CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 23 aprile 2024
294.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO
Pag. 248

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),

   esaminati, per le parti di propria competenza, il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2) e i relativi Allegati

   premesso che:

    il DEF 2024 presenta una struttura più sintetica rispetto ai precedenti documenti di economia e finanza, in considerazione dell'attuale fase di transizione verso le nuove regole delle governance economica europea e quindi della predisposizione di un quadro programmatico coerente con le nuove regole europee;

    in vista dell'entrata in vigore delle nuove regole europee, il Governo si è limitato a illustrare nel DEF 2024 i contenuti e le informazioni di carattere essenziale sull'andamento tendenziale dei principali dati della finanza pubblica con una stima delle politiche invariate per il prossimo triennio;

    il DEF sottolinea come l'economia italiana nel corso del 2023 abbia dimostrato una resilienza superiore alle attese, nonostante un quadro macroeconomico connotato da instabilità politica, elevata inflazione e da un ciclo restrittivo di politica monetaria, registrando un incremento del PIL dello 0,9 per cento, in decelerazione rispetto al 2022, ma superiore a quello della media dell'area euro (+0,4 per cento). In tale contesto, la previsione tendenziale del tasso di crescita del PIL si attesta, per il 2024, all'1,0 per cento, mentre si prospetta pari all'1,2 per cento nel 2025, e all'1,1 e allo 0,9 per cento, rispettivamente, nei due anni successivi;

    per quanto riguarda il debito pubblico, per il 2023, i primi dati ufficiali indicano che il rapporto debito/PIL è sceso al 137,3 per cento, in calo di 3,2 punti percentuali rispetto all'anno precedente e a partire dal 2024 il rapporto debito/PIL tenderà a risalire lievemente a causa della recente revisione al rialzo del deficit (che nel 2023 si è attestato su un valore pari al 7,2 per cento del PIL) dovuta alle maggiori spese legate al Superbonus;

   rilevato che:

    nell'ambito delle risposte di policy alle principali sfide economiche, occupazionali e sociali contenute nel Programma nazionale di riforma del DEF 2024, un posto di rilievo è occupato da quelle in materia di istruzione, università e ricerca. Si tratta di alcuni tra i settori sui quali maggiormente insistono le riforme e gli investimenti del PNRR;

    il Governo, nel DEF 2024, stima che dalle riforme contenute nel PNRR su tali versanti possa derivare un effetto sul PIL reale pari a +0,4 per cento al 2026, a +0,8 per cento al 2030, e a +2,8 per cento al 2050. Tali risultati deriveranno in particolare dagli effetti benefici che le riforme in oggetto produrranno in termini di riduzione dell'abbandono scolastico, di miglioramento del capitale umano (aumento dei laureati e ei ricercatori) e della qualità dell'offerta scolastica e universitaria (formazione e reclutamento dei docenti);

    con riferimento al tema del miglioramento del sistema d'istruzione il DEF 2024 rileva che il sistema di istruzione e formazione è stato interessato in questi anni da sei riforme inserite nel PNRR (reclutamento dei docenti, orientamento scolastico, riorganizzazione del sistema scolastico, riforma degli istituti tecnici e professionali, riforma degli Istituti tecnologici superiori, Scuola di alta formazione e formazione del personale scolastico), che Pag. 249hanno determinato un complesso ridisegno normativo della legislazione primaria, e dall'adozione di tutti i connessi atti di legislazione secondaria, che sono stati emanati entro il 2023;

   apprezzato, in particolare, che:

    nell'ambito delle riforme e degli interventi contenuti nel PNRR in materia di digitalizzazione dei servizi pubblici, si segna l'istituzione dell'Anagrafe Nazionale dell'Istruzione Superiore (ANIS), un sistema informativo unitario in grado di facilitare l'accesso ai dati distribuiti in oltre cinquecento sistemi informativi locali;

    al fine di favorire la mobilità tra atenei sono state allocate determinate risorse nazionali e previste iniziative specifiche nel PNRR: in particolare, con la legge di bilancio è stato incrementato il fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio ed è stato approvato il Fondo per l'Erasmus italiano, che permetterà di finanziare borse di studio in favore degli studenti iscritti ai corsi di laurea o di laurea magistrale che partecipano a programmi di mobilità tra atenei;

    sono state disposte nuove risorse nazionali per sostenere gli studenti nella formazione e, al tempo stesso, incrementare la disponibilità di alloggi e posti letto per gli studenti fuori sede. A tale scopo, è stato introdotto un Fondo aggiuntivo (articolo 11 del decreto-legge n. 145 del 2023). Con la legge di bilancio 2024 sono stati stanziati ulteriori 150 milioni di euro a tali scopi (dei quali, 10 milioni di euro nel 2024, 20 milioni nel 2025 e 50 milioni nel 2026 – allocati nel capitolo 7273 dello stato di previsione del MUR – e 70 milioni di euro nel 2027, attualmente allocati nel capitolo 7266 del medesimo stato di previsione). A queste risorse, si aggiungono gli stanziamenti a valere sulle risorse del PNRR che, a seguito della revisione, sono state incrementate per sostenere la realizzazione di ulteriori 60.000 posti letto per studenti universitari entro il 30 giugno 2026. Le risorse complessive disponibili per tale riforma (1.7 della Missione 4, Componente 1 del PNRR) ammontano a circa 1,2 miliardi di euro;

    sono stati introdotti dottorati innovativi che rispondono ai bisogni di innovazione delle imprese. Nella prima fase di attuazione, 1.708 borse di dottorato (di cui 491 destinate al Mezzogiorno) sono state assegnate per ciascuno degli anni accademici 2022/2023 e 2023/2024;

    si è provveduto a potenziare l'offerta di dottorati di ricerca e dottorati innovativi per la Pubblica amministrazione e il patrimonio culturale, finanziando 2.400 borse di studio per percorsi di dottorato di ricerca per l'anno accademico 2022/2023 e 5.068 percorsi di dottorato per l'anno accademico 2023/2024. Tali azioni – rileva il DEF 2024 – hanno permesso di raggiungere e superare l'obiettivo previsto per la fine del 2024,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO – ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA

  La VII Commissione, esaminati il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2) e i relativi Allegati;

   premesso che:

    nel contesto del cosiddetto Semestre europeo, il Documento di economia e finanza traccia una prospettiva di medio-lungo termine degli impegni, sul piano della politica economica e della programmazione finanziaria, e degli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, al fine di promuovere il coordinamento e la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e garantire la stabilità;

    in questo contesto il Governo Meloni ha presentato per il 2024 un Documento con il solo quadro tendenziale senza offrire, come invece dovrebbe, a norma dell'articolo 10, comma 2, lettera e) della legge di contabilità e finanza pubblica (la legge 31 dicembre 2009, n. 196) un quadro programmatico di finanza pubblica per i prossimi tre anni che è stato invece rinviato al prossimo Piano fiscale-strutturale di medio termine che sarà presentato il prossimo 20 settembre;

    la motivazione utilizzata dal Governo secondo cui la Commissione europea avrebbe indicato ai Governi di presentare per quest'anno soltanto Programmi di stabilità sintetici, limitandosi a fornire contenuti e informazioni di carattere essenziale, in vista della redazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine (quinquennale), previsto dal nuovo Patto di stabilità, non giustifica la mancata presentazione da parte del Governo di un quadro programmatico nel DEF 2024, anche di natura sintetica, e delle linee generali della prossima manovra, anche tenendo conto del nuovo Piano strutturale di bilancio di medio termine da presentare all'UE entro il 20 settembre. In questo primo anno di transizione verso le nuove regole di governance economica, nulla vieta al Governo di rispettare comunque i contenuti vigenti della legge di contabilità pubblica e di consentire al Parlamento di esprimersi con una circostanziata deliberazione;

    a causa dell'andamento della finanza pubblica in atto, la Commissione europea si appresta ad aprire la procedura d'infrazione per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese. Nella premessa al DEF 2024, il Governo annuncia che, per far fronte alla prossima procedura d'infrazione per deficit eccessivo, si predisporrà per una trattativa con la Commissione europea per un aggiustamento della finanza pubblica in un arco temporale di sette anni. Alla luce di tale affermazione, le prime stime in circolazione prefigurano manovre di rientro non inferiori a 0,5 punti percentuali – al netto dell'attivazione di ulteriori clausole che potrebbero innalzarne l'impatto intorno all'1 per cento – per ciascuno degli anni del predetto arco temporale;

    il Governo non offre alcun dettaglio delle misure da confermare denotando qui l'incapacità di affrontare il futuro e dimostrando di avere idee poco chiare nel merito;

    la decisione del Governo di non presentare un documento programmatico è stata scelta in passato da governi dimissionari che non avevano titolo a presentare programmi pluriennali; al contrario, la scelta del Governo, nel pieno delle sue funzioni, è senza precedenti e si pone in violazione delle citate norme sul processo di formazione del bilancio;

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    oltre alla mancata previsione del quadro programmatico il Governo non intende affrontare nel Documento, in pieno clima elettorale, in vista delle prossime elezioni europee, anche la cornice entro cui collocare la prossima legge di bilancio e non fornisce alcuna indicazione concreta sulle misure di entrata e di spesa che l'esecutivo intenderà introdurre nei prossimi mesi;

    il Governo in particolare non esplicita alcuna decisione sulle grandi priorità di politica economica sul versante delle spese per quanto riguarda la sanità, la scuola, le politiche per il lavoro, gli investimenti e la politica industriale e gli enti locali che saranno anch'essi interessati dalla declinazione nazionale delle nuove regole del patto di stabilità e crescita;

    il Governo sembra indirizzato, in base ai contenuti in controluce del DEF 2024, a ricavare risparmi di spesa sul fronte dei consumi intermedi, del reddito da lavoro dipendente, dai contributi agli investimenti, dalla sanità e dalle prestazioni sociali. Nessuna ulteriore indicazione è formulata in relazione agli introiti da cessione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze di società controllate o partecipate;

    per la correzione dei conti pubblici in conseguenza dell'apertura della procedura d'infrazione per deficit eccessivo, occorrerà almeno uno 0,5 per cento di Pil, a cui dovrà aggiungersi almeno lo 0,5 per cento di Pil per la proroga del cuneo fiscale, ed uno 0,2 per cento del Pil per la proroga della revisione delle aliquote Irpef. A queste dovranno aggiungersi le altre proroghe temporanee, valide per il solo 2024, le misure di carattere inderogabile, le annunciate ulteriori misure di riduzione della pressione fiscale in attuazione della Riforma e gli altri interventi di politica economica;

    in particolare le principali misure introdotte nella scorsa legge di bilancio solo per il 2024 che sono il taglio dei contributi previdenziali e l'accorpamento dei primi due scaglioni dell'Irpef, insieme ammontano a circa 15 miliardi di euro annui; ad esse si aggiungono ulteriori misure a scadenza per un totale di circa 20 miliardi di euro; si tratta in particolare: della detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, la riduzione del canone Rai, il differimento di plastic e sugar tax, l'azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli, il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno, il rifinanziamento della legge Sabatini per gli investimenti e la proroga dei bonus edilizi Ecobonus e Sismabonus che in assenza scenderanno al 36 per cento;

    se come affermato in conferenza stampa dal Ministro dell'economia e delle finanze le prime due misure saranno rifinanziate senza incidere sul disavanzo e mantenendo perciò i saldi sui valori del tendenziale, occorre che il Governo fornisca un quadro delle misure di entrate e di spesa necessaria a reperire per il 2025 coperture finanziarie ad oggi ancora non definite;

    sul fronte macroeconomico emerge in tutta evidenza che la crescita 2024 sarà più debole del previsto: il Governo aveva programmato nella NADEF di settembre 2023 una crescita del Pil 2024 dell'1,2 per cento che l'attuale Documento riduce all'1 per cento; le stime di crescita del Governo sono molto più ottimistiche di quelle diffuse dai principali istituti nazionali ed internazionali infatti mentre il DEF riporta una crescita tendenziale del PIL del 1,0 per cento nel 2024, dell'1,2 per cento nel 2025 e del 1,1 per cento nel 2026 e nel 2027, quelle più recenti diffuse da Banca d'Italia e da Eurostat stimano una crescita economica del Paese che oscilla tra lo 0,6 per cento e lo 0,8 per cento;

    la crescita è dovuta sostanzialmente all'effetto positivo dovuto all'attuazione del PNRR che però terminerà nel 2026; mancando il quadro programmatico il Governo non fornisce alcuna indicazione su quali saranno le direttici di intervento per sostenere la crescita, anche in assenza del PNRR, dal 2027;

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    sul fronte della finanza pubblica, per il 2024, l'indebitamento netto si collocherebbe al 4,3 per cento del Pil per scendere progressivamente fino al 2,2 per cento nel 2027 in linea con le previsioni della NADEF 2023; con riferimento all'anno 2023, l'ISTAT ha rilevato invece che il rapporto tra l'indebitamento delle amministrazioni pubbliche e il PIL è risultato stato pari al 7,2 per cento peggiorando le previsioni rispetto il programmatico NADEF 2023 che stimavano un rapporto deficit/Pil al 5,3 per cento;

    sul differenziale di 1,9 punti percentuali, equivalente a quasi 40 miliardi di euro hanno inciso varie voci di spesa tra cui i contributi agli investimenti e in questi rientrano le spese per l'efficientamento energetico degli edifici, ma anche la spesa per interessi sul debito pubblico; il Governo in carica, nei 18 mesi di guida, ha assistito immobile all'esplosione dei costi che ha provocato l'impennata del rapporto deficit/pil e gli effetti di trascinamento sul debito per i prossimi anni;

    per quanto riguarda il debito pubblico, in rapporto al PIL esso è previsto in crescita in ragione delle minori entrate dovute alle compensazioni d'imposta previste dai vari incentivi fiscali; il peso del debito torna a salire di circa 2,5 punti percentuali dal 2023 al 2026, passando dal 137,3 per cento del PIL del 2023 al 139,8 per cento del 2026, modificando il sentiero di stabilizzazione tracciato lo scorso settembre nella NADEF che riportava un obiettivo per il 2026 in diminuzione in rapporto al Pil di mezzo punto rispetto al dato del 2023;

   con riferimento agli ambiti di competenza della VII commissione:

    ritenuto che, il DEF mostra notevoli lacune e non prospetta alcun intervento adeguato a sostegno dei settori che investono il sapere nelle sue declinazioni quali scuola, università, ricerca, benché essi rappresentino il volano per un durevole sviluppo sociale ed economico;

    ritenuto impossibile valutare, dai dati riportati, se verranno tracciati interventi in grado di promuovere una crescita dell'economia e dell'occupazione;

   considerato che:

    non risulta alcun impegno ad assicurare la continuità del lavoro ai collaboratori scolastici assunti grazie al piano Agenda Sud e al PNRR, nominati sul cosiddetto organico rinforzato, scaduti il 15 aprile;

    i collaboratori scolastici aggiuntivi delle categorie ATA sta svolgendo un ruolo importante nel sostegno al sistema educativo, peraltro durante una fase caratterizzata dalla realizzazione delle misure finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e dalle iniziative di Agenda Sud;

   visto che:

    non sono previste risorse per il contrasto al precariato e stabilizzare i supplenti in servizio, i cosiddetti in deroga, la cui assenza sta creando notevoli problemi alla didattica;

    tra le urgenze che riteniamo segnalare vi sono l'assenza di risorse per i circa 20 mila posti aggiuntivi di personale Ata, amministrativo, tecnico e ausiliario, per l'istituzione di nuovi profili professionali;

    la previsione indicata nel documento sulla riforma delle pensioni è priva di risorse e, come indicato dalle stime del simulatore dei sistemi pensionistici dell'Inps, nella scuola non si rispetta il patto generazionale: un giovane insegnante precario andrà in pensione con un assegno intorno al 70 per cento dell'ultimo stipendio;

    un recente studio dell'Aran ha evidenziato i dati relativi agli occupati nella Pubblica Amministrazione per classi di età e genere. E nella scuola l'invecchiamento è evidente: su 1.183.442 lavoratori complessivi (di cui 933.945 donne e e 249.497 uomini), quasi la metà (ben 449.992) è compresa nella classe di età 50-59 anni. Nella PA la presenza di dipendenti appartenenti alla fascia anagrafica 50-59 anni è minore: su 3.238.744 lavoratori, solo 1.266.135 sono collocati in quel range. Nella Pag. 253scuola, se si guarda a tutti gli over 50 si scopre che oltre il 56,5 per cento rientra in questa casistica. È emblematico anche che l'età media del personale scolastico, in prevalenza composto da insegnanti, è pari a 50,6 anni per gli uomini, 50,4 anni per le donne;

    non risultano interventi volti a sostenere il turnover;

    nulla è previsto per il sostegno al diritto allo studio nella direzione di un'omogeneizzazione delle condizioni di accesso alla gratuità dei libri di testo nelle diverse aree del Paese, anche aumentando le risorse nazionali a tal fine destinate, fino all'estensione della gratuità dei libri a tutta la scuola dell'obbligo per le famiglie meno abbienti;

   stigmatizzato che:

    gli effetti della disciplina introdotta, a decorrere dall'a.s. 2024/2025, relativa alla determinazione dei criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le regioni, che determinerà, di fatto, un risparmio che impatterà negativamente su tutto il territorio, sugli alunni e le tante famiglie alle quali, a causa di un evidente dimensionamento delle strutture scolastiche, verrà negato il diritto allo studio;

   rilevato che:

    in seguito all'approvazione di tale norma sul dimensionamento molte regioni, tra cui alcune situate nel centro-sud del paese, hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale;

   considerato che:

    la norma porterà alla chiusura di quasi 700 scuole in due anni, con la conseguenza che molte scuole sottodimensionate e gestite con le reggenze dovranno essere chiuse;

   visto che:

    non risultano interventi volti a correggere tali norme;

    il documento disattende, anche questa volta, l'opportunità, invece attesa, di un ulteriore adeguamento quantitativo delle risorse da destinare al comparto della scuola, indicando come obiettivo programmatico a lungo termine il raggiungimento del valore della media europea dell'indice di spesa per l'istruzione in rapporto al prodotto interno lordo;

   considerato che:

    il Governo dichiara di aver optato per misure che affrontino i problemi più impellenti del Paese e su queste priorità di politica di bilancio, nulla risulta a sostegno dei giovani, della dispersione scolastica, alla povertà educativa, al disagio giovanile e al diritto allo studio;

   rilevato che:

    il provvedimento non fa alcun cenno ai diversi aspetti del settore culturale e che, inoltre, risultano assenti previsioni di sostegno allo spettacolo, al cinema, alla tutela dei beni culturali, alla promozione della lettura, all'arte e alla musica;

   constatato che:

    per quanto riguarda il settore dell'università e della ricerca, il Governo non assume nessun impegno finanziario di programmazione per interventi di settore;

   stigmatizzata l'assenza nel documento di interventi, in previsione della prossima legge di bilancio, volti a considerare lo sport e la cultura del movimento come un bene essenziale e un investimento fondamentale, sotto il profilo sociale, della salute ed economico, per il futuro del nostro Paese,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Manzi, Orfini, Berruto, Zingaretti.

Pag. 254

ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  La VII Commissione,

   esaminato, per gli aspetti di competenza, il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2) e i relativi Allegati;

   premesso che:

    come era stato già ampiamente annunciato dal Governo, il Def all'esame non riporta il profilo programmatico, limitandosi a confermare il quadro tendenziale prospettato con la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanze 2023, ossia deficit al 4,3 per cento al 2024, ma prospettando un lieve peggioramento per il 2025 al 3,7 per cento (anziché al 3,6 per cento), al 3 per cento (anziché al 2,9 per cento) per il 2026, infine al 2,2 per cento per il 2027;

    l'impercepibile tasso di crescita del PIL si attesta, per il 2024, all'1,0 per cento, mentre si prospetta pari all'1,2 per cento nel 2025, e all'1,1 e allo 0,9 per cento, rispettivamente nei due anni successivi;

    la previsione tendenziale di crescita del PIL in termini reali per il 2024 si attesta, pertanto, all'1,0 per cento, al ribasso rispetto allo scenario programmatico della NaDef (1,2 per cento) e anche queste previsioni rischiano di essere riviste e ridimensionate a settembre, come annunciato dallo stesso Ministro dell'economia;

    a distanza di 7 mesi dalla NaDef, dunque, i principali dati macroeconomici volgono al negativo, le previsioni di crescita sono riviste al ribasso;

    la disoccupazione appare diminuire, ma il dato è tuttavia legato alla crescita del lavoro precario, temporaneo e saltuario;

    secondo le stime provvisorie diffuse dall'Istat lo scorso 5 aprile, nel 2023 l'incidenza dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche rispetto al PIL si è attestata al 7,2 per cento, mentre il deficit è risultato superiore di 1,9 punti percentuali rispetto all'obiettivo programmatico fissato nella NaDef 2023;

   considerato che:

    come detto, il Documento di economia e finanza 2024 (Def), trasmesso all'attenzione delle Camere lo scorso 9 aprile, si presenta come un documento privo del profilo programmatico, limitandosi, per la prima volta, unicamente ai dati di bilancio tendenziali, in contraddizione con la stessa natura del documento la cui finalità è proprio quella di disegnare il quadro programmatico di finanza pubblica, attraverso le misure di entrata e di spesa che il Governo intende introdurre nei tre anni successivi;

    sebbene il ministro dell'economia, Giorgetti abbia sottolineato come la scelta di limitare il Def 2024 al quadro tendenziale abbia dei precedenti, si osserva come essi siano circoscritti a governi dimissionari che, in quanto tali, non avevano titolo a presentare programmi pluriennali, peraltro privi, quest'ultimi, di alcun interesse nei confronti degli operatori economici e dell'opinione pubblica. Ben diverso è il caso dell'attuale Governo, che si trova nel pieno delle sue funzioni;

    né può essere accolta la tesi del Governo a giustificazione della natura «asciutta» del documento in considerazione della prossima presentazione del piano fiscale strutturale previsto dalle nuove regole di governance economica europea – del quale non sono ancora noti tutti i dettagli applicativi – se si tiene conto dei doveri informativi del Governo nei confronti del Parlamento, oltreché dell'opinionePag. 255 pubblica, nell'esposizione dei contenuti programmatici, in vigenza del quadro normativo nazionale sul processo di formazione del bilancio;

    l'articolo 10 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), prevede infatti espressamente che il Def contenga gli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico nonché le previsioni di finanza di lungo periodo e gli interventi che si intendono adottare per garantire la sostenibilità e pertanto Governo e Parlamento sono tenute a rispettare i contenuti e le prescrizioni di programmazione economica in esso contenuti;

    in una situazione economica e di finanza pubblica incerta e delicata ed apparentemente inadeguata ad invertire la preoccupante tendenza al ritorno a stagioni segnate dalla stagnazione, dall'erosione degli stipendi a causa del caro vita e dalla riduzione delle prestazioni sociali effettive, il Governo nel Def 2024 sceglie di non esprimersi sui suoi obiettivi programmatici, sulle sue riforme, sulle modificazioni alle leggi di entrata e di spesa in vigore, facendo venir meno l'essenza stessa del documento di programmazione, limitandosi a fornire una fotografia dell'esistente, una replica di quanto già annunciato con la NaDef 2023;

    anche la eccessiva colpevolizzazione della misura del bonus 110 come capro espiatorio della difficoltà di questo Governo di tracciare un quadro programmatico, appare assolutamente fuori luogo e per nulla convincente, posti sia gli effetti positivi che la misura ha avuto come volano dell'economia in un momento di grande difficoltà, come quello pandemico, sia l'attuale incertezza sulla contabilizzazione dei conseguenti crediti fiscali;

   considerato ancora che:

    la povertà in Italia è ormai un fenomeno strutturale visto che tocca quasi un residente su dieci, il 9,4 per cento della popolazione residente vive infatti, secondo l'Istat, in una condizione di povertà assoluta. In termini assoluti si contano in Italia più di cinque milioni di persone in stato di povertà assoluta;

    gli obiettivi di crescita che, seppur rivisti al ribasso, appaiono per molti versi sovrastimati in uno scenario internazionale instabile e fragile che presenta incognite rilevanti per cui le prospettive potrebbero cambiare in un arco temporale breve. I rischi legati all'inflazione, soprattutto per la dinamica dei prezzi energetici, le criticità connesse all'attuazione del PNRR revisionato, e all'utilizzo integrale, tempestivo ed efficiente dei fondi, i fattori geopolitici e gli effetti dei conflitti bellici attualmente in corso, sono tutti elementi che richiederebbero una visione strategica diversa da quella che è stata finora messa in campo dal Governo e che sta mostrando progressivamente tutti i suoi limiti;

   valutato che:

    i settori della conoscenza rappresentano il volano per il progresso di una società e, di conseguenza, investire sulla Scuola, Università, Ricerca e Cultura, dovrebbe essere la priorità di ogni Governo, tuttavia, in Italia ciò non accade e, rileva immediatamente che, in un quadro economico oltremodo preoccupante, i settori della conoscenza sono interessati da interventi piuttosto limitati, critici, irrilevanti, inconcludenti e forieri di possibili conseguenze peggiorative;

    nonostante nel Documento si faccia riferimento alle riforme previste dal PNRR, in particolare per quanto concerne il miglioramento del sistema d'istruzione e formazione, si evidenziano, tuttavia, i ritardi che hanno caratterizzato l'avvio delle riforme, come ad esempio quella concernente il sistema di reclutamento dei docenti, presentato con più di un anno di ritardo e con i decreti attuativi di avvio dei percorsi abilitanti ancora da pubblicare, nonostante le scadenze siano state superate già da diversi mesi;

    inoltre, nonostante siano state stanziate risorse per assumere organico aggiuntivo ATA con l'obiettivo di completare i progetti delle scuole relative al PNRR e all'Agenda Sud, al fine di estendere il tempo Pag. 256pieno nelle scuole e ridurre i divari territoriali, il Governo non è stato in grado di prorogare i suddetti contratti fino alla fine delle lezioni, generando confusione sia per quanto riguarda la possibilità, da parte delle scuole, di terminare i progetti avviati, sia per quanto concerne il futuro di questi lavoratori professionisti che, nonostante le promesse, il 15 aprile si sono ritrovati senza lavoro e senza stipendio;

    dappiù, per quanto riguarda la riforma degli istituti tecnici e professionali, essa ha il chiaro obiettivo di reinterpretare compiti e funzioni dell'intero sistema scolastico, subordinandone le finalità educative e i relativi processi d'insegnamento ai bisogni provenienti esclusivamente dal mondo produttivo, come si può evincere dal lessico utilizzato nel provvedimento, in quanto ovunque ricorrono parole come «filiera» e «addestramento», un linguaggio che richiama in maniera inequivocabile il mondo dell'impresa;

    con il fenomeno della denatalità sempre più in crescita si sarebbe potuta avviare una riflessione per ridurre il numero degli studenti all'interno delle classi al fine di rendere più efficiente l'insegnamento e l'apprendimento, ma il Governo ha deciso di sfruttare il dato della natalità soltanto per attuare un dimensionamento scolastico che porterà ad una sensibile riduzione delle istituzioni scolastiche tramite numerosi accorpamenti, con gravi conseguenze che si rifletteranno sulla vita di studenti e studentesse;

    per quanto riguarda il supporto al diritto allo studio e, in particolar modo, il mondo delle università e delle accademie, sono stati riscontrati numerosi ritardi e criticità che hanno costretto il Governo a rimodulare le scadenze e gli obiettivi precedenti, come avvenuto per la riforma degli alloggi universitari, ove il Governo, non essendo riuscito a raggiungere il primo target da 7500 posti aggiuntivi, non solo ha rimodulato la scadenza, perdendo una prima tranche di finanziamento che è stato poi ricalcolata in quella successiva, ma ha demandato l'esercizio delle proprie funzioni in merito agli alloggi universitari ad un Commissario straordinario, istituito dall'ultimo decreto-legge del 2 marzo 2024, n. 19;

   considerato inoltre che:

    è stato tagliato il Fondo Affitti degli studenti universitari fuori sede, istituito dal Governo Conte con una dotazione di 15 milioni di euro per sostenere il pagamento degli affitti agli studenti fuori sede con Isee inferiore a 20 mila euro e ridotto da questo Governo a 4 milioni per il 2023 e 6 milioni per il 2024, gli studenti e le studentesse che riceveranno un aiuto per pagarsi gli studi lontani dalle proprie abitazioni saranno sempre di meno;

    per quanto concerne l'erogazione delle borse di studio, la modifica della Missione 4, Componente 1, Investimento 1.7 rivede al ribasso i numeri per l'assegnazione delle borse di studio, prevedendo l'assegnazione di 55.000 borse per ciascuno degli anni 2023, 2024, 2025 rispetto alla previsione originaria che impegnava il Governo a raggiungere il target di 330.000 borse di studio totali entro il 2023 e 336.000 entro il 2024, due target che avrebbero assicurato il raggiungimento di un numero adeguato di percettori in linea con la media europea e che invece, al 30 novembre 2023, risultava non conseguito in quanto il numero rendicontato è stato pari a 246.000 borse di studio;

    dal monitoraggio effettuato dall'Unione degli Universitari emerge una situazione frammentata e complessa, con numeri di idonei non beneficiari che aumentano a dismisura su tutto il territorio nazionale: a Verona il 50 per cento non sa se riceverà la borsa di studio, mentre a Palermo la copertura è del 47 per cento, dati che dimostrano una problematicità nella ripartizione delle borse di studio nonostante i fondi concessi e che tenderanno a peggiorare visto che l'ultima legge di bilancio ha previsto un taglio di circa 250 milioni di euro dal 2026 in poi, quando i fondi PNRR termineranno;

    infine, da ultimo il decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, all'articolo 6, comma 4, ha disposto un'ulteriore proroga per gli assegni di ricerca, i quali, secondo quanto Pag. 257disposto dal PNRR, avrebbero dovuto essere sostituiti dai contratti di ricerca, che, rispetto agli assegni, garantiscono maggiori tutele e migliori condizioni di lavoro, come le ferie retribuite, l'indennità di malattia e la contribuzione previdenziale ordinaria;

    il rinvio sine die dell'applicazione della riforma rappresenta un'ulteriore mortificazione per i nostri ricercatori che quotidianamente offrono il loro prezioso contributo alla comunità scientifica permanendo in condizioni di lavoro precarie;

    è evidente, dalle politiche sin qui adottate, che il Governo non si dimostra disponibile ad introdurre politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato, strutturali, anche operando una selezione delle priorità e delle urgenze di sviluppo;

    è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro;

   valutato inoltre che:

    per quanto concerne i beni culturali, in cui il nostro paese ha investito solo una esigua percentuale del PIL, un valore tanto basso da mettere a rischio la tutela stessa del nostro prezioso patrimonio culturale, inoltre appare fortemente compromessa la capacità dello Stato di assicurare la normale attività di tutela, affidando tale attività a interventi straordinari o al solo intervento del privato;

    il settore dello spettacolo non appare valorizzato, con evidente grave pregiudizio per tutti gli addetti del settore; stessa cosa dicasi per il settore del cinema e dell'audiovisivo;

   considerato, infine, che:

    la strada maestra per ridare slancio ad un'economia in crisi, ad un modello di sviluppo sostenibile, ad una società che metta al centro il benessere dei cittadini e la loro qualità di vita passa non solo attraverso la previsione di adeguate risorse economiche al mondo della scuola italiana, dell'università, della ricerca e della cultura, ma anche e soprattutto attraverso una programmazione economica che preveda una valorizzazione complessiva del sistema;

    le riforme e gli investimenti del PNRR non solo dovranno attuarsi in modo complementare e sinergico con le azioni e gli obiettivi finanziati con le risorse della politica di coesione ma per portare a regime e garantire il potenziamento dei servizi sono comunque necessari investimenti aggiuntivi sul personale scolastico, universitario e degli enti di ricerca;

    l'impiego delle risorse PNRR nei settori dell'istruzione, dell'università e della cultura è in forte ritardo: a dicembre 2023 sono stati spesi soltanto 3 miliardi su 14 da parte del Ministero dell'istruzione, mentre il Ministero dell'Università e della ricerca ne ha spesi 1,3 miliardi su 10 e il Ministero della Cultura appena 152 milioni su 4 miliardi;

   appare dunque indispensabile che il Governo si impegni:

    a reperire adeguate risorse da destinare alla scuola pubblica e portare gli investimenti in istruzione, educazione e formazione al 5 per cento del PIL come il resto d'Europa, al fine di restituire peso e valore all'istruzione scolastica, per promuovere la formazione degli insegnanti, per valorizzare la professionalità docente e per sostenere l'innovazione didattica e organizzativa, nella consapevolezza che la scuola debba rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita del Paese, garantendo il diritto allo studio e la garanzia di accesso per tutti e a tutti i livelli di istruzione;

    ad intraprendere ogni iniziativa utile, in sede europea, finalizzata a modificare le regole vigenti in materia di disciplina di bilancio, prevedendo lo scorporo degli investimenti destinati all'istruzione dal calcolo del deficit;

    a rafforzare le misure volte a sostenere l'istruzione, l'università e la ricerca, anche garantendo l'adeguamento dei trattamentiPag. 258 degli insegnanti ai livelli europei, l'assunzione di più psicologi e pedagogisti per fornire sostegno agli studenti e a tutta la comunità scolastica, l'aumento dei fondi per Università e ricerca a favore di studenti, ricercatori e personale tecnico e amministrativo, l'accesso aperto ai risultati delle ricerche e la riduzione del numero chiuso per l'accesso all'Università;

    a reperire risorse adeguate a garantire il diritto all'istruzione per tutte le bambine e i bambini, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, al fine di colmare il divario tra Nord e Sud ed assicurare la costruzione di una scuola realmente inclusiva, che coinvolga tutti gli alunni con particolare attenzione agli alunni in situazioni di disagio socio-economico ovvero ai bambini con disabilità, introducendo strumenti di supporto indirizzati alle famiglie quali la garanzia del tempo pieno, l'implementazione dei servizi di mensa scolastica, la gratuità dei libri di testo e dei servizi di trasporto;

    a reperire le adeguate risorse necessarie per restituire peso e valore all'istruzione scolastica, per promuovere la formazione degli insegnanti, per valorizzare la professionalità docente e per sostenere l'innovazione didattica e organizzativa, nella consapevolezza che la scuola debba rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita del Paese, garantendo il diritto allo studio e la garanzia di accesso per tutti e a tutti i livelli di istruzione;

    ad adottare iniziative volte a reperire le risorse necessarie per la piena attuazione del Piano nazionale per la promozione del sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita sino a sei anni, dirette a garantire la gratuità dei servizi educativi 0-3 anni a favore dei nuclei familiari a basso Isee ed una scuola dell'infanzia (3-6 anni) ad accesso universale e gratuito;

    ad adottare iniziative volte a valorizzare economicamente tutto il personale scolastico, mediante iniziative volte a reperire risorse adeguate e ad innalzare le retribuzioni, portandole al livello europeo, e a definire una progressione di carriera del personale scolastico, cominciando ad incrementare i finanziamenti per il rinnovo del contratto di lavoro al personale di scuola università e ricerca;

    a destinare nuove risorse al comparto istruzione e ricerca, in modo da trasformare il problema della denatalità in una opportunità e non in una penalizzazione e riportare le classi a un massimo di 20 alunni per classe;

    ad intervenire, con azioni forti e immediate, per sostenere le famiglie, in estrema difficoltà per questo anno scolastico, nell'acquisto dei libri scolastici e garantire il diritto allo studio in modo uniforme su tutto il territorio nazionale;

    a rivedere la normativa approvata inerente al dimensionamento scolastico, in particolare ad adottare iniziative normative volte ad abrogare la disciplina introdotta, anche alla luce dei rischi e delle criticità che potrebbero derivare dalla controversa riforma dell'autonomia differenziata da riconsiderare integralmente, con particolare riguardo al sistema di istruzione, che deve mantenere i caratteri di uniformità ed eguaglianza su tutto il territorio nazionale;

    a predisporre misure per supportare il sistema dell'istruzione, di ogni ordine e grado, anche nell'ottica di una innovazione scolastica che preveda l'utilizzo delle nuove tecnologie e di strumenti avanzati di didattica, nonché per favorire tra gli studenti una coscienza civica capace di contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo nella scuola, nella società e nel web;

    a utilizzare compiutamente e ottimizzare le risorse messe a disposizione dal PNRR per la creazione e la trasformazione delle istituzioni scolastiche in ambienti d'apprendimento innovativi, anche dal punto di vista dell'edilizia scolastica, della metodologia d'insegnamento e dei linguaggi, fornendo direttive e linee guida chiare ed efficaci e supportando gli enti locali e le istituzioni scolastiche nel processo di attuazione del Piano;

Pag. 259

    ad adottare iniziative concrete per modernizzare le università italiane, nella consapevolezza che l'università debba essere un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;

    a introdurre misure volte a garantire il diritto allo studio in tutto il sistema dell'alta formazione predisponendo un numero adeguato e crescente di borse di studio per i meritevoli meno abbienti provenienti da famiglie particolarmente colpite dalla carenza di lavoro e dalle difficoltà sociali;

    a reperire risorse necessarie volte ad incrementare adeguatamente il FIS, fondo integrativo statale per le borse di studio, al fine di aumentare la percentuale dei percettori delle borse di studio degli studenti universitari adeguandoli alla media europea, come da obiettivo iniziale del PNRR, eliminando così il fenomeno degli idonei non beneficiari;

    ad intervenire affinché il problema della carenza degli alloggi universitari si possa risolvere prevalentemente e in modo strutturale implementando le residenze universitarie pubbliche e rimpinguando il Fondo Affitti degli studenti universitari fuori sede con adeguate risorse e elevando la fascia Isee per accedere ai fondi al fine di garantire pienamente ed efficacemente il diritto allo studio universitario;

    ad intervenire affinché nell'ambito delle procedure e dei criteri volti ad individuare il corrispettivo unitario per i posti letto, di cui alla legge 14 novembre 2000, n. 338, articolo 1-bis, comma 7, lettera d), si elevi ad almeno il 30 per cento la relativa riduzione in ragione della finalità sociale delle misure previste;

    a potenziare il sistema di accreditamento dei corsi di laurea valorizzando i corsi di laurea esistenti e scongiurando la chiusura di molti corsi di studio causati dalla mancanza di risorse e da criteri di accreditamento troppo restrittivi;

    ad adottare iniziative urgenti finalizzate al reale raggiungimento degli obiettivi per la ricerca finalizzati al rafforzamento della ricerca, la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata, il supporto ai centri per l'innovazione, il trasferimento tecnologico, il potenziamento delle infrastrutture di ricerca del capitale e delle competenze di supporto all'innovazione;

    a stanziare risorse necessarie al fine di favorire e di non penalizzare il comparto della ricerca, con l'obiettivo di creare una nuova leva di giovani ricercatori e di investire su di essi come risorsa per modernizzare tanto il funzionamento delle istituzioni di ricerca quanto l'università, rendendola un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;

    ad intraprendere ogni iniziativa utile finalizzata ad adottare piani straordinari di assunzione e stabilizzazione di ricercatori negli Enti Pubblici di Ricerca e nelle Università impegnati in progetti di ricerca legati al PNRR;

    a implementare gli interventi a sostegno del patrimonio culturale in considerazione della peculiarità del patrimonio culturale italiano, unico rispetto agli altri Paesi;

    a porre particolare attenzione ai temi della cultura, effettuando investimenti nell'intero settore culturale, con strategie di lungo periodo non solo per quanto riguarda il patrimonio dei beni culturali, ma anche il mondo dello spettacolo, del cinema e dell'audiovisivo, prevedendo misure di supporto e ristoro per tutti i lavoratori di questo comparto, incluso il settore della lirica, della prosa, delle orchestre, della danza, dei circhi e spettacoli viaggianti, della formazione artistica e delle imprese culturali;

    a introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo;

    a rendere strutturali gli incrementi di risorse finanziarie disposti nel corso dell'emergenza pandemica a favore dei settori della cultura, dello spettacolo, dell'istruzione, dell'università, della ricerca scientifica, dell'editoria e dello sport, per lo Pag. 260sviluppo economico e sociale del Paese, con l'obiettivo di tendere progressivamente verso l'allineamento della spesa statale in questi settori alla spesa media dei Paesi europei;

    per le ragioni illustrate in premessa, e considerato che dal DEF ci si sarebbe aspettato una più responsabile azione volta davvero a promuovere gli investimenti nell'istruzione, nella formazione, nella ricerca, nella tutela e valorizzazione dei beni culturali, nello sport e nell'editoria,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Caso, Orrico, Amato.

Pag. 261

ALLEGATO 4

Disposizioni e delega al Governo in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo. C. 536 e abb.-B, approvata in un testo unificato dalla Camera e modificata dal Senato.

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il testo della proposta di legge C. 536 e abb.-B, approvata in un testo unificato dalla Camera e modificata dal Senato, recante «Disposizioni e delega al Governo in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo»,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 262

ALLEGATO 5

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione,

   esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge C. 1665 Governo, approvato dal Senato, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 263

ALLEGATO 6

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  La Commissione VII,

   esaminato, per quanto di competenza, l'AC 1665 recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

   premesso che:

    il disegno di legge all'esame, di iniziativa governativa e modificato nel corso dell'esame al Senato, reca disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione, il quale delinea le coordinate fondamentali della procedura per l'accesso delle regioni ordinarie a ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di legislazione concorrente e alcune materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. In particolare, il testo provvede alla definizione dei principi generali per l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e delle relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una regione;

    in premessa, il disegno di legge individua le finalità dell'intervento legislativo (articolo 1), esplicitando che l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, primo comma, lettera m), della Costituzione (LEP), ivi inclusi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali;

    a tale fine, il provvedimento, come modificato al Senato (articolo 3), contiene una delega al Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, sulla base dei principi e criteri direttivi stabiliti dall'articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023), i cui schemi sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materie, nonché di quelle competenti per i profili finanziari;

    il disegno di legge demanda a tali decreti legislativi, inoltre, la determinazione delle procedure e delle modalità operative per il monitoraggio dell'effettiva garanzia in ciascuna regione della erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Si prevede, altresì, che i LEP siano periodicamente aggiornati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sui cui relativi schemi sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata, nonché delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari;

    nelle more dell'entrata in vigore dei suddetti decreti legislativi, si prevede che continuino ad applicarsi, ai fini della determinazione dei LEP nelle materie suscettibili di autonomia differenziata, le disposizioni previste dalla legge di bilancio 2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197, articolo 1, commi da 791 a 801-bis); si evidenzia che i commi da 791 a 801-bis dell'articolo 1 della legge di bilancio 2023, oltre ad essere caratterizzati da contenuti alquanto eterogenei, sebbene accomunati dall'oggetto generalePag. 264 – vale a dire, la previsione di un percorso procedurale finalizzato alla determinazione dei LEP nelle materie suscettibili di autonomia differenziata – hanno un contenuto prevalentemente procedurale, in quanto delineano la procedura per l'emanazione di una fonte secondaria – i decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – presentati da una Cabina di regia a tale scopo istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, oppure, nel caso in cui la Cabina di regia non riesca a concludere la sua attività nei tempi stabiliti, da un Commissario appositamente nominato;

    il testo disciplina, come anticipato, il procedimento di approvazione delle «intese» (articolo 2). In proposito, si stabilisce che l'atto di iniziativa per l'attribuzione di competenze ex articolo 116, terzo comma, sia preso dalla regione interessata sentiti gli enti locali, secondo le modalità previste nell'ambito della propria autonomia statutaria. L'iniziativa di ciascuna regione può riguardare una o più materie o ambiti di materie. Segue il negoziato tra il Governo e la regione per la definizione di uno schema di intesa preliminare. la richiesta deve essere trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il quale, acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell'economia, ed in ogni caso entro i successivi sessanta giorni, avvia il negoziato con la regione richiedente. Con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai LEP, il negoziato è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia e, ai fini del suo avvio, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie debbono tenere conto del quadro finanziario della regione interessata;

    lo schema d'intesa preliminare tra Stato e regione, corredato di una relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri: sullo stesso deve essere acquisito il parere della Conferenza unificata da rendere entro sessanta giorni. Trascorso tale termine, lo schema preliminare viene comunque trasmesso alle Camere per l'esame da parte dei competenti organi parlamentari: questi si esprimono al riguardo «con atti di indirizzo», secondo i rispettivi regolamenti, entro novanta giorni (anziché sessanta, come originariamente previsto) dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale interessata;

    alla luce del parere e degli atti di indirizzo, il Presidente del Consiglio o il Ministro predispongono lo schema di intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore eventuale negoziato e comunque una volta decorso il termine di novanta giorni. Nel corso dell'esame al Senato è stato aggiunto che, laddove il Presidente del Consiglio dei ministri ritenga di non conformarsi, in tutto o in parte, agli atti di indirizzo, riferisce alle Camere con apposita relazione, nella quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata;

    per le fasi successive, si prevede l'approvazione dell'intesa definitiva da parte della regione, assicurando la consultazione degli enti locali interessati, e la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri dell'intesa definitiva e del disegno di legge di approvazione dell'intesa che è allegata al disegno di legge. Alla seduta del Consiglio dei Ministri per l'esame dello schema di disegno di legge e dello schema di intesa definitivo partecipa il Presidente della Giunta regionale. Il disegno di legge di approvazione dell'intesa e la medesima intesa allegata sono immediatamente trasmessi alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, il quale configura quella in questione come una legge rinforzata, prescrivendo che ciascuna Camera la approvi a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti;

    le intese devono anche indicare la loro durata, che non può comunque essere superiore a un decennio. Ciascuna intesa individua i casi in cui le disposizioni statali vigenti nelle materie oggetto di intesa con una regione, approvata con legge, continuano ad applicarsi nei relativi territori della regione fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali disciplinanti gli ambiti oggetto dell'intesa (articolo 7). L'intesa può essere modificata su iniziativaPag. 265 dello Stato o della regione e può prevedere i casi e le modalità con cui lo Stato o la regione possono chiederne la cessazione, da deliberare con legge a maggioranza assoluta delle Camere. L'iniziativa di modificare le intese può essere adottata anche sulla base di atti di indirizzo adottati dalle Camere secondo i rispettivi regolamenti. Alla scadenza del termine, l'intesa si intende rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della regione, manifestata almeno un anno prima della scadenza;

    in relazione ai princìpi applicabili al trasferimento delle funzioni, si prevede che il trasferimento delle funzioni (articolo 4), con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, attinenti a materie o ambiti di materie riferibili ai LEP, può avvenire nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Per le funzioni relative a materie o ambiti di materie diverse da quelle riferibili ai LEP, il trasferimento può essere effettuato nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente. Le funzioni trasferite alla regione in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, possono essere attribuite, nel rispetto del principio di leale collaborazione, a Comuni, Province e Città metropolitane dalla medesima regione, in conformità all'articolo 118 della Costituzione, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie (articolo 6);

    il provvedimento disciplina inoltre l'istituzione di una Commissione paritetica Stato–regione-Autonomie locali, con il compito di formulare proposte per l'individuazione dei beni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l'esercizio da parte della regione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia oggetto di conferimento. I criteri di determinazione di tali beni e risorse, così come le modalità di finanziamento delle suddette funzioni dovranno essere definiti nell'ambito dell'intesa tra Stato e regione disciplinata dall'articolo 2 del disegno di legge. Il finanziamento dovrà, comunque, essere basato sulla compartecipazione regionale ad uno o più tributi erariali (articolo 5). La Commissione procede annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna regione interessata, dall'esercizio delle funzioni e dall'erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, mentre spetta alla Corte dei Conti riferire annualmente alle Camere sui controlli effettuati, con riferimento in particolare alla verifica della congruità degli oneri finanziari conseguenti al trasferimento di competenze nell'ambito del regionalismo differenziato rispetto agli obiettivi di finanza pubblica e al rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione (articolo 8);

    sotto il profilo finanziario, il disegno di legge (articolo 9) reca, la clausola di invarianza finanziaria con riferimento all'attuazione della presente legge e di ciascuna intesa che ne derivi. Dispone che il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto delle norme vigenti in materia di copertura finanziaria delle leggi e degli equilibri di bilancio, nonché garantisce, per le singole regioni che non siano parte delle intese, l'invarianza finanziaria nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all'articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione. Al contempo, il provvedimento stabilisce che lo Stato adotti misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione, della solidarietà sociale individuando anche alcune fonti per le relative risorse, precisando che trova comunque applicazione la normativa volta ad assicurare l'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario attraverso la cosiddetta fiscalizzazione dei trasferimenti statali, anche nel quadro dell'attuazione della milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) relativa alla Riforma del quadro fiscale subnazionale (articolo 10);

    il provvedimento (articolo 11) prevede, infine, che la legge trovi applicazione nei confronti delle regioni che abbiano già avviato il negoziato per il riconoscimento dell'autonomia differenziata, nonché che si applichi anche alle regioni a statuto specialePag. 266 e le province autonome ai sensi dell'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V, che riconosce a tali enti territoriali forme di maggiore autonomia previste da tale legge;

   considerato che:

    il testo presenta rilevanti criticità sull'equità di accesso ai servizi e ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale con effetti diretti sull'unità del Paese;

    determinare e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) non è sufficiente a garantire equità, in questo la Sanità, dove i Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono stati introdotti già dal 2001, dovrebbe essere da insegnamento, visto che ad oggi, nonostante tanti interventi di aggiustamento, le disuguaglianze continuano ad esistere. Pertanto non c'è una ragione convincente per sostenere che le inefficienze saranno improvvisamente superate e i vari gap colmati;

    come detto, l'autonomia differenziata viene consentita dopo soltanto la determinazione e il finanziamento dei LEP. Non è subordinata, come invece dovrebbe essere, a titolo di esempio: alla individuazione di criteri di riparto del finanziamento dei LEP che guardino all'equità e alle caratteristiche specifiche delle regioni; alla definizione e all'approvazione di un Sistema di Garanzia dei LEP adeguato, che permetta al livello centrale di verificare concretamente, tempestivamente e in modo puntuale la loro effettiva ed equa erogazione nelle regioni; alla verifica positiva della garanzia dei LEP; alla definizione, al finanziamento e alla verifica degli standard nazionali del personale, tecnologici, organizzativi e infrastrutturali che in concreto dovranno sostenere i LEP;

    la legge di bilancio 2023 ha istituito una cabina di regia che dovrà provvedere alla ricognizione del quadro normativo e della spesa storica dell'ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ogni regione, con successiva determinazione dei LEP, costi e fabbisogni standard;

    non c'è invece un'individuazione dei bisogni essenziali dei cittadini da garantire mediante i LEP;

    in questo modo, di fatto, i LEP rischiano di ridursi solo ad un elenco puntuale di ciò che già viene erogato e che sia compatibile con le attuali risorse;

    un approccio che appare diverso da quello richiamato dalla Corte dei conti proprio durante la sua audizione (2021) sull'attuazione dell'autonomia differenziata: «... Nel rapporto tra principio dell'equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, la Corte costituzionale ha precisato l'ordine di priorità' ritenendo necessario, dapprima individuare gli interventi di attuazione dei diritti, di seguito, e di conseguenza, decidere la composizione del bilancio (sentenza n. 275 del 2016)»;

    l'articolo 7 del provvedimento in esame prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia o la regione possano disporre verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell'Intesa concernente l'autonomia differenziata della regione, con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei LEP e al loro monitoraggio, la verifica della garanzia dei LEP è quindi solo una possibilità e il loro mancato rispetto non è considerato, all'interno del disegno di legge, un motivo di cessazione automatica dell'efficacia dell'intesa sull'autonomia differenziata concessa alla regione. Pertanto viene meno proprio il ruolo di garanzia del livello centrale;

    il procedimento di approvazione e revisione dei LEP, previsto al citato articolo 3, appare piuttosto lungo e complesso, e, tra l'altro, non individua tempistiche (certe e perentorie) di revisione dei LEP, quindi incompatibile con i tempi di evoluzione dei bisogni e dei diritti dei cittadini;

    il disegno di legge all'esame prevede espressamente all'articolo 9 comma 1 che dall'attuazione dell'autonomia differenziata non debbano derivare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Viene, altresì, ribadito che il finanziamento dei LEP deve avvenire nel rispetto dell'articolo Pag. 26717 della legge 196/2009 e degli equilibri di bilancio (articolo 9, comma 2);

    il finanziamento delle nuove funzioni deve avvenire a costo zero. Si pone quindi il tema di come e se, si possano reperire le risorse per garantire i meccanismi di perequazione finanziaria dei territori e conseguentemente l'erogazione dei LEP;

    infine, le modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2024 – che hanno sostanzialmente subordinato forme e condizioni particolari di autonomia alla previa determinazione dei rispettivi LEP si ritengono irrilevanti. Il concreto rischio è che, in assenza di risorse, ci si limiti sostanzialmente ad una fotografia basata sui livelli storici di copertura dei servizi e delle funzioni, che alla luce degli attuali e futuri squilibri non risponde al principio di solidarietà ed equità;

    in definitiva, se da una parte si assegnano nuove competenze, responsabilità e funzioni alle regioni dall'altra parte non è previsto alcun tipo di rafforzamento del ruolo del livello centrale di coordinamento, monitoraggio, valutazione e di garanzia del rispetto dei LEP da parte di tutte le regioni e dunque, a fronte del rafforzamento delle regioni, lo Stato ne esce indebolito;

    il Parlamento ha novanta giorni di tempo per esprimersi con atto di indirizzo sullo schema di intesa preliminare di autonomia differenziata, ma non evince se e quanto sia vincolante per il Presidente del Consiglio nella fase di predisposizione dello schema di intesa;

    anche nella fase di determinazione dei LEP il Parlamento è chiamato ad esprimere un semplice parere non vincolante per il Governo;

    infine, appare subito evidente come le parole «uguaglianza, disuguaglianze, equità, controllo, partecipazione, concertazione» siano assenti nel testo del disegno di legge;

   considerato inoltre che:

    in ambito scolastico, per la specificità del sistema di istruzione, risulta difficile ragionare di LEP, in quanto la scuola, non produce beni materiali o prestazioni facilmente misurabili e i bisogni variano da un contesto territoriale all'altro;

    anche i sindacati di categoria vivono con grande preoccupazione l'autonomia differenziata per il sistema pubblico di istruzione, in quanto essa finirebbe per aumentare le diseguaglianze, limitare la libertà di insegnamento e non garantire il diritto allo studio;

    il sistema di istruzione nazionale con le 8.447 istituzioni scolastiche autonome, 7.154.000 studenti, oltre un milione di lavoratori e lavoratrici, rappresenta il sistema pubblico, statale più ampio e complesso del nostro Paese e risponde alla funzione sociale che la Costituzione affida alla scuola statale. Le norme generali sull'istruzione rientrano infatti tra le materie, di cui all'articolo117 comma 2, su cui lo Stato ha competenza esclusiva e che, dunque potrebbero essere completamente trasferite alle regioni;

    è bene chiarire che le norme generali sull'istruzione non possono essere scisse dal complesso di articoli che nella carta costituzionale declinano i diritti legati al sistema scolastico. Infatti la nostra Costituzione definisce negli articoli 33 e 34 le caratteristiche basilari del sistema scolastico e alle prescrizioni derivanti da tali articoli si attribuisce «valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale» rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra coloro che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)» (Corte cost. sentenza 24 giugno 2009, n. 200);

    con l'attuazione dell'autonomia differenziata lo scenario che si presenta è: un organico regionale del personale scolastico, bandi di concorsi regionali, regionalizzazionePag. 268 della Dirigenza scolastica, contratti regionali, differenziazione degli stipendi su base territoriale, conseguenze sulla mobilità;

    sarebbe inoltre negato l'esercizio del diritto allo studio in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale e si realizzerebbe un doppio regime, nazionale e regionale; le scuole si differenzierebbero più radicalmente, il divario Sud-Nord non potrebbe che aumentare, la diffusione uniforme di scuole dell'infanzia e tempo pieno sarebbe definitivamente negata, le regioni potrebbero decidere autonomamente su programmi, strumenti e risorse, rischiando seriamente di compromettere anche il valore legale del titolo di studio;

    per il sistema istruzione, più che di livelli essenziali, si dovrebbe parlare di livelli uniformi delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, al fine di sottolineare l'unità del sistema di istruzione e non una variazione regionale dei valori minimi dei LEP;

    tra l'altro la regionalizzazione si inserirebbe in un contesto dove le diseguaglianze del sistema scolastico sono da tempo ampiamente registrate e aumenterebbe solo le differenze che già esistono, ad esempio in riferimento alla dispersione scolastica, ai Neet, alle dotazioni strumentali ed infrastrutturali;

    malgrado molte sentenze della Corte costituzionale abbiano ribadito che gli articoli della Carta vadano letti in combinato disposto, sia fra loro (il 116 e il 117 con le riserve esclusive per lo Stato), sia con i Principi sanciti nei primi dodici articoli, il disegno di legge all'esame non ne tiene conto. Di fatto, si compromette ogni forma di solidarietà sociale e i bisogni che rendono la vita vivibile, vengono tradotti nei burocratici fabbisogni minimi;

    non è un caso infatti, che studenti, cittadini, sindaci del Sud si mobilitano e si diffondono i Comitati di contrasto all'autonomia differenziata. I dati dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez) parlano chiaro: nei piccoli centri del Meridione manca tutto dalla scuola alle mense, dagli spazi sportivi e ricreativi ai nidi, dalle scuole d'infanzia al tempo pieno in quelle elementari e medie. Nei primi dieci anni di vita un bambino del Nord ha avuto modo di frequentare una scuola per circa 1.300 ore, uno del Sud ne ha in media 200 in meno. I territori più fragili del Paese diventeranno inabitabili, si chiuderà ogni ipotesi di dare corso alla pari dignità dei cittadini, al loro pieno sviluppo come persone nella garanzia offerta dal tessuto di una Repubblica unica e indivisibile;

    inoltre la stessa autonomia scolastica costituzionalmente riconosciuta rischia di essere pregiudicata e collocata in ambito subalterno rispetto alle nuove funzioni e poteri regionali e locali;

    la missione principale della scuola è rappresentata dalla costruzione della cittadinanza, la condivisione di valori e il senso di appartenenza, che fondano la convivenza democratica. «La democrazia infatti non è solo una forma di Governo ma il sentire condiviso dalla comunità.» Questo ruolo del sistema di istruzione statale sarebbe inevitabilmente pregiudicato da una scelta regionalistica e territorialistica;

    già oggi le regioni godono di ampie funzioni amministrative: sulla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, sulla programmazione della rete scolastica, sulla suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa, sulla determinazione del calendario scolastico, sui contributi alle scuole non statali, sulle iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni attribuite. Oltre queste competenze non si può e non si deve andare;

   considerato ancora che:

    la nostra Costituzione, all'articolo 9, «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;

    tra le materie suscettibili di attribuzione alle regioni in attuazione della autonomia differenziata, rientra anche la materia genericamente indicata come «tutelaPag. 269 dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»;

    anche i beni culturali e del paesaggio rischiano di passare alla competenza esclusiva di alcune regioni, con l'inevitabile trasferimento delle funzioni esercitate dalle Soprintendenze archeologiche, belle arti e paesaggio e la Soprintendenza archivistica e bibliografica, presenti sul territorio regionale, con l'attribuzione delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali, come anche le competenze legislative ed amministrative relative alla valorizzazione dei musei presenti sul territorio regionale, ivi inclusi quelli di pertinenza statale;

    dunque, le soprintendenze, oltre alle ataviche difficoltà di bilancio, dovranno affrontare le inevitabili ripercussioni negative dell'autonomia differenziata, che renderà più vulnerabili tali strutture di garanzia e di tutela statale del nostro patrimonio storico, artistico e paesistico;

    pertanto, la tutela fino ad oggi esercitata dal ministero, passerebbe a tutte le regioni. Con la conseguenza di: 20 sistemi diversi e differenziati di tutela, 20 piccoli governi regionali sottoposti all'influenza di gruppi di pressione che potrebbero spingere le giunte regionali ad abbassare i livelli minimi di tutela;

    il rischio che le regioni possano legiferare e amministrare il nostro patrimonio nazionale più prezioso e delicato, ciascuna seguendo la linea della maggioranza politica del momento, senza possibilità dell'intervento, di garanzia del Ministero, desta sicuramente molta preoccupazione, trattandosi di beni identitari, che appartengono a tutto il Paese;

    fortissima preoccupazione per l'impatto dell'autonomia differenziata sulle attività in materia di tutela, gestione e promozione dei beni culturali, oggi di competenza del ministero della Cultura, è espressa da tutte le categorie sindacali di riferimento, in quanto ritengono assolutamente necessario «preservare l'unitarietà del dicastero»;

    per i sindacati, l'autonomia differenziata sulle attività di competenza del ministero della Cultura «metterebbe in seria discussione il principio di unicità della gestione statale della tutela dei beni culturali, producendo uno strappo gravissimo, un precedente difficilmente giustificabile che apre una fase di deregolamentazione in un settore fondamentale per la crescita civile, sociale ed economica del nostro Paese»;

   valutato in fine che:

    le norme generali sull'istruzione e tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, sono attribuite dall'articolo 117, comma 2 della Costituzione, rispettivamente, alle lettere n) e s), alla competenza esclusiva dello Stato e che, con il testo all'esame costituiscono materie di competenza legislativa esclusiva statale che potranno essere attribuite alle regioni, appare assolutamente indispensabile che la scuola e i beni culturali restino fuori dall'autonomia differenziata in quanto in essi risiede la nostra appartenenza alla comunità nazionale,

   per i motivi sopra esposti,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Caso, Orrico, Amato.

Pag. 270

ALLEGATO 7

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO – ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA

  La VII Commissione Cultura, esaminato il disegno di legge recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione,

   premesso che:

    dalle numerose audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione Affari costituzionali, è emerso un quadro fortemente critico del disegno di legge in esame con specifico riferimento al rispetto del sistema delle fonti, al trasferimento delle funzioni e al relativo finanziamento, alla determinazione dei LEP e al ruolo degli enti locali;

    un primo ordine di criticità – sollevato dalla quasi totalità dei costituzionalisti auditi – attiene all'adeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione fornendo una cornice alle successive leggi di approvazione delle intese. In primis, poiché la legge ordinaria può essere modificata o abrogata da qualunque legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa;

    una simile lettura dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, comporta il grande il rischio – consentendo il trasferimento delle funzioni sulla base di una legge quadro ordinaria – di scardinare, sostanzialmente «decostituzionalizzandolo», il riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni;

    lo strumento adeguato a dare attuazione all'articolo 116, comma 3, è una legge costituzionale, così come previsto dal disegno di legge del Gruppo del Partito Democratico, a prima firma del senatore Giorgis, secondo cui il percorso che può condurre all'attribuzione ad alcune regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia deve essere disciplinato da una cornice di livello costituzionale, approvata ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione;

   premesso inoltre che:

    con riferimento al procedimento di approvazione dell'intesa – come delineato dal disegno di legge in discussione – sono state sollevate, dai costituzionalisti e non solo, in modo quasi unanime, critiche sull'insufficiente coinvolgimento del Parlamento nel procedimento, in particolare, sulla legge di approvazione dell'intesa quale legge di mera approvazione, senza possibilità per il Parlamento di emendare e modificare il testo;

    il disegno di legge prevede che il Parlamento, in un primo momento, approvi atti di indirizzo sullo «schema» dell'intesa, di cui non è chiarita l'effettiva portata vincolante. Successivamente a tale momento, il Parlamento riceverà unicamente il disegno di legge di approvazione dell'intesa, nonché l'intesa ad esso allegata, senza possibilità di effettuare alcuna verifica sul rispetto degli indirizzi espressi nella prima fase;

    non prevedere per il Parlamento la possibilità di decidere sul contenuto delle intese significa riportare il procedimento di differenziazione dell'autonomia – con tutte le conseguenti implicazioni costituzionali e in materia di effettività dei diritti fondamentali – a una trattativa tra esecutivo nazionale ed esecutivi regionali, con la conseguenzaPag. 271 che il Parlamento rischia di essere spogliato della propria potestà legislativa senza possibilità di intervenire, a seguito di una decisione presa a maggioranza;

   considerato che:

    in primis, nel rispondere al quesito posto da alcuni Gruppi di opposizione in merito alla quantificazione delle risorse statali potenzialmente coinvolte nell'attuazione dell'autonomia differenziata, l'Ufficio parlamentare di bilancio ha affermato che si tratta di «un esercizio complesso, non immediatamente realizzabile sulla base dei dati regionalizzati disponibili, che può essere effettuato solo dopo l'esplicitazione di scelte politiche sulle funzioni trasferibili e sugli eventuali relativi LEP, a valle di una serie di altre attività a esso propedeutiche e se si posseggono i dati granulari. (...) Una quantificazione di questo tipo è tra i compiti assegnati alla Cabina di regia per la determinazione dei LEP, istituita con la legge di bilancio per il 2023, e alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS). Si tratta di un lavoro complesso e impegnativo, la cui rilevanza ai fini della buona riuscita del processo sembra meritare un'attenzione particolare, anche qualora dovesse richiedere più tempo dei sei mesi previsti dal disegno di legge. (...) La prima difficoltà risiede nel fatto che la denominazione delle materie rilevanti per l'autonomia differenziata non consente di individuare con precisione quali funzioni attualmente svolte dallo Stato possano essere oggetto di potenziali richieste di gestione autonoma da parte delle regioni»;

   considerato inoltre che:

    altrettante perplessità – quasi unanimi – sono state espresse in merito al procedimento di determinazione dei LEP, per il quale vige una riserva di legge, che tuttavia, non dovrebbe limitarsi a disciplinare il procedimento di determinazione dei LEP, ma dovrebbe anche indicare i criteri che dovrebbero portare alla loro determinazione;

    a proposito dei LEP, l'Ufficio parlamentare di bilancio, in sede di audizione, ha osservato che «la determinazione dei LEP relativamente alle funzioni oggi svolte dallo Stato avrà una valenza e degli esiti molto differenti da quelli che si verificherebbero qualora i LEP fossero definiti anche sulle funzioni già oggi svolte dagli Enti territoriali. I livelli dei servizi di questi ultimi sono infatti caratterizzati da una forte eterogeneità che riflette non solo la differenziazione dei bisogni sul territorio ma anche profonde disparità nelle dotazioni finanziarie derivanti dal sovrapporsi nel corso del tempo di interventi di finanziamento non coordinati. La determinazione dei LEP in questo caso farebbe con ogni probabilità emergere significative discrepanze fra i fabbisogni standard e la spesa storica, che andrebbero colmate da interventi perequativi»;

    ed ancora, secondo l'UPB, «l'articolo 7 del disegno di legge contempla verifiche facoltative e asimmetriche in quanto riguardano il raggiungimento dei LEP nelle RAD e non nel resto del territorio nazionale dove la fornitura continua a essere statale. Data la rilevanza costituzionale della garanzia dei LEP, le verifiche andrebbero più opportunamente previste nell'ambito di una procedura periodica e simmetrica che copra sia i servizi resi dalle RAD sia quelli forniti dallo Stato. Al monitoraggio periodico e con regole uniformi fra le RAD andrebbe poi collegata l'attivazione dei poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienza, in analogia a quanto previsto in campo sanitario con riferimento ai LEA»;

    Confindustria, in sede di audizione, ha affermato che si ritiene «opportuna, altresì, una definizione dei LEP non circoscritta alle materie concretamente “trasferite”, bensì riferibile all'intero perimetro delle materie “trasferibili” alle regioni (insieme alle risorse necessarie a finanziarli); infatti, la prima ipotesi determinerebbe un rischio per gli obiettivi di perequazione, poiché è necessario disporre di quante più informazioni possibili circa l'impatto finanziario sul bilancio dello Stato. Questa soluzione si rende necessaria anche in virtù della condizionalità (prevista dallo stesso disegno di legge) tra la definizione dei LEP e il preliminare stanziamento, con legge, Pag. 272delle risorse necessarie a finanziarli, pena il mancato trasferimento delle relative funzioni. Solo una ricognizione del fabbisogno finanziario complessivo, dunque, sarà in grado di assicurare una gestione ordinata di questi aspetti. Sono due i rischi da evitare e cioè che: i) le regioni si trovino a dover assicurare prestazioni essenziali con risorse insufficienti; ii) il riconoscimento ad alcune regioni di forme e condizioni particolari di autonomia (con le relative risorse) pregiudichi la possibilità di attribuire alle altre regioni le risorse necessarie a garantire i LEP di loro competenza»;

    ancora prima dello svolgimento delle audizioni, secondo quanto riportato nel dossier del Servizio di bilancio del Senato «Uno specifico chiarimento andrebbe, in particolare, fornito relativamente alle modalità con cui le intese, non potendo pregiudicare l'entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni, dovranno conciliare questa condizione con quella di trasferire alle regioni differenziate le funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP, senza compromettere la sostenibilità finanziaria della misura. In altre parole, come si riuscirà a garantire la compatibilità di un eventuale aumento di gettito fiscale delle regioni differenziate rispetto alla legislazione vigente, per effetto del trasferimento delle funzioni, con la necessità di conservare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali presso le altre regioni. Analogo chiarimento di sostenibilità della misura andrebbe fornito non solo al momento della transizione delle funzioni, ma anche nel corso degli anni successivi, specificando quali saranno gli strumenti da approntare al fine di evitare interventi a carico del bilancio statale»;

    ed ancora, in sede di audizione, l'UPB ha evidenziato come il disegno di legge «non specifica i criteri relativi all'evoluzione delle risorse a disposizione delle RAD nel tempo al fine del rispetto dei principi costituzionali e di quelli contenuti nel disegno di legge stesso. (...) La necessità di un raccordo fra finanziamento e fabbisogni è evidente nel caso di materie in cui siano stati fissati dei LEP. Non vi è motivo per ritenere, anzi tutt'altro, che una volta fissata un'aliquota di compartecipazione a un tributo erariale il gettito seguirà un andamento simile ai fabbisogni. (...) L'autonomia differenziata potrebbe infatti evolvere verso configurazioni molto diverse fra loro a seconda della numerosità delle regioni interessate e dell'ampiezza ed eterogeneità delle funzioni richieste. Non si può quindi escludere uno scenario fortemente frammentato con un significativo numero di regioni che acquisiscono funzioni differenti, con una diversa composizione relativamente ai LEP e con un diverso peso finanziario.»;

    bisognerebbe evitare che il processo di differenziazione aggravi progressivamente le disuguaglianze, rischio che sussiste sicuramente per le funzioni non LEP che possono essere trasferite a risorse invariate, e dunque sulla base del criterio della spesa storica;

    le risposte dell'UPB ai quesiti posti dai Gruppi parlamentari sono estremamente chiare nella loro oggettività;

    riguardo al finanziamento dei LEP, l'UPB ha affermato che «(...) va osservato che per le funzioni gestite dallo Stato su cui saranno fissati i LEP, l'allocazione delle risorse dovrebbe già seguire, in linea di principio, criteri uniformi sul territorio, ma questo non richiede necessariamente che sia eguagliata la spesa pro-capite per abitante. (...) Tuttavia, in assenza di una determinazione formale dei LEP, l'uniformità potrebbe non essere estesa a tutti gli aspetti della prestazione o comunque la qualità del servizio potrebbe restare difforme sul territorio. Si pensi, ad esempio, al tempo pieno nelle scuole primarie, la cui offerta non è attualmente considerata come un servizio da assicurare uniformemente su tutto il territorio, ma piuttosto come un costo da coprire laddove storicamente presente. (...) Per quantificare l'entità del finanziamento dei LEP su materie di competenza statale è necessario calcolare il fabbisogno standard associato a essi e, di conseguenza, bisognerebbe conoscere, oltre Pag. 273alle materie o ambiti di materie a essi riferibili, anche gli specifici LEP, la cui determinazione è stata affidata dalla legge di bilancio per il 2023 a una apposita Cabina di regia, che non ha ancora terminato il proprio compito. Tra l'altro, si ricorda che in passato i LEP sono stati definiti in alcuni casi in termini di prestazioni da erogare (ad esempio, una certa disponibilità di posti in asili nido), in altri in termini di input (ad esempio, la presenza di un certo numero di assistenti sociali in relazione alla popolazione nell'Ambito territoriale sociale) e spesso si è soltanto delineato un percorso di avvicinamento ai LEP (L. 42/2009, volta all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), solo talvolta specificando preventivamente il punto di arrivo finale»;

    il disegno di legge in esame indica, come esclusivo metodo di finanziamento delle funzioni trasferite, la compartecipazione ai tributi erariali maturati sul territorio, senza tuttavia dettare alcun criterio in ordine alla determinazione della soglia di tale compartecipazione né – come opportunamente rilevato nel documento depositato dall'UPB in occasione dell'audizione dinanzi alla Commissione – alcun meccanismo di rideterminazione della soglia di compartecipazione in relazione a eventuali variazioni dei fabbisogni regionali nel tempo. Simili profili di rigidità potrebbero comportare – nel tempo – l'eventualità di surplus anche assai significativi tra entrate derivanti dalla compartecipazione e fabbisogno effettivo: da una simulazione effettuata da Svimez e riferita in sede di audizione risulta che «se l'autonomia fosse stata concessa nel 2017, si sarebbe generato un surplus a favore delle tre regioni pari a circa 5,7 miliardi nell'ipotesi di compartecipazione IRPEF e di oltre 9 miliardi nel caso di compartecipazione Iva e IRPEF». Come opportunamente rilevato dall'UPB, il surplus favorevole comporterebbe – in caso di trattenimento delle risorse sul territorio, per di più senza vincolo di destinazione (ipotesi configurabile alla luce del testo del disegno di legge) – una perdita netta di entrate per lo Stato, cui non potrebbe ovviarsi se non attraverso il reperimento delle risorse mancanti attraverso tagli di spesa;

    sulla capienza del gettito, l'UPB, in sede di risposta ai quesiti posti dai Gruppi parlamentari, ha affermato come «(...) La verifica della capienza del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle funzioni trasferibili presuppone la quantificazione della spesa associata a ciascuna funzione rientrante nelle materie o ambiti di materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata che, come accennato in precedenza, richiede, sul piano politico, l'individuazione del perimetro delle materie e delle funzioni trasferibili alle regioni e la definizione degli eventuali relativi LEP e, sul fronte tecnico, la scelta e lo sviluppo delle necessarie metodologie»;

    a proposito della dinamica dei fabbisogni e delle compartecipazioni l'UPB ha affermato che «va ricordato che, al fine del finanziamento delle materie trasferite, il disegno di legge dispone – come già accennato – che questo avvenga attraverso attribuzione alle RAD di compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. Le aliquote di compartecipazione sarebbero determinate dalle singole Intese tra Stato e regione in base alla quantificazione delle risorse (non solo finanziarie, ma anche umane e strumentali) prodotta dalla Commissione paritetica Stato-regione, a sua volta costituita dall'Intesa. Pertanto, in base al disegno di legge, sembrerebbe che la valutazione delle risorse venga effettuata successivamente alla definizione dell'Intesa. Non è chiaro invece che ruolo avrebbero la valutazione preliminare del Ministro dell'economia e delle finanze e dei Ministri competenti per materia sull'atto di iniziativa della regione, rivolta, secondo il disegno di legge, anche all'individuazione delle risorse finanziarie da assegnare (in assenza della quale peraltro il negoziato dopo 30 giorni potrebbe comunque procedere) e le relazioni tecniche sullo schema di Intesa preliminare negoziato tra Stato e regione e su quello definitivo. (...) Va considerato che il fabbisogno standard, anche in assenza di provvedimenti normativi che influiscano sui LEP, non rappresenta un ammontare immutabilePag. 274 nel tempo, dipendendo da fattori relativi al numero di beneficiari e/o di prestazioni da garantire (ad esempio, l'evoluzione demografica, la variazione delle caratteristiche economiche delle famiglie in relazione a eventuali criteri selettivi basati sui mezzi, le scelte dei cittadini, ecc.), nonché dal costo dell'erogazione, anch'esso variabile nel tempo. Anche le risorse necessarie a garantire le funzioni non collegate ai LEP potrebbero variare nel tempo, ad esempio per mutamenti nella domanda di servizi. Anche il gettito, una volta individuata l'aliquota di compartecipazione, non resta immutato sul territorio, ma evolve, data la struttura dell'imposta18, con le basi imponibili e con la capacità di riscossione»;

    riguardo alle problematiche relative al coordinamento tra livelli di Governo nella programmazione di bilancio, l'UPB ha evidenziato come «L'introduzione di forme di autonomia differenziata influirebbe sulla programmazione di bilancio sotto diversi aspetti. Innanzitutto, si potrebbe generare un deciso aumento della complessità delle relazioni tra livelli di Governo che inciderebbe sul loro coordinamento in maniera tanto più rilevante quanto maggiore sarà l'ammontare delle risorse coinvolte nel processo. Inoltre, qualora le RAD assumessero il controllo su quote significative della spesa pubblica e del gettito dei tributi, potrebbe in generale risultare indebolita la capacità del Governo centrale di rispondere in maniera tempestiva a necessità urgenti che si manifestassero, come accaduto negli ultimi anni, a livello sia nazionale sia sovranazionale. A obiettivi dati, risulterebbe infatti ridotta la possibilità di reperire immediatamente risorse sia dal lato della spesa (essendo una parte di essa decentrata alle RAD), sia dal lato delle entrate (dato che parte degli incassi sarebbe veicolata automaticamente, via compartecipazione, alle RAD)»;

    e ancora, «a fronte di aliquote di compartecipazione al gettito stabilite al momento dell'attribuzione delle ulteriori forme di autonomia e mantenute fisse nel tempo, le entrate devolute alle RAD con basi imponibili più dinamiche potrebbero con il passare degli anni risultare superiori alle spese relative alle funzioni trasferite. Tali risorse in eccesso rimarrebbero nel territorio e sarebbero sottratte al Governo centrale con due ordini di conseguenze. (...) In primo luogo, ne deriverebbero: 1) minori risorse per finanziare funzioni non trasferibili di particolare rilevanza quali, ad esempio, la previdenza sociale, anche alla luce delle pressioni che saranno generate dal progressivo invecchiamento della popolazione; 2) una minore capacità del Governo centrale di attuare politiche di stabilizzazione del ciclo e di redistribuzione del reddito. (...) In secondo luogo, diverrebbe più complesso assicurare il controllo della spesa primaria netta finanziata da risorse nazionali che, in base alle nuove regole proposte dalla Commissione europea nell'ambito della riforma della governance della UE, rappresenterà l'unico indicatore che verrà utilizzato dalla Commissione europea per valutare il rispetto degli obiettivi programmati nell'ambito di un sentiero di consolidamento dei conti pubblici nel medio periodo»;

    si tratta di affermazioni che evidenziano criticità molto importanti che, se non superaste, comporterebbero le gravi conseguenze descritte dall'UPB che, peraltro, offre anche soluzioni per ovviare alle suddette criticità nel corso dell'esame del disegno di legge;

   rilevato che:

    un ulteriore rilevante ordine di critiche attiene alla mancata fissazione di qualunque limite e criterio in relazione alla scelta delle funzioni da trasferire, quasi che – nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 116, terzo comma – le regioni abbiano il diritto potestativo di chiedere e di ottenere maggiore autonomia – potenzialmente – su tutte le funzioni ivi previste;

    deve in ogni caso osservarsi che il terzo comma dell'articolo 116 parla di ulteriori forme e condizioni di autonomia «concernenti le materie» menzionate nel medesimo comma: oggetto del trasferimento sono allora singole funzioni, e non materie o blocchi di materie;

Pag. 275

    una devoluzione per blocchi di materie si tradurrebbe in una deroga legislativa all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, con conseguente violazione dell'articolo 138;

    inoltre, secondo l'UPB, «il trasferimento alle regioni di competenze quali, ad esempio, le grandi reti di trasporto, i porti e gli aeroporti potrebbe generare, nel caso di interessamento di due o più regioni o di una minore efficienza nella gestione locale rispetto a quella nazionale, esternalità negative con effetti potenziali sull'intero paese. Peraltro, un'attenzione particolare meriterebbe il fatto che tra le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata vi è la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, una materia di particolare interesse strategico nazionale e cruciale a fronte delle sfide che si pongono in merito alla transizione energetica. (...) Il trasferimento di funzioni e delle necessarie risorse dovrebbe pertanto essere preceduto da un'analisi da cui emerga un effettivo miglioramento complessivo della gestione pubblica. La stessa regione che voglia ottenere maggiori competenze in alcune materie dovrebbe, a monte, motivare la richiesta indicando i benefici che ne deriverebbero rispetto alla situazione centralizzata. Il complesso di queste informazioni dovrebbe poi essere reso disponibile al Parlamento per istruire l'eventuale approvazione»;

   considerato altresì che:

    specifiche preoccupazioni sono state infine espresse dagli enti locali che temono che i processi di differenziazione possano condurre a un nuovo «centralismo regionale» senza, peraltro, prevedere il coinvolgimento degli enti locali (sia nei processi di differenziazione, sia nel procedimento di determinazione dei LEP) riguardo all'impatto del trasferimento di funzioni sulle funzioni fondamentali delle province e dei comuni;

    in particolare, secondo l'UPB, ci sarebbero riflessi della differenziazione sulla perequazione provinciale e comunale poiché «se le risorse attribuite alle RAD per la perequazione seguissero regole diverse si determinerebbe un impatto sulle risorse degli Enti locali di tutte le altre regioni. Se, ad esempio, le risorse fossero determinate al momento del trasferimento della funzione e poi congelate all'interno di una compartecipazione ad aliquota fissa, negli anni successivi gli Enti locali delle altre regioni vedrebbero modificati i propri trasferimenti per due ordini di ragioni. Il primo è che si modificherebbe l'ammontare complessivo di risorse perequate, perché verrebbe a mancare la variazione che spetterebbe agli Enti locali della RAD. Il secondo è che anche a parità di risorse complessive si modificherebbe la distribuzione fra i singoli Enti: la perequazione dipende infatti dalla distanza relativa dei fabbisogni e delle capacità fiscali di ogni Ente rispetto alla media; se questa cambia, perché gli Enti delle RAD non vengono più considerati nel calcolo, cambieranno anche le distanze e i relativi trasferimenti»;

    con particolare riferimento alle materie riguardanti la VII Commissione, come sottolineato da molti dei soggetti auditi, fra cui i sindacati, la possibilità che «le norme generali sull'istruzione», attualmente di competenza esclusiva dello Stato, possano essere oggetto di autonomia differenziata, rischia di dar luogo a una grave e irreversibile frammentazione del sistema scolastico;

    il venir meno del «carattere nazionale» dell'istruzione e la conseguente regionalizzazione della Scuola rischia di minare, alla radice, le basi del diritto allo studio e di creare un vulnus profondo alla stessa identità culturale del Paese;

    lo status giuridico del personale scolastico non può che essere di competenza statale ed essere regolamentato in modo su tutto il territorio nazionale;

    regionalizzare le norme generali sull'istruzione significa, potenzialmente, mutare il volto della scuola italiana, con inevitabili ripercussioni sui diritti in essa agiti – ciò riguarda gli insegnanti, ma anche e forse soprattutto gli alunni e, quindi, il futuro della collettività;

Pag. 276

    oggi, nella categoria delle norme generali sull'istruzione «regionalizzabili» ex articolo 116, comma 3, della Costituzione, rientra infatti una vasta pluralità di materie fondamentali, come ha nel tempo segnalato la Corte costituzionale. Si pensi solo alla disciplina dell'obbligo scolastico, alle norme sulla parità tra istituzioni scolastiche (coinvolgente la determinazione dei requisiti per ottenere la «parità» e quindi, in definitiva, il rapporto fra scuola pubblica e privata), a quelle relative alle classi di concorso per gli insegnanti; ai curricoli didattici vigenti nei diversi ordini di scuole; ai criteri di formazione delle classi; alla organizzazione didattica delle scuole primarie; ai criteri e parametri per la determinazione degli organici; alla costituzione di reti territoriali tra le scuole per la definizione di un organico di rete, l'integrazione degli alunni con bisogni educativi speciali, la formazione permanente, la prevenzione dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo e dei fenomeni di bullismo, specialmente per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica;

    tra le altre pronunce, soprattutto nella sentenza n. 200 del 2009, il giudice costituzionale ha chiarito come si pongano negli «articoli 33 e 34 della Costituzione le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative: a) alla istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (articolo 33, secondo comma, della Costituzione); b) al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (articolo 33, terzo comma, della Costituzione); c) alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni (articolo 33, quarto comma, della Costituzione); d) alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (articolo 33, quinto comma, della Costituzione); e) all'apertura della scuola a tutti (articolo 34, primo comma, della Costituzione); f) alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore (articolo 34, secondo comma, della Costituzione); g) al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (articolo 34, terzo comma, della Costituzione); h) alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (articolo 34, quarto comma, della Costituzione)», aggiungendo che, «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali sull'istruzione”»;

    con tale ampia descrizione, la Corte intendeva chiarire come il legislatore costituzionale avesse assegnato «alle prescrizioni contenute nei citati articoli 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla “autonomia delle istituzioni scolastiche”, facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione»;

    analogamente al comparto istruzione, anche per il sistema universitario si potrà prevedere, a seconda delle diverse regioni, l'assunzione di rilevanti competenze in materia di finanziamenti, programmazione e personale. Il percorso che si vuole intraprendere porterà, inevitabilmente e in poco tempo, alla definitiva disgregazione del già agonizzante «sistema nazionale» universitario, già oggi fin troppo frammentato;

    infatti, pur nell'ambito dell'autonomia riconosciuta alla ricerca, il rischio sarà Pag. 277quello di accelerare il processo di rafforzamento delle prerogative regolamentari e di drenaggio di risorse dagli atenei meno forti a quelli più forti, che in quest'ultimo decennio ha amplificato le differenze tra gli atenei e indebolito il sistema universitario nel suo complesso;

    non può infatti essere escluso il passaggio alle regioni di competenze legislative e amministrative a riguardo, con la possibile frammentazione del Fondo di Finanziamento Ordinario, nonché della programmazione universitaria, con specifico riferimento all'istituzione di corsi di studio e, per quanto riguarda il personale, la differenziazione delle figure e delle carriere, pregiudicando la sistematicità a discapito del posizionamento del Paese nei confronti degli altri partner europei e internazionali,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Manzi, Orfini, Berruto, Zingaretti.