CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 24 aprile 2024
295.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO

  La II Commissione,

   esaminato, per i profili di competenza, il provvedimento in titolo;

   premesso che:

    l'articolo 1 indica la finalità del provvedimento, che, in sintesi, è quella di definire i princìpi generali per l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione del citato terzo comma dell'articolo 116, della Costituzione;

    tra le materie che possono formare oggetto di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia figura l'organizzazione della giustizia di pace (lettera l) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione), ai sensi del richiamo recato dall'articolo 116, terzo comma, nonché, sia pure per i soli profili «ordinistici», la materia delle professioni (articolo 117 della Costituzione, comma 3),

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 2

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE
DEL GRUPPO PARTITO DEMOCRATICO

  La II Commissione,

   in sede di esame del disegno di legge recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (A.C. 1665),

   premesso che:

    dalle numerose audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione Affari costituzionali, è emerso un quadro fortemente critico del disegno di legge in esame con specifico riferimento al rispetto del sistema delle fonti, al trasferimento delle funzioni e al relativo finanziamento, alla determinazione dei LEP e al ruolo degli enti locali;

    un primo ordine di criticità – sollevato dalla quasi totalità dei costituzionalisti auditi – attiene all'adeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, fornendo una cornice alle successive leggi di approvazione delle intese. In primis, poiché la legge ordinaria può essere modificata o abrogata da qualunque legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa;

    lo strumento adeguato a dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, sarebbe stato una legge costituzionale, così come previsto da un disegno di legge del Gruppo del Partito Democratico, secondo cui il percorso che può condurre all'attribuzione ad alcune regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe essere disciplinato da una cornice di livello costituzionale, approvata ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione;

   considerato che:

    l'articolo 2, comma 2, primo periodo, del disegno di legge in esame prevede che «L'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni»;

    tali disposizioni contrastano con l'articolo 116, terzo comma, e con l'articolo 117, commi secondo e terzo della Costituzione, poiché prevedono il trasferimento alle regioni di intere materie attribuite dalle citate norme costituzionali alla competenza concorrente tra Stato e regioni e non solo, secondo la ratio dell'articolo 116, terzo comma, di ambiti di materie ovvero di singole funzioni «concernenti» le stesse;

    l'articolo 116, terzo comma, prevede, infatti – così come la procedura di cui al primo comma – l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia ma, a differenza del primo comma, precisa che esse «concernono» le materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e singoli casi di competenza esclusiva e sono dunque da individuare all'interno di esse;

    nel caso in cui l'articolo 116, terzo comma, consentisse l'integrale trasferimento di intere materie di competenza concorrente alle regioni, verrebbe meno uno dei principali criteri distintivi tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. Si violerebbe perciò il principio che presiede all'ordinamento dell'autonomia regionale previsto dal titolo V e stabilito dallo stesso articolo 116, primo comma, che dovrebbe essere invece cardine e norma pilota nella interpretazione dell'intero articolo 116. Si modificherebbe in forma tacita,Pag. 53 graduale e surrettizia l'intero sistema dell'autonomia regionale delineato dal titolo V che prevede un impianto duale tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario; il terzo comma diventerebbe una norma dissolutoria di quanto stabilito al primo comma dello stesso articolo 116 con evidente antinomia e necessità di una diversa interpretazione;

   considerato inoltre che:

    secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), nell'audizione durante l'esame del provvedimento al Senato, «il trasferimento alle regioni di competenze quali, ad esempio, le grandi reti di trasporto, i porti e gli aeroporti potrebbe generare, nel caso di interessamento di due o più regioni o di una minore efficienza nella gestione locale rispetto a quella nazionale, esternalità negative con effetti potenziali sull'intero paese. Peraltro, un'attenzione particolare meriterebbe il fatto che tra le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata vi è la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, una materia di particolare interesse strategico nazionale e cruciale a fronte delle sfide che si pongono in merito alla transizione energetica. (.) Il trasferimento di funzioni e delle necessarie risorse dovrebbe pertanto essere preceduto da un'analisi da cui emerga un effettivo miglioramento complessivo della gestione pubblica. La stessa regione che voglia ottenere maggiori competenze in alcune materie dovrebbe, a monte, motivare la richiesta indicando i benefici che ne deriverebbero rispetto alla situazione centralizzata. Il complesso di queste informazioni dovrebbe poi essere reso disponibile al Parlamento per istruire l'eventuale approvazione.»;

    inoltre, come sottolineato da molti dei soggetti auditi, la possibilità che «le norme generali sull'istruzione», possano essere oggetto di autonomia differenziata appare quantomeno problematica da ipotizzare e rischia, in ogni caso, di dar luogo a una grave e irreversibile frammentazione del sistema scolastico; il venir meno del «carattere nazionale» dell'istruzione e la conseguente regionalizzazione della Scuola rischia di minare, alla radice, le basi del diritto allo studio e di creare un vulnus profondo alla stessa identità culturale del Paese; regionalizzare le norme generali sull'istruzione significa, potenzialmente, mutare il volto della Scuola italiana, con inevitabili ripercussioni sui diritti in essa agiti;

    tra le altre pronunce, tra cui la sentenza n. 200 del 2009, il giudice costituzionale ha chiarito come si pongano negli «articoli 33 e 34 della Costituzione le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative: a) alla istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (articolo 33, secondo comma, Cost.); b) al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (articolo 33, terzo comma, Cost.); c) alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni (articolo 33, quarto comma, Cost.); d) alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (articolo 33, quinto comma, Cost.); e) all'apertura della scuola a tutti (articolo 34, primo comma, Cost.); f) alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore (articolo 34, secondo comma, Cost.); g) al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (articolo 34, terzo comma, Cost.); h) alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (articolo 34, quarto comma, Cost.)», aggiungendo che, «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali sull'istruzione”»;

    con tale ampia descrizione, la Corte intendeva chiarire come il legislatore costituzionale avesse assegnato «alle prescrizioni contenute nei citati articoli 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di Pag. 54essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla “autonomia delle istituzioni scolastiche”, facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione»;

    analogamente al comparto istruzione, anche per il sistema universitario si potrà prevedere, a seconda delle diverse regioni, l'assunzione di rilevanti competenze in materia di finanziamenti, programmazione e personale. Il percorso che si vuole intraprendere porterà, inevitabilmente e in poco tempo, alla definitiva disgregazione del già agonizzante «sistema nazionale» universitario, già oggi fin troppo frammentato; infatti, pur nell'ambito dell'autonomia riconosciuta alla ricerca, il rischio sarà quello di accelerare il processo di rafforzamento delle prerogative regolamentari e di drenaggio di risorse dagli atenei meno forti a quelli più forti, che in quest'ultimo decennio ha amplificato le differenze tra gli atenei e indebolito il sistema universitario nel suo complesso;

    riguardo la sanità, la maggior parte dei soggetti auditi ha evidenziato come l'autonomia differenziata – così come concepito dal disegno di legge in esame – avrebbe ripercussioni molto negative sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale, già fortemente compromesso – come reso di tutta evidenza gestione regionale della pandemia – dall'attuale attuazione del Titolo V; già ora il SSN, pubblico e universale, è oggetto di una «parcellizzazione selvaggia» che ha dimostrato tutti i suoi limiti, creando la «salute diseguale»: secondo l'Istat, infatti, al Sud si vive un anno e sette mesi in meno che al Nord, e la mobilità sanitaria riguarda l'11,4 per cento dei ricoverati residenti nel Meridione a fronte del 5,6 per cento dei residenti nel Nord-Italia;

    si assiste – già da decenni – a una mobilità sanitaria che, secondo la Corte dei conti, ha «dirottato» in un decennio 14 miliardi di euro dalle regioni del Sud a quelle del Nord; secondo l'UPB «La mobilità passiva riguarda prestazioni che devono comunque essere coperte dalla regione di residenza anche se vengono rese da parte dei SSR di altre regioni. Questo fenomeno, che sarebbe fisiologico se riguardasse limitati casi di prestazioni molto specialistiche, fornite solo da un piccolo numero di strutture sul territorio nazionale, presenta in generale in Italia dimensioni abnormi, in quanto rispecchia anche gli squilibri infrastrutturali e le differenze qualitative nei servizi, che a loro volta possono discendere, oltre che dalle stesse carenze in termini di strutture sanitarie disponibili, da problemi di organizzazione e gestione e/o da carenze, ad esempio, di personale, eventualmente legate anche alle misure di governo della spesa imposte con i piani di rientro.»;

   rilevato che:

    con riferimento al procedimento di approvazione dell'intesa – come delineato dal disegno di legge in discussione – sono state sollevate, dai costituzionalisti e non solo, in modo quasi unanime, critiche sull'insufficiente coinvolgimento del Parlamento nel procedimento, in particolare, sulla legge di approvazione dell'intesa quale legge di mera approvazione, senza possibilità per il Parlamento di emendare e modificare il testo;

    il disegno di legge prevede che il Parlamento, in un primo momento, si limiti ad approvare atti di indirizzo sullo «schema» dell'intesa, di cui non è chiarita l'effettiva portata vincolante, mentre non viene mai prevista per il Parlamento la possibilità effettiva di decidere sul contenuto delle intese, relegando così il procedimento di differenziazione dell'autonomia – con tutte le conseguenti implicazioni costituzionali e in materia di effettività dei diritti fondamentali – a una trattativa tra Pag. 55esecutivo nazionale ed esecutivi regionali, che rischia di spogliare il Parlamento della propria potestà legislativa;

   rilevato inoltre che:

    le intese devono intendersi rigorosamente tutte all'interno del sistema di competenze previsto dalla Costituzione per le regioni a statuto ordinario. Grazie alle intese e alla legge ordinaria che le approva, lo Stato può attribuire alle regioni singole funzioni, ma non rinunciare al proprio titolo di competenza concorrente o esclusiva e pertanto deve considerarsi in contrasto con l'articolo 116, comma 3, la possibilità di richiedere intese per l'attribuzione di intere materie;

    il procedimento previsto dall'articolo viola le disposizioni degli articoli 70 e 72 della Costituzione sulle modalità di esercizio della funzione legislativa da parte delle Camere e la riserva di regolamento parlamentare stabilita dallo stesso articolo 72 per la ulteriore disciplina della materia;

   considerato altresì che:

    nonostante il procedimento per la determinazione dei LEP sia ora stato rimesso all'adozione di decreti legislativi, desta grande preoccupazione il permanere della previsione dello stesso articolo 3 che ai commi 9 e 10 stabilisce che «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi (...), ai fini della determinazione dei LEP» continuino ad applicarsi le norme previste dalla legge di bilancio 2023, ovvero il ricorso a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e che sia «fatta salva la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard», svolta ai sensi delle suddette norme, alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi;

   considerato altresì che:

    specifiche preoccupazioni sono state infine espresse dagli enti locali che temono che i processi di differenziazione possano condurre a un nuovo «centralismo regionale» senza, peraltro, prevedere il coinvolgimento degli enti locali (sia nei processi di differenziazione, sia nel procedimento di determinazione dei LEP) riguardo all'impatto del trasferimento di funzioni sulle funzioni fondamentali delle province e dei comuni;

   considerato altresì che:

    l'articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione, che a sua volta pone una norma cardine nel nostro ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale, mentre al comma 5 stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;

    come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, il disegno di legge in esame, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso;

    in particolare è emerso un quadro fortemente critico del disegno di legge in esame con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite: esso prevede, infatti, una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

    la stessa clausola di neutralità finanziaria pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie;

    particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove Pag. 56prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate, e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;

    l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;

    la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3 laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate;

   considerato infine che:

    il complessivo impianto del disegno di legge e le concezioni che lo ispirano si fondano su una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, indebitamente estensiva e contrastante con la lettera e lo spirito della norma nel quadro del sistema costituzionale,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Gianassi, Serracchiani, Di Biase, Zan, Lacarra.

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ALLEGATO 3

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE
DEL GRUPPO MOVIMENTO 5 STELLE

  La II Commissione,

   esaminato, per quanto di competenza, l'Atto Camera n. 1665, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

   premesso che:

    il testo in valutazione, che è stato presentato in data 23 marzo 2023 su iniziativa del Ministro per gli affari regionali e le autonomie ed è stato assegnato, in sede referente, alla Commissione Affari costituzionali, presenta criticità rilevanti, emerse anche durante le numerose audizioni presso il Senato della Repubblica, e nodi politico-tecnici che il corso dell'esame finora compiuto non ha compiutamente affrontato e risolto in modo accettabile;

    tra queste, l'elemento che desta più preoccupazione del disegno di legge attuativo in esame è la sua pericolosa indeterminatezza. In luogo di vaghi e lacunosi accenni, infatti, si rileva la mancanza di un quadro articolato e preciso, volto a disciplinare con esattezza il processo e tutte le sue variabili. L'attuazione dell'autonomia differenziata, infatti, non può prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero comparire tra le finalità del disegno di legge;

    la temporaneità e reversibilità dell'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe costituire l'architrave attorno alla quale costruire la disciplina attuativa, se si vuol definire un insieme di regole efficace e flessibile anche per periodi di eventuale crisi o in caso di verifica di problematiche derivanti nella fase attuativa concreta;

    la definizione dei princìpi generali andrebbe pertanto riarticolata, mantenendo fermi il ruolo di indirizzo, controllo e coordinamento da parte dello Stato e del Parlamento e la necessaria omogeneità delle politiche pubbliche nei settori socialmente ed economicamente strategici e nel miglioramento della qualità dei servizi delle amministrazioni pubbliche. E questo non può verificarsi senza un raccordo operativo e puntualmente definito tra lo Stato – Parlamento compreso – e le regioni, anche avvalendosi della Conferenza Unificata;

    una attuazione efficace dell'autonomia richiederebbe anche, tra i principi di unità preminenti ed invalicabili, quello di partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche onde evitare che i negoziati non tengano conto dei corpi sociali, dei cittadini, delle associazioni e delle imprese. La promozione di pratiche sostenibili e di solidarietà interterritoriale dovrebbe parimenti figurare tra gli elementi fondamentali ispiratori della norma in esame. Lo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione di autonomia differenziata appare logico che venga subordinato alla preventiva approvazione di una legge dello Stato volta a definire la gradualità del processo, le regole di valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi, le modalità di intervento dello Stato in caso di necessità per interesse nazionale e le regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio che risultino disfunzionaliPag. 58 per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale;

    una legge dello Stato ad hoc dovrebbe definire le regole della istruttoria preventiva su ciascuna funzione e materia, cui devono conformarsi le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine avvalendosi della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio;

    l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione andrebbe subordinata alla piena definizione della cornice legislativa statale che determini, oltre ai LEP, i livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche le leggi concernenti i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare;

    le intese andrebbero finalizzate al pieno superamento dei divari territoriali delle prestazioni, che devono essere effettivamente godute e garantite su tutto il territorio nazionale quale condizione preliminare per l'attribuzione di nuove funzioni e limite inderogabile per le relative negoziazioni;

    nell'ambito della gradualità del processo, in questa fase, sarebbe stato saggio escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia alle regioni le materie di legislazione esclusiva statale, come le norme generali dell'istruzione e alcune delle materie di legislazione concorrente per le quali, un'ulteriore devoluzione comporterebbe un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese;

    la legge dello Stato risulta lo strumento più adatto a definire le modalità di una specifica istruttoria per ciascuna funzione nell'ambito di ciascuna materia, secondo metodologie condivise, trasparenti e validate da organismi tecnici nazionali, al fine di valutare le conseguenze del decentramento rispetto allo status quo per la regione interessata e per il resto del paese nella gestione a livello decentrato – anche in termini di efficienza ed efficacia – nella rapidità e nella qualità dei processi decisionali ai fini della coesione e della solidarietà sociale. Solo in tal modo si possono misurare preventivamente le richieste di accesso alla luce del loro impatto sulle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Al contrario, il testo non sfrutta il principio di gradualità nell'attribuzione delle funzioni e non è esplicito e dettagliato nel prevedere che vengano svolte verifiche puntuali prima di ogni passaggio successivo. I criteri di accesso delle singole regioni alle competenze differenziate per ciascuna materia o ambito di materia, andrebbero delineati per via legislativa e sulla base di valutazioni qualificate ed analisi adeguate concedendole purché la modifica dell'attuale riparto di competenze sia motivato dall'interesse nazionale. Da questo, per organizzare l'intero processo, discende la necessità di individuare un numero massimo di materie o ambiti richiedibili, anche per evitare che si possa richiedere simultaneamente o persino concedere l'intero novero delle stesse. Trascurato appare l'aspetto del necessario coordinamento nazionale delle materie temporaneamente delegabili come quello del principio fondamentale di non discriminazione e non differenziazione territoriale nel godimento dei diritti e dei servizi relativi, affermati apparentemente ma poi privati di un concreto presidio legislativo di tutela;

    sotto altro profilo, non è dato sapere chi – e come – è deputato a valutare la solidità finanziaria e la capacità amministrativa dei richiedenti in relazione alle funzioni di natura organizzativo – regolamentare, nonché alle specificità regionali che motivano la richiesta. E neppure sono esplicitate linee guida di valutazione degli esiti attesi sia per la regione richiedente che per le altre regioni, al fine di evitare Pag. 59disparità tra territori in termini di risorse e strutture o maggiori oneri per i cittadini e le imprese e di garantire maggiore efficienza ed efficacia dei servizi su tutto il territorio nazionale;

    manca nell'articolato, inoltre, una esaustiva disciplina delle procedure di verifica periodica e simmetrica dei servizi resi dalle regioni ad autonomia differenziata e quelli forniti dallo Stato e dalle regioni non differenziate, prevedendo che al monitoraggio delle risorse e del livello dei servizi sia ricollegata l'attivazione dei necessari poteri sostitutivi dello Stato al verificarsi di disparità, lesioni alla solidarietà o coesione sociale nazionale o inadempienze regionali;

    non essendo costituzionalmente ragionevole che lo Stato si spogli della propria competenza in intere materie o settori, la norma di attuazione avrebbe dovuto definire: l'ordine di priorità negli ambiti attribuibili; il numero massimo di funzioni attribuibili in un dato periodo; i requisiti fondamentali per il mantenimento dei legami solidaristici tra cittadini residenti in regioni differenziate e non differenziate e tra i livelli di governo corrispondenti; l'individuazione degli strumenti di coordinamento tra Stato e regioni e regioni ed enti locali in riferimento alla differenziazione; i meccanismi di commisurazione del potere di spesa e delle fonti di finanziamento e i relativi meccanismi di responsabilizzazione delle amministrazioni interessate; i meccanismi e i requisiti atti a dimostrare, sulla base di affidabili dati ed indicatori economico sociali, i benefici per l'interesse nazionale derivanti dalla differenziazione ed in particolare di misurazione preventiva del miglioramento della situazione per le regioni non differenziate derivante dall'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; il rapporto tra regionalismo differenziato e regionalismo a statuto speciale. In sostanza ogni richiesta di attribuzione andrebbe consentita previa dimostrazione del miglioramento della qualità dei servizi che possono essere offerti ai cittadini sul territorio nazionale, verifica della effettiva coerenza con i LEP nel progetto di richiesta delle funzioni e la corrispondente valutazione degli oneri a carico della finanza pubblica, nel rispetto del vincolo di garanzia del raggiungimento su tutto il territorio nazionale di una uniforme parità di accesso ai LEP;

    le intese non possono recare in nessun caso, neppure indirettamente, limiti alla potestà legislativa del Parlamento e dovrebbero assicurare anche la partecipazione delle città metropolitane al processo decisionale ed organizzativo, essendo queste in termini di popolazione e socioeconomici degli aggregati essenziali delle varie regioni. Manca, in altre parole, la certezza di un processo razionale, controllato e reversibile, tanto più nel caso di richieste riguardanti più compiti o funzioni, regolato con legge dello Stato secondo un criterio temporale selettivo, sostenibile e graduale, a garanzia della sua gestibilità e della unitarietà del quadro giuridico. Diversamente, nel testo mancano disposizioni di principio inderogabili cui le regioni sono chiamate ad uniformarsi, così come manca una valutazione d'impatto, trasmessa preliminarmente alle Camere, che dimostri l'effetto positivo del trasferimento, in termini di effettività dei diritti civili e sociali e di fruizione dei servizi pubblici, sia nella regione richiedente che sul resto del territorio nazionale;

    manca la previsione di una legge dello Stato con cui vengano individuate le funzioni fondamentali svolte dalle amministrazioni centrali nell'ambito delle materie rilevanti ai fini dell'autonomia differenziata, i criteri di valutazione degli effetti su tutte le regioni delle diverse modalità di finanziamento delle singole funzioni attribuibili alle regioni e delle conseguenti misure di riequilibrio da assumere, le modalità di garanzia di una adeguata programmazione di bilancio delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso. Se l'obiettivo fosse stato quello di prevenire effetti distorsivi nel territorio nazionale, il disegno di legge avrebbe disciplinato o demandato ad apposita legge statale la determinazione delle misure volte ad evitare ed eliminare il verificarsi di aumenti della complessità del concorso tra livelli di governo, e la moltiplicazione delle strutture deputate alla realizzazionePag. 60 dei servizi e delle funzioni. Con il testo in esame non è chiaro se e come lo Stato, eventualmente su iniziativa del Governo o delle Camere, possa modificare unilateralmente gli elementi delle intese per far fronte in modo adeguato ad esigenze di rispondere in maniera tempestiva a necessità urgenti, sia di carattere nazionale che sovranazionale. Ci si priva quindi, irragionevolmente, di un meccanismo flessibile e ben chiaro, per rimanere nell'indeterminatezza che, in caso di necessità, può rivelarsi gravemente dannosa;

    il testo in esame, inoltre, non precisa i criteri e le modalità per il controllo della qualità dei servizi sull'intero territorio nazionale e l'impatto della innovazione che reca sulla spesa primaria netta del complesso delle Amministrazioni pubbliche, compreso l'impatto finanziario derivante dall'attribuzione di forme particolari di autonomia in determinate funzioni. Non contiene rimandi a metodologie uniformi di valutazione costante e calcolo delle risorse eventualmente eccedenti derivanti dalla dinamica delle entrate devolute alle regioni differenziate e le spese effettive relative alle funzioni trasferite. Non è quindi chiaro come, una volta partito il meccanismo descritto dal disegno di legge, si possano prevenire fenomeni di riduzione delle risorse per finanziare sul territorio nazionale le funzioni non trasferite o non trasferibili, con priorità per quelle di particolare rilevanza socio-economica, oppure una riduzione delle capacità di attuare sul territorio nazionale delle politiche di stabilizzazione del ciclo o di redistribuzione del reddito a fini di equità sociale. Le carenze della disciplina generale, compresi gli strumenti di rideterminazione periodica delle percentuali di compartecipazione al gettito erariale da parte del governo centrale, atte ad evitare inefficienze nei servizi o maggiori costi a carico dei cittadini di tutte le regioni, pongono rischi concreti in caso di future problematiche;

    peraltro, nel corso dell'esame sinora svolto, non sembra che siano stati previsti strumenti correttivi precisi immediatamente efficaci, da parte dello Stato, degli effetti distorsivi derivanti dal verificarsi di fenomeni di proliferazione di normative differenziate, frammentazione dei centri di responsabilità, intervento e controllo, aumento dei costi, anche indiretti, di adempimento per cittadini ed imprese e difficoltà di coordinamento ed integrazione a livello nazionale. Né si rinvengono criteri di analisi degli effetti sui costi fissi, sul trasferimento eventuale di risorse umane e strumentali verso e tra regioni ad autonomia differenziata. In mancanza di regolazione normativa non sono indicate misure di conoscibilità del parallelo effetto sulla efficienza dello Stato e delle amministrazioni delle regioni non differenziate, sull'ammontare delle risorse perequate e sui servizi dei comuni ai cittadini, nonché sugli effetti per le risorse del bilancio statale in relazione all'evoluzione dei fabbisogni. Tali elementi, riferiti alle ricadute su tutto il territorio nazionale e non soltanto nella regione richiedente, andrebbero invece ricompresi e valutati nelle relazioni tecniche e negli atti di impulso delle richieste di autonomia;

    trasferire funzioni in assenza di una chiara disciplina applicabile alla valutazione degli effetti del trasferimento di funzioni di natura organizzativo-regolamentare, considerando anche le eventuali necessità di riorganizzazione e coordinamento dei servizi statali o delle regioni non differenziate e le conseguenti ricadute sugli oneri di adempimento per i soggetti operanti in più regioni, appare altrettanto azzardato. Per gli ambiti di materia non riferibili ai diritti civili e sociali, la legge dello Stato dovrebbe determinare nel dettaglio le procedure di verifica periodica e simmetrica e di valutazione degli effetti del trasferimento, l'evoluzione delle risorse nel tempo, anche per le amministrazioni pubbliche non ricadenti nelle regioni differenziate, individuando le misure dinamiche di compartecipazione, perequazione, intervento, anche unilaterale in caso di urgenza, e correzione, a titolo sostitutivo, da parte dello Stato volte a conseguire il pari trattamento dei cittadini sul territorio nazionale ed evitare la compressione delle risorse disponibili per i territori non differenziati;

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    il testo è carente ed azzardato proprio nel non voler prevedere un passaggio a titolo sperimentale onde monitorarne gli effetti prima di renderlo, eventualmente, strutturale per il decennio che è l'arco di tempo che individua il disegno di legge. Né il testo elenca materie, individuate con legge dello Stato, per le quali è richiesto il necessario coordinamento, gestione e controllo nazionale e per le quali può essere richiesta soltanto l'attribuzione di specifici e limitati compiti nell'ambito di un novero fissato con legge dello Stato. Manca altresì la disposizione che, almeno inizialmente, la richiesta di autonomia non possa riguardare materie sensibili per le quali si ritiene necessario l'indirizzo statale e neppure che successivamente, per tali ambiti, il trasferimento possa essere solo parziale. Elemento che costituisce un altro aspetto tecnicamente – e politicamente – assai imprudente del disegno di legge in esame;

    è invece essenziale, per evitare confusione tra cittadini ed operatori socioeconomici, che lo Stato mantenga comunque i poteri di intervento e i compiti di indirizzo, coordinamento e controllo anche successivamente al trasferimento, così come che la richiesta di autonomia individui come prioritari il coordinamento con le regioni e la sostenibilità amministrativa e gestionale per una equilibrata differenziazione rispettosa della coesione nazionale. Per governare un processo trasparente ed ordinato, sarebbe stato opportuno prevedere che l'atto o gli atti d'iniziativa di ciascuna regione non potessero in ogni caso riguardare contemporaneamente materie quali istruzione, salute, lavoro, beni culturali ed invece riguardare singole forme o singole condizioni di esercizio di compiti ed attività amministrative nell'ambito di materie o all'interno di specifici ambiti di materie. Che, quindi, la richiesta fosse circoscritta e non si configurasse come un generale spogliamento dei poteri legislativo dello Stato – delle assemblee parlamentari – in ambiti vasti, con l'effetto di rendere confusa ed inintellegibile la disciplina normativa di istituti uguali dentro al territorio nazionale. Le Camere dovrebbero comunque essere informate tempestivamente dal Governo circa i propri intendimenti riguardo all'avvio e alla conduzione delle fasi negoziali e delle singole fasi del negoziato e dovrebbe essere dato prontamente e costantemente conto ai cittadini tramite la pubblicazione, sul sito della regione e su quello della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei verbali delle riunioni e dei documenti allegati;

    il disegno di legge dovrebbe, inoltre, contenere le disposizioni necessarie alla prevenzione dei fenomeni di disomogeneità della regolazione e frammentazione delle competenze amministrative e legislative nonché le modalità di reversibilità e rinegoziabilità dell'intesa su iniziativa dello Stato nel corso della durata dell'intesa stessa, sulla base delle risultanze di un efficace sistema di controllo nazionale e lo schema di intesa definitivo dovrebbe essere accompagnato dal parere del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, vista la rilevanza amministrativa e finanziaria degli adempimenti connessi al passaggio di competenze;

    il disegno di legge dovrebbe, altresì, recare dettagliatamente le modalità applicative dell'intesa – consentendo quindi la piena emendabilità di questi aspetti applicativi – nonché regolare preventivamente il rapporto tra norme statali e regionali su ogni materia durante l'intesa e al termine della stessa. Andrebbe inoltre esclusa la possibilità di porre la questione di fiducia sul disegno di legge da parte dello stesso Governo che ha dapprima negoziato l'intesa e redatto poi il disegno di legge. A valle, mancano disposizioni di verifica obbligatoria e periodica dell'adeguata attuazione dell'ulteriore autonomia su cui è raggiunta l'intesa durante l'intero periodo di validità della stessa, le modalità di monitoraggio, coinvolgimento e informativa alle Camere circa gli esiti della verifica per le singole materie o ambiti, le modalità ed i termini temporali delle misure da adottare qualora vengano riscontrati problemi attuativi, nonché le condizioni per la sospensione temporanea dell'intesa ovvero di cessazione anticipata in caso di reiterazione e persistenza delle problematiche stesse, con particolare riferimento a quelle concernenti l'interesse nazionale, i diritti fondamentali e la tutela uniforme sul territorio Pag. 62nazionale dei diritti civili e sociali e delle relative prestazioni;

    il trasferimento delle funzioni andrebbe effettuato soltanto dopo la approvazione con legge dello Stato di clausole sospensive o risolutive unilateralmente attivabili, previa diffida ad adempiere, dallo Stato in caso di inadempienza regionale nello svolgimento dei compiti o funzioni richieste o di interesse nazionale. Sulla parte attuativa, le ipotesi di sospensione e cessazione appaiono confuse e lacunose mentre non si prevede che ciascun Ministero, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato dispongano, anche autonomamente, le verifiche periodiche di propria competenza e gli esisti comunicati alle Camere. Né è chiaramente disciplinato il ruolo delle Camere relativamente a cessione o sospensione delle intese, anche parzialmente. Anche in questo caso la lacuna è foriera di problemi ulteriori laddove dovesse svilupparsi, nella fase applicativa, una controversia tra Stato e regione. A tal fine, in aggiunta al già previsto potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, sarebbe stato opportuno garantire la prerogativa della legge dello Stato di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva statale ma conferite alle regioni in ogni momento quando lo richieda la tutela dell'interesse nazionale, ferma rimanendo la preminente tutela dei principi fondamentali della Costituzionale. Si tratta di una prudente formula di flessibilità laddove determinate situazioni in futuro dovessero richiedere un intervento sollecito dello Stato, anziché lasciarla all'incertezza applicativa;

    non solo il Parlamento ma anche le osservazioni di importanti organismi ed istituzioni tecniche appaiono pericolosamente marginalizzate dall'impostazione del testo in esame, che avvia un processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, senza curarsi di disciplinare con attenzione, flessibilità, saggezza e prudenza un meccanismo che non andrebbe messo incautamente in moto senza sapere come governarlo in concreto nelle diverse evenienze possibili;

    problematiche di assoluta rilevanza sono state rilevate dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni delle categorie produttive sia in ordine a profili specifici che sull'impianto complessivo. I contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti hanno insegnato che un potere centrale incisivo in termini di coordinamento ed operatività serve tanto quanto una cornice normativa unitaria e che la frammentazione indebolisce l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali e polverizza i centri decisionali e le responsabilità, situazione molto pericolosa nei casi di emergenza socioeconomica;

    inoltre, come riportato da numerosi organi di stampa, sul tema si è espresso in prima persona il Governatore della Banca d'Italia, in una lettera inviata al presidente del CLEP, Comitato LEP, con cui mette in guardia su «i rischi per il bilancio pubblico, incluso il possibile impatto sul governo della spesa nel suo complesso». Anche dove vengono indicate, le «prestazioni» collegate ai LEP, il Governatore sottolinea come queste si mostrino «nella maggioranza dei casi formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere petizioni di principio» il cui contenuto pratico «rimane in larga parte indeterminato». «Da un'impostazione di questo tipo – conclude – sembra conseguire un'interpretazione (restrittiva) del mandato del Comitato volta a limitarlo a una ricostruzione sistematizzata della legislazione vigente, senza entrare nelle possibili declinazioni operative delle disposizioni connesse con diritti civili e sociali.». Un giudizio grave che si aggiunge alle dimissioni date da quattro insigni componenti del Comitato nel luglio del 2023;

   considerato che:

    per quel che riguarda il settore giustizia e il contrasto dei reati, a tacer d'altro, non può non rilevarsi come le modifiche normative che consentiranno alle regioni che ne fanno richiesta, di ottenere competenze esclusive in 23 materie, oggi gestite dallo Stato centrale (oltre a quelle già esercitate) – tra le quali vi rientrano anche scuola, sanità, lotta alle mafie – avranno Pag. 63ripercussioni preoccupanti sotto diversi aspetti;

    a parere degli scriventi, infatti, il decentramento di competenze e risorse agevolerebbe gli obiettivi della criminalità organizzata, posto che il livello regionale è certamente più facile da raggiungere e, pertanto, più aggredibile;

    basti pensare alla sanità, che oggi è una delle maggiori attrazioni per la criminalità, sia dal punto di vista della corruzione che da quello del crimine;

    si rischierebbe, così, di vanificare il lavoro condotto a livello unitario per il contrasto alle mafie: oggi si può contare, infatti, su un'azione di contrasto condivisa a livello nazionale tra enti e organi di controllo, mentre, laddove entrasse in vigore la riforma in esame, a farne le spese sarebbero quelle barriere a difesa della corruzione all'interno delle amministrazioni dei territori, e quindi – di conseguenza – i servizi a disposizione degli utenti finali, i cittadini, che soprattutto al Sud sarebbero particolarmente compromessi;

   rilevato che:

   sotto altro profilo, un altro tema fondamentale per la tenuta democratica del Paese, che sarebbe travolto dalla suddetta riforma è l'istruzione: il processo di trasferimento della legislazione dallo Stato alle regioni determinerebbe anche in questo caso un insopportabile spezzettamento della disciplina normativa, che impedirebbe le necessarie politiche unitarie nazionali e a farne le spese sarebbero, ancora una volta, i cittadini, quelli più giovani, ovvero gli studenti.

   È innegabile, infatti, come sussista uno stretto rapporto tra il precoce abbandono della scuola da parte di migliaia di bambini e ragazzi meridionali e l'altrettanto precoce reclutamento nella malavita organizzata.
   Vi sono specifiche aree del territorio nazionale caratterizzate da un peculiare livello di degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile, dove il tasso di elusione scolastica e criminalità minorile è molto elevato, considerando il valore di incoraggiamento alla devianza che tale fenomeno comporta;

   a maggior ragione nelle fasce in cui il disagio minorile è maggiore, la scuola è un essenziale polo di aggregazione per la comunità, ed è lì che la rete dei servizi sociali, culturali e sportivi dovrebbe essere meglio conosciuta e facilmente raggiungibile dalle famiglie. Tali attività, tuttavia, dovrebbero essere oggetto di coordinamento a livello centrale, al fine di evitare disparità di trattamento tra regione e regione e garantire che anche in quelle più disagiate vi sia il coinvolgimento e l'attenzione delle istituzioni nazionali;

   Si ricordi, infatti, che al Sud più che l'orario prolungato si registra un largo uso dell'orario ridotto, perdendo così 4 ore di scuola a settimana rispetto ai loro coetanei del Nord: il quadro che si compone è preoccupante, in quanto si prevedono meno ore proprio laddove sia più necessario frequentare l'ambiente scolastico. È evidente che alla mancanza di orario prolungato a scuola (per carenza di mense) può sopperire meglio un bambino di famiglia benestante, con genitori istruiti o ben inseriti nel lavoro, rispetto a chi vive in una famiglia non in condizione di sostituirsi a ciò che la scuola non è in grado di dare.
   I dati dimostrano, quindi, un rapporto strettissimo tra tassi di abbandono scolastico, precedenti penali nel nucleo familiare, svolgimento di lavori precari e tassi di criminalità minorile.
   In conclusione, laddove si portasse a termine la riforma in esame, si renderebbe più incerto il diritto alla salute, al lavoro, alla mobilità, all'accesso ai servizi. In altre parole, si «spaccherebbe» il Paese realizzando un regionalismo asimmetrico e non solidale, e ciò rappresenterebbe una resa dello Stato immotivabile, il quale accetterebbe così le differenze e istituzionalizzerebbe la povertà. E per le mafie questo sarebbe un vantaggio, posto che è la giustizia sociale la precondizione per sconfiggere le mafie.
   Come affermato da illustre ed attento osservatore, «L'autonomia differenziata può essere pericolosa: Non si può affrontare lo Pag. 64scandalo della povertà promuovendo strategie differenziate, non può esserlo perché la libertà è un bene comune, perché le libertà devono essere uguali per tutti secondo la nostra Costituzione»;

    in conclusione, quello che si deve rilevare è che il sistema concepito, seppure declinato in maniera dettagliata in alcuni suoi aspetti, appare privo di un quadro normativo di misure altrettanto puntuali volte ad intervenire in caso di malfunzionamento dello stesso. In mancanza di tutti gli elementi descritti e in assenza di correttivi sufficienti nella fase istruttoria in corso, dal disegno di legge trasmesso al Senato, appare un quadro approssimativo di incertezza ordinamentale che l'Italia non può permettersi in questa fase e pertanto,

   per i motivi sopra esposti

  esprime

PARERE CONTRARIO.

D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano.