nemmeno i LEA ed a cui la l'autonomia differenziata non può che peggiorare la situazione;

    cittadini di serie A e di serie B con l'applicazione dell'autonomia differenziata in materia di salute non sono solo un possibile rischio paventato, ma una iniqua realtà;

    già ora il SSN, pubblico e universale, è oggetto di una «parcellizzazione selvaggia» che ha dimostrato tutti i suoi limiti, creando la «salute diseguale»: secondo l'Istat, infatti, al Sud si vive un anno e sette mesi in meno che al Nord, e la mobilità sanitaria riguarda l'11,4 per cento dei ricoverati residenti nel Meridione a fronte del 5,6 per cento dei residenti nel Nord-Italia;

    il disegno di legge in esame che concede maggiori poteri alle Regioni su ventitré materie, tra cui la sanità mette in discussione un diritto della persona costituzionalmente tutelato, quello della salute;

    in un Sistema sanitario lacerato da importanti differenze, che arrivano a comprendere la stessa erogazione dei LEA, il regionalismo potenziato non può che fare venir meno definitivamente il concetto stesso di Servizio sanitario nazionale e di politica sanitaria nazionale;

    i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), pur essendo fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord, saranno definiti da una Commissione Tecnica, e non dal Parlamento, promulgati attraverso DPCM impugnabili solo davanti al TAR ma non davanti alla Corte Costituzionale. E restano, al momento, orfani di risorse;

    si potrà, quindi, procedere con l'autonomia prima ancora che le risorse siano stanziate, perché il trasferimento delle funzioni alle regioni potrà essere effettuato dopo la definizione dei LEPS senza attendere la loro attuazione. In altri termini, l'autonomia precede il recupero dei divari tra le varie aree del Paese;

    si assiste – già da decenni – a una mobilità sanitaria che, secondo la Corte dei conti, ha «dirottato» in un decennio 14 miliardi di euro dalle regioni del Sud a quelle del Nord;

    secondo l'UPB «La mobilità passiva riguarda prestazioni che devono comunque essere coperte dalla regione di residenza anche se vengono rese da parte dei SSR di altre regioni. Questo fenomeno, che sarebbe fisiologico se riguardasse limitati casi di prestazioni molto specialistiche, fornite solo da un piccolo numero di strutture sul territorio nazionale, presenta in generale in Italia dimensioni abnormi, in quanto rispecchia anche gli squilibri infrastrutturali e le differenze qualitative nei servizi, che a loro volta possono discendere, oltre che dalle stesse carenze in termini di strutture sanitarie disponibili, da problemi di organizzazione e gestione e/o da carenze, ad esempio, di personale, eventualmente legate anche alle misure di governo della spesa imposte con i piani di rientro»;

    a ciò si aggiunge l'esistenza di un differenziale di spesa sanitaria pro capite pari a circa il 25 per cento tra regioni del Sud e regioni del Nord;

Pag. 180

    dai dati riguardanti gli adempimenti finalizzati al mantenimento dei LEA, relativi al decennio 2010-2019, emerge che nelle prime dieci posizioni non c'è nessuna regione del Sud e solo due del Centro (Umbria e Marche), a conferma che il monitoraggio annuale dei LEA e l'utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti rende evidente come esistono e persistono inaccettabili diseguaglianze tra i ventuno sistemi sanitari regionali, che compromette l'equità di accesso ai servizi e alimenta un'imponente mobilità sanitaria dalle regioni meridionali a quelle settentrionali;

    secondo i dati resi pubblici il 23 gennaio 2024 sul portale del Ministero della salute che monitora lo stato di attuazione della Missione salute del PNRR sono state rispettate tutte le scadenze fissate per gli anni 2021-2023. Tuttavia, una volta effettuata la «messa a terra» della Missione Salute, il rispetto delle scadenze successive sarà condizionato soprattutto dalle criticità di attuazione nei 21 sistemi sanitari regionali, legate sia alla carenza di personale medico, infermieristico e sanitario in generale, sia alle differenze regionali in termini di performance e di capacità organizzative, sia alla dotazione iniziale di strutture: Case di Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedali di Comunità. Tutte differenze che rischiano di essere amplificate dall'autonomia differenziata;

    in particolare, il raggiungimento degli obiettivi della Missione Salute del PNRR è rallentato dalle scarse performance delle regioni del Centro-Sud: dagli over 65 da assistere in ADI all'attuazione del FSE; dal numero di strutture (Case della comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità) edificate e funzionalmente attive, alla dotazione di personale infermieristico, ben al di sotto della media nazionale;

   considerato infine che:

    il complessivo impianto del disegno di legge e le concezioni che lo ispirano si fondano su una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, indebitamente estensiva e contrastante con la lettera e lo spirito della norma nel quadro del sistema costituzionale,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 181

ALLEGATO 3

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI QUARTINI, SPORTIELLO, DI LAURO, RICCIARDI MARIANNA

  La Commissione XII,

   esaminato il disegno di legge, già approvato dal Senato della Repubblica, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione» (A.C. 1665);

   premesso che:

    l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» (cosiddetto «regionalismo differenziato») sulla base di un'intesa tra lo Stato e le regioni che ne facciano richiesta; al Governo spetta formulare il relativo disegno di legge di ratifica che dovrà quindi essere approvato dalle Camere con maggioranza assoluta;

    le materie o gli ambiti di materie in cui sono attivabili le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia riguardano alcune materie riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali) e tutte le materie che l'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale;

    il provvedimento in esame prevede che l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, primo comma, lettera m), della Costituzione (LEP);

   considerato che:

    il testo licenziato dal Senato mantiene un impianto segnato da rilevanti criticità emerse e confermate anche durante il ciclo di qualificate audizioni e l'elemento che desta più inquietudine nel disegno di legge in esame rimane la sua pericolosa e sconsiderata indeterminatezza, che rischia di attivare un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna del quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria ma anche e soprattutto in quella strettamente applicativa;

Pag. 182

    il disegno di legge non consta di un solido quadro legislativo e di risposte legislative, finanziarie ed amministrative che siano in grado di sostenere le possibili ricadute di misure che potrebbero avere un impatto rilevante sull'intero ordinamento dello Stato; ciò perché queste velleità autonomiste non sono state responsabilmente precedute quanto meno da una preventiva verifica dell'applicazione del nuovo Titolo V dopo oltre venti anni dalla sua approvazione, stante anche la giurisprudenza costituzionale accumulatasi sul punto, il contenzioso e le problematiche concrete riscontrate;

    il provvedimento all'esame rappresenta un grave vulnus all'unità del Paese e alla sua coesione economica e sociale nonché al compito della Repubblica di garantire l'uguaglianza dei cittadini, rimuovendo ogni disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio;

    l'autonomia differenziata come delineata nel provvedimento all'esame rischia di compromettere irrimediabilmente la coesione sociale del Paese, la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali stante la diffusa assenza di qualsiasi forma di partecipazione dei cittadini e dei corpi sociali alle politiche pubbliche; anche lo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione non è subordinato ad alcun coinvolgimento della collettività;

    in realtà, il primo vulnus alla Costituzione è stato inferto nel 2001 dalle medesime forze politiche che oggi propongono il provvedimento all'esame, laddove hanno dato vita all'ambigua formulazione dell'articolo 116, terzo comma, rispetto al quale non appare chiaro cosa debba intendersi con l'attribuzione delle non meglio precisate «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» e che il provvedimento all'esame ha trasformato, sic et simpliciter, nel trasferimento di competenze legislative delle materie o di ambiti di materie, nella loro interezza;

    «le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomie» avrebbero ben potuto intendersi come il trasferimento alle Regioni di una o più funzioni ricadenti nell'ambito di una stessa materia (o anche più materie), mentre il provvedimento all'esame di fatto compie il trasferimento tout court di vere e proprie competenze legislative alle regioni, disponendo peraltro, in palese contrasto con l'art. 117 della Costituzione, che a ciascuna intesa sia allegato l'elenco delle leggi statali che cessano di avere efficacia nella regione alla data della sua entrata in vigore;

    la sottoposizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP) – nella loro definizione, nel loro finanziamento, nella loro erogazione e nella fruizione da parte dei cittadini – allo stato dei conti pubblici appare in contrasto con gli ultimi orientamenti della Corte costituzionale; si introduce infatti un vincolo di subordinazione delle prestazioni alle risorse, in netta contraddizione con la predetta giurisprudenza costituzionale secondo cui «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 275/2016);

    in assenza di qualunque bilanciamento, quindi, non appare equilibrata la sottoposizione dell'articolo 3 della Costituzione agli articoli 81 e 97 e, nel provvedimento all'esame, la connotazione sociale e il principio fondamentale di uguaglianza della nostra Carta costituzionale rischiano di essere definitivamente subordinati al criterio economico; oltretutto, in presenza di un elevato deficit e debito pubblico cui è soggetto il nostro Paese, tra i più elevati in Europa, e dell'imminente ripristino dei vincoli del patto di stabilità, non si comprende come possa essere assicurato il finanziamento dei LEP entro i termini previsti dal provvedimento all'esame;

    tutto il processo non è stato peraltro preceduto da una legge dello Stato volta a definire la gradualità dell'iter, le regole di valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi e le regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio che Pag. 183risultino disfunzionali per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale;

    non è stata condotta alcuna preventiva istruttoria su ciascuna funzione e materia, così da orientare le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine avvalendosi della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio;

    con legge dello Stato, oltre che i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – occorreva definire i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare;

    le materie che necessitano di una preliminare determinazione dei LEP in realtà potranno essere trasferite alle regioni ancora prima che i LEP individuati siano opportunamente finanziati e tantomeno garantiti nei diritti sottesi; per le materie che non richiedono la predeterminazione dei LEP, invece, l'autonomia sarà immediata;

    la previsione di una immediata devoluzione di funzioni o compiti non associate ai LEP non considera che vi sono LEP trasversali che richiedono comunque di essere predeterminati (es. pari opportunità) e non tiene altresì conto della necessità di definire in ogni caso, in via preliminare, i parametri di efficienza, equità, solidarietà e coesione socioeconomica, alla luce dei quali valutare le modalità di delegabilità di qualsiasi funzione, con particolare riferimento al confronto tra i costi e i benefici per la regione richiedente, per le altre regioni e per lo Stato, al fine di prevenire asimmetrie, inefficienze e difficoltà regolatorie per i cittadini e le imprese in termini di coordinamento normativo e amministrativo;

    nel provvedimento all'esame non si evince alcuna preliminare valutazione sul merito delle motivazioni sulla base delle quali le regioni possono richiedere maggiori autonomie e d i relativi negoziati sono totalmente delegati al Presidente del Consiglio (o il Ministro degli affari regionali) e agli esecutivi delle regioni;

    è grave che il Parlamento possa esprimersi esclusivamente con atti di indirizzo, di cui il Governo potrà tenere conto a sua discrezione, e che le intese in realtà non possano essere emendate dalle Camere ma solo approvate, seppure a maggioranza dei loro componenti;

    tutte le disposizioni concrete relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle regioni saranno determinate da commissioni paritetiche Stato-regioni e contenute in decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; e se i LEP sono definiti con decreti legislativi, tuttavia, transitoriamente e poi successivamente per gli aggiornamenti, potranno essere determinati anch'essi attraverso DPCM da un'apposita commissione tecnica istituita con la legge di bilancio 2023 (cc. 791-801) e non, dunque, dal Parlamento; i DPCM sono atti di natura amministrativa e come tali, quindi, potranno essere impugnati solo davanti al TAR ma non davanti alla Corte costituzionale;

    è mancata la ragionevolezza e responsabilità necessarie ad escludere da ulteriori e particolari forme di autonomia quanto meno l'istruzione e la salute, per le quali un'ulteriore devoluzione comporterebbe un rischio di inaccettabile disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese;

   considerato che:

    tra le materie che saranno devolute con l'autonomia differenziata vi è, dunque, anche la tutela della salute;

    fin dall'inizio del dibattito pubblico e dell'iter parlamentare che sta portando, in un clima politico surreale, all'approvazione della cosiddetta autonomia differenziata,Pag. 184 i principali osservatori del panorama della sanità italiana hanno rappresentato forti e diffusi timori per gli effetti che l'autonomia differenziata rischiano di avere sul SSN, già gravemente in affanno per il progressivo definanziamento della sanità che questo Governo sta perpetrando anche per gli anni a venire, per la grave carenza di personale e per le inaccettabili diseguaglianze regionali già oggi drammaticamente diffuse;

    tra i diversi osservatori una costante azione di sensibilizzazione è stata condotta dalla Fondazione GIMBE che già nel 2019, in pieno dibattito politico sul regionalismo differenziato, aveva lanciato una survey per far luce sui potenziali rischi; già il 5° Rapporto GIMBE sul SSN aveva infatti analizzato i rilevanti rischi delle maggiori autonomie in sanità, invitando l'attuale Governo in carica ad evitare di legittimare normativamente i divari Nord-Sud;

    il mondo della sanità italiana, per la maggior parte, ha ripetutamente e coralmente chiesto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le regioni possono richiedere il trasferimento delle ulteriori funzioni da parte dello Stato;

    come innanzi evidenziato, l'invarianza finanziaria prevista diffusamente nel provvedimento all'esame non appare compatibile con la predeterminazione dei LEP che richiedono piuttosto di essere finanziati e quanto ai LEP in materia di salute viene detto ma non scritto da alcuna parte che essi equivalgono ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ai quali in realtà non corrisponde alcun fabbisogno finanziario tenuto conto che il riparto alle regioni delle risorse per il SSN è indipendente dal raggiungimento o meno dei LEA e avviene secondo criteri di popolazione residente, in parte «pesata» per l'età;

    l'invarianza finanziaria dei numerosi provvedimenti che, in questi anni, hanno riguardato la salute di fatto non ha permesso di garantire i LEA in maniera equa e uniforme ed anzi ha finito per cristallizzare anche in sanità le disuguaglianze nel Paese e dunque ribadirne l'invarianza anche per il raggiungimento dei LEP non farà altro che ripetere una storia di diritti negati ben conosciuta;

    come rilevato nel corso delle audizioni al provvedimento all'esame l'attuazione dell'autonomia differenziata in sanità così delineata potrebbe comportare gravi conseguenze; in particolare: un ulteriore peggioramento delle performance sanitarie nelle diverse regioni; l'aumento delle diseguaglianze all'interno di una stessa Regione; l'aumento del fenomeno della mobilità sanitaria passiva; spostamento di rilevanti quote di offerta sanitaria dal pubblico al privato accreditato; disallineamento dei sistemi informativi sanitari;

    i problemi correlati alla grave carenza di personale sanitario dovrebbero essere affrontati uniformante in tutte le regioni, tenuto conto che il personale sanitario si sposta inevitabilmente nell'intero territorio nazionale; ad esempio, la rimozione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l'istituzione di contratti di formazione-lavoro (strettamente legati agli accordi con le Università), dovrebbero essere ugualmente disciplinati nel territorio nazionale, tra l'altro in conformità anche alle disposizioni sul reciproco riconoscimento sovranazionale dei titoli delle professioni sanitarie;

    l'autonomia differenziata nella determinazione del numero di borse di studio per scuole di specializzazione e medici di famiglia inevitabilmente determineranno gravi sperequazioni quantitative e qualitative sul personale medico e sanitario dei servizi sanitari regionali;

    la richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all'autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell'attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra regioni con trasferimento di personale dal Sud al Nord, ponendo, peraltro, una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati;

    la storia recente della pandemia ha fornito un'ampia comprova di quanto la Pag. 185salute e i sistemi sanitari mal si conciliano con i confini non già di una regione ma addirittura di Stati e continenti; pertanto voler ulteriormente delimitare i confini della salute in territori circoscritti appare chiaramente un percorso anticiclico oltreché pericoloso per la salute globale e dei singoli territori;

    l'Europa, proprio sulla base dell'esperienza pandemica, sta delineando un sistema unitario e globale della salute affinché tutti gli Stati possano meglio ottimizzare i propri servizi sanitari e le informazioni sanitarie cosi da affrontare ogni futura emergenza sanitaria e garantirne la necessaria resilienza oltreché la sostenibilità economica;

    la pandemia ha altresì condotto ad una necessaria e non più rinviabile riorganizzazione dei servizi sanitari territoriali che proprio durante l'emergenza si sono rivelati essere particolarmente deboli, soprattutto in quelle regioni più autonomiste; a riguardo il decreto ministeriale n. 77 del 2022, proprio in controtendenza che le spinte autonomistiche, ha definito standard nazionali, imponendo ad alcune regioni, ad esempio, di reintrodurre i distretti socio-sanitari ovvero prevedendo l'istituzione delle case di comunità;

    l'autonomia differenziata rischia di determinare in alcune regioni un ulteriore potenziamento della sanità privata accreditata e della sanità integrativa; a riguardo particolarmente critica è infatti la maggiore autonomia richiesta in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che consentirebbe la costituzione di sistemi assicurativo-mutualistici regionali, di stampo americano, sganciati dalla normativa nazionale;

    particolarmente odioso per la salute sarebbe attribuire, ancor più di quello che purtroppo talvolta già avviene, un'autonomia differenziata nella determinazione di tariffe e ticket creando insopportabili differenze tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, nell'accesso alle cure e nei suoi inevitabili esiti: aspettativa di vita, mortalità evitabile, speranza di vita in buona salute, mortalità infantile;

    per tutto quanto sopra premesso e considerato,

  esprime

PARERE CONTRARIO.